Rivoluzione bolscevica

 


 

Rivoluzione bolscevica

 

Il bolscevismo è stata una corrente del Partito Operaio Socialdemocratico Russo nato nel congresso di Londra il 17 novembre 1903, che prese il potere nel paese nel novembre 1917. Il movimento prese questo nome perché vinse contro i menscevichi al II congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo; erano detti bolscevichi i suoi appartenenti, con il significato appunto di "maggioritari" in russo.
"Bolscevico" dalla Rivoluzione d'ottobre in poi ha iniziato ad indicare chi, in tutto il mondo, si fa promotore di una visione analoga a quella dei bolscevichi russi.
I bolscevichi ritenevano che in Russia il proletariato dovesse guidare una rivoluzione sociale in alleanza con i contadini poveri, cioè che il ruolo del partito era quello di agire come estrema opposizione rivoluzionaria, mentre la visione dei menscevichi era quella di un approccio graduale al socialismo, che in Paesi arretrati come la Russia avrebbe dovuto essere preparato prima da un consolidamento del potere della borghesia. I bolscevichi abbracciavano le tesi di Lenin, esposte nel suo libro Che fare?, scritto in preparazione del congresso del 1903, in cui Lenin criticava profondamente lo spontaneismo che fino a quel momento aveva caratterizzato la politica dei progressisti russi. Dopo la Rivoluzione di febbraio del 1917 (e in particolare dopo il ritorno in Russia di Lenin) i bolscevichi si staccarono del tutto dai menscevichi. Però bisogna ricordare che sia bolscevichi sia menscevichi facevano parte di un partito che voleva rivoluzionare il sistema politico: il socialismo.

 

fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Bolscevismo

 

Rivoluzione bolscevica

 

  1. CONCETTI FONDAMENTALI DA SAPERE
  1. LA LOGICA DELLA GUERRA. DA VERSAILLES ALL’INIZIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

 

A1.1
Nell’immediato primo dopoguerra, si delineano in Europa tre orientamenti politici fondamentali.
Il primo vedeva trionfare la logica puramente nazionale, che soprattutto per i grandi Imperi coloniali mondiali (Gran Bretagna e Francia) significava il conseguimento di una posizione di sicurezza con un nuovo equilibrio europeo, realizzato attraverso una logica puramente punitiva nei confronti degli Stati sconfitti.
Il secondo aspirava a realizzare un ordine internazionale del tutto inedito, dove la convivenza degli Stati del mondo fosse garantita da un consesso mondiale, la “Società delle Nazioni”, capace di sostituirsi al sistema politico-diplomatico uscito dalla pace della Westfalia nel 1648 (e fallito nel 1914). Fautore di questa linea era il presidente americano W.Wilson, ideologo della democrazia mondiale.
Il terzo si rivolgeva invece a una rivoluzione mondiale, che portando il proletariato industriale al governo degli Stati “borghesi” distruggesse alle radici il militarismo capitalista. L’ordine mondiale prefigurato da Lenin e che partiva dalla Russia comunista prevedeva tuttavia una sorta di “preludio” rappresentato dal dominio incondizionato del partito bolscevico.
A1.2
I Trattati nei quali si delineò il primo dei suddetti orientamenti furono:

  • a Versailles con la Germania
  • al Trianon con l’Ungheria
  • a Saint Germain con l’Austria
  • a Neuilly con la Bulgaria
  • a Sèvres con la Turchia

Vennero cancellati gli Imperi centrali e quello Ottomano. La Francia e la Gran Bretagna si divisero le colonie tedesche e l’intera area medio-orientale ottomana. E imposero alla Germania le cosiddette “riparazioni”, addossando a questa nazione l’intera colpevolezza della guerra: si trattava di astronomiche clausole finanziarie, che avrebbero reso la Germania un paese semischiavo.
La carta geografica dell’Europa fu ricostruita sulla base del principio di nazionalità, che vide nascere i nuovi Stati sovrani di Jugoslavia, Cecoslovacchia, Polonia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania. Tuttavia ognuno di questi Stati rinchiudeva forti o fortissime minoranze etniche.
A1.3
La Gran Bretagna aveva una preoccupazione esclusiva, quella di salvare il suo immenso Impero coloniale, scosso dai movimenti indipendentisti. Perciò considerava gli USA come il partner ideale per un condominio mondiale. Sennonché gli USA al loro vittorioso intervento militare in Europa non fecero seguire una nuova responsabilità politica. Con i presidenti repubblicani Harding, Coolidge, Hoover (1921-1933) si chiusero nell’isolazionismo politico e razzista, considerarono i loro ex-alleati esclusivamente dal punto di vista dei crediti finanziari erogati, non ratificarono né il Trattato di Versailles né la “Società delle Nazioni”, a cui non presero parte. Perciò né Gran Bretagna né USA, nonostante l’orizzonte mondiale dei loro interessi, dettero vita a un nuovo ordine internazionale.
A1.4
D’altra parte nella Russia di Lenin la rivoluzione mondiale bolscevica non avvenne, ma fu sostituita da un nuovo tipo di Stato, che corrispondeva al predominio di un solo Partito e di una sola ideologia, la quale considerava ogni dissenso come un atto di ostilità “assoluta” e poteva decidere sia la deportazione che la soppressione in massa dei suoi “nemici”.
Esperimenti rivoluzionari avvennero nel 1919 in Germania (a Berlino in gennaio e in Baviera ad aprile), in Ungheria nel marzo e in Italia (nel biennio “rosso”) ma fallirono.
D’altra parte il tentativo, effettuato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia di appoggiare i russi antibolscevichi dal ‘18 al ‘20 nel corso della guerra civile non ebbero alcun successo.
Alla fine l’Unione Sovietica venne riconosciuta dagli altri Stati “borghesi” (ultimi gli USA nel 1933) e a sua volta mantenne rapporti elastici con essi, benché il suo radicale esperimento politico continuasse a rappresentare una sfida permanente verso il resto del mondo, potendo suscitare negli altri popoli una grande suggestione oppure un grande orrore.
A1.5
Ma c’era un quarto fattore in gioco, oltre ai tre che abbiamo incontrato. La guerra mondiale aveva determinato una profonda trasformazione sia negli individui che nelle classi sociali. Riguardo agli individui, la mobilitazione totale e l’esperienza di sterminio collettivo avevano cambiato umanamente le popolazioni. Riguardo alle società, nelle nazioni sconfitte erano state quasi interamente distrutte le élites storiche, e si era aperto un problematico vuoto di mediazione con le masse popolari; in tutte le nazioni le vecchie classi dirigenti liberali ormai lasciavano il posto ai reduci di trincea, agli agitatori politici, ai sindacalisti, ai giornalisti di battaglia.
A1.6
Questo spiega l’aggressività e instabilità politica degli Stati europei all’indomani della guerra. L’equilibrio europeo dopo la pace di Versailles non ci fu e l’Europa si divise in due campi distinti. Da una parte c’erano gli Stati “haves”, cioè soddisfatti, che difendevano il diktat di Versailles come qualcosa di intangibile: Francia (in testa), Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Romania. Nell’altro campo c’erano i “have not” o insoddisfatti: Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria, Italia, Giappone.
E poi c’era l’Unione Sovietica “out cast” o proscritta, attorno alla quale era stato imposto un “cordone sanitario”.
E’ significativo che l’Italia e il Giappone facessero parte, benché vincitrici della guerra, del gruppo degli sconfitti.
A1.7
L’Italia fu la più delusa e revisionista delle potenze vincitrici. Con l’accordo di Rapallo del gennaio ’24 aveva finalmente ottenuto la città di Fiume (non concessa nell’analogo accordo di Rapallo firmato da Giolitti nel ’20), ma era stata esclusa dalla spartizione anglo-francese dell’Impero ottomano.
La nuova Polonia era diventata subito uno Stato multinazionale dominato dai polacchi, ma composto da numerose minoranze discriminate (tedeschi, ebrei, ruteni, lituani, bielorussi) e mosso da ambizioni di espansione imperialista.
In Cecoslovacchia prevaleva la nazionalità ceca, e sia i cechi che gli slovacchi (cioè gli slavi) dominavano rispettivamente su tre milioni di tedeschi e su un milione di ungheresi.
La Jugoslavia era un regno serbo dominante su almeno altre cinque diverse nazionalità (croati, sloveni, montenegrini, bosniaci, albanesi).
Anche la Romania era una specie di impero multinazionale in cui la maggioranza dominava su popolazioni ungheresi, bulgare, sassoni, ebraiche.

A1.8

Su questa situazione di instabilità, dovuta alla mancanza di un ordine internazionale e dunque sostenuta quasi esclusivamente dalla forza dei singoli Stati, si abbatté all’inizio degli anni ‘30 la grave recessione economica che si era manifestata negli Stati Uniti nel 1929. Tutti ne furono colpiti, ma più di tutti la Germania e l’Italia.
L’Unione Sovietica ne fu esente, perché Stalin aveva chiuso la “patria del comunismo” in un sistema indipendente dalle altre economie, teso a realizzare il primo “piano quinquennale” e la collettivizzazione delle terre agricole. Solo in Ucraina questo sforzo costò allora la morte di 7 milioni di persone, fra esodi forzati di popolazioni, eccidio dei kulaki, carestia e fame.
Ma negli Stati d’Europa e in USA le disastrose conseguenze sociali spinsero i governi a chiudere i propri paesi entro barriere economiche protettive con soluzioni autarchiche, cioè di protezionismo spinto. La Gran Bretagna sganciò la sterlina dall’oro (il Gold Standard!) con effetti inflazionistici nel resto d’Europa, e considerò il proprio sistema coloniale come un mercato interno.
Questa situazione, nella prima metà degli anni 30, mise pesantemente in luce la crisi dell’ordine internazionale, le tensioni sociali interne e la potenziale conflittualità esistente tra gli Stati.
A1.9
Il confronto post-bellico fra le “grandi potenze” vincitrici (haves) e quelle “revisioniste” (have not)
intorno agli anni Trenta aveva creato tre zone geografiche di tensione nel mondo.
La prima era in Asia orientale, dove il Giappone cercava di revocare la decisione impostagli dagli USA nella Conferenza di Washington del 1921-22 di rinunciare a ogni interesse egemonico sulla Cina. Nel 1931 il Giappone aveva strappato alla Cina la regione della Manciuria.
La seconda era nel Mediterraneo, dove l’Italia fascista richiedeva una maggior influenza, essendo stata emarginata in quest’area da Francia e Gran Bretagna nel corso dei Trattati di pace del 1919.
La terza era nell’Europa centrale, dove la Germania hitleriana avanzava una posizione egemone, sostituendosi al distrutto Impero asburgico.
A1.10
La decisa politica revisionista del nuovo cancelliere tedesco Hitler (1933) nella torbida situazione internazionale ebbe una libertà che fino a quel momento per la Germania era stata del tutto impossibile.
Il nuovo Reich nazionalsocialista, uscito trionfante dalla lunga e sanguinosa lotta con il DKP (il partito comunista tedesco, che gli era concorrente e rivale nella contestazione della socialdemocrazia di Weimar e del diktat di Versailles), aveva iniziato a violare le decisioni dei vincitori della Guerra mondiale.
Le stesse ragioni che avevano consentito a Hitler di diventare cancelliere della Germania, e cioè il precipitare della situazione economica e sociale, ora ad un tempo forzavano e favorivano la sua politica internazionale di revisione del Trattato.
A1.11
Ma con l’avvento di Hitler fu soprattutto Stalin a cercare di uscire dall’isolamento politico, firmando trattati di non aggressione e accordi con gli Stati confinanti nemici (Polonia, Stati baltici) o conflittuali per motivi territoriali (Cecoslovacchia, Romania). L’URSS entrò anche nella “Società delle Nazioni” e si alleò con la Francia del “fronte popolare”. Era chiaro che Stalin vedeva nella nuova politica tedesca un fattore di pericolo per l’esperimento comunista, ma altresì un attivismo destinato a rimettere in discussione le basi europee di Versailles. Stalin aveva l’ambizione di riconquistare i vecchi confini dell’Impero zarista e anzi di riprenderne la politica espansionista verso occidente.
A1.12
Il regime fascista in Italia, ormai consolidato, dopo la crisi del ’29 accentuò la tendenza a considerare la propria linea politica come alternativa sia all’esperimento sovietico che al capitalismo liberale e con la persuasione d’essere il modello di un nuovo ordine internazionale. Tuttavia la posizione internazionale di Mussolini, attraverso l’azione diplomatica di D.Grandi, fu piuttosto quella di un mediatore, poiché nutriva l’ambizione di far esercitare all’Italia un peso decisivo nel fragile equilibrio europeo. Nel 1934 Mussolini si oppose minaccioso al proposito di unione austro-tedesca seguito all’uccisione del cancelliere austriaco Dollfuss. Nel 1935 ospitò a Stresa una conferenza assieme a Francia e Gran Bretagna in cui venne confermato in sostanza l’ordine territoriale di Versailles per isolare il revisionismo tedesco.
A1.13
Furono tuttavia due avvenimenti bellici a ridare a Hitler la possibilità di riprendere il suo programma revisionista ed espansionista: la guerra italiana d’Etiopia e la guerra civile spagnola.
Mussolini aveva deciso di riprendere il vecchio progetto coloniale di Crispi, nel quadro di un interventismo destinato a rafforzare il regime e dare maggiori sbocchi  all’Italia.
Il Fascismo aveva trasformato la vittoriosa mobilitazione nazionale della guerra mondiale in una mobilitazione popolare permanente, che conservava i simboli e i valori epici ed eroici diffusi negli eserciti sui campi di battaglia e fra le stesse popolazioni che partecipavano allo sforzo bellico. Ciò che distingueva il Fascismo dai sistemi liberali era proprio il mantenimento di questo carattere di mobilitazione militare, che nelle democrazie liberali era stata in maggiore o minore misura abbandonata.
Nell’ottobre del 1935 Mussolini iniziava la campagna d’Etiopia destinata a concludersi nel maggio del ’36. Ma i governi europei indussero la “Società delle Nazioni” (dalla quale l’Italia uscì per protesta) a colpire l’Italia con sanzioni economiche che ebbero l’effetto di “compattare” la popolazione italiana col Fascismo e di avvicinare la Germania all’Italia. In quella circostanza Hitler rioccupò la regione tedesca della Renania.
A1.14
Nel luglio del 1936 iniziò in Spagna una guerra civile che fu lo sbocco di un conflitto cominciato alcuni anni prima, quando nel 1931 era stata proclamata la repubblica, dopo l’abdicazione di Alfonso XIII di Borbone. In essa si affrontavano le sinistre, costituite da socialisti, comunisti e anarchici, e il movimento fascista della “Falange” alleato con i monarchici e alcuni comandanti dell’esercito, fra cui il generale Franco che aveva dato il via al “pronunciamento” militare contro il governo repubblicano.
Ma alla radice dello scontro erano da una parte la Spagna cattolica e tradizionalista, dall’altra quella anticlericale e riformista o rivoluzionaria. La guerra civile si protrasse fino al 1939 con il trionfo dei “nazionalisti” di Franco e causò un milione di morti. Al conflitto presero parte l’Italia e la Germania dalla parte di Franco, l’URSS dalla parte del governo repubblicano, sempre più egemonizzato dal Partito comunista spagnolo. Invece le democrazie europee si limitarono a svolgere soltanto e invano delle mediazioni diplomatiche.
A1.15
Col profilarsi del successo militare del generale Franco, Hitler, ormai reinserito nel gioco politico internazionale grazie all’assistenza militare tedesca in Spagna, mandò a effetto l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania. Iniziava cioè ad attuare un caposaldo della sua visione politica, la decisione di ereditare la posizione del defunto Impero austro-ungarico. Subito dopo visitò Mussolini a Roma come un alleato.
Hitler aveva esposto in toni profetici nel “Mein Kampf” un programma radicalmente revisionista, che restituendo alla Germania ciò che le era stato predato doveva costituire l’avvio di un nuovo ordine europeo.  L’ordine a cui pensava Hitler avrebbe ruotato attorno alla supremazia razziale tedesca e la Germania avrebbe esteso i suoi confini a oriente, nelle terre slave dei polacchi e dei russi. Era chiaro pertanto che Hitler annunciava una resa dei conti finale con la potenza comunista sovietica. Peraltro, egli considerava la Gran Bretagna come partner ideale della Germania, perché il dominio coloniale inglese confermava il disegno di una supremazia della razza bianca.

A1.16
L’antiebraismo che era specifico dell’ideologia nazista andava perciò a sostenere le tesi della superiorità razziale diffuse fin dalla metà del 1800 nel mondo anglo-sassone e negli USA. Ma il razzismo nazista aveva chiaramente una natura diversa da quello colonialista e imperialista degli anglo-sassoni, perché si rivolgeva contro un “nemico assoluto” esattamente come la rivoluzione bolscevica.
E’ un fatto che Hitler addossasse agli ebrei la sconfitta tedesca e la volontà di “corrompere” la purezza razziale della Germania con gli ideali internazionalisti propri sia del bolscevismo che del mondo finanziario occidentale.
Prima il bolscevismo, successivamente il nazismo erano dunque portatori di un’ideologia basata sulla guerra civile definitiva dell’intera umanità. E’ facile constatare la derivazione del concetto di “nemico”, sostenuto nelle tesi hitleriane, dall’ideologia e dalla prassi del bolscevismo sovietico, in una sorta di contrapposizione di uguali e contrari.
A1.17
Nell’estate 1937 ebbe inizio la guerra cino-giapponese che portò l’esercito nipponico a occupare l’intera parte centro-settentrionale della Cina. Il governo nazionalista cinese di Chiang Kai-shek, con cui ora cooperavano anche le forze comuniste di Mao Zedong, precedentemente nemiche, venne sostenuto militarmente da USA e Gran Bretagna, e dall’Unione Sovietica.
Gli avvenimenti asiatici portarono due conseguenze.
Cominciò a prendere forma una “grande area” di interesse politico mondiale costituita dal triangolo giapponese, italiano e tedesco.
Il presidente americano F.D.Roosvelt (discorso della “quarantena” tenuto a Chicago il 5 ottobre 1937) annunciò il passaggio dall’isolazionismo politico-militare all’interventismo e decise l’avvicinamento economico alla Gran Bretagna. La clausola “cash and carry” alla legge sulla neutralità statunitense è del 1937. Roosvelt era stato eletto nel 1933 con un programma economico “protezionista” (New Deal).
Nell’estate del 1939 un gruppo di fisici emigrati dalla Germania perché ebrei aveva chiesto al governo americano di finanziare la costruzione della “bomba atomica”. La richiesta fu redatta da A.Einstein.
Nel luglio 1939 gli USA ruppero il trattato commerciale col Giappone in vigore dal 1911.
A1.18
L’annessione dell’Austria alla Germania avvenne nel marzo 1938. Seguì la richiesta di annessione dei Sudeti tedeschi che erano assegnati alla Cecoslovacchia. La Gran Bretagna di Baldwin e Chamberlain era orientata all’appeasement e considerò favorevolmente le ragioni di tre milioni di tedeschi.
La mediazione di Mussolini a Monaco, dove si riunirono quattro capi di Stato europei, compì il miracolo di “salvare la pace”. Ma il convegno di Monaco del settembre 1938 che decideva di restituire la regione dei Sudeti alla Germania, implicitamente ammetteva che il Trattato di Versailles era stato ingiusto. Si era aperto dunque un varco, anzi una falla, attraverso cui Hitler ora poteva avanzare altre denunce.
Nel marzo del 1939 Hitler ordinò l’occupazione del territorio cecoslovacco inserendosi nelle tensioni fra cechi e slovacchi. La Boemia diventò un “protettorato” del Reich tedesco e la Slovacchia uno Stato indipendente ma satellite.
Nell’estate del 1939 stipulò un patto militare (“patto d’acciaio”) con l’Italia, ma Mussolini si esonerò da obblighi di intervento militare.
A1.19
La Polonia era uno Stato dalle tinte fortemente nazionaliste, con una legislazione antiebraica non dissimile da quella tedesca, retto da un regime autoritario militare fondato dall’eroe della guerra anticomunista, il generale Pildsuski.
Inoltre la Polonia, che aveva firmato un patto di non aggressione con Hitler nel 1934 in funzione antisovietica, aveva profittato dello smembramento della Cecoslovacchia dopo Monaco per annettersi con un ultimatum la regione di Teschen.
La richiesta tedesca di riavere la città di Danzica e di attraversare con un’autostrada e una ferrovia il “corridoio” polacco, per collegare la Prussia orientale al Reich, venne respinta. Nella richiesta di Hitler c’era anche la proposta di inserire la Polonia in un sistema di Stati gravitanti intorno alla Germania. Il 31 marzo 1939 la Gran Bretagna, abbandonando la politica dell’appeasement, firmò con la Polonia assieme alla Francia una “garanzia” volta a sbarrare la strategia di Hitler.
A1.20
La risposta alla dichiarazione britannica (e francese) a garanzia dell’integrità della Polonia fu il patto di non-aggressione tedesco-sovietico del 23 agosto 1939, che in pratica fu una suddivisione di zone di occupazione e di influenza sull’intera area dell’Europa nord-orientale.
La sfera di interesse tedesca comprendeva la Polonia fino al fiume Vistola e la Lituania (poi occupata dai russi). Quella di interesse sovietico comprendeva la Polonia orientale, la Finlandia l’Estonia e la Lettonia, e infine la Bessarabia romena. E’ significativo che queste due sfere d’influenza costituissero nel loro insieme l’obiettivo di una strategia più vasta per entrambi gli Stati, profilando una futura resa dei conti. 
Per il momento Hitler con la copertura sovietica, il cui scopo era di dissuadere i britannici dall’intervenire in favore dello Stato polacco, poteva spingere le cose al limite.
A sua volta Stalin aveva fatto definitivamente uscire l’URSS da un isolamento quasi ventennale e dalla minaccia permanente di una coalizione delle potenze “capitaliste” contro il suo terrificante e pericoloso esperimento collettivista, e poteva così agire con la copertura del suo “straordinario” alleato. Non solo: ma aveva ottenuto lo scopo di dividere il campo nemico “capitalista” in un prossimo scontro mortale.
A1.21
Il primo settembre 1939 Hitler avanzò in Polonia con una guerra-lampo che portò alla capitolazione polacca il 28 settembre. Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania. Il 17 settembre l’Armata sovietica iniziò ad occupare le regioni della Polonia orientale iniziando la deportazione di un milione e mezzo di polacchi. In questa cornice avvenne anche il massacro di undicimila ufficiali polacchi a Katin.
L’appello “di pace” rivolto da Hitler ai britannici e ai francesi il 6 ottobre per un compromesso che riconoscesse la spartizione della Polonia fra Germania e URSS cadde nel vuoto.
La Germania annesse non solo le regioni ex-tedesche di Prussia occidentale, Posnania e Alta Slesia, ma anche territori polacchi, mentre la parte centrale della Polonia (con Varsavia) fu dichiarata “Governatorato generale”. L’intera classe dirigente polacca venne annientata, ed ebbe inizio la deportazione delle minoranze di origine ebraica in grandi ghetti, intorno a Varsavia e Lodz.
A1.22
Era cioè incominciata una guerra caratterizzata da “idee assolute” in relazione ai propri nemici, sia combattenti sia di natura “ideologica”. La Prima guerra mondiale “totale” aveva determinato una trasformazione spirituale, e ora quella che si annunciava era una guerra d’annientamento, che non avrebbe esitato a ricorrere all’espulsione, alla deportazione in massa, e allo sterminio di popolazioni sia con i sistemi di concentramento che con i bombardamenti aerei delle città.

SEGUIRANNO
A2. LA SECONDA GUERRA MONDIALE
A3.  LA POLITICA MONDIALE DEI DUE BLOCCHI

B.   PARTE ESPOSITIVA

 

B1.  STALIN E IL COMUNISMO SOVIETICO

 

LA URSS ALL’EPOCA DI STALIN

 

Entrato nel Partito operaio socialdemocratico russo,  il giovane Stalin si era schierato con la frazione dell'"Iskra", guidata da Lenin.
Nel 1901 venne eletto membro del comitato socialdemocratico clandestino a Tbilisi e successivamente dirigente dell'intero Caucaso. Arrestato nell'aprile 1902 e deportato in Siberia, fuggì dopo qualche mese. Dopo la rottura del partito tra bolscevichi e menscevichi si schierò con i primi. Durante la rivoluzione del 1905 non ebbe un ruolo importante, ma organizzò rapine ed espropri per raccogliere denaro per il partito. Partecipò ai congressi bolscevichi di Stoccolma (1906) e Londra (1907) e divenne leader del partito a Baku. Più volte arrestato e deportato, riuscì sempre a fuggire. Nel 1912 entrò a far parte del comitato centrale del partito bolscevico e l'anno successivo divenne direttore della "Pravda".
Si recò poi in Austria dove scrisse la sua unica opera di rilievo teorico, Il marxismo e la questione nazionale, a favore dell'autodeterminazione dei popoli oppressi. Tornato in Russia, fu arrestato ed esiliato in Siberia dove rimase fino allo scoppio della rivoluzione nel febbraio 1917. Tra il febbraio e l'ottobre fu nuovamente condirettore della "Pravda" ed ebbe una posizione rilevante nell'organizzazione del VI congresso del partito. Durante l'insurrezione di ottobre non ebbe alcun ruolo militare. Nel primo governo bolscevico ricoprì la carica di commissario alle nazionalità, che tenne per cinque anni. Durante la guerra civile organizzò la difesa di Tsaritsyn e fu commissario politico della cavalleria di Budënnij. Alla fine della guerra civile favorì l'invasione della Georgia. Nel 1919 fu nominato commissario all'Ispettorato operaio e contadino, un organismo di controllo e supervisione della nuova amministrazione statale sovietica. Nel 1922 venne eletto segretario generale del Pcus, una carica organizzativa che permetteva di controllare l'intero apparato del partito e, attraverso di esso, del governo. Durante la malattia di Lenin formò un "triumvirato" con Zinov'ev e Kamenev per contrastare Lev Trockij col quale era già entrato in contrasto durante la guerra civile.

 

 

Trockij era un uomo politico russo. Attivo antizarista fin dall'adolescenza fu deportato in Siberia (1899). Nel 1902 riuscì a fuggire in Inghilterra dove divenne collaboratore della rivista marxista "Iskrà" (La scintilla) diretta da Lenin. Al congresso del Partito socialdemocratico russo a Londra nel 1903 si schierò con i menscevichi. Tornato in Russia nel 1905 partecipò alla rivoluzione presiedendo l'effimero soviet di Pietroburgo e fu nuovamente arrestato e deportato in Siberia, da dove riuscì ancora una volta a fuggire, rifugiandosi prima in Europa occidentale, poi negli Usa. Rimpatriato nel 1917, aderì al Partito bolscevico, svolgendo un ruolo di primo piano nella rivoluzione d'ottobre. Dotato di eccezionali qualità di organizzatore, fu nominato commissario del popolo alla Guerra; creò l'Armata rossa, che sotto la sua guida vinse la guerra civile (1918-1921). Ancor prima della morte di Lenin (1924), entrò in contrasto politico e ideologico con Stalin, contro la cui concezione del socialismo in un solo paese sostenne la teoria della rivoluzione permanente, elaborata tempo addietro e resa pubblica nel 1922 nella sua raccolta di saggi 1905. Progressivamente emarginato, dopo la morte di Lenin (1924) peggiorò la sua posizione con la pubblicazione delle Lezioni d'ottobre, tentativo di analisi della storia del partito che offrì ai suoi avversari un ulteriore motivo per attaccarlo, poiché metteva in discussione la pretesa della trojka (Stalin, Kamenev, Zinov'ev) di essere gli autentici eredi del leader scomparso. Nel 1925 i suoi oppositori lo obbligarono ad abbandonare la carica di commissario del popolo. Nel 1926, dopo il passaggio all'opposizione di Kamenev e Zinov'ev, propose al Comitato centrale una piattaforma alternativa alla linea staliniana. Sconfitto, nel 1927 fu espulso dal partito, nel 1928 confinato ad Alma Ata e nel 1929 esiliato. Dall'estero continuò a difendere il vecchio bolscevismo, sostenendo l'avvenuta degenerazione della rivoluzione nel libro La rivoluzione tradita e creando una Quarta internazionale fieramente antistalinista (1938). Condannato a morte in contumacia ai processi di Mosca (1936), dopo lunghe peregrinazioni si stabilì nel 1937 a Città del Messico dove fu assassinato da agenti di Stalin. Tra il 1925 e il 1927 sconfisse l'opposizione di Trockij cui si erano uniti Zinov'ev e Kamenev, espellendoli dal partito. Nel 1928-1929 fu la volta del gruppo guidato da Bucharin, Tomskij, Rikov.

Stalin nel 1924 espose la teoria del "socialismo in un paese solo" che segnò l'abbandono dell'internazionalismo a favore di un nazionalismo che crebbe negli anni.
Nel 1928 con il primo dei cinque Piani Quinquennali dette il via all'industrializzazione forzata dell'Urss e alla collettivizzazione forzata delle campagne, mezzo scelto dal gruppo dirigente staliniano nel 1929 per risolvere la crisi degli approvvigionamenti cerealicoli sorta negli ultimi anni della Nep. Scopo della collettivizzazione era la creazione di grandi unità produttive nella campagna, al posto della miriade di piccole fattorie contadine, in modo da consentire il controllo diretto dello stato sulla produzione agricola, spezzando la resistenza del mondo rurale alla forsennata politica di industrializzazione forzata dello stalinismo. Preludio alla collettivizzazione furono le "misure straordinarie" imposte da Stalin all'inizio del 1928 per requisire il grano. Il successo ottenuto dalle requisizioni ebbe un ruolo determinante nella decisione, presa nel novembre del 1929 dal Politbjuro, di procedere alla "collettivizzazione totale" delle campagne, che segnò la definitiva sconfitta dell'opposizione di destra (Bucharin).

La collettivizzazione forzata venne messa in atto, per ondate successive, tra il 1930 e il 1934. Feroce guerra condotta dallo stato contro i contadini con l'uso di misure coercitive e repressive, la collettivizzazione ebbe costi spaventosi.
Nel dicembre 1929 Stalin annunciò la liquidazione dei kulaki come classe. Per milioni di contadini (i kulaki, contadini ricchi, erano invece solo una sparuta minoranza) cominciò una spaventosa odissea. Scacciati dalle loro case, privati di tutti gli averi, furono costretti a entrare nelle fattorie collettive (kolchoz) con miserevoli paghe in natura; i più agiati vennero condannati alla deportazione. Stipati nei carri bestiame, molti morirono di fame e di stenti durante il viaggio. Si calcola che i contadini colpiti dal provvedimento siano stati tra i cinque e i dieci milioni, un terzo dei quali trovò subito la morte. Rivolte endemiche scoppiarono nelle campagne (nel solo 1929 ne vennero soffocate con le armi milletrecento). Terrorizzati, i contadini macellavano il bestiame, con grave danno per il patrimonio zootecnico del paese (nel 1940 era pari a quello del 1916, anno di guerra). Interi villaggi venivano abbandonati: per legare alla terra i contadini, alla fine del 1932 venne ristabilito il sistema dei passaporti interni. La conseguenza più spaventosa della collettivizzazione fu la fame che devastò, nell'inverno 1932-1933, le campagne dell'Ucraina, del Caucaso settentrionale, del Kazachistan e di altre regioni. Le vittime della fame furono, secondo stime ancora approssimative, tra i 4 e i 7,7 milioni. Con la collettivizzazione lo stato riuscì a organizzare l'estorsione del grano, ma non la produzione che, anzi, diminuì fino al 1937. Per far fronte alla situazione, il governo fu costretto, nel 1935, a concedere ai contadini piccoli appezzamenti di terra che, nonostante le tecniche primitive di conduzione agraria, contribuirono in modo sostanziale al sostentamento alimentare del paese (nel 1938, pur occupando solo il 3,9 per cento delle aree coltivate, fornivano il 45 per cento della produzione agricola totale). Condotta in nome della modernità, la collettivizzazione finì per riprodurre, in questo modo, l'arcaismo del mondo rurale tradizionale.

LO STATALISMO.
Questo programma fu svolto rafforzando a dismisura l'unico strumento che i bolscevichi avevano a disposizione: lo stato. Il partito, che si diffuse con lo stato, cambiò fisionomia: si trasformò da gruppo dirigente politico in classe di amministratori economici. Si assistette, di conseguenza, a un riorientamento del sistema di valori mascherato da un'apparente continuità ideologica. La dittatura autoritaria dai tratti illuministi tracciata da Lenin, che si proponeva, attraverso adeguate politiche economiche e di educazione, di conquistare il consenso di larghi strati sociali al nuovo regime, diminuendo il divario esistente tra lo stato e la società, cedette il posto a una dittatura autocratica, fondata sull'esaltazione dello stato leviatano e sullo schiacciamento totale della società. Anche se non mancarono elementi di continuità tra Lenin e Stalin, questo cambiamento dei fini del potere rappresentò un momento di rottura di primaria importanza. L'intervento massiccio dello stato in tutti i settori fu favorito dal fatto che la società degli anni venti era debolmente strutturata, poiché la rivoluzione e la guerra civile avevano spazzato via quei nuclei di "società civile" che si erano costituiti negli ultimi decenni dello zarismo. Questo spiega, almeno in parte, le ragioni di una mancata resistenza organizzata al regime staliniano, che mosse una vera e propria guerra a tutti gli strati della società. Gli anni trenta furono anni di spaventosi sconvolgimenti sociali. La collettivizzazione e l'industrializzazione forzata frantumarono violentemente il tessuto sociale preesistente. Vennero distrutte identità collettive secolari, mentre la società si atomizzava. La Russia si popolò di nomadi e vagabondi, contadini e operai fuggiti da villaggi e città alla ricerca di condizioni di vita almeno sopportabili. Per far fronte alla crisi sociale permanente vennero rafforzati a dismisura gli apparati repressivi dello stato. Con il ristabilimento dell'odioso sistema zarista dei passaporti interni e della propiska (permesso di residenza dato dalla polizia), nel 1932 i contadini vennero di nuovo legati alla terra e gli operai alle fabbriche, mentre il paese si riempiva di campi di concentramento. Si allargava in tutto l’immenso territorio siberiano il Gulag. La mobilità sociale altissima provocò un colossale rimescolamento. Interi strati sociali vennero scaraventati dai vertici al fondo della piramide, mentre altri emergevano, prima di essere a loro volta travolti.


UNA SOCIETÁ GERARCHIZZATA.
Il Partito comunista dell'Unione sovietica, partito unico, fu il principale canale di promozione sociale: la fedeltà all'ideologia era la conditio sine qua non per cambiare la propria posizione. Nacque una nuova struttura sociale fortemente gerarchizzata. I contadini, discriminati dalla legislazione, tornarono in pratica alla condizione del servaggio, abolito da Alessandro II nel 1861; gli operai persero tutti i privilegi di cui avevano goduto negli anni venti e vennero posti alla mercé assoluta dei dirigenti industriali, mentre l'allargarsi del ventaglio salariale e la diffusione del cottimo creavano disparità crescenti. L'impegno diretto dello stato nella produzione provocò la crescita a dismisura dell'apparato burocratico. La cristallizzazione del sistema gerarchico portò con sé un ritorno a valori tradizionali (la famiglia, per esempio) destinati a inculcare nelle masse la disciplina, il conformismo e il rispetto per l'autorità. Si costituì una nuova ideologia tesa a recuperare i valori del nazionalismo imperiale russo inserendoli in un contesto dominato dal culto di Stalin. Il disorientamento di interi strati sociali brutalmente sradicati fornì il terreno propizio per la nascita di una sorta di religione statale con i suoi nuovi riti (parate-processioni, idolatria dei capi e delle loro immagini, uso di vocaboli di origine religiosa) che si nutrì, trasfigurandole, delle antiche credenze del mondo contadino: il culto di Stalin, dio-padre-padrone onnipotente, fu accompagnato dalla caccia spietata ai "nemici del popolo", moderna versione della demonologia rurale intrisa di paganesimo, che attribuiva alle "oscure forze del male" la responsabilità di tutte le disgrazie. Nel paese regnava un arbitrio totale.


LO STATO DI POLIZIA.
La potente polizia segreta (Nkvd), sottoposta direttamente a Stalin, aveva diritto di vita e di morte sugli abitanti del paese dei soviet. Dopo l'assassinio, probabilmente ordito da Stalin alla fine del 1934, di Kirov, prestigioso dirigente del partito di Leningrado e rappresentante della nuova tecnocrazia che si era creata durante il primo piano quinquennale, la macchina repressiva si volse contro le elite politiche. Iniziava il grande Terrore. Tra il 1936 e il 1938, nei processi di Mosca, venne sterminata la vecchia guardia bolscevica; sotto la scure della polizia politica cadde anche l'Armata rossa, che fu gravemente scompaginata dalle purghe, come dimostrò la facilità dell'avanzata nazista al momento dell'aggressione nel 1941. Alla fine degli anni trenta Stalin era ormai padrone assoluto del paese. Capriccioso despota autocratico, fece distruggere anche lo stesso gruppo dirigente a lui fedele che aveva patrocinato la "grande svolta". Si riprodusse un modello di potere che aveva le sue origini nella Russia antica e che istituzionalizzava la nuova struttura gerarchica della società: l'autocrate creava una elite dirigente priva di una legittimazione autonoma (funzionale o legata alla proprietà) e quindi alle sue assolute dipendenze; questa disponeva, in cambio, dello stesso potere assoluto nei confronti dei suoi sottoposti. Solo con la destalinizzazione degli anni cinquanta e l'istituzionalizzazione dei meccanismi del potere, le nuove elite acquistarono una legittimità propria. Dopo la vittoria contro il nazismo il regime staliniano conobbe un ulteriore inasprimento.
Già sul finire del conflitto intere popolazioni, accusate di collaborazionismo, erano state deportate.

Il Gulag era la direzione centrale statale dei campi di lavoro dell'Urss. Universo concentrazionario sovietico, vero e proprio "stato nello stato" sotto il diretto controllo della polizia segreta (Nkvd) assunse, durante lo stalinismo, dimensioni enormi. I primi campi (lager) di rieducazione e lavoro furono creati nel 1918; nel 1923, nelle isole di Solovki, venne organizzato il primo campo per prigionieri politici, dove vennero internati ufficiali bianchi, esponenti dell'intelligencija e rappresentanti dei partiti prerivoluzionari. Alla fine degli anni venti, con lo scatenarsi delle repressioni staliniane, il Gulag crebbe a dismisura: tra il 1928 e il 1940 esistevano almeno 162 lager, in cui vennero internati, secondo stime approssimative, tra i 10 e i 20 milioni di prigionieri, di cui molti perirono per via delle drammatiche condizioni di vita e di lavoro. Il Gulag permise lo sfruttamento sistematico della manodopera coatta per l'' industrializzazione forzata. Alcune delle maggiori opere di quegli anni vennero realizzate con l'uso del lavoro forzato dei detenuti (canale del mar Bianco, Mosca-Volga; valorizzazione dei giacimenti auriferi della Kolyma; costruzione di ferrovie, strade ed edifici, come l'università di Mosca). La Nkvd aveva fabbriche e persino laboratori di ricerca, dove furono messi a lavorare ingegneri e specialisti arrestati tra il 1928 e il 1931 (A.N. Tupolev, padre dell'aeronautica sovietica, vi disegnò i suoi primi aerei). 

La Grande Purga
Fra il 1936 e il-1939 una spietata repressione di massa che colpì l'Urss nella seconda metà degli anni trenta, ispirata da Stalin e attuata dalla polizia politica. Il predominio politico che Stalin si era costruito negli anni venti consisteva in un primato nell'ambito di una direzione collegiale. Dopo alcuni anni di sanguinose epurazioni il dittatore georgiano emerse come padrone assoluto dello stato e arbitro delle sue leggi, riducendo a mere funzioni celebrative l'apparato di governo e di partito. L'assassinio di Kirov (dicembre 1934), atto d'inizio del Terrore, permise di ampliare i poteri della polizia politica (Nkvd) e di varare una legislazione d'emergenza che fu il supporto dei grandi processi pubblici contro i vecchi capi bolscevichi. A partire dal 1936 organizzò le grandi epurazioni attraverso cui eliminò completamente la vecchia guardia bolscevica. Era un’applicazione della lotta di classe all'interno del Partito comunista teorizzata da Stalin. In Urss portarono all'espulsione di centinaia di migliaia di militanti comunisti e spesso furono l'anticamera della loro eliminazione fisica. Dette sempre maggiori poteri alla polizia politica, creando un sistema dittatoriale e imprigionando milioni di persone nel Gulag.
La repressione non risparmiò alcun settore della vita del paese, precipitando la società sovietica in un'atmosfera di delazione e paura. Milioni di persone e intere popolazioni furono deportate, incalcolabile fu il numero delle vittime di questo olocausto sovietico. Nel 1939 Stalin dichiarò conclusa la grande purga.

La Guerra fredda.
Nel 1946, con l'imposizione del realismo socialista legata al nome di Zdanov, una nuova ondata repressiva si abbatté sul mondo culturale e sulla burocrazia statale, mentre prendeva l'avvio una persecuzione degli ebrei. Solo la morte del tiranno (1953) impedì lo scatenarsi di un nuovo terrore. Nel dopoguerra, con la spartizione del mondo in sfere d'influenza, lo stalinismo fu imposto anche nei paesi dell'Europa orientale. I risultati dello stalinismo furono paradossali. La modernizzazione del paese fece dell'Urss la seconda potenza mondiale ma gli squilibri strutturali dell'economia (dominio dell'industria pesante, stagnazione dell'agricoltura) ne condannarono lo sviluppo successivo; il perdurare di forme arcaiche di produzione, fondate sull'uso del lavoro coatto (il Gulag, le aziende statali in agricoltura), impedirono il costituirsi di una moderna cultura del lavoro basata sulla valorizzazione della qualità e della produttività. Il dominio del terrore rese la società apatica, distruggendo ogni spirito imprenditoriale; l'acculturazione di massa, avvenuta in condizioni di mancanza totale di libertà, danneggiò gravemente il potenziale intellettuale del paese; le repressioni indiscriminate impedirono il costituirsi di una società articolata, capace di limitare lo strapotere dello stato.


 

B2 – L’ITALIA E L’EREDITA’ DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

 

Effetti del conflitto: non furono solo le carneficine, la distruzione di vite umane, lo sconvolgimento dei confini degli Stati.

  • La guerra fu la più grande esperienza di massa: 65 milioni di combattenti strappati alle proprie occupazioni.
  • Fu un acceleratore di fenomeni sociali e suscitò la convinzione della palingenesi.
  • Erano avvenuti mutamenti nel mondo del lavoro: erano subentrate le donne; le necessità dell’industria spostavano dalle campagne in città nuovi strati di lavoratori non qualificati; la conversione verso processi di pace induceva a pensare a organizzazioni diverse del lavoro.
  • Trasformazioni nella mentalità, nelle abitudini, nei costumi.

Con urgenza si pose il problema dei reduci e del loro reinserimento.

  • I soldati tornati dal fronte avevano preso coscienza di essere titolari di diritti, di aver maturato crediti: la terra a chi la lavora!
  • nasce il tipo sociale del “reduce di guerra”, nasce la mentalità “del combattente” fatto di fierezza, di attaccamento alla memoria dei morti, di cameratismo e di istintiva ostilità per la politica e i partiti.
  • Sorgono le associazioni di ex combattenti.

Il reinserimento dei reduci nel mondo del lavoro è difficile: chi aveva svolto funzioni di comando mal si adattava al lavoro subordinato. Gli ex combattenti si raggruppano in cooperative di lavoro  che diventano veri e propri gruppi di pressione.

Altro aspetto importante: la massificazione della politica:

  • la guerra aveva dimostrato l’importanza del principio di organizzazione applicato alle masse.
  • Per questo si accentua la nascita di partiti (PPI, PCI, PNF)  e sindacati (CGdL) (CIL con Achille Grandi e Giovanni Gronchi), (UIL con Alceste de Ambris) con apparati organizzativi molto complessi e  centralizzati.
  • Acquistano spessore le manifestazioni pubbliche (comizi, dimostrazioni) basate sulla partecipazione diretta del popolo.
  • In Umbria un’inchiesta evidenziò che al 1.1.1920 le leghe erano aumentate del 535% rispetto all’anteguerra.

Aspirazioni a un “ordine nuovo” erano comuni alla maggioranza degli Europei.

  • Quello russo? Lo auspicava Gramsci ed il suo gruppo di “Ordine Nuovo”
  • Un generico desiderio di pace e di giustizia sociale, una società più equa e più democratica. Molti lo auspicavano tra cattolici e liberali.

 

Conseguenze economiche:

  • tranne gli Usa, tutti gli stati belligeranti uscirono dal conflitto in condizioni di grave dissesto economico. La guerra aveva divorato molte risorse: in Italia ad es. pari al doppio del Pil dell’ultimo anno di pace.
  • Per far fronte all’emergenza si ricorse ad aumenti di tasse, a prestiti, sottoscrizioni, a debiti con Paesi amici (soprattutto con gli Usa).
  • Si sopperisce alla crisi stampando carta moneta: che porta inflazione, un fenomeno quasi sconosciuto agli inizi del ‘900.  Crescita dei prezzi in Italia di due volte e mezzo.
  • A fianco di alcuni che avevano fatto colossali guadagni (detti pescecani) c’erano strati sociali massacrati dall’inflazione (proprietari terrieri e possessori di immobili che riscuotevano canoni di affitto del tutto svalutati). L’inflazione erode i risparmi dei ceti medi, la crisi colpisce chi aveva un reddito fisso.
  • L’Europa perdeva la tradizionale supremazia commerciale favorendo l’avanzata di Usa e Giappone. Alcuni Paesi per salvarsi dalla crisi adottano la politica di protezionismo doganale (nazionalismo economico) contro la piena libertà degli scambi auspicata dal programma Wilson.
  • Restano in vita molti apparati burocratici: ministeri, sottosegretariati, commissariati destinati al controllo dei prezzi, alle pensioni di guerra, alla tutela del lavoro. Si rafforza la tendenza dei pubblici poteri.
  • Sostanzialmente l’economia europea, grazie al sostegno degli Stati (dazi, facilitazioni creditizie, nuove commesse…)in un primo tempo, sino alla fine del 1920, riuscì ad incrementare i livelli produttivi. Seguì poi la fase depressiva con gravi problemi di disoccupazione.

Il Biennio Rosso

In Italia, il movimento operaio negli anni 1919-20 fu protagonista di una impetuosa avanzata politica:

  • grande ventata rivoluzionaria,
  • ondata di agitazioni che consentì migliori livelli retributivi, riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore a parità di salario.
  • Fare come in Russia! Fu la parola d’ordine: ovunque (specialmente a Torino) si formarono i consigli operai che, sull’esempio dei Soviet russi si proponevano di rappresentare il proletariato.

In Francia e Inghilterra le classi dirigenti riuscirono a contenere le pressioni del mondo operaio.
In Germania, Austria e Ungheria si ebbero veri e propri tentativi rivoluzionari.
In Russia la rivoluzione d’ottobre da un lato aveva creato un grande entusiasmo tra le avanguardie rivoluzionarie di Europa; dall’altro aveva accentuato la frattura fra le avanguardie e il mondo operaio , legato ai partiti socialdemocratici e ai grandi sindacati. Tale contrasto fu sancito dalla Internazionale Comunista (III Internazionale) e con la fondazione in tutta Europa di partiti ispirati al modello bolscevico.

In Italia

  • L’economia presenta i tratti della crisi postbellica. Da un’economia  prevalentemente basata sul settore agricolo si passa ad una economia in cui il settore industriale e dei servizi si avviano ad essere predominanti.
  • L’Italia non conosce lo slancio industriale della Francia, in più l’Italia vive il forte squilibrio tra nord e sud della penisola.
  • La classe operaia reclama più potere in fabbrica, i contadini reclamano la “promessa della terra”, i ceti medi tendono a organizzarsi e mobilitarsi più che in passato.
  • La classe politica liberale che aveva presieduto alla guerra si trovò percorsa da fratture, isolata e contestata e non in grado di contrastare i fenomeni di mobilitazione di massa: finì  col perdere l’egemonia.

 

I Partiti

  • I partiti nuovi furono quello cattolico (PPI) e socialista (PSI) (in seguito quello fascista) che erano estranei alla tradizione dello Stato liberale.
  • Situazione nuova: la lotta sarà tra i partiti, tra i programmi e non tra gli uomini come nell’era giolittiana.
  • Il partito nuovo PPI:        primo segretario è Don Luigi Sturzo, programma di impostazione democratica (Ai liberi e forti!) ispirato alla dottrina cattolica ma laico e aconfessionale. Nasceva per porre un freno alla minaccia socialista. Nelle file del partito erano confluiti: eredi della DC, i capi delle leghe bianche, esponenti delle correnti clericali moderate. La nascita del PPI rappresenta una svolta positiva per la democrazia, la fine di una anomalia dopo la presa di Roma da parte dello Stato italiano. Altri punti caratterizzanti il programma: difesa della piccola e media proprietà contadina; autonomie locali; regioni e decentramento.

 

  • Altra grande novità il PSI. Crescita impetuosa tra il ’19 e il ‘20. Il PSI aveva all’interno varie correnti: prevalente quella di sinistra, detta massimalista che aveva come leader Giacinto Menotti Serrati e che aveva come obiettivo l’instaurazione della repubblica socialista: entusiasti della rivoluzione bolscevica.  In polemica erano i gruppi di estrema sinistra:  composti per lo più da giovani che si battevano per un coerente impegno rivoluzionario e più convinta adesione al comunismo russo. Tra questi gruppi c’era quello napoletano che faceva capo a Bordiga e quello torinese legato alla rivista “Ordine nuovo” guidato da Gramsci, Togliatti, Terracini, tutti affascinati dall’esperienza dei Soviet visti come strumenti di lotta contro la borghesia.

Finita la guerra il PSI era schierato su posizioni apertamente rivoluzionarie ma così: si precludeva un rapporto di collaborazione con le forze democratico-borghesi, spaventate dall’idea della dittatura proletaria; si feriva il patriottismo della borghesia; si fornivano argomenti all’oltranzismo nazionalista che difendeva i valori della vittoria.

  • Fasci di combattimento. Fondato a Milano da Benito Mussolini il 23 marzo 1919.  Politicamente schierato a sinistra all’inizio, chiedeva audaci riforme sociali: repubblica, suffragio universale. Ostentava acceso nazionalismo. Era ferocemente avverso ai socialisti. All’inizio il partito fascista raccolse adesioni eterogenee tra ex repubblicani, ex sindacalisti rivoluzionari, reduci di guerra. Evidenzia subito il carattere politico aggressivo : i fascisti furono infatti protagonisti del primo episodio di guerra civile dell’Italia postbellica, lo scontro con un corteo socialista avvenuto a Milano il 15 aprile 1919 culminato con l’incendio alla sede dell’”Avanti”. Segno del clima di intolleranza e violenza.

 

La “vittoria mutilata” e l’impresa di Fiume
L’Italia era uscita rafforzata dalla guerra: aveva raggiunto i “sospirati confini territoriali”.
Alla Conferenza di Versailles la delegazione italiana alla guida del Presidente Orlando e del Ministro degli Esteri Sonnino manifestò un atteggiamento ambiguo nel dover decidere se rimanere ancorata ai canoni delle vecchie diplomazie e pretendere il rispetto del Patto di Londra oppure (perseguendo l’amicizia con la Jugoslavia) rinunciare ai vantaggi territoriali in Dalmazia secondo la “politica della nazionalità”.
Orlando e Sonnino chiesero, oltre a quanto previsto nel Patto di Londra, l’annessione di Fiume. Si oppose Wilson che scavalca la delegazione inviando un messaggio al popolo italiano. La delegazione abbandona Versailles e al ritorno in Italia è accolta da manifestazioni patriottiche. Dopo un mese la delegazione è di nuovo a Parigi senza ottenere alcun risultato. Questo insuccesso segna la fine del Governo Orlando (dimissioni giugno ’19). Nuovo governo presieduto da Nitti. L’opinione pubblica mostra risentimento verso gli alleati. Gabriele D’Annunzio parla di “vittoria mutilata” per dire che gli alleati avevano defraudato l’Italia dei frutti della vittoria. La manifestazione più clamorosa: settembre 1919 alcuni reparti militari sotto la guida di D’Annunzio occupano Fiume. Proclamazione della repubblica del Carnaro. In 15 mesi l’occupazione rende possibile l’annessione di Fiume all’Italia. (esperienza politica in cui per la prima volta sono sperimentate nuove formule come i rituali collettivi (adunate coreografiche con dialoghi tra leader e la folla) che avranno largo seguito nel decennio successivo.

Le agitazioni sociali e le elezioni del 1919

  • Fra il 1919 e il 1920 fase di convulse agitazioni sociali e mutamenti degli equilibri politici.
  • I prezzi continuano ad aumentare con conseguenti tumulti contro il caro viveri. L’aumento del costo della vita determinò una rincorsa fra salari e prezzi.
  • Aumentano gli scioperi e il numero dei lavoratori coinvolti (scioperi coinvolgono per la prima volta anche il settore dei servizi pubblici). “Scioperomania”.

In Bassa Padania, dove prevaleva il bracciantato c’erano le leghe rosse (di ispirazione socialista, puntavano alla socializzazione della terra) e leghe bianche (di ispirazione cattolica, puntavano ad una migliore compartecipazione e sviluppo della piccola proprietà contadina). Pur lottando il più delle volte per analoghi obiettivi, si differenziano nell’obiettivo generale e di lungo periodo. Ne scaturivano lotte frammentarie che dimostravano la scarsa capacità di collegamento a livello nazionale.

  • Elezioni politiche del novembre 1919 sotto il governo Nitti sono precedute dall’adozione della legge elettorale col metodo proporzionale: favoriva i gruppi organizzati su base nazionale; esito disastroso per la vecchia classe dirigente liberale che perde circa 100 seggi (da 300 a 200), il PSI diventa il primo partito con il 32% e 156 seggi, il PPI il 20 % e 100 seggi. Si tratta di un risultato rivoluzionario (la cronaca del periodo è piena di violenze commesse da socialisti verso le sedi del PPI e di continui incidenti tra PSI e PPI) (il pericolo bolscevico è contrastato dal Ppi nei primi due anni) (al congresso di ottobre 1919 del PSI la mozione massimalista della conquista violenta del potere raccoglie i ¾ dei voti).
  • La frammentazione del sistema proporzionale non favorisce la formazione di una maggioranza omogenea e stabile. I socilaisti rifiutano la collaborazione coi borghesi: l’unica maggioranza possibile è quella tra popolari e liberali, ma molto precaria. Per cui altri Governi Nitti: il secondo nel marzo 1920, il terzo nel maggio 1920. Indebolito dall’esito elettorale il Governo Nitti sopravvisse fino al giugno 1920.

 

  • A costituire il nuovo governo fu chiamato l’80enne Giovanni Giolitti. Importante il discorso di Dronero (Piemonte): annuncia un programma avanzato: la nominatività dei titoli azionari (obbligo di intestare le azioni al nome del possessore per permetterne la tassazione) e un’imposta straordinaria sui “sovraprofitti” dell’industria bellica.
  • Giolitti fu chiamato soprattutto nella speranza che riuscisse a domare i socialisti.
  • I risultati migliori Giolitti li ottenne in politica estera: trattato di Rapallo (12 nov. 1920) firmato con la Jugoslavia: l’Italia conserva Trieste, Gorizia, e l’Istria, tranne Fiume dichiarata città libera. La Jugoslavia ebbe la Dalmazia, tranne Zara assegnata all’Italia. A Fiume, D’Annunzio annunciò la resistenza a oltranza ma quando il 25 dicembre 1920 le truppe regolari attaccarono la città, D’Annunzio abbandona.
  • In politica interna ci sono difficoltà: il governo non riesce a far approvare i disegni di cui sopra; opta per la liberalizzazione del prezzo del pane, ma crea scontento; non riesce a ridimensionare la spinta del movimento operaio, dei socialisti e dei popolari. I conflitti sociali culminano con l’agitazione dei metalmeccanici, sfociati nell’occupazione delle fabbriche: l’esaltazione derivante dall’esperienza russa dei Consigli di fabbrica crea allarmismo tra gli industriali che temono l’imminente crisi produttiva.  Si schierano due fronti opposti: chi vuole realizzare la rivoluzione comunista e chi voleva difendere a tutti i costi la propria azienda.
  • Di grande rilievo l’occupazione delle fabbriche: dopo il congresso Fiom (maggio 1920) il sindacato iniziò a fare richieste economiche e normative (aumenti salariali del 4%, maggiorazioni per lavoro straordinario e notturno, ferie pagate di 12 giorni, adeguamento dell’indennità di licenziamento, controllo operaio sindacale delle aziende): gli industriali opposero un netto rifiuto. Alla fine di agosto 1920, in risposta alla chiusura degli stabilimenti dell’Alfa (azienda metallurgica milanese), la Fiom ordinò di occupare le fabbriche: in quasi tutte le fabbriche furono issate bandiere rosse con servizi armati di vigilanza. Parecchi lavoratori vissero questa esperienza come l’inizio di un moto rivoluzionario. In realtà il movimento, pur desideroso di spostarsi su un piano politico, non fu in gradi di uscire dalle fabbriche. Nemmeno i giovani di “Ordine Nuovo” (Gramsci) sapevano sul modo di come spostare il movimento dal terreno della vertenza sindacale a quello dell’attacco allo Stato.
  • Chi doveva prendere l’iniziativa: il partito o il sindacato? Questo era il dilemma del mondo socialista: prevalse la linea della CGL che proponeva il controllo operaio sindacale delle aziende. Ma prevalse anche la linea mediatrice di Giolitti, attento ad una linea di rigorosa neutralità: resistette alla richiesta degli industriali di intervento armato. L’occupazione si concluse come volle Giolitti: con la costituzione di una Commissione paritetica per l’elaborazione del progetto di legge per il controllo operaio nelle aziende.
  • Sul piano sindacale gli operaio apparivano i vincitori; sul piano politico furono delusi rispetto alle attese, anche perché gli industriali prima promettono di concedere il controllo operaio, poi si ritirano coltivando ambizioni di rivincita.
  • l’occupazione lasciò nel movimento operaio molte recriminazioni e polemiche: i dirigenti riformisti della Cgl erano accusati di aver svenduto la rivoluzione in cambio di accordi sindacali. La direzione massimalista del Psi era attaccata dalla sinistra ordinovista per il comportamento incerto. Tali polemiche si intrecciavano con le fratture provocate dal II Congresso del Comintern o Terza Internazionale (dove erano state fissate le condizioni per l’ammissione dei partiti operai all’Internazionale Comunista). I punti più controversi furono due:

L’ingiunzione ai partiti aderenti ad assumere la denominazione di “Partito Comunista”
L’espulsione degli elementi “riformisti e centristi”
I massimalisti rifiutarono di accettare tali ingiunzioni perché le ritenevano lesive dell’autonomia del partito e perché sapevano che espellendo i riformisti il Psi si sarebbe indebolito.
Al Congresso di Livorno del Psi (gennaio 1921) i riformisti non furono espulsi ma anzi fu una minoranza di sinistra ad abbandonare il Psi per fondare il PCI partito comunista d’Italia.

  • Va anche ricordata la netta affermazione socialista alle aministrative dell’ottobre 1920. Su 8327 comuni i socialisti ebbero la maggioranza in 2166 comuni, i popolari in 1650.

Il fascismo agrario e le elezioni del 1921

  • Dopo anni di lotte, la classe operaia accuso i colpi della crisi recessiva: aumenta la disoccupazione, perdita del potere contrattuale, senso di stanchezza per le lotte operaie.
  • Il fascismo fino all’autunno del 1920 ha un ruolo marginale: nell’elezioni del 1919 non ottiene alcun seggio. Ma tra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 il movimento crea strutture paramilitari, le squadre d’azione, che lottano prevalentemente contro i socialisti. Le leghe rosse e le cooperative rosse controllavano il mercato del lavoro e nella lotta avevano consolidato non pochi aspetti autoritari.
  • Le cose cambiano quando l’offensiva fascista si fa largo nell’edificio delle organizzazioni rosse. Atto di nascita del fascismo agrario è individuato nei fatti del Palazzo d’Accursio (Bologna 21 novembre 1920) dove i fascisti si mobilitarono per impedire la cerimonia d’insediamento della nuova amministrazione socialista. Scontri e sparatorie. Per errore i socialisti spararono tra la folla provocando una decina di morti: ritorsioni pesantissime dei fascisti.
  • Le file fasciste si arricchirono di numerosi sostenitori. I proprietari terrieri scoprirono che i Fasci erano lo strumento migliore per combattere il potere delle leghe rosse. In breve tempo lo squadrismo dilagò in tutta la Pianura Padana, estendendosi nelle campagne umbre e toscane. Quasi assente nel Sud (a parte la Puglia). Obiettivi degli squadristi erano comuni ovunque:
  • Municipi
  • Camere del lavoro
  • Case del popolo
  • Dirigenti socialisti, anche dirigenti cattolici.

Tutto ciò veniva sistematicamente distrutto e violentato.
Il successo travolgente dell’offensiva squadrista è dovuto a:

  • Errori dei socialisti
  • Impunità per il sostegno della classe dirigente, degli apparati statali
  • La forza pubblica nelle lotte contro i rossi non si oppose quasi mai agli squadristi
  • Sostegno della magistratura
  • Pesanti responsabilità del Governo.
  • Giolitti guardò al fenomeno con qualche compiacenza pensando di servirsene per ri  durre le pretese socialiste, pensando addirittura di “costituzionalizzarlo” in seguito.

 

      Elezioni del 15 maggio 1921.
Le elezioni furono volute da Giolitti contro il parere di Filippo Meda (al Tesoro, guidava la delegazione del PPI), dopo aver influenzato il Re. La campagna fu condotta da Giolitti e Corradini (Sottosegretario agli Interni) contro i socialisti e contro i popolari, che non avevano accettato di far parte dei blocchi
Favoriscono l’ingresso dei fascisti nei “blocchi nazionali” (liste di coalizione in cui esponenti di vari gruppi, conservatori-liberali-democratici, si unirono per impedire una nuova affermazione dei partiti di massa.)
I Fascisti così ottengono una legittimazione da parte della classe dirigente ma pochi seggi (35); I socialisti scendono dal 32% al 25% (122 seggi), i comunisti 5% (16 seggi), i Popolari consolidano il loro gruppo da 100 a 107 seggi, i Liberal-democratici migliorano le loro posizioni (275 seggi) ma non tanto da avere il controllo del Parlamento.
La più grande novità fu l’ingresso dei 35 deputati fascisti capeggiati da Mussolini.

        Crisi dello Stato liberale

  • L’esito delle elezioni del maggio ’21 mette fine al governo Giolitti. Egli non accettò il reincarico perché sapeva che i popolari non gli avrebbero concesso i pieni poteri da lui richiesti per la riforma burocratica. Dopo il rifiuto di De Nicola, Presidente della Camera, gli succede l’ex socialista Bonomi che forma un ministero ancora con l’appoggio dei Popolari.
  • La questione più scottante era l’ordine pubblico: nel giro di pochi mesi le forze fasciste erano triplicate: dal 31 marzo al 31 maggio sezioni fasciste da 317 a 1001, aderenti da 80.476 a 187.098. Negli scontri tra fascisti e socialisti tra il 1 gennaio 1921 e il 7 aprile 1921 ci sono 102 morti e 388 feriti, dal 16 al 31 maggio 71 morti e 216 feriti.
  • Nell’agosto del ’21 firma del patto di pacificazione tra socialisti e fascisti (generico impegno alla rinuncia della violenza e a sciogliere le rispettive squadre d’azione).  Dura lo spazio di un mattino.
  • Il patto non era condiviso dai fascisti più intransigenti, i ras (nome ricalcato dai signori feudali etiopici). Ma Mussolini riesce a ricomporre la frattura al congresso dei Fasci a Roma (nov ’21): i Ras (Grandi a Bologna, Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara) riconobbero la leadership di Mussolini e la trasformazione del movimento in Partito. Nasce il Partito Nazionale Fascista. (200.000 iscritti).

 

  • Mentre il fascismo acquistava forza e compattezza il governo Bonomi si indeboliva, anche perché il gruppo di Giolitti non gli dava un appoggio entusiastico.
  • Si sommano problemi di ordine economico (falimento banca Italiana di Sconto) con quelli di ordine pubblico. Si incrociano il veto di Sturzo a Giolitti con la sfiducia giolittiana a Bonomi.
  • Lunga crisi del febbraio 1922. Prima incarico a De Nicola (i giolittiani non approvano un ddl sugli escomi delle scuole private), poi a Orlando (voleva fiducia cieca per formare un gabinetto con partecipazione dei fascisti), poi a Bonomi (presentatosi alle Camere non ottiene la fiducia), poi a Giolitti (veto di Sturzo e dei popolari; Giolitti allora chiede a De Nicola e Orlando di formare insieme un Ministero, ma rifiutano); un secondo tentativo di De Nicola- Orlando fallisce per il rifiuto di Facta di partecipare al Governo; poi Meda non accetta (con disappunto di Sturzo). Infine la guida del governo è affidata a Luigi Facta (Sturzo esprime parere sfavorevole, ma il gruppo popolare decide di appoggiarlo).
  • Facta è un giolittiano dalla personalità sbiadita : l’agonia dello Stato Liberale entra nella fase culminante. La scarsa autorità del governo favorisce il dilagare della violenza squadrista.
  • Alle violenze fasciste i socialisti non oppongono risposte efficaci né sul piano della tattica parlamentare, né su quello della mobilitazione. Inutile la decisione del gruppo parlamentare, a luglio, di ribellarsi alla linea intransigente della direzione, dichiarando la disponibilità ad appoggiare un governo di coalizione democratica. Anzi, il 1 agosto ’22 il sindacato proclama uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali, che di fatto fallisce.
  • I Fascisti colgono questo pretesto per atteggiarsi a custodi dell’ordine e lanciare nuove offensive contro gli operai e i socialisti. La lotta si protrasse per una settimana in cui le camicie nere si scatenarono contro sezioni, circoli e organizzazioni sindacali.
  • Il movimento operaio esce dalla prova moralmente e materialmente distrutto. Ottobre ’22 in un congresso a Roma i riformisti guidati da Turati abbandonano il Psi e fondano il Partito Socialista Unitario.

 

 

B3.    IL FASCISMO

La marcia su Roma
Avuto il controllo della piazza e sbaragliato il movimento operaio, il fascismo si pone il problema della conquista dello Stato. Mussolini giocò su due tavoli:

  • Fa trattative con i più autorevoli esponenti liberali per una partecipazione fascista al governo; rassicura la monarchia sconfessando simpatie repubblicane; si guadagna il favore degli industriali promettendo spazio all’iniziativa privata
  • Lascia che l’apparato militare fascista si preparasse alla presa del potere con un colpo di Stato.

Prende vita così il progetto della Marcia su Roma: mobilitazione generale di tutte le forze fasciste con l’obiettivo della conquista del potere centrale. Inizia il 27 ottobre.

  • La marcia non avrebbe avuto possibilità di successo se avesse incontrato la ferma opposizione delle autorità
  • Le squadre fasciste non erano in grado di affrontare uno scontro con l’esercito regolare
  • Lo stesso Mussolini considerava la marcia una forma di pressione

La Marcia su Roma colpisce lo Stato nel pieno disfacimento dei suoi poteri:

  • Facta si dimette il 28 ottobre;
  • il Re il 28 ottobre rifiuta di firmare lo stato d’assedio e il passaggio dei poteri alle autorità militari. Il rifiuto del re è la vittoria delle camicie nere.
  • Mussolini non si accontenta più di far parte del governo: lo vuole presiedere.
  • 30 ottobre senza incontrare resistenza è ricevuto dal Re. La sera stessa è già pronto il Gabinetto cui partecipano, oltre ai fascisti, anche liberali giolittiani, liberali di destra, democratici e popolari.

La crisi è risolta in modo ambiguo. Era una rivoluzione o no?

  • I moderati si rallegravano che la legalità costituzionale era stata rispettata;
  •  i rivoluzionari (massimalisti e comunisti) erano soddisfatti perchè nulla era cambiato, cioè perchè il governo borghese era sempre espressione della dittatura di quella classe e pensavano così di organizzarsi per fare la rivoluzione.
  • Il Paese seguì con misto di rassegnazione e speranza con il desiderio di fare l’esperimento.

Il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale.

Verso lo Stato autoritario

Assunta la guida del governo, Mussolini cerca subito di alternare una linea morbida (promesse di normalizzazione moderata) ed una linea più dura (minacce di una seconda ondata rivoluzionaria).
Usa il tono ricattatorio al momento della fiducia (fa riferimento all’ “aula sorda e grigia”)

Due provvedimenti evidenziano l’incompatibilità con i principi dello Stato liberale:
- Dicembre ’22 viene istituito il Gran Consiglio del Fascismo con il compito di indicare le linee della politica fascista e di servire da raccordo tra partito e governo.
- Viene anche istituita la Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale (gennaio ’23), corpo armato di partito per proteggere gli sviluppi della rivoluzione: dà uno sbocco agli squadristi.
Infatti non cessano le violenze illegali contro gli oppositori anzi si sommano con la repressione legale condotta dalla Magistratura, dagli organi di polizia (sequestro di giornali, scioglimento di amministrazioni comunali, arresti preventivi di militanti). Le vittime sono soprattutto comunisti, i sindacati non fascisti perdono progressivamente consistenza, i salari si riducono, gli scioperi sono sospesi.

La politica liberista veicolata dal Ministro delle Finanze De Stefani si basa su:

  • Compressione salariale
  • Libertà d’azione e margini di profitto all’industria privata
  • Alleggerimento delle tasse alle imprese
  • Abolito il monopolio delle assicurazioni sulla vita
  • Privatizzazione del servizio telefonico
  • Contenimento della spesa pubblica
  • Grazie a questa dura politica finanziaria il bilancio torna in pareggio e aumenta temporaneamente la produzione.

Un altro sostegno a Mussolini proviene dalla Chiesa cattolica:

  • Pio XI eletto nel febbraio 1922 appoggia la politica mussoliniana.
  • Vi sono tendenze conservatrici, paghe che si sia allontanato il pericolo comunista e che si sia restaurato il principio di autorità.
  • Mussolini abbandona per ora l’anticlericalismo del primo periodo mentre favorisce :

la grande riforma scolastica che è varata nel ’23 dall’allora ministro dell’istruzione, il filosofo Giovanni Gentile:  prevede l’istituzione dei Licei, gli esami di stato al termine di ogni ciclo di studi, l’insegnamento della religione alle elementari.

  • La prima vittima dell’avvicinamento tra Chiesa e Fascisti è il PPI: Don Sturzo è costretto a dimettersi dopo il Congresso di Torino (1923), poi nel 1924 va in esilio.

Mussolini ha il problema di rafforzare la propria maggioranza parlamentare facendo crescere il fascismo.

  • L’ottiene con la nuova legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo, luglio 1923) che dava i 2/3 dei seggi alla lista maggioritaria (con almeno il 25% dei voti), il resto era suddiviso con il metodo proporzionale tra le altre liste.
  • Alle elezioni del aprile 1924 alcuni liberali come Salandra e Orlando si presentano assieme ai fascisti nelle liste nazionali (come nel blocco nazionale del ’21 ma a parti invertite, questa volta dominano i fascisti).
  • Le altre liste sono divise, si presentano ognuna per proprio conto e si condannano a una sconfitta sicura.
  • Infatti alle elezioni del 1924 le liste nazionali ottengono più del 65% dei voti e ¾ dei seggi con la seconda lista.
  • Nel Mezzogiorno, dove il fascismo non aveva radici solide, con l’adesione dei nobili a Mussolini, il voto è praticamente unanime.

Il Fascismo diventa nel giro di tre anni la più importante forza politica italiana.
La rapida ascesa è frutto della rottura degli equilibri tradizionali che la guerra aveva prodotto:

  • Delusione per la vittoria mutilata
  • Velleitarismo della minaccia della rivoluzione socialista
  • Emergenza di nuovi ceti e nuove aspirazioni piccolo borghesi
  • Il pragmatismo, l’opportunismo e il nuovo stile politico di Mussolini

Delitto Matteotti e l’Aventino

  • Le elezioni dell’aprile ’24 rafforzano Mussolini e indeboliscono le opposizioni che fanno fatica a inserirsi.
  • Alla fine di maggio Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, alla Camera aveva fatto una dura requisitoria contro il fascismo denunciandone la violenza e contestando la validità dei risultati elettorali. Il 10 giugno Matteotti è rapito a Roma dagli squadristi, il cadavere verrà ritrovato 2 mesi dopo.
  • La scomparsa è collegata al clima di violenza, all’impunità degli squadristi: infatti non vi furono dubbi sulla responsabilità delle squadre fasciste.
  • Il regime che sembrava inattaccabile viene attaccato e si trova isolato. L’opinione pubblica reclama giustizia: è un momento di grave smarrimento. Ma l’opposizione, indebolita dalle elezioni, non aveva la forza di mettere in minoranza il governo né era in grado di organizzare la mobilitazione del popolo.
  • Bastò dunque qualche spostamento a livello ministeriale (il nazionalista Federzoni al Ministero dell’Interno) per superare la crisi e normalizzare il clima. Addirittura arrivarono al Duce incoraggiamenti ad essere duro con le opposizioni divise e deboli.
  • I comunisti propongono uno sciopero generale, ma la proposta è respinta.
  • L’atto di denuncia più clamoroso è la secessione dell’Aventino: alcuni gruppi parlamentari abbandonano il Parlamento finché non si fosse ristabilita la legalità democratica. Inizialmente c’è qualche risultato per la drammaticità e la novità del gesto ma poi si dimostrò sterile, senza efficacia pratica. Il dibattere solo la questione morale non influiva il processo degli eventi.
  • L’assenza dei parlamentari dal Parlamento indebolì l’opposizione.
  • Oltretutto il Re non si sentì in dovere di intervenire.
  • Nel giro di pochi mesi l’ondata antifascista si spense

 Mussolini, premuto dall’ala più intransigente del partito, contrattacca:

  • il 3 gennaio 1925 dichiara chiusa la “questione morale” assumendosi la responsabilità storica politica e morale di quanto avvenuto.
  • Segue un’ondata di arresti, perquisizioni, sequestri sia a danno dei partiti di opposizione che degli organi di stampa schierati.
  • Ad un manifesto degli intellettuali fascisti (G.Gentile) si risponde con un contro-manifesto redatto da Benedetto Croce.
  • Si ingrossa l’emigrazione politica degli antifascisti: Amendola, Gobetti, Ferrari, Sturzo, Donati.
  • La stampa, anche quella indipendente, che aveva preso posizione in occasione del delitto Matteotti, è costretta ad allinearsi per le pressioni sugli editori.
  • Nell’ottobre 1925 con il Patto di Palazzo Vidoni il sindacalismo libero ricevette un colpo mortale: la Confindustria si impegna a riconoscere e a stipulare contratti solo con i sindacati fascisti. Vengono abolite le Commissioni Interne.

Il Fascismo si avvia ad attuare la dittatura non solo di fatto, ma anche stravolgendo i con-  notati giuridici dello Stato liberale.

  • viene varata una nuova legislazione che ha il suo maggior artefice in Alfredo Rocco. L’occasione di una serie di attentati falliti al Duce fa accelerare i tempi.
  • Vengono emanate leggi fascistissime in cui l’opposizione è messa al bando, sono sciolti i partiti, è instaurata la dittatura poliziesca. Di fatto si attua una riforma costituzionale, che adegua l’ordinamento giuridico alle aspirazioni autoritarie del fascismo ed alle esigenze autocratiche di Mussolini.
  • Legge 24.12.1925 n.2263 sulle attribuzioni e prerogative del capo del Governo. Il Presidente del Consiglio non è più primus inter pares ma diventa superiore gerarchico rispetto agli altri ministri, nominati e revocati dal Re su sua proposta e responsabili verso il Re e il Primo Ministro. Il numero e le attribuzioni dei Ministeri sono stabiliti con R.D. su proposta del Presidente del Consiglio; solo il Re può revocare il Primo Ministro e sono abolite le mozioni di sfiducia; subordina il potere legislativo a quello esecutivo attribuendo al Primo Ministro la determinazione dell’odg delle Camere.
  • Legge 31.1.1926 n.100 sulla facoltà del Governo di emanare norme giuridiche. La legge era finalizzata a normalizzare la prassi dei decreti-legge adottati dai Ministeri precedenti in deroga dello Statuto, ma finiva per attribuire vastissime facoltà legislative all’esecutivo. Infatti estendeva al massimo la facoltà di emanare, per semplice decreto reale, le norme giuridiche necessarie per disciplinare l’organizzazione e il funzionamento dell’Amministrazione statale, del personale ecc.

Inoltre si estendeva la possibilità del governo di usare il Decreto Legislativo su semplice delega o di ricorrere al decreto legge per necessità con conversione legge entro 2 anni. Di fatto il controllo parlamentare non aveva più significato. Tanto più che l’assenza degli aventiniani facilitava l’opera legislativa dell’esecutivo e del fascismo. I parlamentari dell’Aventino  vennero dichiarati decaduti con un provvedimento illegittimo sul piano costituzionale (che colpiva anche i deputati comunisti che non avevano partecipato all’Aventino).

  • Legge sindacale n.563 dell’aprile 1926: ammette solo i sindacati “legalmente riconosciuti” che erano quelli fascisti. Vieta lo sciopero e la serrata. Prevede la Magistratura del lavoro per i conflitti.
  • Poi nel novembre 1926 sono sciolti i partiti antifascisti ed i sindacati socialisti e cattolici; fu reintrodotta la pena di morte per i colpevoli di “reati contro la sicurezza dello Stato”: questi reati saranno giudicati da un Tribunale Speciale composto non da giudici ordinari, ma da ufficiali delle FF.AA. e della Milizia.
  • Legge per la fascistizzazione della Camera (Legge 17.5.1928 n.1019). E’ la nuova legge elettorale che sostituiva la legge Acerbo del 1923. Si affidava la proposta della candidatura, per 1000 nomi, ai sindacati, al partito e alle altre associazioni espresse dal partito o alle organizzazioni collaterali. Poi il Gran Consiglio, senza alcun vincolo, ne sceglieva 400: questi sarebbero stati sottoposti al plebiscito (si o no).
  • Il Gran Consiglio (Legge 2693 del 9.12.1928) da organo di partito diventa organo di Stato: costituzionalizzazione del Gran Consiglio, dipendente direttamente dal Capo del Governo che ne sceglieva i componenti, ad eccezione di taluni membri di diritto.

Lo Stato liberale ottocentesco è finito.

 

Il regime fascista fino all’entrata in guerra

Il Fascismo non fu propriamente uno Stato totalitario, ma autoritario: doveva venire a patti con la Chiesa; e al di sopra di Mussolini c’era il re.

  • Caratteristica del regime è la sovrapposizione di 2 strutture e 2 gerarchie parallele: quella dello Stato monarchico e quella del Partito fascista.
  • Punto di congiunzione è il Gran Consiglio del fascismo, organo che ha anche importanti funzioni costituzionali.
  • Al di sopra di tutto: Mussolini, Capo del Governo e Duce del Fascismo.

 

Il partito va dilatando sempre più le sue funzioni:

  • l’iscrizione diviene una pratica di massa, necessaria per ottenere un posto nell’amministrazione statale.
  • Il partito si dota di organizzazioni collaterali per la fascistizzazione: l’Opera nazionale dopolavoro (1925) che si occupa del tempo libero dei lavoratori organizzando per loro gite, gare sportive ecc.; nasce il Coni (1927) per incoraggiare e controllare le attività sportive.
  • Nascono le organizzazioni giovanili del partito: fasci giovanili; Guf (giovani universitari fascisti); Onb (1926, opera nazionale Balilla) per i giovani dai 12 ai 18 anni; Figli della Lupa per i giovani al di sotto dei 12 anni.
  • Il Fascismo dunque nel suo disegno totalitario cerca di riplasmare la società dalle sue fondamenta, con propri riti.

Resta aperto il problema con la Chiesa, per il peso che essa ricopre nella società. Mussolini voleva risolvere lo storico contrasto tra Stato e Chiesa e per questo avvia delle trattative con il Vaticano nell’estate del 1926.

  • Le trattative si concludono l’11 febbraio 1929 con la stipula dei Patti Lateranensi (che presero il nome dai Palazzi del Laterano dove le Mussolini incontrò il cardinal Gasparri per la firma). I Patti si articolavano in 3 parti:
  • Un trattato internazionale con cui la Santa Sede poneva fine alla “questione romana” con il riconoscimento ufficiale dello Stato Italiano e di Roma sua capitale; dal canto suo lo Stato italiano riconosceva la sovranità dello Stato  della Città del Vaticano
  • Una convenzione finanziaria in cui l’Italia si impegnava a pagare un’indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontificio;
  • Un concordato che regolava i rapporti interni fra Chiesa e il Regno d’Italia (in cui tra l’altro sono esonerati i sacerdoti dal servizio militare; stabiliva che i preti “spretati” fossero esclusi dai pubblici uffici; che il matrimonio religioso avesse effetti civili; che l’insegnamento della religione cattolica fosse “fondamento e coronamento” dell’istruzione pubblica; che le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica potessero continuare a svolgere le loro attività, purché sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica e al di fuori di ogni partito).
  • I Patti danno un grande successo a Mussolini che diventa “l’uomo della Provvidenza”. Alle elezioni plebiscitarie del marzo 1929 si registra grande afflusso (90%) e larghissimo consenso (98%).
  • Anche il Vaticano trasse alcuni vantaggi dai Patti: se infatti da una parte era sancita la fine del potere temporale (perso da quasi 60 anni) dall’altra servirono a fargli assumere una posizione di privilegio nei rapporti con lo Stato, nell’istruzione, nella legislazione matrimoniale, con l’Azione Cattolica, strumento con cui fece azione formativa a largo raggio.

 

  • Oltre alla Chiesa anche la Monarchia poneva limiti all’ascesa della dittatura del Duce
  • Il Re restava la più alta carica dello Stato: a lui spettava infatti il comando supremo

delle Forze armate, la scelta dei senatori, il diritto di nomina e revoca del Capo del Governo.

Il regime e il Paese
Osservando l’Italia del ventennio fascista l’impressione è quella di un paese largamente fascistizzato. Colpisce l’abbondanza del materiale di propaganda che invadeva tutta la vita quotidiana: ritratti del duce esposti ovunque, scritte fasciste sugli edifici, copertine dei libri e cartoline con l’emblema del “fascio littorio” (insegna del potere dei magistrati dell’antica Roma che divenne simbolo del regime), folle mobilitate in occasione di ricorrenze fasciste, discorsi del duce trasmessi alla radio, scolari impegnati in formazione militare (vestiti in camicia nera con fucili di legno), gli adulti che in divisa fascista si riunivano agli ordini dei fasci locali per celebrare i riti, i gerarchi che si esibivano negli stadi in esercizi ginnici.

Che rapporto esisteva tra realtà e propaganda?
Lo sviluppo della società italiana andava di pari passo a quello degli altri Stati europei?

  • L’Italia cominciò a muoversi e svilupparsi secondo le linee comuni al resto d’Europa, seppure con più lentezza.
  • La popolazione dal 1921 al 1939 passò da 38 milioni a 44 milioni. Si va accentuando l’urbanizzazione, cala l’occupazione agricola mentre aumenta quella industriale. Nonostante questi segni di sviluppo, lo stipendio di un italiano era circa la metà di quello di un francese e 1/3 di quello di un inglese, per cui molto veniva speso in consumi alimentari.
  • L’arretratezza economica e civile della società italiana era per certi versi funzionale al regime, che infatti accentuò l’esaltazione della vita in campagna (ruralizzazione) (scoraggiando l’afflusso in città mentre nel resto del mondo era già iniziato e procedeva a gran ritmo il fenomeno dell’urbanesimo).
  • Il fascismo inoltre, d’accordo con la Chiesa, portò avanti la politica dello sviluppo demografico, incoraggiando l’incremento della popolazione con gli assegni familiari, favorendo l’assunzione dei padri di famiglia, assegnando premi alle coppie prolifiche, mettendo una tassa sui celibi (1927).
  • Non favorì l’emancipazione femminile, anche se sviluppò organizzazioni femminili: i Fasci femminili, le piccole e giovani italiani, le massaie rurali.
  • Il fascismo punta a favorire il ceto medio: la piccola e media borghesia attraverso la moltiplicazione degli apparati burocratici, comprimendo i salari degli operai (un calo quasi costante: nel 1939 i salari nell’industria erano inferiori del 20% a quelli del 1921).
  • Nel 1927 viene varata la Carta del Lavoro: retorica esaltazione del lavoro; doveva servire a dare una patina di socialità al regime (De Felice).

Attenzione particolare al mondo della cultura, della scuola, delle comunicazioni di massa:

  • 1923. Riforma Gentile ispirata ai principi idealistici: severità degli studi, primato delle discipline umanistiche.
  • si cerca di porre un controllo sugli insegnanti che si adattano senza troppe resistenze.
  • L’Università godeva di più ampia autonomia, ma nel 1931 fu imposto il giuramento di fedeltà al regime (su 1200 solo una dozzina rifiutò, aderirono grossi nomi come Pirandello, Marconi, Mascagni…). Il regime dunque esercitò il controllo in forma blanda sulle attività culturali che si rivolgevano ad un pubblico specialistico, ma diventava diretto e capillare sulla cultura e sui mezzi di comunicazione di massa.
  • Tutta la stampa politica fu sottoposta a controllo severo da parte dello stesso Mussolini prima e dal Minculpop poi (Ministero per la Cultura Popolare). Controllo della radio è affidato dal 1927 ad un ente di Stato detto Eiar: la radio, inizialmente poco diffusa, dopo il ’35 diventa il principale mezzo di propaganda (installazione nelle scuole, negli uffici pubblici…). Anche il cinema fu controllato dal regime allo scopo di limitare la massiccia entrata dei film americani nelle sale nazionali (il regime promuoveva i “cinegiornali”, prodotti da un ente statale l’Istituto Luce, raccontavano fatti d’attualità secondo i criteri della propaganda e venivano proiettati nelle sale prima del film).

Fascismo e Economia

  • Il corporativismo: secondo il Fascismo l’idea corporativa significava gestire direttamente l’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni distinte per settori di attività che comprendevano sia imprenditori che dipendenti. Questo sistema non trovò mai completa attuazione.
  • Nei primi anni (dal ’22 al ’25) il regime adottò una linea liberistica (De Stefani ministro delle finanze) che produsse insieme ad un incremento produttivo anche la crescita dell’inflazione, del deficit nei conti con l’estero e un forte deterioramento della lira(al cambio 1:145). De Stefani fu sostituito da Volpi che inaugurò una politica fondata sul protezionismo, sulla stabilizzazione della moneta, su un intervento statale più accentuato nei confronti dell’economia.
  • Primo provvedimento di Volpi: inasprimento del dazio sui cereali e la cosiddetta “battaglia del grano”: scopo della battaglia propagandistica era il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore cereali . L’obiettivo fu raggiunto con un aumento del 50% della produttività (con conseguente danno del settore allevamento e delle colture specializzate). Seconda “battaglia” di Volpi quella per la rivalutazione della lira. Il Duce annunciò di voler portare la lira a “quota 90” (cioè 90 lire per 1 sterlina) per dare al Paese la stabilità: l’obiettivo fu raggiunto in poco più di un anno, grazie alla riduzione dei credito  ed ai prestiti delle banche USA: arrivarono gli effetti positivi (prezzi diminuirono, la lira recuperò il potere d’acquisto). Ma  a goderne non furono i lavoratori dipendenti che si videro tagliare i salari, furono danneggiate le industrie esportatrici, in crisi le piccole e medie aziende. Favorite le grandi imprese e i processi di concentrazione aziendale.

Il Fascismo e la grande crisi. Lo “Stato imprenditore”.
Effetti in Italia della crisi del ’29: recessione, riduzione del commercio estero, crisi dell’agricoltura, tagli dei salari, disoccupazione da 300.000 a 1.300.000 nel 1933.
La risposta del regime alla crisi si attua su 2 direttrici:

  • Sviluppo dei lavori pubblici
  • Intervento diretto o indiretto dello Stato nei settori in crisi.
  • Lavori pubblici: programma di bonifica integrale che mirava al recupero di tutte le aree incolte; il programma fu attuato solo parzialmente. La parte più spettacolare fu la Bonifica dell’Agro Pontino in cui furono recuperati 60.000 ettari di terra. Costruzione di nuove città: Sabaudia e Littoria (Latina). Rappresentò per il regime un grande successo.
  • Intervento dello Stato: nella forma più incisiva è sul sistema bancario. Le grandi banche miste (Comit e Credito italiano)  rischiavano il fallimento. Il governo intervenne istituendo l’IMI, istituto di credito pubblico, col compito di sostituire le banche nel sostegno alle aziende in crisi. Dopo 2 anni istituì l’IRI (Istituto per la riconversione industriale) che divenne azionista di maggioranza di molte banche in crisi e acquistò il controllo su grandi industrie italiane (Ansaldo, Ilva, Terni…). In questo modo lo Stato diventa banchiere e imprenditore. I privati (gli imprenditori che avevano gestito male le imprese ed erano sull’orlo del fallimento per i debiti) guardavano con favore la cosa, visto che Mussolini, così facendo, “socializzava le perdite” (come disse Carlo Rosselli) cioè accollava alla collettività i costi della crisi industriale (cioè i debiti e la mala amministrazione degli imprenditori privati). Si servì di tecnici, come Arrigo Serpieri per le bonifiche  ed Alberto Beneduce per l’IRI.

 
Intorno alla metà degli anni ’30 l’Italia era uscita dalla crisi peggiore e Mussolini pensò di lanciarsi nella politica dispendiosa delle imprese militari.

 

L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica

  • Una componente imperialista fu sempre presente nel fascismo, paladino della riscossa nazionale. Fino ai primi anni ’30 tali aspirazioni imperiali rimasero vaghe: era più una propaganda ricorrente contro le democrazie plutocratiche (con cui si accordò a Stresa, aprile 1935) per tamponare il riarmo tedesco, mentre nel frattempo Mussolini preparava l’aggressione all’Etiopia.
  • Con la guerra d’Etiopia Mussolini intendeva dare uno sfogo alla vocazione imperiale del fascismo e vendicare lo scacco del 1896 (sconfitta di Adua). Mussolini voleva riuscire laddove i liberali avevano fallito. Era una occasione di mobilitazione popolare: inoltre anche i governi francese e inglese sembravano in qualche modo disponibili.
  • Ma quando nell’ottobre 1935 l’Italia invade l’Etiopia senza una dichiarazione di guerra, i governi francese e inglese portano la questione al Consiglio della Società delle Nazioni, fanno votare sanzioni, che furono approvate ma sortirono effetti limitati.
  • Il fatto che le grandi potenze plutocratiche volessero impedire “il posto al sole” per gli italiani, fece breccia nell’opinione pubblica (milioni di coppie donarono la fede nuziale, solidarietà venne da avari ambienti).
  • Mussolini con un atto fortemente demagogico tentò di dare alla guerra uno scopo umanitario, presentandola come una crociata per liberare gli etiopi dal regime schiavista e corrotto.
  • Le operazioni belliche non durano molto: 5 maggio 1936 truppe italiane comandate da Badoglio entrano ad Addis Abeba: il 9 maggio Mussolini annuncia al popolo “il ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma”.
  • L’Etiopia era un paese molto povero; l’operazione non ha risvolti economici positivi ma sul piano politico fu un grande successo. Dette la sensazione che l’Italia fosse diventata una grande potenza.
  • Sull’onda di tale entusiasmo, nell’ottobre 1936 Mussolini firma il patto di amicizia con la Germania, l’Asse Roma-Berlino. Nell’autunno ’37 aderisce al Patto anticomintern con cui al fianco di Germania e Giappone si impegnava a lottare contro il comunismo internazionale. L’Asse assume la forma di una vera alleanza militare e nel maggio 1939 Mussolini firma il Patto d’acciaio con la Germania, che legava le sorti dell’Italia a quelle dello Stato nazista.

L’Italia antifascista

  • A partire dalla metà degli anni ’20 inizia l’esilio o la clandestinità di tanti oppositori al regime.
  • Molti si appartano in volontario silenzio e cercano di sfruttare gli spazi di autonomia che il regime lascia, senza però assumere una dimensione politica: così ex popolari, cattolici, liberali, anche socialisti.
  • Invece i comunisti organizzano una struttura clandestina: molti vengono arrestati, spediti al confino, sottoposti a condanne del Tribunale Speciale.
  • Molti degli emigrati all’estero, in Francia (Gobetti, Turati, Treves, Nenni, Saragat, i fratelli Rosselli), soprattutto in Inghilterra e Usa (Sturzo, Salvemini), mantengono viva l’opposizione al regime.
  • Nel 1927 questi gruppi si costituirono in una organizzazione unitaria, la Concentrazione antifascista (collegata all’esperienza dell’Aventino).  La Concentrazione svolse un’importante attività di testimonianza, di propaganda antifascista, stampando giornali, mantenendo i contatti con gli esiliati, organizzando dibattiti politici.  Interessante fu il dibattito autocritico che portò al congresso di Parigi (1930) in cui il Psi ricompattò i due tronconi in cui si era scisso nel ’22.
  • Qualche impulso maggiore all’antifascismo arriva dall’attività di Emilio Lussu e Carlo Rosselli che fondano il movimento Giustizia e Libertà (estate 1929) che si proponeva come punto di raccordo fra socialisti, repubblicani e liberali secondo lo spirito del Socialismo liberale (il volume di Carlo Rosselli del 1930, che intendeva coniugare libertà politica e giustizia sociale). Carlo Rosselli fu assassinato insieme al fratello Nello nel giugno ’37.
  • I Comunisti furono polemici verso la Concentrazione antifascista e verso Giustizia e Libertà. Fino al 1934-35 i comunisti sono fermi su un atteggiamento di orgoglioso isolamento, prendono le direttive da Mosca dove Togliatti è segretario della III Internazionale (Komintern). Il Pci dunque era allineato alla linea di Mosca, adeguato al culto di Stalin e insensibile alle critiche di Gramsci e Terracini.
  • A metà degli anni ’30 nasce una fase nuova nell’emigrazione antifascista con la politica dei fronti popolari; nel 1934 i comunisti stringono un patto di unità d’azione con i socialisti.
  • Bilancio: scarsa incidenza sulla situazione italiana ma ruolo di grande importanza politica e morale anche all’estero. Rese possibile il sorgere dopo il ’43 della resistenza armata al nazifascismo.

 

Apogeo e declino del regime fascista
                       
La vittoriosa campagna in Etiopia fu per il fascismo l’apogeo del successo e della popolarità.

  • Svanito l’entusiasmo, il consenso cominciò ad incrinarsi soprattutto per la politica economica ispirata al prestigio, condizionata dalle spese militari. Alla fine del ’35, dopo le sanzioni inflitte dalla SdN, Mussolini rilancia la politica dell’autarchia: ricerca di una maggiore autosufficienza economica, soprattutto nel campo delle materie prime e dei prodotti indispensabili in caso di guerra. Ciò si traduce in una stretta protezionistica, in un più intenso sfruttamento del sottosuolo, nell’incoraggiamento alla ricerca nel campo delle fibre e dei combustibili sintetici. Alcune industrie riescono a trarne vantaggio ma in generale i risultati non sono brillanti con relativa crescita dei prezzi, lentezza nella produzione e generale peggioramento del tenore di vita.
  • Politica Estera: attuata da Mussolini e dal genero Galeazzo Ciano. L’opinione pubblica non vedeva di buon grado l’amicizia con la Germania, che andava contro le tradizioni risorgimentali e della I guerra mondiale. Lo stato nazista poi non godeva di alcuna simpatia. Le aspirazioni alla pace contrastavano con i programmi di Mussolini che auspicava per l’Italia un futuro di conquiste e di confronti militari.
  • Nei passi successivi del regime, scaturì una serie di modifiche istituzionali e legislative: l’istituzione del Ministero della Cultura Popolare; l’accorpamento delle varie organizzazioni giovanili nella Gioventù Italiana del Littorio; l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni con abolizione della Camera dei deputati (1939). La più aberrante fu l’introduzione nel 1938 delle leggi discriminatorie contro gli ebrei, leggi che ricalcavano quelle naziste. Italiani che vengono esclusi dai pubblici uffici e sono vietati i matrimoni misti. Solo quelli “benemeriti nella Guerra e nel fascismo” venivano esclusi dalla discriminazione. Erano misure non condivise e che non fecero guadagnare al Duce il desiderato sentimento di orgoglio italiano; aprirono invece un serio contrasto con la Chiesa.

 

 

 

 

B4.  IL NAZIONALSOCIALISMO

 

4 - IL NAZISMO

Dopo l’armistizio la Germania si trova in una situazione rivoluzionaria (pesanti clausole inflitte dai vincitori alla Germania nei trattati di Versailles): disponeva di soldati armati, il governo era esercitato da un Consiglio dei Commissari del Popolo presieduto dal socialdemocratico Ebert, composto da socialisti. Nella città i padroni sono i consigli degli operai e dei soldati armati. Mancava una mobilitazione delle masse rurali, resisteva una classe dirigente che non era stata spazzava via come era accaduto in Russia. I socialdemocratici, con una grande tradizione di lotte alle spalle, erano collegati ai sindacati, ma contrari ad una rivoluzione di tipo sovietico.
Berlino diventa centro dell’estrema sinistra.
Viene a crearsi una convergenza tra i capi socialdemocratici della SpD, gli esponenti della vecchia classe dirigente e i capi dell’esercito per impedire uno sbocco rivoluzionario e servire lealmente le istituzioni repubblicane. Ne seguì uno scontro con la Lega di Spartaco (nucleo originario del partito comunista tedesco: Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg), che puntava alla costituzione di Consigli, visti come cellule della nuova democrazia socialista. Gli spartachisti erano in netta minoranza. Ma l’iniziativa popolare li spinse verso lo scontro: il 5 gennaio 1919 una manifestazione di berlinesi per protestare contro la destituzione di un esponente di sinistra da capo della polizia della capitale. Fu durissima la reazione del governo socialdemocratico. Gli spartachisti ne approfittano per diffondere un comunicato in cui si incita a rovesciare il governo. Il governo reagì con durezza: senza poter contare su un esercito, arruolò squadre di volontari per la repressione (i freikorps) composte da soldati smobilitati e inquadrate da ufficiali dal forte sentimento nazionalista e conservatore.
L’insurrezione è schiacciata nel sangue: muoiono i leader del movimento spartachista R.Luxemburg e Karl Liebknecht.
19 gennaio 1919 dopo aver sedato la rivolta, viene eletta l’Assemblea Costituente (maggioranza, non assoluta, di socialdemocratici). Viene fatto un accordo con i borghesi, i cattolici del centro e con i partiti di matrice liberale. Ebert viene eletto Presidente della Repubblica e promuove la formazione di un governo di coalizione a direzione socialdemocratica. Viene varata la Costituzione della Repubblica di Weimar, una costituzione democratica che manteneva la struttura federale, promuove il suffragio universale maschile e femminile, la nomina del Presidente eletto dal popolo, la responsabilità del Governo di fronte al Parlamento.
Nonostante i drammatici travagli che ne avevano segnato la nascita, la Repubblica di Weimar rappresentò nell’Europa degli anni ’20 un modello di democrazia parlamentare aperta e avanzata (centro culturale vivace).
Nonostante la Costituente e la Costituzione (varata agosto 1919), ai primi di marzo sorgono nuovi disordini e tentativi insurrezionali a Berlino (tentativo dei comunisti di proclamare la Repubblica dei Consigli che fu stroncata alla fine di aprile). Alcuni pericoli venivano anche dalla destra, da quei militari smobilitati dei Freikorps che parlavano di “pugnalata alla schiena” da parte di chi aveva concluso l’armistizio (secondo loro infatti l’esercito tedesco avrebbe vinto se non fosse stato tradito da una parte del Paese). Questo clima penalizza i socialdemocratici alle elezioni del 1920: sconfitti cedono la guida al Centro cristiano.
Costituzione di Weimar: modello di democrazia parlamentare aperta collegato al clima di grande libertà; ma molti fattori insidiavano la vita democratica come la frammentazione dei gruppi politici, l’assenza di una forza egemone.
Situazione dei partiti:

  • Spd (democrazia socialista) fu per anni il partito più forte ma non riuscì ad allargare il consenso oltre il tradizionale elettorato operaio
  • Partito del centro cattolico
  • Tra le forze conservatrici e moderate (con l’intento di conciliare ceti e medi e intellettuali)
  • Partito tedesco nazionale
  • Partito tedesco popolare
  • Partito democratico tedesco

Il sistema non riusciva a coinvolgere la media e piccola borghesia; inoltre la repubblica era legata all’immagine della sconfitta ed al problema delle riparazioni.
Riparazioni: nella primavera 1921 una commissione interalleata aveva stabilito l’entità: 132 miliardi di marchi da pagare in 42 rate annuali; cioè per quasi mezzo secolo la Germania doveva privarsi di ¼ del prodotto nazionale.
All’annuncio delle riparazioni si scatena un’ondata di proteste: si mette in luce il Partito Nazional Socialista di Hitler che scatena un’offensiva terroristica contro la classe dirigente repubblicana.
Nel 1921 fu ucciso in un attentato il Ministro delle Finanze Mathias Erzberger (esponente del partito del Centro cattolico) che aveva firmato l’armistizio per conto del governo provvisorio.
Nel 1922 fu ucciso Walter Rathenau (industriale esponente del partito democratico) Ministro degli esteri che cercava un accordo con le potenze vincitrici.
I governi di coalizione tra il 1921 e 1923 si impegnarono a pagare le rate delle riparazioni. Per evitare un aggravamento delle tasse o tagli sulla spesa pubblica, furono costretti a stampare carta moneta: risultato fu che in pochi mesi il valore del marco precipitò mettendo in moto un rapido processo d’inflazione con relativa difficoltà a pagare i debiti.

Crisi della Ruhr:
nel gennaio 1923 Francia e Belgio occupavano il bacino della Ruhr, la zona più ricca e industrializzata della Germania. L’azione aveva lo scopo di controllare i pagamenti delle riparazioni: impossibilitato a reagire militarmente, il governo tedesco incoraggiava la resistenza passiva della popolazione (abbandono delle fabbriche e non collaborazione con gli occupanti). Nel Paese sale la febbre nazionalistica: i Freikorps organizzano attentati e sabotaggi contro i francobelgi: seguono fucilazioni e arresti di massa).
L’occupazione della Ruhr è il tracollo del Paese: l’inflazione è fuori controllo.
Luglio 1923: 1 dollaro corrisponde a 5 milioni di marchi, a settembre a 200 miliardi, a novembre a 4000 miliardi. Un kg di farina giunse a costare 400 miliardi. Chi possedeva risparmi o titoli di Stato li perse, le retribuzioni venivano pagate giornalmente. Avvantaggiati solo coloro che possedevano beni reali come agricoltori, industriali, commercianti oltre a coloro che avevano contratto debiti.
E’ un duro prezzo per la collettività e per le istituzioni repubblicane.
Agosto 1923 si forma un governo di coalizione presieduto da Gustav Stresemann, leader del partito tedesco popolare:

  • Ordina la fine della resistenza passiva presso la Ruhr
  • Cerca il riavvicinamento con la Francia
  • Reprime l’insurrezione comunista ad Amburgo
  • “                   “            nazionalsocialista a Monaco
  • ristabilisce l’autorità dello Stato, emette nuova moneta (il reutenmark) il cui valore era garantito dal patrimonio agricolo e industriale della Germania, anziché dell’oro.

Attua una politica rigorosamente deflazionistica per un ritorno alla normalità; cerca accordi sulle riparazioni con i vincitori.
1924 Piano Dawes: il piano si basava sul principio che la Germania avrebbe potuto fare fronte ai suoi impegni solo se avesse visto funzionare al meglio la sua macchina produttiva; prevedeva dunque che l’entità delle rate da pagare fosse graduata nel tempo e che la finanza internazionale – in particolare quella Usa - sovvenzionasse lo stato tedesco con una serie di prestiti a lunga scadenza.
Grazie al Piano Dawes la Germania rientra in possesso della Ruhr e si ha una ripresa economica.
La crisi della Ruhr lascia il segno:
elezioni del maggio 1924 con affermazione delle parti estreme (comunisti e tedesco-nazionale) e calo dei partiti democratici;
Marzo 1925 il candidato dei partiti democratici è battuto dal vecchio maresciallo Hindenburg, simbolo del passato imperiale.
Negli anni successivi grazie alla ripresa economica la situazione politica si andò stabilizzando:

  • I partiti di centro e centro destra rimasero al potere fino al 1928 quando i socialdemocratici ottennero una buona risposta elettorale e rimasero alla guida del governo.
  • Stresemann rimase agli esteri fina alla morte nel 1929 garantendo la collaborazione con le forze vincitrici.
  • Dopo il 1924 con Stresemann e il Piano Dawes si ha una fase di distensione e di qualche collaborazione con il Ministro degli Esteri francese Aristide Briand (anche se avevano obiettivi diversi).
  • Accordi di Locarno (ottobre 1925) in cui le potenze vincitrici garantivano le frontiere occidentali decise a Versailles; la Germania accettava la perdita dell’Alsazia-Lorena, ma non prendeva impegni per le frontiere orientali.
  • 1926: la Germania è ammessa alla Società delle Nazioni: nell’estate del 1928 i rappresentati di 15 stati su iniziativa di Briand e del segretario americano Kellog firmano il patto di Parigi: impegno a rinunciare alla guerra come mezzo per risolvere le controversie.
  • Giugno 1929 viene varato il Piano Young per ridurre l’entità dlle riparazioni e graduare il pagamento in 60 anni.
  • La crisi del ’29 rompe il clima di distensione: infatti la Francia nel settembre 1930 dava il via ad un imponente complesso di fortificazioni difensive (cosiddetta linea Maginot): fine dello spirito degli accordi di Locarno e Parigi.

Crisi del 1929:

  • Si rafforzano le tendenze favorevoli all’autoritarismo
  • I successi del nazismo mostrano quanto fosse estesa la disaffezione verso la democrazia
  • Si diffuse la convinzione che il sistema democratico-liberale fosse di per sé fragile e inefficiente, destinato a decadere e che l’alternativa fosse tra la destra autoritaria e il comunismo sovietico.

La crisi della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo:
1923 Hitler era semisconosciuto, a capo di un piccolo partito.
1933 riceve l’incarico di formare il governo.
Fino al 1929 il Partito Nazista rimase minoritario (fuori dalla legalità repubblicana, usava violenza, aveva una robusta organizzazione armata). Dopo il fallimentare tentativo di Monaco Hitler tentò di fare come Mussolini in Italia: dare al partito un volto più rispettabile, mettere da parte le rivendicazioni anticapitalistiche, assicurarsi il sostegno finanziario dei grandi industriali.
Ma non rinuncia al nucleo del programma nazista:

  • Denuncia del trattato di Versailles
  • Riunione di tutti i tedeschi in una “nuova grande Germania”
  • Adozione di misure discrimanotorie contro gli Ebrei
  • Fine del “parlamentarismo corruttore”

I suoi progetti Hitler li scrisse nel libro “Mein Kampf” (la mia battaglia), scritto in carcere e pubblicato nel ’25: diventò il testo sacro del nazismo.
Al centro del programma hitleriano c’era:

  • Utopia nazionalista e razzista
  • Superiorità della razza ariana
  • Considerava gli ebrei  in quanto “popolo senza patria” responsabili del disastro finanziario e del bolscevismo; causa della decadenza della civiltà europea.
  • Ricerca dello “spazio vitale” verso oriente: avrebbe permesso di far coincidere l’espansione territoriale con la lotta contro il comunismo.

Inizialmente questo programma radicale incontrò pochi consensi ma con lo scoppio della grande crisi del 1929 la maggioranza dei tedeschi, ormai ridotta alla fame, perse ogni fiducia nella Repubblica: Hitler offriva la prospettiva esaltante della riconquista del primato della Germania e dava l’opportunità – a chi entrava nel partito nazista - di far parte di un gruppo di “eletti”.
La fine della Repubblica di Weimar comincia nel settembre 1930 quando il cancelliere Brüning convocò nuove elezioni nella speranza di uscirne con una maggioranza rafforzata: il partito nazista invece ottenne il 18,3% di consenso. Crescono parallelamente le forze antisistema, di destra e di sinistra: alle elezioni i comunisti guadagnarono posizioni a danno dei socialdemocratici, rimanendo il primo partito del Paese. Così il Governo di Brüning continuo a reggere per altri 2 anni grazie all’appoggio del Spd e soprattutto grazie al Presidente Hindeburg che si avvalse dei poteri straordinari concessi dalla costituzione nei momenti di emergenza.
Nel 1932 la crisi raggiunse il culmine: la produzione industriale cala del 50% rispetto al ’28, la disoccupazione si allarga a 6 milioni di persone (la metà delle famiglie tedesche). I nazisti aumentano gli iscritti; durante l’estate gli scontri tra nazisti e comunisti provocano 150 morti.
Due crisi di governo e tre consultazioni elettorali a pochi mesi di distanza confermarono l’impossibilità di formare una maggioranza “costituzionale”. 
Marzo 1932 Hindenburg è candidato alla presidenza della repubblica : i partiti democratici sostengono la sua candidatura contro quella di Hitler. Viene eletto Hindenburg anche se Hitler ottiene un buon consenso (13 milioni, 37%). Hindenburg una volta eletto cede alle pressioni dei militari e della grande industria, congeda Brüning e cerca una soluzione alla crisi prendendo atto dello spostamento a destra dell’asse politico. A guidare il governo sono chiamati uomini della destra conservatrice, privi di una propria base parlamentare: fallimento.
Elezioni del luglio 1932 : non si ottiene una maggioranza stabile e i nazisti salgono al 33%. Hindeburg si convince che è impossibile governare senza il loro appoggio: gennaio 1933 viene proposto a Hitler la guida di un governo in cui sono rappresentate le più importanti componenti di destra (nazisti 3 su 11): pensano così di ingabbiare Hitler (come pensava di fare la destra italiana con Mussolini).

Consolidamento del potere di Hitler:
ad Hitler bastarono pochi mesi per imporre un potere assoluto. 
Incendio al Reichstag, il parlamento nazionale, 27 febbraio 1933 una settimana prima delle elezioni. Viene arrestato un comunista olandese, uno squilibrato mentale indicato come l’autore dell’incendio. La vicenda fornisce al governo il pretesto per mettere in atto un’imponente azione di polizia contro i comunisti (sono messi fuori legge, arrestati, privati della libertà di stampa e di riunione). Le elezioni di marzo ’33, che dovevano portare al trionfo nazista, mancano l’obiettivo: il partito di Hitler non raggiunge le maggioranza assoluta ma il 44% che unito alle altre forze di destra aveva un’ampia base parlamentare. Ma Hitler vuole abolire il Parlamento. Il Parlamento nazionale con una legge suicida il 23 marzo conferisce pieni poteri al governo (può legiferare e cambiare la costituzione): votano contro solo i socialdemocratici.
Nel giugno 1933 la Spd fu sciolta, così il partito operaio più forte d’Europa viene annientato. Ma anche il partito tedesco nazionale si autoscioglie su pressione nazista. Stessa sorte per il Partito cattolico. Hitler nel luglio 1933 vara una legge secondo cui il Partito Nazionalsocialista era l’unico consentito in Germania.
Hitler ha ancora 2 ostacoli da risolvere:

  • l’ala estremista del nazismo, le SA di Röhm che invocavano la rivoluzione
  • la vecchia destra, rappresentata da Hindenburg e i capi dell’esercito.

Hitler risolve così: contro le SA forma un’altra milizia le SS (squadre di difesa). Il colpo contro le SA viene preparato “nella notte dei lunghi coltelli” (30 giugno 1934) in cui le SS , arrestato e poi ucciso Röhm, misero in atto un massacro che colpì oltre ai membri delle SA anche altri elementi sgraditi.
Agosto 1934 muore Hindenburg, Hitler grazie ad una legge emanata dal suo governo, ricopre la carica di Cancelliere e Capo di Stato. L’esercito ha l’obbligo di giurare fedeltà a Hitler (conseguenze saranno chiare nel ’38 quando Hitler assumerà il comando delle FFAA).

NASCE IL TERZO REICH: Terzo dopo il Sacro Romano Impero medievale e quello del 1871. A capo del Reich c’è Hitler, il Führer (il duce).
Punto cardine dell’ideologia nazista è che il capo guida il popolo e ne interpreta le aspirazioni. Un rapporto diretto fra il Capo e il suo popolo tramite il partito unico e i partiti ad esso collegati.
Fronte del lavoro: sostituisce i vecchi sindacati.
Gioventù hitleriana.
L’obiettivo era quello di realizzare una comunità compatta da cui erano esclusi
gli antinazionali (cioè i cittadini di origine straniera e discendenza non ariana), gli ebrei.
Gli ebrei erano una minoranza (circa 500.000): commercianti, liberi professionisti, intellettuali, artisti, alcuni con posizioni altolocate nell’industria e soprattutto nella finanza.
Tutti furono posti al centro della propaganda antisemita: la discriminazione fu sancita dalle Leggi di Norimberga (settembre 1935) con cui si tolse agli ebrei la parità di diritti e fu vietato il matrimonio misto, con crescita dell’emarginazione sociale e delle persecuzioni.
Nel 1938, traendo pretesto dall’omicidio di un diplomatico tedesco a Parigi per mano di un ebreo, i nazisti nella “notte dei cristalli” devastarono le vetrine dei negozi ebrei, sinagoghe distrutte, abitazioni violate. Per gli ebrei diventò impossibile vivere in Germania.
Nel programma di Hitler la persecuzione antiebraica era basata sul principio della difesa della razza che, come già era largamente attuato negli Stati USA al pari del divieto dei matrimoni misti tra bianchi e neri e altre misure razziste (vedi scheda allegata), prevedeva anche la sterilizzazione dei portatori di malattie ereditarie o di pericolosità sociale.

 

Problema economico delle riparazioni di guerra:
Sull’applicazione del trattato di Versailles molto influì l’assenza degli Usa dalla SdN, per cui venne meno la mediazione di Wilson mentre risorgevano le antiche diffidenze e ostilità di Gran Bretagna e Francia. La somma delle riparazioni addossate alla Germania erano destinate a riparare i danni ai territori devastati dalla guerra e per le pensioni di guerra dei Paesi vincitori.
La somma dovuta rappresentava più del doppio del valore dei metalli preziosi estratti dopo la scoperta dell’America.
Si voleva che in Germania per almeno 2 generazioni si lavorasse di più e si consumasse di meno e non si facesse così la guerra.
Keynes si dimise dalla Commissione che doveva studiare la questione economica: lo espose nel volumetto  Le conseguenze economiche della guerra.
Il fatto è che Inghilterra e Francia contavano sulle riparazioni dei tedeschi per risolvere i problemi creati dalla guerra. La Francia aveva perso i crediti esteri e si era indebitata con gli Usa; gli Usa dopo Wilson reclamavano che i prestiti fossero rigorosamente rimborsati; i francesi dovendo rimborsare gli Usa cercavano di scaricare sui tedeschi tutti i problemi finanziari; gli inglesi volevano ristabilire il prestigio della sterlina.

Situazione politica ed altre vicende
L’opposizione politica si sciolse, si autoannientò e non riuscì a dare più segnali.
Rimasero pochissimi nuclei clandestini di comunisti e socialdemocratici. Il Centro cattolico si adattò; la Chiesa di Roma nel luglio ’33 aveva stipulato un Concordato per la libertà di culto e per la non interferenza dello Stato negli affari della Chiesa.
Solo nel 1937 Papa Pio XI promulga un’enciclica contro il nazismo.
Invece la Chiesa protestante e luterana furono ossequienti al potere nazista  con un giuramento di fedeltà al Führer.
Come si spiega la debolezza dell’opposizione? Con l’efficienza dell’apparato repressivo e terroristico (polizia ufficiale e quella segreta. Le SS, i campi di concentramento).
Il consenso invece si spiega con i successi nella politica estera , con la cancellazione dei debiti di guerra e con il fatto che il regime riesce a far risorgere l’orgoglio nazionale.
C’è una ripresa produttiva, con lavori pubblici, costruzione di autostrade; l’occupazione torna a crescere a pieno ritmo, si incoraggia l’iniziativa privata, grandi realizzazioni sul paino urbanistico. Nelle aziende l’imprenditore è il capo assoluto. Hitler si mostra abile nel comunicare, grande efficacia oratoria, grande scenografia per le mobilitazioni di massa in cui si dà uno straordinario peso alla “cerimonia”.
L’appello alle masse, la ricerca del consenso su basi ideologiche, le strutture organizzative, l’attivismo propagandistico, confluiscono nel concetto dei regimi quali: comunismo sovietico, fascismo italiano, nazismo tedesco. L’elemento fondamentale comune è il monopartitismo.
Divengono regimi la cui sorte non dipende solo dall’efficienza di apparati di polizia ma dalla capacità di promuovere l’ideologia al fine di raggiungere il consenso di massa. Questa capacità di affermarsi in una società di massa distingue questi regimi dagli antichi regimi dispotici, poiché le nuove dittature esprimono l’esigenza moderna del proselitismo di massa.
C’è un rapporto inestricabile tra coercizione e consenso, che è un aspetto del grande tema della nazionalizzazione delle masse, che è al centro degli studi di George Mosse; come pure la ribellione delle masse, di cui scrisse Ortega y Gasset nel 1936-38. Il tema è connesso alle esperienze simboliche e formali delle grandi mobilitazioni, ma anche delle trasformazioni economiche e sociali, ai processi di industrializzazione e di modernizzazione.

 

Fonte: http://www.istituto-santanna.it/Pages/LiceoScientifico/APPUNTI_STORIA_2_guerra_m.doc

 

Rivoluzione bolscevica

2 - EREDITA’ DELLA GRANDE GUERRA

Effetti del conflitto: non furono solo le carneficine, la distruzione di vite umane, lo sconvolgimento dei confini degli Stati.

  • La guerra fu la più grande esperienza di massa: 65 milioni di combattenti strappati alle proprie occupazioni.
  • Fu un acceleratore di fenomeni sociali e suscitò la convinzione della palingenesi.
  • Erano avvenuti mutamenti nel mondo del lavoro: erano subentrate le donne; le necessità dell’industria spostavano dalle campagne in città nuovi strati di lavoratori non qualificati; la conversione verso processi di pace induceva a pensare a organizzazioni diverse del lavoro.
  • Trasformazioni nella mentalità, nelle abitudini, nei costumi.

Con urgenza si pose il problema dei reduci e del loro reinserimento.

  • I soldati tornati dal fronte avevano preso coscienza di essere titolari di diritti, di aver maturato crediti: la terra a chi la lavora!
  • nasce il tipo sociale del “reduce di guerra”, nasce la mentalità “del combattente” fatto di fierezza, di attaccamento alla memoria dei morti, di cameratismo e di istintiva ostilità per la politica e i partiti.
  • Sorgono le associazioni di ex combattenti.

Il reinserimento dei reduci nel mondo del lavoro è difficile: chi aveva svolto funzioni di comando mal si adattava al lavoro subordinato. Gli ex combattenti si raggruppano in cooperative di lavoro  che diventano veri e propri gruppi di pressione.

Altro aspetto importante: la massificazione della politica:

  • la guerra aveva dimostrato l’importanza del principio di organizzazione applicato alle masse.
  • Per questo si accentua la nascita di partiti (PPI, PCI, PNF)  e sindacati (CGdL) (da Rinaldo Rigola a Ludovico D’Aragona) (CIL con Achille Grandi e Giovanni Gronchi), (UIL con Alceste de Ambris) con apparati organizzativi molto complessi e  centralizzati.
  • Acquistato spessore le manifestazioni pubbliche (comizi, dimostrazioni) basate sulla partecipazione diretta del popolo.
  • In Umbria un’inchiesta del prof. Guglielmo Masci evidenziò che al 1.1.1920 le leghe erano aumentate del 535% rispetto all’anteguerra.

Aspirazioni a un “ordine nuovo” erano comuni alla maggioranza degli Europei.

  • Quello russo? Lo auspicava Gramsci ed il suo gruppo di “Ordine Nuovo”
  • Un generico desiderio di pace e di giustizia sociale, una società più equa e più democratica. Molti lo auspicavano tra cattolici e liberali.

 

Conseguenze economiche:

  • tranne gli Usa, tutti gli stati belligeranti uscirono dal conflitto in condizioni di grave dissesto economico. La guerra aveva divorato molte risorse: in Italia ad es. pari al doppio del Pil dell’ultimo anno di pace.
  • Per far fronte all’emergenza si ricorse ad aumenti di tasse, a prestiti, sottoscrizioni, a debiti con Paesi amici (soprattutto con gli Usa).
  • Si sopperisce alla crisi stampando carta moneta: che porta inflazione, un fenomeno quasi sconosciuto agli inizi del ‘900.  Crescita dei prezzi in Italia di due volte e mezzo.
  • A fianco di alcuni che avevano fatto colossali guadagni (detti pescecani) c’erano strati sociali massacrati dall’inflazione (proprietari terrieri e possessori di immobili che riscuotevano canoni di affitto del tutto svalutati). L’inflazione erode i risparmi dei ceti medi, la crisi colpisce chi aveva un reddito fisso.
  • L’Europa perdeva la tradizionale supremazia commerciale favorendo l’avanzata di Usa e Giappone. Alcuni Paesi per salvarsi dalla crisi adottano la politica di protezionismo doganale (nazionalismo economico) contro la piena libertà degli scambi auspicata dal programma Wilson.
  • Restano in vita molti apparati burocratici: ministeri, sottosegretariati, commissariati destinati al controllo dei prezzi, alle pensioni di guerra, alla tutela del lavoro. Si rafforza la tendenza dei pubblici poteri.
  • Sostanzialmente l’economia europea, grazie al sostegno degli Stati (dazi, facilitazioni creditizie, nuove commesse…)in un primo tempo, sino alla fine del 1920, riuscì ad incrementare i livelli produttivi. Seguì poi la fase depressiva con gravi problemi di disoccupazione.

Il Biennio Rosso

In Italia, il movimento operaio negli anni 1919-20 fu protagonista di una impetuosa avanzata politica:

  • grande ventata rivoluzionaria,
  • ondata di agitazioni che consentì migliori livelli retributivi, riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore a parità di salario.
  • Fare come in Russia! Fu la parola d’ordine: ovunque (specialmente a Torino) si formarono i consigli operai che, sull’esempio dei Soviet russi si proponevano di rappresentare il proletariato.

In Francia e Inghilterra le classi dirigenti riuscirono a contenere le pressioni del mondo operaio.
In Germania, Austria e Ungheria si ebbero veri e propri tentativi rivoluzionari.
In Russia la rivoluzione d’ottobre da un lato aveva creato un grande entusiasmo tra le avanguardie rivoluzionarie di Europa; dall’altro aveva accentuato la frattura fra le avanguardie e il mondo operaio , legato ai partiti socialdemocratici e ai grandi sindacati. Tale contrasto fu sancito dalla Internazionale Comunista (III Internazionale) e con la fondazione in tutta Europa di partiti ispirati al modello bolscevico.

In Italia

  • L’economia presenta i tratti della crisi postbellica. Da un’economia  prevalentemente basata sul settore agricolo si passa ad una economia in cui il settore industriale e dei servizi si avviano ad essere predominanti.
  • L’Italia non conosce lo slancio industriale della Francia, in più l’Italia vive il forte squilibrio tra nord e sud della penisola.
  • La classe operaia reclama più potere in fabbrica, i contadini reclamano la “promessa della terra”, i ceti medi tendono a organizzarsi e mobilitarsi più che in passato.
  • La classe politica liberale che aveva presieduto alla guerra si trovò percorsa da fratture, isolata e contestata e non in grado di contrastare i fenomeni di mobilitazione di massa: finì  col perdere l’egemonia.

 

I Partiti

  • I partiti nuovi furono quello cattolico (PPI) e socialista (PSI) (in seguito quello fascista) che erano estranei alla tradizione dello Stato liberale.
  • Situazione nuova: la lotta sarà tra i partiti, tra i programmi e non tra gli uomini come nell’era giolittiana.
  • Il partito nuovo PPI:          primo segretario è Don Luigi Sturzo, programma di impostazione democratica (Ai liberi e forti!) ispirato alla dottrina cattolica ma laico e aconfessionale. Nasceva per porre un freno alla minaccia socialista. Nelle file del partito erano confluiti: eredi della DC, i capi delle leghe bianche, esponenti delle correnti clericali moderate. La nascita del PPI rappresenta una svolta positiva per la democrazia, la fine di una anomalia dopo la presa di Roma da parte dello Stato italiano. Altri punti caratterizzanti il programma: difesa della piccola e media proprietà contadina; autonomie locali; regioni e decentramento.

 

  • Altra grande novità il PSI. Crescita impetuosa tra il ’19 e il ‘20. Il PSI aveva all’interno varie correnti: prevalente quella di sinistra, detta massimalista che aveva come leader Giacinto Menotti Serrati e che aveva come obiettivo l’instaurazione della repubblica socialista: entusiasti della rivoluzione bolscevica.  In polemica erano i gruppi di estrema sinistra:  composti per lo più da giovani che si battevano per un coerente impegno rivoluzionario e più convinta adesione al comunismo russo. Tra questi gruppi c’era quello napoletano che faceva capo a Bordiga e quello torinese legato alla rivista “Ordine nuovo” guidato da Gramsci, Togliatti, Terracini, tutti affascinati dall’esperienza dei Soviet visti come strumenti di lotta contro la borghesia.

Finita la guerra il PSI era schierato su posizioni apertamente rivoluzionarie ma così: si precludeva un rapporto di collaborazione con le forze democratico-borghesi, spaventate dall’idea della dittatura proletaria; si feriva il patriottismo della borghesia; si fornivano argomenti all’oltranzismo nazionalista che difendeva i valori della vittoria.

  • Fasci di combattimento. Fondato a Milano da Benito Mussolini il 23 marzo 1919.  Politicamente schierato a sinistra all’inizio, chiedeva audaci riforme sociali: repubblica, suffragio universale. Ostentava acceso nazionalismo. Era ferocemente avverso ai socialisti. All’inizio il partito fascista raccolse adesioni eterogenee tra ex repubblicani, ex sindacalisti rivoluzionari, reduci di guerra. Evidenzia subito il carattere politico aggressivo : i fascisti furono infatti protagonisti del primo episodio di guerra civile dell’Italia postbellica, lo scontro con un corteo socialista avvenuto a Milano il 15 aprile 1919 culminato con l’incendio alla sede dell’”Avanti”. Segno del clima di intolleranza e violenza.

 

La “vittoria mutilata” e l’impresa di Fiume
L’Italia era uscita rafforzata dalla guerra: aveva raggiunto i “sospirati confini territoriali”.
Alla Conferenza di Versailles la delegazione italiana alla guida del Presidente Orlando e del Ministro degli Esteri Sonnino manifestò un atteggiamento ambiguo nel dover decidere se rimanere ancorata ai canoni delle vecchie diplomazie e pretendere il rispetto del Patto di Londra oppure (perseguendo l’amicizia con la Jugoslavia) rinunciare ai vantaggi territoriali in Dalmazia secondo la “politica della nazionalità”.
Orlando e Sonnino chiesero, oltre a quanto previsto nel Patto di Londra, l’annessione di Fiume. Si oppose Wilson che scavalca la delegazione inviando un messaggio al popolo italiano. La delegazione abbandona Versailles e al ritorno in Italia è accolta da manifestazioni patriottiche. Dopo un mese la delegazione è di nuovo a Parigi senza ottenere alcun risultato. Questo insuccesso segna la fine del Governo Orlando (dimissioni giugno ’19). Nuovo governo presieduto da Nitti. L’opinione pubblica mostra risentimento verso gli alleati. Gabriele D’Annunzio parla di “vittoria mutilata” per dire che gli alleati avevano defraudato l’Italia dei frutti della vittoria. La manifestazione più clamorosa: settembre 1919 alcuni reparti militari sotto la guida di D’Annunzio occupano Fiume. Proclamazione della repubblica del Carnaro. In 15 mesi l’occupazione rende possibile l’annessione di Fiume all’Italia. (esperienza politica in cui per la prima volta sono sperimentate nuove formule come i rituali collettivi (adunate coreografiche con dialoghi tra leader e la folla) che avranno largo seguito nel decennio successivo.

Le agitazioni sociali e le elezioni del 1919

  • Fra il 1919 e il 1920 fase di convulse agitazioni sociali e mutamenti degli equilibri politici.
  • I prezzi continuano ad aumentare con conseguenti tumulti contro il caro viveri. L’aumento del costo della vita determinò una rincorsa fra salari e prezzi.
  • Aumentano gli scioperi e il numero dei lavoratori coinvolti (scioperi coinvolgono per la prima volta anche il settore dei servizi pubblici). “Scioperomania”.

In Bassa Padania, dove prevaleva il bracciantato c’erano le leghe rosse (di ispirazione socialista, puntavano alla socializzazione della terra) e leghe bianche (di ispirazione cattolica, puntavano ad una migliore compartecipazione e sviluppo della piccola proprietà contadina). Pur lottando il più delle volte per analoghi obiettivi, si differenziano nell’obiettivo generale e di lungo periodo. Ne scaturivano lotte frammentarie che dimostravano la scarsa capacità di collegamento a livello nazionale.

  • Elezioni politiche del novembre 1919 sotto il governo Nitti sono precedute dall’adozione della legge elettorale col metodo proporzionale: favoriva i gruppi organizzati su base nazionale; esito disastroso per la vecchia classe dirigente liberale che perde circa 100 seggi (da 300 a 200), il PSI diventa il primo partito con il 32% e 156 seggi, il PPI il 20 % e 100 seggi. Si tratta di un risultato rivoluzionario (la cronaca del periodo è piena di violenze commesse da socialisti verso le sedi del PPI e di continui incidenti tra PSI e PPI) (il pericolo bolscevico è contrastato dal Ppi nei primi due anni) (al congresso di ottobre 1919 del PSI la mozione massimalista della conquista violenta del potere raccoglie i ¾ dei voti).
  • La frammentazione del sistema proporzionale non favorisce la formazione di una maggioranza omogenea e stabile. I socilaisti rifiutano la collaborazione coi borghesi: l’unica maggioranza possibile è quella tra popolari e liberali, ma molto precaria. Per cui altri Governi Nitti: il secondo nel marzo 1920, il terzo nel maggio 1920. Indebolito dall’esito elettorale il Governo Nitti sopravvisse fino al giugno 1920.

 

  • A costituire il nuovo governo fu chiamato l’80enne Giovanni Giolitti. Importante il discorso di Dronero (Piemonte): annuncia un programma avanzato: la nominatività dei titoli azionari (obbligo di intestare le azioni al nome del possessore per permetterne la tassazione) e un’imposta straordinaria sui “sovraprofitti” dell’industria bellica.
  • Giolitti fu chiamato soprattutto nella speranza che riuscisse a domare i socialisti.
  • I risultati migliori Giolitti li ottenne in politica estera: trattato di Rapallo (12 nov. 1920) firmato con la Jugoslavia: l’Italia conserva Trieste, Gorizia, e l’Istria, tranne Fiume dichiarata città libera. La Jugoslavia ebbe la Dalmazia, tranne Zara assegnata all’Italia. A Fiume, D’Annunzio annunciò la resistenza a oltranza ma quando il 25 dicembre 1920 le truppe regolari attaccarono la città, D’Annunzio abbandona.
  • In politica interna ci sono difficoltà: il governo non riesce a far approvare i disegni di cui sopra; opta per la liberalizzazione del prezzo del pane, ma crea scontento; non riesce a ridimensionare la spinta del movimento operaio, dei socialisti e dei popolari. I conflitti sociali culminano con l’agitazione dei metalmeccanici, sfociati nell’occupazione delle fabbriche: l’esaltazione derivante dall’esperienza russa dei Consigli di fabbrica crea allarmismo tra gli industriali che temono l’imminente crisi produttiva.  Si schierano due fronti opposti: chi vuole realizzare la rivoluzione comunista e chi voleva difendere a tutti i costi la propria azienda.

 

  • Di grande rilievo l’occupazione delle fabbriche: dopo il congresso Fiom (maggio 1920) il sindacato iniziò a fare richieste economiche e normative (aumenti salariali del 4%, maggiorazioni per lavoro straordinario e notturno, ferie pagate di 12 giorni, adeguamento dell’indennità di licenziamento, controllo operaio sindacale delle aziende): gli industriali opposero un netto rifiuto. Alla fine di agosto 1920, in risposta alla chiusura degli stabilimenti dell’Alfa (azienda metallurgica milanese), la Fiom ordinò di occupare le fabbriche: in quasi tutte le fabbriche furono issate bandiere rosse con servizi armati di vigilanza. Parecchi lavoratori vissero questa esperienza come l’inizio di un moto rivoluzionario. In realtà il movimento, pur desideroso di spostarsi su un piano politico, non fu in gradi di uscire dalle fabbriche. Nemmeno i giovani di “Ordine Nuovo” (Gramsci) sapevano sul modo di come spostare il movimento dal terreno della vertenza sindacale a quello dell’attacco allo Stato.
  • Chi doveva prendere l’iniziativa: il partito o il sindacato? Questo era il dilemma del mondo socialista: prevalse la linea della CGL che proponeva il controllo operaio sindacale delle aziende. Ma prevalse anche la linea mediatrice di Giolitti, attento ad una linea di rigorosa neutralità: resistette alla richiesta degli industriali di intervento armato. L’occupazione si concluse come volle Giolitti: con la costituzione di una Commissione paritetica per l’elaborazione del progetto di legge per il controllo operaio nelle aziende.
  • Sul piano sindacale gli operaio apparivano i vincitori; sul piano politico furono delusi rispetto alle attese, anche perché gli industriali prima promettono di concedere il controllo operaio, poi si ritirano coltivando ambizioni di rivincita.
  • l’occupazione lasciò nel movimento operaio molte recriminazioni e polemiche: i dirigenti riformisti della Cgl erano accusati di aver svenduto la rivoluzione in cambio di accordi sindacali. La direzione massimalista del Psi era attaccata dalla sinistra ordinovista per il comportamento incerto. Tali polemiche si intrecciavano con le fratture provocate dal II Congresso del Comintern o Terza Internazionale (dove erano state fissate le condizioni per l’ammissione dei partiti operai all’Internazionale Comunista). I punti più controversi furono 2:
  • L’ingiunzione ai partiti aderenti ad assumere la denominazione di “Partito Comunista”
  • L’espulsione degli elementi “riformisti e centristi”

I massimalisti rifiutarono di accettare tali ingiunzioni perché le ritenevano lesive dell’autonomia del partito e perché sapevano che espellendo i riformisti il Psi si sarebbe indebolito.
Al Congresso di Livorno del Psi (gennaio 1921) i riformisti non furono espulsi ma anzi fu una minoranza di sinistra ad abbandonare il Psi per fondare il PCI partito comunista d’Italia.

  • Va anche ricordata la netta affermazione socialista alle aministrative dell’ottobre 1920. Su 8327 comuni i socialisti ebbero la maggioranza in 2166 comuni, i popolari in 1650.

 

Il fascismo agrario e le elezioni del 1921

  • Dopo anni di lotte, la classe operaia accuso i colpi della crisi recessiva: aumenta la disoccupazione, perdita del potere contrattuale, senso di stanchezza per le lotte operaie.
  • Il fascismo fino all’autunno del 1920 ha un ruolo marginale: nell’elezioni del 1919 non ottiene alcun seggio. Ma tra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 il movimento crea strutture paramilitari, le squadre d’azione, che lottano prevalentemente contro i socialisti. Le leghe rosse e le cooperative rosse controllavano il mercato del lavoro e nella lotta avevano consolidato non pochi aspetti autoritari.
  • Le cose cambiano quando l’offensiva fascista si fa largo nell’edificio delle organizzazioni rosse. Atto di nascita del fascismo agrario è individuato nei fatti del Palazzo d’Accursio (Bologna 21 novembre 1920) dove i fascisti si mobilitarono per impedire la cerimonia d’insediamento della nuova amministrazione socialista. Scontri e sparatorie. Per errore i socialisti spararono tra la folla provocando una decina di morti: ritorsioni pesantissime dei fascisti.
  • Le file fasciste si arricchirono di numerosi sostenitori. I proprietari terrieri scoprirono che i Fasci erano lo strumento migliore per combattere il potere delle leghe rosse. In breve tempo lo squadrismo dilagò in tutta la Pianura Padana, estendendosi nelle campagne umbre e toscane. Quasi assente nel Sud (a parte la Puglia). Obiettivi degli squadristi erano comuni ovunque:
  • Municipi
  • Camere del lavoro
  • Case del popolo
  • Dirigenti socialisti, anche dirigenti cattolici.

Tutto ciò veniva sistematicamente distrutto e violentato.
Il successo travolgente dell’offensiva squadrista è dovuto a:

  • Errori dei socialisti
  • Impunità per il sostegno della classe dirigente, degli apparati statali
  • La forza pubblica nelle lotte contro i rossi non si oppose quasi mai agli squadristi
  • Sostegno della magistratura
  • Pesanti responsabilità del Governo.
  • Giolitti guardò al fenomeno con qualche compiacenza pensando di servirsene per ridurre le pretese socialiste, pensando addirittura di “costituzionalizzarlo” in seguito.

 

Elezioni del 15 maggio 1921.
Le elezioni furono volute da Giolitti contro il parere di Filippo Meda (al Tesoro, guidava la delegazione del PPI), dopo aver influenzato il Re. La campagna fu condotta da Giolitti e Corradini (Sottosegretario agli Interni) contro i socialisti e contro i popolari, che non avevano accettato di far parte dei blocchi
Favoriscono l’ingresso dei fascisti nei “blocchi nazionali” (liste di coalizione in cui esponenti di vari gruppi, conservatori-liberali-democratici, si unirono per impedire una nuova affermazione dei partiti di massa.)
I Fascisti così ottengono una legittimazione da parte della classe dirigente ma pochi seggi (35); I socialisti scendono dal 32% al 25% (122 seggi), i comunisti 5% (16 seggi), i Popolari consolidano il loro gruppo da 100 a 107 seggi, i Liberal-democratici migliorano le loro posizioni (275 seggi) ma non tanto da avere il controllo del Parlamento.
La più grande novità fu l’ingresso dei 35 deputati fascisti capeggiati da Mussolini.

 

Agonia dello Stato Liberale

  • L’esito delle elezioni del maggio ’21 mette fine al governo Giolitti. Egli non accettò il reincarico perché sapeva che i popolari non gli avrebbero concesso i pieni poteri da lui richiesti per la riforma burocratica. Dopo il rifiuto di De Nicola, Presidente della Camera, gli succede l’ex socialista Bonomi che forma un ministero ancora con l’appoggio dei Popolari.
  • La questione più scottante era l’ordine pubblico: nel giro di pochi mesi le forze fasciste erano triplicate: dal 31 marzo al 31 maggio sezioni fasciste da 317 a 1001, aderenti da 80.476 a 187.098. Negli scontri tra fascisti e socialisti tra il 1 gennaio 1921 e il 7 aprile 1921 ci sono 102 morti e 388 feriti, dal 16 al 31 maggio 71 morti e 216 feriti.
  • Nell’agosto del ’21 firma del patto di pacificazione tra socialisti e fascisti (generico impegno alla rinuncia della violenza e a sciogliere le rispettive squadre d’azione).  Dura l’espace d’un matin.
  • Il patto non era condiviso dai fascisti più intransigenti, i ras (nome ricalcato dai signori feudali etiopici). Ma Mussolini riesce a ricomporre la frattura al congresso dei Fasci a Roma (nov ’21): i Ras (Grandi a Bologna, Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara) riconobbero la leadership di Mussolini e la trasformazione del movimento in Partito. Nasce il Partito Nazionale Fascista. (200.000 iscritti).

 

  • Mentre il fascismo acquistava forza e compattezza il governo Bonomi si indeboliva, anche perché il gruppo di Giolitti non gli dava un appoggio entusiastico.
  • Si sommano problemi di ordine economico (falimento banca Italiana di Sconto) con quelli di ordine pubblico. Si incrociano il veto di Sturzo a Giolitti con la sfiducia giolittiana a Bonomi.
  • Lunga crisi del febbraio 1922. Prima incarico a De Nicola (i giolittiani non approvano un ddl sugli escomi delle scuole private), poi a Orlando (voleva fiducia cieca per formare un gabinetto con partecipazione dei fascisti), poi a Bonomi (presentatosi alle Camere non ottiene la fiducia), poi a Giolitti (veto di Sturzo e dei popolari; Giolitti allora chiede a De Nicola e Orlando di formare insieme un Ministero, ma rifiutano); un secondo tentativo di De Nicola- Orlando fallisce per il rifiuto di Facta di partecipare al Governo; poi Meda non accetta (con disappunto di Sturzo). Infine la guida del governo è affidata a Luigi Facta (Sturzo esprime parere sfavorevole, ma il gruppo popolare decide di appoggiarlo).
  • Facta è un giolittiano dalla personalità sbiadita : l’agonia dello Stato Liberale entra nella fase culminante. La scarsa autorità del governo favorisce il dilagare della violenza squadrista.
  • Alle violenze fasciste i socialisti non oppongono risposte efficaci né sul piano della tattica parlamentare, né su quello della mobilitazione. Inutile la decisione del gruppo parlamentare, a luglio, di ribellarsi alla linea intransigente della direzione, dichiarando la disponibilità ad appoggiare un governo di coalizione democratica. Anzi, il 1 agosto ’22 il sindacato proclama uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali, che di fatto fallisce.
  • I Fascisti colgono questo pretesto per atteggiarsi a custodi dell’ordine e lanciare nuove offensive contro gli operai e i socialisti. La lotta si protrasse per una settimana in cui le camicie nere si scatenarono contro sezioni, circoli e organizzazioni sindacali.
  • Il movimento operaio esce dalla prova moralmente e materialmente distrutto. Ottobre ’22 in un congresso a Roma i riformisti guidati da Turati abbandonano il Psi e fondano il Partito Socialista Unitario.

 

Bibliografia consigliata

 

P. Alatri – Le origini del fascismo, Editori Riuniti, Roma, 1971.

E. Carr – Illusioni e realtà della rivoluzione russa, Einaudi, Torino, 1970.

L. Salvatorelli – Ventanni tra due guerre, Edizioni italiane, Roma , 1946.

K. Polanyi – La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974.

E. J. Hobsbawm - Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997.

Letture consigliate

– La parola chiave: Soviet. In: A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto – Manuale di storia, 3. L’ età contemporanea, Editori LATERZA, Roma - Bari, 1997.

Lenin e le tesi di Aprile. In: A. Aruffo, C. Adagio, F. Marri, M. Ostoni, L. Pirola, S. Urso -  Geografia della storia, Lo scontro per la supremazia mondiale 3/1, Cappelli editore, Bologna, 1998.

 

Il fascismo come lotta di classe della piccola borghesia. In:
A. Camera R. Fabietti – Elementi di storia -  L’ età contemporanea vol. 3, terza edizione, Zanichelli, Bologna, 1987.

LETTURE

SOVIET

 

Il termine «soviet» altro non è che il corrispettivo russo di «consiglio» e indica quegli organismi rivoluzionari espressi direttamente dai lavoratori, che, sorti a Pietroburgo durante la rivoluzione russa del 1905 (cfr. 18.8), avrebbero poi costruito, almeno in teoria, la struttura         fondamentale dello Stato nato dalla ri­voluzione bolscevica dell'ottobre '17: Stato che avrebbe portato appunto il nome di Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (o Unione Sovietica).
Nel primo dopoguerra, l'esperienza dei soviet rappresentò per tutta la sinistra rivoluzionaria un esempio da seguire e un miti cui ispirarsi. In tutti i maggiori paesi europei si formarono, all’ interno delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio, gruppi “consiliari”, poi in buona parte confluiti nei partiti comunisti. Questi gruppi contestavano le forme tradizionali di rappresentanza politica e sindacale e vedevano nei consigli un organo di democrazia diretta (in cui i delegati dovevano essere espressi dalle asssemblee e potevano essere revocati in qualsiasi momento) e al tempo stesso la cellula attrverso cui realizzare la gestione dei processi produttivi da parte dei lavoratori.
La fortuna delle ideologie consiliari: (o «soviettiste») declinò rapidamente nel corso degli anni '20: sia per il riflus­so generale dell'ondata rivoluzionaria seguita alla fine della guerra; sia per le vicende stesse dell’ Urss, dove i soviet furono ben presto ridotti a una funzio­ne puramente simbolica e di facciata (mentre il potere reale era assunto dalle organizzazioni di partito). Una ripresa delle tematiche consiliari si ebbe in Europa molto più tardi, per opera dei movimenti di contestazione studentesca e operaia del 1968 (cfr. 34.7 e 36.4): movimenti che impostarono le loro lotte tutta sul primato dell'assemblea e sul rifiuto della «democrazia delegata».

 

Lenin e le «tesi di aprile»

14 aprile 1917, di ritorno dall'esilio, Lenin propose ai rappresentanti bolscevichi di Pietroburgo un forte programma di lotta che si prefiggeva l'obiettivo di accelarare il passaggio della rivoluzione dalla, fase borghese, che era quella caratterizzata dai  Lvov e dai Kerenski, ad una fase più avanzata «che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini». Le tesi di aprile contenevano innuce il programma d'azione immediata contro il governo provvisorio e il programma a più lontana scadenza della rivoluzione proletaria.
1. Nel nostro atteggiamento verso la guerra che, da parte della Russia, anche sotto il nuovo gover­no di L'vov e soci, rimane incontestabilmente una guerra imperialistica di brigantaggio, in forza del carattere capitalistico di questo governo, non è ammissibile la benché minima concessione al «di­fensismo rivoluzionario».
Il proletariato cosciente può dare il suo consenso a una guerra rivoluzionaria, che giustifichi real­mente il difensismo rivoluzionario, solo alle se­guenti condizioni; a) passaggio del potere al pro­letariato e agli strati più poveri dei contadini che si schierano dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non verbale, a qualsiasi annessione; c) rottura completa ed effettiva con tutti gli interessi del ca­pitale.
2. L'originalità dell'attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima fase della rivo­luzone, che ha dato il potere alla borghesia a cau­sa dell'insufficiente grado di coscienza e di orga­nizzazione del proletariato, alla sua seconda fase, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini. Questo passaggio è caratte­rizzato, anzitutto, dal massimo di possibilità legali (fra tutti i paesi belligeranti la Russia è oggi il paese più libero del mondo), inoltre, dall'assenza di violenza contro le masse nel governo dei capi­talisti, che sono i peggiori nemici della pace e del socialismo.
3. Non appoggiare in alcun modo il governo prov­visorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo, invece di «rivendicare» - ciò che è inam­missibile e semina illusione - che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialistico. 4. Riconoscere che il nostro partito è in minoran­za, e costituisce per ora un'esigua minoranza, nella maggior parte dei soviet dei deputati operai, dì fronte al blocco di tutti gli elementi opportunisti piccolo-borghesi, che sono soggetti all'influenza della borghesia e che estendono questa influenza al proletariato. [...]
Spiegare alle masse che i soviet dei deputati ope­rai sono l'unica forma possibile di governo rivolu­zionario e che, pertanto, fino a che questo gover­no sarà sottomesso all'influenza della borghesia,
il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistemati­co, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici. gli errori della loro tattica. [...] 5. Niente repubblica parlamentare, - ritornare a essa dopo i soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro, - ma repubblica dei soviet di de­putati degli operai, dei salariati agricoli e dei con­tadini in tutto il paese, dal basso in alto. Sopprimere la polizia, l'esercito e il corpo dei fun­zionari.
Lo stipendio dei funzionari - tutti eleggibili e revo­cabili in qualsiasi momento - non deve superare il salario medio di un buon operaio.
6. Nel programma agrario spostare il centro di gra­vità sul soviet dei deputati dei salariati agricoli. Confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie. Na­zionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione dei soviet locali di deputati dei sala­riati agricoli e dei contadini. Costituire i soviet di deputati dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a 300 desiatine circa, secondo le condizioni locali, ecc e su decisione degli organi­smi locali) un'azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposta al controllo dei soviet di deputati dei salariati agricoli.
7. Fusione immediata di tutte le banche del pae­se in un'unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei soviet dei deputati operai.
8. Il nostro compito immediato non è ('«instaura­zione» del socialismo, ma per ora, soltanto il pas­saggio al controllo della produzione sociale e del­la ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai.
9. Compiti del partito:
a) convocare immediatamente il congresso del partito;
b) modificare il programma del partito, principal­mente: sull'imperialismo e sulla guerra imperiali­stica; sull'atteggiamento verso lo Stato e sulla no­stra rivendicazione dello «Stato-Comune»; emenda­re il programma minimo, ormai invecchiato; c) cambiare il nome del partito. 10. Rinnovare l'internazionale. [...]
(Da Lenin, Opere, Editori Riuniti, Roma, 1966, voi. XXIV, pp. 11-14)

 

Il fascismo come «lotta di classe» della piccola borghesia 

Il Salvatorelli identifica il fascismo con la «reazione antiproletaria a pro dell'alta burghesia»: la sua analisi non mira pertanto ad infirmare questa verità fonda­mentale, ma piuttosto a specificare meglio il carattere proprio e le modalità particolari di tale reazione. Egli vuole capire non solo che cosa il fascismo sia “oggettivamente”, ma altresì che cosa pretenda di essere nelle velleitarie intenzioni dei suoi capi e dei suoi adepti.

Il fascismo rappresenta la «lotta di classe» della piccola borghesia, incastrantesi fra capitalismo e proletariato, come il terzo fra i due litiganti. Detto questo, è insieme spiegato il fenomeno  della duplicità contraddittoria delle «due facce», delle «due anime», che tanto ha dato da fare hai critici del fascismo. In realtà il fascismo è uno; ma appunto perchè si contrappone contemporaneamente a due forze sociali tra loro opposte – anche se complementari – esso acquista connotati differenti secondochè lo si guardi nela sua impostazione anticapitalistica o in quella antiproletaria. Parlare di anticapitalismo fascista parrà un assurdo a molti, anche fasciofili, anche fascisti; eppure esso è una realtà. Si ricordino le dichiarazioni  esplicite e frequenti, nel campo fascista, contro la plutocrazia, la borghesia, le vecchie classi dirigenti, dichiarazioni che si accordano così bene con leorigini e l’ attività passata della maggior parte dei capi fascisti, e che si avrebbe assolutamente torto a considerare come opportunistiche e ipocrite. A quelle dichiarazioni, invero, sono seguitiv i fatti; è seguito cioè lo spossessamento politico – sia pure parziale – di quelle vecchie classi dirigenti che, se anche non rappresentavano organicamente e durettamente i ceti capitalistici, erano tuttavia con essi in stretti rapporti e ne traevano parte dei loro elementi. E oggi noi vediamo il sindacalismo fascista mostrare chiaramente la tendenza ad assorbire le organizzazio­ni padronali, industriali ed agrarie, che è quanto dire sopprimere l'organizzazione sindacale del capitalismo; mentre i teorici e i polemisti del fascismo affermano, più risolutamente che mai, dover la Nazio­ne e lo Stato nazionale assorbire e sopprimere le clas­si: quella capitalistica non meno di quella proletaria. Se, tuttavia, la lotta fascista si è svolta finora, prevalentemente – o addirittura esclusivamente, per ciò che riguarda i risultati specifici effettivi, almeno nel campo economico-sociale - contro il proletariato, ciò è dipeso da una quantità di cause: psicologia piccolo-borghese, più avversa, nel momento della efflorescenza operaia postbellica, ai proletari che ai capitalisti; presunta imminenza, nel dopoguerra italiano della rivoluzione proletaria, giudicata pertanto come il pericolo più urgente; ferrea coercizione delle realtà materiali  costringenti a cercare appoggio nel capitalismo contro il proletariato ed approfittare della tolleranza  e delle connivenze statali, assai più facili ad aversi contro il secondo che non contro il primo; infine il patriottismo piccolo-borghese, naturalmente rivogentesi, nella sua grossolanità impulsiva e nella sua retorica miope, contro il proletariato che pareva negare la patria mentre l'alta borghesia aveva avuta sempre l’ accortezza non solo d’ affermarla, ma di identificarsi con essa. Con questo siamo giunti al punto decisivo nel processo di cristallizzazione del fascismo; e cioè all’ adozione, come propria idea centrale, del mito nazionalista da parte dei piccoli-borghesi, e quindi alla identificazione di nazionalismo e fascismo.
E’ oggettto di stipefazione per certi critici – ex interventisti – del fascismo (....) il fatto che questo dall’ interventismo rivoluzionario sia arrivato al nazionalismo reazionario; ma lo stupore non ha ragione d’ essere. In realtà, in Mussolini e nei mussoliniani non c’è stata, dal maggio 1915 ad oggi, trasformazione interiore, e tanto meno contraddizione.
Già da allora essi incentravano nel mito-Nazione ( nella Nazione, cioè, presa come entità astratta e valore unico e per sè stante ) tutto il loro movimento, e la loro contrapposizione così al neutralismo al neutralismo dell’ alta borghesia come al pacifismo del proletariato. Già allora il mito Nazione era per la piccola borghesia il vessillo della sua rivolta; la sua lotta di classe contro capitalismo e proletariato consisteva  nella negazione del concetto stesso di classe, e nella sua sostituzione con quello di Nazione. E non poteva essere diversamente; giacchè la piccola borghesia era troppo debole e inconssistente come classe organica – cioè detentrice di un potere e di una funzione economica – per poter lottare sul terreno classista contro le altre due, e per portarvi una sua ideologia.
In questa negazione della classe e della lotta di classe, e nella sua sostituzione col concetto astratto di Nazione , era già implicito tutto tutto l’ antiliberalismo sviluppatopoi dal movimento fascista; antiliberalismo che il nazionalsocialismo precursore aveva già teorizzato e proclamato. Che cosa è infatti la Nazione- mito del nazionalfascismo se non una legge trascendente che viene a imporsi, dal di fuori, alla società e alla storia,  negando quella libera lotta politica ed economica dei vari elementi sociali, nel cui riconoscimento consiste appunto il liberalismo? Antiliberalismo e antisocialismo fascista hanno una stessa radice ideale. Il fascismo è antisocialista perchè il socialismo mira a dare una coscienza ed una vita autonoma al proletariato, mentre esso, in nome della Nazione trascendente, nega il proletariato non meno della borghesia. Il fascismo è perfettamente sincero quando dichiara di non volere lo sfruttamento e l’ oppressione dei lavoratori, di volere, anzi, il loro bene e la loro prosperità. Ma questo bene e questa prosperità devono essere, anzichè libera creazione dei lavoratori stessi, dono paterno dello Stato-Nazione.(....)
Se il movimento fascista si riduce a lotta di classe  piccolo-borghese è nella mentalità della piccola borghesia che occorre cercarne la spiegazione finale. [...] La mentalità della piccola borghesia umanistica l si riassume in una parola sola: retorica.
Provenendo generalmente dalla scuola classica (e del resto anche quella tecnica e magistrale hanno in Italia, come è noto, scarsissimo carattere professionale), essa possiede la cosiddetta «cultura generale», che potrebbe definirsi «l'analfabetismo degli alfabeti».
Consiste essenzialmente, questa cultura generale in una infarinatura storico-letteraria, in cui la parte letteraria è puramente grammaticale e formalistica, mentre quella storica si riduce a un cumulo di date e di battaglie e di nomi sovrani, con la salsa d'una trasfigu­razione o d’ uno sfiguramento patriottico, di cui i due elementi essenziali sono l’ esaltazione di Roma e dell’ impero romano  come nostri antenati, e il racconto del Risorgimento ad usum Delphini. Tutto l'insegna­mento è una congerie di nozioni generiche, astratte, da imparare meccanicamente, senza stimolo al senso critico e senza contatto con il senso storico e la realtà attuale. Di qui, nella piccola borghesia umanistica, la tendenza all’ affermazione dogmatica, alla credulità dell’ ipse dixit, all’ esaltazione per il gesto e la parola usurpanti il posto dei fatti e delle idee, al fanatismo per la formula indiscussa e indiscutibile.
Gettato nella vita con questa bella preparazione, il piccolo-borghese non riesce a  sistemarsi alla peggio - quando pur non rimane totalmente spostato o disoccupato – se non sequestrandosi nuovamente dalla vita stessa, negli uffici burocratici, nelle aule scolastiche, o nell’ angusto ambito di una meschina attività professionale. Esso si raffigura così un mondo fantastico di astratto idealismo e ignora i valori effettivi del mondo moderno: e quando poi entra, come che sia, in contatto con questo, sente per esso un misto di repulsione moralistica e inintelligente e di invidiosa cupidigia. Il capitalista è per lui un pescecane sfruttatore, l’ operaio qualificato un parvenu ingiustamente favorito nei suoi confronti. Contro questo mondo, ch’ egli considera puramente materialistico, il piccolo-borghese eleva il suo mondo ideale; alla realtà economica delle classi producenti e lottanti egli contrappone il mito della Nazione astratta e trscendente , credendo d’ affermare così, di contro alle odiate classi produttrici, una superiorità morale; e considera, nel suo moralismo apolitico, come malvagi e venduti, come nemici della patria tutti coloro che non la riconoscono nel fantoccio esangue e senza forma ch’ egli si stringe al seno.

 

(da L. Salvatorelli, Nazionalfascismo, in Le origini del fascismo, a cura di M. Bartolotti, Bologna, Zanichelli, 1969).

Fonte: http://www.unipg.it/~scipol/tutor/uploads/lezione2_-_l_eredita__della_grande_guerra_001.doc

 

Rivoluzione bolscevica

 

 

Visita la nostra pagina principale

 

Rivoluzione bolscevica

 

Termini d' uso e privacy

 

 

 

 

Rivoluzione bolscevica