Rivoluzione copernicana

 


 

Rivoluzione copernicana

 

1. Il valore scientifico dell’ipotesi copernicana: oltre l’astronomia
Una breve sintesi sulle novità che, in campo scientifico, diffondeva la teoria di Copernico è indispensabile per comprenderne, succesivamente, il valore culturale.
Copernico, astronomo e matematico di formazione neoplatonica, era nato in Polonia ma aveva condotto i suoi  maggiori studi in Italia, presso le Università di Padova, Bologna e Ferrara. Il suo capolavoro – come abbiamo già ricordato – fu pubblicato nel 1543 ma già nei primi anni del secolo egli aveva elaborato le linee fondamentali del suo pensiero. Solo nel 1530 egli pubblicò un breve estratto in merito alle sue ricerche; è interessante osservare come questa pubblicazione ottenne l’approvazione del papa Clemente VII, il quale anzi pregò l’autore di ripubblicarla in modo più ampio. Questo interesse dell’autorità pontificia dimostra il carattere strettamente tecnico degli studi di Copernico, che non lasciavano affatto trapelare quel pericolo per le istituzioni tradizionali che, più tardi, avrebbero acquistato. Nel 1616, infatti, l’opera di Copernico fu messa all’Indice.
Il testo definitivo  di Copernico, pubblicato nell’anno stesso della sua morte, costituiva una ricerca che riguardava i dettagli più astrusi ed oscuri dell’astronomia; lo scienziato si limitava ad attribuire al sole molte funzioni che, sino ad allora, era state associate alla terra. Il De Revolutionibus sostanzialmente, si presentava come una riforma delle concezioni fondamentali dell’astronomia.
Dal punto di vista strettamente scientifico, la teoria  copernicana presentava obiezioni di difficile soluzione, in particolare di ordine fisico. L’ipotesi che la terra si muovesse sembrava in contraddizione con tutta una serie di fenomeni che sulla terra si verificano, riguardanti sia i corpi inanimati sia gli esseri viventi. Copernico, d’altronde, non era in grado di rispondere a queste obiezioni, proprio perché, dal punto di vista della fisica, non aveva ancora conoscenze adeguate per rendere fra loro coerenti e il movimento della terra e il comportamento fisico dei corpi terrestri. Alcune obiezioni che personalità scientifiche opponevano all’idea che la terra si muovesse possono oggi farci sorridere, ma allora costituivano argomentazioni di indubbia efficacia: se la terra si fosse mossa, sulla sua superficie avrebbe dovuto esserci un tale vento da rendere impossibile la vita delle diverse specie animali; inoltre, il movimento della terra contraddiceva la caduta dei gravi su una linea perpendicolare rispetto alla superficie terrestre. Se la terra si fosse mossa – obiettavano i sostenitori dell’immobilità del globo terrestre – il grave sarebbe caduto obliquamente; gli uccelli inoltre, durante il volo, avrebbero dovuto vedersi slittare la terra sotto le zampe e la loro esistenza sarebbe stata quanto mai precaria.
A queste e ad altre obiezioni simili, Copernico non riusciva a fornire risposte adeguate; le argomentazioni a sostegno della verità fisica della sua ipotesi potevano valere solo per chi già era convinto della verità del nuovo sistema dell’universo, ma non avevano il carattere di prova.
Comprendiamo allora perché la teoria copernicana fonda l’intera scienza moderna, dà cioè avvio a quel fenomeno storico noto come rivoluzione scientifica: l’ipotesi copernicana dell’universo non riguardava solo l’astronomia ma coinvolgeva in modo ancora più determinante la fisica. La teoria copernicana potrà dirsi definitivamente legittimata solo quando si giustificherà, dal punto di vista fisico, la possibilità del movimento terrestre. La rivoluzione scientifica, allora, prende spunto dall’astronomia ma coinvolge in modo più specifico la fisica. Solo quando, grazie all’opera di Galilei, Cartesio, Leibniz e Newton, si arriverà a matematizzare la fisica, scoprendo i principi fondamentali del movimento dei corpi e della caduta dei gravi, il problema copernicano sarà definitivamente risolto e l’uomo avrà finalmente un sicuro metodo d’indagine per studiare i fenomeni naturali.

2. Il carattere conservatore della teoria copernicana
Copernico non era affatto consapevole del carattere dirompente della sua teoria, neanche dal punto di vista scientifico. Anzi, al di là dell’inversione delle funzioni del sole e della terra, la sua visione dell’universo rinnovava molto poco l’astronomia tradizionale.
Egli si opponeva alla concezione del cosmo elaborata da Aristotele nel De Coelo e successivamente sistematizzata, dal punto di vista matematico, dall’astronomo Tolomeo. L’universo copernicano, dunque, si poneva come alternativa a quello tolemaico. Copernico era stato spinto alla nuova ipotesi da alcune insufficienze tecniche che, con l’andar del tempo, la teoria di Tolomeo aveva mostrato: alcuni problemi relativi al movimento dei pianeti, e  osservati a occhio nudo, non venivano risolti dal sistema toleimaico. Queste difficoltà avevano dato origine a diverse versioni astronomiche dello stesso sistema per cui si può affermare che, all’epoca di Copernico, non esisteva un solo sistema tolemaico, bensì parecchi e spesso in contraddizione fra di loro. Si capisce allora perché, all’interno dell’ambiente scientifico, si avvertisse la necessità di una teoria alternativa, in grado di risolvere questa confusione che regnava fra gli studiosi.
Copernico, ad onta della fama che acquisterà la sua teoria, voleva presentarsi come un riformatore e non come un rivoluzionario. Del vecchio universo aristotelico, che sarà confutato nei suoi principali aspetti dai successivi astronomi copernicani, egli accettava quasi tutto, anche le ipotesi più improbabili. Egli riteneva, ad esempio, che non fossero i pianeti a muoversi ma delle sfere trasparenti cui essi erano legati. L’ipotesi di queste sfere era stata elaborata da Aristotele per spiegare l’origine del movimento: il confine dell’universo (il cielo delle stelle fisse) sarebbe stato mosso all’inizio dalla divinità; quindi il movimento si sarebbe trasmesso a tutti gli altri esseri dell’universo grazie a quelle sfere che, concatenate fra di loro, avrebbero costituito un grande meccanismo, che spiegava il diffondersi del movimento, altrimenti non risolto. Copernico accettava inoltre l’idea di una differente qualità materiale fra modo sublunare e mondo sovralunare e, in alcuni casi, si dimostra più aristotelico degli stessi aristotelici. Non a caso uno studioso che ha dedicato un bello studio all’argomento, Thomas Kuhn, ha parlato di Copernico come dell’ “ultimo astronomo tolemaico”.

3. Il problema della prefazione di Osiander
Nell’approfondire la personalità intellettuale di Niccolò Copernico, gli studiosi si trovano di fronte a una difficoltà sorprendente: è impossibile per noi stabilire se Copernico credesse o meno nella verità fisica della propria teoria. Abbiamo ricordato, infatti, come  l’ipotesi di Copernico si scontrasse con oggettive difficoltà di ordine fisico che neppure lo scienziato sapeva risolvere. Ma soprattutto, al momento della pubblicazione dell’opera, avvenne un fatto destinato a suscitare, in proposito, parecchia confusione.
Il De Revolutionibus venne pubblicato nel 1543 e la prima stampa venne portata a Copernico praticamente sul letto di morte. L’opera venne edita con un’introduzione dovuta a un teologo, Andrea Hosemann, detto Osiander, il quale propose delle affermazioni molto impegnative e, per noi, di estremo interesse. Secondo Osiander, il contenuto dell’opera voleva essere una semplice ipotesi matematica, senza alcuna pretesa di voler rispecchiare la realtà fisica. Copernico, in altre parole, non avrebbe avuto alcuna intenzione di proporre una visione radicalmente alternativa dell’universo, ma avrebbe invece voluto dimostrare che un’ipotesi d’inversione planetaria, quella che poneva il sole al centro dell’universo e la terra in orbita intorno ad esso, poteva egualmente essere provata dal punto di vista matematico.
Quanto affermato da Osiander sembra trovare conferma in alcuni aspetti dello scritto; innanzitutto – come abbiamo già osservato – si tratta sostanzialmente di un’opera matematica, che propone una serie di calcoli tesi a dimostrare la plausibilità, da un punto di vista teorico, dell’ipotesi eliocentrica. D’altra parte, nel proporre queste valutazioni, Copernico voleva risolvere alcuni problemi di ordine astronomico che i calcoli tolemaici non riuscivano a chiarire. Al di là dell’aspetto teorico, lo scienziato sembrava accreditare l’idea che l’ipotesi copernicana fosse più aderente alla realtà astronomica e risolvesse con maggiore semplicità alcuni rilevanti questioni relative al movimento degli astri.
Inoltre, in alcuni passi, Copernico sembra voler rispondere anche ad alcune obiezioni di ordine fisico che alla sua teoria erano state avanzate; sono risposte non convincenti, eppure il fatto che l’astronomo sentisse il bisogno di proporle lascia il sospetto che egli ritenesse la propria teoria ben più che un’ipotesi matematica. Per esempio, all’obiezione secondo la quale, se la terra si fosse realmente mossa avrebbe dovuto sfasciarsi, Copernico opponeva la constatazione che tale fenomeno sarebbe allora dovuto valere per tutti gli altri pianeti, il cui movimento era evidente.
Alcuni studiosi hanno allora proposto l’idea che Osiander, in quanto teologo, avesse scorto i reali pericoli insiti nella nuova ipotesi astronomica e avesse voluto realizzare una sorta di censura preventiva, per evitare conclusioni pericolose alla stabilità dell’ordine religioso. Nessuna delle ipotesi che abbiamo illustrato può essere confermata: proprio il fatto che Copernico muoia nell’imminenza della pubblicazione, ci priva di una sua presa di posizione a favore o contro l’introduzione di Osiander e lascia irrisolto il dubbio sul valore di queste afermazioni.
Emerge allora un fatto per noi fondamentale: il valore culturale – o metaforico – della rivoluzione copernicana, non appare affatto agli scienziati che, nel secolo XVI e XVII la sostengono, ma appare evidente agli altri uomini di cultura: teologi, filosofi e altri intellettuali. Ecco perché alcuni tendono a reprimere e diminuire i possibili significati di questa scoperta scientifica; altri (Cusano o Bruno) a esaltarne le straordinarie conseguenze di ordine culturale.

4. Le conseguenze di ordine culturale del copernicanesimo
Da quanto abbiamo detto in queste conversazioni, dovrebbe apparirci chiaro il carattere dirompente del copernicanesimo. La teoria copernicana investiva non solo il problema della struttura dell’universo, ma l’intero rapporto del’uomo con il cosmo e con Dio. Non costituiva solamente una revisione strettamente tecnica dell’astronomia, ma diventava il centro delle drammatiche controversie  che si ebbero in ambito religioso, filosofico e sociale, nei due secoli succesivi, e che fissarono l’orientamento del pensiero moderno.
La rivoluzione copernicana determinò quindi una radicale trasformazione nel sistema di valori dell’uomo occidentale.
L’obiezione maggiore che veniva rivolta alla teoria copernicana riguardava il fatto che la nuova ipotesi astronomica contraddiceva alcuni passi delle Sacre Scritture; non solo le autorità cattoliche, ma anche quelle delle recenti religioni cristiane riformate, con le loro più rappresentative personalità – Lutero e Calvino – si scagliarono con violenza contro la nuova sistematizzazione dell’universo, considerandola eretica. La Bibbia divenne una delle fonti preferite per tutti gli anti copernicani; i seguaci della dottrina di Copernico furono spesso apostrofati come atei, infedeli, corrotti.

5. Un tentativo di compromesso: il sistema ticonico di Brahe
Vorrei fare una precisazione parzialmente estranea alle intenzioni del corso, ma che sottolinea ulteriormente il carattere di drammatica novità costituito dalla teoria di Copernico.
Come abbiamo già affermato, l’insufficienza della teoria tolemaica era evidente a quasi tutto il mondo scientifico e l’esigenza di trovare ipotesi alternative che ne attenuassero le contraddizioni era avvertita dalla quasi totalità degli studiosi. Anche in ambiente ecclesiastico – nel quale, d’altronde, erano concentrate la maggiori personalità intellettuali dell’epoca – si guardava con interesse alle nuove ricerche. Nel contempo, era però viva l’esigenza di salvaguardare la fondatezza delle Sacre Scritture e di non smentirle con ipotesi troppo ardite.
Di fronte alle difficoltà e alle polemiche suscitate dalla teoria copernicana, uno dei più importanti astronomi mai esistiti, Ticho Brahe, ipotizzo una soluzione alternativa o, per meglio dire, di compromesso. All’esigenza scientifica di risolvere i problemi della concezione tolemaica egli univa uno spiccato senso diplomatico che gli suggeriva di non entrare in contrasto con le autorità ecclesiastiche.
Egli teorizzò una nuova ipotesi, passata alla storia come sistema ticonico, dove la terra rimaneva immobile al centro dell’universo con il sole che gli ruotava attorno, ma con tutti gli altri pianeti che, contemporaneamente, ruotavano intorno al sole. Si risolvevano in un solo colpo i problemi di ordine fisico e teologico del copernicanesimo e si rinnovava il vetusto sistema tolemaico; il sistema di Brahe, infatti, era perfettamente giustificabile dal punto di vista matematico e, rispetto all’ipotesi di Tolomeo, presentava gli stessi vantaggi conseguiti anni prima da Copernico.
Non c’è dubbio che la posizione di Brahe si presenta come estremamente conservatrice; il suo scopo è quello di opporsi al sistema copernicano – che avversò per tutta la vita – risolvendo le difficoltà proprie della concezione geocentrica. Nondimeno egli fu un grandissimo scienziato e uno straordinario osservatore; anzi, fu proprio il suo prestigio a ritardare l’adesione di molti astronomi alla teoria di Copernico.
Il suo sistema astronomico sostituì rapidamente quello tolemaico come punto di riferimento per quegli astronomi competenti che non riuscivano ad accettare l’idea che la terra si muovesse. Quando Galilei sostenne la sua tenace opera di difesa del copernicanesimo, la maggior parte dei suoi interlocutori ecclesiastici erano per lo più convinti della verità del sistema ticonico.
L’ipotesi di Brahe d’altra parte è più interessante dal punto di vista culturale piuttosto che da quello scientifico; anche se rigorosamente dedotta da calcoli ineccepibili, l’idea di pensare un universo dalla conformazione così singolare era dovuta più a convinzioni ideologiche che scientifiche. Si trattava di far proseguire la scienza senza adirare l’autorità ecclesiastica; il che, dal punto di vista del rigore della ricerca, è alquanto discutibile.
Non a caso un personaggio come Galileo Galilei, un vero modello di coerenza scientifica, nutrirà sempre un grande disprezzo per Brahe, proprio per questo suo sacrificare le ragioni della scienza a opportunità di ordine culturale ad essa estranee. D’altra parte, anche l’atteggiamento di Galilei si manifesterà in parte condizionato da ragioni ideologiche: proprio a causa di questa personale disistima, egli si rifiuterà di prendere in considerazione alcuni studi astronomici di Brahe di considerevole valore, il che lo porterà a compiere degli errori teorici.

La posizione di Brahe è comunque estremamente indicativa perché ci fa comprendere come la scienza non sia una disciplina giustificabile unicamente da un punto di vista specialistico, ma trae risorse e motivazioni dal contesto politico-culturale in cui è inserita. E ci indica anche come le teorie scientifiche abbiano un valore che si estende al di là del loro contenuto particolare, per incidere in maniera esplicita sulle vicende umane. Nel caso che stiamo esaminando, la dottrina copernicana dispiega un nuovo modo di concepire il ruolo dell’uomo nel mondo destinato a sconvolgere le tradizioni sino ad allora dominanti e che spiegano le grandi difficoltà che la rivoluzione scientifica incontrerà per imporsi.

 

Fonte: http://www.liceomeda.it/new/documenti/materialedidattico/filosofia/rivoluzione_copernicana.doc

 

Rivoluzione copernicana

LA RIVOLUZIONE  COPERNICANA
L’osservazione dei corpi celesti ha  da sempre  affascinato e incuriosito lo spirito indagatore dell’uomo.
Nei cieli è possibile osservare  sia stabilità, nel corso dei secoli, sia movimenti ciclici e regolari.
Per un approccio di tipo scientifico è stato necessario costruire un <<modello>>  idoneo a
spiegare  quanto viene osservato e in grado di prevedere eventi futuri.
Intorno al IV secolo  a.C. si affermò  primo modello  cosmologico organicamente strutturato , riconosciuto e accettato dalla maggior parte degli astronomi e  filosofi  greci:
il modello dell’Universo a due sfere.
Secondo il suddetto modello L’Universo  è un’enorme sfera , al cui centro , fissa e immobile si trova la terra, sulla quale sono fissate le stelle . Questa grande sfera  compie in un giorno una rotazione completa intorno alla terra, rotazione che spiega il  moto giornaliero delle stelle.
Esse descrivono traiettorie circolari attorno alla stella polare, pur mantenendo invariate le  reciproche distanze. Per questo motivo la prima sfera era denominata sfera delle stelle fisse.
Per spiegare il moto del Sole si immaginava che esso fosse solidale ad un’altra sfera che partecipava al moto giornaliero della prima, ma possedeva anche un  moto  lento che la faceva ruotare in  verso contrario, compiendo un giro completo in un anno. L’asse della seconda sfera doveva avere un’opportuna inclinazione rispetto all’asse della prima per spiegare il moto annuale Nord-Sud del sole.


 

Ovviamente  il suddetto modello, detto geocentrico,  descrive il moto dei corpi celesti  come ci appare nel nostro riferimento, terrestre.Le traiettorie descritte dalle stelle  e dal sole ci appaiono quindi in buona approssimazione circolari,  ma non è così per le traiettorie descritte dai pianeti, il cui nome deriva dal greco “planetes”  ovvero” stelle erranti” I pianeti, pur muovendosi attorno alla Terra (da una visione geocentrica) compiono questi loro movimenti in modo irregolare

 

. La figura mostra come il moto apparente di un pianeta nel cielo talvolta (come nel caso dei pianeti esterni) abbia un aspetto “elicoidale” tracciando degli occhielli. Il pianeta quindi descrive alternativamente un moto diretto (nella direzione del moto del sole) ed un moto retrogrado (nella direzione opposta)
Il modello dell’universo a due sfere non si dimostrò quindi  idoneo a descrivere o spiegare il moto dei pianeti secondo i canoni di semplicità e perfezione
che, per la cultura del tempo, dovevano essere rispettate dai corpi celesti.

Nel IV secolo a.C., il filosofo Platone, alla ricerca di una soluzione che salvasse l’ipotesi del moto circolare, pose ai suoi allievi il seguente problema:
"Le stelle, rappresentando oggetti eterni, divini e immutabili, si muovono con velocità uniforme intorno alla Terra, come noi possiamo constatare, e descrivono la più regolare e perfetta di tutte le traiettorie, quella della circonferenza senza fine. Ma alcuni oggetti celesti, i pianeti, vagano attraverso il cielo e seguono cammini complessi, con inclusione anche di moti retrogradi. Tuttavia, essendo corpi celesti, anch’essi devono muoversi in maniera conforme al loro rango elevato: i loro moti devono derivare da qualche combinazione di cerchi perfetti, dal momento che non descrivono esattamente cerchi perfetti. Quali sono le combinazioni di moti circolari con velocità uniforme che possono spiegare questo comportamento così particolare in un insieme coerente di moti regolari nel cielo?"
Progetto Fisica, 2, Zanichelli, Bologna 1986, pag. 13
Il tentativo di rispondere a questo tipo di domanda fece sorgere diversi modelli, detti modelli geocentrici, perché avevano in comune l’ipotesi che la Terra, concepita come sfera, fosse al centro dell’Universo.
Una eccezione si ebbe nel terzo secolo a.C. quando l’astronomo greco Aristarco di Samo propose una soluzione eliocentrica che spiegava bene il moto delle stelle e dei pianeti, giustificando anche il fatto sorprendente che i pianeti sono più luminosi durante la fase del moto retrogrado ( in quanto più vicini alla terra). Questa ipotesi   fu però non solo trascurata ma anche osteggiata . Infatti l’idea che la  terra fosse in movimento risultava in netto contrasto con tutte le  dottrine filosofiche del tempo e con le osservazioni quotidiane e inoltre  era sicuramente  contraria al senso comune .

 

Il modello di Eudosso
Nel modello di Eudosso (IV secolo a.C.) i corpi celesti stanno su sfere concentriche rispetto alla Terra, che è considerata immobile al centro dell’Universo. La sfera più esterna è quella delle stelle fisse e si muove di moto circolare uniforme. Gli altri corpi celesti sono localizzati su 7 gruppi di sfere (sfere omocentriche): 3 per il Sole, 3 per la Luna, 4 per ciascuno dei cinque pianeti, per un totale di 27 sfere.
Le sfere sono tutte concentriche e ciascuna di esse all’interno del proprio gruppo ruota intorno a un asse differente.
Il corpo celeste relativo ad un gruppo è fissato alla sfera più interna e partecipa alla rotazione di tutte le sfere del gruppo. Con la combinazione di tutti questi moti circolari si ottengono traiettorie in grado di descrivere il moto reale dei corpi celesti.

Purtroppo il modello di Eudosso era alquanto complesso e artificioso, e inoltre, per cercare di rendere più coerente il sistema collegando tutte le sfere fra di loro necessitava l’aggiunta di altre sfere.
Tuttavia il modello ebbe la fortuna di essere incorporato nella più importante teoria cosmologica che sia stata sviluppata nell’antichità, quella di Aristotele
Il modello di Tolomeo
Nel II secolo a.C. fu formulato un secondo modello ad opera di Tolomeo di Alessandria (sistema tolemaico). Esso rimase il modello universalmente accettato fino alla rivoluzione copernicana.
Tolomeo si era prefisso di trovare un sistema capace di predire accuratamente le posizioni di ogni pianeta.
Nella prefazione del suo libro (Almagesto), egli definisce il problema ed enuncia le ipotesi da lui accettate:
"…noi desideriamo trovare le cose che appaiono evidenti e inconfutabili traendole dalle osservazioni antiche nonché da quelle da noi effettuate, e mediante dimostrazioni geometriche desideriamo utilizzare le conseguenze di queste concezioni. Inoltre, la nostra opinione è che i cieli sono sferici e che si muovono in maniera sferica; che la terra, per quanto riguarda la forma, è sensibilmente sferica…; per ciò che riguarda la sua posizione, è posta nel giusto mezzo dei cieli, a guisa di centro geometrico; per ciò che riguarda le dimensioni e la distanza, la terra è come un punto rispetto alla sfera delle stelle fisse, e non è animata da alcun moto locale."
Progetto Fisica, 2, Zanichelli, Bologna 1986, pag. 21

 


Il sistema tolemaico era anch’esso un modello geocentrico e i pianeti venivano immaginati anche qui come sostenuti da sfere materiali. Il loro moto avviene lungo una circonferenza detta “epiciclo” il cui centro  a sua volta si muove su un’altra circonferenza, detta “deferente”. Entrambe le circonferenze sono descritte a velocità costante, ma  le due velocità sono tra loro diverse.
Si può verificare che il suddetto modello  spiega facilmente il moto retrogrado, anche se in verità dovette essere spesso modificato e complessificato per spiegare  i alcune  discrepanze che le ulteriori osservazioni astronomiche mettevano in evidenza.

Il sistema tolemaico si presentava in effetti come un’opera grandiosa, di indubbio interesse matematico Il suo successo e la sua fortuna rimasero immutati per 1500 anni, anzi la sua credibilità crebbe  nel momento in cui fu inserito nella sintesi fra pensiero cristiano e filosofia aristotelica operata da Tommaso d’Aquino.

Quando, nell’epoca che ha inizio con la seconda metà del sec XV  si assiste in Europa

ad  una serie di cambiamenti in ambito  politico, sociale ed economico,gli sviluppi della navigazione, del commercio, delle grandi costruzioni dettano nuove esigenze anche in ambito scientifico . Rinasce in particolare in questo periodo l’interesse per l’astronomia e l’astronomo polacco Niccolò Copernico propone un modello alternativo  al modello tolemaico , ormai diventato estremamente complicato e artificioso, riprendendo l’ipotesi eliocentrica di Aristarco, 

più vicina alla rinnovata esigenza di  armonia e semplicità .
: Copernico espose il suo sistema nel testo “De Revolutionibus” che uscì nel 1543, lo stesso anno della sua morte. Il sistema copernicano, estremamente innovativo, manteneva però alcuni aspetti che lo legavano ancora alla tradizione: per esempio, per Copernico i pianeti si muovevano perché trasportati da sfere materiali rotanti. Inoltre l’universo veniva ancora pensato chiuso all’interno della sfera delle stelle fisse.
Ne citiamo un brano significativo:
"Cominciai a pensare alla mobilità della terra; e per quanto l’idea sembrasse assurda, sapendo che altri prima di me erano stati liberi di pensare ad orbite circolari quali essi sceglievano per spiegare i fenomeni delle stelle, io ritenni si potesse pure tentare di vedere se, assumendo un qualche moto della terra, non si potesse proporre una miglior spiegazione per il moto delle sfere celesti. Così, dopo lunghe e frequenti osservazioni, ho infine scoperto che se i moti dei rimanenti pianeti fossero relazionati con la rotazione della terra e ricondotti in proporzione all’orbita di ciascun pianeta, non solo ne risulta il loro comportamento ma gli ordini e le dimensioni di tutte le stelle e le sfere , i cieli stessi divengono così collegati che nulla potrebbe essere rimosso dal suo posto senza produrre confusione in tutte le altre parti dell’universo."
Copernico vuol affermare che i complicati moti retrogradi dei pianeti spariscono se immaginiamo il sole fermo al centro del sistema solare e la terra in rotazione intorno al sole e su se stesso. Accettando tale ipotesi le orbite dei pianeti diventano circolari e il loro apparente moto retrogrado si riduce a una conseguenza del moto relativo della terra e dei pianeti e del fatto che i pianeti vengono osservati dalla terra in movimento. Per esempio, il pianeta Marte, essendo più esterno, si sposta più lentamente della terra; ne segue che la terra, raggiunta la linea di congiunzione Sole-Marte, sorpasserà Marte che appare così muoversi di moto retrogrado.
A causa del contesto storico in cui viveva, nella sua più famosa opera, il "De Revolutionibus Orbium Coelestium" vi è una palese dimostrazione del timore che si aveva in quell’epoca di urtare la Sacra Scrittura che riteneva la terra al centro dell’universo: non si distingueva infatti fra verità scientifica (che rappresenta un modello, senza la pretesa di dire l’ultima parola sulla realtà) verità filosofica o religiosa. Mettere in crisi il modello geocentrico significava allora scuotere tutto l’edificio della filosofia e della teologia in un periodo in cui, a causa del nascente protestantesimo, tutta l’Europa era scossa da violenti dibattiti teologici tanto che sia la Chiesa cattolica sia quella luterana erano d’accordo sul bisogno di mantenere il modello geocentrico e rifiutare quello eliocentrico. La terra al centro del mondo sembrava molto più coerente con il racconto biblico della Genesi mentre il modello eliocentrico,che trasformava la terra in un pugno di materia vagante nello spazio, sembrava inconciliabile con l’assunto filosofico-religioso della centralità dell’uomo nell’universo. D’altra parte, se è vero che la teoria geocentrica tolemaica riusciva a interpretare i fatti sperimentali , è altrettanto vero che questi erano interpretati con maggiore semplicità dalla teoria eliocentrica, anche se le previsioni sperimentali basate sui moti circolari dei pianeti risultavano peggiori di quelle ottenibili con il modello geocentrico

 

Fonte: http://alabis.files.wordpress.com/2009/03/la-rivoluzione-copernicana.doc

 

Rivoluzione copernicana

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA

‑ Vita e opere di Copernico

 

Fino a qualche tempo addietro i trattati di storia indicavano nella Riforma e nella Controriforma gli eventi più importanti del secolo XVI, gli eventi cioè che segnarono la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra. Oggi finalmente si comincia a capire che l'evento più importante di tale epoca fu invece la rivoluzione scientifica.
Questa rivoluzione rovesciò l'autorità non solo della scienza medievale ma anche di quella del mondo antico, dal momento che non solo portò all'eclisse della filosofia scolastica ma anche alla demolizione della fisica aristotelica; essa supera per importanza ogni avvenimento dal sorgere del cristianesimo, e riduce il Rinascimento e la Riforma al livello di semplici episodi, semplici spostamenti interni entro il sistema della cristianità medievale, dal momento che la rivoluzione scientifica cambiò il carattere delle abituali operazioni mentali degli uomini anche nei riguardi delle scienze non materiali, trasformando l'intero diagramma dell'universo fisico e la struttura della stessa vita umana.

A quali anni dobbiamo far risalire l'inizio di tale rivoluzione? Pur non negando che essa raggiunse la sua piena attuazione solo nel secolo XVII, possiamo tuttavia rispondere che ebbe senza dubbio inizio nel secolo XVI, e che ‑ se ha senso collegare questo inizio a un ben determinato nome ‑ tale nome è incontestabilmente quello di Nicolò Copernico.

Nato nel 1473 a Torun da famiglia borghese, Copernico compì i primi studi nella città natale, per trasferirsi poi nel 1491 (cioè all'età di diciotto anni) a Cracovia, onde frequentarvi quella gloriosa Università. Cracovia era allora non solo la capitale della Polonia, ricca di commerci e di varie attività produttive, ma era anche un grande centro di studi, aperto alla nascente cultura del Rinascimento. L'Ateneo si articolava in quattro facoltà: di teologia, filosofia, diritto e medicina: ma oltre ad esse vi aveva anche sede una scuola matematico ‑ astronomica che godeva di grande fama in tutta l'Europa.

Dopo una permanenza di cinque anni a Cracovia, il giovane Copernico partì per l'Italia, unanimemente riconosciuta in quell'epoca come la culla della nuova cultura. In Italia frequentò le università di Padova, di Bologna e di Ferrara; e in quest'ultima si addottorò in giurisprudenza. Ma oltre agli studi di medicina (compiuti a Padova) ed a quelli umanistico ‑ giuridici, egli veniva anche maturando le proprie conoscenze matematico ‑ astronomiche particolarmente a Bologna e a Ferrara. Si ricordi che a Ferrara aveva lavorato a lungo verso la metà del Quattrocento Giovanni Bianchini, autore delle famose Tabulae astronomiae, ben a ragione considerato uno degli astronomi più intelligenti e più aperti del secolo XV. Il suo insegnamento aveva lasciato delle orine che erano ancora ben profonde allorché Copernico si iscrisse allo Studio ferrarese. A Bologna poi questi ebbe come maestro di astronomia il celebre ferrarese Domenico Maria da Novara, che era stato discepolo del Bianchini.
E` naturale che il giovane polacco, già sensibilizzato in patria agli interessi astronomici, abbia consolidato in Italia questi interessi, convincendosi sempre più dell'enorme importanza delle ricerche astronomiche.
Ritornato in Polonia nel 1503, visse dapprima a fianco dello zio materno vescovo di Watzenrode, che qualche anno prima aveva ottenuto al nipote il canonicato di Frombork. Alla morte dello zio, nel 15 12, si trasferì nella sede di tale canonicato, dove trascorse il resto della sua vita, salvo un soggiorno di quattro anni a Olsztyn (1516‑1520). Tanto a Frombork quanto a Olsztyn, suddivise il proprio tempo fra i più rigorosi studi matematico ‑  astronomici e una multilaterale attività pratica, sia in qualità di medico (dei ceti più elevati e di quelli più umili) sia in qualità di amministratore (curando la sistemazione di contadini nelle masserie abbandonate del capitolo di Vannia, occupandosi della riforma monetaria, esercitando le sue qualità diplomatiche per attenuare il conflitto polacco ‑ teutonico, ecc.). In ciò egli mostrava di essere l'espressione diretta di una società in pieno sviluppo, animata da forti e profonde esigenze culturali ma non disposta a considerare lo studio come un'evasione dagli impegni civili: ben convinta, anzi, che lo studio costituisse proprio una delle armi più efficaci per porci a contatto col reale in tutta la sua complessità.

L'impegno dedicato alla ricerche astronomiche diede molto presto i migliori frutti. Già nel 1515 Copernico era in grado di diffondere tra gli amici un breve commentario manoscritto sulle ipotesi dei moti celesti (De hypothesibus motum coelestium), in cui venivano formulate con chiarezza le tesi centrali del futuro "sistema copernicano". Intanto la sua fama di esperto astronomo si era talmente diffusa che il quinto Concilio Lateranense (1511‑1517) volle sentire il suo parere sul problema della riforma del calendario. Nel 1530 egli aveva ormai condotto pressoché a termine il manoscritto della sua massima opera De revolutionibus orbium coelestium libri sex; malgrado varie sollecitazioni ricevute, preferì tuttavia non darlo alle stampe per poterlo arricchire di ulteriori prove e precisazioni. Fu solo nel 1540 che il mondo dei dotti ebbe ufficialmente notizia dell'opera, in quanto tale anno un discepolo entusiasta del nostro autore, Georg Joachim Rheticus, al quale era stato affidato il prezioso manoscritto, pubblicò la celebre Narratio prima che conteneva una lucida esposizione della cosmologia copernicana.
Finalmente nel 1542 Copernico si decise a dare alle stampe il De revolutionibus. L'edizione venne curata dal teologo luterano Andrea Osiander, il quale antepose all'opera una breve introduzione anonima (introduzione che, appunto per non portare alcuna firma, venne da parecchi lettori attribuita allo stesso Copernico) in cui, per mitigare il carattere rivoluzionario, la nuova cosmologia veniva presentata come una mera ipotesi senza alcuna pretesa di verità («neque enim necesse est eas hypotheses esse veras, immo ne verisimiles quidem»). Il volume uscì nel maggio 1543 e si narra che la prima copia di esso sia stata portata a Copernico gravemente ammalato il 24 di tale mese, cioè il giorno stesso della sua morte.

‑Il significato dell'opera di Copernico nel pensiero moderno

 

Il sistema copernicano considera la Terra non più come il centro dell'universo, ma come un semplice pianeta fornito di tre moti: una rotazione quotidiana intorno al proprio asse, un moto orbitale annuale intorno al Sole, e infine un moto conico annuale dell'asse terrestre (moto quest'ultimo capace di compensare l'effetto che il moto orbitale ha su tale asse).
Si può tuttavia rivalutare il carattere innovatore della cosmologia copernicana, per es. l'originalità dei nostro autore. In altri termini: Copernico è stato veramente il primo ad abbandonare la tradizione aristotelico‑tolemaica, o si è limitato ad opporle un'altra tradizione, parimenti antica, di studi astronomici? Ormai tutti sanno che è il secondo corno del dilemma a risultare vero. Molti pensatori del Rinascimento dimostrano una vivissima propensione per la filosofia pitagorica e del resto condivide egli stesso tale propensione.

Da un lato infatti si ricollegava in modo manifesto a Tolomeo per il metodo prettamente matematico usato nel trattare i modelli astronomici; da un altro lato accoglieva non pochi contenuti della cosmologia aristotelica. Basti ricordare che il sistema copernicano concorda con quello aristotelico‑tolemaico nell'ammettere il carattere finito dell'universo, nell'ammettere che il moto dei pianeti (e quindi anche della Terra) risulti circolare uniforme, e infine nell'ammettere che i corpi celesti, nonché l'intero universo, debbono avere una forma sferica.

Un altro quesito riguarda il valore reale che Copernico avrebbe o no attribuito alla propria teoria. La presentò, pare, come una semplice ipotesi matematica, senza alcuna pretesa di aderenza alla realtà. Non pochi autori dell'epoca fecero propria, o finsero di fare propria, tale interpretazione che consentiva di accogliere sul piano scientifico la cosmologia copernicana, senza dovere rivoluzionare, di conseguenza, la concezione tradizionale del mondo, confortata dalla tradizione della religione cristiana.
Rimane la cura con cui Copernico esamina, e confuta, gli argomenti addotti dagli antichi, in particolare da Tolomeo, a favore dell'immobilità della Terra; tipica sotto questo aspetto la polemica contro la pretesa tolemaica che la Terra dovrebbe disgregarsi qualora ruotasse intorno al proprio asse («Frustra ergo timet Ptolomaeus ne terra dissipetur [.. ] in revolutione»).

Se è vero che Copernico è fermamente convinto della realtà del movimento della Terra, quali sono gli argomenti da lui addotti a favore di questa tesi? Un esame attento dei De revolutionibus dimostra che gli argomenti con cui Copernico ritiene di poter dimostrare la propria teoria sono sostanzialmente di carattere astronomico.
Thomas Kuhn:

Copernico e i suoi contemporanei non ricevettero in eredità soltanto l'Almagesto, ma anche i sistemi astronomici di molti astronomi musulmani e di alcuni europei che avevano criticato e modificato il sistema di Tolomeo [...] Uno aveva aggiunto o tolto qualche piccolo cerchio; un altro aveva usato un epiciclo per spiegare una certa irregolarità dei pianeti che Tolomeo aveva originariamente trattato con un eccentrico; un altro ancora aveva escogitato un mezzo sconosciuto a Tolomeo per giustificare piccole deviazioni dal tipo di moto determinato dal sistema di un epicielo e di un deferente; altri avevano modificato, con nuove misurazioni, la velocità a cui ruotavano i cerchi compositi del sistema di Tolomeo. Non esisteva più un solo sistema tolemaico, ma ve n'erano una dozzina e anche più, e il loro numero aumentava rapidamente con il moltiplicarsi degli astronomi tecnicamente preparati. Tutti questi sistemi erano modellati sul sistema dell'Almagesto ed erano quindi tutti "tolemaici". Ma poiché esistevano tanti sistemi fra loro differenti, l'aggettivo "tolemaico" aveva perso gran parte del suo significato. La tradizione astronomica era divenuta confusa; non specificava più integralmente le tecniche da usare per il calcolo delle posizioni dei pianeti e non era quindi più in grado di specificare i risultati ottenibili con il calcolo. Indeterminatezze di questo genere toglievano alla tradizione astronomica la fonte principale della sua forza intrinseca.

A riprova l'insistenza con cui afferma che la teoria eliocentrica pone innanzi a noi un'ammirevole simmetria dell'universo e un nesso sicuro fra l'armonia del moto e la grandezza dell'universo, quale non può trovarsi in alcun altro sistema, cioè nei vari sistemi tolemaici:

Invenimus igitur sub hac ordinatione admirandam mundi symmetriam, ac certuin hannoniae nexurn motus et magnitudinis orbium: qualis alio modo reperiri non potest.

Sennonché la spiegazione dei moti planetari offerta da Copernico è bensì più armonica di quella che ne aveva dato Tolomeo da un punto di vista qualitativo, ma solo da esso. Non lo è invece da un punto di vista quantitativo, ché anche Copernico, proprio come Tolomeo, è obbligato ad introdurre epicicli minori ed eccentrici per giungere ad una spiegazione accettabile sul piano quantitativo della variazione della posizione dei pianeti. Il principio di simmetria, posto da Copernico a base della  sua teoria,  rimase in lui più un principio di carattere filosofico che non di carattere scientifico. Onde «soltanto astronomi i quali attribuissero maggiore importanza all'eleganza qualitativa che alla precisione quantitativa» potevano lasciarsi persuadere da tale forza di attrazione.

‑ Il valore scientifico della rivoluzione copernicana

 

1) Copernico fu un innovatore estremamente cauto, da un lato preoccupato di dimostrare che parecchi pensatori avevano già sostenuto, fin dall'antichità, idee analoghe alle sue, dall'altro impegnato a trasferire nel proprio sistema il maggior numero possibile di concezioni basilari del sistema aristotelico‑tolemaico;
2) egli fu sì fermamente convinto della validità reale dell'astronomia eliocentrica, ma non seppe escogitare argomenti scientificamente validi a sostegno di essa (non potendosi considerare come scientificamente valido il semplice appello, di carattere estetico, al principio di simmetria).

Ma allora, quale valore scientifico dobbiamo realmente attribuire alla rivoluzione copernicana?
La posizione che il copernicanesimo occupò entro la storia generale della cultura: basti pensare alla straordinaria messe di suggerimenti che esso fornì al pensiero scientifico‑filosofico dell'epoca, o riflettere al fondamentale contributo che diede al processo di rinnovamento della concezione stessa dell'uomo (non più identificabile come il fine supremo del creato, proprio perché non più collocato da Dio al centro del cosmo). t ovvio che chi non tenesse conto di tutte queste considerazioni, non potrebbe afferrare la portata della rivoluzione copernnicana, il peso che essa ebbe, le discussioni che suscitò, le accanite resistenze che incontrò in tutte le forze politico‑culturali genericamente interessate alla conservazione del vecchio tipo di civiltà.

Abbiamo riferito un lungo brano di Kuhn, in cui questo autore sottolinea l'esistenza, ai tempi di Copernico, non già di un solo sistema tolemaico, ma di molti sistemi astronomici che pur dichiarandosi tutti "tolemaici" differivano fra loro su parecchi punti di notevole importanza. Ognuno di essi faceva appello a qualche nuovo epiciclo, a qualche nuovo referente, a qualche nuovo eccentrico per spiegare gli ultimi dati osservativi ricavati da sempre più precise misurazioni. Ma si trattava ovviamente di ipotesi ad hoc, espressamente ideate di volta in volta per spiegare questo o quel dato particolare. Il carattere paradossale della situazione era dovuto al fatto che ‑pur essendo sempre possibile ideare nuove ipotesi del genere ‑ risultava ognor più chiaro che il vecchio sistema tolemaico aveva ormai perso la sua capacità di fornire una spiegazione soddisfacente della totalità dei fenomeni astronomici.

L'innovazione davvero rivoluzionaria di Copernico consiste nell'avere rinunciato a ideare ulteriori varianti più o meno ingegnose del vecchio sistema tolemaico, proponendo invece di abbandonarne proprio la tesi centrale, cioè la tesi dell'immobilità della Terra comune a tutti i vari sistemi tolemaici.  Ovviamente questa rivoluzione, come del resto ogni altra rivoluzione scientifica (pensiamo per esempio a quelle avvenute in fisica all'inizio del Novecento) né fu senza precedenti né portò immediatamente alla risoluzione di tutti i problemi allora conosciuti; essa tuttavia indicò con chiarezza una strada nuova (prima d'allora appena intravista).

Il merito scientifico di Copernico è stato quello di avere dato inizio a tale mutamento radicale di punto di vista, a tale rinnovamento ardito di categorie. Gli si potrebbe rimproverare di non aver saputo apportare quei sostanziali ritocchi che le apporterà Keplero sostituendo il carattere ellittico a quello circolare delle orbite dei pianeti (con il che il sistema eliocentrico raggiungerà davvero, anche sotto l'aspetto quantitativo, una struttura armonica come quella di cui parlava Copernico). E allora perchè non muovergli anche altri rimproveri: poniamo, di non aver saputo ideare la teoria della gravitazione di Newton, che  rappresenta in certo senso il coronamento del sistema astronomico eliocentrico?

Il fatto è che la scienza non è il prodotto di un solo individuo, ma di generazioni e generazioni di studiosi. La sua caratteristica essenziale ‑ quella che più la distingue dalla metafisica ‑ è di non avere mai la pretesa di giungere ad una risoluzione completa e assoluta dei problemi affrontati. Anche le più grandi svolte della scienza, come appunto quella copernicana, non raggiungono mai delle verità assolute: la loro verità è di altro tipo. t una verità dinamica, ossia è la conquista di alcuni risultati che ci aprono sì la strada a comprendere il reale meglio di quanto lo comprendessero i nostri predecessori, ma che sono sempre passibili di nuove scoperte che li faranno eclissare.

Le scienze ‑ ha scritto Laplace ‑ sono senza limiti come la natura; s'accrescono all'infinito per i lavori di generazioni successive; l'opera più perfetta, elevandosi ad un'altezza da cui ormai non possono più scendere, dà nascita a nuove scoperte e prepara così opere che devono eclissarla.

‑ Effetti del modello astronomico copernicano

 

Senza dubbio Copernico non ha dimostrato la validità assoluta del proprio sistema astronomico eliocentrico; e proprio perciò non è riuscito a garantire a priori l'efficacia del rinnovamento categoriale da lui iniziato. La realtà è però che il sistema eliocentrico ha rivelato, col trascorrere del tempo, la massima fecondità scientifica, e che l'astronomia non avrebbe potuto raggiungere i risultati che ha raggiunto, se lui (Copernico) o un altro non avessero rovesciato il modello tolemaico.

14. BUTTERFIELD, Le origini della scienza moderna, Bologna, 1962.

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‑ E Galileo?

‑ Nel momento in cui ho scritto il Galileo, cioè nel 1956 [Torino, 1957], la mia posizione era un po' diversa: intendevo mettere in evidenza due aspetti essenziali del pensiero di Galileo: la questione del linguaggio scientifico e le esigenze di una politica culturale. Il neopositivismo conduceva a interessarmi del primo problema; ho voluto sottolineare l'estrema importanza che assumeva per Galileo la formazione di un linguaggio scientifico rigoroso. Questa esigenza gli veniva dalla necessità di rispondere a problemi tecnici. Egli intendeva elaborare una scienza capace di formulare in modo esatto i problemi e le risposte a questi problemi, che interessavano i tecnici. Così nell'edizione dei Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze che ho curato con uno dei miei allievi, Adriano Carugo [Torino, 1958], non abbiamo esitato a considerare questo trattato un'opera di tecnologia. D'altra parte, Galileo è, secondo me, uno dei primi ad avere compreso che la scienza non è affatto un fenomeno isolato, che riguardi alcuni individui i quali cercano di risolvere per conto loro questioni più o meno difficili.

Per Galileo la scienza era un fenomeno sociale ed egli riteneva che la società doveva, in un modo o in un altro, appoggiare la ricerca scientifica e comprendere la rivoluzione che stava suscitando la nascente scienza moderna. Galileo non era un uomo di grande fede e i rapporti fra la scienza e la religione non costituivano per lui un problema filosofico. Ma in quest'epoca di trionfo della Controriforma egli ha cercato di convincere la chiesa della necessità di condurre una politica culturale fondata sulla scienza moderna.

La Chiesa ha esitato davanti al programma di Galileo e ha finito per dire di no. Questo rifiuto gli è costato molto, perché si può affermare che proprio a partire da questo momento la cultura moderna ha iniziato a staccarsi dalla chiesa. Per questa ragione vedo in Galileo un precursore dell'illuminismo. Ma egli crede ancora nella possibilità che la Chiesa accetti una trasformazione radicale della nostra visione del mondo. 1 filosofi del XVIII secolo constateranno lo scacco del programma di Galileo; essi dunque si accingono a rovesciarlo per farne un programma di lotta contro la stessa chiesa. Aggiungo che secondo me la linea Galileo ‑ illuminismo continua con Marx [Da Galileo a Marx, in La ragione e la politica, Verona, 1987].

F. Soso 

Fonte: http://hist.science.free.fr/science/docs_ital/Copernico_short.doc

 

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