totalitarismi del 900

 

 

 

totalitarismi del 900

 

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totalitarismi del 900

 

NOVECENTO E TOTALITARISMI

 

Il fenomeno dei totalitarismi (T) è l'enigma del sec. XX, nella misura in cui siamo di fronte al problema del rapporto tra civiltà e barbarie. George Mosse, nella sua "Intervista sul nazismo" dice che è stata proprio l'ideologia della civiltà che ha impedito di vedere la barbarie; è stata la persuasione di vivere ormai nel sec. XX - quindi in un secolo in cui certe cose non potevano accadere - che ha reso disarmati di fronte a quanto stava accadendo. In Germania, ma non solo in Germania, gli stessi ebrei non potevano pensare che certe cose potessero accadere nel paese della civiltà, della filosofia, del progresso. Proprio l'ideologia liberale, paradossalmente, ha impedito di riconoscere il male, la barbarie là dove stava accadendo. L'ottimismo non ha permesso di guardare realisticamente la realtà. Di fronte a questo impaccio Hitler, ad es., era sicuramente avvantaggiato: come dice ai suoi interlocutori, egli sapeva benissimo che i suoi interlocutori "borghesi" non erano in grado di afferrare questo suo porsi al di là di ogni convenzione; egli lo sapeva e giocava d'anticipo, se ne sarebbero accorti dopo, ma, dopo, sarebbe stato troppo tardi; nel frattempo lui poteva realizzare il suo disegno.

L'enigma del sec. XX è, in realtà, l'enigma del male: la storia contemporanea ci pone di fronte, in un modo impensato, proprio all'esplosione del negativo, del male, come difficilmente era stata sperimentata, vissuta dalla storia passata; un enigma del male che erompe in modo del tutto sconcertante proprio nel secolo in cui ormai il progresso pareva definitivamente realizzato, in cui l'umanità pareva così sicura della sue conquiste; l'enigma del male che ci viene ricordato nel "Libro nero sul comunismo". Il nazismo ha fatto 25 milioni di morti, il comunismo ne ha fatti 85 milioni. Hannah Arendt ha scritto ne "La banalità del male" che la cosa più sconcertante è come uomini comuni, uomini dalla vita ordinaria, uomini che, se non avessero incontrato queste ideologie, se non avessero fatto parte di questi movimenti, partiti, prospettive, avrebbero vissuto una vita semplice, tranquilla, di gente perbene, come si suol dire; e che, invece, coinvolti nella spirale di posizioni così apparentemente incredibili, a un certo momento diventano dei veri e propri criminali, dei carnefici. Il male è banale, non richiede menti mefistofeliche, richiede gente ordinaria. Rudolf Hoss, il comandante di Auschwitz, di cui è uscita di recente la riedizione delle memorie per l'editore Einaudi, era una persona normalissima nella Germania di Weimar, e a un certo momento entra nel partito nazista, viene a far parte delle SS, ma perchè ciò significava una promozione sociale, essere finalmente qualcuno, valere qualche cosa, il fascino dell'uniforme. Quando poi viene mandato ad Auschwitz come comandante, ha un momento di titubanza, ma non può tirarsi indietro, non può dire al suo superiore che non se la sente; sarebbe stato segno di viltà. Diviene così il capo di tutti gli aguzzini di Auschwitz.

E' facilissimo diventare criminali dentro un certo mondo e una certa atmosfera!

Come si perviene a questa banalizzazione del male? tutto questo accade a caso o c'è una storia dietro, una prospettiva?

Uno studioso tedesco Friedrich Meinecke, in un testo di grande valore scritto nel 1924 "L'idea di ragion di stato nella storia moderna", diceva che tutto era iniziato con Machiavelli e con la sua riscoperta nel pensiero politico moderno, tedesco in particolare. Era stato l'idealismo tedesco con Hegel, Fichte, e poi Ranke, Troeltsch ecc., che aveva di nuovo "gettato in campo" il pensiero del fiorentino, secondo il quale il fine vale ogni mezzo e in politica non si bada tanto per il sottile ma si guarda allo scopo, e non importa con che sistema lo si realizza; era stato Machiavelli ad inaugurare la nuova politica, i nuovi scenari, cioè la giustificazione del male. Meinecke conclude che è stato Hegel e l'idealismo tedesco che ha giustificato "quel bastardo del male". Per la prima volta, cioè, il male non solo è tollerato (questo era sempre accaduto), ma il male viene giustificato, serve, è utile; anzi, per realizzare il positivo, bisogna anzitutto passare attraverso il negativo, per realizzare i grandi scopi della storia non bisogna guardare tanto per il sottile, bisogna camminare con i piedi chiodati e le vittime sono la carne da macello che serve per realizzare l'obiettivo. Sarebbe interessante vedere come, in Italia ad es., la riscoperta di Machiavelli avviene proprio all'inizio del secolo, attraverso B.Croce, il Croce che scopre il marxismo: la riscoperta di Machiavelli avviene attraverso la riscoperta di Marx; è lo studio di Marx che conduce a riattualizzare la posizione di Machiavelli, e Mussolini lo scopre così, e non solo lui. Hitler considera Machiavelli una lettura fondamentale (teneva "Il Principe" sul comodino).

Come si arriva, però, al cinismo assoluto - perchè è di questo che si parla - cioè ad una politica totalmente cinica, che non ha più le remore del passato? Entriamo qui nella interpretazione del secondo Dopoguerra (secondo cui il problema da un lato è colto ma dall'altro è limitato nel suo orizzonte), cioè qual è la risposta che, a partire dal '45, si dà al male della prima metà del secolo? Il male viene individuato nel fascismo o nel nazifascismo. Le potenze vincitrici della 2^ Guerra Mondiale vedono, da un lato, i paesi occidentali e, dall'altro, l'Unione Sovietica. L'interpretazione che mette d'accordo tutti è che il male è stato il nazifascismo (come veniva chiamato). Di questo male - del fascismo - si davano allora 2 interpretazioni: una, di carattere schiettamente marxista, sosteneva che il fascismo non era altro che la reazione del grande capitale alla crescita del proletariato, cioè il capitalismo impaurito dall'avanzata del comunismo (soprattutto dopo la rivoluzione sovietica) per tentare di difendersi, avrebbe appoggiato un movimento reazionario per bloccare l'espansione del proletariato (interpretazione patrocinata e appoggiata a lungo dall'Internazionale, interpretazione ufficiale, anche se non era l'interpretazione alla lettera di Togliatti e di altri). Notate che le cose non andarono propriamente così: il grande capitale non appoggiò i movimenti di destra dall'inizio; fu costretto dopo, "obtorto collo", ad appoggiarli, una volta che furono al potere.

L'altra interpretazione intendeva il fascismo come reazione: i fascismi ottennero consenso perchè rappresentavano la reazione del passato alla modernità, la reazione delle tradizioni passate dei paesi all'avvento del moderno (in Italia si diceva che il fascismo era la reazione della vecchia Italia, che non si era rassegnata all'avvento del mondo nuovo, del mondo moderno e che, attraverso il fascismo, aveva avuto un ultimo sussulto; la vecchia Italia clericale e reazionaria che aveva tentato attraverso il fascismo di riconquistare un suo posto e una sua preminenza). Senza soffermarci su queste due interpretazioni (2 delle 4 offerte nel volume di De Felice "Interpretazioni del fascismo"), notiamo come in queste letture il comunismo non entra, non viene compreso come un fenomeno negativo, totalitario; anzi, qui appare del tutto analogo alle democrazie occidentali. E' evidente che tale lettura matura nel contesto delle alleanza sovietico-occidentale quale esce consacrata dalla fine della 2^ Guerra Mondiale. Difficilmente questa lettura sarebbe stata possibile, per es., se l'alleanza fra Hitler e Stalin fosse continuata. La 2^ Guerra Mondiale nasce proprio all'insegna dell'alleanza fra Stalin e Hitler che si spartiscono la Polonia e allora la parola d'ordine era che il nemico primo erano le democrazie occidentali, la borghesia, e invece vi erano punti di contatto e di estrema sintonia fra il nazionalsocialismo e il comunismo sovietico. Fu fortuna per Stalin che cambiò alleato e questo permise a tutta la posizione comunista di passare per democratica e non per totalitaria. La conclusione del giudizio politico del Dopoguerra è dunque che il male è il fascismo, non il Totalitarismo. E' quel giudizio che poi troverà la sua consacrazione in una certa cultura, la cultura radicale, anche in Italia, e che trovava la sua espressione in un pensatore come N.Bobbio, per il quale, fino a pochi mesi fa, era un giudizio ferreo che il fascismo era peggiore del comunismo. Proprio oggi sull'Unità è comparsa una lunga intervista a Bobbio, nella quale si dice, per la prima volta, che nazismo, fascismo e comunismo sono fenomeni totalitari e il comunismo non è stato certo migliore degli altri. Nel Dopoguerra la categoria di T non trova molta udienza; si preferisce parlare di nazifascismo ma non di T. L' interpretazione del T - cioè dei fenomeni di destra e di sinistra che hanno caratterizzato il nostro secolo in termini di T - la si deve a una studiosa ebrea, H. Arendt, che proprio nel '51 pubblica un testo fondamentale che è "Le origini del T", testo che soprattutto nel mondo anglosassone avrà una grandissima importanza. La Arendt, che viene dalla scuola liberale (allieva di Jaspers ecc.), pone invece comunismo e nazismo sotto quest'unica categoria: il T. Notate che i cosiddetti regimi totalitari definivano se stessi proprio così, durante la loro esistenza: Hitler, Mussolini ecc. descrivevano i loro movimenti come totalitari, attribuendo un valore positivo a tale definizione. Per la Arendt invece il T diventa espressione di distruzione della libertà e dei diritti della persona. Per la Arendt il T è il fenomeno della politica nuova , dei nuovi movimenti politici del sec. XX, di quei movimenti che trovano nelle masse il loro punto di riferimento, nel governo delle masse, nel dominio della psicologia delle folle (v. "La psicologia delle folle" di Gustave Le Bon: bisogna saper dominare la massa, perchè la massa è il prodotto della società democratica ma è senza capo e senza idee e bisogna plasmarla e dominarla...). Il T è lo Stato che diventa realtà totale, che assorbe in sé integralmente la società civile, la dissolve nel proprio ambito: Stato o partito divengono strutture totali. "Totali" vuol dire che non c'è più distinzione tra vita pubblica e vita privata; scompare la distinzione liberale tra' vita pubblica e vita privata; lo Stato totalitario vuole integralmente anche la vita privata; l'individuo non appartiene più a se stesso, ma appartiene integralmente all'elemento pubblico, collettivo, ecc. La categoria di T era certamente una categoria importantissima, che rappresentava un passo in avanti rispetto alla posizione limitativa del male individuato semplicemente nel nazifascismo, ma aveva dei limiti posti in luce da storici successivi. I maggiori storici contemporanei del nazismo e del comunismo (De Felice, Mosse, Furet...) hanno rilevato come questa categoria, pur importante, non sia esauriente, perchè il T spiega, dal punto di vista liberale, la patologia della politica, ma non la genesi del male. Dire che è totalitario mi dice che la politica è diventata tutto, quindi che tende a fagocitare tutto il resto; questo è certamente un fenomeno patologico, è come una escrescenza tumorale, una cellula impazzita che invade un corpo sano e diventa un fenomeno totale.

Ma qual è la genesi del male? Come si determinano questi fenomeni nella società europea degli inizi del secolo? Fenomeni, badate bene che prima della 1^ Guerra Mondiale erano del tutto impensabili. Non solo: come spiegare il fascino che questi movimenti ebbero tra le masse? perchè non ci fu solo coercizione, ma ci fu consenso. E ancora: qual è la funzione del mito dentro questa prospettiva politica? del mito, cioè dell'ideologia che assume anche valore di mito, e quindi, qual è il valore religioso di questa politica nuova? ancora: il T, facendo di ogni erba un fascio, non spiega adeguatamente la peculiarità dei movimenti totalitari; cioè nazismo, fascismo, comunismo in realtà sono diversi tra loro: dire che sono totalitari permette di capire la struttura, i caratteri comuni, ma non gli elementi che li diversificano. Quindi la categoria di T, con tutti i suoi meriti poneva in luce gli elementi strutturali, ma non quelli storico-ideali. Per quanto riguarda l'analisi degli elementi strutturali certamente il T li pone in luce. C'è uno studio di Z. Brzezinski, uno storico americano di origine polacca, che pone in luce proprio tutta una serie di tali elementi strutturali: Stato, partito, capo... partito unico, capo che sintetizza tutto, burocrazia, l'ideologia, l'uso dei media, l'esercito... tutta una serie di strutture unificate, fortemente centralizzate che si ritrovano in ogni realtà totalitaria, che dunque ha una sua struttura omogenea. Tale struttura è tipica dei partiti di massa moderni, nel senso antitetico, ed è tipica degli Stati totalitari, che vedono questo processo di fortissima centralizzazione piramidale.

Vediamo allora le interpretazioni che cercano di capire di più il male del nostro tempo, questa grande esplosione del negativo. Soffermiamoci sulle interpretazioni che pongono in luce il fattore ideale dentro la storia contemporanea. Ad es. Croce, all'indomani della guerra, diagnosticò il fascismo in Europa come il sintomo di una malattia morale. Per Croce tutta l'Europa si era, in un certo senso, come ammalata; una sorta di decadentismo che si manifestava in attivismo; una specie di irrazionalismo collettivo che aveva piagato il suolo europeo. Il limite di questa interpretazione era che Croce, dal suo punto di vista liberale, non si sapeva poi spiegare le origini di questa patologia. Croce aveva scritto un. opera sull'Europa dal 1860 al 1914, dove prendeva in considerazione la storia europea come una storia di continui progressi. L'Europa liberale era un Europa sana. E allora, come è possibile che si arrivi alla 1^ Guerra Mondiale e poi al fascismo? Croce diceva che questa malattia era stata una parentesi, una volta terminati questi movimenti negativi si poteva riprendere il cammino interrotto. Non si capiva però come da un corpo sano, a un certo momento, si venisse a questa malattia. Altre interpretazioni negli anni del Dopoguerra insistettero sullo sbandamento, sulla crisi morale dell'Europa (v. Gerhard Ritter "Il volto demoniaco del potere" e Golo Mann "Storia della Germania").

Come, allora, dal liberalismo si passa al T?

Per capirci qualcosa bisogna introdurre quel che A. Del Noce chiamava "l'era della secolarizzazione"; bisogna cioè introdurre una considerazione più vasta sulla storia europea, che tenga conto di tutti gli ultimi due secoli: quella storia europea che esplode nel '900. Per capire il '900 bisogna riandare al sec. XIX, il '900 non essendo altro che l'esperimento politico-pratico delle grandi ideologie costruite nel corso del sec. XIX; e, soprattutto, bisogna riandare all. origine della storia contemporanea che è la Rivoluzione Francese (RF). Senza la RF non si capisce la storia del '900; perchè nel '900 non accade una sola rivoluzione, ne accadono 2 o 3: perchè il fascismo concepì se stesso come una rivoluzione, il nazismo concepì se stesso come una rivoluzione e il comunismo concepì se stesso come una rivoluzione. Il concetto chiave è dunque quello di rivoluzione. Bisogna, perciò, partire dalla RF, dall'unica vera rivoluzione dei tempi moderni, quella che segna lo spartiacque tra storia moderna e storia contemporanea, spartiacque non puramente convenzionale. Nel 1951 uno storico ebraico - è significativo che la maggior parte degli storici siano di origine ebrea - scrive un'opera dal titolo "Le origini della democrazia totalitaria", un titolo certamente fuori corrente. Esisteva forse una democrazia totalitaria? i due termini non sono forse in contraddizione? Jacob Talmon, alla luce di de Tocqueville, distingue due tipi di democrazia (D) in Europa dopo la rivoluzione: una D liberale e una D totalitaria. La D totalitaria è quella che nasce con Rousseau, è quella per la quale esiste solo la volontà generale, che si incarna in un corpo che dovrebbe essere il popolo, ma non esiste un D rappresentativa. Per Rousseau la D è una D collettiva, totale, che non ammette la singola libertà individuale, che non ammette la possibilità della differenza, la rappresentanza; è una D plebiscitaria, totale, come trovava espressione nell. ideale giacobino della RF. I giacobini sono coloro che si rifanno a Rousseau, che è il loro unico punto di riferimento. La D totalitaria nasce dall'idea della società perfetta: l'ideale di Rousseau è di ripristinare la comunità perfetta. Ricordate la sua visione: all'inizio l'uomo era buono, viveva in comunità; poi, la società borghese l'ha reso egoista, estraneo: la nuova politica deve restaurare l'eden perduto, deve restaurare la comunità primitiva, il comunismo originario; bisogna tornare in una condizione di unità totale e la politica deve restaurare questo. La politica in Rousseau diventa messianismo politico, si carica di un significato utopico, ha un significato religioso fortissimo: la politica riscatta l'uomo dal peccato originale, la politica trasforma la natura dell'uomo; non si limita a regolare la società, a porre dei confini, ad arginare il negativo; qui il negativo viene totalmente espunto: la politica realizzerà, anche col terrore, il mondo nuovo. Il significato di D qui non è quello di D liberale (non c'è più Locke, Montesquieu, de Tocqueville); qui è una D perfetta, totale, una D - dirà Talmon - totalitaria. Il merito di Talmon è di avere mostrato come esiste un grande filone del ideale politico moderno che, pur usando la parola D, in realtà non intende libertà, ma intende società totale. Si tratta del filone di sinistra del pensiero moderno. Non si è detto ancora nulla sul filone di destra, ma quello di sinistra certamente trova in Rousseau il suo punto di riferimento; senza Rousseau è anche difficilmente concepibile Marx e tutta la storia del comunismo successivo.

La RF non è, però, - nella sua frangia giacobina, non girondina - solo l'applicazione di Rousseau, e quindi il primo esperimento totalitario della storia contemporanea, ma è anche il luogo in cui matura la possibilità della posizione di destra della politica moderna, perchè è con la RF che avviene l'incontro tra D e Nazione. Nella Francia rivoluzionaria la Repubblica è la Nazione. Il nazionalismo moderno nasce a partire dalla Francia rivoluzionaria; la Francia che costringe tutto il popolo ad essere in armi e per cui, per la prima volta, le guerre diventano guerre nazionali, guerre di popolo contro popolo, il che non era mai avvenuto nella storia moderna (erano sempre state guerre di mercenari, di piccoli eserciti). La guerra moderna diviene guerra di popolo contro popolo, guerra nazionale; ora nasce il nazionalismo. La componente, che poi costituirà il cuore delle posizioni di destra successive, nasce in un contesto repubblicano, cioè apparentemente di sinistra; nasce con l'ideologia della Francia repubblicana che a un certo momento cementa la rivoluzione intorno alla nazione e capisce che, perchè la rivoluzione vada avanti, occorre la guerra... Perchè bisogna fare la guerra? perchè solo di fronte a un nemico la rivoluzione rimane in piedi; la guerra è funzionale al mantenimento della rivoluzione (questo nei giacobini è evidentissimo, ma anche nei girondini radicali). Il nemico serve alla rivoluzione; per la prima volta qui matura un'idea fondamentale, che ritroveremo in tutti i movimenti totalitari del '900: il nemico è essenziale alla rivoluzione, non esiste una rivoluzione senza nemico (Hitler dirà dell'ebreo che se non ci fosse stato bisognava inventarlo, perchè l'ebreo è il nemico visibile e invisibile al tempo stesso). La rivoluzione ha bisogno strutturalmente del nemico, altrimenti cade in stasi, si affloscia. Questo modello totalitario di sinistra prosegue con il Marx che rompe radicalmente con la tradizione del socialismo umanistico affermando il primato di Machiavelli dentro il socialismo (il comunista non può avere il cuore tenero, dev'essere duro, perchè la storia è dura e non bisogna spargere lacrime sui nemici) e arriva fino a Lenin, che non a caso imposta la sua interpretazione del comunismo proprio sull'eredità giacobina (perchè la rottura tra menscevichi e bolscevichi nel 1904 sancisce la nascita del partito bolscevico, Lenin esule a Ginevra). I comunisti non sono altro che gli eredi dei giacobini; Lenin dice, ben prima del 1917:" giacobinismo non significa lotta in guanti bianchi, ma lotta senza sentimentalismi nè paura di usare la ghigliottina, significa lottare senza scoraggiarsi di fronte ai fallimenti... l'ostilità verso i metodi di lotta giacobini genera l'ostilità verso il concetto di dittatura del proletariato, ossia verso la violenza da cui non si può prescindere se si vuole il trionfo della rivoluzione socialista e l'annientamento dei nemici del proletariato. Se le purghe giacobine sono indispensabili al buon esito di una rivoluzione borghese, a maggior ragione lo sono per il buon esito di una rivoluzione socialista: solo con spirito giacobino si può instaurare la dittatura del proletariato".

La rottura con gli altri socialisti avviene quindi proprio sul concetto giacobino di dittatura del proletariato e di violenza, avviene sull'idea di un partito totalmente accentrato, un partito di rivoluzionari di professione che non deve avere nessuna remora nella conquista del potere (ogni mezzo è lecito pur di pervenire al potere).

Il quadro che si disegna nel sec. XIX è, da un lato, la posizione liberale, da un altro un pensiero controrivoluzionario, conservatore, nostalgico, che guarda al mondo passato, e, in mezzo, l'idea di rivoluzione, che da una parte si orienta verso Marx e dall. altra, in Italia, guarda a Mazzini, cioè una sorta di rivoluzione ideale e non materialistica. Nel 1917 avviene la scelta decisiva, quella che rende per la prima volta una rivoluzione Stato e ideologia, in Russia con Lenin. In Lenin il modello marxista si sposa con il modello populista, cioè la rivoluzione marxista è erede della rivoluzione populista nella Russia zarista. Questo porta Lenin ad una concezione del partito dei rivoluzionari che si situa oltre l'idea anche dell'evoluzionismo economico, cioè l'idea che in Russia si passa direttamente dalla condizione precapitalistica al comunismo (questo dal punto di vista marxista era un. eresia. Lenin non guarda all'eresia ma al risultato rivoluzionario. Il partito può operare questo passaggio). La rivoluzione diviene modello, ovunque e per tutti i movimenti radicali in Europa (non solo per i movimenti comunisti, ma anche per quelli anticomunisti); per questo diventa impropria la lettura del fascismo come reazione.

Lo studio di Ernst Nolte "I tre volti del fascismo" pubblicato nel '63 (il titolo tedesco era "Il fascismo nella sua epoca") dice che il fascismo europeo avrebbe le sue origini nell'Action Francaise, il movimento conservatore di Charles Maurras, e che i fascismi sarebbero la risposta al comunismo sovietico. In questo modo Nolte interpreta il fascismo come "una reazione a". Questa non è una interpretazione adeguata. E' l'interpretazione che è stata più comune, condivisa anche dai marxisti. Il fascismo non è in realtà un movimento controrivoluzionario, ma, come dice Furet, è un movimento che rafforza la destra europea attraverso l'idea di rivoluzione. La novità del fascismo, rispetto ai movimenti controrivoluzionari del passato, è che il fascismo - e il nazismo molto di più - rompe radicalmente con il passato, con l'idea del ritorno al passato, e usa dell'idea di rivoluzione per rafforzare, però, una posizione di destra. La destra era sempre stata su posizioni controrivoluzionarie; ora, col fascismo e soprattutto col nazismo, la destra sposa la posizione rivoluzionaria. I fattori ideali del fascismo e del nazismo - ancora per rispondere a Nolte - preesistono alla rivoluzione d'Ottobre, mentre non si può dire che fascismo e nazismo nascano con la rivoluzione d'Ottobre; in realtà esse affondano le loro radici su elementi che la precedono: la guerra sarà molto più importante della rivoluzione d'Ottobre per il nascere di questi movimenti di destra. Tutto ciò chiarisce la differenza tra T e dittatura: il T è ben più di una dittatura; la dittatura è una componente dei movimenti totalitari, ma non si può dire che coincida con il T come tale (i regimi militari conservatori non sono ancora movimenti totalitari) (v. AP278). Il T, insomma, si connette all'idea di rivoluzione; non c'è T laddove non c'è rivoluzione in senso moderno; ci saranno regimi autoritari, conservatori, ma non c'è ancora una realtà totalitaria, perchè è solo con la rivoluzione che c'è l'ideologia, l'idea della creazione dell'uomo nuovo come nuovo ordine da instaurare. La rivoluzione vuole instaurare un nuovo ordine pianificato attraverso il consenso o la coercizione insieme, vuole realizzare l'umanità che non ha paragoni con quella circostante, vuole realizzare un tipo di società radicalmente differente con quella esistente. Qui nasce la pretesa totalitaria. La rivoluzione è momento essenziale di questa costruzione. Per questo sia Hitler, sia Mussolini, sia Lenin si concepivano come rivoluzionari: erano coloro che portavano il popolo a un livello più alto, diverso dall'esistente. Il nemico n° 1 è la borghesia, il borghese inteso come il democratico, colui che conserva l'ordine esistente, come l'uomo comune che non aspira al cambiamento del mondo, che si accontenta della sua vita ordinaria, della sua vita privata... la vita privata è ciò che non può essere tollerato. Il T non vuole semplicemente l'obbedienza esteriore, vuole lanima; tant'è vero che anche la veste esteriore diventa importante, come nella RF, dove da ciò che vesti si vede chi sei, si vedi se stai con la rivoluzione o no. La distinzione "da che parte stai" è la distinzione tra bene e male; se stai dall'altra parte, sei immediatamente il male. Qui si capisce in che senso la politica è totalitaria: è totalitaria nella misura in cui identifica bene e male con l'appartenenza a sé o al nemico. La politica quindi si sostituisce alla religione; la politica prende il posto della religione (in questo senso si parla di una "nuova politica"; G. Mosse ha coniato questo termine ne "La nazionalizzazione delle masse" scrivendo: "da due secoli sta nascendo una nuova politica in Europa. Parte dalla RF attraverso il culto degli eroi rivoluzionari, le sue liturgie, la festa dell'Essere supremo nella rivoluzione, le feste laiche, i monumenti che riempiono le nostre piazze, gli altari della patria, i culti degli eroi caduti... tutta una liturgia che tende a sostituire quella cristiana, tende a diventare religione della patria , della nazione, del popolo, e questa nuova politica è una estetica della politica, una politica che ha bisogno della sua liturgia, dei suoi simboli, delle sue bandiere, che diventa culto. Per questo la considerazione religiosa è inevitabile (sarebbe interessante vedere come i maggiori storici dei movimenti totalitari del nostro tempo hanno tutti dovuto fare i conti con la dimensione religiosa della politica e vengono da studi che favoriscono questo).

Come si configura questo ideale in Mussolini, in Hitler ecc.? perchè qui c'è una differenza di posizioni dentro il quadro totalitario. Per Mussolini si può parlare di un inveramento del marxismo e per Hitler, invece, di una opposizione frontale ad esso. Nolte, in uno studio dedicato al giovane Mussolini, mostra come sia possibile che in Mussolini stiano insieme autori come Marx e Nietzsche (teorico del superuomo), come stanno insieme nel Mussolini socialista, non nel Mussolini che fonda il fascismo. Mussolini fino al 1914 è il capo dei socialisti italiani, direttore dell'Avanti; capo della fazione rivoluzionaria del socialismo italiano, fa espellere i riformisti dal partito e quindi è, in certo senso, il Lenin in Italia. E' un paradosso: nel 1914 i veri comunisti in Europa sono due, Lenin e Mussolini. Mussolini, fino allo scoppio della guerra, è il socialista rivoluzionario probabilmente più acceso in Europa; vuole, cioè, la rivoluzione in Italia, non il riformismo socialista dei Bissolati, dei Turati ecc.; e la vuole seguendo alla lettera Marx. Ma come rendere rivoluzionario il socialismo che si è addormentato? attraverso la volontà, attraverso un volontarismo rivoluzionario, che andava contro l'economicismo, il positivismo, in cui ormai si era addormentato il socialismo in Italia (in Italia c'era ormai l'idea che il capitalismo, prima o poi, sarebbe diventato socialismo; bastava quindi agevolare i processi delle riforme e il socialismo sarebbe venuto di per sé). Mussolini introduce una volontà, dei rivoluzionari di professione. E' la stessa prospettiva di Lenin in Russia: entrambi dicono che solo il partito può far passare dalla società precedente a quella futura; solo i rivoluzionari, che hanno realmente l'energia, la forza; solo i "superuomini" quindi, solo i rivoluzionari attivi (l'élite rivoluzionaria) possono permettere il passaggio dalla società borghese amorfa alla futura società socialista. Mussolini teorizza una sorta di aristocrazia operaia che dovrebbe garantire il passaggio. Qui lui ritrova tutti i temi del superuomo nietzschiano. In quegli anni Nietzsche era molto letto, ed è interessante come Mussolini usa Nietzsche soprattutto contro la borghesia: Nietzsche è un pensatore fortemente antisocialista, ma anche altrettanto antiborghese e fortemente anticristiano. Mussolini è interessato da Nietzsche soprattutto per il suo aspetto anticristiano, perchè il cristianesimo per lui, in quegli anni, vuol dire rassegnazione, ascesi, mutilazione dell'uomo, uomo passivo. Il rivoluzionario è l'uomo libero, l'uomo che dice: "né Dio, nè padrone", è l'uomo del futuro. Avviene, così, questo strano incontro tra il principale dei pensatori di destra, che è Nietzsche, e il maggiore dei pensatori di sinistra, che è Marx, all'insegna di una posizione antiborghese e anticristiana insieme. Questa sorta di miscela rivoluzionaria che unisce insieme il radicalismo di destra e quello di sinistra - ma dentro una prospettiva marxista - sino al 1914 non significa un passaggio al fascismo. Sarà la guerra a determinare la svolta. Nel momento stesso in cui Mussolini aderisce alla guerra, mentre tutto il partito socialista lo abbandona, egli sposa l'idea di rivoluzione con quella di nazione, cioè la nuova classe di rivoluzionari saranno gli "arditi" usciti dalle trincee. In realtà, secondo Mussolini, il partito socialista ha perso ormai l'anima rivoluzionaria, come ha perso l'anima guerriera (non è stato capace di fare la guerra). La nuova classe di uomini capace di trasformare il paese è quella uscita dalle trincee. Ecco, allora, che l'idea di rivoluzione si sposa con quella di nazione, e quindi nasce la posizione di questo radicalismo di destra. In Mussolini, quindi, si tratta di un inveramento del marxismo: il marxismo si realizza mediante una prospettiva più alta, un idealismo rivoluzionario.

La guerra è il vero punto di svolta. Non si capisce nulla del T del '900 se non si parte dalla guerra. E' stata la guerra che ha attivato germi che altrimenti sarebbero rimasti nascosti; è stata la guerra che ha portato in primo piano la brutalità della vita; è stata la guerra che ha portato ad osannare la morte come sacrificio; è stata la guerra a sanzionare il primato della potenza; è stata la guerra che ha fatto emergere tutte quelle ideologie radicali che altrimenti sarebbero rimaste come filoni sotterranei. La guerra ha affondato il mondo borghese come mondo di ieri, ha evidenziato la fine, il tramonto dell'occidente: le generazioni di soldati che tornano a casa sentivano che il vecchio mondo era crollato, che nulla era più come prima. Emerge, quindi, una generazione di sradicati (Mussolini, Hitler, ecc., in fondo, erano sradicati. E' interessante notare che questi rivoluzionari di professione non hanno mai fatto un lavoro, erano tutti bohémien a loro modo; Hitler era un artista... si fosse realizzato come artista! Mussolini era il maestro che non aveva mai insegnato, perchè aveva sempre fatto il politico di professione), una generazione di sradicati che, a un certo momento, devono trovare comunque una prospettiva (v. AP104, AA269-70). La guerra apre le 2 rivoluzioni, quella marxista e quella fascista, che intravedono nel borghese e nel mondo cristiano-borghese l'avversario da eliminare. Su questo tema, tuttavia, possiamo cogliere una differenza fra la posizione di Mussolini e quella di Hitler. Dopo che Mussolini sarà andato al potere, il fascismo viene a compromesso con l'Italia reale (la Corona, il Vaticano, l'Esercito). Tale compromesso si trova già all'inizio, nel momento in cui la rivoluzione si legava all'idea di nazione. In Italia - diversamente da quanto accadrà in Germania - il T sarà imperfetto. Il fascismo è un T imperfetto, nella misura in cui viene meno un aspetto essenziale del T moderno: in esso, infatti, viene meno la pretesa di distruggere la religione. Il fascismo italiano dovrà venire o verrà a compromesso con la religione esistente, in una distinzione tra piano pubblico e piano privato: il piano pubblico è dello Stato e del partito, quello privato ognuno se lo gestisce come vuole, e quindi c'è spazio anche per la dimensione religiosa. Il comunismo, invece, vorrà distruggere la dimensione religiosa. Il nazismo vorrà distruggere la dimensione religiosa vecchia (quella cristiana) e sostituirvi un'altra dimensione religiosa. Ecco la diversità fra i 3 movimenti: il materialismo comunista dichiarerà guerra senza tregua alla prospettiva religiosa in generale; il nazismo hitleriano vorrà costruire una nuova religione sulle ceneri della vecchia; il fascismo non avrà questa pretesa: Mussolini lo dirà espressamente: "Non bisogna imbottigliarsi nella antireligiosità, per non dare motivo ai cattolici di turbarsi; bisogna invece intensificare l'azione educativa, sportiva, culturale. Finché i preti fanno tridui, processioni, non si può fare nulla. In una lotta su questo terreno, fra religione e Stato, perderebbe lo Stato. Altra cosa è, però, l'Azione Cattolica, e lì il nostro dovere è di fronteggiarla. Quindi, nel campo religioso, il massimo rispetto - come del resto ha sempre fatto il fascismo -; l'azione di accaparramento degli individui, fronteggiarla con altri mezzi adatti. Non però esagerando i pericoli e non deprimendoci noi stessi rappresentandoceli troppo grandi. Guerra santa, in Italia, mai!" e ancora "...nel concetto fascista di Stato totalitario, la religione è assolutamente libera e, nel suo ambito, indipendente. Non ci è mai passato per l'anticamera del cervello la bislacca idea di fondare una nuova religione di stato o di asservire allo Stato la religione professata dalla totalità degli italiani. Il compito dello Stato non consiste nel tentare di creare nuovi vangeli o altri dogmi, nel tentare di rovesciare le vecchie divinità per sostituirle con altre che si chiamano Sangue, Razza, Nordismo o simili" (prima dell'alleanza con Hitler, Mussolini diceva questo) "Lo Stato fascista non trova che sia suo dovere intervenire nella materia religiosa...". Su questo punto, di capitale importanza, la distinzione rispetto a Hitler è abissale, perchè Hitler parte inversamente rispetto a Mussolini. L'itinerario di Mussolini lo porta da Marx a Nietzsche; Hitler va da Nietzsche a Marx (Marx copiato per il suo metodo e non per le sue finalità ideali).

Chi voglia conoscere veramente il nazismo legga i "Colloqui con Hitler" di Rauschnig, responsabile nazista di Danzica, nel 1930, '31, '32, '33 fino al '34. Si vede qui come la prospettiva di Hitler affondi interamente in una parte della tradizione tedesca del sec. XIX, quella che trovava in Wagner e Nietzsche i suoi pensatori più espressivi, quindi nell'idea della volontà di potenza la sua idea centrale. Hitler parla qui espressamente del fatto che egli ha copiato dal bolscevismo (v. discorso della Arendt). Il modello totalitario viene copiato: Mussolini copiava da Stalin, Stalin copiava da Hitler, il lager copiava dal Gulaag... c'era uno scambio di "informazioni"... destra e sinistra contavano poco... contava chi era abile nell'affermare il potere... Hitler dice: "io ho copiato da loro, nelle organizzazioni di massa". Nella Vienna della sua gioventù aveva visto le manifestazioni dei partiti socialisti, aveva visto come si potevano dominare le masse e si era proposto di fare lo stesso; perchè il fondamento del potere nella società moderna sta nel controllo delle masse. Il bolscevismo viene imitato in quello che vuol essere un socialismo nuovo, il nazionalsocialismo. Cos'è questo nazionalsocialismo, che si fonda sulla mobilitazione delle masse, quindi che vuol essere rivoluzionario? E' un socialismo che abolisce l'idea di uguaglianza; non si parla più della uguaglianza degli uomini, ma, al contrario, dell'aristocrazia, del dominio sulle masse; si parla di un socialismo nel senso che ora tutti vengono unificati, socializzati dentro una organizzazione unica; quindi non ci deve più essere libero arbitrio. "Noi spazzeremo via - dice Hitler -.l'ideale cristiano del rispetto della persona e del libero arbitrio. Questo non deve esserci più!". Non c'è più individualità, tutti sono parte di un unico corpo sociale. "La rivoluzione? - dice lui - certo! ma all'opposto della RF; la imitiamo, ma non nei suoi ideali. La nostra è una rivoluzione biologica: si tratta di ricostruire la razza dei signori, quella che deve contare...". Da questo il culto del Sangue, della Razza... Questo - secondo lui - Wagner avrebbe insegnato nel Parsifal, dietro il paludamento cristiano; questo, sarebbe il culto pagano che stava dietro! La cosa più interessante, però, è che il culto della Razza, come Hitler lo intende, è valorizzato in chiave strumentale... nel senso che di qualcosa ci si deve servire per disarticolare la storia, per far saltare i modelli e le consuetudini storiche, le tradizioni! "..E la Razza mi serve a questo - dice espressamente a Rauschnig -, mi serve a far saltare tutto, e quindi a rimodellare tutto come voglio io". Il discorso sulla Razza - su cui a volte gli storici appuntano in modo unilaterale l'attenzione quasi fosse un oggetto arcaico, il mito dell. ariano - è, in realtà, funzionalizzato alla volontà di potenza, è un concetto strumentale per poter manipolare, per poter ricostruire, per poter fare terra bruciata della storia: la biologia sostituisce la storia! e l'umanità nuova, di cui parla, indica l'uomo-dio (usa proprio l'espressione di Nietzsche), il nuovo superuomo che si contrappone alla massa (la massa è ciò che deve essere dominata, secondo una concezione biologica della politica, che prevede campi, lager, azioni di spopolamento...). La rivoluzione costringe alla grandezza; la rivoluzione pone il popolo di fronte a compiti impossibili, lo pone sempre sui crinali del pericolo, lo costringe a sradicarsi dalle sue consuetudini, dalla sua vita ordinaria, quotidiana; costringe il popolo, contro la sua volontà, ad essere grande. Questo è il concetto di Rivoluzione che qui viene inaugurato, secondo un cinismo per il quale le virtù, cosiddette  borghesi , devono essere spazzate via. Dice Hitler: "non mi importa se i miei sono criminali, se sono ladri, delinquenti. Io li voglio così, almeno saranno più asserviti. E poi, io non ho allevato degli angeli: l'importante è che ubbidiscano, poi, facciano quello che vogliono". E' l'idea di una volontà di potenza - usa sempre questo termine nietzschiano - che deve usare il terrore, perchè le masse sentono solo la legge del bastone, del più forte, e si inchinano a questa... E lo scopo è l'educazione dei giovani - motivo tipico di tutti i movimenti di destra di quegli anni - perchè i giovani sono il futuro. "I vecchi (anch' io appartengo ai vecchi) - dice lui - ormai sono irrecuperabili " (come nella rivoluzione cambogiana). "Educare i giovani vuol dire educare a personaggi duri, che non abbiano pietà, che non siano sentimentali; capaci, quindi, totalmente di obbedienza e sacrificio, capaci di guardare in faccia la morte senza tremare, e quindi liberi...". E' evidente come si tratti di una visione del mondo che nasce dalla prospettiva nietzschiana. Lo scopo era di fondare un Ordine - lo chiamerà così -, non un partito, ma un ordine religioso, ricalcato su quello della massoneria o della Chiesa (le due istituzioni avevano per lui un valore simbolico altrettanto importante): L'Ordine avrebbe costituito la gerarchia che avrebbe dominato. Tale Ordine non doveva comprendere solo l'aristocrazia germanica, ma anche quella di tutti gli altri popoli nordici, compresi gli USA, l'Inghilterra e la Francia, popoli dei quali Hitler aveva sommamente rispetto (dell'Italia non ne aveva alcuno: stimava Mussolini, ma non il fascismo italiano, che considerava cosa un po' da baraccone).

Hitler insiste sul superamento del cristianesimo. "La rivoluzione nazista non è - dice lui - come il fascismo, che in Italia permette di essere cattolici e fascisti al tempo stesso. Questo da noi non deve succedere". Egli ritiene che questo è il sintomo che il fascismo ha fallito: il fascismo non riuscirà mai a creare un nuovo tipo umano, proprio perchè convive con la religione tradizionale. Invece il nazismo dovrà superare, dissolvere, distruggere radicalmente il cristianesimo, e far riemergere l'antico paganesimo. In alcuni colloqui molto interessanti Hitler dice: " la vecchia classe contadina sarà semplice riportarla ai suoi usi pagani, far rinascere il vecchi paganesimo che cova sotto la cenere ed è sempre pronto. Il Sangue e il Suolo fanno sentire la loro voce! "Il nazismo sostituirà il cristianesimo. E come? Non bisogna fare della Chiesa dei martiri (non come in Russia insomma), perchè questo è proprio ciò che i sacerdoti vogliono. Questo aiuta la fede, non la distrugge. Bisogna fare in modo che la fede si distrugga da sé, che la Chiesa si distrugga da sé; essa sta già morendo, basta agevolarla nel suo cammino. Noi, invece, li renderemo criminali: faremo processi ai preti, pubblicizzandoli e mostrando come hanno rubato e sono andati con le donne; sono, in fondo, dei malfattori, dei criminali. In tal modo perderanno l'appoggio popolare. Faremo dei film sulla corruzione del clero e gli daremo un estremo risalto. Aiuteremo la fede cristiana a seppellirsi da sé - dice Hitler - Io vengo dall'Austria, un paese cattolico, e conosco il cattolicesimo: non sono come Bismark che era protestante e non capiva cos'è la Chiesa. La Chiesa è una istituzione grande, che conosce il cuore dell'uomo, tant'è vero che è andata avanti per 2000 anni; e una istituzione che dura 2000 anni, conosce il cuore dell'uomo. Io conosco la Chiesa e so come bisogna comportarsi con essa: bisogna aiutarla ad affondare. Poi la sostituiremo con la nostra fede; anzi, faremo parlare i sacerdoti con il nostro linguaggio. Essi apparentemente annunzieranno Dio: di fatto, sarà il nostro dio, sarà il dio del popolo, del sangue, della razza, il dio del nostro mondo.

Tre rivoluzioni al potere, tre rivoluzioni totalitarie, e, tuttavia, con differenze al loro interno: un fascismo che è un totalitarismo imperfetto, un comunismo e un nazismo che sono invece totalitarismi perfetti. Proprio fra questi due totalitarismi perfetti ci sarà massima analogia e, al tempo stesso, massima opposizione, tanto che potremo dire che la storia della prima metà del '900 non è altro che la storia della dialettica fra Marx e Nietzsche, ovvero della lotta tra il primato dello schiavo e il primato del signore. La dialettica tra signoria e servitù è la dialettica tra i due principali movimenti totalitari della prima metà del '900 in Europa, con tutte le conseguenze che conosciamo.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/spazio_zuccari/NOVECENTOeTOTALITARISMI.doc

Sito web: http://digilander.libero.it/spazio_zuccari/

Autore del testo: M. Borghesi, Carate Barianza 3 aprile 1998

Pubblicato in Linea Tempo 1999/2

(Appunti non rivisti dall'autore).

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