Sistema urbano milanese lombardo

 

 

 

Sistema urbano milanese lombardo

 

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Sistema urbano milanese lombardo

 

La costruzione del sistema urbano milanese e lombardo.

L’esperienza del PRT della Lombardia

 

La costruzione storica del sistema urbano milanese-lombardo

 

Città e rete urbana: strutture della lunga durata

Quali gli assetti urbani ipotizzabili in una delle aree urbane europee più evolute qual è quella costituita dal sistema urbano milanese-lombardo per reggere le sfide di questo futuro prossimo che verrà ad investire l’intero continente europeo? È questa una domanda la cui risposta ci aiuterà a meglio comprendere come nel darsi nuove e più adeguate strategie urbanistiche sia necessario ritrovare nelle potenzialità di un territorio le risposte più appropriate.

L’area urbana milanese-lombarda è da sempre triangolata da centri e luoghi di attività e funzioni organizzate in sistemi e reti, importanti non solo per i loro aspetto simbolico: i castelli feudali e i monasteri erano centri di potere culturale, religioso, economico-sociale, ma anche i luoghi della produzione agricola, della trasformazione in prodotti e della commercializzazione. A questa trama in continuo movimento e arricchimento sono intrecciate le relazioni tra storia e cultura materiale, tra macro e microeconomia, tra macro e microurbanistica.

Questa integrazione fra agricoltura, manifatturiera e commercializzazione è quindi profondamente radicata nell’identità culturale lombarda e nel suo palinsesto territoriale.

Carlo Cattaneo sosteneva che quando i Romani conquistarono l’Italia, conquistarono già il territorio delle cento città e il territorio transpadano non faceva eccezione a questa condizione.

Nonostante nessuna delle grandi strade costruite dai Romani nel II secolo attraversasse la Lombardia, in quanto la Via Emilia, tracciata nel 187 a.C., da Rimini si fermava a Piacenza senza attraversare il Po, e la Via Postumia (148-147 a.C.), che da Genova raggiungeva Aquileia sull’Adriatico, passando per le colonie latine di Piacenza e Cremona, aggirasse da sud il territorio insubre, la regione era percorsa da antichissimi percorsi appartenenti a un’ampia rete di comunicazioni «che rendevano la pianura padana un punto focale dei traffici tra l’Italia e il mondo transalpino. Non a caso i più considerevoli abitati preromani, successivamente destinati a svilupparsi in grandi centri urbani, sorgevano nelle più vitali intersezioni di questa fitta trama di itinerari e lungo le vie d’acqua che del sistema di comunicazioni rappresentavano il fulcro» (P. Michelotto 2001).

Anche la Via Popilia-Annia (132 a.C.) da Rimini ad Aquileia e la Via Emilia Scauri (109 a.C.), proseguendo la Via Aurelia, fino a Genova, di poco successive all’Emilia e alla Postumia, non si addentravano oltre il Po, privilegiavano le due grandi costiere.

La storia dell’economia lombarda ha un punto di riferimento nella dislocazione delle sue città soprattutto lungo le due fondamentali direttrici del commercio: una pedemontana, attraverso i centri di Milano, Como, Lecco, Brescia, Bergamo, su cui convergevano gli itinerari alpini, ed una costituita dall’antica Via Emilia attraverso le città che ad essa afferivano: Pavia, Lodi, Cremona.

Le produzioni artigianali attestate a Milano fin dal II secolo d.C. saranno i settori trainanti delle manifatture urbane medievali: la metallurgia, con la presenza di officine di fabbri, di fabbriche d’armi, d’orefici, e la tessitura di vesti di lana. Già al tempo di Sant’Ambrogio, alla fine del IV secolo d.C., la corporazione dei mercanti, impegnati negli affari relativi ai rifornimenti dell’esercito, era ricca e potente.

Pavia, sede del palazzo regio nella prima metà del X secolo era il centro commerciale più importante dell’Italia del Nord. Ai mercati delle maggiori città, Pavia, Milano, Cremona, brescia, bergamo, Mantova giungevano anche le rendite in natura delle enormi proprietà fondiarie dei monasteri e delle chiese urbane: derrate agricole, lino, attrezzi agricoli, ferro, telerie e panni. Nelle campagne la fondazione dei castelli fu accompagnata dalla comparsa dei mercati rurali.

Un ruolo diverso era svolto dai mercati che venivano tenuti a cadenza mensile, come a Como, o annuale, come a Cremona, Pavia e a Bergamo. Le fiere annuali rappresentavano nel Medioevo il punto d’incontro dei mercanti internazionali: anglosassoni, veneziani, amalfitani, salernitani che vi portavano sete, avori, spezie provenienti da Bisanzio, tessuti nordici di lana e di lino, spade germaniche, cavalli e cani da caccia. E i mercanti lombardi si recavano a Genova a vendere spade, tessuti, cavalli.

Ma non era solo la dimensione dello scambio, la caratteristica prevalente dell’economia lombarda fu dal Duecento, l’importazione di materie prime e l’esportazione di prodotti finiti. La storica Luciana Frangioni ha scritto che «la Lombardia è un a fabbrica»: tutte le città lombarde risultano nel basso medioevo caratterizzate da produzioni manifatturiere specializzate, destinate non solo al consumo interno ma anche all’esportazione. Fra di esse la metallurgia rivestì un ruolo fondamentale, sia per la produzione di un vastissimo assortimento di ferramenta e prodotti metallici, sia per l’armamento.

Fra i tanti protagonisti, l’ordine religioso degli Umiliati era presente in Lombardia con una specifica organizzazione politica, sociale e religiosa: questi costruirono una rete di insediamenti religiosi e produttivi che si basava sull’agricoltura e sull’attività manifatturiera, attrezzarono il territorio milanese-lombardo con alcuni capisaldi che contribuirono a rafforzare la rete degli insediamenti minori anch’essi gelosi della loro individualità e delle rispettive potestà sul contado circostante (L. Chiappa Mauri 2001).

Con la cosiddetta «rivoluzione commerciale» dall’XI al XIV secolo, sulle strade lombarde non circolavano solo le mercanzie, ma - come dice Roberto Lopez -  anche l’idea della libertà comunale: il commercio come scambio, come incontro tra popoli, all’opposto di qualunque visione di guerra e dominazione, di potenza e atteggiamento militare.

Al primo sorgere dell’industrializzazione questa struttura è all’origine della rete delle Ferrovie nord Milano, che, seguendo il primo progetto di ferrovia privata internazionale, si fondò su un vero e proprio sistema policentrico, andando a costituire quella che oggi s’intravede, ristrutturata e rifunzionalizzata, come una vera e propria metropolitana urbana della città policentrica milanese-lombarda.

Tale rete alimentava le fabbriche e il commercio, non soltanto il trasporto di persone, in maniera sistematica organica.

La struttura urbana così articolata, prodotto nei secoli di grandi culture-civiltà, ha superato violenze economiche, sociali e politiche: così l’area urbana milanese-lombarda resta una potenziale unica città, perché come scriveva V. Vercelloni «le preesistenze di cultura materiale, civile e simbolica sono state in grado resistere a qualunque volontà di trasformazione straniata e straniante».

Una struttura aperta che ritroviamo soprattutto oggi, dopo i cent’anni di costruzione della città industriale: la città di Milano, inserita com’è nel contesto lombardo, dove molte città, grandi e medie, piccole e piccolissime, che da sempre interscambiano tra loro, non è un sistema chiuso. I più recenti studi (2002) sui movimenti che quotidianamente interessano, in entrata ed in uscita, Milano hanno sfatato definitivamente l’idea preconcetta di una città solo catalizzatrice di spostamenti dall’esterno della regione e della provincia entro i suoi confini in quanto oggi se 450.000 persone quotidianamente entrano in città, 230.000 ne escono per lavorare, studiare, fare acquisti; per il proprio tempo libero.

Un qualsiasi sistema urbano sembra caratterizzarsi da alcune “invarianti”, che si perpetuano nel tempo e che sono dettate dalla condizione geografica del territorio e dagli assetti antropici che ad essa si sono conformati ed nello stesso tempo, producendone i necessari adattamenti. Il sistema «originale», quale quello che può essere individuato sulla base degli antichi sentieri, viene ad assumere configurazioni diverse in relazione alle diverse tecnologie dei mezzi di trasporto, e mantiene, tuttavia, le direttrici fondamentali.

Per la Lombardia, i fattori geografici che determinano le specifiche condizioni nell’ambito del sistema delle comunicazioni sia a livello nazionale sia a livello continentale, portano ad individuare due direttrici fondamentali di interesse europeo:

  • la trasversale Est-Ovest dalla Francia, e dalla Spagna, verso i Balcani e verso l’Europa centro-meridionale;
  • la dorsale di accesso dal Nord Europa verso il Mediterraneo e di qui verso il Medio Oriente, l’Africa e, attraverso il Canale di Suez, verso l’Oceano Indiano e il Pacifico.

La prima direttrice tende ad attraversare il corridoio tra l’Adda e il Ticino su posizione intermedia tra il corso del Po e la corona delle Alpi.

La seconda direttrice è fortemente condizionata dall’attraversamento dell’arco alpino; è possibile individuare alcuni valichi montani per accedere alla Lombardia; procedendo da Ovest verso Est si incontra per primo il passo del Sempione, per le provenienze dall’alta valle del Rodano (vale a dire dalla Francia centrale e dalla costa della Manica. Successivamente si incontrano i valichi del San Gottardo, del San Bernardino e dello Spluga, che mettono direttamente in collegamento con la valle del Reno e, da ultimo, del Maloja, del Bernina e dello Stelvio, che direttamente o  indirettamente costituiscono gli accessi alla valle dell’Inn (cioè alla Baviera e alla valle del Danubio).

Degli itinerari trasversali pedemontani in epoca antica non si hanno particolari tracce: tuttavia quando alla metà del V sec. l'impero di Bisanzio eredita il compito della difesa contro i bar­bari in Italia, il cosiddetto “limes” bizantino, cioè la linea di­fensiva contro goti e franchi, passa per il Castello Baradello a Como ed ha come importanti capisaldi Lecco e Castelmarte ed inoltre se, tra le opere pubbliche realizzate da Azzone Visconti, signore di Como dal 1335,  vi fu la ricostruzione del molo di Como, pure la costruzione del ponte sull'Adda a Lecco sta a significare la permanenza, insieme alle relazioni nord-sud, di quei collegamenti est-ovest tra le antiche polarità del sistema urbano policentrico. (G. Corda 1995).

Il sistema delle grandi direttrici tra l’Europa e l’Italia, che interessa direttamente la Lombardia, ha inoltre la caratteristica di gravitare esclusivamente sulle valli del Ticino e dell’Adda per cui una volta entrate in pianura tendono a percorrere il corridoio delimitato da questi due fiumi per poi dare luogo a due direttrici distinte che verso Sud tendenti a seguire le linee costiere tirrenica e adriatica.

Anche la gran parte degli insediamenti lombardi risulta intimamente legato al sistema delle grandi direttrici di comunicazione. Le città dell’alta Lombardia Varese, Como, Lecco e Sondrio si configurano come altrettanti sistemi primari del sistema, in quanto disposti allo sbocco delle valli che conducono ai passi alpini. In particolare Como assume un ruolo centrale nell’intercettazione delle merci verso Milano e le altre città di pianura.

Per la strada “Regina” (o meglio “Rezina”, cioè per la Rezia) si giungeva all’estremità settentrionale del lago: la sua prosecu­zione in Valchiavenna è stata in ogni epoca una via forte­mente seguita dai transiti tra la pianura lombarda, la Rezia e l'alta valle del Reno. Dai valichi, attraverso Chiavenna e Colico è la via del lago a segnare la continuità verso Como e verso la pianura. Di epoca longobarda lavori di consolidamento e ripristino dell’antico tracciato della strada consolare, e quindi la strada prenderebbe il nome di “Regina”da Teodolinda che, come vuole la tradizione, la percorreva recandosi a Menaggio per “meditare cristiana­mente”.

Per questa strada passavano i commerci per Milano e la Germania dei drappi di lana la cui industria, avviata dall'Or­dine degli Umiliati nel XII secolo, rese famosa Como fino al XVI secolo; vere e proprie manifatture di lana, i conventi di quest’ordine, dove sotto certe leggi abitavano gli operai con le loro mogli e famiglie, erano distribuiti in tutta la Lombardia e, in specie sul Lario tra cui, oltre Como, quello importantissimo di Torno, poco a nord sulla sponda orientale. Questa via ha nel tempo mutato il punto di superamento dello spartiacque alpino: in epoca celtica, ma anche in epoca romana erano più frequentati il valico del Septimer (ove la via, ridotta oggi a una mulat­tiera, mostra ancora visibili i resti di un selciato romano), quello dello Julier e quello d’Emet, poi ebbe maggior fortuna il valico dello Spluga, ricordato col nome di “Cunu Aureu”(Cuneus Aureus) nella tavola Peutingeriana.

Se questi, insieme al Maloja, sono stati i valichi che hanno interessato la zona lariana, e Como in particolare, fino al medioevo, quando il confine del governo comense viene a coincidere con la sommità alpina, nel novero dei passaggi tra la Lombardia e le terre elvetiche figurano anche il San Gottardo, il Lucomagno e il San Bernardino; il primo immette nell’altopiano svizzero, il secondo da Olivone in Val Blenio porta nell’Oberland grigionese, il terzo da Mesocco porta nella Rheinwald.

Dopo il mille, attraverso i passi alpini aumenta il numero dei mercanti, degli artigiani e dei viaggiatori: la ricerca di ferro e altri metalli e un maggiore scambio di prodotti della terra in seguito all’impulso dato dai signori ai consumi nelle due grandi aree italiana e tedesca. La mulattiera del Cardinello esisteva già nel 1118 e nel 1226 un atto pubblico attesta l’uso d’una strada fra Campodolcino e Madesimo. Carovane di muli e cavalli transitavano attraverso lo Spluga con some di mercanzie varie: in cambio di lana tedesca i lombardi inviavano stoffe; per i veneziani era più facile smerciare spezie e altri prodotti ricercati.

Dapprima furono i semplici privati che a spalle o, meglio, a dorso di mulo e cavallo, trasferivano posta e merci, ma quando i traffici si intensificarono sorsero vere e proprie organizzazioni di trasporti che nel XIII sec. assumono importanza internazionale per il concorso di mercanti italiani e germanici. La responsabilità dei trasferimenti dei prodotti era affidata a corporazioni di mestiere che per consuetudine prima e per diritto poi esercitavano tale attività: si trattava di una buona fonte di guadagno, almeno a giudicare dalla tenacia con cui essi difendevano il privilegio.

Nell’Alto Ticino e lungo il Settimo, per la cui strada potevano transitare nel 1386 carri con carico fino a 225 chilogrammi, tali corporazioni erano chiamate “rode”, nella Mesoncina e nei grigioni “porti”.

Un comune assumeva il monopolio dei trasporti lungo un determinato tragitto, vietan­done l’attività ad altri. L’appartenenza ad un “porto” dava diritto di trasmetterne ai figli il continuarne l’esercizio o di alienarna, previo consenso degli altri membri del “porto”.

Per quanto riguarda lo Spluga, le notizie documentate d’una corporazione risalgono al XV secolo. Gli abitanti della Rheinwald nel ‘300 avevano già ottenuto dal duca di Milano una licenza concernente il trasporto di cereali e vino. In quel tempo fra Thusis e Schams, al di là dello Spluga, funzionava regolarmente il servizio di trasporto da parte d’imprese con uomini ed equini della Valle San Giacomo. Tali uomini erano pure incaricati della manutenzione stradale e delle “soste” e dovevano riscuotere le tasse dei transiti: pedaggi per i ponti e “viatico” per le mulattiere e le carreggiabili.

Somieri erano chiamati i proprietari di oltre 100 cavalli i quali, con i relativi carichi, formavano piccole colonne di sette-otto some ciascuna guidata da un conducente. In talune circostanze erano preferiti i buoi ai cavalli o ai muli, perché ritenuti più sicuri nei percorsi più disagevoli o innevati come nel caso della Via Mala. I conducenti accudivano al trasferimento della carovana da una “sosta” all’altra; invece, i “somieri diretti” percorrevano l’intero valico senza fermarsi per lo scarico o il ricarico nei punti intermedi: si trattava di un servizio celere, particolare per questo settore alpino.

Nel 1431 i Visconti concedevano agli uomini della Valdireno e a quelli dell’Alta Engadina, e rinnovavano a più riprese fino al 1478, l’esenzione delle tasse in Chiavenna: il riassetto delle comunicazioni via Spluga coincide con la politica economica del governo milanese. Una sua maggiore presenza sulle Alpi, l’assoggettamento di Como, l’interesse rivolto dal ceto mercantile lombardo ai commerci internazionali fanno sì che i rapporti con i paesi tedeschi divengano più intensi.

Inizia l’epoca d’oro dello Spluga: le merci in transito consistevano in cereali, riso, frutta, burro e formaggi, vino, pelli, cuoio, tessuti, metalli, utensili, armi; la seta lombarda in quel tempo comincia a conoscere la via dello Spluga che, dal 1512 assoggettate ai grigionesi le valli dell’Adda e della Mera, assurge a maggiore importanza. Le stazioni di Chiavenna, di Campodolcino, di Madesimo, d’Isola potevano ospitare ciascuna cento cavalli; le soste funzionavano anche come depositi di merci in transito in attesa di essere trasferite nelle “stazioni” successive.

Nella prima metà del Cinquecento il transito annuale lungo la via dello Spluga s’aggirava sui 40-50.000 colli; fin dal Seicento a Splügen e a Campodolcino pernottavano spesso colonne di 300-400 cavalli da soma.

Le vicende legate alla dominazione spagnola in Lombardia fecero diminuire l’attività sul valico: i traffici a Chiavenna si arenarono e ne profittarono gli svizzeri per intensificare i rapporti attraverso il San Gottardo. Per lo Stato di Milano il regno di Filippo II rappresentò un periodo di pace e di tran­quillità durante il quale il paese ebbe modo di rimarginare le profonde ferite subite nella prima metà del Cinquecento, al tempo delle guerre d’Italia. Se si eccettuano i fatti di Casale e di Finale, nella seconda metà del secolo, la Lombardia non fu direttamente coinvolta nelle lunghe guerre che impegnarono la monarchia spagnola nel nord dell’Europa: la funzione di re­trovia delle Fiandre, anzi, servì non poco a stimolare l’attività economica che proprio in quel periodo conobbe una lunga fase espansiva.

La situazione venne a cambiare nel 1610, quando il duca di Savoia, da mezzo secolo alleato della Spagna, mutava politica e si avvicinava alla Francia, nella speranza che la nuova alleanza potesse un giorno consentirgli di espandersi ad oriente a spese dello Stato di Milano. Questo mutamento di rotta della politica sabauda significava anche la chiusura del corridoio strategico che da tempo collegava la Lombardia alle Fiandre. La chiusura dei valichi sabaudi imponeva al governo spagnolo la ricerca di vie di comunicazioni alternative, soprattutto in vi­sta della ripresa delle ostilità nei Paesi Bassi. Le alternative erano in sostanza due, ed entrambe si impernia­vano sullo Stato di Milano. Una era la strada che dal lago Maggiore, per il Sempione, il passo della Furka, Schwyz e Zug, raggiungeva l’Alsazia e di lì la Lorena, ma era una strada la cui utilizzazione dipendeva dal buon volere dei Confederati Svizzeri, e questo venne a mancare nel 1613, quando questi ce­dettero alle lusinghe e al denaro francesi. L’altra era quella che dal lago di Como risaliva la Valtellina e, varcato lo Stelvio, raggiungeva il Tirolo e di lì, piegando a ovest, costeggiava il confine elvetico per raggiungere l’Alsazia. Deviazione lunga e tortuosa ma vitale nel quadro della strategia spa­gnola in quanto non si davano altre alternative; corridoio indi­spensabile ma fragile, in quanto dipendeva dall’amicizia o dalla neutralità dei grigioni; strada tanto più essenziale in quanto offriva un collegamento non soltanto con la valle del Reno e le Fiandre, ma anche con il Tirolo e pertanto con gli Asburgo d’Austria.

Il passaggio dei lanzichenecchi diretti a Mantova per la guerra di successione in quel ducato - che determinò lo svilupparsi del­l’epidemia di peste del 1630 -  fu così effettuato sulla sponda lecchese del lago. Le truppe mercenarie tedesche muovendo dall’Alsazia e attraverso il territorio dei Grigioni calavano in Valtellina, si aprivano un varco verso il lago di Como e, risalita la Valsassina, scendevano su Lecco. (da Gian Paolo Corda, Accessibilità da e per Como, in Como e il suo territorio, Cariplo, Milano, 1995).

Bergamo e Brescia sono disposte lungo la direttrice Est-Ovest e rappresentano il punto d’incontro tra questa ed il sistema di valli alpine che sboccano alla pianura. Anche Pavia è legata al sistema in quanto è collocata sulla direttrice che raggiunge la costa tirrenica e interessata da quella direttrice fluviale del Ticino, che ne ha fatto il porto commerciale più importante dell’Italia del Nord nel X secolo. Cremona e Mantova si trovano in posizione più decentrata rispetto alle direttrici fondamentali.

Le vie degli scambi sono state determinate nel tempo non solo da strategie e interessi materiali, ma anche da visioni anticipatrici di un potenziale sviluppo delle comunità e dell’ambiente costruito e quindi vanno considerate per le implicazioni che hanno nella costruzione dei sistemi urbano-regionali. Per la Lombardia l’attraversamento delle Alpi ha rappresentato da sempre una sfida obbligata allo scambio delle proprie produzioni con il resto d’Europa.

Degli otto poli urbani che hanno caratterizzato la costruzione della struttura urbana lombarda, Milano, ha rappresentato la cerniera posizionata com’è nella fascia di transizione tra l’alta pianura asciutta e la bassa pianura ricca di acque di superficie, Pavia, Lodi, Cremona, Mantova hanno presidiato la bassa pianura e Como, Bergamo, Brescia nella zona pedecollinare, al margine meridionale delle Prealpi, hanno giocato un ruolo proprio come tramite tra le città di pianura e l’Oltralpe.

Questa struttura urbana, costruita su un impianto romano e preromano tra il Po, il Ticino ed il Mincio, ha retto alla pressione modificatrice del processo di modernizzazione della regione da cui nasce la complessa società industriale avanzata alla fine dell’Ottocento.

A concorrere a questo processo di modernizzazione e, insieme, formativo, della città moderna milanese-lombarda stanno l’apertura del traforo del San Gottardo nel 1882, che ha consentito lo sbocco delle produzioni milanesi e lombarde sui mercati del nord e del centro Europa e ne ha tratto decisivo alimento, in materie prime e semilavorati, per la sua base produttiva, e l’apertura del Sempione, nel 1906, che rappresenta simbolicamente l’ormai avvenuto decollo della grande industria con il completamento dei primi grandi impianti Falck e Breda direttamente serviti dalla linea ferroviaria.

 

Il ruolo dei navigli nella costruzione della città

Un ruolo non secondario nella costruzione del policentrismo urbano lombardo è passato nei secoli attraverso la costruzione delle reti che hanno favorito lo spostamento delle merci e delle persone: i navigli sono stati parte non secondaria di questo lungo processo giocando un ruolo assai importante nella connessione di alcuni fondamentali poli urbani.

La parola naviglio o navili definisce nel linguaggio italiano settentrionale, milanese in particolare, il canale o fosso navigabile, e fu per un certo tempo, per analogia, utilizzata anche per definire i canali irrigatori. Naviglio significava imbarcazione o moltitudine di navi dello stesso tipo già nella lingua italiana del XIII secolo. Per estensione concettuale deriva dal latino medievale navigiu(m).

Nella storia di Milano il rapporto della città con l’acqua è una dimensione strutturale che ne accompagna le vicende. Bonvesin de la Riva scrive nel 1288, alla fine del suo “De magnalibus Mediolani”: «due sono i difetti particolari, se mi fosse lecito dirli, della nostra città: difetto di concordia civile e difetto di un porto che le consenta l’arrivo dei navigli dal mare».

È stato accertato che l’antica Mediolanum ubicata nel medio di una pianura, utilizzava per i trasporti i suoi piccoli fiumi, il Lambro e il Seveso, già in età preromana.

I navigli milanesi, costruiti dopo le guerre con il Barbarossa, sono l’espressione della volontà di Milano di collegarsi direttamente con i grandi fiumi senza l’interdizione di città infide, più nella logica di Milano capitale che non di un unica grande città della regione.

Ma la costruzione artificiale di corsi d’acqua per la navigazione è tradizione assai più antica: la Vettabbia, dalla sua stessa etimologia, vectabilis, navigabile, collegava anticamente Milano con il Lambro e perciò con il Po; primo dei navigli milanesi, fu realizzata con tutta probabilità in periodo romano. Sicuramente antichissima, pur se non documentabile, era anche l’organizzazione idraulica della Bassa milanese, che per mancanza di manutenzione tornò a impaludarsi nel primo Medioevo.

È certo e documentato che la valle del Po era l’entroterra di antichissimi e fiorenti commerci: la sua navigazione, già praticata dagli Etruschi, ha una grande espansione in età romana, quando si consolida la rete dei porti fluviali.

La costruzione del Naviglio Grande fu un’opera infrastrutturale gigantesca dell’età comunale, e non fu l’unica. I suoi cinquanta chilometri di percorso furono costruiti dal 1177 al 1272. Il Ticinello, poi integrato con lo stesso Naviglio Grande, fu iniziato nel 1157, con funzioni originariamente militari, per definire i confini di due territori ostili: Milano e Pavia. Il Naviglio di Pavia fu iniziato nel 1359 e presto utilizzato, ma la completa navigabilità del suo intero corso di trentatré chilometri fu possibile solo nel 1819. Il Naviglio della Martesana fu costruito nei suoi trentotto chilometri tra il 1457 e il 1500; mentre il Naviglio di Bereguardo di diciotto chilometri venne realizzato tra il 1460 e il 1470. L’ultimo grande naviglio milanese, il Naviglio di Paderno, inferiore ai due chilometri, fu costruito tra il 1518 e il 1777.

Milano si costruisce così un sistema di collegamenti con il Ticino e l’Adda, e quindi con il Po e il mare. Si tratta di una strategia geopolitica che si afferma nel XII secolo quando la città, in seguito alla battaglia di Legnano del 1177, promuove e conclude a Ferrara un accordo con Bologna, Modena, Mantova, Venezia, Ravenna e la stessa Ferrara per la libera navigazione del Po, rifacendosi al diritto romano che tale libertà di navigazione garantiva.

La storia della navigazione nel milanese, così complessa da promuovere l’invenzione e la sperimentazione di sempre più innovative chiuse (per le quali si cimentò anche Leonardo), è strettamente connessa alla storia urbana, tanto che il grande progetto religioso e politico della costruzione del Duomo non sarebbe stato praticabile senza questa possibilità di trasporto dei blocchi di marmo. Nel 1497, al tempo di Ludovico il Moro, il sistema del fossato interno alla città era completato da tutte le chiuse necessarie alla più agevole navigazione (in precedenza, per esempio nel Laghetto di Santo Stefano, le chiuse erano posticce: si costruivano e si ridemolivano secondo le esigenze della navigazione). Nello stesso anno, con l’apertura del Naviglio della Martesana, la navigazione poteva essere praticata con continuità dal Ticino all’Adda.

Questa straordinaria rete di canali e di fiumi navigabili era servita e servirà nel tempo alle utilità del commercio, anzitutto, ma anche dell’agricoltura, che ha nella collocazione sui mercati dei suoi prodotti trasformati un fine strategico. Servirà però anche alla mobilità e al divertimento delle classi dirigenti, dal tempo delle signorie (sono documentati i racconti dei viaggi in lussuose imbarcazioni della corte sforzesca verso i parchi a sud della città, a Pavia) al Settecento, quando lungo le sponde del Naviglio Grande e del Naviglio della Martesana si costruiscono circa un centinaio di ville, luogo di attivo controllo dell’azienda agricola e anche di consumo della sempre più diffusa pratica della villeggiatura.

Fu il governo di Maria Teresa che riprese il progetto di collegare Milano al Lago di Como e conseguentemente mettere quest’ultimo in comunicazione con il Lago Maggiore, attraverso la realizzazione del Naviglio di Paderno, attuato nel 1777 in sostituzione del tratto non navigabile del corso dell’Adda.

Le relazioni crescenti comportavano collegamenti sempre più efficaci per il trasporto merci e certamente la strada non costituiva allora il sistema più efficente in particolare per le merci povere e pesanti. La rivoluzione industriale che in altri paesi come l’Inghilterra e poi la Germania si era appoggiata ad una efficente rete di canali navigabili produce una diffusa consapevolezza della necessità di rilanciare un sistema di trasporto che in Lombardia aveva nei secoli precedenti gettato solide basi tecniche e organizzative.  Dopo anni di studi e di progetti, un dispaccio regio del 1773 dava l’assenso alla costruzione di due nuovi canali: uno, il Naviglio di Paderno, l’altro, il Naviglio pavese che, dalla Conca milanese del Naviglio Grande conduceva fino a Pavia e per il Ticino al Po e che sarà eseguito solo in epoca napoleonica (G. Bruschetti 1972).

Sebbene nella rete idrografica occidentale lombarda il percorso fluviale tra il lago di Como, Milano ed il Po sia, per le condizioni ambientali delle sponde, meno vantaggioso quanto a navigabilità rispetto al Ticino, il cui corso traccia il confine occidentale della provincia comasca con il novarese, tuttavia l’idea di dare a Milano una nuova via d’acqua capace di richiamare in Lombardia parte dei traffici internazionali che in quegli anni preferivano la strada per il Piemonte, riporta alla ribalta l’antico progetto del Naviglio di Paderno, il Naviglio cioè che, rendendo possibile in quel tratto la navigabilità del fiume Adda, poteva consentire, in continuità con il Naviglio Martesana, la navigazione da Colico a Lecco e a Milano.

I piani proposti richiamavano i progetti già concepiti nel passato: nel 1758 il luganese Francesco Antonio Rusca riprende il progetto di Guido Mazenta della fine del Cinquecento, l’ingegnere tedesco Roberto Spalart quello del 1565 di Giovan Francesco Rizzi e il milanese Dionigi Maria Ferrari il progetto che l’ingegner Giuseppe Meda nel 1574 aveva indirizzato anonimo, ritenendolo egli stesso troppo ardito, al Consiglio milanese.

Questo fervore di iniziative metteva in allarme Como e, come già nel Cinquecento, la città si dichiarava contraria alla costruzione del canale che poteva sì avvantaggiare Milano, ma che avrebbe deviato i traffici da Como con danno  per l’economia della città. Piuttosto che ricorrere ai tribunali e far causa a Milano, com’era accaduto nel Cinquecento, Como commissiona all’ingegner Pietro Banfi il progetto di un canale navigabile capace di collegare Como direttamente a Milano, attraverso i fiumi Aperto e Seveso.

Il progetto si rivelò presto di difficile esecuzione e di costo elevato, inaffrontabile per le possibilità economiche della città ed il Consiglio Generale di Como ripiegò nel tentativo di ottenere un indennizzo per i danni che all’economia della città sarebbero derivati dallo spostamento dei flussi di traffico. Argomentò anche, e con ragioni che si riveleranno fondate, sulla non convenienza dell’intervento sia per le difficoltà del percorso che non avrebbero reso conveniente alle merci di profittare della nuova via dell’Adda, sia per i costi che sarebbero derivati ai mercanti milanesi da dazi comunque superiori a quelli piemontesi.

I lavori, sui progetti esecutivi di Paolo Frisi, iniziarono nel 1773 e consentirono nel 1777 un’inaugurazione solenne della navigazione da Brivio a Vaprio all’arciduca Ferdinando; furono di fatto completati nel 1779 e fecero confluire a Milano sulla nuova via d’acqua merci traffici di cui si avvantaggiò, come prevedibile, Lecco.

Dal 1780 fu istituito un servizio pubblico regolare fra il lago di Como e Milano, analogo a quello già in uso nel Ticino e, per consentirne la convenienza rispetto a quello si previdero tariffe di navigazione più basse, particolari esenzioni daziarie e si garantì alle barche controcorrente il pieno carico con il trasporto del sale.

Con barcaioli addestrati al servizio da alcuni esperti “paroni” del Ticino, il servizio impiegava “barconi” di ragguardevoli proporzioni da 36 tonnellate e 24 metri di lunghezza e “barche mezzane” da 22 metri e “borcelli” di 18 metri. Al ritorno si formavano convogli (“cobbie”) di 10-13 barche che, trainate da due cavalli, impigavano 13 ore da Trezzo a Lecco.

Dalla sua realizzazione e per tutto l’Ottocento il flusso di merci  non ebbe una significativa crescita e si mantenne di fatto costante anche in relazione alle categorie di merci trasportate: gesso da Mobiello e Limonta, graniti bianchi da San Fedelino di Chiavenna, tegole di ardesia da Moltrasio, calce da Malgrate, mole da mulino e legnami, fieno, carbone da legna. Come si vede, fa spicco l’assenza delle manifatture di ferro lavorate nelle officine di Lecco, che, sino all’affermazione della ferrovia, preferiscono i trasporti leggeri via terra.

In coincidenza con la costruzione della centrale idroelettrica di Paderno d’Adda nel 1896, ma soprattutto con l’avvento della ferrovia (nel 1900 si registra la punta di maggior traffico merci sulle FNM con oltre 1 milione e mezzo di treni-chilometro), cominciò la progressiva decadenza dei traffici tra il Lario e Milano, come del resto per tutto il sistema dei navigli lombardi.

Carlo Cattaneo comparava alla metà dell’Ottocento il sistema dei canali navigabili, integrato con la rete fluviale, della Lombardia, del Belgio, della Francia e della Gran Bretagna. I 222 chilometri della Lombardia vengono confrontati con i 460 del Belgio, i 4.184 della Francia e i 3.975 della Gran Bretagna, che avevano costruito le loro reti nell’età moderna; furono strutture di supporto per il decollo della rivoluzione industriale, si estesero ulteriormente ancora in funzione di tale necessità sino a quando, anche in quei paesi la ferrovia divenne la nuova infrastruttura, più agile ed efficiente, per i trasporti interni (C. Cattaneo 1841).

È da segnalare la proposta del 1863 degli ingegneri E. Villoresi e L. Maraviglia di realizzare sette canali navigabili e irrigui con l’obiettivo di un completamento pedemontano, congiungente i laghi di Lugano, Maggiore e di Varese con Milano e l’iniziativa di un Consorzio, sorto nel 1918, per potenziare ed allargare la via navigabile lago di Como-Milano.

Subito dopo il piano regolatore di Milano del 1911, detto dai suoi estensori “Masera-Pavia”, viene costituita l’Azienda del Canale Navigabile per lo studio e l’attuazione di un canale Milano-Cremona-Po.

Fra le due guerre si stendono progetti esecutivi e vengono espropriate le aree per il nuovo porto di mare e per il tracciato del canale verso sud.

Nel secondo dopoguerra, fino alla prima metà degli anni Sessanta, il potenziamento della rete dei canali navigabili lombardi sembra trovare conforto nel grande progetto mondiale di navigazione fluvio-marittima che puntava a dare al Mediterraneo immediatamente una sua centralità e che vedeva nelle imbarcazioni da 1.350 tonnellate la possibilità  di consentire una navigazione continua dal mare alle acque interne senza rotture di carico.

Nel 1945 si deve ad un comandante inglese delle truppe di occupazione (la leggenda non fa che sottolineare la centralità inglese nella valutazione dei canali navigabili per gli obiettivi di sviluppo economico) l’insistenza per la riattivazione dell’Azienda per il canale navigabile. Nel 1961 il Parlamento delibera la formazione di un Consorzio Milano-Cremona-Po per la navigazione interna, in relazione anche ai fabbisogni industriali già esplicitamente manifesti da oltre un decennio.

LA battaglia a favore e contro la realizzazione del canale investe il dibattito degli esperti di trasporto e di una parte degli urbanisti lombardi che vedono in questa infrastruttura la possibilità di una riallocazione funzionale lungo il canale degli impianti siderurgici e chimici per il loro approvvigionamento di materie prime e semilavorati.

I lavori e i progetti elaborati dal Consorzio sono rimasti nel grande limbo delle non decisioni, mai ufficialmente sconfessati e mai attuati.

 

La costruzione della rete delle ferrovie

A di fuori dei navigli e dei collegamenti che essi garantivano in connessione con la navigazione fluviale e dei laghi alpini, prima della rivoluzione industriale non si sono verificate, in materia di infrastrutture, altre realizzazioni significative. La trazione a vapore dei battelli sui laghi e i servizi e il tentativo di integrare  i trasporti a terra su diligenze con i primi servizi lacustri sono destinati ad essere superati nel volgere di pochi decenni dallo sviluppo del modo di trasporto su rotaia.

Nella seconda metà del XIX secolo la trazione a vapore si va ormai affermando come il principale sistema per il trasporto dei passeggeri (oltre 250 milioni di viaggiatori nel 1865 solo in Gran Bretagna) e delle merci, integrando più che sostituendo il sistema dei canali, ma con una moltiplicazione enorme delle quantità trasportate.

A distanza di tre lustri dalla costruzione della prima linea ferroviaria in Inghilterra (e quindi nel Mondo), in Italia si realizzano, più per una curiosità generale che per una necessità programmata, due linee: la Napoli-Portici nel 1839 e la Milano-Monza nel 1840. Ambedue rispondono al desiderio di modernità, identificata nel progresso tecnologico. In quegli anni in Lombardia si pensa al sistema ferroviario come infrastruttura per le esigenze socio-economiche di uno sviluppo ineluttabile: il primo progetto della linea Milano-Venezia risale al 1836, ed è contemporaneo a quello della Monza-Como, che sarà il secondo tratto lombardo, realizzato dopo la metà del secolo.

Il dibattito culturale e tecnico che accompagnò l’idea e i progetti della Milano-Venezia va riferito allo specifico contesto geopolitico del tempo, che vedeva il Regno Lombardo Veneto godere di un’ampia autonomia da Vienna. Due erano le posizioni che si fronteggiavano, sottintendendo una diversa concezione della città. La prima considerava il tracciato come il collegamento necessario tra Milano e Venezia, il suo porto naturale, prima dell’Unità d’Italia sotto l’Impero Austro-Ungarico.

Il progetto, attendibilmente del 1837, di Gaspare Biondetti Crovato rappresenta la soluzione di una linea direttissima Milano-Venezia, nell’ipotesi che l’utilità del collegamento ferroviario fosse esclusivamente di servire la grande città e il suo porto, senza alcuna relazione con il territorio attraversato. Un altro progetto coevo (1845) conserva sostanzialmente la stessa soluzione, ma aggiunge una serie di diramazioni ortogonali alla linea principale in corrispondenza delle principali città. Il progetto della Commissione Fondatrice Lombardo Veneta, sempre del 1837, rappresenta il tracciato che allora parve definitivo. La vivace protesta dei bergamaschi impose però una rettifica: si costruì da Treviglio il tracciato per Bergamo e di lì a Brescia.

L’altra posizione, sostenuta da Carlo Cattaneo, considerava la ferrovia come un’occasione capace di attivare interdipendenze tra diverse realtà insediative.

Nel giugno 1836 pubblica un primo articolo “Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia”. Nella sua posizione appare di grande significato il rifiuto di considerare la ferrovia come il collegamento tra due poli protagonisti, quasi autosufficienti sul territorio.

Scriveva Carlo Cattaneo sulla Rivista “Il Politecnico”: «Il progetto della Strada ferrata da Venezia a Milano, onde soddisfare veramente allo scopo pel quale fu immaginato, che quello è come si disse del maggior lucro, o sotto altri termini della maggior pubblica utilità, procurar deve il maggiore, più facile e men dispendioso movimento possibile delle merci e de’ viaggiatori; intendendosi per viaggiatori non tanto gli esteri quanto e più particolarmente i nazionali, e più particolarmente poi ancora non solo gli abitanti delle due città capitali di Milano e Venezia, ma in oltre tutti quelli che hanno domicilio nelle città, interposte fra le capitali medesime, o che temporariamente e agevolmente possono prendervelo se dimorano ne’ luoghi minori vicini, o stanno dispersi per le campagne. [...]. Agevole è in fatti è di comprendere che se Milano e Venezia sono i centri principali del commercio e di ogni altra maniera di affari nel Regno, lo sono principalmente per questo che a tale effetto contribuiscono altri centri di produzione e di consumo, minori senza dubbio per comparativa importanza, ma tuttavia abbastanza considerevoli eglino stessi perché avere se ne debba grande riguardo. Tutto si collega tanto nel mondo fisico che nel morale. E come le vene minori non alimentate o non aventi comunicazione facile e perenne co’ tronchi minori e col cuore ben presto rimangono senza vita, o fanno cader se non altro tutto il corpo in una condizione stentata e morbosa; così anche la prosperità nazionale isterilisce e vien meno se con inopportune e mal consigliate misure agli interessi sociali s’impedisca ed anco si difficulti di espandersi di prendere fino nelle diramazioni più minute tutto il naturale e conveniente sviluppo.

La costruzione della linea inizia nel 1841. Nel 1846 sono ultimati i due tronchi Milano-Treviglio e Venezia-Vicenza. Nel 1849 si costruisce il tratto Vicenza-Brescia e si iniziano i lavori per collegare Brescia con Coccaglio; nell’ottobre del 1857 si completa la costruzione della strada ferrata da Milano a Venezia, con l’ultimazione delle tratte Coccaglio-Bergamo e Bergamo-Treviglio. L’integrazione Treviglio-Brescia venne costruita successivamente.

Como è il primo capoluogo provinciale ad essere collegato ferroviariamente con Milano. Il 6 dicembre 1849 viene inaugurata la linea tra la stazione di Milano Porta Nuova, Monza e il capolinea di Camerlata. Il tratto di 44 chilometri viene coperto in poco più di un’ora e un quarto. Sullo stesso tragitto le diligenze postali non impiegano meno di quattro ore e mezza (la linea è il prolungamento della prima ferrovia costruita in Lombardia tra Milano e Monza e aperta all’esercizio il 18 agosto 1840).

Fin dal 1835, l’ing. Giuseppe Bruschetti e don Zanino Volta, figlio di Alessandro, “ottennero privilegio per una rotaia ferrata da Milano a Como”; confer­mato poi il 27 luglio 1837, a patto che il primo miglio di binari fosse realizzato entro quattro anni e l’intera opera in dodici. La ferrovia avrebbe potuto portare, come sosteneva Cesare Cantù “tanti comodi e vantaggi alla città di Milano della quale diventerebbero quasi un sob­borgo le deliziose spiaggie del Lario”. Il 14 aprile 1841 si pose la prima pietra a Lentate, ma dopo la costruzione di appena un miglio i lavori si interruppero.

Il disegno originario della linea si sviluppava su un tracciato diretto lungo la valle del Seveso, a partire dalla Circonvallazione dei Bastioni milanesi tra Porta Tenaglia e Porta Comasina, per Masciago, Barlassina, Carimate, Vertemate e Cucciago, sino al capolinea nei sobborghi di Como.

Intanto il signor De Putzer, conseguito il privilegio di una strada ferrata per Monza, ne appaltò l’esecuzione all’ing. Sarti “che la compì e che disegnò pure le lodevolissime stazioni delle due estremità” creando quindi le condizioni della deviazione del tracciato della Milano-Como per Monza.

Anche altre sono le ragioni perché la linea passasse per Monza: l’esordio della ferrovia sulla Milano-Monza fu pessimo ed in breve mise a rischio commerciale l’impresa. La casa Arnstein & Eskels di Vienna, rilevate le azioni dalla casa Holzhammer, si mosse per anni per far sì che sia la linea per Como che quella per Venezia passassero per quel troncone di 12 chilometri. Le pressioni sul Volta, fin dal 1844, furono innumerevoli finché nel 1846 fu costretto a vendere la concessione alla Arnstein & Eskels attraverso il mandatario Grassi.

Tra Monza e Como vennero costruite le stazioni di Desio, Seregno, Camnago, Cucciago e Camerlata.

Le ragioni economiche della strada ferrata di Como, per quanto riguardava il trasporto merci, stavano, secondo l’ing. Bruschetti, nel movimento interno delle merci, concorrenziale alla via d’acqua per l’Adda e il Naviglio Martesana (600.000 t/anno).

Sulla possibilità di trovare nella linea ferroviaria il rilancio del percorso mercantile lariano in concorrenza con la direttrice piemontese del lago Maggiore, Carlo Cattaneo si trova in posizione di disaccordo con il progetto e porta avanti con Giuseppe Bruschetti una vigorosa polemica sulle pagine degli Annali di Statistica.

Per quanto riguarda il trasporto passeggeri appare di grande interesse la concezione di Bruschetti che affida -siamo nel 1836- al turismo di massa domenicale e festivo le condizioni di accessibilità nuova tra il capoluogo e le sponde del lago: il tempo di percorrenza ridotto ad un’ora ne avrebbe fatto “quasi un passeggio nelle lunghe giornate estive e nelle festività per quanti della capitale attirati dall’amenità di quelle riviere”. Ma anche alle relazioni nuove rese possibili dall’ora di percorrenza al “popolo minuto e al ceto campagnolo” ai quali la brevità del tragitto e quindi del risparmio della giornata e la tenuità della spesa non avrebbero lasciato più convenienza a viaggiare in altro modo.

Se nel 1839 sulla strada postale per Monza si muovevano meno di 1300 passeggeri/giorno, sul medesimo tragitto, ma per ferrovia, nel 1845 si registravano 360.000 passeggeri corrispondenti a 1000 passeggeri/giorno; realizzato il collegamento con Como i flussi salgono nel 1850 a 600.000 passeggeri, mantenendosi su valori pressoché costanti fino al 1855.

Il successo indubbio della linea - si pensi che nello stesso 1855 sulla Milano-Treviglio si avevano 271.000 passeggeri - risente tuttavia dell’incerta funzionalità della linea ferroviaria rispetto alla domanda, che non sia quella del turismo verso le località dell’alta Brianza, del basso comasco e del Lario. Le ciclicità stagionali che caratterizzano il percorso sino a Monza diventano ancor più evidenti quando si può arrivare in treno fino alle rive del lago: i mesi con maggior traffico quelli estivi fino a settembre, quando si registra la punta massima, i mesi con i traffici più bassi quelli invernali con la minima in gennaio.

Zanino Volta, per parte sua, in uno scritto del 1839, ben comprendendo le obiezioni di Cattaneo, intuisce e propone la necessità di un collegamento transalpino della ferrovia attraverso un grande traforo alpino, sotto lo Spluga o sotto il Septimer, certamente decisivo per le produzioni lombarde nei mercati del centro Europa.

Declinata la candidatura dello Spluga, la convenzione italo-svizzera del 1869 a favore del Gottardo dà modo agli interessi comaschi di inserire il capoluogo lariano sulla direttrice ferroviaria internazionale e di farne sede della dogana. I lavori ferroviari della linea Camerlata-Chiasso iniziano nel 1874 e si completano nel 1876: per superare le differenze di quota la linea ferroviaria si stacca prima del vecchio capolinea di Camerlata e scende verso Como e il lago fino alla stazione di San Giovanni e di qui prosegue, con un tratto di poco più di 4 chilometri per Chiasso, con la costruzione del Ponte di S. Teresa ad archi di mattoni, e con lo scavo della galleria del Monte Olimpino, lunga due chilometri. Nel 1881 Milano è collegata con Lugano e l’anno dopo, con l’ultimazione della galleria del Gottardo (1882), anche con i paesi del centro Europa.

 

Le ferrovie Nord Milano

Con la metà degli anni ‘70 prendono corpo tra l’Alto Milanese, il Comasco e il Varesotto una serie di iniziative private che, nella modernità della ferrovia, vedono la condizione del decollo produttivo e sociale della regione.

Le Ferrovie Nord Milano, che diverranno la rete ferroviaria privata più importante a livello nazionale, hanno un antecedente nel 1869 con la proposta degli ingegneri Campiglio, Comelli e Pessina per una rete a scartamento ridotto che facendo centro in Saronno si diramava verso Milano, Como e Varese. L’idea prende corpo cinque anni dopo con la costituzione della società anonima promossa dallo stesso ing. Ambrogio Campiglio, da Emilio Bianchi e da Alberto Vaucamps.

La concessione statale del 1876 prevede la realizzazione della Milano-Saronno a doppio binario e, dopo la costituzione della Società Anonima Ferrovie Milano-Saronno e Milano-Erba, la realizzazione della Milano-Erba e nel 1879, in soli 3 anni, sono entrambe realizzate e aperte all’esercizio.

Nel 1880 si realizzano i raccordi della Milano-Saronno con la Milano-Rho e della Milano-Erba con la Milano-Como a Camnago che, insieme alla scelta dello scartamento normale più costosa di quella a scartamento ridotto, stanno ad indicare la chiara volontà di costruire una rete interconnessa con la rete della Società Alta Italia. Le economie, ma insieme le caratteristiche di un servizio di metropolitana regionale si realizzano con la scelta del materiale rotabile: carrozze a corridoio centrale di tipo “svizzero” che consentono di ridurre i tempi di fermata alle stazioni del 50%.

Sempre nel 1879 Felice Rodriguez, Giulio Zerbi, Giacinto Lazzaroni e Angelo Minoretti ottengono dalle Amministrazioni provinciali di Milano e Como la concessione di una linea di tramway tra Saronno e Como che, nonstante per certi tratti affianchi la strada Comasina, ha anch’essa caratteristiche di ferrovia “economica” a scartamento normale. Capolinea a Como è il porto di S. Agostino che consente l’integrazione con il servizio di trasporto lacuale mentre a Saronno la linea si innesta su quella per Milano.

Oltre a queste realizzazioni, negli stessi anni, vengono avanti una serie di progetti che interessano soprattutto i collegamenti trasversali tra le linee esistenti: la Como-Varese-Laveno, la Novara-Saronno-Seregno.

Nel 1882 la Provincia di Como ottiene la concessione per la costruzione e l’esercizio della linea Como-Varese-Laveno e del tratto Saronno-Malnate. Nel 1885 entra in funzione il tronco ferroviario Quadronno-Como Borghi-Como Lago che diventa l’ultimo tratto della Como-Varese-Laveno. L’esercizio di queste linee, dapprima affidato alla Società Ferrovie Complementari e del Ticino, passa nel 1888 alle Ferrovie Nord Milano.

Interrato il vecchio porto, su cui sorgerà la piazza Cavour, ultimata nel 1870, sul lungolago attraccano i battelli della potenziata “Navigazione Lariana”; questo straordinario sistema di interconnessione sarà completato nel 1893 con la costruzione della funicolare per Brunate, che avrà subito un sorprendente successo, che si protrae nel tempo fino alla ricostruzione integrale della stazione di Brunate negli anni Trenta e la sostituzione delle carrozze originarie.

Nel 1883 veniva concessa all’ing. Marco Visconti la costruzione e l’esercizio della linea Novara-Seregno. A partire dal 1890 anche l’esercizio di questa linea veniva affidato alle Ferrovie Nord Milano e nel 1947 la Società Ferrovia Novara-Seregno veniva incorporata nella Società Ferrovie Nord Milano.

Nel 1896 la stessa società veniva autorizzata a trasformare in ferrovia la tranvia a vapore tra Saronno e Grandate con un netto miglioramento del servizio: con l’entrata in esercizio di questo tronco nel 1898 si completava la rete ferroviaria tra Milano, Como, Varese e Laveno.

Nel 1902 venne concessa alla Società Novara-Seregno la costruzione e l’esercizio del tronco di diramazione Castellanza-Cairate-Lonate Ceppino. Tale tronco fu aperto all’esercizio nel 1904. Nel 1906 i comuni di Stabio e Mendrisio ottengono dal Governo Federale Svizzero la concessione del tronco ferroviario tra Mendrisio e il confine presso Stabio.

Nel 1913 viene accordata la concessione alla Società Novara-Seregno di costruire ed esercitare il prolungamento della linea da Lonate Ceppino al confine svizzero, che viene aperta all’esercizio nel 1916. Nel 1913 veniva costituita la Società Svizzera per la costruzione del tronco Mendrisio-Stabio-confine. La costruzione, ultimata nel 1926 avviò un servizio internazionale che però nel 1928 venne interrotto nel tratto svizzero. In conseguenza le Ferrovie Nord Milano, alle quali era stato affidato l’esercizio anche sul tronco svizzero, limitavano l’esercizio fino al confine e, successivamente, sino a Cairate (dal 1952 l’esercizio ferroviario passeggeri è stato sostituito con un servizio automobilistico limitando l’esercizio della linea ai soli treni merci fino a Cairate).

Nel 1900 la rete delle ferrovie Nord Milano, completamente esercitata a vapore, ha pressoché raggiunto lo sviluppo attuale. A partire dal 1928 si inizia l’elettrificazione della Milano-Saronno e della Bovisa-Meda, seguita nel 1936 dalla elettrificazione della Saronno-Como.

Tra il 1900 e il 1945 il traffico si sviluppa notevolmente fino a raggiungere in media prima della guerra oltre mezzo miliardo di viaggiatori-km e durante la guerra, nel 1943, la punta di oltre due miliardi di viaggiatori-km. Con l’elettrificazione le linee, si può osservare nei primi anni ‘50 “senza spingere le velocità di esercizio oltre gli 80 km/h, assicurano comunicazioni rapide tra Milano-Como, Milano-Varese, Milano-Erba-Asso e Milano-Novara in modo che per raggiungere tali località si impiega un tempo non superiore a quello necessario in Milano per arrivare a punti lontani della città col servizio tranviario”.

Questa rete, se da un lato portò la forza lavoro a Milano dai diversi bacini territoriali, dall’altro anche portò i milanesi nel resto della regione, per le diverse utilità commerciali e industriali, turistiche e connesse al tempo libero.

Le Ferrovie Nord, così fortemente radicate nella geografia antropica della Lombardia, divengono di proprietà pubblica dopo un secolo, fatto essenziale per il programmato sistema ferroviario regionale.

 

La rete delle trenovie

Un ruolo importante in una fase cruciale dello sviluppo industriale regionale, nel garantire la capillarità dell’infrastrutturazione hanno avuto le linee tranviarie extraurbane, o trenovie, che hanno vissuto una breve ma intensa stagione tra il 1876, anno di realizzazione della prima linea Milano-Monza e il 1915, anno in cui hanno raggiunto, con  1557 km, il loro massimo sviluppo.

L’8 luglio 1876 veniva inaugurata la prima linea tranviaria extraurbana lombarda: la Milano-Monza. I binari, posti in corrispondenza dell’attuale Buenos Aires e sul viale Monza (sul tracciato che è ancora della linea M1) correvano su quella che era, cosi come lo è oggi, una delle direttrici principali di traffico: il collegamento tra il capoluogo e la capitale storica della Brianza è il primo passo nella costituzione di una fitta e ramificata rete di trasporti minori su ferro destinata a diventare la spina dorsale nei collegamenti tra Milano, Como, Varese ed i centri urbani dei rispettivi intorni.

Inizialmente la trazione animale consentiva di realizzare tratti di linee non più lunghe di una quindicina di chilometri; con l’introduzione delle motrici a vapore prima, ed elettriche poi, si potè intorno a Milano sviluppare la rete fino a raggiungere Lodi, Saronno e Tradate.

Il successo di questo tipo di trasporto va ricercato nella propria immediata versatilità: le cosiddette trenovie potevano infatti utilizzare, nei centri urbani i binari dei tram, per assumere, lasciate le città, le caratteristiche di sistemi a guida vincolata in sede propria e quindi con caratteristiche e prestazioni che oggi potremmo assimilare a quelle delle moderne metrotranvie.

Questo sistema di trasporti permetterà di realizzare un servizio di tipo capillare capace non solo di alimentare alcuni dei principali poli regionali ma, soprattutto, di consolidare la struttura articolata dei centri minori soprattutto con il loro attestarsi alle stazioni ferroviarie come le Ferrovie Nord Milano dove confluiranno, come nella rete varesina o comasca, anche le funicolari.

La “Carta delle Trenovie costrutte, in costruzione, e progettate nella Provincia di Milano e finitime a tutto il Marzo 1881”, testimonia non solo la grande dinamicità dimostrata dallo sviluppo di questo sistema di trasporto ma soprattutto questa importante funzione di connettivo fra trasporti urbani e rete ferroviaria.

Non sono passati che cinquant’anni dall’apertura della linea ferroviaria Milano-Monza ed è già possibile parlare di una rete tranviaria extraurbana le cui linee principali raggiungono centri come Lodi, Treviglio, Bergamo, Como e Pavia. Nei primi decenni del 1900 le linee extraurbane lombarde raggiungeranno l’estensione massima di 1700 km.

Nel giro di un ventennio, quasi ogni centro intorno a Milano verrà interessato dalla creazione di questa fitta rete, vero e proprio apparato motore dello sviluppo economico regionale a cavallo tra i due secoli. Il tram, e non solo quello urbano, diviene quindi una caratteristica del paesaggio lombardo, finendo con l’occupare un posto privilegiato nella memoria collettiva.

Non solo Milano fu interessata dalla realizzazione di questo trasporto extraurbano: intorno al 1880 si aprì anche a Bergamo la stagione, che sarebbe durata qualche decennio, delle tramvie a vapore, che unirono al capoluogo i centri maggiori della pianura bergamasca, con prolungamenti nelle province vicine. Nel 1879 la tramvia giunse fino a Treviglio e l'anno dopo a Lodi. Nel 1884 la linea Bergamo-Soncino arrivò a Romano. Nel 1890 venne inaugurata la Bergamo-Trezzo-Monza (in provincia le stazioni erano: Grumello del Piano, Asio Sotto, Brembate e Capriate, con diramazione per Crespi). Nel 1901 entrò in funzione la Bergamo-Trescore, con due diramazioni, una per Sarnico (eliminata nel 1920) e l'altra per Lovere. Nel 1912 venne realizzata la tramvia elettrica Bergamo-Albino, scomparsa nel 1952. Tutte le linee, che ebbero importanza per gli sviluppi economici del territorio, erano a gestione privata. Percorrevano per lo più le strade esistenti ed erano scarsi i manufatti appositamente realizzati: tra quelli superstiti si può citare il ponte di pietra sul torrente Uria a Credaro, lungo la Linea Trescore-Sarnico.

I collegamenti con le valli furono risolti con linee ferroviarie dello stesso scartamento di quelle statali. La prima fu quella che percorreva l'industriosa valle Seriana e che nel 1885 arrivò a Ponte Selva; si pensò a una diramazione poi non realizzata, con l’importante centro laniero di Gandino. Nel 1911 1a ferrovia arrivò a Clusone, determinando una espansione edilizia tra il vecchio nucleo e il nuovo impianto.

In valle Brembana la ferrovia elettrica raggiunse San Giovanni Bianco ne1 1906, passando per San Pellegrino, che andava conoscendo la sua stagione più fortunata.  La ferrovia ebbe inf1ussi sulle espansioni edilizie: a Zogno la stazione ferroviaria e la variante esterna stradale aperta nel 1928 tra la ferroia e i1 vecchio nucleo determinarono i1 sorgere di diverse costruzioni e a San Giovanni Bianco, con la costruzione di un viale per la stazione, si verificò un fenomeno analogo. La..ferrovia giunse  a San Martino de' Calvi (oggi Piazza Brembana) solo vent'anni dopo, nel 1926.   Le due ferrovie furono chiuse all'esercizio nel 1967, con una discussa decisione.

In città una funicolare  tra Bergamo bassa e Bergamo alta entrò in funzione  nel 1887,  mentre nel 1912 cominciò a funzionare la funicolare Bergamo alta-San Vigilio, quando quel colle divenne un frequentato luogo di villeggiatura.

Nel 1958 si inaugurò la funicolare  Albino-Selvino. Una ferrovia secondaria che ancora funziona per il servizio merci fu quella aperta tra Palazzolo e Paratico nel 1876 per iniziativa  di un industriale bresciano, Giovanni  Andrea Gregoriani, che aveva impiantato uno stabilimento siderurgico a Lovere: vagoni ferroviari erano trasportati da Lovere a Paratico su chiatte tirate da rimorchiatori.  Il servizio viaggiatori fu sospeso nel 1966.

Le scelte compiute in materia di trasporto negli ultimi decenni hanno radicalmente mutato questo panorama, la maggior parte delle linee tranviarie extraurbane sono state sostituite con servizi automobilistici; l’esperienza delle Linee celeri dell’Adda rappresenta un’eccezione: negli anni Sessanta venne realizzata un’innovativa linea tranviaria tra Milano e Gorgonzola, che oltre a sfruttare i vantaggi della cosiddetta sede propria, si era dotata di stazioni con piattaforme rialzate per permettere un più rapido afflusso, e deflusso, dei passeggeri, velocizzando così i tempi di percorrenza.

Nel corso degli anni Settanta l’esperienza e i risultati delle Linee celeri dell’Adda confluirono nella realizzazione della linea M2 dai confini di Milano a Cologno Monzese e, con un secondo ramo, a Gorgonzola e Gessate, linea che i bergamaschi avrebbero voluto proseguisse, risolvendo l'annoso problema di una comunicazione diretta e veloce di Bergamo con Milano.

La politica dei trasporti, che era già stata delle trenovie sembra essersi ripresa alla metà degli anni Novanta almeno attorno a Milano dove si punta a realizzare con le “metrotranvie” un potenziamento della rete urbana e, d’intesa con la Provincia e la Regione Lombardia, un insieme di linee tranviarie a più alta capacità e con gli standard tecnologici delle moderne tranvie, per collegare -interconnettendosi con la rete delle linee metropolitane- Milano all’hinterland.

Delle metrotranvie programmate, che comprendono la metrotranvia Nord dal Castello (M1-M2) al Parco Nord di Bresso (3,8 km), la metrotranvia Sud dal Duomo (M1-M3) a piazza Abbiategrasso (2,8 km) e a Rozzano (2 km), la metrotranvia Porta Garibaldi (M2-stazione Passante ferroviario) a Cinesello Balsamo (8,7 km), la metrotranvia ovest dalla stessa stazione di Porta Garibaldi a piazzale Axum (3,5 km) e a Settimo Milanese (7,4 km), la ristrutturazione della tranvia extraurbana Milano (M3)-Limbiate, l’ammodernamento e la riqualificazione della tranvia Milano (M3)-Cusano Milanino-Desio (12 km), l’estensione della tranvia 24 fino a Opera e Locate Triulzi (7,6 km), sono ad oggi (novembre 2003) in fase di ultimazione la metrotranvia Nord dal Castello al Parco Nord e la metrotranvia Sud dal Duomo a piazza Abbiategrasso.

Medesima logica hanno i prolungamenti della rete metropolitana milanese: dopo la linea 2 oltre i confini comunali a Cascina Gobba, verso Cologno Monzese e Gessate, già realizzate negli anni Settanta, che tanto hanno indotto di nuovi insediamenti, soprattutto residenziali, lungo il tracciato (Cologno Monzese, Vimodrone, Cernusco Sul Naviglio, Cassina dè Pecchi), si avvia oggi la realizzazione dei prolungamenti della linea M1, già a Sesto S. Giovanni (Stazione Fs) verso Cinesello Est e a Monza, della stessa M1 alla nuova Stazione Fs di Rho-Pero, e ai nuovi insediamenti esterni della Fiera di Milano, del prolungamento della M2 ad Assago e al centro terziario di Milano Fiori.

Per le stesse nuove linee M4 Lorenteggio-Linate e M5 Garibaldi-Cà Granda interne a Milano, progettate e in fase di avvio, si è prospettato il prolungamento da Lorenteggio a Corsico e Buccinasco, da Forlanini (M4) a S. Donato e S. Giuliano, da Cà Granda a Cinesello Balsamo e Monza.

 

Lezione 5: 2 novembre

 

Fonte: http://www.robertobiscardini.it/uploads/materiale/lezione_5.doc

Sito web: http://www.robertobiscardini.it

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