Federico I e Federico II di Svevia

 


 

Federico I e Federico II di Svevia

 

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FEDERICO I BARBAROSSA
(1123 ca. - 1190). Re di Germania e re dei romani (1152-1190) e imperatore (dal 1155). Figlio di Federico il Losco, duca di Svevia, e di Giuditta Welf partecipò alla seconda crociata con lo zio Corrado III re di Germania (1147), cui succedette. Salito al trono mirò a tre obiettivi: l'incoronazione imperiale, la pacificazione della Germania e il ripristino del potere imperiale in Italia; a questo scopo favorì una più completa feudalizzazione della società, riservando un ruolo di primo piano alla grande nobiltà laica ed ecclesiastica. Diversa fu la sua posizione nei confronti delle città italiane che durante il lungo interregno seguito alla morte di Enrico V avevano usurpato gran parte dei poteri spettanti al sovrano: accordatosi con il papa Eugenio III, osteggiato a Roma da Arnaldo da Brescia, scese in Italia e, riaffermati i propri diritti sui regalia, si fece incoronare re d'Italia e imperatore. Nel 1158 in una dieta a Roncaglia riaffermò i propri diritti e di fronte alla resistenza di Crema e Milano le conquistò e ne abbatté le mura. L'elezione di Alessandro III (1159) portò alla rottura tra imperatore e papa: parte dei cardinali avevano eletto Vittore IV, che Federico difese riconoscendolo e appoggiandolo militarmente. Alessandro III creò allora un'ampia alleanza contro di lui comprendente le città lombarde, il regno di Sicilia e Venezia. Sceso in Italia, Federico prese Roma (1167), ma si dovette ritirare per un'epidemia; intanto le città lombarde si erano coalizzate col giuramento di Pontida (1168). Federico, rimasto bloccato in Germania fino al 1174 da rivolte feudali, tornò in Italia e assediò senza risultati Alessandria e, abbandonato dal cugino Enrico il Leone duca di Baviera e Sassonia, fu sconfitto dalle forze della Lega a Legnano (1176). Temendo una rivolta dei principi tedeschi cercò un accordo con il papa, perfezionato con la pace di Venezia (1177), e trattò con i comuni la pace di Costanza (1183). Il suo principale obiettivo fu poi la sconfitta di Enrico il Leone, cui tolse Baviera e Sassonia facendolo condannare da un tribunale di pari e costringendolo all'esilio. Da questa difficile contingenza Federico uscì in sostanza rafforzato, riuscendo anche a concludere il matrimonio (1186) tra suo figlio Enrico e Costanza d'Altavilla, erede del regno normanno di Sicilia, che inseriva gli Hohenstaufen nell'area mediterranea; in questa politica si inseriva probabilmente anche la crociata da lui condotta con Riccardo Cuordileone e Filippo II Augusto (1187), nel corso della quale morì guadando il fiume Salef (oggi Göksu) in Cilicia.


FEDERICO II
(Iesi 1194 - Castel Fiorentino 1250). Re di Sicilia (1196-1250), re di Germania e dei romani (dal 1212) e imperatore (dal 1220). Figlio di Enrico VI, gli succedette sotto la reggenza della madre Costanza d'Altavilla, alla cui morte (1198) fu affidato a Innocenzo III. Morto lo zio Filippo di Svevia, il papa lo fece incoronare re di Germania facendone l'avversario di Ottone di Brunswick. La battaglia di Bouvines (1214) lo rese padrone della Germania e fu quindi costretto dal pontefice a cedere il regno di Sicilia al figlio Enrico sotto la reggenza di Costanza d'Aragona, ma morto Innocenzo lo riprese. Poco dopo riuscì anche a farsi incoronare imperatore, promettendo di condurre a termine la crociata bandita nel 1215. Dopo aver sposato Isabella Iolanda di Brienne, assicurandosi così i diritti sul regno di Gerusalemme, Federico convocò una dieta a Cremona (1226) in vista della crociata, ma i comuni rinnovarono la Lega Lombarda. Dato che Federico indugiava ancora a partire, Gregorio IX lo scomunicò: sfidando il divieto canonico egli partì egualmente (marzo 1228) e ottenne pacificamente Gerusalemme dal sultano d'Egitto, facendosi poi incoronare. Il papa bandì allora una crociata contro la Sicilia, ma Federico sconfisse le forze papali. Seguì un periodo di pace nel quale egli si dedicò alla riorganizzazione dei suoi regni, occupandosi in particolare della Sicilia per la quale promulgò il Liber Augustalis o Costituzioni melfitane (1231). In Germania cercò di favorire i principi contro le città e la minore feudalità, causando la rivolta del figlio Enrico (1234), re di Germania, che venne sconfitto e trattenuto in Italia fino alla morte, sostituito dal fratello Corrado. Si dedicò in seguito a una lotta decisa contro i comuni guelfi, che sconfisse duramente a Cortenuova (1237). Resistettero però Milano, Brescia e Alessandria, appoggiate dal papa con cui Federico aveva rotto definitivamente per aver favorito il nascente comune di Roma e aver fatto della Sardegna, tradizionale dominio pontificio, un regno. Federico fu di nuovo scomunicato (1239) e per deporlo fu convocato un concilio, impedito dalla cattura dei prelati francesi. Morto Gregorio, fu Innocenzo IV a Lione a dichiarare deposto Federico (1245). Questi attraversò allora un momento di difficoltà sia per alcuni tradimenti sia per la sconfitta patita a Parma (1248); la situazione era però ancora fluida quando morì improvvisamente nel 1250. Il suo posto venne preso da Manfredi, suo figlio naturale, che divenne reggente per conto del fratellastro Corrado IV. Scavalcando i diritti del nipote Corradino, nel 1258 assunse il titolo di re e si legò al partito ghibellino, insieme al quale riportò sui guelfi di Firenze la vittoria di Montaperti (1260). Considerato dal papa un feudo della Chiesa, il regno di Sicilia venne allora assegnato da Urbano IV a Carlo d'Angiò, dal quale Manfredi fu sconfitto e ucciso nella battaglia di Benevento (1266). (Wolfstein 1252 - Napoli 1268). Nel 1267 fu la volta dell'ultimo degli Svevi, Corradino, tentare di risollevare il partito ghibellino in Italia. Figlio del re di Germania Corrado IV, (e quindi nipote di Federico II) nel 1267 Corradino intraprese una spedizione in Italia, sostenuta dalle forze ghibelline, per recuperare il regno di Sicilia, ma, sconfitto presso Tagliacozzo, dopo una vana fuga venne catturato e consegnato a Carlo d'Angiò che lo fece decapitare a Napoli. Finiva così l’esperienza sveva in Italia del Sud, mentre nel Nord gli ultimi nuclei di resistenza ghibellina, guidati da Ezzelino da Romano (Brescia, Cremona, Marca Trevigiana) venivano infine travolti dalle forze guelfe.

 

fonte:http://digilander.libero.it/Parsifal74/Federico%20I%20e%20Federico%20II%20di%20Svevia.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Federico I e Federico II di Svevia

Classe Terza Liceo Sant’Anna
Appunti di lezione di Storia del prof. Croce

 

FEDERICO II

Enrico VI, alla morte del padre Federico I (1190), si era trovato in una situazione difficilissima, avendo contro praticamente tutti: il papa, Enrico il Leone in Baviera (già umiliato da Federico Barbarossa), i Normanni che gli opponevano un altro pretendente al trono di Sicilia. Anche il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone, che era cognato di Enrico il Leone ed era anche lui un Normanno. Solo a fatica Enrico VI era riuscito a domare tutti i suoi nemici e a farsi incoronare Imperatore a Roma dal Papa Celestino III, nel 1191, e dopo era potuto scendere in Sicilia per ottenerne la corona di Re (1194). Allora aveva ripreso il grande progetto della monarchia universale, che era stato del Barbarossa, giungendo perfino a preparare una spedizione contro Costantinopoli e combattendo spietatamente la nobiltà feudale normanna di Sicilia. Mentre cercava accordi con il Papa era morto improvvisamente a soli 32 anni (1197). Nel suo testamento, Enrico lasciava alla Chiesa come feudo il Regno di Sicilia, per impedire future catastrofi al figlio, e cedeva pure al papato i famosi beni matildini e gli antichi possessi già reclamati dalla Chiesa nell’Italia centrale, come prezzo da pagare per ottenere dal Papa l’incoronazione a Imperatore del figlio.

Figlio di Enrico VI di Svevia (suo nonno era dunque il Barbarossa) e di Costanza d’Altavilla, Federico di Hohenstaufen era nato a Jesi il 26 dicembre 1194. Il padre morì quando egli aveva solo tre anni e perciò il Regno di Sicilia restò affidato alla madre, che lo difese con grande prudenza. Ma morta Costanza nel 98 il Regno sul Regno si gettarono un po’ tutti con la pretesa della successione: legati pontifici, nobili indigeni e feudatari tedeschi.

Il nuovo Papa salito al trono nel 1198 era il cardinale Lotario dei Segni col nome di Innocenzo III. Un vero gigante come lottatore, che approfittò subito della situazione per rompere definitivamente l’unione dell’Impero con la Sicilia e imporre il progetto universale teocratico che era stato di Gregorio VII. Sennonché prima di morire Costanza d’Altavilla aveva affidato il figlio piccolino alla tutela del Papa, affinché lo riconoscesse Re di Sicilia come feudo della Chiesa. Contesa tra la feudalità normanna e quella tedesca, la Sicilia nel 1206 divenne feudo della Chiesa e il giovane Federico, che, segregato nel Palazzo imperiale di Palermo, era fino ad allora vissuto in precarie condizioni come ostaggio e quasi prigioniero dei contendenti, venne condotto a Roma.

Le doti del giovane, sia fisiche che d’intelligenza e sensibilità, erano straordinarie. Fu lo stesso Papa a incoraggiare il suo matrimonio con Costanza d’Aragona. Egli era quattordicenne ma aveva ottenuto il riconoscimento della maggiore età. Ma improvvisamente la situazione in Germania precipitò quando il re che era stato eletto dopo la morte di Enrico VI, il fratello Filippo di Svevia, venne ammazzato lasciando libero il trono alla nemica casa di Baviera. Sostenuto dai “guelfi” e con l’appoggio interessato del Papa, Ottone IV di Baviera era diventato Re promettendo a Innocenzo III di rispettare il ritorno dei territori italiani e il possesso della Sicilia al pontefice.

Ma Ottone poi non ne fece niente, perché mirava proprio e ereditare (era imparentato con la casa di Svevia tramite la moglie Beatrice) la fortuna imperiale in Italia. Il Papa lo scomunicò e gli suscitò contro la feudalità tedesca, opponendogli come Re di Sicilia il giovane Federico di Hohenstaufen, il quale si era già visto perduto e si apprestava a salvarsi con la fuga. Invece poté raggiungere la Germania, non prima di aver assicurato il Papa che una volta divenuto Imperatore avrebbe ceduto il Regno di Sicilia al proprio figlio Enrico. Insomma, Innocenzo III si era deciso a sostenere Federico stretto dalla necessità preoccupato comunque di tenere divisa la Sicilia e il resto d’Italia dalla Germania (dunque, contro il progetto imperiale che vedeva invece unite l’Italia e la Germania). Ottone di Baviera, che dopo la morte della moglie Beatrice aveva perso ogni diritto sulla Sicilia, si trovò la strada sbarrata dalla potenza del Re di Francia Filippo Augusto, della dinastia capetingia, che lo sconfisse a Bouvines nel 1214. Fu la sua fine come Re e come Imperatore, e fu invece il trionfo della causa di Innocenzo III, che venne celebrato nel Concilio Lateranense del 1215.

Allora Federico aveva 20 anni. Re di Germania, Re di Sicilia e di Puglia, futuro Imperatore, restò libero alla morte del Papa avvenuta un anno dopo, nel 1216. Nella sua adolescenza infelice si era dato agli studi grazie alla potenza del suo impegno profondo e vivace, addentrandosi in quella cultura greco-araba che i Normanni avevano promosso in Sicilia. Aveva imparato le lingue dei popoli che gravitavano allora sulla Sicila: latino, greco, arabo, tedesco, francese. Era abile nelle arti cavalleresche, raffinato e passionale, talvolta crudele, dotato di volontà dispotica. Il nuovo Papa era Onorio III, mite e titubante. Questo consentì a Federico di riprendere la concezione imperiale dei suoi avi.

Dapprima mise in ordine la Germania limitando il proprio potere monarchico a vantaggio dei feudatari – e quindi non legandosi a quel Regno – per poi volgersi alla prediletta Sicilia. Cercò di aggirare il nuovo Papa che gli aveva chiesto di partire per la Crociata, bandita dal Concilio Lateranense nel 1216 e affidata come dovere primario dell’Imperatore. Rinnovate le sue promesse con la Bolla di Hagenau (1219), ottenne una dilazione e pure la conferma del Regno di Sicilia, mentre all’insaputa di Onorio III fece eleggere il figlio Enrico Re dei Romani nella dieta di Francoforte tenuta l’anno dopo. Nonostante le ire del Papa, con la promessa di partire entro l’anno per la crociata venne incoronato Imperatore in S. Pietro nel 1220.

La situazione in Sicilia era triste, a causa della lunga assenza di un Re e della lotta fra i baroni normanni e tedeschi. Gli Arabi erano ribelli e resistevano con la guerriglia sulle montagne. Allora Federico iniziò la restaurazione del suo Regno con la collaborazione del segretario Pier delle Vigne (di Capua) e del giurista Roffredo da Viterbo, revocando privilegi feudali, riordinando la giustizia, facendo demolire fortezze, facendo una revisione delle proprietà, e soprattutto abbattendo la potenza del Conte di Celano (che gli aveva resistito) e colpendo la rivolta degli Arabi. I Saraceni vennero “deportati” a Lucera in Puglia come gli abitanti di Celano a Malta. I Saraceni costituirono da allora una fiorente colonia agricola e militare al servizio dell’Imperatore. Colpì anche i fautori di Ottone IV di Baviera e chi gli era stato ostile dopo la morte di sua madre, confiscandone i beni.

Cresceva intanto l’apprensione del Papa, che continuava ad attendere che Federico iniziasse la crociata. Le dilazioni consentirono invece a Federico di accrescere la sua potenza. E intanto, mortagli la moglie, sposò Isabella, figlia di Giovanni di Brienne che grazie alle precedenti crociate aveva il titolo di Re di Gerusalemme. Prese posizione nei confronti dei Comuni dell’Italia del nord, che reagirono rinnovando la Lega lombarda. Si era nel 1226 e il Papa cercò di mediare tra Federico e la Lega. Ma morì e gli succedette sul trono il nuovo Papa Gregorio IX, il vecchio cardinale Ugolino Conti che era parente di Innocenzo III e erede della sua concezione politica. Aveva un carattere di ferro e le cose per Federico cambiarono di brutto.

Fu subito guerra aperta. Gregorio IX impose a Federico o la crociata o la scomunica. Partito nel 1227 e rientrato dopo pochi giorni a causa di un’epidemia, venne subito scomunicato, con la minaccia d’interdetto alle città che lo ospitassero. Federico rispose accusando la Chiesa di avidità di potere temporale e costrinse il clero a celebrare nonostante l’interdetto papale. Ma partì comunque per la crociata: trattò con il sultano al-Kamil ottenendo pacificamente Gerusalemme, dove pure s’incoronò Re per i diritti venutigli dal secondo matrimonio. Nel frattempo però un esercito papale di “clavisignati” devastò il suo Regno di Puglia e Sicilia. Al suo rientro ci fu la tregua col Papa, che lo liberò dalla scomunica e riottenne le terre che Federico aveva occupate.

Così Federico poté continuare l’opera di riorganizzazione del Regno di Sicilia, rivendicando l’imperiale jus legis condendae sull’esempio di Teodosio e di Giustiniano, e proclamò a Melfi, nel 1231, un nuovo corpo di Costituzioni raccolte nel “Liber Augustalis”. Vi si rivendicava il concetto romano dell’assolutismo del monarca che governa attraverso una scala gerarchica di funzionari. Sette, come già nel Regno normanno, i grandi funzionari dell’amministrazione, tolta l’amministrazione della giustizia penale ai baroni, riorganizzata la fiscalità con l’imposta fondiaria annua e vari monopoli, ma liberalizzato il commercio. Protesse i contadini dal peso dei debiti vietando il sequestro del bestiame e degli attrezzi agricoli, fondò città (Augusta, L’Aquila ecc.), favorì la borghesia delle città, pur limitando le libertà cittadine. In sostanza colpì duramente il feudalesimo e la potenza politica del papato.

Inoltre Federico sviluppò la vita culturale e artistica già fiorente dal tempo dei Normanni. Egli protesse scienziati, poeti, artisti, ebbe relazione con i poeti provenzali o provenzaleggianti, fra cui Sordello di Goito, che portarono alla corte sveva di Palermo il gusto della concettosa poesia provenzale. Seguendo lo stesso esempio dell’Imperatore, i dignitari alternarono la cura degli affari di Stato con la composizione poetico-musicale alla moda di Provenza, dando origine così alla “scuola siciliana”. L’attenzione di Federico per la scienza si tradusse nella scuola medica di Salerno e nella fondazione della Università di Napoli, sorta perché gli studenti non frequentassero le città guelfe come Bologna. Ma alla corte di Palermo fiorì soprattutto l’incontro con la civiltà araba, alla quale l’Imperatore guardava con grande ammirazione, praticando anche certi costumi di vita orientale

Quando nel 1231 pretese il giuramento dei Comuni lombardi, dopo una tregua scoppiò la guerra quando Federico dovette affrontare in Germania una rivolta della feudalità capitanata dal figlio Enrico che venne portato prigioniero in Puglia. La guerra coi Comuni dell’Italia settentrionale fu vinta da Federico nella battaglia di Cortenuova (1237) e il Carroccio milanese conquistato e inviato a Roma come preda di guerra, ma Milano, Alessandria e Brescia continuarono a resistergli. La rottura col Papa avvenne quando Federico combinò il matrimonio tra il figlio Enzo con la vedova di Ugolino Visconti, giudice di Gallura, concedendogli il titolo di Re di Sardegna. Gregorio IX scomunicò nuovamente l’Imperatore come eretico sovvertitore dei privilegi ecclesiastici e predatore delle proprietà della Chiesa. L’Imperatore rispose accusando universalmente il Papato di potenza temporale. La guerra imperversò nell’Italia settentrionale e in Toscana, da cui Federico discese fino a Roma per impadronirsi del Papa. Una reazione popolare costrinse Federico a tornare in Sicilia.

Allora Gregorio IX convocò un Concilio per deporre l’Imperatore e il Comune di Genova offrì le sue navi per portare a Roma i Vescovi da tutta Europa. Il Re Enzo tuttavia attaccò le navi genovesi alla Meloria e condusse prigionieri a Sud varie centinaia di Vescovi. A questo punto Innocenzo III morì e gli succedette un altro campione della Chiesa militante, che veniva proprio dalla famiglia genovese dei Fieschi, Innocenzo IV. Il nuovo Papa dopo falliti tentativi di accordo coll’Imperatore riprese la lotta senza quartiere, suscitandogli contro Parma e la Toscana e dichiarando illegittimo il matrimonio di Re Enzo. Poi il Papa sulle navi genovesi si rifugiò a Lione, dove nel 1245 convocò un altro Concilio per scomunicare e deporre l’Imperatore, contro il quale arrivò a bandire una crociata universale.

Federico cercò a Lione di difendersi tramite il giurista Taddeo di Suessa, ma invano. Il Papa aveva stabilito di condurre una guerra senza più condizioni, che doveva avere il significato della fine storica della casa di Svevia. Venne eletto un nuovo Imperatore, il Margravio di Turingia. Intorno a Federico crebbero i tradimenti da parte dei suoi vicari siciliani, inviati come podestà nelle città del Nord d’Italia. Indomito, Federico reagì a tutto questo assalendo l’infedele Parma grazie anche all’aiuto di Ezzelino da Romano e del figlio Enzo. Morto il Margravio di Turingia, cercò ancora l’accordo col Papa ma una seconda rivolta di Parma lo riportò indietro all’assedio della città.

Davanti a Parma assediata cominciò a sorgere una nuova città col nome di Vittoria, dove si accampò l’esercito imperiale. Una sortita degli assediati distrusse Vittoria e fece pagare cara la distrazione di Federico, che era alla caccia col falcone. La sua rovina era segnata. Perdendo la chiaroveggenza fece accecare e condannare a morte il fedele segretario Pier delle Vigne, che preferì uccidersi, accusato di tramare in segreto col Papa. Il figlio Enzo fu preso prigioniero dai Bolognesi nella battaglia di Fossalta e non uscì mai più dalla gabbia in cui venne appeso in città. Un nuovo Imperatore venne eletto in Guglielmo d’Olanda. Aiutato con successo da Ezzelino in Italia del Nord e dal figlio Corrado in Germania, che sconfisse il neo-eletto Imperatore, Federico II proseguì la lotta fino alla sua morte, avvenuta a Ferentino in Puglia nel dicembre 1250. Il suo sepolcro fu eretto nella cattedrale di Palermo.

 

Autore: non indicato nel documento di origine del testo

 

Fonte: http://www.istituto-santanna.it/Pages/LiceoScientifico/Federico%20II%20per%20la%20terza.doc

 

L’impero degli Svevi.

Con Federico I Barbarossa e Federico II l’Impero romano germanico conobbe nuovi momenti di gloria. Tuttavia, fin dal suo avvento, il papa cistercense Eugenio III richiamò all’ordine Federico I, perché l’eletto, che si dichiarava re dei Romani, avrebbe dovuto sollecitare la conferma a Roma. Lo svevo non intendeva piegarsi. La sua concezione era quella d’un impero indipendente, legato alla regalità che era concessa direttamente da Dio tramite i principi, senza ricorrere al papato. Scendendo in Italia nel 1155 per ricevere l’incoronazione (che avvenne il 18 giugno, un sabato qualunque), intendeva sottomettere la città alla sua autorità. Due anni più tardi, l’imperatore, incoronato «re di Borgogna», tenne una dieta in Besançon; un errore di traduzione, sicuramente provocato dal cancelliere Rainaldo di Dassel e relativo ai «benefici» concessi dal papa all’imperatore, provocò una tensione con Roma che condusse allo scisma del 1159: il cardinale Bandinelli, che era a Besançon, divenne papa con il nome di Alessandro III, e gli si oppose Vittore IV. Questo scisma della Chiesa d’Occidente era la conseguenza del confronto violento relativo al ruolo rispettivo del sacerdozio e dell’impero. Le teorie, elaborate a difesa dell’uno e dell’altro, si perfezionavano. Barbarossa aveva a sua disposizione in particolare la teoria dello zio Ottone di Frisinga, autore d’una profonda riflessione sulle «due città». Per questo autore, che considera la storia universale e vede nei Franchi un popolo eletto per proseguire l’Impero romano, la guida dell’impero è affidata a un sovrano franco-germanico, che è pari al sovrano pontefice come successore di Cristo e capo della Chiesa. Dal 1157 fu adoperata l’espressione sacrum imperium, che sottolineava il carattere consacrato dell’impero, e che non è resa pienamente nella traduzione italiana («sacro impero»). Così come l’aggettivo «romano» riproduce male la formula «dei Romani», distinzione non inutile come si vede nell’uso dell’espressione «re tedesco», che non è la stessa cosa di «re dei Tedeschi», che non è mai esistita.
Il 29 dicembre 1165, la canonizzazione di Carlo Magno attestava la continuità del potere imperiale dal grande imperatore franco fino ai suoi lontani successori del xii secolo. Era importante ricordare la successione genealogica diretta dall’imperatore di Aquisgrana fino a Federico. Si era anche nel momento in cui il diritto antico ritrovava forza e ispirava i re d’Occidente: i giuristi dell’Università di Bologna erano lì per aiutare l’imperatore a definire i suoi diritti, come lo erano sotto Giustiniano e Teodosio. Certo, l’imperatore derivava il potere da Dio, ma attraverso l’elezione dei principi: la consacrazione pontificia ratificava una scelta che però sfuggiva al papa. Attorno al 1200, si stabilirono i primi elementi d’un collegio elettorale tedesco, da cui più tardi derivò il gruppo dei sette grandi elettori, un collegio il cui ruolo era specificamente di designare l’imperatore.
Il figlio e successore di Federico I, Enrico VI, aggiunse ai tre regni (la Triade) quello di Sicilia, che gli apriva l’accesso al Mediterraneo romano. Non poté svilupparne i vantaggi, poiché scomparve (settembre 1197) poco prima che salisse sul trono pontificio colui che avrebbe fondato nel modo migliore l’idea di impero su una base cristiana e romana, Innocenzo III (gennaio 1198). Tornò nelle mani del papa la possibilità di designare chi avrebbe dovuto essere l’imperatore legittimo, poiché i principi tedeschi avevano eletto in successione Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick. Dopo lunghe esitazioni, avendo optato per Ottone IV, Innocenzo reagì alle ambizioni italiane di quello spingendo in primo piano Federico di Hohenstaufen, figlio di Enrico VI. L’elezione poteva pure essere l’espressione della volontà dei principi ma solo al papa spettava la decisione di incoronare o no l’imperatore. Il diritto d’opzione affermato da Innocenzo III fu confermato dai suoi successori, Gregorio IX e Innocenzo IV. L’idea dominante allora era che l’impero era stato delegato a Carlo Magno, ma il papa ne era il vero depositario. Egli consegnava quindi al laico la spada temporale al servizio del mondo cristiano. Sostenuto dal diritto romano, il papa adottava il cerimoniale imperiale, pretendeva per sé solo la dominazione universale. Le due spade erano nelle sue mani. Le teorie forti dei tempi di Federico I erano travolte, eliminate.
Il rafforzamento del papato era tale che le opzioni di Federico II avevano poche possibilità di successo. Il destino eccezionale di questo sovrano è stato l’ultimo soprassalto dell’impero, e la metà del xiii secolo segna la fine di un’epoca. Sul piano spaziale, il «re dei Romani» aveva guadagnato terreno; ai regni dei predecessori, accresciuti della Sicilia che era la sua terra natale, seppe aggiungere la corona di Gerusalemme e sviluppò un sogno mediterraneo, tanto più realizzabile in quanto Costantinopoli era nelle mani dei Veneziani e d’una dinastia occidentale. Lo «spazio imperiale» era allora, considerando tutto, più credibile che quello del tempo di Carlo Magno. Ma, sul piano teorico, soffriva del recente regresso dei predecessori. Tra 1220 e 1230, i canonisti confermavano che la spada temporale era concessa dal papa e che quest’ultimo era il vero imperatore. La corona imperiale gli fu posta sulla fronte il 22 novembre 1220, ma già cominciavano le tergiversazioni a proposito della sua partecipazione alla crociata di riconquista della Terrasanta, e fu un imperatore scomunicato ad assumere al Santo Sepolcro la corona di Gerusalemme. Lontano erede di Ottone III, Federico II non si sentiva tedesco, e concesse ai principi ecclesiastici e laici di Germania privilegi considerevoli che annientarono definitivamente la possibilità di far nascere un vero regno tedesco. Ancora una volta, si risentiva dell’anomalia rappresentata dalla confusione tra l’eletto dai principi tedeschi e l’imperatore. L’impero era sempre più una nozione vuota e sempre meno un governo. L’idea d’un impero universale, nel senso temporale del termine, era fortemente contrastata dall’esistenza d’un regno come quello di Filippo Augusto e di Luigi IX. Da molto tempo la Francia balbettante di Ugo Capeto era diventata un regno coerente e ben governato. La preminenza dell’imperatore sui re non esisteva più e, all’inizio del xiii secolo, si ammette che «il re era imperatore nel proprio regno».
In questi anni, tuttavia, i teorici, coloro che scrivevano storie universali, continuavano a considerare l’impero con gli occhi della tradizione. Gli insegnamenti che offre lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, vicino a san Luigi, sono da questo punto di vista significativi. Come Ottone di Frisinga nel secolo precedente, riporta la successione degli imperi fin dall’origine del mondo: traslazioni successive hanno fatto passare il potere supremo dagli Ebrei ai Greci ai Romani, poi ai Franchi. Quando scrive, nel 1244, sa ad esempio che è «nel trentatreesimo anno dell’impero di Federico» (II) e, nel 1250, annota che «l’impero romano è vacante». L’impero universale resta un riferimento obbligato. È normale che l’attitudine dei chierici e dei monaci che scrivono di storia non sia quella della corte del re di Francia.

 

fonte: http://fermi.univr.it/rm/rivista/sched/lib/Dizionario_I_Impero.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

II.  Federico II di Svevia
II. 1 Le origini e momenti principali della vita di Federico II
Federico II di Svevia è considerato uno dei personaggi più significativi del Duecento sia a livello strettamente italiano che a livello europeo.
Nasce a Jesi il 26 dicembre 1194 dall’unione tra l’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen e Costanza d’Altavilla, l’erede della corona normanna in Sicilia. Tre anni dopo, Federico perde il padre e, per volontà della madre, cresce sotto la tutela di papa Innocenzo III. Grazie a questi, non solo riceve una grande cultura ed educazione, ma anche la corona d’imperatore (1211). Più tardi però i suoi rapporti con la Santa Sede sono destinati a entrare in crisi portando a un vero conflitto tra la Chiesa e l’Impero – nel 1227 il papa Gregorio IX scomunica Federico II per i suoi continui rinvii della partenza per la crociata. Federico a questo punto risponde partendo per conto suo per la Terrasanta ed essendo tornato con la corona di re di Gerusalemme, affronta l’esercito dello stesso papa. Battendolo, riesce a ottenere un armistizio attraverso il trattato di San Germano (1230).
Segue un periodo di relativa calma, durante il quale si dedica alla riorganizzazione amministrativa del Regno delle Due Sicilie, il vero centro politico dell’impero, e allo sviluppo delle scienze e della cultura presso la propria corte a Palermo. Soltanto verso la fine della vita si ritrova di nuovo a fronteggiare una grande ostilità da parte del papato, ma anche dei Comuni dell’Italia settentrionale e da parte di molti regni europei.
Federico II muore il 13 dicembre 1250 presso Castel Fiorentino in Puglia e viene sepolto nella Cattedrale di Palermo.

II. 2 Importanza politico-culturale
Come abbiamo già accennato precedentemente, Federico II in quanto l’imperatore partecipa anche agli avvenimenti politici di rilievo europeo o addirittura mondiale. Prende parte alla sesta crociata in Terrasanta e dopo la sua vittoria, ottiene dal sultano d’Egitto la restituzione di Gerusalemme. In conseguenza viene incoronato anche re di Gerusalemme.
La vera importanza di Federico II consiste nel suo ruolo di riorganizzatore dell’amministrazione del Regno siciliano, ispirandosi al diritto romano sulla base di una rete di funzionari laici: il culmine della sua opera è l’emanazione delle Costitutiones Regni utriusque Siciliae (1230), conosciute anche come Costituzioni melfitane. Lo Stato siciliano è così considerato il primo Stato moderno d’Europa. 
Ai suoi tempi, Federico II viene chiamato Stupor mundi: è molto colto, s’interessa di questioni filosofiche, geografiche, ma soprattutto di scienze naturali, matematiche e fisiche. È poliglotta, si suppone che conosca 9 lingue, infatti, nella sua persona s’incontrano molte culture: la tedesca da parte del padre, la francese da parte materna, ma anche altre tra cui la latina, la greca, l’araba e quella volgare italiana.
Federico II porta al culmine l’opera di suo nonno materno, Ruggero II d’Altavilla, primo re di Sicilia, che a sua volta ha mostrato interessi e curiosità di carattere scientifico e per primo ha chiamato presso la sua corte intellettuali e artisti in modo da utilizzare il loro sapere a fini politici. La Magna curia di Federico II riunisce i più grandi scienziati, filosofi e giuristi dell’epoca. L’imperatore fonda l’Università di Napoli e la Scuola di Medicina di Salerno.
Il suo merito più grande è quello di aver fatto incontrare la cultura latina con quella bizantina e con quella araba. Ed è stato sempre lui a introdurre la filosofia araba sul territorio italiano e anche per questo viene considerato il primo ateo della nostra cultura. Dante lo situa nel sesto cerchio del suo Inferno tra gli eretici.
Il nome di Federico II è legato con gli inizi della letteratura italiana; è la sua personalità che creando le condizioni politico-culturali giuste fa sviluppare una società letteraria nuova, ed è per sua volontà che avvengono i primi esperimenti di poesia italiana ai quali lui stesso prende parte. Della produzione poetica di Federico II rimangono quattro canzoni e alcuni sonetti. È l’autore anche di un trattato di falconeria, Ars venardi cum falconibus.

III. Scuola poetica siciliana
III. 1 Introduzione
La Scuola poetica siciliana si sviluppa alla corte di Federico II di Svevia attorno all’anno 1230 ed è destinata a durare per circa un trentennio.
Alla base di questo movimento letterario sta una condizione politico-culturale nuova , una cultura laica, in cui influiscono elementi di varie culture: alla corte di Federico II s’incontra l’Occidente con l’Oriente, il Settentrione europeo con la civiltà araba e bizantina.
I Siciliani non sono i primi sul territorio italiano a esprimersi in una lingua volgare, sono stati preceduti ad esempio da Francesco d’Assisi che pochi anni prima scrive un grande testo in volgare, Cantico di Frate Sole; ma esso si colloca in ambito diverso, legato alle esigenze pratiche dell’edificazione religiosa. Soltanto a proposito dei Siciliani si può parlare per la prima volta di una“scuola” poetica. La produzione dei poeti della corte sveva è unitaria per stile e per lingua. Si tratta di uno stile elevato e di una lingua letteraria alta, ricreata a partire da una base linguistica siciliana, arricchita di calchi dal latino e dalle lingue letterarie d’oc e d’oïl.
È importante sottolineare il fatto che i siciliani s’ispirano a tutto il mondo poetico provenzale, non è solamente il linguaggio che in un certo modo si rifà ai modelli verificati in tempo, ma anche la tematica. I temi della poesia trobadorica e dei poemi francesi raggiungono molta fama in questo periodo e per questo motivo anche presso i siciliani possiamo trovare un richiamo a questa tradizione poetica occidentale.
Come abbiamo detto, la culla della letteratura italiana è la corte – in latino aula, ma un ruolo essenziale rappresenta anche la curia, ovvero l’alta corte di giustizia e massimo organo d’amministrazione del regno. Sono i termini che usa anche Dante nel De vulgari eloquentia    a  proposito delle quattro caratteristiche che dovrebbe avere una lingua unitaria italiana e che così sottolineano il primato dei Siciliani sul territorio italiano perché i protagonisti della Scuola sono sia personaggi di corte che funzionari dell’amministrazione, rappresentanti del potere dell’imperatore.
Non dobbiamo dimenticare, però, i diretti continuatori dei Siciliani, poeti toscani, che ne hanno assicurato la tradizione. Le poesie composte alla corte normanna, infatti, hanno durante il Duecento un grande successo in tutta l’Italia. Sono molti i poeti che prendono lo spunto proprio dalla produzione letteraria dei siciliani per comporre in volgare. È soprattutto nell’Italia centrale che si sviluppa questo tipo di poesia e la Toscana così diventa un nuovo centro culturale. Qui compongono le loro poesie Guittone d’Arezzo o Bonagiunta Orbicciani (i cosiddetti poeti siculo-toscani) o Chiaro Davanzati (appartenente alla cosiddetta scuola di transizione).
Il merito di questi poeti sono anche le sillogi, in altre parole, raccolte di poesia che contengono componimenti di più di un autore e la cui forma finale viene elaborata da un solo compilatore. Il compito del compilatore non è solamente quello di unire le poesie di vari autori in una sola opera, ma anche quello di adattare le poesie siciliane  all’ambiente toscano. In conseguenza, i versi dei Siciliani si diffondono nelle versioni più o meno toscanizzate. E anche lo stesso Dante conosce la produzione dei Siciliani in questa maniera; solo molto più tardi viene ricostruita la forma originale delle poesie. La silloge più nota che contiene le opere dei poeti siciliani è il codice Vaticano Latino 3793 al quale si rivolgono fin oggi tutti i ricercatori del campo.

III. 2 Maggiori rappresentanti della Scuola
Tra i poeti siciliani, riuniti attorno all’imperatore Federico II e ai suoi figli Enzo            e Manfredi, troviamo per lo più burocrati, funzionari della corte e della cancelleria imperiale, alcuni sono nobili. Li accomuna il fatto che tutti sono laici che compongono versi per distrarsi dai problemi della vita quotidiana e definiscono il proprio ruolo nella società attraverso la partecipazione ai due spazi da noi menzionati: l’aula e la curia.
Ma nonostante tutta la produzione della Scuola avvenga in siciliano, non tutti i poeti sono originari di quest’isola: molti rappresentanti della Scuola provengono dalle altre parti dell’Impero, dalla penisola. E al contrario, in questo periodo esistono anche dei componimenti scritti in volgari diversi da quello siciliano, ma grazie al prestigio e alla fama della corte di Federico II, chiamiamo siciliana quasi tutta la produzione dei predecessori di Dante, quindi anche quella dei continuatori dei Siciliani, che in linea di massima si esprimono in toscano influenzato dai sicilianismi. Insomma, di tutti quelli che compongono versi sulla scorta dei Provenzali, cercando di elaborare un linguaggio lirico di livello elevato. A questo proposito si esprime anche lo stesso Dante: «Et quia regale solium erat Sicilia, factum est, ut quicquid nostri predecessores vulgariter protulerunt, Sicilianum voc<ar>etur; quod quidem retinemus et nos, nec posteri nostri permutare valebunt.»
Per quanto riguarda invece la possibilità di distinguere una prima e una seconda generazione di poeti all’interno della Scuola, non sembra che esistano basi solide per poter stabilire i confini netti tra le due. È anche la durata relativamente breve della Scuola, di poco superiore ai trent’anni, che non consente una tale articolazione. È però evidente che Iacopo da Lentini e Pier della Vigna appartengono al gruppo dei più antichi, mentre Percivalle Doria e Re Enzo risalgono a una fase più recente.
Infine, conviene ricordare la funzione importante di Iacopo da Lentini nell’ambito della Scuola: gli si attribuisce il ruolo di un vero caposcuola. Questa tesi è supportata soprattutto dalla posizione principale delle sue poesie (Madonna, dir vi voglio e Maravigliosamente) all’interno del codice Vaticano Latino 3793.
Avendo esposto una caratteristica fondamentale dei poeti appartenenti alla Scuola poetica siciliana,  passiamo adesso alla presentazione dei maggiori rappresentanti di questo movimento letterario.

RE MANFREDI
È figlio e successore di Federico II, nel 1258 si fa eleggere re di Sicilia. Come suo padre, anche lui è dotato di una grande intelligenza e nutre un vivo interesse per la cultura, si occupa di scienza e di filosofia. È probabile che sia autore della canzone Donna, lo fino amore.

RE ENZO
È figlio naturale di Federico II, re nominale di Sardegna. Dopo la battaglia di Fossalta (1249) viene fatto prigioniero e trascorre il resto della vita in prigionia a Bologna. È un uomo molto colto: si cimenta nella composizione di versi al modo dei poeti siciliani. È rimasta la sua canzone S’eo trovasse pietanza.

RINALDO D’ACQUINO
È tra i primi poeti ad entrare nella cerchia della Scuola siciliana. Secondo alcuni studiosi è valletto e falconiere di Federico II. Appartiene ad una famiglia nobile messinese.
È conservata una decina delle sue opere: i componimenti sono caratterizzati da un tono popolareggiante. Nel Già mai non mi conforto fa parlare, contro la tradizione della poesia trobadorica, una donna abbandonata dall’amante in partenza per una crociata. Un’altra canzone rilevante s’intitola Per fin’ d’amore vao si allegramente.

PIER DELLE VIGNE (o DELLA VIGNA)
Nasce nel 1180 a Capua, svolge la funzione d’avvocato, notaio e cancelliere della corte di Federico II. È tra i prediletti dell’imperatore quando nel 1249 viene accusato di tradimento, nello stesso anno, dopo esser stato imprigionato e accecato, muore suicidandosi. Dante lo colloca nel settimo cerchio dell’Inferno.
Di questo autore abbiamo quattro canzoni, tra le quali  Uno piasente sguardo (qui il poeta descrive il momento che lo rende vittima d’amore: un solo sguardo di una donna lo fa innamorare) e Amore, in cui disio ed ho speranza (qui si rivolge alla canzone perché interceda a suo favore presso la donna amata), e un opuscolo di modelli delle epistole latine di forma ufficiale con il quale fonda questo tipo d’espressione scritta per tutta l’Europa medievale.

GUIDO DELLE COLONNE
Come testimoniano alcuni atti giuridici, Guido delle Colonne ricopre l’incarico di giudice a Messina tra gli anni 1243 e 1280. Della sua produzione letteraria possediamo cinque canzoni, tra cui Amor che lungiamente m’ai menato.
Gli si attribuisce anche un testo di importanza storica: si tratta della Historia destructionis Troiae, ovvero della versione latina del Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure.

ODO DELLE COLONNE
Anche lui proveniente da Messina, appartiene probabilmente alla stessa famiglia di Guido. Di lui ci sono rimaste due canzoni, composte attorno all’anno 1250. Una di queste porta il titolo di Oi lassa ’nnamorata.

GIACOMINO PUGLIESE
Su questo poeta non esistono dati biografici certi, ma sappiamo con sicurezza che si tratta di un colto conoscitore della lirica provenzale e della poetica in generale, fatto che gli consente di comporre poesia molto varia e anche abbastanza riuscita. Tali meriti gli vengono riconosciuti soprattutto nel corso dell’Ottocento. Il codice Vaticano Latino 3793 gli attribuisce otto canzoni amorose.

PERCIVALLE DORIA
Appartenente ad una potente famiglia ligure, vive nella prima metà del XIII secolo, esercitando un’intensa attività politica alla corte di Federico II e dopo la sua morte presso      la corte di Manfredi. Questo ghibellino convinto rimane sempre fedele all’impero e alla Casa sveva, anche dopo la scomunica dal papa.
Noi rivolgiamo la nostra attenzione verso questo poeta per la sua attività letteraria bilingue: i componimenti di genere politico o morale-satirico sono scritti in occitanico, mentre le canzoni con la tematica amorosa sono scritte in volgare siciliano.

 


STEFANO PROTONOTARO
Da alcuni viene identificato con Stefano da Messina, che traduce dal greco al latino due trattati astronomici di autori arabi, dedicati al re Manfredi. Della sua produzione poetica restano tre canzoni, tra le quali Pir meu cori alligrari, conservata nella forma linguistica originale nell’Arte del rimare del filologo cinquecentesco Giovanni Maria Barbieri

MAZZEO DI RICCO
Poeta di origine messinese è probabilmente uno dei rappresentanti più tardi della Scuola siciliana. È noto che Guittone d’Arezzo mantiene con lui una corrispondenza, indirizzandogli anche una canzone. Della sua opera sono conservate sei canzoni amorose caratterizzate da una forma assai raffinata.

 


Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana.

Dante, Inferno X.

Avendo riorganizzato l’amministrazione dello Stato e combattuto i feudatori ribelli, Federico II fonda una forma di monarchia assoluta e prefigura così le forme dello Stato moderno.

Cfr. Dante, De vulgari eloquentia I, XIV-XIX: le quattro caratteristiche sono illustre, cardinale, aulico,
 curiale.

Ad es.: Giacomino Pugliese, Pier della Vigna.

Dante, De vulgari eloquentia I, XII, 4: E siccome la  sede regale era la Sicilia, si chiama siciliano tutto ciò, che  i nostri predecessori hanno composto in volgare; e questo teniamo fermo anche noi, e nemmeno i nostri
posteri lo potranno cambiare(traduzione nostra) .  

Cfr. Bruni, La cultura alla corte di Federico II e la lirica siciliana, in Storia della civiltà letteraria italiana,
pp. 211-273.

Dante, Inferno XIII.

 

Fonte: http://is.muni.cz/th/64337/ff_m/Federico_II.doc

Autore del testo non indicato nel documento di origine del testo

 

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