Charles Darwin origine delle specie e biografia

 


 

Charles Darwin origine delle specie e biografia

 

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Il positivismo: Charles Darwin e  l’evoluzionismo.

È difficile sottovalutare l’importanza di Charles Darwin (1809 – 1882) nella cultura contemporanea; i suoi “L’origine delle specie” 1859 (On The Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoureted Races in the Struggle for Life), e “ L’origine dell’uomo” 1871 (The Descent of Man and Selection in Relation to Sex),  sono libri  che hanno fortemente inciso sulla concezione moderna dell’uomo. 
Per noi ormai alcuni concetti sono familiari, e quasi scontati: evoluzione delle specie, adattamento, selezione naturale; Abbiamo quasi introiettato l’idea che la vita sia apparsa nelle forme più semplici milioni di anni fa e si sia progressivamente evoluta, in seguito a variazioni genetiche casuali (in questo il grande contributo di  Gregorio Mendel 1822 -1884, fondatore della genetica, che Darwin però non conosceva), che favorivano o sfavorivano la capacità di adattamento e sopravvivenza. E che l’uomo (homo sapiens sapiens) sia l’ultimo anello di una catena che incominciando con esseri unicellulari miliardi di anni fa, attraverso viventi più complessi, arriva a mammiferi simili a noi ( pitecantropi) e ad altre specie di homo ora estinte ( ad esempio Neanderthal).  Tutto questo può sembrare ovvio, come è ovvio che la terra gira attorno al sole.  Ma in entrambi i casi non abbiamo conferme dall’esperienza sensibile comune. Infatti  noi sperimentiamo la fissità della specie ( da un uovo di gallina nasce una gallina),  l’immutabilità del paesaggio ( si dice: fermo come una montagna), il muoversi del sole: solo recentemente (relativamente alla storia umana)  sono state confutare queste percezioni comuni ( e considerate di “buon senso”) infatti i tempi di questi fenomeni ( le ere geologiche, l’evoluzione)  o, nel caso dei moti celesti, le loro prospettive,  non sono immediatamente osservabili nella vita quotidiana. La fissità delle specie ( animali e vegetali) sembrava un dato inconfutabile anche per motivi religiosi e filosofici: Dio aveva creato il mondo “perfetto” ab origine ( come pensare che possa “cambiare idea” creando ed estinguendo specie?)  e l’uomo era il re del creato, totalmente diverso dagli altri animali ( aveva un’anima immortale, la ragione, il pensiero, ecc.).
Questo può, in parte spiegare, le fortissime reazioni che accompagnarono la pubblicazione dell’opera di Darwin. L’evoluzione, infatti, inseriva anche l’uomo in una linea biologica insieme con gli altri viventi ( ed estinti) senza una frattura sensibile qualitativa.  Da sempre l’uomo era considerato come qualcosa di diverso ( e qualitativamente superiore) agli animali ( e vegetali), aveva un’anima o, per dirla con Cartesio, una res extensa ( il corpo) e una res cogitans ( il pensiero): Darwin metteva in discussione questa distinzione considerata essenziale fino a lui: l’uomo era solo una specie più evoluta delle altre. In conclusione: un animale, e per di più, come si diceva “ discendente dalle scimmie” ( cosa inesatta: uomo e scimmie hanno antenati comuni, ma questo vale per tutti i viventi. Anche tra uomo e topo!)  Le obiezioni più dure venivano, oltre che dal senso comune, dalla religione che sosteneva una teoria creazionista: Dio ha creato le varie specie di viventi, e l’uomo a sua immagine: quindi  l’uomo non può essere frutto di variazioni casuali e di selezione naturale. Darwin sembra completare l’opera di Copernico: come la terra diventa un pianeta tra gli altri ( e non il centro dell’universo) così l’uomo viene considerato un animale ( e non un essere intermedio tra gli animali e Dio, come lo considerava Marsilio Ficino).
Ma oltre a grandi polemiche, l’opera di Darwin suscitò anche un rapido, diffuso ed enorme consenso ( L’origine della specie si esaurì in un giorno, e fu necessario ripubblicarlo subito con ampie tirature). L’idea di evoluzione ( e quindi di progresso) si adattava perfettamente col positivismo e la sua mentalità e il naturalista inglese ne divenne presto, suo malgrado, una bandiera.  Inoltre la teoria dell’evoluzione, uscendo dall’ambito della biologia,  si prestava, applicata alla società umana, a diverse interpretazioni, anche molto contrastanti tra loro, e dalle conseguenze molto importanti nel 900.
Marx ne fu entusiasta: Il suo materialismo ne risultava confermato; il suo sistema dialettico ( la lotta di classe) rinforzato. Infatti Darwin parla di dialettica che si attua incessantemente tra individuo ed ambiente, e tale modello delle scienze naturali era molto simile al modello sociale elaborato da Marx ( il prevalere di una classe sull’altra e  l’estinguersi del capitalismo per le crisi cicliche di sovrapproduzione e per le lotte del proletariato) Per questa ragione egli voleva dedicare a Darwin la sua maggiore opera “Il capitale” ( Darwin comunque non accettò la dedica).
La rivoluzione darwiniana modificò profondamente anche i termini dell’etica. Non si trattava più di giustificare le norme del comportamento ( cosa è in sé giusto o ingiusto),ma di spiegarne i motivi. Darwin li aveva individuati non nella ricerca del piacere o nella fuga dal dolore ( come nella classica etica epicurea), ma negli istinti sociali funzionali al benessere del gruppo. La selezione naturale avrebbe portato a un loro rafforzamento: una tribù ricca di qualità sociali (generosità, fedeltà, coraggio) doveva ampliarsi e riuscire vittoriosa sulle altre tribù. Anche  i valori etici, rispondendo alla necessità di conservazione e riproduzione del gruppo, rispondeva a criteri evoluzionistici.
In conclusione Darwin con L’Origine della specie ( L’origine dell’uomo, pubblicato 10 anno dopo, ne è la conseguenza)
propone una teoria generale  esplicativa dell’origine e delle sviluppo della vita sulla terra e unifica le forme viventi. “Per esempio vediamo l’ala del pipistrello, lo zoccolo del cavallo, la pinna del delfino, la mano costruiti tutti con la medesima struttura; vediamo che c’e’ un profondo legame tra loro. Illustrare tale legame costituisce la base e il fine di ciò che è chiamato sistema naturale. Ora è meraviglioso questo fatto che la mano, lo zoccolo, l’ala, la pinna sono la stessa cosa”. (Darwin, Origine della Specie)
Kant osservava come Newton avesse unificato, con la legge della gravitazione universale, la fisica dell’universo, e diceva di escludere il “Newton del filo d’erba” cioè colui che scoprisse la legge unificatrice di tutti i viventi, dal filo d’erba all’uomo. Un cinquantennio dopo la sua morte, Darwin dava le risposte che perfino Kant escludeva!

 

L’evoluzione degenera: il darwinismo sociale

L’evoluzionismo  trovò molti propugnatori nella Gran Bretagna imperiale della fine 800 e si diffuse in Europa e USA: alcuni concetti ( selezione naturale, lotta per la sopravvivenza, evoluzione) estrapolati dal contesto biologico, e applicati alla società sembravano giustificare il colonialismo e l’imperialismo dell’epoca. Infatti, sostenevano i “darwinisti sociali”, come l’evoluzione naturale premia “il migliore”, il “più forte”, così la guerra e la lotta tra le nazioni fa emergerei migliori e sottomette i popoli “inferiori”  ( i migliori sono naturalmente i colonialisti Inglesi o Europei, gli inferiori gli africane e asiatici o i neri in America). Non solo: anche all’interno della società una lotta per la sopravvivenza seleziona i migliori mentre le classi inferiori “giustamente” soccombono: è, secondo loro, la legge della natura dimostrata da Darwin. Il grande  scienziato, finché fu in vita, si distanziò da queste indebite generalizzazioni della sua teoria: in natura non sopravvivono necessariamente i più forti, ma le specie che si sanno meglio adattare; inoltre non sempre viene premiata la competizione tra individui o specie, alle volte ha il sopravvento la collaborazione tra individui (in gruppi) o tra specie (in simbiosi o equilibrio reciproco).  Il Darwinismo sociale offriva però un’ottima giustificazione (Marx direbbe ideologica-sovrastrutturale ) all’ordine sociale del capitalismo e dell’imperialismo di fine secolo: in una società liberale ( in cui tutti i cittadini teoricamente sono  uguali ) permetteva di giustificare le grandi differenze di classe con motivazioni “scientifiche”: l’inferiorità “naturale” delle classi o dei popoli subalterni. Il Darwinismo sociale diventa quindi, indipendentemente dall’autentico pensiero di Darwin, una base teorica per il razzismo che tanti disastri ha prodotto nel ‘900 in Europa e nel mondo.

 

L’evoluzionismo fa ancora discutere

Per capire l’importanza di Darwin basti considerare come anche oggi, dopo 150 anni, l’evoluzionismo fa discutere. Non tanto nell’ambiente scientifico, dove è stato suffragato da una mole oceanica di dati  e, in particolare negli ultimi anni, dall’analisi e dalla mappatura genetica dei viventi ( il confronto tra i DNA delle diverse specie), quanto in ambito politica e religioso. A qualcuno sembra inaccettabile l’idea di una evoluzione “casuale” ( tramite variazioni impreviste delle caratteristiche genetiche e la selezione conseguente) e ha proposto, soprattutto negli USA, la teoria del Intelligent Design ( in italiano: disegno intelligente; più correttamente Progetto intelligente) cioè  la teoria di un progetto intenzionale sottostante alla evoluzione: in altre parole di un disegno provvidenziale divino. E’ molto discutibile che questa sia una teoria scientifica ( una teoria che cioè possa essere dimostrata o falsificata sul piano sperimentale o documentale) o piuttosto una fede religiosa, legittima, ma non scientifica. La distinzione è cruciale soprattutto negli Stati Uniti, dove il I’ emendamento della Costituzione proibisce da parte delle stato qualsiasi interferenze nella religione, e, di conseguenza, vieta l’insegnamento di fedi religiose nelle scuole pubbliche. Se l’Intelligent Design fosse accettato come teoria scientifica dovrebbe essere insegnato accanto all’evoluzionismo, se invece fosse visto come una opinione religiosa non potrebbe essere presentato nella scuola pubblica nei corsi di scienze. I tribunali americani che se ne sono occupato hanno comunque finora dato ragione agli scienziati. Per seguire  questo dibattito vedi la voce Disegno intelligente in WIKIPEDIA.
In Italia i recenti programmi della riforma Moratti per la scuola primaria non includevamo l’evoluzionismo, ( presente nei programmi precedenti)  con il motivo di una inadeguatezza dei ragazzi e di una loro “immaturità”. Di fronte alla protesta di tutta la comunità scientifica, il ministro è comunque tornato sulle sue decisioni.

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/filosofia/darwin.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Charles Darwin origine delle specie e biografia

Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 12 febbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882) è stato un naturalista, geologo e agronomo inglese, celebre per aver formulato, assieme ad Alfred Russel Wallace, la teoria dell'evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale di mutazioni casuali congenite ereditarie (origine delle specie), e per aver teorizzato la discendenza di tutti i primati (uomo compreso) da un antenato comune (origine dell'uomo).
Ha pubblicato la sua teoria sull'evoluzione delle specie nel libro L'origine delle specie (1859), che è rimasto il suo lavoro più noto. Ha raccolto molti dei dati su cui ha basato la sua teoria durante un viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle, e in particolare durante la sua sosta sulle Isole Galápagos.
La vita

Nacque a Shrewsbury, in Inghilterra, quinto dei sei figli di Robert Darwin e Susannah Wedgwood; era nipote di Erasmus Darwin e Josiah Wedgwood.
Completati gli studi, si iscrisse a Medicina ad Edimburgo nel 1825. Il suo disgusto per la dissezione e la rozzezza della chirurgia del tempo lo portarono ad abbandonare la Scuola di Medicina nel 1827. In quell'istituto fu comunque influenzato dal lamarkiano Robert Edmund Grant. Suo padre, insoddisfatto che non fosse diventato medico e temendo divenisse un buono a nulla, lo spedì a Cambridge, sperando che entrasse a far parte del clero.
A Cambridge, Darwin fu fortemente influenzato da personalità scientifiche quali William Whewell e John Stevens Henslow: questo, unitamente all'interesse per le collezioni di coleotteri, lo indirizzò, incoraggiato da suo cugino William Darwin Fox, verso la storia naturale. Darwin rimase a Cambridge per ulteriori studi in Geologia, per la quale dimostrava predisposizione. Nell'estate del 1831 lavorò col grande geologo Adam Sedwick in rilievi stratigrafici nel Galles.
Dopo che ebbe finito i suoi studi, il giovane studioso venne raccomandato da Henslow come accompagnatore di Robert Fitzroy, capitano della nave Beagle che era in partenza per una spedizione cartografica di cinque anni attorno alle coste del Sud America. Il lavoro di Darwin durante la spedizione gli permise di studiare di prima mano sia le caratteristiche geologiche di continenti ed isole, sia un gran numero di organismi viventi e fossili. Egli raccolse metodicamente un gran numero di campioni sconosciuti alla scienza: tali campioni, conferiti al British Museum, erano già di per sé un notevole ed ineguagliato contributo scientifico.

Fra Capo Verde e le Falkland
Nel suo viaggio visitò le isole di Capo Verde, le Isole Falkland (o Isole Malvinas), la costa del Sud America, le Isole Galápagos e l'Australia. Di ritorno nel 1836, Darwin analizzò campioni di specie animali e vegetali, che aveva raccolto, e notò somiglianze tra fossili e specie viventi della stessa area geografica. In particolare, notò che ogni isola dell'Arcipelago delle Galápagos aveva proprie forme di tartarughe e specie di uccelli differenti per aspetto, dieta, eccetera, ma per altri versi simili.
Nella primavera del 1837 ornitologi del British Museum informarono Darwin che le numerose e piuttosto differenti specie che egli aveva raccolto alle Galápagos appartenevano tutte a un gruppo di specie della sottofamiglia Geospizinae, all'interno della famiglia Fringillidae, cui appartengono anche i comuni fringuelli. Ciò, unitamente alla rilettura del saggio del 1798 di Thomas Malthus sulla popolazione, innescò una catena di pensieri che culminarono nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale e sessuale. Darwin ipotizzò che, ad esempio, le differenti tartarughe avessero avuto origine da un'unica specie e si fossero diversamente adattate nelle diverse isole.

Teorie abbozzate

Sulla base di tali ragionamenti, ed in sintonia con i Principi di geologia di Charles Lyell e il Saggio sui principi della popolazione di Malthus (in cui si teorizzava il concetto di disponibilità di risorse alimentari intesa come limite alla numerosità delle popolazioni animali), Darwin scrisse gli Appunti sulla trasformazione delle specie. Ben consapevole dell'impatto che la sua ipotesi avrebbe avuto sul mondo scientifico, Darwin si mise ad indagare attivamente alla ricerca di eventuali errori, facendo esperimenti con piante e piccioni e consultando esperti selezionatori di diverse specie animali. Nel 1842 stese un primo abbozzo della sua teoria, e nel 1844 iniziò a redigere un saggio di duecentoquaranta pagine in cui esponeva una versione più articolata della sua idea originale sulla selezione naturale. Fino al 1858 (anno in cui Darwin si sarebbe presentato alla Linnean Society di Londra) non smise mai di limare e perfezionare la sua teoria.

Altri trattati e l'avventura del "Beagle"
Darwin pubblicò altri trattati scientifici, tra cui la spiegazione della formazione degli atolli corallini nel Pacifico del sud e il resoconto del suo viaggio a bordo del HMS Beagle.
Nel 1839, Darwin sposò sua cugina, Emma Wedgwood. La coppia visse alcuni anni a Londra, per poi trasferirsi a Downe, nel Kent, in una residenza chiamata Dorm House (oggi attrazione turistica). Ebbero dieci figli, tre dei quali morirono in tenera età.
La Zoologia del viaggio della H. M. S. Beagle venne pubblicata, in cinque volumi, fra il 1839 e il 1843. In quel periodo, Darwin ebbe una fitta corrispondenza scientifica con Alfred Russel Wallace, che si trovava a lavorare nelle Isole del Pacifico meridionale. Nel giugno del 1858, Wallace gli espose una propria teoria dell'evoluzione. Nello stesso periodo, alcuni amici di Darwin lo persuasero a rendere pubbliche le sue idee.
L'origine delle specie
Il 1 luglio 1858, Darwin fece la propria comunicazione (riguardo all'Origine delle specie per mezzo della selezione naturale) alla Linneian Society; insieme fu letta anche una comunicazione di Wallace. Il libro di Darwin fu pubblicato un anno più tardi; tanto era l'interesse suscitata dalla sua opera che la prima edizione andò esaurita in un giorno.
Nelle sue opere successive - quali La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, L'origine dell'uomo e la selezione sessuale e L'espressione delle emozioni negli animali e nell'uomo - Darwin sviluppò altri temi soltanto abbozzati o neppure accennati ne L'origine delle specie. Per esempio, ne L'origine dell'Uomo e la selezione sessuale, Darwin aggiunse alla selezione naturale, come meccanismo di selezione, anche la selezione sessuale, dovuta alla "scelta femminile" (o in alcuni casi maschile) che spinge uno dei due sessi a sviluppare caratteri sessuali secondari abnormi e, in apparenza, in contrasto con la sopravvivenza e quindi il fitness individuale, come i palchi dei maschi dei cervi europei (Cervus elaphus) o la coda, sempre nei maschi, del pavone (Pavo cristatus). Ne L'espressione delle emozioni negli animali e nell'Uomo, Darwin abbozzò per la prima volta lo studio del comportamento animale secondo una prospettiva evoluzionistica, che avrebbe dato spunto nel secolo successivo all'etologia.
Nonostante le profonde modifiche cui è andata (e va) incontro anche ai giorni nostri la teoria dell'evoluzione per selezione naturale, le riflessioni di Darwin sono ancor oggi la base ed il presupposto scientifico per lo studio della vita e della sua evoluzione.

La selezione degli animali domestici
Charles Darwin è famoso per lo studio della selezione degli esseri viventi nelle condizioni di vita selvatica, condizioni studiate nel corso del viaggio sul brigantino Beagle. Si tende a dimenticare, invece, che Darwin dedicò lunghi anni ed immensa attenzione alla selezione dei vegetali coltivati e degli animali domestici, tra i quali i riproduttori non sono scelti dalla prevalenza del più forte, che regola la riproduzione allo stato selvaggio, ma per scelta dell'uomo che preferisce un riproduttore ad un altro sulla base del vantaggio economico, come avviene per bovini e suini, o per mere considerazioni estetiche, come accade per cani e colombi.[1],
Al tempo di Darwin le fattorie inglesi erano teatro delle pratiche che avrebbero creato le razze moderne di bovini, suini, ovini; studiando l'opera degli allevatori del proprio paese, come quella dei colombofili e dei cinofili londinesi, lo scienziato britannico compose la propria opera più voluminosa: La variazione delle piante e degli animali in condizione di domesticità.

Accanto a Newton
L'opera di Darwin fu molto apprezzata dalla comunità scientifica. Egli divenne membro della Royal Society nel 1839 (per la raccolta di informazioni effettuata durante il suo viaggio) e nel 1878 fu accolto anche dall'Académie des Sciences francese.
Nel 1870 fu nominato socio d'onore della Società Geografica Italiana.
Alla sua morte, avvenuta a Downe il 19 aprile del 1882, Darwin ricevette funerali di stato e fu sepolto nell'Abbazia di Westminster, accanto a Newton.

Darwin e la fede cristiana
Charles Darwin discendeva da un ambiente anticonformista. Sebbene vari membri della sua famiglia fossero liberi pensatori, apertamente privi di credenze religiose convenzionali, egli inizialmente non dubitò della verità letterale della Bibbia. Frequentò una scuola anglicana, poi a Cambridge studiò teologia anglicana per diventare prete, ed era pienamente convinto dall'argomento teleologico di William Paley, secondo il quale il progetto della natura dimostrerebbe l'esistenza di Dio.
Tuttavia, le sue credenze cominciarono a cambiare durante il suo viaggio con l'HMS Beagle. Mise in questione quello che vedeva, rimanendo perplesso, per esempio, di fronte al fatto che le belle creature degli abissi oceanici fossero state create dove nessuno le poteva vedere, e rabbrividendo alla vista di una vespa che paralizzava bruchi e li offriva come cibo vivo alle proprie larve; considerò che quest'ultimo caso era in contraddizione con la visione di Paley di un progetto benefico. Mentre era sul Beagle, Darwin era però rimasto ortodosso, e citava la Bibbia come un'autorità nella morale, ma aveva cominciato a vedere la storia del Vecchio Testamento come falsa ed inaffidabile.
Dopo il suo ritorno, investigò la trasmutazione delle specie. Sapeva che i suoi amici naturalisti ecclesiastici la ritenevano un'orrenda eresia, che minava le giustificazioni miracolose per l'ordine sociale, e sapeva che tali idee rivoluzionarie erano sgradite specialmente in un momento in cui la posizione raggiunta dalla Chiesa anglicana era attaccata dai dissidenti radicali e dagli atei. Mentre stava sviluppando segretamente la sua teoria della selezione naturale, Darwin scrisse persino della religione come di una strategia di sopravvivenza tribale, sebbene credesse ancora che Dio fosse il legislatore ultimo.
La sua fede nel cristianesimo continuò ad attenuarsi, ed infine, con la morte della figlia Annie nel 1851, la perse completamente. Continuò a dare sostegno alla Chiesa locale e ad aiutare con il lavoro parrocchiale, ma di domenica faceva una passeggiata mentre la sua famiglia andava a messa. In età avanzata, quando gli venne chiesto delle sue convinzioni religiose, scrisse che non era mai stato un ateo nel senso di negare l'esistenza di un Dio, ma che in generale «"agnostico" sarebbe la più corretta descrizione del mio stato mentale».
Charles Darwin riferì nella sua biografia del nonno Erasmus Darwin, di come venissero fatte circolare delle storie false che sostenevano che Erasmus avesse invocato Gesù sul letto di morte. Charles concluse scrivendo "Tale era lo stato del sentimento cristiano in questo Paese [nel 1802].... Possiamo almeno sperare che adesso non prevalga più niente del genere." Nonostante questa speranza, storie molto simili vennero fatte circolare dopo la sua morte , di cui la più importante è la "Storia della Signora Speranza", pubblicata nel 1915, che sosteneva che Darwin si fosse convertito sul suo letto di malattia. Tali storie sono state propagate da alcuni gruppi cristiani al punto da diventare leggende urbane, sebbene queste asserzioni siano state confutate dai figli e siano state rigettate come false dagli storici

 

Fonte: http://cmapspublic3.ihmc.us/rid=1231094741849_626335295_6780/Charles%20Darwin.doc

Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Charles_Darwin

 

Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione delle specie
Un viaggio lungo 150 anni

 

Modena 2009. Il Foro Boario ospita la mostra “Darwin - Modena e 200 anni di evoluzione – in occasione del bicentenario della nascita e i 150 anni dalla pubblicazione della sua opera più importante: “L’Origine delle specie”.

 

Itinerario della mostra:

1) Charles Darwin nacque in Inghilterra nel 1809. Abbandonò gli studi di medicina per dedicarsi, a Cambrige, alla Teologia. Qui conobbe studiosi nel campo della botanica, dell’entomologia, della storia naturale, della zoologia e geologia. Iniziò le sue osservazioni sugli insetti (coleotteri), si applicò in studi di geologia e di storia naturale.
E’ stato un biologogeologozoologo e botanico inglese, celebre per aver formulato la teoria dell'evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale agente sulla variabilità dei caratteri (origine delle specie), e per aver teorizzato la discendenza di tutti i primati (uomo compreso) da un antenato comune (origine dell'uomo). Pubblicò la sua teoria sull'evoluzione delle specie nel libro L'origine delle specie (1859), che è rimasto il suo lavoro più noto. Raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria durante un viaggio (spedizione scientifica e cartografica) intorno al mondo sulla nave  Beagle.



2) Il viaggio intorno al mondo sulla nave Beagle, costeggiò le coste delle Americhe e dell’Africa, dell’Australia con soste su isole, come le Galapagos, che si dimostrarono veri laboratori privilegiati per lo studio  delle specie  animali e vegetali e il loro adattamento all’ambiente. Nel 1834, trovandosi sull’isola di Val Paraiso, assistette a 3 fenomeni geologici contemporanei: terremoto, maremoto ed eruzione vulcanica.
Da geologo poté osservare da vicino questi fenomeni ed avanzare teorie sull’età della terra, sulla formazione dei vulcani, sulle stratificazioni delle rocce, sulla estinzione di alcuni animali…

3) Studio dei fossili
Osservando una falesia (costa rocciosa con pareti a picco sul mare) individuò 3 strati diversi di rocce.

  • rocce fossilifere
  • rocce arenarie
  • argille rosse

esaminando i fossili riuscì a portare in dietro di milioni di anni la nascita della vita sulla terra ed esaminando i fossili di armadillo notò che, pur essendosi modificati nel tempo, era evidente l’origine da un antenato comune.

4) Roccia fossilifera di Maranello
La presenza di fossili marini dimostra la presenza del mare là dove ora c’è la pianura Padana.

 

5) La deriva dei continenti: dalla Pangea alla formazione e allontanamento dei continenti.
Osservando il Nandù (Sud America), il Kiwi (Nuova Zelanda) e il Casuario (Australia), Darwin sostenne l’esistenza di un antenato comune, essendo uccelli che non volavano,  le terre di origine dovevano essere per forza vicine o a contatto.

6) Elefante nano della Sicilia (nanismo insulare)
Come l’ambiente modifica le caratteristiche di una specie e ne determina la selezione. In Sicilia erano presenti elefanti alti fino a 5 metri, ma poi le ridotte risorse alimentari fecero sì che gli elefanti più piccoli si riproducessero maggiormente rispetto a quelli più grandi e più bisognosi di cibo.
Gigantismo insulare: se su uno spazio ristretto vengono a mancare i predatori, le specie predate si sviluppano e crescono anche in dimensioni. Esempio le zecche di Pianosa(5-6 mm)
il ghiro siciliano 4 volte più grande di quello modenese.

 

7) Caratteristiche di specie  animali e piante che cambiano per  adattarsi all’ambiente:
es le farfalle
es. il colore della pelle della specie umana

selezione artificiale: ad opera dell’uomo che attraverso incroci (animali), innesti e talee (piante) seleziona e riproduce animali e piante con determinate caratteristiche (pelo corto, colore dei fiori, tipo di grano…).
Selezione naturale: avviene in natura, sopravvivono e si riproducono gli esemplari più idonei e resistenti alle condizioni ambientali.
7) Piante grasse: esempio di adattamento di una pianta in un ambiente arido come il deserto.
Caratteristiche sviluppate:

  • resistenza al caldo e al freddo elevati (escursione termica);
  • struttura interna spugnosa adatta a trattenere l’acqua;
  • foglie trasformate in spine per evitare perdita d’acqua (no fotosintesi);
  • stomi che si aprono di notte quando è più freddo per non disperdere acqua;
  • fusto e ramificazioni (finte foglie) responsabili della fotosintesi;

  • radici molto ramificate.

 

Un esempio di mimetismo: insetto stecco

 

Fonte: http://www.icpacinotti.net/documents/Charles%20Darwin.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Analisi dell’Autobiografia di Charles Robert Darwin
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  1. Parte bibliografica

 

    • Charles Darwin, Autobiografia (1809-1882), a cura di Nora Barlow, Torino, Einaudi, 2006.
    • Titolo originale: The Autobiography of Charles Darwin (1809-1882).

Va osservato come l’Autobiografia venga pubblicata per la prima volta come parte del volume La vita e le lettere di Charles Darwin, curato dal figlio Francis e pubblicato dall’editore John Murray nel 1887, cinque anni dopo la morte dell’autore, con molte omissioni che allora furono ritenute necessarie. Tali omissioni – che concernevano, per la gran parte, le opinioni religiose – furono giustificate da un senso di rispetto ai sentimenti di alcuni amici. Una simile cautela evidenzia la polifonicità del genere autobiografico, in quanto la vita dell’autore si intreccia ad altre vite, di persone con le quali egli entra in contatto, e con le quali si relaziona, nel corso della propria. Nel 1929 l’Autobiografia uscì come volume autonomo, mentre soltanto al 1963 risale la prima edizione della traduzione italiana dell’Autobiografia pubblicata nel 1958, a cura di Nora Barlow.
La presente edizione consta di una introduzione di Giulio Giorello, di una prefazione di Giuseppe Montalenti, e di una introduzione all’edizione inglese di Nora Barlow. L’Autobiografia si compone di otto capitoli, corrispondenti ad altrettanti periodi in cui l’autore decise di dividere la propria vita, al fine di narrarla. Seguono un’appendice e le note, le quali riportano appunti, lettere, e scritti della signora Darwin sulla religione.

 

  1. Date e dati
    • Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 12 febbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882).
    • L’autore iniziò l’Autobiografia il 31 maggio 1876, terminando la parte principale dell’opera il 3 agosto dello stesso anno,  dedicandovi – come egli stesso precisa – un’ora quasi tutti i pomeriggi. Negli ultimi anni della sua vita, fino al 1882, ampliò ciò che aveva scritto e aggiunse in tutto 67 pagine.
    • Darwin inizia a raccontare la propria vita sin dalla nascita, sebbene specifichi di non avere memoria del periodo più precoce della propria esistenza. I primi sbiaditi ricordi risalgono ai quattro anni, anche se sembrerebbe che gli eventi incomincino a fissarsi tenacemente nella sua memoria soltanto a partire dal 1817 – 1818, dunque intorno agli otto o nove anni. I pochi accenni alla prima infanzia gli vengono riferiti, è lo stesso Darwin ad ammetterlo, come è possibile constatare dalla lettura di una simile frase: “Mi è stato detto che nell’apprendere ero molto più lento della mia sorella minore, Catherine”; c’è dunque traccia di una memoria orale. Va osservato, altresì, come l’autore ricorra – circa la propria data di nascita – ad una formula canonica “sono nato a Shrewsbury il 12 febbraio 1809”. I fatti narrati terminano con la partenza da Londra per la nuova residenza a Down, avvenuta il 14 settembre 1842; tuttavia, nell’ultimo capitolo, “Le mie molte pubblicazioni”, vengono passate in rassegna la composizione e la pubblicazione delle opere fino al 1881.
    • Darwin nel 1876 – come egli sottolinea – decise di accogliere l’invito di un editore tedesco, iniziando a mettere su carta i fatti della propria vita. L’autore giustifica tale scelta sostenendo che una simile narrazione avrebbe potuto interessare i propri figli e i loro discendenti. Lo scienziato, giunto quasi al termine del racconto, si rivolge direttamente ai suoi interlocutori primi, scrivendo: “Voi tutti conoscete bene vostra madre e sapete quale ottima madre sia sempre stata”. Tuttavia, il solo pensiero rivolto ai figli sembra non considerare le molte implicazioni che potrebbero derivare dalla volontà di stendere la propria autobiografia. Darwin iniziò a scrivere all’età di 67 anni, quando ormai aveva raggiunto importanti traguardi scientifici – l’Origine della specie era stato pubblicato nel 1859, mentre l’Origine dell’uomo nel 1870 -, che gli avevano garantito autorevolezza scientifica, successo, notorietà, e anche una dose di vanità. Con simili certezze alle spalle, è probabile che egli volesse garantirsi un posto nell’olimpo degli uomini da ricordare, consegnando alla posterità il ritratto dell’uomo e dello scienziato da ricordare.

 

  1. Scrittura e tempo

 

    • La narrazione non è lineare, bensì frequentemente interrotta da analessi e prolessi. Un esempio di analessi è rintracciabile in quel punto della narrazione che riguarda gli anni che vanno dal 1836 al 1839. In un simile contesto, Darwin rievoca l’esperienza sul Beagle, anteriore a quegli anni, e risalente al 1831. Quanto alla prolessi, basti soffermarsi sull’anticipazione che Darwin fa al lettore circa il futuro viaggio sul Beagle, sospendendo la narrazione dei primi anni scolastici. Altresì, sono presenti delle digressioni utili all’autore per parlare più diffusamente di alcune persone, come ad esempio il padre, i fratelli, il professor Henslow. Va aggiunto che la narrazione trascura gli anni finali; in particolare la ricostruzione del periodo che va dal 1842 al 1876 è appena accennata.

 

  1. Presenza, eventuale, di inserti non narrativi
    • Per esprimere le proprie impressioni davanti alla grandiosità della foresta brasiliana, Darwin riporta un passo del proprio diario: “Non è possibile dare un’idea adeguata dei sentimenti sublimi di meraviglia, ammirazione e devozione che s’impadroniscono del nostro spirito e lo elevano”. Inoltre, sul finire della narrazione l’autore scrive poche righe in forma di diario: “Oggi (1° maggio 1881) ho spedito al tipografo il manoscritto di un libretto su La formazione dell’humus per mezzo dell’azione dei vermi…”. Infine, l’inizio vero e proprio del racconto autobiografico viene preceduto da un passo in cui lo scienziato spiega le motivazioni che lo hanno indotto a raccontare la propria vita, specificando il punto di vista dal quale ha osservato e narrato. Questo passo assume i tratti di un preambolo, o di una prefazione. È interessante osservare come il I capitolo dell’Autobiografia venga intitolato “31 MAGGIO 1876. REMINISCENZE SULLO SVILUPPO DELLA MIA MENTE E DEL MIO CARATTERE”. L’autore ricorre al termine “reminiscenza”, il quale rimanda ad anamnesi, ossia quella memoria ricostruita che implica la ricerca, e lo sforzo, del ricordo. Non a caso l’autobiografia è sospesa tra la narrazione e il dato documentario. Tornando alla questione del punto di vista, Darwin annota: “Ho cercato di scrivere questi appunti su me stesso, come se fossi un uomo morto che dall’altro mondo si volge indietro a considerare la propria vita passata”. Tale osservazione esplicita la contraddizione in cui cade l’autobiografia – racconto della propria vita dall’inizio alla fine –, un genere per il quale è necessario che ci sia un punto di vista da cui narrare, partendo, tuttavia, dal presupposto che tale punto sia quello terminale, imposto dalla morte. Pertanto si pone un quesito: come parlare della propria fine se si è in vita, e si scrive? Infine, Darwin utilizza il termine “considerare” che – nel suo significato di “giudicare” e “reputare” – sembra rinviare al ruolo di giudice che Darwin decide di assumere per parlare di sé. 

 

  1. Tracce di altre scritture memoriali

 

    • Darwin apre l’Autobiografia con la genealogia della propria famiglia, partendo dai nonni paterni.
  1. Tòpoi retorici autobiografici

 

    • L’Autobiografia è disseminata di tòpoi retorici, a partire dall’esibizione di modestia. Tale esibizione è talmente insistente da far sì che la modestia si carichi di superbia. Un esempio di ciò può essere rappresentato da una frase del genere: “Il modo migliore di impiegare la mia vita era quello di portare un modesto contributo alle scienze naturali”; o ancora “è davvero sorprendente che con doti così modeste io sia stato capace di influire in modo tanto notevole sulle opinioni degli scienziati su alcuni importanti problemi”. Altri tòpoi compaiono, come la clausola di sincerità, la lotta con le difficoltà – innanzitutto legate alla salute – che attentano alla ricerca del naturalista, e che tuttavia vengono superate; l’isolamento, condizione che gli consente di dedicarsi totalmente alle sue ricerche, allontanando ogni altra distrazione; la scelta di adottare uno stile dimesso per narrare la propria vita, come lo stesso Darwin ribadisce: “Nello scrivere non mi sono troppo preoccupato dello stile”. Una tale scelta sembra configurarsi come stratagemma volto a garantire ai lettori la veridicità dei fatti narrati, in quanto allontana lo spettro dell’artificio letterario. Infine, ricorre la professione di rettitudine morale.

 

Fonte: http://www.uniroma2.it/didattica/Teoria_letteratura/deposito/Roberta_Minichetti_-_Charles_Robert_Darwin.doc

Autrice : Roberta Minichetti – Corso di Laurea specialistica in Italianistica

 

Prof. Raul Mordenti – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Facoltà di Lettere e Filosofia

 

      Il volo di Darwin

 


di Stefano Dalla Casa

 

 

DARWIN

L’opinione pubblica mondiale attribuisce giustamente alla figura del naturalista inglese Charles Robert Darwin una importanza monumentale. L’errore che però spesso si commette è quello di credere che il pensiero evolutivo inizi e finisca con il lavoro di questo scienziato. E’ un errore comprensibile, poiché la maggior parte delle persone (me compreso) tende spesso a vedere la teoria dell’evoluzione delle specie per mezzo della selezione naturale come un punto fermo, un fulmine a ciel sereno, insomma una rivoluzione di proporzioni tali in grado di deviare il nostro giudizio fino a farci dimenticare il fatto scontato che anche e soprattutto le teorie scientifiche fanno parte della storia e che dietro ad ogni teoria c’è una persona, anch’essa con una propria storia.

Darwin deve invece essere considerato come uno spartiacque poiché con lui il concetto di evoluzione biologica delle specie, corrente di pensiero già esistente a livello filosofico, diventa definitivamente materia di scienza.
Ribadirò più volte questo concetto, ma distinguendo una teoria scientifica da una filosofica non voglio affatto escludere l’esistenza di una filosofia della scienza, né voglio affermare che essa, in quanto prodotto umano, sia scevra dall’ideologia.
Il mio lavoro vuole appunto essere quello di descrivere (e celebrare), anche se a grandi linee, tanto Darwin quanto la sua teoria tenendo presente però che nemmeno l’evoluzione si sottrae ad una forma sui generis di evoluzione: Darwin ha avuto dei predecessori (vedi appendice) e ha molti eredi.
La scienza è storia.

 

LA TEORIA

 

Ho affermato in precedenza che la teoria dell’ evoluzione darwiniana sembra sia sottoposta essa stessa a un processo evolutivo. Allo stesso modo sembra che, dopotutto, la teoria sia rimasta sostanzialmente la stessa per i successivi 150 anni.
Consapevole di incorrere nel rischio di eccedere con le metafore, sento comunque di poter affermare che la Teoria dell’ evoluzione, così come la concepì Darwin, sembra contenere già in sé in “germi” che hanno permesso agli scienziati successivi di sviluppare la teoria stessa: aspetti che Darwin trattò meno approfonditamente e che rimasero in ombra per lungo tempo rispetto al principio della selezione naturale sono stati ripresi ed ampliati da scienziati successivi, così che risulta difficile stabilire dove finisca Darwin e inizino Mayr, Gould, Eldredge e via dicendo.
Invito il lettore a tenere conto di questo aspetto .

Nel novembre del 1859 Charles Robert Darwin pubblicò L’origine delle specie. In questo libro Darwin espone la sua teoria dell’evoluzione, anzi la moderna teoria dell’evoluzione, dal momento che i suoi assunti fondamentali valgono tuttora. Questa è una teoria scientifica e il suo campo di competenza è la biologia.
Sebbene Darwin si riferisca alla Teoria al singolare, secondo l’attenta analisi di Mayr (1994) e altri, il paradigma darwiniano si compone di 5 sottoteorie:

 

  • Evoluzione in quanto tale: gli organismi si trasformano. Il cambiamento della materia vivente secondo Darwin è generazionale e popolazionale.
  • Discendenza comune: l’attuale diversità della materia vivente può essere ricondotta a un virtualmente unico antenato. Con questo assunto Darwin concretizza l’archetipo ipotizzato dai suoi contemporanei, tra i quali ricordo Richard Owen (1804-1858), (vedi appendice, p.14)
  • Moltiplicazione delle specie: una specie tende a produrre o a scindersi in specie figlie. Questa sottoteoria mette in luce come il cambiamento abbia tanto una dimensione temporale  quanto una geografica.
  • Gradualità: i nuovi tipi non vengono prodotti mediante un cosiddetto “salto mutazionale”, ma mediante cambiamenti graduali. La legittimazione di questo assunto viene dal rifiuto dei singoli individui come unità del cambiamento, a favore di un’ottica popolazionistica.
  • Selezione naturale: le trasformazioni sopradescritte della materia vivente avvengono principalmente attraverso un processo in grado di incanalare la variabilità che si presenta in natura.

Sempre secondo Mayr (1994), queste sottoteorie non sono necessariamente collegate fra loro. Questo può essere facilmente dimostrato quantunque si osservi come, a parte la selezione naturale, autori predarwiniani avessero già avanzato, anche se in forme differenti, le altre quattro sottoteorie e come dopo Darwin molti scienziati, pur appoggiando l’evoluzione in quanto tale, respingessero una o tutte e quattro le rimanenti sottoteorie .
La grandezza di Darwin fu allora quella di costruire una teoria composita ove ogni parte del ragionamento trovava conferma nelle altre. Questo tuttavia non costituisce un artifizio: Darwin pervenne alla Teoria sulla base correlazioni logiche emerse dall’ attento esame dei dati disponibili.

Il paradigma darwiniano si può quindi così riassumere:
La specie è un’insieme instabile che tende a cambiare in senso generazionale (temporale) e geografico (evoluzione in quanto tale).  E’ quindi plausibile supporre, che le omologie strutturali che i sistematici trovano continuamente in Natura, siano da ascrivere a un legame di tipo ereditario (moltiplicazione delle specie) e spostando questa tesi nel tempo è evidente come si possa risalire ad un unico antenato, progenitore dell’attuale diversità dei viventi (discendenza comune).
Infine Darwin pone l’accento su come questo cambiamento sia graduale e come la causa principale di quest’ultimo sia da ricercarsi nel principio della selezione naturale.

La selezione naturale è una delle più famose intuizioni di Darwin, e merita quindi una trattazione più specifica.
Avendo Darwin dedotto che gli organismi non sono fissi nella loro forma attuale, né lo sono stati ma tendono invece a divergerne di generazione in generazione, e avendo contemporaneamente  osservato gli incredibili adattamenti che le specie presentano in natura, pervenne alla conclusione che queste variazioni fossero soggette ad una azione continua e graduale detta “selezione naturale”,  secondo la quale quelle mutazioni vantaggiose per la sopravvivenza, nel momento e nel luogo nel quale si presentino, vengono mantenute e riescono quindi a trasmettersi e a fissarsi nelle generazioni successive, le altre scartate. La biodiversità presente verrebbe quindi indirizzata secondo l’imperativo della sopravvivenza.
E’ bene specificare come i termini da me usati finora non debbano trarre in inganno: la selezione naturale non è un’azione perpetrata da entità fisiche o metafisiche, ma è piuttosto un filtro passivo, le cui maglie cambiano continuamente (sulla critica del finalismo, vedi oltre).

Cruciali per la genesi della teoria della selezione naturale furono infatti per Darwin gli studi di Thomas Malthus (1766-1834) sul concetto di popolazione che evidenziano una caratteristica importantissima delle forme di vita sul piano ecologico. Se analizziamo infatti una qualsiasi specie in rapporto all’ambiente notiamo che esiste un incolmabile divario tra le risorse disponibili e il tasso di crescita della specie stessa, la quale tenderà ad aumentare in maniera esponenziale. Darwin stesso calcolò che in Africa, nel giro di 750 anni si avrebbero circa 19 milioni di elefanti (notoriamente uno degli animali più lenti a riprodursi) derivati da una sola coppia.  Questo in sintesi significa che non ci saranno mai abbastanza risorse per la sopravvivenza dell’intera discendenza, quindi solo una piccola frazione di quest’ultima potrà sopravvivere e riprodursi ulteriormente.
Mayr (1988), infatti, scrive: "essere riusciti a pensare in termini di popolazione invece che di entità è ciò che rende possibile l’evoluzione per mezzo della selezione naturale”.
Secondo Darwin la competizione fra organismi verso l’approvvigionamento delle risorse sia a livello intra-specifico che inter-specifico (lotta per l’esistenza1) si concluderà con la sopravvivenza degli individui e delle popolazioni più adatte, che saranno quindi in grado di trasmettere le proprie caratteristiche alla propria discendenza.

Tutto questo però non basta a comprendere pienamente l’evoluzione: bisogna infatti sottolineare che nel processo evolutivo vi è una totale assenza di progettualità (finalismo2), è cioè indipendente sia dalla volontà degli organismi sia da un ipotetico disegno divino o di altra natura che miri a un fine. Il processo evolutivo è quindi un processo storico privo di obiettivo se non la sopravvivenza stessa e si muove inoltre su un asse temporale irreversibile sia dal punto di vista ontogenetico che filogenetico.
Ciò nondimeno, un errore comune riguardo alla teoria dell’evoluzione è che questa sia un processo lineare e inevitabile da una minore a una maggiore complessità3. Il corollario ingenuo e immediato di questo è che l’uomo sia visto come punto di arrivo di questo cammino. Anche l’iconografia standard dell’evoluzione non ci aiuta poiché ad esempio ci mostrerebbe l’evoluzione da antenati scimmieschi all’uomo come un lineare progresso: l’uomo che si stacca dalla sua bassa animalità raggiunge la postura eretta e si mette in cammino, pronto a prendere possesso del mondo.
Vista in questi termini l’evoluzione ricalcherebbe la vecchia e obsoleta concezione di Scala Naturae di derivazione Aristotelica, dove l’antropocentrismo era portato alle estreme conseguenze, in quanto l’uomo, posto al vertice di questa ipotetica scala, era visto come l’essere vivente che più si avvicinava alla Divinità; in realtà come ha sempre sottolineato, fra altri, Stephen Jay Gould l’evoluzione è una serie contingente e improbabile di eventi; se la volessimo rappresentare schematicamente non sarebbe certo una parabola ascendente o una retta inclinata, ma piuttosto una continua ramificazione asimmetrica che da un’origine si espande in tutte le direzioni senza punti di arrivo, un po’ come un “Big Bang” biologico.
Questo introduce il dualismo caso-necessità (Monod 1970): nell’evoluzione il caso è rappresentato dalle mutazioni, esse dipendono infatti (anche se Darwin non lo sapeva) da errori di codifica del patrimonio genetico assolutamente imprevedibili e caotici, mentre la necessità è rappresentata dalla selezione naturale, che determina la sopravvivenza del più adatto in relazione sia all’ambiente sia agli altri organismi in un particolare momento (lotta per l’esistenza). Le forme che vediamo, uomo compreso, sono solo alcune tra le infinite che avrebbero potuto presentarsi; se infatti potessimo fare tornare la vita sulla Terra allo stadio di brodo primordiale e osservarne l’evoluzione, per la Teoria del Caos questa evoluzione, pur seguendo le stesse regole, sarebbe diversa, non riconosceremmo né l’uomo né qualsiasi altra forma vivente o estinta poiché, dato l’incommensurabile numero di variabili e di contingenze, è impossibile che la stessa forma si ripresenti identica due volte.
La cosiddetta Teoria del Caos, nata intorno agli anni ’60 del XX secolo, in sintesi non è altro che la presa di coscienza di come ogni sistema nel quale interagiscano un gran numero di parti (sistema complesso) abbia una evoluzione strettamente dipendente dalle condizioni iniziali. Durante l’evoluzione del sistema ogni minuta irregolarità viene amplificata enormemente. Motto famoso della teoria è l’effetto farfalla: “Se una farfalla batte le ali a Pechino cambia il tempo a New York.”
Non è affatto sorprendente che la suddetta teoria trovi grandissima applicazione allorquando ci si voglia cimentare a descrivere la storia della vita sulla Terra.
A questo proposito è però bene ricordare che la materia (vivente o meno) ha comunque dei vincoli di struttura e che l’evoluzione opera all’interno di essi. Possiamo quindi prevedere, ad esempio, che i primi organismi saranno entità semplici e autonome (unicellularità) alcune delle quali in futuro si organizzeranno e coordineranno fino a perdere la propria individualità (organismi pluricellulari) e che si svilupperà, prima o poi, un qualche tipo di simmetria.

 

Continuando questo discorso introduttivo sulla teoria di Darwin bisogna ricordare e sottolineare ancora una volta (date le critiche a cui periodicamente è sottoposta) che è una teoria scientifica, non una speculazione filosofica o ideologica. Ciò si può facilmente evincere dalla lettura de  L’ origine delle specie . Vediamo infatti che Darwin procede per osservazione, ipotesi e ricerca delle prove.
Su questo ultimo punto è però bene fare una precisazione: le prove dell’evoluzione sono necessariamente di natura induttiva e non deduttiva come avviene per la maggior parte delle altre teorie scientifiche. L’ipotesi evolutiva infatti mal si adatta a verifiche di tipo sperimentale in senso classico e questo, tra le altre cose, è dovuto al fatto che il processo evolutivo, essendo di tipo storico, sfugge ad una osservazione diretta e immediata (e sperimentalmente riproducibile) del fenomeno. Questa apparente limitazione comunque non deve sminuire la teoria poiché, a meno che non si abbia ancora la pretesa di vedere il mondo in termini meccanicisti, la scienza, in particolar modo in ambito biologico, si è già resa conto che al metodo sperimentale classico deve necessariamente essere affiancato il metodo comparativo-osservativo.
Mayr (1988) a questo proposito rileva come la biologia oggi si divida tra lo studio delle cause prossime (biologia funzionale) e quello delle cause remote (biologia evolutiva) per il quale appunto un’approccio strettamente sperimentale si rivelerebbe assolutamente inadeguato.
L’esperimento in biologia, anche evolutiva, esiste, intendiamoci , ma i suoi risultati vengono sempre tradotti in termini statistici, cioè di probabilità. Starà all’intelligenza degli scienziati saperli interpretare e dare loro il giusto valore.
Inoltre l’esperimento in biologia evolutiva non permette mai di fare previsioni per il futuro mentre ci fornisce dati statistici in base ai quali possiamo costruire ipotesi che spieghino cosa è avvenuto (ad esempio si può ricostruire la filogenesi delle specie) o cosa stia avvenendo (ad esempio stabilire se è in atto o no una speciazione).

Se nonostante tutto questo insisto a parlare di evoluzione in termini di “Teoria scientifica”, ignorando il principio epistemologico che prevede che una teoria debba poter essere verificata deduttivamente (non induttivamente) e falsificata (Karl Popper, 1902-1994), lo faccio soprattutto per un motivo squisitamente umano che di scientifico ha ben poco: adoro la magniloquenza della parola “Teoria” e me ne scuso con il lettore.
Vorrei comunque sottolineare che la parola “teoria” deriva dal greco theoria e significa appunto osservazione, speculazione, contemplazione. Il problema si riferisce quindi all’ aggettivo “scientifica” e personalmente credo che una trattazione onesta dei dati anche in mancanza di esperimenti riproducibili e predittivi sia sufficiente a fare ascrivere l’ evoluzione biologica delle specie alla categoria delle teorie scientifiche.

 

GENESI DELLA TEORIA: DARWIN UOMO E SCIENZIATO

 

Gli studi di Darwin furono lunghi e complessi, basti dire che dopo aver osservato la variazione delle specie allo stato domestico, supportato peraltro da una diretta esperienza nell’allevamento dei colombi e dalla coltivazione di svariate piante che svolgeva nel suo giardino, si dedicò ad approfondire lo studio della flora e della fauna della Gran Bretagna, rilevando similitudini e differenze con le altre specie del mondo.
Ancora più importante per la maturazione intellettuale e umana ,  di Charles Darwin fu il lungo viaggio (quasi cinque anni) che egli compì intorno al mondo dal dicembre del 1831 all’ottobre del  1836: appena ventiduenne Darwin salpò dall’Inghilterra sul brigantino Beagle agli ordini del capitano Fitz Roy, la cui missione principale era quella di compiere una serie di rilevamenti geografici; a questo proposito si ricorda che la figura di un naturalista a bordo nel corso delle spedizioni geografiche era diventata consuetudine a partire da fine ‘700 con Linneo.

Durante questo lungo viaggio il giovane Darwin poté collezionare una mole immensa di osservazioni e di dati. Lo spirito entusiasta con il quale egli affrontò questa avventura si può evincere dalla lettura di  Viaggio di un naturalista intorno al mondo: si tratta di un sunto diretto anche al lettore più profano che egli scrisse anni dopo essere tornato in Inghilterra (1845) traendolo dai propri appunti di viaggio nei quali aveva annotato diligentemente i fatti di interesse naturalistico che aveva potuto osservare nel corso delle proprie esplorazioni. Se Darwin affrontò con tale atteggiamento questa tappa significativa della propria vita lo si deve anche al fatto che egli era stato galvanizzato dalla lettura dei resoconti dei viaggi in terre lontane che avevano pubblicato i naturalisti che lo precedettero, primo fra tutti Alexander von Humboldt con i suoi Voyage (1807-1833), che egli cita innumerevoli volte.
Scrive Darwin nell’Autobiografia: “Il viaggio sul Beagle è stato di gran lunga l’avvenimento più importante della mia vita e quello che ha determinato tutta la mia carriera. (Darwin, citato da Continenza, 1998, p. 35)

Particolarmente importanti per i suoi studi furono le celeberrime isole Galapagos che più che probabilmente gli aprirono gli occhi riguardo ai meccanismi di speciazione.
Bisogna però ricordare che in Viaggio di un naturalista intorno al mondo Darwin non parla mai dell’evoluzione delle specie e delle sue modalità, ma è comunque evidente (anche al lettore più disattento) come dalle pagine dell’intero libro trasudi un punto di vista spiccatamente evolutivo.
Proprio a proposito delle Galapagos egli scrive (p. 472):

“L’arcipelago è un piccolo mondo particolare ,o piuttosto un satellite unito all’America, donde ha preso pochi coloni dispersi, e ha ricevuto il suo carattere generale dalle sue produzioni indigene. Se consideriamo la piccola estensione di queste isole ci sentiamo tanto più stupiti per l’abbondanza delle loro creature aborigene e per la loro diffusione limitata. Vedendo ogni altura coronata dal suo cratere e i confini fra la maggior parte delle colate di lava ancora distinti, siamo portati a credere che in un periodo geologicamente recente, si stendesse qui sopra l’intatto oceano. Perciò, tanto nello spazio come nel tempo, ci sembra di essere in certo modo portati vicini a quel grande fatto, il mistero dei misteri, che fu la prima comparsa di nuovi esseri su questa terra.”

Dopo il suo ritorno Darwin inizia la redazione dei famosi Taccuini, sulla base sia dei propri appunti sia del lavoro dei classificatori ai quali aveva affidato le collezioni naturalistiche accumulate lungo il viaggio: il reverendo Henslow si occupò delle piante, Leonard Jenyns dei pesci, F. H. Hope dei coleotteri, M. I. Berkeley dei funghi, George Waterhouse dei mammiferi e di una parte degli insetti, Richard Owen delle ossa fossili, Thomas Bell dei rettili, William Lonsdale dei coralli, Christian Gottfried Ehrenberg degli infusori e John Gould degli uccelli.
Dai Taccuini sappiamo che Darwin aveva già ben chiara in mente la propria rivoluzionaria idea di evoluzione e l’espressione “my theory” diventa ricorrente. Tuttavia Darwin, sempre prudente, preferì aspettare a divulgare le proprie conclusioni e lavorò sulla Teoria per i successivi 20 anni, sia perché l’opposizione nei confronti anche solo del trasformismo Lamarckiano era ancora troppo forte, sia perché  rimanevano da approfondire comunque molti aspetti, specialmente sul versante delle prove a sostegno. Il mondo probabilmente avrebbe dovuto aspettare ancora più a lungo se un altro naturalista, Alfred Russel Wallace (1823-1913) non gli avesse spedito un proprio studio dal quale si evinceva che egli era giunto, in modo totalmente indipendente, sostanzialmente alle stesse conclusioni.
Darwin ricevette il manoscritto il 18 giugno del 1858; se avesse voluto essere il primo a divulgare l’ipotesi scientifica dell’evoluzione biologica delle specie per mezzo della selezione naturale, avrebbe dovuto affrettarsi. E così fece.

Nel 1859 finalmente pubblica L’ origine delle specie, un testo molto più breve di quello originalmente previsto, ma nonostante ciò considerato fondamentale per la biologia moderna, all’interno della quale non nascose, anzi evidenziò i punti che la sua teoria, allora, non poteva spiegare, tanto che scrisse: “ poche furono le obiezioni alla mia teoria che già non avessi considerato e a cui non avessi cercato di dare risposta (Darwin, Autobiografia: citato da Giuseppe Montalenti nell’introduzione all’Origine delle Specie, Bollati boringhieri, p.23)”

Nell’esposizione della sua teoria Darwin, sempre prudente, si guardò bene dal pronunciarsi sull’uomo, preferendo riferirsi a nessuna specie in particolare, anche se era chiaro che non aveva e non avrebbe riservato all’ uomo alcun trattamento di favore.
Scrisse infatti nella conclusione: “Molta luce verrà fatta sull’origine dell’uomo e della sua storia.” (citato da Continenza,1998, p. 88).  Fu una mossa intelligente: se non avesse agito in questo modo l’attenzione del mondo per il lavoro di una vita si sarebbe esaurita intorno a questo punto e la scientificità dell’intera opera non sarebbe stata probabilmente notata e si sarebbe persa.
La prima testimonianza che Darwin si stesse dedicando all’ evoluzione umana risale al 1868: in un cladogramma egli ipotizza progenitori comuni all’ uomo e alle antropomorfe.
Già il Linneo, il primo sistematico, aveva correttamente collocato l’uomo nell’ordine dei Primati, ma Darwin va ben oltre.

Quando i tempi furono maturi, cioè quando tanti altri si chiedevano come si collocasse l’uomo in questa nuova visione della vita, Darwin scrisse poi L’ Origine dell’ uomo (1871) , il quale non è altro che un corollario della teoria. Questo porta Gould (1994) a sottolineare come Darwin abbia sempre saputo portare avanti le sue idee con cautela e modestia pur rendendosi conto che il suo lavoro avrebbe rappresentato una svolta epocale ed evidenzia come egli abbia annunciato al mondo la sua scoperta in tono quasi dimesso: “Ho chiamato questo principio , grazie al quale ogni lieve variazione, se utile, viene conservata, con il termine di Selezione naturale (Darwin, citato da: Gould, 1994)”.

E’ ragionevole chiedersi se questa modestia, associata alla già citata prudenza, abbia contribuito e in quale misura a far prendere seriamente in considerazione una teoria tanto rivoluzionaria.  

         
RIVOLUZIONE:

Carl Sagan scrive (1996, p. 73):
“Gli scienziati non cercano di imporre i loro bisogni e i loro desideri alla natura, ma la interrogano umilmente e prendono sul serio le risposte. Siamo ben consapevoli del fatto che gli scienziati hanno commesso errori. Comprendiamo l’imperfezione umana. Perciò insistiamo su una verifica indipendente e – nella misura del possibile – quantitativa di ogni ipotesi proposta. Siamo costantemente impegnati a pungolare, sfidare, cercare contraddizioni o piccoli errori residui, a proporre spiegazioni alternative, a incoraggiare eresie, e concediamo le ricompense più grandi a coloro che confutano in modo convincente le idee affermate.”

 

Prima di Darwin la biologia rimaneva per molti aspetti allo stadio di descrizione, come una gran massa di dati sconnessi, incoerenti e frammentari; la teoria dell’evoluzione legò questi dati con un filo logico, ne diede plausibili spiegazioni e fornì una visione generale e unitaria della vita .
La teoria di Darwin fu una vera e propria rivoluzione che definì la biologia in quanto scienza complessiva della vita e la elevò allo stesso rango delle altre scienze della natura, quali fisica e chimica, che peraltro, come si è poi scoperto, essa racchiude.

In questi termini viene da chiedersi se l’affermazione lapidaria attribuita al fisico Ernest Rutheford (“La scienza è fisica o collezionismo di francobolli.”) non sia da imputare a una sorta di campanilismo scientifico mentre sembra assai più convincente e giustificata la tesi del biologo evolutivo George Gaylord Simpson (This view of life, New York 1964):
“[…] La biologia allora è la scienza che sta al centro di tutta la scienza, ed è qui, in questo campo nel quale tutti i principi di tutte le scienze sono incorporati, che la scienza può veramente diventare unificata.”

Ancora oggi la biologia moderna non può prescindere dagli studi di Darwin. La ragione della longevità di questa teoria è che come ogni buona teoria scientifica non è presentata come un monolitico dogma, non fornisce né pretende di fornire tutte le risposte, ma ha alla base delle geniali intuizioni corroborate da dati osservativi ed empirici che ne rendono inattaccabile la sostanza.
Questo significa che la teoria può essere, è stata e sarà più volte adeguata e perfezionata sulla base dei nuovi dati, ma “l’impalcatura” rimarrà quella originale stabilita da Darwin. (prendo in prestito questa metafora da Gould (2002) pp. 2 e seguenti). L’effetto più immediato di questa rivoluzione fu un impulso enorme in tutti quei campi della ricerca scientifica che ora l’evoluzione univa: anatomia comparata, embriologia , paleontologia, biogeografia; si formò così, tra gli oppositori e i difensori acritici di Darwin (entrambi inutili anche se in modo opposto) una nuova generazione di scienziati consapevoli di questa interdisciplinarietà pronti a usare tutti i dati a disposizione per continuare il lavoro di Darwin e a dare risposta ai quesiti irrisolti.

E le risposte arrivarono: con la riscoperta nel 1900 degli studi di Mendel nasceva la genetica e l’enigma sul meccanismo di trasmissione dei caratteri iniziava a dipanarsi: si ipotizzò infatti l’ esistenza di unità di dimensioni submicroscopiche che furono poi chiamate geni alle quali appunto è dovuta l’ereditarietà dei caratteri degli organismi viventi; sempre nel XX secolo vennero scoperte le basi chimiche della vita secondo le quali ogni essere vivente, dal batterio alla balena, esiste grazie a  quattro elementi di base: ossigeno, carbonio, azoto, idrogeno e venne così coniugata la chimica con la biologia.
La genetica Mendeliana classica sembrava però essere in contrasto con la teoria evolutiva: se da una parte spiegava come le caratteristiche venivano trasmesse da una generazione alla successiva, dall’altra questo processo sembrava troppo conservativo perché la selezione naturale potesse agire efficacemente sulle sparute mutazioni casuali, che, stando a Darwin, costituivano uno dei motori dell’evoluzione stessa, che determinavano cioè la variabilità intraspecifica.
A partire però dalla genetica di popolazione si sviluppa la Teoria sintetica dell’evoluzione basata sulle condizioni di equilibrio  Hardy-Weinberg secondo la quale le frequenze alleliche all’ interno di una popolazione rimangono costanti (situazione di non evoluzione) se si verificano determinate condizioni:

  1. La frequenza di mutazione di un allele alla propria forma contrapposta deve essere uguale alla frequenza di mutazione nel senso inverso
  2. Non vi deve essere migrazione differenziale dei portatori dell’ uno o dell’ altro allele da o verso popolazioni contigue.
  3. nessuno dei genotipi possibili con le combinazioni degli alleli deve essere favorito selettivamente
  4. La popolazione deve essere infinitamente grande

 

Dal momento che in natura queste condizioni non si verificano mai, le popolazioni sono altamente instabili dal punto di vista  genetico ed è quindi possibile l’evoluzione per mezzo della selezione naturale. Ancora una volta era stato necessario pensare in termini di popolazione.
In seguito, con la scoperta del DNA effettuata nel ’53 da parte di James Watson e Francis Crick (1916-2004), e successivamente del codice genetico vennero descritte a livello molecolare tanto l’ereditarietà quanto le mutazioni, le quali non sono altro che errori, casuali e imprevedibili, di  replicazione del patrimonio genetico durante la riproduzione. E’ sconcertante rendersi conto del fatto che la selezione naturale agisca proprio su queste “imperfezioni”3.

Un’altra applicazione della Teoria è l’etologia.
Darwin si può forse considerare come il primo etologo in quanto intuì che, come è presente un’ereditarietà dei caratteri anatomici, c’è anche un’ ereditarietà (di tipo culturale o biologico) dei caratteri comportamentali, quindi la selezione naturale plasmerebbe anche il comportamento delle specie animali.

L’applicazione della teoria dell’ evoluzione spalanca anche altre porte: se è vero che la vita sulla Terra è possibile grazie praticamente a soli quattro elementi biogeni principali (O, C, N, H ) e quindi non è altro che il sottoprodotto di reazioni chimiche complesse e leggi fisiche, non è forse possibile che questi o altri elementi abbiano fatto scoccare la scintilla della vita su altri pianeti e che questa poi si sia evoluta seguendo le stesse regole di caso e necessità che segue sulla Terra?
Sarebbe nata la bioastronomia , branca della scienza che, pur basando la propria la propria esistenza e autorità su prove del tutto indirette, rimane comunque estremamente interessante e stimolante.
Qualche esempio: nel meteorite di Murchison (Australia), una condrite carbonacea caduta nel ’69, sono stati rinvenuti 92 aminoacidi dei quali solo 19 presenti sulla Terra; nel meteorite marziano ALH84001, caduto in Antartide 13.000 anni fa, qualche scienziato avrebbe riconosciuto dei fossili di forme di vita di tipo batterico.
Ricordo al lettore anche il celeberrimo esperimento di Stanley Miller (1935), il quale produsse aminoacidi in laboratorio a partire da quei componenti che si pensa abbiano costituito la primitiva atmosfera terrestre.

Un’ altra interessantissima speculazione sulla teoria dell’ evoluzione è la vita artificiale.
Ho detto in precedenza che la vita può essere definita come il sottoprodotto di reazioni chimiche complesse e leggi fisiche (constitutive reduction; Mayr, 1988).
Questa però non è una vera e propria definizione di vita, poiché qualunque fenomeno naturale è a essa riconducibile. Quello che invece è specifico della materia vivente è la propria complessa auto-organizzazione in virtù della quale essa risponde a stimoli esterni, trasforma in vari modi l’energia, cresce, si riproduce e, soprattutto, si evolve. L’ auto-organizzazione che permette di esplicare queste funzioni vitali poggia a sua volta su un continuo flusso di informazioni dal livello più elementare (DNA e RNA) a quello più complesso (reti neurali).
In quest’ottica sembra che l’essenza della vita sia allora l’informazione: è concepibile un programma informatico che simuli la materia vivente? Secondo i più ottimisti si potrebbe addirittura creare una nuova forma di vita basata sul silicio e sul codice binario invece che sul carbonio e sul codice genetico. E’ probabile che entrambe le ipotesi non escano dal campo speculativo poiché:

  1. Qualsiasi nostra imitazione sarebbe piuttosto pallida dal momento che non possiamo proprio dire di conoscere a fondo l’oggetto della nostra imitazione.
  2. Se supponiamo un atto creativo, significa che non siamo ancora in grado di vedere l’evoluzione come un insieme di fenomeni totalmente scevri da una qualsivoglia impronta teleologica, come probabilmente è in realtà.

Ciò nondimeno i primi tentativi svolti in tal senso sono incoraggianti e forieri di applicazioni pratiche: programmi che sono in grado di adattarsi alle circostanze mediante un processo assimilabile a quello della selezione naturale sono una realtà che trova ampio utilizzo in vari tipi di automazioni.

 

IL BIODETERMINISMO: LA TRAVISAZIONE DELLA TEORIA

 

La teoria dell’ evoluzione, che è probabilmente una delle teorie scientifiche più affascinanti,           nel corso della sua storia è stata anche soggetta ad abusi e strumentalizzazioni , a volte tragiche. La ragione per cui ci stupiamo di ciò è che in noi è radicato un antico mito riguardo alla scienza. Seneca nelle sue Naturales Quaestiones esprime bene questa nostra ingannevole credenza: Seneca infatti ha una incondizionata e acritica fiducia nella scienza come strumento di conoscenza, la  quale viene vista come un continuo, costante progresso che eleverà l’uomo al di sopra dell’umano, a uno stadio tale da permettergli di conoscere Dio liberandolo dalla paura.
Parallelamente oggi molti credono che la scienza sia una marcia inesorabile verso la verità che è garantita dalla più assoluta oggettività.
Si crede perciò che la scienza sia al di sopra di tutto, un’ entità autonoma e indipendente dal resto delle attività umane. Ma questo, come anticipato, è solo un illusione. La ricerca scientifica infatti non può prescindere né dal contesto storico e sociale nella quale è stata prodotta né dalle personali inclinazioni dello scienziato. Questo si traduce in un inevitabile vizio di prospettiva, particolarmente accentuato nelle scienze biologiche fino a raggiungere il culmine ogni qualvolta ci si accosti a una specie in particolare: l’Homo sapiens.

È per questo che dopo Darwin molti scienziati travisarono e strumentalizzarono la sua teoria che, ribadiamolo, è una teoria scientifica, come autorità per giustificare la situazione di vantaggio o svantaggio di alcuni gruppi in base alle differenze di razza, classe, sesso e a volte anche religione. Si cercò di dimostrare che un indigente o un criminale non può essere altro che tale e che una donna o un nero sono per natura inferiori al maschio bianco. Ma Darwin stesso ci aveva già messo in guardia scrivendo in Viaggio di un naturalista attorno al mondo (p. 611) : “ se la miseria dei nostri poveri non fosse causata dalle leggi di natura, ma dalle nostre istituzioni, la nostra colpa sarebbe grande”.
La scienza quindi può diventare e, per coloro che strumentalizzarono Darwin lo è diventata, una vera e propria sovrastruttura marxiana allo stesso modo di religione, stato e  filosofia, che giustifica le disuguaglianze fra gli uomini all’ interno della società civile.
Sintetizzando: un nero, in quanto tale, non può essere che uno schiavo ed è giusto che sia così (Su questo, però, Seneca non sarebbe stato d’accordo.)
Sarebbe nato il biodeterminismo, corrente di pensiero che, pretendendo di basarsi su dati scientifici, classificherebbe gli uomini in categorie sulla base di un presunto materiale ereditario innato responsabile di ogni aspetto della persona. L’uomo sarebbe appunto biodeterminato e conseguentemente anche predestinato.

Se tutto questo veniva poi associato ad una superficialissima ottica evolutiva è facile immaginare le conseguenze: se ogni aspetto umano è innato ed ereditario deve necessariamente essere soggetto a una rigida selezione: l’uomo stava delegando la propria morale alla scienza, forse senza accorgersi neppure che in realtà questa scienza non era e che egli stava in realtà cercando il modo di giustificare l’ingiustificabile.

Una delle più usate discriminanti che utilizzarono questi, che ricordiamolo, erano scienziati, fu l’ intelligenza, secondo l’ equazione: meno intelligente = inferiore = svantaggiato. L’ intelligenza venne vista appunto come una caratteristica innata e ereditaria, trasmessa da un gene mendeliano, come il colore degli occhi, qualcosa di localizzato nel cervello e come tale quantificabile con un numero. Una vera e propria reificazione dell’ intelligenza.
Ciò nonostante, con la craniometria prima e il calcolo del quoziente intellettivo poi il biodeterminismo contraddice però la teoria dell’evoluzione da cui pretende di prendere spunto. Esso è infatti, nella sua essenza: 
“[…] una teoria dei limiti, che considera lo stato corrente dei gruppi come una misura di dove essi dovrebbero e devono stare (anche se permette ad alcuni rari individui di elevarsi in conseguenza della loro fortunata biologia) (Gould,1996, p. 48).

 L’essenza dell’evoluzione invece, come ho ricordato precedentemente, è la dinamicità e il superamento dei limiti.
Uno scienziato in particolare ha analizzato in un libro gli errori del biodeterminismo.
Il suo nome è Stephen Jay Gould e il titolo originale del libro è appunto The mismeasure of man, cioè l’errata misurazione dell’ uomo.
In questo libro Gould evidenzia che il biodeterminismo ha radici antiche: nella Repubblica di Platone, Socrate per dividere la repubblica in tre classi ( governanti, soldati, lavoratori) propone di divulgare un mito secondo il quale mentre la divinità plasmava gli uomini, avrebbe mischiato, nell’ ordine, ad alcuni l’ oro, ad altri l’ argento, ad altri il ferro e il bronzo. Ora i metalli hanno ceduto il posto ai geni, ma la tesi di fondo non è cambiata: i ruoli sociali ed economici rivestirebbero in modo preciso la costituzione innata degli uomini. Con un’ unica differenza: Socrate sapeva di dire una menzogna.

Nell’introduzione al saggio sopracitato Gould esprime un concetto di estremo interesse con il quale, almeno nelle intenzioni, ho voluto caratterizzare il mio lavoro. Egli, in pratica, afferma di essere  uno scienziato ma, senza vergogna, dice candidamente di essere anche un uomo e, come tale egli porta con sé degli ideali senza i quali, probabilmente, non avrebbe scritto quella apologia dell’ uguaglianza tra gli uomini (o almeno così io la definisco) che è The mismeasure of man.

Avviandomi alla conclusione ricordo al lettore che, se Gould è un idealista, è anche vero che un aspetto particolare del biodeterminismo, cioè il razzismo, è oggettivamente falso: se didascalicamente si definisce “razza” una varietà ben differenziata in seguito ad isolamento (cioè una ben definita unità genealogica) questo concetto è inapplicabile all’ uomo.

Da una indagine svolta in famiglia pare invece che i libri di testo, anche solo di una generazione fa. definissero la “razza negra” come caratterizzata da: “capelli crespi, naso camuso e sudore dall’ odore nauseabondo.”
Ricordo di nuovo la frase di Darwin: “Se la miseria dei nostri poveri non fosse causata dalle leggi della natura, ma dalle nostre istituzioni, la nostra colpa sarebbe grande”
E la nostra colpa è grande.

CONCLUSIONI

E’ lampante come la teoria dell’ evoluzione di Darwin e le sue successive modificazioni ci possano insegnare qualcosa sulla scienza stessa.
Tutte le specie, per adattarsi a un mondo in perpetuo cambiamento, non possiedono alternative all’ evoluzione biologica, comunque essa avvenga.
Tutte eccetto l’uomo, il quale sceglie continuamente di  modificare l’ambiente stesso; per fare questo l’uomo usa la scienza.
Intendo la scienza in questo contesto nella sua accezione più ampia e generale, come un insieme di fenomeni conoscitivi che spesso trovano applicazione nella tecnologia e che vengono tramandati nelle generazioni successive per via culturale.
Il mio è però solo un artifizio conclusivo ben lungi dal voler essere una apologia dell’ essere umano: si è visto come distinguere naturale e artificiale per giungere deduttivamente alla definizione dell’ umano sia inconcludente: la natura pullula di oggetti “artificiali” non umani e nemmeno la cultura sembra essere un’ esclusività dell’ uomo il quale, per giunta, sembra essersi garantito solo una sopravvivenza a medio termine.

La scienza, come rileva Sagan, non è perfetta. E’ solo lo strumento di conoscenza migliore che abbiamo. Al pari dell’evoluzione la scienza si modifica costantemente seguendo le strade più disparate. Evoluzione biologica ed evoluzione culturale possiedono entrambe una enorme mole di contingenza.

Durante la lettura dei testi utilizzati per la stesura di questo lavoro credo di aver trovato un esempio significativo di tutto ciò: assodato che l’ evoluzione non è teleologica come si spiega la comparsa di strutture molto complesse? Cioè: come può la selezione naturale favorire gli stadi incipienti di un carattere molto ben definito e adattato alla sua funzione? Esempio classico di questo problema sono le ali: mezza ala non servirebbe a niente. La spiegazione che Gould e altri forniscono è elegante e geniale: le strutture complesse si accumulano e si definiscono anch’ esse per selezione naturale ma nel corso dell’ evoluzione cambiano la loro funzione, vengono cioè riadattate.
Se mezz’ ala non serve a volare, potrebbe sempre servire per la termoregolazione o per qualche altra funzione con un valore adattativo sufficiente perché il carattere venga conservato.

Torniamo allora all’evoluzione della scienza. Come ho anticipato Darwin trovò negli studi di Malthus sul concetto di popolazione la chiave per lo spostamento del concetto di selezione dall’ ambiente domestico alla natura .
Tuttavia penso che gli studi di Malthus scaturissero da un fine ideologico: giustificare sul piano scientifico il modello economico del tempo cioè il vero responsabile delle crescenti condizioni di miseria a dispetto del pur innegabile divario tra tasso di crescita e mezzi di sussistenza. Non mi spiegherei altrimenti la seguente affermazione:
“Per fornire all’uomo incitamenti all’azione e per spingerlo a secondare i benigni disegni della Provvidenza […] è stato stabilito che la popolazione debba aumentare assai più rapidamente degli alimenti. Questa legge generale […] produce certamente molti danni parziali, ma una piccola riflessione potrà forse dimostrarci che essa produce un grande sovrappiù di bene…(Thomas Malthus, citato da Continenza, p.54)
Da cui si evince come, una volta giustificato lo status quo, si fosse cercato di inserirlo all’ interno di un disegno provvidenziale.
Dal momento che non troviamo in Darwin tracce di tutto questo, risulta evidente come egli stesso abbia riadattato a una nuova funzione una precedente teoria, riadattamento, quest’ultimo, che risultò vincente.

E così spiccò il volo.

 

 

 

Bibliografia:

Asimov, Isaac: Vittoria silenziosa Mondadori, Milano (1975) 1976
Continenza, Barbara:  Darwin Collana “Le Scienze” I grandi della Scienza, Milano (1998), 2004 (Gruppo editoriale l’ Espresso, Roma)
Darwin, Charles R. :  Viaggio di un naturalista intorno al mondo Saggi Giunti, Firenze (1845) 2002
Darwin, Charles:  L’ origine delle specie Bollati Boringhieri, Torino (1872) 2001
Gould, Stephen Jay: Bravo brontosauro  Feltrinelli, Milano (1991) 2002
Gould, Stephen Jay: Intelligenza e pregiudizio Il Saggiatore, Milano (1996,1981) 2001
Gould, Stephen Jay: L’evoluzione della vita sulla terra Le scienze 316, Milano, 1994, pp. 25-31
Gould, Stephen Jay: La struttura della teoria dell’evoluzione Codice, Torino, pp.2 e segg
Majerus, Michael: L’ evoluzione nero su bianco. darwin 3, Roma, 2004, pp. 34-42
Mayr, Ernst: Is biology an autonomous science? In: Mayr, Ernst (ed.): Toward a new philosophy of    
biology: observation of an Evolutionist. Cambridge, Massachusetts, and London, England:
The Belknap Press of Harward University Press, 1988
Mayr, Ernst: Un lungo ragionamento Bollati Boringhieri, Torino (1991) 1994
Roncuzzi Claudio, Scalini Fabio, Marchi Corrado: l’evoluzione ingabbiata dalle immagini canoniche dal sitohttp://www.racine.ra.it/Isoriani/evoluzione
Sagan, Carl: Il mondo infestato dai demoni Baldini&Castoldi, Milano (1996) 1997

 


Appendice: Paleontologia ed evoluzione

 

Eccetto che non si voglia ignorare la paleontologia, non si può descrivere la storia della vita sulla Terra a prescindere dalla teoria dell’evoluzione. Qualcuno potrà forse obiettare che la paleontologia, come scienza, esisteva già prima che la famosa teoria fosse sviluppata da Charles Darwin.
Questa obiezione è tendenziosa: Darwin ebbe sì l’enorme merito di cogliere l’evoluzione nei suoi tratti essenziali che tutti noi conosciamo (mi riferisco, ad esempio, alla selezione naturale e alla lotta per l’esistenza), ma dobbiamo ricordare che egli si avvalse del lavoro di molti altri scienziati a lui precedenti, alcuni dei quali evidenziarono proprio quei nuclei attorno ai quali egli avrebbe costituito la propria Teoria (lo stesso Darwin lo ricorda nel compendio storico all’“Origine delle specie”, 1872, pp. 67 e segg.). Dal momento che fra questi precursori hanno particolare rilievo i paleontologi, dovremmo dire piuttosto che fu proprio la paleontologia uno dei motori che portarono la scienza a considerare ipotesi di tipo evolutivo.

Georges Cuvier (1769-1832), che noi tutti conosciamo come il fondatore della paleontologia e dell’anatomia comparata, fu in questo senso un personaggio chiave. Egli, infatti, pur essendo dichiaratamente ostile alla prima teoria evoluzionista scientifica della storia, sviluppata in quel periodo da Jean Baptist Lamarck (1744-1829), era un personaggio dotato di genio e acume non comuni e i suoi studi vennero in seguito utilizzati da Darwin durante la redazione dell’Origine delle specie.
In particolare Cuvier viene ricordato per aver sviluppato un principio fondamentale dell’anatomia comparata al quale ancora oggi si affidano paleontologi ed evoluzionisti. Mi riferisco al famoso principio di correlazione delle parti, in virtù del quale in un organismo una parte anatomica implica la successiva secondo leggi funzionali. Utilizzando questo principio i paleontologi possono ricostruire induttivamente un intero scheletro a partire da un numero limitato di reperti.  
Darwin utilizzò in seguito il principio di correlazione per la sua teoria. Infatti, nell’Origine delle specie scriverà:
“Variazione correlata – con questa espressione voglio indicare che le diverse parti dell’organismo sono così strettamente collegate durante l’accrescimento e lo sviluppo, che quando compaiono, in qualsiasi parte, leggere variazioni, e si accumulano per selezione naturale, le altre parti subiscono modificazioni. (Darwin, 1872, p.206)

La paleontologia e Darwin devono ricordare Cuvier anche per un suo lavoro del 1812 intitolato “Recherches sur les ossemens fossiles des quadrupèdes, où l’on rètablit les caractères de plusieurs espèces d’animaux que les rèvolutions du globe paraissent avoir dètruites” (Ricerche sulla struttura ossea dei fossili dei quadrupedi, in cui si ristabiliscono le caratteristiche della maggior parte delle specie animali che le rivoluzioni del globo sembrano aver distrutto), con il quale stabilisce in modo definitivo la realtà del fenomeno di estinzione e della successione degli organismi.
Volendo azzardare un’ipotesi potremmo affermare che Cuvier rifiutò qualsiasi ipotesi tendesse a riformare l’idea che gli organismi fossero frutto di atti creativi indipendenti per via dei suoi rapporti col potere. Egli era infatti, a quel tempo, uno degli uomini più potenti della Francia e, come sottolinea Appel:
“[…] giustamente temette che le teorie speculative (come quella trasformista di Lamarck n.d.r), la maggior parte delle quali aveva una struttura materialistica, sarebbero state sfruttate in nome della scienza, per scalzare la religione e promuovere disordini sociali.” (citato da : S.J. Gould, 2002 p. 372)

Etienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844), primo curatore per i vertebrati al Museum d’histoire naturelle, dapprima intimo amico di Cuvier diventò in seguito suo fiero rivale, dando vita al celebre dibattito Geoffroy-Cuvier. Il terreno su cui si scontravano i due scienziati, cioè la morfologia, diventa cruciale alla successiva luce della teoria dell’evoluzione: mentre Cuvier sosteneva che gli organismi fossero “entità discrete, non trasformabili, progettate per specifiche condizioni di vita e nient’ altro (citato da S.J. Gould, 2002, p. 372) (funzionalismo), Geoffroy affermava che:
“l’animale è un principio che ricava la sua forma esterna o, per essere più precisi, le differenze nella sua forma dagli ambienti in cui è obbligato a svilupparsi (Balzac, La commedia umana, 1842 in S.J. Gould, 2002, p.395) (formalismo).

A seconda delle interpretazioni viene considerato vincitore della disputa Cuvier oppure Geoffroy, ad entrambi noi riconosciamo il merito di aver insinuato un dubbio negli scienziati dell’epoca: gli esseri sono fissi e immutabili oppure possono modificarsi ?
E’ evidente quanto grande sia il debito di Darwin nei confronti della dicotomia funzionalismo-formalismo nata grazie all’intelligenza di un grande paleontologo.

Sir Richard Owen (1804-1858), paleontologo, fu il primo scienziato che nel 1841 sostenne la necessità di creare un nuovo ordine tassonomico per classificare i resti fossili di quegli strani animali simili ai rettili ma troppo singolari per essere accomunati ai rettili attuali: nasceva così il sottordine Dinosauria. Ad Owen si deve anche il primo tentativo di ricostruzione fisica di un dinosauro, in quel caso si trattava dei resti di un Iguanodon. Ebbene questo valente scienziato nei confronti del quale la paleontologia è sicuramente in debito, nonostante gli errori che commise (molte sue ricostruzioni si sono rivelate poi errate), fu anche uno di quegli uomini che renderanno indissolubile il binomio paleontologia-evoluzione. Infatti Stephen Jay Gould, storico e filosofo della scienza (nonché paleontologo), descriverà Owen come un “evoluzionista esitante”. Owen, infatti, spinse il formalismo alle estreme conseguenze affermando che, almeno per i vertebrati, si poteva risalire ad un singolo archetipo generatore. Questo archetipo ipotizzato da Owen non è però da intendersi come un reale progenitore, ma piuttosto come un ideale astratto, platonico e, soprattutto creato da Dio.
E’ comunque evidente come Owen si fosse avvicinato, in modo timido e fin troppo prudente, a quello che sarà uno dei temi centrali dell’evoluzione, cioè il fenomeno della mutazione.

E alla fine arrivò Charles R. Darwin.
Darwin “ridicolizzò la cautela di Owen (Gould) e, con la selezione naturale distrusse la dicotomia fra funzionalismo e formalismo del quale Owen, come è noto, era il più accanito sostenitore.
Nello schizzo storico aggiunto alle successive edizioni dell’Origine Darwin scrive:
“Ho dedotto, dall’ultima edizione di quest’opera,[…] che il professor Owen ammette che la selezione naturale concorre in qualche modo alla formazione di nuove specie. Tuttavia le sue affermazioni sono confuse e non suffragate da prove. Inoltre ho riportato alcuni estratti di un carteggio fra il professor Owen e il redattore della London Review, dai quali è apparso evidente, sia al redattore che a me stesso, che il professor Owen sostiene di aver enunciato la teoria della selezione naturale prima che lo facessi io. Allora ho espresso la mia sorpresa e soddisfazione di fronte a questa affermazione.[…](Darwin, citato da S. J. Gould, 2002, p.413)”

In conclusione la mia tesi è che Darwin abbia un debito enorme nei confronti della paleontologia in generale e dei paleontologi che lo hanno preceduto in particolare e che, anche se noi oggi, a ragione, celebriamo Darwin, non dobbiamo dimenticare che la teoria dell’evoluzione non è stata creata dal nulla per merito di un geniale intelletto, ma essa stessa è il frutto di un processo evolutivo che lavora incessantemente da secoli e non si è ancora fermato.
Per questo possiamo affermare quanto anticipato all’inizio, cioè che, oggi, ogni paleontologo deve essere anche un evoluzionista e ogni evoluzionista deve essere anche paleontologo.

Credo giusto sottolineare anche che il debito di Darwin nei confronti della paleontologia sia da leggersi più che altro in termini di forma mentis: la scienza paleontologica ,infatti, richiede una enorme capacità immaginativa e speculativa (si pensi alla ricostruzione per induzione di uno scheletro) e,  molto più importante, la capacità di vedere la vita in termini storici.
Direi che forse il debito contratto da Darwin non sia tanto nei confronti della paleontologia, quanto nei confronti dei paleontologi stessi. Darwin lamentava infatti una pesante incompletezza dei resti fossili che non gli permetteva di dimostrare la sua teoria di un’ evoluzione lenta e graduale. Non si trovavano i cosiddetti anelli mancanti.

Circa un secolo dopo però entra  in gioco un altro paleontologo: il già citato Stephen Jay Gould. Gould afferma che non ci sono motivi convincenti per ritenere che la documentazione fossile sia tanto incompleta quanto pensava Darwin e, anzi, rispecchierebbe fedelmente (nei limiti del possibile) la storia della vita sulla Terra. La Teoria andava modificata.
Insieme a Niles Eldredge propone quindi la teoria degli equilibri punteggiati secondo la quale le forme di vita attraversano lunghi periodi di stasi (equilibri) seguiti da episodi di speciazione istantanea (punteggiati) sulla scala dei tempi geologici.

Vista in questi termini, non è più possibile pensare alla paleontologia semplicemente nei termini di un grande libro con molte pagine strappate e, confermando la precedente metafora, siamo costretti a concludere che quelle pagine o non esistessero affatto, o non avevano avuto  il tempo di andare in stampa.

Per via dell’amore che l’uomo prova nei confronti di proverbi e aforismi, è tuttavia prevedibile che il motto Natura non facit saltum, impiegherà ancora molto tempo per essere ridimensionato.

 

 

  Al Darwin Day svoltosi a Roma il 12 febbraio 2005, Pietro Corsi ha ricordato come l’evoluzione, in quanto teoria scientifica, sia da intendersi come un programma di ricerca.

  Lamarck (1744-1829) fu il primo evoluzionista della Storia e riteneva che l’evoluzione fosse un fenomeno graduale.

T. H. Huxley (1825- 1895) soprannominato “The Darwin’s bulldog” per la passione con la quale difendeva l’amico Charles in pubblico, aveva però delle riserve su molti punti della teoria. In particolare non accettò mai l’idea del gradualismo filetico. Il giorno prima della pubblicazione dell’Origine scrisse a Darwin (in Mayr, 1994):
<<Ti sei addossato una difficoltà non necessaria quando hai accettato senza alcuna riserva l’idea che  Natura non facit saltum>>

1 Gould (1994) evidenzia come questa famosa espressione debba essere letta in maniera metaforica e non sempre come un combattimento all’ultimo sangue. Esistono infatti una vasta gamma di strategie per il successo riproduttivo assolutamente non bellicose, ad esempio un accoppiamento più precoce e frequente o una migliore cooperazione tra i partner nell’allevamento della prole. Sullo stesso tema è interessante notare come nei documentari più sensazionalistici alcuni animali vengano definiti come “feroci predatori”. Questa affermazione, oltre a essere priva di senso (gli esseri viventi, compreso l’uomo non fanno altro che sfruttare in vari modi le risorse), è fuorviante proprio perché avvalora l’idea di un perenne conflitto dove sopravvive il più forte. Applicata alla specie umana poi, questa visione credo che potrebbe giustificare il famoso detto “Homo homini lupus”, con nefande conseguenze.

2 A questo proposito vorrei sottolineare che la parola evoluzione deriva dal latino ex-volvo e significa srotolare i papiri, pergamene. La parola risulterebbe quindi inappropriata all’atto di descrivere un processo privo di fine.  Se però ci spostiamo dalla finalità alla teleonomia, cioè se riconosciamo quella proprietà fondamentale del vivente (Monod, 1960) che è il fatto di possedere un “progetto” funzionale, allora evoluzione diventerebbe senz’altro un termine perfetto per descrivere lo sviluppo di un organismo (Development per gli anglofoni).

3 “[…] trilobiti e placodermi, a quanto sembra, erano più complessi nella struttura e forse più specializzati dell’ uomo moderno. (Mayr, 1994)”

E’ in corso un grande esperimento (richiederà cinque anni) teso a stabilire se il trend verso l’una o l’altra delle due forme del famoso lepidottero Biston betularia (carbonaria e betularia) sia o no derivante dalla predazione differenziale degli uccelli. In caso affermativo ci troveremmo di fronte a un grande esempio di evoluzione darwiniana in atto.

Si leggano a questo proposito le sue idee a proposito della schiavitù e sul valore della dignità umana.

Da notare che Darwin usa la parola “principio” e non “legge”, scelta che da una parte potrebbe significare ulteriore modestia, dall’ altra, forse, potrebbe rispecchiare la visione di un mondo naturale dove le cosiddette “leggi di Natura” non sono altro che prodotti umani che spesso sono applicabili solo in condizioni ben definite (ad esempio la meccanica Newtoniana) e non dei dogmi prestabiliti dal Creatore.

Famosa, anche se non sempre applicabile è la tesi di Haeckel (1834-1919): “L’ ontogenesi ricapitola la filogenesi”, un assioma che legò l’embriologia all’evoluzione filogenetica.

Non a caso quest’ ultimo fu definito come il padre postumo della genetica.

3 Bisogna però ricordare come la mutazione rappresenti solo la causa remota della variabilità di una popolazione.
La causa prossima della variabilità, e che quindi è soggetta alla selezione, è il riassortimento di queste mutazioni  all’interno del pool genico della popolazione stessa.

A solo titolo informativo ricordo che assieme alla bioastronomia nacque anche la pseudoscienza a essa correlata, cioè l’ufologia. Qualsiasi pseudoscienza è solo un sottoprodotto della cultura popolare e come tale merita una trattazione a parte.

E’ pur vero che questo è quasi sempre destino delle teorie, ma mi preme far rilevare il fatto che nel momento in cui l’uomo (occidentale) rientra a far parte a pieno titolo del mondo naturale, qualsiasi tesi a esso correlata che prenda lo spunto dalla Teoria di Darwin rischia seriamente di produrre effetti catastrofici. La scienza è uno strumento e non ha pulsioni. L’uomo, invece, sì: il rischio è che qualcuno, seguendo le proprie, pretenda di impersonificare la scienza e usi l’autorità da essa conferitagli come una clava.

Darwin scrive: “ci fu un lungo intervallo di tempo durante il quale mi rimase incomprensibile come la selezione si potesse applicare a organismi viventi in natura. (citato da: Continenza, 1998, p.51)
Secondo gli storici di Darwin, incluso Mayr (1994), il debito nei confronti di Malthus dovrebbe comunque essere ridimensionato: la lettura di Malthus  agì come un “catalizzatore”  e avvenne in un momento della vita di Darwin in cui lo studioso aveva già quasi del tutto maturato il pensiero popolazionistico.
Mayr (1994)  riassume così: “quell’unica frase* di Malthus agì come un cristallo lasciato cadere in una soluzione soprasatura.”
* “Si può quindi dire con certezza che la popolazione, se non è tenuta sotto controllo, continua a raddoppiarsi ogni venticinque anni, ovvero cresce in proporzione geometrica.”

 

Bibliografia:

Darwin, Charles: L’ origine delle specie Bollati Boringhieri, Torino (1872) 2001
Gould, Stephen Jay: La struttura della teoria dell’ evoluzione Codice, Torino (2002) 2003

 

Autore:   Stefano Dalla Casa
Fonte: http://www.pikaia.eu/easyne2/Archivi/pikaia/ALL/0000/1A.doc

link sito web : http://www.pikaia.eu/

 

Qualche cenno sullo sviluppo della medicina darwiniana.

 

Introduzione

La medicina darwiniana è una scienza di base fondata sulla convergenza di quattro discipline: biologia evolutiva, antropologia, genetica e microbiologia. Il loro rapporto può essere raffigurato come segue:

Biologia evolutiva
 


Antropologia      Genetica      Microbiologia   

La biologia evolutiva si trova al vertice della piramide in quanto antropologi, genetisti e microbiologi ne sviluppano alcuni concetti fondamentali, quali: selezione naturale, adattamento e bilancio fra costi e benefici. Le quattro discipline sono coordinate in vista di un fine comune: fornire nuovi dati per la comprensione e la cura della malattia.
In pratica, gli antropologi tentano di ricostruire il passato evolutivo umano, in particolare il periodo del tardo Pleistocene, per comprendere le ragioni delle malattie dovute all’ambiente moderno – basandosi sull’ipotesi che alcune caratteristiche attualmente patologiche in passato fossero adattative. I genetisti tentano di individuare i geni responsabili delle malattie umane – basandosi sul fatto che il cambiamento evolutivo concerne perlopiù gruppi di geni, piuttosto che unità, e che in uno stesso gruppo possono trovarsi geni positivi e negativi per la salute individuale. Infine, i microbiologi studiano i meccanismi di evoluzione della virulenza – basandosi sul fatto che virus e batteri evolvono resistenze ad antibiotici e antivirali e che gli stessi programmi di vaccinazione possono causare l’aumento della virulenza in una popolazione.
Tali discipline non operano individualmente, ma ciascuna contribuisce alla costruzione di un quadro completo, dove sia possibile, della spiegazione evolutiva della malattia. Per esempio, genetica, antropologia e microbiologia collaborano nel tentativo di chiarire i meccanismi delle malattie auto-immuni (come si vede nell’intervista a Stearns riportata di seguito).
Il fine di questo approccio interdisciplinare è trovare i significati adattativi delle caratteristiche che lasciano il corpo umano vulnerabile alla malattia. A rigore, non esiste negli organismi biologici alcuna caratteristica positiva o negativa in senso assoluto; ciascun apparato complesso ha allo stesso tempo aspetti benefici e dannosi per la vita individuale. Gli occhi umani, per esempio, sono strutture meravigliose, ma imperfette. Il nervo ottico e i vasi sanguigni attraversano la retina causando un punto cieco e questo difetto può creare problemi medici come il distacco della retina stessa. La soluzione migliore sarebbe un nervo ottico che avvolge la retina da dietro (Nesse e Williams, 1994, trad. it 1999, pp. 157-159). Inversamente, l’invecchiamento non può essere interpretato come semplicemente negativo, anche se inevitabile. È alla base di arteriosclerosi, Alzheimer e tutta una serie di patologie strutturali e funzionali. D’altronde i processi definiti come senescenza hanno un carattere adattativo, perché sembra che i geni che ne sono alla base forniscano vigore e fertilità in gioventù (Williams, 1957; Williams e Nesse, 1991; Nesse e Williams, 1994).
Comprendere il significato adattativo della vulnerabilità alla base delle malattie fornisce una spiegazione biologica del perché della malattia, mentre la medicina, fin’ora, ha tentato di comprenderne il come. Risalire alle origini evolutive delle patologie può fornire di conseguenza una nuova prospettiva per la terapeutica. Se ogni malattia ha un significato adattativo, devono esserne curati solo gli aspetti realmente dannosi e direttamente frutto di un difetto, altrimenti si rischia di interferire con un processo funzionale alla guarigione stessa. L’esempio classico è quello della febbre dovuta a infezione. L’aumento della temperatura corporea non è un sintomo da eliminare, almeno entro determinati limiti, dal trattamento farmacologico. Al contrario tale fenomeno ha un significato adattativo perché una temperatura al di sopra della media impedisce ai batteri di riprodursi. È stato provato che pazienti trattati con antipiretici, nel caso di infezioni non gravi, guariscono più lentamente (Nesse e Williams, 1994).

 

La medicina darwiniana di prima generazione

La medicina darwiniana può essere interpretata a due livelli. Da un punto di vista generale si presenta come una scienza di base finalizzata all’unificazione delle branche della medicina per mezzo del paradigma della biologia evolutiva (Nesse e Williams, 1994). Le tre principali divisioni della medicina – anatomia, fisiologia, patologia – possono trovare un terreno comune nella considerazione sistematica delle funzioni e delle strutture come prodotti dell’evoluzione. Da un punto di vista particolare, la medicina darwiniana si propone di analizzare sperimentalmente le malattie in termini evolutivi.
L’unificazione della medicina per mezzo del paradigma evolutivo è stato il tema principale di Williams e Nesse, i fondatori della disciplina. Williams e Nesse hanno presentato una versione particolare di tale paradigma che può essere definita come neodarwiniana, anche se deriva piuttosto dalle elaborazioni concettuali della teoria della selezione naturale avviate negli anni sessanta del XX secolo.
Schematizzando, la storia della teoria della selezione naturale può essere riassunta secondo le tappe seguenti:

  • Teoria Darwiniana: la selezione naturale è il meccanismo che entra in gioco quando un gruppo o diversi gruppi di individui che si riproducono a tasso geometrico competono fra loro per la sopravvivenza e la riproduzione. Gli individui che presentano le variazioni più favorevoli alla lotta per la vita lasciano una discendenza più numerosa. La discendenza eredita le variazioni adattative che tendono a divenire parte integrante della popolazione. La selezione naturale lavora sugli individui e sui gruppi e favorisce la formazione di gruppi e individui meglio adattati alle pressioni selettive poste da un determinato ambiente in un determinato momento (Darwin, 1859; Wallace, 1889).
  • Teoria Neodarwiniana classica: la selezione naturale è il meccanismo automatico che entra in gioco quando gruppi di geni o diversi gruppi di geni competono fra loro per essere rappresentati nelle generazioni di individui. La variazione di adattamento di un individuo corrisponde alla sua variazione genetica (Fisher, 1930). I geni che, sulla base dei loro effetti negli organismi, si riproducono con maggior successo tendono a divenire più stabili nel corso delle generazioni e a vincere la concorrenza dei geni dagli effetti simili, ma meno efficaci dal punto di vista della riproduzione. La selezione naturale lavora sui geni e favorendo i geni più efficaci, favorisce allo stesso tempo gli individui portatori dei geni. D’altronde, visto che geni individuali possono avere diversi effetti allo stesso tempo o in diversi periodi della vita di un individuo, un gene può essere selezionato per i suoi effetti positivi anche se è alla base di effetti negativi (per l’individuo) di minor importanza (Haldane, 1949).
  • Teoria Neo-darwiniana attuale: la selezione naturale è quel meccanismo automatico che entra in gioco quando ci sono delle entità capaci di autoreplicazione e di variazione e che si presentano le une verso le altre come alternative (Williams, 1966). La selezione naturale si ‘occupa’ solo della riproduzione di geni, senza ‘preoccuparsi’ della felicità degli individui o dei gruppi, in quanto questi ultimi sono fenomeni troppo effimeri per avere un peso nella durata del tempo dell’evoluzione. Se un gene trova il mezzo di aumentare la propria capacità di replicarsi – senza interferire con l’efficacia dei geni con cui è in relazione – è automaticamente selezionato. Perciò i geni che aumentano la fecondità sono selezionati anche se sono alla base di patologie nel periodo post-riproduttivo (Williams, 1957).

 

Come si vede, le tappe 2) e 3) sono quasi identiche. In effetti, il punto 3 è uno sviluppo del neodarwinismo fondato fra gli anni venti e quaranta del XX secolo.
In una parola, i confini fra adattativo e disadattativo, salute e malattia divengono sempre più sfumati.
Se si considera la selezione naturale come conseguenza della riproduzione differenziale fra geni, ogni caratteristica adattativa è costruita o mantenuta almeno in parte dalla selezione naturale anche se ha un’origine estranea al meccanismo selettivo, cioè all’accumulazione progressiva di mutazioni vantaggiose. Ciò significa, per esempio, che la deriva genetica (Kimura, 1983) e gli altri meccanismi  evocati come produttori indipendenti di adattamento (vincoli e strascichi storici per esempio: vedi Gould e Lewontin, 1979; Gould, 1988), devono passare al vaglio della selezione, per la semplice ragione che un adattamento è fissato nella popolazione solamente se i geni che sono alla base della sua codifica si riproducono più degli altri che gareggiano per la stessa posizione nel genoma. Ciò significa inoltre che la selezione naturale può intervenire anche nel caso di caratteristiche non adattive per l’individuo, come le malattie. Se il gene o il gruppo di geni alla base di una patologia hanno un dato livello di successo riproduttivo, esso o essi sono selezionati a detrimento dell’individuo stesso.
Gli adattamenti del fenotipo non sono che meccanismi in vista della riproduzione dei geni. Visto che i geni non lavorano individualmente, gli adattamenti fenotipici sono sempre compromessi fra i diversi interessi rappresentati da un gruppo e da diversi gruppi di geni. Gli adattamenti non sono costruiti direttamente per il bene dell’individuo e ciascun adattamento può ‘nascondere’ difetti o caratteristiche patologiche.
A partire dagli anni sessanta, si è cominciato sempre più a studiare gli adattamenti come caratteristiche allo stesso tempo negative e positive per l’individuo e la specie. Si è cominciato inoltre a comprendere il significato adattativo delle caratteristiche considerate prima come non adattative.
William Hamilton propose una interessante soluzione biologica al problema dell’altruismo, considerato in precedenza come un fenomeno non adattativo o come inesplicabile da un punto di vista della selezione naturale (Hamilton, 1964). L’esempio classico d’altruismo nel mondo animale è quello che si osserva fra gli insetti sociali come le formiche, dove ci sono individui sterili che vivono in funzione del benessere della regina. Ciò diviene comprensibile quando si pensi al fatto che gli individui di una colonia sono strettamente imparentati fra loro e dunque condividono gli stessi geni. Il sacrificio individuale è funzionale al benessere del pool genetico della colonia.
Se la selezione naturale può spiegare l’altruismo a detrimento dell’individuo, il passo verso la spiegazione della malattia è breve.
Il fisiologo Jared Diamond ha scritto uno dei testi più interessanti a proposito della visione dell’adattamento come bilancio fra elementi positivi e negativi per il fatto che tratta direttamente dell’uomo. Nel suo Il terzo scimpanzè. Ascesa e caduta del primate Homo sapiens Diamond ripercorre la storia naturale della nostra specie dimostrando che le caratteristiche che ci hanno permesso di divenire i dominatori del pianeta sono le stesse che ci stanno portando alla rovina. Se non ci sarà, come tutti speriamo, l’estinzione dell’umanità per sua propria mano, resta il fatto che le qualità umane presentano importanti controindicazioni, se così si possono chiamare. In particolare, la capacità di sfruttare le risorse del pianeta è stata alla base della nostra ascesa, ma può allo stesso tempo portarci all’autodistruzione. Fra l’altro, la scoperta dell’agricoltura ha reso possibile un passo in avanti verso la modernità, ma ha comportato l’emergenza di nuove malattie e disuguaglianze sociali.
Se ci sono caratteristiche adattative che possono avere conseguenze negative, il passo è breve verso la considerazione della possibilità che anche tratti patologici possano avere aspetti adattativi.
Questa teoria della selezione naturale incentrata sul successo riproduttivo dei geni e l’inerente considerazione dell’adattamento e delle caratteristiche non adattive sono alla base della teoria evolutiva della medicina darwiniana proposta da Williams e Nesse ed essa ne rappresenta un interessante sviluppo logico. Che la malattia possa essere considerata come un carattere legato alla selezione naturale di geni è infatti la versione estrema di questo tipo di teoria e il risultato più inatteso che non era contemplato dagli studiosi d’inizio secolo. Infatti la malattia era considerata dal darwinismo classico come un carattere che, in quanto fortemente svantaggioso per l’individuo, doveva essere eliminato dalla selezione. Altrimenti, la malattia era considerata come un carattere che sfuggiva al setaccio della selezione e che proprio per questo poteva mantenersi nel corso delle generazioni (vedi Zampieri, 2006). Un’altra teoria vedeva nella malattia un mezzo della selezione stessa per eliminare gli individui deboli e perdenti nella lotta per la vita (Garrod, 1927, p. 968), ma ciò non significava che la malattia fosse in se stessa adattativa. Solamente a partire dal Neodarwinismo si cominciava a comprendere che certe malattie potessero fornire dei vantaggi riproduttivi agli individui che ne soffrivano, come nel caso di una malattia infettiva che, infettando le prede, allontanava i predatori (Haldane, 1949). Si affermò anche l’idea che l’anemia fosse mantenuta dalla selezione naturale nelle aree endemiche di malaria perché forniva una protezione contro questa malattia (Ibidem). Tuttavia la strada verso la considerazione sistematica della malattia come legata alla selezione naturale dei geni e come attivamente mantenuta in quanto favorevole ai geni stessi era ancora lunga e ci volle tutto il resto del XX secolo per l’emergenza della medicina darwiniana.
Il tentativo di Williams e Nesse non corrisponde alla proposta d’un ‘panselezionismo’ (teoria secondo la quale tutti gli adattamenti sono opera esclusiva della selezione naturale), ma significa aderire a una concezione di adattamento come caratteristica almeno in parte legata alla selezione – perché sempre legata al successo riproduttivo dei geni – anche se prodotta da altri meccanismi evolutivi. Significa inoltre considerare gli adattamenti, le malattie e, in fondo, tutte le caratteristiche organiche come compromessi funzionali e strutturali.
L’articolo del 1991 e la monografia del 1994 di Williams e Nesse possono essere visti come gli atti di fondazione teoretica della nuova disciplina. La medicina darwiniana studia le cause evolutive della malattia, studio che si propone complementare a quello delle cause “prossime” della medicina tradizionale (Williams e Nesse, 1991, p. 2; Nesse e Williams, 1994, trad. it, pp. 10-12). Le cause evolutive sono studiate attraverso il metodo tipico in biologia del “programma adattazionista”. Si tratta di un programma di ricerca fondato sulla costruzione di ipotesi e previsioni sulla base dell’assunto che ciascuna patologia possa avere un significato adattativo. L’adattamento è considerato come un meccanismo complesso che permette agli organismi di risolvere i problemi posti dall’ambiente (in vista della riproduzione dei geni portati dagli organismi stessi). La patologia può essere: 1) un componente necessario del meccanismo adattativo; 2) un costo del meccanismo; 3) una manifestazione accidentale del modo di funzionare del meccanismo.
Come si vede, la frase “la malattia è mantenuta dalla selezione naturale” viene ridimensionata. Spiegata in questo modo può avere un minor impatto emotivo. La malattia, infatti, può essere mantenuta dalla selezione perché i geni che ne sono alla base possono essere implicati in un meccanismo adattativo, quindi favorevole ai geni stessi, ma solo raramente come elemento vitale di questo meccanismo, o almeno questa è una delle tre possibilità. Le altre due vedono quei geni nocivi come costi o accidenti del meccanismo adattativo, quindi come qualcosa che, in fondo, può essere eliminato o corretto dall’intervento umano.
Le tre ipotesi conducono la ricerca del programma adattazionista in medicina, ma ciò non significa concludere a priori che tutte le patologie debbano avere un significato adattativo. Qui si propone ciò che in filosofia è definito “idea regolativa”, cioè un’idea che accompagna tutta la ricerca, ma che non dev’essere necessariamente vera in tutti i casi. Trovare che una patologia non ha alcun significato adattativo può portare alla scoperta di nuovi aspetti della patologia stessa e questa possibilità non dev’essere ritenuta come un fantasma da scacciare appena sembri materializzarsi.
Il programma adattazionista in medicina si applica in particolare alla spiegazione di quattro cause di malattia: infezioni, tossine e ferite, fattori genetici e ambienti anormali (Williams e Nesse, 1991; Nesse e Williams, 1994).
In un articolo del 1999 (pubblicato in Evolution in Health & Disease) Williams e Nesse si concentrano sulla spiegazione del modo in cui la medicina darwiniana porta alla formazione di ipotesi e previsioni scientificamente testabili. Presentano una lista di spiegazioni evolutive della malattia in cui ciascuna spiegazione può portare alla formazione di ipotesi e previsioni. La malattia può essere spiegata in termini evolutivi in quanto:

  • Difesa – ciò che si crede una malattia o un difetto è in realtà un adattamento.
  • Conflitto con altri agenti coevolutivi, come i patogeni.
  • Stranezze genetiche nocive solo nell’ambiente moderno.
  • Compromessi di progetto a livello genetico.
  • Compromessi di progetto a livello fenotipico.
  • Strascichi storici e dipendenza dai percorsi evolutivi.
  • Fattori casuali (Nesse e Williams, 1999, p. 19).

 

La categoria 1) è quella più ampiamente sviluppata, appunto perché riassume la parte più caratteristica della medicina darwiniana di Williams e Nesse, vale a dire il concetto di malattia come adattamento.
Se un tratto “T” è una difesa, si possono formare diverse previsioni:

  • Le differenze nel grado di espressione del tratto possono influenzare il grado di protezione contro la minaccia. Queste differenze possono essere causate da: a) difetti ereditari; b) variazione ereditaria; c) asportazione chirurgica; d) manipolazione chimica.
  • Le forme del tratto devono corrispondere alla sua funzione […].
  • Se ci sono sotto tipi di difese, la caratteristica di ciascuno dovrebbe combinarsi con il diverso tipo di minaccia e il sistema regolatore dovrebbe attivare ogni caratteristica in risposta alla corrispondente minaccia.
  • I dettagli dei meccanismi di difesa dovrebbero corrispondere alle aspettative date dalla sua funzione.
  • Organismi imparentati filogeneticamente dovrebbero presentare adattamenti omologhi che variano in relazione alla varietà della minaccia.
  • Specie non imparentate dovrebbero presentare adattamenti omologhi se vivono esposti alle stesse minacce.
  • I meccanismi che regolano la risposta alle minacce dovrebbero esprimere una risposta appropriata in tipo, intensità e durata della minaccia.
  • Meccanismi facoltativi possono aumentare la sensibilità del sistema regolatore degli individui che sono più esposti alla minaccia.
  • I meccanismi del sistema regolatore dovrebbero corrispondere alle sfide poste dalle minacce (ivi, p. 20).

 

Qui si vede in un colpo d’occhio l’intero sistema elaborato dai due ricercatori. Si è in presenza di un programma di ricerca completo finalizzato alla comprensione delle cause evolutive della malattia umana. Si potrebbe definire questo tentativo come un nuovo tipo di patologia sperimentale e la medicina darwiniana di seconda generazione rappresenta l’applicazione pratica di tali principi teorici. Come in ogni traduzione pratica, d’altronde, si può constatare una perdita dell’ampiezza teorica presente nei testi di Williams e Nesse. In particolare, il legame fra malattia, adattamento e selezione naturale perde la sua centralità.

 

Medicina darwiniana di seconda generazione

Anche se si può trovare un gran numero di articoli e testi concernenti l’analisi sperimentale di patologie prima e durante la fondazione della medicina darwiniana da parte di Williams e Nesse, a partire della fine del XX secolo si assiste a una vera esplosione di questo genere di analisi (Stearns e Ebert, 2001).
Come già detto, i testi più rappresentativi del secondo movimento sono Evolution in Health & Disease pubblicato nel 1999 e curato da Stephen Stearns, attualmente professore di Ecologia e Biologia Evolutiva della Yale University, ed Evolutionary Medicine pubblicato anch’esso nel 1999 e curato da Wenda Trevathan, professoressa di Antropologia della New Mexico University, Euclid Smith, professore di Antropologia della Emroy University e James McKenna, anch’egli professore di Antropologia della Notre Dame University.
La medicina darwiniana di seconda generazione può essere divisa in due correnti, una sperimentale, rappresentata dal testo di Stearns e rivolta soprattutto ai problemi dell’evoluzione della virulenza e della variazione genetica, e una antropologica, rappresentata dal testo della Trevathan, di Smith e McKenna.
Si può notare subito che in entrambi i testi non appare più il termine “medicina darwiniana”. Stearns, nell’intervista riportata nel prossimo paragrafo, dichiarava di preferire il termine “medicina evolutiva”. Qui si trova un primo indizio del fatto che l’accento sulla selezione naturale è meno pronunciato nel secondo movimento. A parte il fatto che il termine “darwiniano” può essere mal visto per la sua implicazione nei dibattiti che tutt’ora infuriano in America fra evoluzionisti e creazionisti, la ragione implicita del suo abbandono sta proprio nella minor importanza della selezione naturale, visto che quando si parla di “darwiniano” si pensa necessariamente a questa teoria. A conferma di questa ipotesi, si vedano le risposte di Stearns e Trevathan alla questione circa il rapporto fra malattia e selezione naturale. Né l’uno né l’altra sostengono, come ci sarebbe potuti aspettare da un medico darwiniano di prima generazione, che malattia e selezione naturale sono termini strettamente legati e che questo legame rappresenta la novità e il cuore della nuova disciplina.
La professoressa Tervathan nell’intervista annuncia l’uscita di un nuovo volume, intitolato Evolution and Health. New Perspectives, curato dagli stessi autori di Evolutionary Medicine. Qui, come nel volume di Stearns, appare il termine Health, salute, al posto di Medicine. Stephen Stearns, alla questione se credesse possibile e legittima la fondazione di un dipartimento di medicina darwiniana, rispondeva dicendo che la medicina evolutiva non era una “specialità” e che poteva essere realizzata in quanto ricerca interdisciplinare. La professoressa Trevathan dichiarava qualcosa di ancora più significativo, dicendo che la medicina Darwiniana avrebbe avuto un “ruolo sempre più importante nelle scienze della salute” e che “lavorare a stretto contatto con le discipline della salute pubblica” avrebbe potuto “dare risultati più velocemente piuttosto che lavorando con gli specialisti medici”. La medicina darwiniana, dunque, secondo Stearns e Trevathan, non è medicina. È vero che nemmeno Williams e Nesse credono che possa essere definita come medicina nel senso pieno del termine (come cioè disciplina che direttamente sia rivolta alla cura del paziente individuale), ma almeno la vedono come scienza di base rivolta all’unificazione della medicina attraverso il paradigma evolutivo. Inoltre le loro proposte possono essere viste come patologia sperimentale, dunque come disciplina decisamente medica. Qui si perde, in fondo, l’idea della relazione fra evoluzione e malattia in quanto centrale e alla base di un programma teorico-sperimentale, per un’idea più pratica: cosa può fare la teoria dell’evoluzione per la salute pubblica? Sia la corrente sperimentale sia quella antropologica si concentrano su problemi di questo tipo. La prima, per esempio, su questioni relative ai programmi di vaccinazione e alla progettazione e distribuzione di antibiotici, la seconda in particolare su problemi di igiene alimentare.
Evolutionary Medicine è chiaramente il testo principale della corrente antropologica. È stato curato da tre antropologi di professione e, come si legge nell’intervista alla professoressa Trevathan, è utilizzato come manuale scolastico nei corsi di antropologia biologica in diverse Università degli Stati Uniti.
Nell’Introduzione di Evolutionary Medicine si ha un’ulteriore conferma del fatto che gli autori successivi a Williams e Nesse interpretino la medicina darwiniana come composta da due filoni, uno antropologico e uno sperimentale. Si trova lo schema qui di seguito, infatti, che vuole descrivere le tre aree principali legate alla medicina:

 



Si vede ancora una volta che la medicina darwiniana non si propone come nuova medicina, ma come visione complementare. Non è presente però l’idea di Williams e Nesse di medicina darwiniana come disciplina capace di unificare le diverse branche della scienza medica, in quanto gli aspetti biologici, sociali ed evolutivi restano distinti.
Per quanto riguarda la medicina evolutiva, si vede che consiste in due aree, la prima che si occupa dell’interazione fra agenti infettivi e ospiti umani, la seconda che ha come fine quello di ricostruire il passato evolutivo umano. Il testo di Stearns si occupa appunto del problema della virulenza in termini sperimentali (e della questione della variazione genetica), mentre il testo qui in esame si occupa del passato evolutivo umano.
Il punto di partenza della corrente antropologica è il fatto che la specie umana ha evolutivo le sue forme attuali a partire da circa 200.000 anni fa e che il 95% circa della nostra storia ci ha visto come esseri senza agricoltura e allevamento, la qual cosa, insieme ad altre caratteristiche ambientali e sociali, ha determinato profondamente la nostra biologia e il nostro comportamento. Come si vede nella figura seguente

 

     
la storia della nostra specie è molto lunga e sembra che possa risalire a 4 milioni d’anni fa. L’homo erectus, che alcuni antropologi considerano come un nostro discendente diretto, piuttosto che come una specie progenitrice, è vissuto fra i 2 milioni e i 300.000 anni fa. L’uomo “Cro-Magnon”, che era in tutto e per tutto come noi, risale a circa 40.000 anni fa. Se pensiamo che agricoltura e allevamento non hanno più di 10.000 anni, si può comprendere che la maggior parte della nostra eredità biologica, di ciò che siamo nel profondo del nostro essere biologico, si situi ben al di là di tali 10.000 anni.
Agricoltura, allevamento, scrittura, commercio, città e strade sono novità talmente recenti e che hanno talmente cambiato il nostro mondo e la nostra società, che è naturale che il nostro organismo si trovi impreparato. Questi cambiamenti sono stati alla base di importanti miglioramenti della nostra vita, ma hanno avuto e hanno tutt’ora un costo da pagare, il seguente: alcune caratteristiche vantaggiose nel lontano passato della nostra formazione biologica ora possono essere divenute fonte di malattia.
Un esempio, il più famoso, per rendere chiara quest’idea. La nostra biologia si è evoluta in un ambiente povero di risorse alimentari grasse e zuccherate e caratterizzato probabilmente da brevi periodi di abbondanza e lunghi periodi di scarsità. Abbiamo evoluto un metabolismo capace di accumulare i grassi in vista dei periodi di carestia e un sistema motivazionale che ci porta a desiderare e a trovare deliziosi i cibi grassi e zuccherati. Se queste caratteristiche erano adattative nell’ambiente preistorico, ora sono alla base di obesità e diabete negli individui che le hanno più pronunciate. Essere a coscienza di ciò può essere utile nel tentativo di correggere tali difetti e nella promozione di un’igiene alimentare più consona alla nostra biologia.
Ogni tappa del nostro sviluppo presenta caratteristiche adattative per l’età della pietra, perciò ogni periodo della vita individuale si trova esposto alle malattie causate dalla differenza fra ambiente preistorico e l’ambiente che ha cominciato a formarsi a partire dal Neolitico. Evolutionary Medicine presenta al lettore una serie di articoli che trattano in successione dei problemi medici secondo le diverse età dell’individuo e sempre in relazione alla differenza fra ambiente moderno e preistorico.
D’altronde quello che si sa delle abitudini e della biologia dei nostri lontani antenati è frutto in buona parte di congetture, teorie piuttosto che documenti incontrovertibili ed esperimenti conclusivi. La ricostruzione stessa dell’evoluzione umana presentata nell’ultima figura è ipotetica. Nel campo dell’antropologia evolutiva la teoria mantiene una posizione importante a fianco del lavoro di laboratorio. Lasciamo ad altri la decisione se questo sia un bene o un male; qui è più significativo notare che in quanto disciplina in parte teorica la corrente antropologica resta più fedele alla medicina darwiniana di prima generazione rispetto alla corrente sperimentale. Inoltre, la corrente antropologica si concentra sistematicamente sulla ricerca del significato adattativo delle patologie, anche se in questo caso tale significato non è attuale, ma riconducibile ad adattamenti ch’erano tali solo nell’ambiente preistorico. La proposta che si ritiene più radicale della medicina darwiniana di Williams e Nesse, perlomeno da un punto di vista della storia della teoria della selezione naturale, cioè vedere la malattia come un adattamento dei geni qui e ora, è persa tanto nella corrente antropologica quanto nella corrente sperimentale.
Malattia umana, selezione naturale e adattamento sono termini ancora più slegati in Evolution in Health & Disease in favore di una considerazione più variegata delle patologie. Il testo è il risultato di un congresso tenuto a Sion, in Svizzera, fra il 6 e il 12 aprile 1997. È strutturato in cinque parti. La prima, introduttiva, è composta di due articoli rispettivamente di Stephen Stearns e Williams e Nesse. Stearns introduce il pensiero evolutivo in modo più ampio rispetto al modello usato da Williams e Nesse. Le sezioni successive trattano di: 1) storia e geni umani; 2) selezione naturale, conflitti e vincoli dell’evoluzione (si discute di conflitti evolutivi fra sperma e uova, madre e figli, ambiente ancestrale e ambiente moderno e di selezione sessuale), 3) patogeni, farmaci e virulenza (evoluzione dei microrganismi e della virulenza, impatto degli antibiotici e dei vaccini); 4) malattie degenerative e non infettive (teoria della senescenza, malattie cardiovascolari, malattie cronico-degenerative).
Il numero di autori – sessantuno – che ha contribuito al testo, è ben superiore a quello di Evolutionary Medicine. Sono presenti alcuni fra i più importanti nomi della medicina darwiniana, come Williams, Nesse e Ewald e della biologia evolutiva teorica e sperimentale, come John Maynard Smith e Michael Ruse. I settori disciplinari rappresentati sono i più disparati della biologia e della medicina e si trovano ricercatori in biologia evolutiva, storia naturale, botanica, veterinaria, farmaceutica, antropologia, microbiologia, epidemiologia, immunologia, ginecologia, gerontologia, genetica, patologia generale, pediatria e neurologia.
Rispetto a Evolutionary Medicine le tematiche sono più ampie e non sempre in diretta relazione con la concettualizzazione e il trattamento delle malattie umane. Per esempio, si trattano le variazioni ereditarie delle malattie in quanto dati sperimentali finalizzati alla comprensione del ruolo dei meccanismi selettivi (Hill e Motulosky, 1999), piuttosto che alla possibilità di nuove prospettive nel trattamento. Oppure le teorie evolutive del conflitto fra madre e feto (Haig, 1999) e della formazione della struttura della famiglia (Golden et al., 1999) sono trattate da un punto di vista strettamente biologico, senza diretto legame con la medicina, e allo stesso modo le teorie dell’evoluzione della virulenza (Holmes, 1999) e la questione della struttura genetica delle popolazioni batteriche (Maynard Smith e Smith, 1999).
Nel primo articolo scritto da Stearns, l’evoluzionismo è presentato come teoria che “[…] non è solamente il pensiero selezionistico sugli adattamenti” (Stearns, 1999, p. 3), ma anche lo studio dei vincoli dei percorsi evolutivi, della deriva genetica e dei meccanismi neutri, dei conflitti fra entità evolutive come geni, genitori e figli, ospiti e parasiti. D’altronde la selezione, in quanto conseguenza del successo riproduttivo dei geni, sembra mantenere il suo ruolo centrale (ibidem).
Stearns propone un catalogo di ragioni per le quali i medici dovrebbero utilizzare il pensiero evolutivo:

  • Ciascun individuo ha una propria storia evolutiva e un particolare assetto genetico che implica diverse reazioni alle malattie e alle terapie.
  • I microrganismi e le cellule cancerose evolvono rapidamente resistenza alle sostanze chemioterapiche. Ciò ha una grande importanza nella progettazione delle sostanze e delle terapie.
  • La vaccinazione esercita una forte pressione selettiva sulle malattie e dunque la concezione e la distribuzione dei vaccini devono tener conto della teoria dell’evoluzione.
  • Le teorie dell’evoluzione della virulenza devono essere prese in considerazione nella progettazione delle terapie e nella salute pubblica.
  • L’analisi evolutiva dei conflitti fra geni può rendere chiari certi fenomeni della gravidanza e del ciclo riproduttivo umano.
  • La teoria dell’evoluzione fornisce indicazioni fondamentali sull’origine del comportamento sessuale e sulle sue deviazioni.
  • I problemi della vecchiaia sono il risultato del fatto che la pressione selettiva diminuisce con l’età (ivi, p. 6).

 

Come si vede, le discipline chiave sono genetica e microbiologia, quest’ultima soprattutto a livello della progettazione delle sostanze e delle politiche della salute pubblica. Solamente nel punto 7) si parla di adattamento, ma in relazione ai sintomi della malattia, non alla malattia in se stessa. Non si accenna direttamente alla differenza fra ambiente preistorico e moderno in quanto fonte di malattia (anche se Stearns ne parla molto nell’intervista). Non a caso nel testo si trova un articolo che critica la prospettiva antropologica tipica di Evolutionary Medicine che si fonda sulla centralità della rivoluzione Neolitica come problematica a livello di salute umana. L’antropologa Beverly Strassmann e il biologo di popolazioni Robin Dubar propongono l’idea secondo la quale “[…] la rivoluzione Neolitica fu solamente una fra le tante rivoluzioni importanti per la salute umana” (Strassmann e Dunbar, 1999, p. 92). In particolare, le remote rivoluzioni dell’andatura bipede e quella che determinò il “drammatico incremento della taglia del cervello” (ibidem) furono altrettanto importanti. In effetti, la storia dell’evoluzione umana ha quattro milioni di anni ed è normale pensare a molte altre rivoluzioni importanti per la salute. D’altronde gli autori ammettono che il passaggio dal Paleolitico al Neolitico determinò senza dubbio l’aumento di malattie infettive e cronico-degenerative.

 

Intervista a Stephen Stearns e Wenda Trevathan

Domanda preliminare a Stephen Stearns

  • Voi siete stato il curatore di Evolution in Health & Disease pubblicato nel 1999. Qual è a vostro avviso il contributo di questo testo?
  • Il fine è stato quello di presentare una scienza rigorosa per sostenere la pretesa che il pensiero evolutivo possa dare nuovi chiarimenti ai problemi medici. Ci siamo riusciti abbastanza bene. Una seconda edizione sarà pubblicata alla fine del 2007 e sarà un testo molto migliore.

 

Domanda preliminare a Wenda Trevathan

  • Voi stete stata la curatrice, insieme a Smith e McKenna, di Evolutionary Medicine pubblicato nel 1999. Qual è a vostro avviso il contributo di questo testo?
  • È costituito da una serie di articoli di medicina darwiniana che sono stati scritti in maggior parte da antropologi. È utilizzato come manuale scolastico in molti corsi universitari di antropologia biologica. È molto utile come introduzione a questa disciplina.

 

Questionario comune

  • Quali sono gli altri sviluppi importanti della medicina darwiniana dopo Why We Get Sick di Williams e Nesse del 1994?

 

Stephen Stearns: “Lo sviluppo della ricerca continua in molti settori, ma quello che è più impressionante ai miei occhi è la crescente accettazione del pensiero evolutivo dalla comunità medica. Per esempio, si sa – grazie ai lavori di Eaton e Strassmann – che la pillola contraccettiva aumenta il numero medio di cicli mestruali nel corso della vita femminile in rapporto alla popolazione non-contraccettiva, e che l’aumento dei cicli mestruali moltiplica la probabilità di cancro agli organi riproduttivi di due o tre volte. Ora una parte di medici prescrive nuovi tipi di pillole e certe compagnie farmaceutiche stanno studiando la produzione di pillole che bloccano il ciclo con minori effetti negativi, come l’osteoporosi. Questo sistema di cause è un buon esempio della difficoltà del nostro corpo ad adattarsi all’ambiente moderno.
Un altro esempio consiste nella crescente accettazione dell’idea che gli ambienti moderni sono talmente asettici che il nostro corpo non può più sperimentare il peso del contatto con i parassiti tipico dei nostri antenati. I vermi parassiti hanno la necessità biologica di restare a lungo all’interno del nostro corpo causando infezioni croniche. Per far ciò hanno evoluto la capacità di inibire il nostro sistema immunitario. A causa del fatto che da lungo tempo non abbiamo più sperimentato questo genere di infezioni, il nostro sistema immunitario ora si trova in uno stato di super-produzione di cellule T e di anticorpi causando malattie autoimmuni. Possediamo filtri nel timo e nella milza contro le cellule T che producono anticorpi rivolti contro le nostre stesse cellule, ma questi filtri si sono evoluti nell’ambiente ancestrale in cui i vermi erano comuni e inibivano il sistema immunitario. Tali filtri non possono funzionare correttamente nel nostro ambiente pulito e libero da parassiti. Il risultato è l’aumento di malattie autoimmuni, come allergie, asma e diabete di tipo 2. Tutto questo era conosciuto, in quanto ipotesi di ricerca, a partire dalla metà degli anni ottanta del XX secolo. Ciò che è cambiato è l’accettazione di questa conoscenza. Le ricerche mediche stanno confermando queste ipotesi in quanto si trovano differenze significative nel tasso di malattie autoimmuni fra coloro che sono stati infettati da schistosomiasi e nematodi e coloro che sono sfuggiti all’infezione. È cambiata anche la terapia con farmaci composti da una mistura del rivestimento cellulare dei parassiti per trattare l’asma e sono stati ottenuti risultati positivi. Ancora una volta, il segno della difficoltà del nostro corpo ad adattarsi all’ambiente moderno.
Da molto tempo ormai si sa che i patogeni evolvono in risposta agli antibiotici sviluppando resistenza. Ma solamente negli ultimi dieci anni, grazie a Andrew Read e Margaret Mackinnon, abbiamo preso coscienza del fatto che i patogeni evolvono anche in risposta ai programmi di vaccinazione incrementando la propria virulenza. Si è in presenza di un importante indizio utile per le ricerche che cercano di sviluppare vaccini contro l’AIDS e la malaria. Ciò non significa che non si deve vaccinare, perché la vaccinazione ha salvato milioni di persone, ma significa che si deve lavorare sul problema della gestione dei programmi di vaccinazione per ridurre la tendenza all’evoluzione della virulenza, e che dobbiamo pianificare il trattamento della minor parte possibile di popolazione in cui il vaccino non elimini del tutto la malattia, quella stessa malattia di cui il programma di vaccinazione ha contribuito a far evolvere la virulenza.
Per quella parte della comunità biologica che è stata formata in biologia molecolare, lo sviluppo più importante degli ultimi dieci anni è stato la scoperta della sequenza del genoma umano e si è alimentata la speranza di poter curare tutte le malattie genetiche umane. Per la medicina evolutiva i risultati genetici sono importanti perché permettono di diffondere la comprensione del fatto che il nostro genoma si è evoluto e il pensiero evolutivo ci aiuta a comprendere la sua struttura, organizzazione e variazione. In questo caso, la biologia evolutiva ha fatto dei progressi grazie alla ricerca medica.
Infine, il movimento per introdurre la biologia evolutiva nella medicina è in un buon momento e, nei prossimi dieci anni, potrà godere di importanti successi.

Wenda Trevathan: “A partire da questa epoca, si contano centinaia, forse migliaia di nuovi articoli di medicina darwiniana nei campi della biologia, dell’antropologia e della medicina”.

  • A che punto è oggi la medicina darwiniana?

 

Stephen Stearns: “La medicina darwiniana è sempre più conosciuta, ma non è ancora ben compresa o accettata. Molti professori nelle scuole mediche conoscono qualcosa a proposito di medicina darwiniana, ma non la comprendono a fondo, o non ne colgono la vastità”.

Wenda Trevathan: “Questa disciplina non è entrata molto nella pratica medica corrente, per quello che so, ma la stampa popolare ha trattato diversi aspetti della medicina darwiniana e ha avuto un forte impatto anche su coloro che non ‘credono’ all’evoluzione. La sfida è ora di sviluppare ipotesi testabili e di andare al di là della narrativa. Il testo che abbiamo proposto alla Oxford University Press (Evolution and Health: New Perspectives, curato da me, Smith e McKenna) contiene diversi capitoli che vanno in questa direzione”.

  • Cosa pensa della relazione malattia-selezione naturale?

 

Stephen Stearns: “Tutte le malattie evolvono nel tempo. La loro virulenza può incrementare o diminuire. Una malattia infettiva per emergere nella popolazione umana deve ingrandire o evolvere il suo dominio”.

Wenda Trevathan: “È chiaro che la selezione naturale opera sulla malattia attraverso la relazione fra ospiti e patogeni. Sembra anche che la maggior parte degli scienziati accetti il fatto che un uso eccessivo di antibiotici contribuisca all’emergenza e alla ri-emergenza di malattie pericolose”.

  • Quale sarà il futuro della medicina darwiniana? Crede che sarà possibile e legittimo fondare il primo dipartimento di medicina darwiniana?

 

Stephen Stearns: “La medicina darwiniana o, come preferisco, la medicina evolutiva, non è una specialità e non deve essere confinata in un dipartimento. La ricerca in medicina evolutiva può essere realizzata meglio in quanto programma interdisciplinare a cui contribuiscano sia le scuole di medicina sia quelle di biologia. Può essere realizzata meglio utilizzando il 10% dei corsi di medicina già esistenti piuttosto che introducendo nuovi corsi. Può essere menzionata nei corsi di biologia evolutiva dei college e forse c’è posto per un corso completo nelle facoltà di biologia rivolto agli studenti di medicina (come nel caso degli Stati Uniti, ma non dell’Europa).

Wenda Trevathan: “Credo che ricerche sempre più sofisticate saranno messe a punto e che la medicina darwiniana potrà acquisire un ruolo sempre più importante nelle scienze della salute. Dubito che sarà mai fondato un dipartimento di medicina darwiniana e non credo veramente alla sua utilità. Credo piuttosto che lavorare a stretto contatto con le scienze della salute potrebbe fornirci risultati più velocemente che lavorando con gli specialisti medici”.

 

Conclusione

Si è tentato di ripercorrere velocemente lo sviluppo della medicina darwiniana e di dimostrare l’idea secondo la quale la fondazione della disciplina da parte di Williams e Nesse è stata caratterizzata da un forte accento teorico, mentre lo sviluppo successivo si è rivolto in una direzione più pratica e in campi che hanno comportato la perdita della generalità della teoria.
Tuttavia, pur mantenendo costante l’impegno nella ricerca sperimentale, si dovrebbe prestare particolare attenzione anche allo sviluppo della parte teorica generale, sia perché altrimenti si rischia di perdere l’identità della disciplina, sia perché la relazione fra malattia, adattamento e selezione naturale merita uno studio a  parte che potrebbe essere utile nel campo medico e nello sviluppo stesso della teoria dell’evoluzione. 


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ZAMPIERI, F. (2006), Storia e origini della medicina darwiniana, “Mattioli 1885”, Parma.

 

 

Autore: Fabio Zampieri
Research Associate
“The Wellcome Trust Centre for the History of Medicine”
UCL London
Fonte:http://www.pikaia.eu/EasyNe2/Archivi/Pikaia/ALL/0000/168A.doc

 

Charles Darwin origine delle specie e biografia

                                                                                                                                          
DARWIN

Darwin formulò la sua teoria a metà dell’800 quando i tempi erano maturi per  rivedere  le idee fino ad allora dominanti. Sono qui schematizzate le tappe fondamentali del pensiero umano a proposito dell’origine delle specie e della vita.
La creazione
La creazione divina del mondo è un’idea comune a tutte le religioni . L'Uomo è frutto di una creazione separata  a volte  in qualche modo negativa: punizione, prova ecc. La Bibbia, quindi la nostra cultura,  considera chiaramente l'uomo  padrone della natura che possiede (= da il nome agli animali) e che è al suo servizio. La Bibbia dice pure che l’Uomo la deve rispettare ma è comunque una visione fortemente antropocentrica. Tipico dei bestiari medioevali è le  descrizioni  degli animali in funzione dei valori morali che  rappresentano. Allo stesso modo le piante sono degne di attenzione solo se sono fonte di nutrimento o se sono medicinali. Ancora oggi molti si domandano perché esistono certi animali o certi parassiti “ dal momento che non sono utili, anzi dannosi”....... all’uomo ovviamente. Difficilmente si domandano cosa serva l’Uomo al resto della natura.
Anche le regole sociali (= leggi)  sono state sempre considerate di origine divina e non era  assolutamente  concepibile nessun comportamento morale fuori dalla religione. Praticamente tutte le civiltà hanno fondato il potere temporale sulla religione ( fanno eccezione i greci e, in parte. i romani ) e i vari re sono stati incoronati ” per volontà di Dio” mentre la volontà del “popolo” ha fatto la sua comparsa in Europa solo alla fine del ‘700.
La generazione spontanea
Con l’idea di creazione  ha convissuto tranquillamente e senza contraddizioni anche l’idea che non tutti gli animali siano stati creati con una scintilla divina. Quelli  di cui non se ne vedeva l'utilità o che comunque non ne apparivano  degni, potevano  avere le più stravaganti origini. Era  radicato il concetto di esseri  superiori e inferiori tanto da credere che vermi, mosche ecc. ( evidentemente inferiori) fossero anche semplici ( tutte idee radicate ancora profondamente) e che quindi potessero  generarsi spontaneamente dal fango, dal putridume, ecc. Si deve arrivare al 1600 con Redi per  dimostrare che la generazione spontanea delle mosche non esiste ( la carne putrida, se coperta con una garza, non sviluppa mosche; se si permette ad una mosca di deporvi le uova, queste si formeranno). Tuttavia anche dopo la scoperta, con il  microscopio,  dei microrganismi, si da per scontato la loro generazione spontanea dall’acqua stagnante e si deve arrivare alla seconda metà dell’800 con Pasteur per dimostrarne l’infondatezza.
Quest’ultimo dibattito ha contribuito a trasformare completamente la medicina e la chirurgia: se molte  malattie sono causate da batteri e virus parassiti, si possono evitare evitando il contagio; se i batteri non si generano spontaneamente, le infezioni delle ferite sono provocate dal contatto con materiale infetto e si possono prevenire sterilizzando i ferri chirurgici. Fino ad allora le malattie erano  interpretate solo come squilibrio degli umori del singolo malato  per cui non esisteva il concetto di contagio; anche   la cancrena delle ferite era considerata uno squilibrio del malato.

'700 - Il fissismo - Linneo
Le nuove scoperte geografiche impongono la sistemazione dei nuovi  dati.  Linneo inventa un sistema di classificazione geniale per animali e piante ( classificazione binomia , tuttora valida), che si basa sul concetto di specie.  Pubblica a metà del 700 il Systema Naturae, nella cui introduzione spiega che ”species tot numeramus quot a principio creavit infinitum Ens”.  Questa è la sua definizione di specie, scientificamente poco utile ma  che riassume il principio secondo cui esse sono, oggi, quelle determinate, allora,  all'atto della creazione.  Linneo ritiene  che il destino dell'uomo sia  quello di  descrivere l'opera di Dio, onnipotente e onnisciente, che desta  ammirazione e sbigottimento.


 

                                                                                                                                                    2.
La frase di Linneo è considerata l’enunciazione del fissismo o, come oggi si dice, del Creazionismo. E’ errato pensare che Linneo ne sia l’ideatore: egli si limita ad enunciare ciò che tutti pensavano da sempre.
N.B.: la definizione di specie è tuttora difficile: è comunque accettata quella che definisce appartenenti alla stessa specie due individui   interfecondi e  che diano prole interfeconda quindi con un patrimonio genetico uguale e allineato sui cromosomi nello stesso ordine.

Sempre nel ‘700 diventa sempre più di moda il collezionismo ( particolarmente importante per i fossili).- L' Enciclopedie di Diderot e D’Alambert  introduce il concetto di specializzazione nelle varie scienze - La Rivoluzione Industriale porta  problemi nuovi ( ricerca delle materie prime) e   conoscenze nuove ( scoperte geografiche, spaccati stradali ecc.).

Tra '700 e  i primi del '800
Le osservazioni sulla natura e struttura delle rocce porta con sé  il problema dell’età della Terra e della sua origine: creata, quindi con una data di nascita ?  O eterna ma con cicli (catastrofismo)? La quantità e varietà  dei fossili scoperti  impone domande sull’origine  e la scomparsa di questi organismi.
Buffon propone timidamente l’idea del “trasformismo”  ( gli organismi possono trasformarsi nel tempo).
Priesley scopre che un topo chiuso in una campana di vetro con una pianta  non muore soffocato 
( la scoperta della fotosintesi.): le piante purificano l'aria e quindi sono tutte utili , non solo quelle utili all’uomo. La visione antropocentrica della natura riceve un piccolo scossone.

Jean Baptiste Lamarck, professore al Museo di Storia Naturale di Parigi tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, è il primo a  pensare che i cambiamenti nel mondo organico e inorganico siano dovuti  a leggi di natura e non ad interventi miracolosi. Procede in modo   non  scientifico perché prima individua le leggi e poi elenca le  prove a sostegno. Tuttavia ha il merito  fondamentale di avere introdotto il concetto, anzi la parola , “evoluzione”. Le leggi  ( tutte errate) sono:
- L’ambiente influenza gli organismi e  li può modificare
- le modificazioni possono avvenire per l’uso e il non uso  degli   organi
- I caratteri acquisiti sono ereditari
- Gli organismi tendono a progredire
Egli parte dall’idea che è impossibile che la natura ( o il Creatore), quando ha creato le  specie,  abbia previsto tutte le circostanze e gli ambienti, fornendole del necessario per adattarsi. Invece è più   verosimile che la natura abbia complicato  gradualmente gli animali man mano che si diffondevano, con l'influenza delle circostanze, inducendo le modificazioni necessarie all’adattamento.
Le idee di Lamarck che prevedevano l'influenza dell'ambiente sugli animali,  fa si che essi non siano figli del Creatore, ma “nati dalla materia bruta”  e da questa plasmati, per di più secondo leggi. Viene scosso il concetto del mirabile  disegno divino e della superiorità dei viventi (e di certi viventi su altri).
La visione antropocentrica della natura riceve un ben più consistente scossone perché, come Copernico aveva spostato la Terra dal centro dell'Universo,  l'Evoluzionismo sposta l'Uomo dal centro dei viventi. Allora l’uomo non è l’immagine di Dio? Se l'Uomo non è  l'immagine del suo Creatore, non è più predestinato a dominare il  mondo? Che fondamento e motivazioni ha il comportamento morale dell’Uomo se non è stato creato da Dio? E le leggi che regolano la vita degli uomini non hanno una origine divina? C’è di che comprendere lo sbigottimento dei benpensanti.


3.

Comunque le sue idee ebbero diffusione solo fra gli addetti ai lavori, naturalisti e  paleontologi, che le conoscevano perché contenute nella prefazione del suo libro sulla classificazione degli invertebrati, testo utilissimo e usatissimo, ma era molto facile smontare le sue conclusioni  quindi Lamarck non fece paura a nessuno.
Lamarck sta a  Darwin come  Wegener sta alla teoria della  Tettonica delle Placche: l’idea è buona ma i mezzi per dimostrarla sono  decisamente sbagliati. 
Di  Lamarck rimarrà però ancora per un secolo  l’idea sbagliata della ereditabilità dei caratteri acquisiti, accettata, senza prove, perché sembrava  logica e di buon senso. Rimane ancora oggi la sua idea di “progresso” in quanto spesso si parla di evoluzione pensando ad un “miglioramento”, mentre l’evoluzionismo darwiniano parla  di adattamento e di complicazione. Per capire quanto siano differenti questi concetti è bene  notare che l’adattamento e la complicazione sono considerati oggi la  causa  principale della estinzione: una eccessiva complicazione ed un adattamento troppo
specifico per un determinato ambiente,  espone la specie a gravi rischi per non sapersi adattare a piccoli cambiamenti ( un esempio è il panda, adatto a mangiare “solo” germogli di bambù).

Couvier:  di umili origini, lavoratore infaticabile, rimasto in sella dal  Direttorio, a Napoleone, alla Restaurazione come potente barone  universitario, professore di Historia Naturalis ( si osservi che il termine “historia” significa  “descrizione” e non contiene il concetto di scorrere del tempo).
In seguito ai grandi ritrovamenti di fossili del Mesozoico proprio  vicino a Parigi., trova i criteri per ricostruire la struttura di un   animale,  partendo da frammenti ed è per questo ritenuto il fondatore della Paleontologia e dell’Anatomia Comparata. E’ un forte ed autorevole sostenitore del fissismo ed è in grado, per il suo prestigio, di ridicolizzare le idee di Lamarck. E' innegabile che i fossili da lui  ritrovati e studiati  siano la testimonianza  di animali estinti ma  li spiega ammettendo che  vi siano state catastrofi o rivoluzioni del globo , come il Diluvio Universale  e ogni  regione sia stata poi ripopolata da animali di regioni vicine. C'è da dire a sua discolpa che le scoperte di fossili erano appena agli inizi e non davano un quadro continuo ma fortemente discontinuo del succedersi degli animali. I suoi allievi e successori arrivarono a postulare 27 diluvi! Il catastrofismo venne subito accettato dai benpensanti in quanto non è in contraddizione con la teologia e può prevedere una creazione separata dell’Uomo.
Comunque la Paleontologia e l’Anatomia Comparata sono le branche della Biologia che  più hanno contribuito all’affermarsi dell’Evoluzionismo.

 Lyell - Pubblica nel 1836 “ Principles of Geology”. Introducendo il parametro tempo  nello studio della Terra, enuncia il Principio dell'Attualismo che infligge il colpo mortale al catastrofismo.
( Gli eventi del passato sono accaduti cosi come li osserviamo attualmente)


 Darwin


Nasce nel 1809 a Wedwood. Va malino a scuola, legge da giovane Lamarck e lo rifiuta come tutti; avviato a  fare il pastore, studia a Cambridge. Appena diplomato, gli viene offerto il posto di naturalista per un viaggio a scopo scientifico intorno al mondo sul Beagle, viaggio  scomodo e  a sue spese, che doveva durare due anni e  ne durò cinque.(‘31-  ‘36). Tiene un accurato diario da cui  si vede che  le osservazioni sono di tutti i generi anche politiche e morali e  indicando uno spirito decisamente liberale ( denuncia la situazione degli schiavi. spagnoli in Am.  Latina e il comportamento degli inglesi in Australia).  Alcune osservazioni sono divenute importanti col  senno di poi: ossa di grandi animali in zone desertiche ( nei deserti   non dovrebbero mai aver vissuto animali  di grande taglia; trovarne i resti fa pensare che sia avvenuto un cambiamento climatico); osserva roditori ciechi (un adattamento all’ambiente? e  cita Lamarck);   gli animali introdotti dagli spagnoli avevano scalzato  i locali (esiste una competizione tra specie? );  un ramo di un fiume

 


4.
colpito da siccità era pieno di ossa di animali ( cosa penserà  un geologo del futuro? ad una catastrofe ? Mentre il fenomeno è evidentemente frequente  e lento);   gli abitanti della Terra del Fuoco non sono civilizzati perché  non hanno un capo, non vi è proprietà privata nè competizione (prime osservazioni sul concetto di competizione nella società); gli uccelli delle Galapagos sono diversi in ogni isola ( osserva che le differenze sono funzionali agli ambienti diversi e tali da evitare competizioni);  un terremoto nel Perù da cui deduce  un'ipotesi del sollevamento delle Ande che non sono sempre state così;  gli atolli corallini ( formula l’ipotesi sulla loro origine molto simile alla attuale).
Nel '37  scrive il primo appunto sull'origine delle specie.   Nel 1838 gli  capita tra le mani il libro di Malthus del 1798   sull’aumento della popolazione e sulla conseguente prevedibile scarsezza di cibo, da cui Malthus deduce che non  bisognava dare assistenza   ai poveri: "il povero viene al banchetto della natura e non trova  posto libero per se"; del resto, dice sempre Malthus,  ogni specie vivente tende ad   accrescersi ad un ritmo superiore di quanto i mezzi di sussistenza gli  consentano.

Darwin ci rimugina per 4 anni prima di scrivere ma intuisce  subito che  l'idea buona è di considerare la lotta per la sopravvivenza come il  mezzo per conservare le variazioni vantaggiose.  Intuisce  che la   soluzione del problema è proprio nelle piccole  differenze tra gli individui,  ovvero nella   variabilità della specie.  Le piccole differenze possono essere vantaggiose o no e saranno determinanti per  permettere la sopravvivenza del più adatto.
Nel '56 scrive ma non ha il coraggio di pubblicare.
Nel '58, Lyell , suo amico, gli porta  un breve saggio di Wallace, giovane naturalista, sulla tendenza delle varietà a  staccarsi indefinitamente dal tipo originale, che conteneva  l’idea  della evoluzione per selezione naturale e lo convince a pubblicare le sue idee ben più complesse e ponderate. Nel ‘58 fa pubblicare alcuni saggi insieme a quello di Wallace. Nel ‘59 pubblica “L’Origine delle Specie”. La prima edizione di 1250 copie si esaurisce in un giorno. In 25 anni  vendette 28.000 copie, numero eccezionale per l’epoca.
I rapporti con Wallace furono ottimi: fu Wallace a coniare il termine darwinismo.

Le idee esposte nel libro sono oggi entrate talmente nella nostra mentalità che facciamo fatica a comprendere come per spiegarle ci voglia un intero libro: ogni specie genera più individui di quanti non ne sopravvivano;  i figli non sono uguali né ai loro genitori  né tra loro ( variabilità della specie); le piccole variazioni interne alla specie sono ereditabili (mutazioni); per sopravvivere bisogna essere adatti all’ambiente; solo i più adatti sopravvivono e daranno vita alla generazione successiva che non sarà uguale a quella precedente; piccole variazioni e molte generazioni possono dare origine a individui  diversi dall’originario e quindi ad una nuova specie più adatta all’ambiente.
L’evoluzione è questione di tempo: anche in questo caso l’introduzione del  fattore tempo è determinante per rivoluzionare il modo di vedere la natura, così come lo era stato con Lyell e la geologia. Il tempo biblico ( solo 5.000 anni ) non è più ragionevole.
Il libro di Darwin fu pubblicato quando ormai i  tempi erano maturi per ricevere una ipotesi unificante : fino ad allora le scienze naturali si erano limitate a raccogliere dati e descrizioni, ora si sentiva la necessità di spiegare le osservazioni prima isolate e frammentarie.  Alla luce della teoria si può innanzitutto comprendere differenze e  somiglianze tra le specie, poi la successione delle specie  che si incastrano così bene nel castello della classificazione,  con una motivazione, si comprendono i fossili, gli organi rudimentali, ecc. E’ proposto un metodo di indagine e la possibilità, con delle regole, di comprendere l’insieme dei viventi, senza bisogno di " spiriti vitali" o entità metafisiche. La biologia diviene una scienza  capace di formulare leggi, ipotesi e teorie e non solo di classificare. 


                                                                                                                                                   5.

L’evoluzione è un fenomeno la cui velocità è proporzionale alla velocità di riproduzione per cui la possiamo verificare con facilità solo nei microrganismi (per es. batteri resistenti agli antibiotici, virus dell’AIDS) e la sfruttiamo ( selezione di organismi utilizzabili per la produzione di antibiotici, o per la fermentazioni, piante con frutti migliori o  resistenti a malattie ecc.).
Il concetto di “evoluzione” ha fatto il suo ingresso in altre scienze: si parla dell’evoluzione dell’Universo, degli elementi chimici ecc,  nel senso che in altre scienze è entrato il concetto delle variazioni nel tempo che portano a complicazioni delle strutture, originariamente più semplici.

Una curiosità: Darwin  usa la parola “evoluzione”  solo nell’ultima riga dell'ultima pagina del suo libro.

.Il Darvinismo venne così riassunto dai suoi detrattori: la teoria nega le creazione  e dice che l'uomo discende dalla  scimmia. Nega  dunque Dio e la spiritualità dell’Uomo, nega la  morale divina e le sue leggi dunque  mina le leggi e perfino la legittimità del potere dei sovrani. Darwin, al contrario di Lamarck, mise subito paura perché si comprese  la serietà del suo lavoro che  non poteva essere  facilmente confutato. Lui stava veramente detronizzando l’Uomo e le sue idee non potevano essere ridicolizzate. I benpensanti  non potevano non preoccuparsi di qualcosa che minava così seriamente dalle fondamenta la loro morale e della loro politica.

E' evidente che Darwin ha contribuito al travolgente diffondersi delle correnti di pensiero materialiste e meccaniciste  e poteva servire per negare la creazione biblica. Ma questo  non era il suo l'intento. L'obiezione più forte e sentita dai vittoriani era fondata sul buongusto e il conformismo tanto che l’aspetto della teoria dell'evoluzione  che colpiva di più  è la derivazione dell’uomo dalla scimmia ( oltre ad essere il più sbagliato: casomai uomini e scimmie attuali hanno in comune un antenato).
Disraeli ,per esempio, osserva che bastava  considerare le leggende di tutti i popoli a proposito della creazione per capire come l'uomo preferisca considerarsi discendente  da un angelo caduto piuttosto che da una scimmia evoluta. I sentimenti  dell’epoca sono ancor più chiaramente sintetizzati da una frase vera di una signora in un salotto intellettuale : “Sarà pur vero che l'uomo deriva dalla scimmia, ma almeno non diciamolo: che non lo si venga a sapere!”.

Ciò che più spiazzava tali benpensanti era il fatto che  Darwin  appartenesse alla loro stessa classe sociale e non aveva atteggiamenti contestatori, viveva di rendita in campagna, era molto timido e riservato, aveva atteso e studiato per 20 anni prima di pubblicare, e per di più, anche  se dichiarerà chiaramente di aver perso  la fede nella sua autobiografia  pubblicata postuma, non si proclamò mai ateo.
Il suo libro è scritto con chiarezza, è articolato logicamente, è documentato, non contiene affermazioni categoriche ma spunti di  riflessione, mette in evidenza ciò che ancora non è noto ( in primo luogo l'eredità), cita numerosissimi autori. Introduce il primo concetto fondamentale della sua teoria, quello di selezione e sopravvivenza del più adatto, descrivendo la selezione compiuta dagli allevatori per migliorare le razze degli animali domestici, pratica conosciuta  da qualunque e benpensante signorotto di campagna.
Soprattutto contiene poche idee chiare e moltissime risposte a possibili obiezioni. Darwin ammette che il successo del suo libro è anche dovuto al fatto che, in tanti  anni di esitazioni ed di edizioni preliminari, ha appuntato subito le  tante obiezioni che gli venivamo rivolte per cui ha avuto modo di rispondere ad esse già nella prima  edizione uscita. Pare che nessuno sia mai riuscito, in dibattiti pubblici, a porgli una obiezione la cui risposta non fosse già contenuta nel libro.


6.
All'obiezione fondamentale di negare l'opera di Dio, rispondeva che invece l'opera del Creatore appare ancora più grande se Egli ha creato   una o poche forme originarie capaci di differenziarsi in tutte le altre.
Darwin è decisamente un liberale e lo dimostra già dal suo diario di bordo ma non si impegnò politicamente.  E indubbia la sua influenza sulla cultura moderna per la visione storica del mondo organico e l'interpretazione scientifica della sua storia.
Marx e Engels lo apprezzarono moltissimo. Marx gli inviò una copia con dedica del " Capitale" e gli chiese di potergli dedicare un altro libro.  Ma Darwin  rifiutò con una lettera molto poco convincente ( che era troppo occupato per leggere quel libro) perché non  voleva coinvolgimenti politici e ed avere fastidi frequentando quei noti atei.
Le critiche furono  tutte furibonde, cattive, non documentate.  La risposta della Chiesa anglicana  fu violenta. La posizione della Chiesa era  che gli indizi che noi  troviamo quando ricerchiamo le cause degli eventi  sono stati deliberatamente posti da Dio per fuorviarci e metterci alla prova ( questa posizione è tuttora quella di tutti gli integralismi  religiosi, in particolare per i fossili).
Poi però delle idee di Darwin se ne approprieranno i politici per giustificare il colonialismo, il razzismo e il capitalismo e  Darwin venne riabilitato. Egli  non condivise mai queste estrapolazioni ma era fin troppo facile considerare le razze umane e i popoli come protagonisti di una lotta per la sopravvivenza  con la vittoria del più forte in quanto più adatto al dominio ( ovviamente gli Inglesi). Infatti Darwin  fu  sepolto a Westminster.

 

Darwin in Italia

 

L'ambiente scientifico italiano non era pronto ad entrare nel contesto   internazionale e scarsi furono gli echi del dibattito sia su Lamarck  che su Darwin. Quando nel 1864 Filippo De Filippi, zoologo di Torino, ne divulgò le idee in  una conferenza ( = letture popolari che venivano normalmente svolte nelle Università), la cosa suscitò grande scandalo e quando morì  nel   '67  si parlò del grande peccatore evidentemente pentito in estremis dal momento che era stato seppellito regolarmente, dando per scontato che, per aver anche solo nominato Darwin, fosse stato scomunicato.
Una analoga  conferenza del ‘68  a Firenze di Herzen, scienziato russo, scatenò l’abbate  Lambruschini, senatore che passava per illuminato, docente di antropologia, anche lui di Firenze, che oltretutto non aveva neanche  assistito alla conferenza. Era scandalizzato dall’idea dell’inutilità di Dio  sostituita da una legge ineluttabile ma soprattutto “si deve considerare l'educazione morale e civile di un popolo cui si annunzia  la sua filiazione da una bestia”.  Tommaseo si scaglia contro chi dice che “gli italiani  discendono dalle scimmie”  ( scrive un libello in forma di 10 lettere polemiche  e ironiche). Si cimenta nella polemica anche il socialista  De Amicis.
Poi, essendo evidente che ci si doveva rassegnare alle idee  di Darwin, in ambiente cattolico nascono nella prima metà del ‘900 le scuole di evoluzionismo creazionistico: l'evoluzione è interpretata come il cammino di un disegno prestabilito, quindi finalistico, che comunque ha per fine l'uomo, che è in  cima alla scala. Va ribadito invece che il darwinismo è l’opposto del finalismo in quanto le piccole variazioni tra un individuo e l’altro sono rigorosamente casuali  ( mutazioni) e non contengono alcuna previsione di successo o insuccesso fino al loro  misurarsi con l’ambiente.
Nel 1875  Darwin venne fatto membro dell'Accademia dei Lincei.  La Chiesa Cattolica, con Giovanni Paolo II,  lo ha “riabilitato” nel 1996.
I sostenitori
I sostenitori di Darwin della fine dell’800 furono a volte altrettanto fanatici ed esagerati
Francis Galton, cugino di Darwin, dai molteplici interessi, crea  con il nome di Eugenica   la disciplina che si propone di ottenere il   miglioramento della specie umana eliminando o prevenendo i caratteri ( psichici  e fisici) sfavorevoli. Per inciso solo Hitler ebbe idee simili!!!


7.
Ernst Haeckel, tedesco darwiniano convinto, ipotizzò che la  ontogenesi (lo sviluppo embrionale) ricapitola la filogenesi ( l’origine della specie); fu  ridicolizzato  perché molto fantasioso e propenso a riempire ( cioè ad inventare) gli spazi vuoti. La vita   avrebbe avuto origine da cellule informi e anucleate, le Monere (dal  greco "unico"), da lui trovate ma che poi si rivelarono un artefatto. Ma il nome Monere  è rimasto per indicare  il  Regno degli organismi più semplici.
Alfgred Spencer - 1823-1913-  crede che l'evoluzione possa spiegare i  fatti di tutte le scienze - Per il rapporto tra individuo e stato, enuncia  una sorta di manifesto dei principi liberali. E’ fermamente contrario a qualunque intervento  statale per consentire lo sviluppo "naturale" della società: da una  società militare in cui la cooperazione è per costrizione, a quella industriale in cui è volontaria.   
Le sue idee portano alla giustificazione del razzismo e del colonialismo ( i bianchi  del Sud Africa hanno sostenuto  che l’Apartheid, ovvero la rigorosa separazione tra bianchi e neri,    era  un beneficio per i negri che, solo se separati, erano  “liberi” di  evolversi  senza “l’influenza” della società bianca).
Darwin spiega tutto?
Fu subito evidente che l’embriologia, la paleontologia, la classificazione portavano prove convincenti al darwinismo. L’evoluzione per selezione ed adattamento all’ambiente spiega  in modo convincente la nascita di specie vicine ( microevoluzione). Non spiega, e non lo spiega tuttora, la
macroevoluzione ovvero l’origine di organismi completamente diversi dai precedenti ( anfibi dai pesci o uccelli  dai rettili ecc) La paleontologia continua fornire prove dell’esistenza di forme intermedie ma i grandi salti rimangono poco spiegati. Ciò non toglie che per i biologi il darwinismo sia la teoria di riferimento insostituibile.
Fino ai primi 50 anni del ‘900 il darwinismo fu accettato ma con diffidenza e tutto sommato con interesse affievolito.  Il tassello mancante era il meccanismo dell’eredità.
Mendel pubblica le sue leggi nel 1869 ma non viene nè letto nè apprezzato. Si deve arrivare al 1900 perché le sue leggi vengano riscoperte e interpretate. Si scoprono le mutazioni ovvero le piccole
variazioni che spiegano la variabilità della specie ipotizzata da Darwin.
Il dibattito di fondo sulla eredità però rimane: l’ambiente può indurre modifiche ereditabili o no?
( = eredità o meno dei caratteri acquisiti).
Ai primi del ‘900 viene affidato a Morgan, americano, l’incarico di studiare il problema. Egli è convinto dell’ereditabilità dei caratteri acquisiti e mette su un laboratorio scegliendo come animale da esperimento il moscerino della frutta ( Drosophila Melanogaster). Cerca mutazioni ereditabili, le trova e trova anche che le variazioni acquisite non sono ereditabili.
Lisenko, biologo russo, amico di Stalin, partecipò alla costruzione  della Russia sovietica. Il Darwinismo era divenuto chiaramente  una componente della ideologia di destra per cui bisogna adattarlo. In particolare il fatto che l'ambiente non eserciti cambiamenti ereditabili mette in crisi una società che vuole fondare una nuova  uguaglianza  sulle eguali opportunità e nella quale non ci può essere  più posto per eredità aristocratiche. Lisenko si impegna a dimostrare  l'ereditabilità dei caratteri acquisiti e vi riesce con un esperimento  sul grano adatto alla pianura e quello adatto alla montagna: dimostra che  l'ambiente di montagna rende il grano di pianura capace di vivere in   montagna e viceversa.
Molti sono interessati ai suoi esperimenti, in  particolare Morgan a New York che trovava esattamente il contrario   nonostante le sue convinzioni. Vennero richiesti i dati ma nulla  arrivò
perché l'esperimento era sbagliato e le conclusioni  falsificate. Ma  Lisenko era diventato presidente dell'Accademia delle Scienze e potentissimo politicamente per cui in URSS per 50 anni, fino  alla sua morte, non si poté parlare né di genetica e né  di darwinismo, pena la Siberia.
Nel  laboratorio di Morgan invece nasce la Genetica moderna che dimostra l’esistenza dei geni (unità di informazione e di trasmissione ereditaria) e la  loro localizzazione sui cromosomi. La natura dei cromosomi rimane ignota fino agli anni’50 quando Wotson  e Crick scoprono la struttura del DNA. Da allora sono state trovate molte spiegazioni  sul meccanismo del loro funzionamento e


8.
dei meccanismi stessi dell’evoluzione. Si è confermato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la meravigliosa e incredibile abilità degli organismi  di adattarsi  e di risolvere i problemi più diversi tanto che non è assolutamente conveniente inventare per  imitarla; piuttosto è conveniente trasferire geni da un organismo ad un altro per risolvere,  in un organismo,  i problemi già risolti da un altro (OGM).
La nuova sintesi
Si chiama Nuova Sintesi la teoria di Darwin, arricchita di tutte le scoperte successive e collegata alle scoperte sull’eredità. La scoperta del meccanismo della sintesi proteica, i molti meccanismi noti che consentono la variazione del DNA, oltre a spiegare l’evoluzione, confermano inequivocabilmente l’impossibilità dell’eredità dei caratteri acquisiti. Oggi si parla di Dogma Centrale della Biologia” che si può riassumere così: le informazioni vanno dal DNA all’RNA e mai viceversa. Detto in altro modo: perché esista una funzione, deve esistere un enzima o comunque una proteina la cui sintesi  dipende dalla pre-esistenza del DNA corrispondente. Nessun meccanismo permette la formazione di nuovo DNA con una funzione finalizzata ed  ereditabile. Tale principio è il fondamento della biologia e quindi del darwinismo moderno.

L’origine ella vita - Si accetta ormai da parte di tutti che la vita sulla Terra abbia avuto origine da forme molto semplici e per lo meno lo studio di questo argomento non è più oggetto di anatemi. Tuttavia non vi  è nessuna teoria ma solo molte ipotesi convincenti e sperimentate, basate sulla composizione dell’atmosfera primitiva che dimostrano come l’ambiente naturale sia compatibile con la formazione di tutte le sostanze di cui sono composti i viventi. Tutte queste ipotesi hanno come ovvia  conseguenza, se vogliamo essere copernicani,  la possibilità di vita ovunque vi siano condizioni simili alle nostre e questo rende particolarmente importanti le indagini sulla eventuale vita extraterrestre. Trovare e studiare di forme di vita su Marte o altrove è una degli obiettivi più ambiti della ricerca  spaziale.
Il creazionismo però non è morto e come abbiamo detto è fortemente sostenuto da tutti gli integralismi religiosi e l’evoluzionismo continua ad essere visto in certi ambienti come motore di immoralità e di allontanamento dai valori religiosi.
Particolarmente interessante è il dibattito negli  USA. Molti Stati del Sud proibirono l’insegnamento del darwinismo nelle scuole statali. Nel 1925  un professore di scuola media nel Tennessee, Jhon Scopes, sfidò le autorità ma  fu sconfitto in tribunale che lo condannò semplicemente perché aveva violato la legge senza voler entrare nel merito se quella legge fosse giusta o meno. Si dovette arrivare al 1968 con nuove sfide e nuovi processi per l’abrogazione definitiva di queste leggi da parte della Corte Suprema. Ciò dipese soprattutto  dal fatto che nel 1957 l’URSS lanciò lo Sputnik, il primo oggetto terrestre ad uscire dall’atmosfera e  questo successo della scienza sovietica gettò nella costernazione la società americana che si impegnò a migliorare e modernizzare la sua educazione scientifica scolastica mettendo al lavoro i migliori cervelli.
L’associazione dei biologi produsse un testo scolastico, il BSCS,  che rivoluzionò il modo di insegnare la biologia , perché, non più solo descrittiva, era centrata sull’evoluzionismo e sui  
meccanismi chimici della vita. In Italia il testo arrivò negli anni ‘70, apportando  benefici effetti.
I creazionisti però non si sono scoraggiati e a partire dagli anni ‘70, hanno  impostato in modo diverso la loro campagna., non più con motivazioni etiche e religiose, ma con argomentazioni
esposte con linguaggio pseudoscientifico: nascono le così dette “teorie creazionistiche” con libri, opuscoli, articoli, di nessun contenuto scientifico. Innanzitutto bisogna sottolineare che di “teoria” hanno solo il nome in quanto non procedono con nessun rigore accettabile scientificamente (ovvero  leggi, poi ipotesi, poi conferma attraverso una previsione) e di solito si limitano a sottolineare ciò che i darwinisti sanno benissimo e che cioè la macroevoluzione non è completamente spiegata. E’ ovvio poi che  tra coloro che studiano l’evoluzione vi sia un vivace dibattito sull’importanza di questo o quel meccanismo di selezione, ma  questo dibattito non può essere visto come negazione del darwinismo, come fanno i creazionisti, ma piuttosto come una “evoluzione” dell’evoluzionismo.


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Comunque Regan per assicurarsi i voti dei più conservatori degli stati del Sud, mise nel  programma elettorale del 1980 l’impegno che i libri di testo scolastici avrebbero dovuto dare lo stesso risalto alla teoria di Darwin e alle “teorie” creazionistiche. Sia Bush Senior che Junior hanno fatto qualche cosa di molto simile. Solo pochi anni fa  la Corte Suprema ha finalmente negato la possibilità di insegnare il Creazionismo nel programma scolastico  di Biologia, non perché sia  una “bufala”, ma perché nella scuola pubblica americana è tassativamente proibito parlare di religione.
Una via per far convivere religione e darwinismo è stata percorsa da quasi tutti i gruppi religiosi: si immagina che l’evoluzione ci sia stata ma che  abbia un fine imposto da Dio, il quale,  fin dall’inizio ha dato la possibilità alla natura di evolversi. Questa visione è detta Neolamarckiana, in quanto, come Lamarck, si premette un fine alla storia della natura. Visto che i creazionisti non riescono ad ottenete crediti scientifici, ora in America si punta su ID ( intelligent design) anche questo imposto in molte scuole. Si basa sempre e solo sul fatto che il darwinismo non spiega tutto e che sembra che ci sia un “disegno” per ottenere un cambiamento utile all’evoluzione.
In Italia, “Le Scienze”, l’unico mensile italiano  di divulgazione scientifica di alto livello, ha pubblicato un articolo “creazionista” due mesi dopo le elezioni di Berlusconi nel 1994. Poi ci ha riprovato la Moratti a proibirne l’insegnamento nelle scuole medie con la scusa che è troppo difficile ( ma tali sono state le proteste che ci ha ripensato). Spero  che il futuro non ci riservi analoghe bestialità anche perché ormai Darwin è stato riabilitato dalla Chiesa!!
Sempre negli USA è stato particolarmente violento il dibattito sull’eredità dell’intelligenza.  Con una evidente contraddizione, la parte più conservatrice della società si è dimostrata improvvisamente darwinista e ha tentato di sostenere l’eredità dell’intelligenza e la conseguente inutilità di fornire scuole di buon livello alle classe sociali inferiori che sono tali per minore intelligenza ( Malthus colpisce ancora!!). Viceversa la parte più “liberal” sostiene che, anche
ammesso che in parte l’intelligenza sia ereditaria,  ciò che conta è l’ambiente in cui questa ha la possibilità di esprimersi e svilupparsi e che quindi lo Stato deve impegnarsi per offrire le migliori condizioni possibili a tutti i cittadini, in particolare a coloro che siano sfavoriti dall’ambiente familiare.  Il colpo decisivo ai conservatori fu dato da una ricerca sull’intelligenza dei bianchi e dei negri: i bianchi del Sud sono più intelligenti dei negri del Sud, i bianchi del Nord sono più intelligenti dei negri del Nord ma poiché  quelli del Nord sono più intelligenti di quelli del Sud , ....sorpresa!.. i negri del Nord sono più intelligenti dei bianchi del Sud!!!! A questo punto i bianchi del Sud hanno  potuto salvare la faccia solo invocando l’ambiente come colpevole.
Questo dibattito, non altrettanto evidente e non vissuto con la partecipazione di tutti come è avvenuto negli USA, è lo stesso che è alla base della  riforma della scuola italiana negli anni ‘60 nonché, si spera, delle future riforma: le scuole pubbliche sono le uniche che possono assicurare un
servizio a tutti i cittadini e quindi devono essere migliorate usando tutte le risorse disponibili, quelle private a pagamento sono riservate comunque ai ricchi  che, avvantaggiati dal loro stesso ambiente, non hanno bisogno  ad ulteriori aiuti statali.
I temi di oggi
La biologia ha compiuto enormi progressi nella conoscenza e nelle applicazioni nella seconda parte del XX secolo, così come la fisica ne aveva fatti nella prima metà. Come prima sui i fisici, ora sui biologi si concentra il dibattito sulla etica della ricerca e sulle conseguenze morali di certe sue applicazioni. In effetti in mano alla biologia vi sono bombe altrettanto potenti di quella atomica.
Il riduzionismo:- Dagli anni ‘70 in poi, un nuovo tema anima il dibattito tra i biologi. Lo sviluppo tumultuoso della biologia molecolare e suoi indiscutibili successi si è essenzialmente basato su ricerche “in vitro” ovvero su  cellule coltivate in condizioni controllate, cosa che permette di “ridurre” al minimo i parametri da studiare. Trasferire i risultati di simili indagini all’organismo
intero è visto da molti come indebito e pericoloso perché si perde di vista la complessità del vivente e ancora di più quella dell’intero ecosistema. Anche in questo caso si sono distinti fanatici  in tutti e


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due i campi ed è più probabile che il giusto sia nel mezzo: ci si deve sforzare di non perdere mai di vista l’insieme ma la riduzione dei parametri è l’unico modo serio di procedere nella ricerca.
Le regole - Nuovi dibattiti nel mondo della Biologia ci stanno coinvolgendo e siamo chiamati tutti, come cittadini, a dare regole alla società sui limiti morali delle manipolazioni biologiche, ingegneria genetica, trapianti, procreazione ecc.
Tra i temi più scottati si ricorda:
1 - Trapianto degli organi:- Regole più severe sul “ contrabbando” ( provenienza degli organi, liste
di attesa certe, età del trapiantato ecc.)
2 - L’uso di feti  e le cellule staminali ( si è scoperto che le cellule fetali non sono rigettate e quindi
particolarmente adatte ai  trapianti: perché non fare un “allevamento” di feti allo scopo?)
3 - Ingegneria genetica e gli organismi transgenici (OGM):
- pericolo di “fuga” di batteri trasformati.
- pericoli delle guerre biologiche.
- pericolo di impatto ambientale di specie trasformate o a causa di specie trasformate ( è il caso
della   soia trasformata  per resistere all’azione di un determinato diserbante la cui coltivazione è
particolarmente economica e .... molto lucrosa per la ditta produttrice del diserbante che tra
l’altro inquina. Vi è stato un lungo dibattito in sede europea ma il diserbante ha vinto.
Oppure di specie, come il mais,  rese resistenti a  certi parassiti: i parassiti si adatteranno e
supereranno   presto l’ostacolo oppure si adatteranno a  trovare altri ospiti?).
- “Invasione” di specie trasformate che sostituiscono le naturali anche in paesi che non le
vogliono. Molte specie trasformate non sono in grado di riprodursi e questo da una certa
sicurezza...., ma in compenso questo vuol dire che il contadino non può produrre le proprie
sementi ma solo comprarle a prezzo da monopolio.
4 - Progetto Genoma e altri simili:
Tutti i paesi industrializzati dagli anni ’90 stanno partecipando ad un progetto comune di “lettura” integrale del DNA umano. a suo tempo i vari paesi si divisero il genoma e all’Italia toccò il cromosoma 21 ( quello responsabile del mongoloidismo) Il pericolo di individuare  geni connessi con il comportamento è potenzialmente devastante. I biologi difendono il progetto perché inarrestabile e ritengono che sia meglio tenere sotto il controllo di tutta la comunità  scientifica i risultati raggiungibili. Ma in  questi anni  si è inserita l’industria farmaceutica privata e vi sono dibattiti sulla “brevettabilità” delle scoperte ( come in altre branche della medicina: vedi AIDS e Sud Africa). Inoltre non possiamo sapere nulla delle ricerche dei militari.
Il progetto genoma è nato per sapere cosa serve tutta quella parte di DNA che non codifica proteine ed ancora non ci sono molte risposte se non che la complessità della natura è superiore alle aspettative.
5 - la clonazione per ora non pericolosa per una clonazione umana (?) ma la clonazione di specie animali e vegetali ( questa già in atto) rende i “prodotti” tutti identici con una irrimediabile perdita di variabilità e conseguente impoverimento del patrimonio in DNA della Terra. Lo stesso rischio si corre con l’uso di varietà selezionate con tecniche naturali  che eliminano di fatto tutte le altre varietà : è il caso del grano duro, selezionato proprio in Italia,  che ha soppiantato tutti perché ha il gambo corto e resistente.
6 - Selezione degli embrioni prodotti con fecondazione extracorporea artificiale e poi impiantati solo se corrispondono alle “qualità” volute.  Oggi si parla di selezione di embrioni senza alcune malattie genetiche gravi, ma domani? Sembra che già qualcuno stia scegliendo il sesso del nascituro, poi sceglierà il colore degli occhi..... poi.....!?!?!? “il Mondo Nuovo” di Huxley!!!!!
Anche se oggi in Italia vi è una legge sulla procreazione assistita , per altro molto contestata perché non tiene conto delle reali tecniche in uso e non rispetta la donna , ciò non è affatto una garanzia, sia perché altrove ci sono leggi diverse  sia perché non è possibile governare l’illegalità.

 

Fonte: http://www.liceodantealighieri.it/allegati/Darwin.doc

autore del testo non indicato nel documento di origine del testo

 

 

Charles Darwin vita e opere riassunto

DARWIN, LO SCIENZIATO CHE DISCENDEVA DALLE SCIMMIE

 

La mattinata era fredda, piovigginosa, si sentiva nell’aria che era dicembre. Il 27 dicembre del 1831, per la precisione. Il “Beagle”, un piccolo vascello inglese, partiva dal porto di Portsmouth per un lungo viaggio di cinque anni che l’avrebbe portato a toccare i posti più remoti del globo terrestre. A bordo c’era un giovane, Charles Darwin, che grazie a quel viaggio sarebbe diventato famoso. Aveva abbandonato gli studi di medicina e a soli 22 anni si era imbarcato per dedicarsi alla sua grande passione, la Natura.

In quei cinque anni Darwin osservò, raccolse e catalogò una quantità impressionante di minerali, piante e soprattutto animali. Una curiosità smisurata, come ogni scienziato che si rispetti.

Il giovane naturalista fu colpito soprattutto dal fatto che c’erano, sparse per tutto il mondo, numerose specie di animali che si assomigliavano moltissimo tra di loro. Questo lo portò a pensare a lontani progenitori comuni. D’altra parte i resti fossili che aveva osservato nelle rocce somigliavano proprio ad antichi animali estinti: che fossero loro quei progenitori comuni? Le riflessioni di Darwin si scontravano però con le teorie in voga all’epoca, secondo cui i fossili erano nient’altro che scherzi di natura, e secondo cui tutti gli animali avevano conservato quelle caratteristiche che Dio aveva dato loro all’inizio della creazione. L’idea che potessero comparire specie nuove, o che le specie vecchie si modificassero col tempo, non sfiorava nessuno; eppure razze miste venivano prodotte dai floricoltori e dagli allevatori anche nell’Ottocento! Ma se un’evoluzione -come pensavano Darwin e pochi altri- c’era realmente stata, nascevano altri interrogativi: come si erano trasformati quegli uccelli primitivi nei fringuelli che Darwin ora osservava nelle isole Galapagos? E perché c’era una specie diversa di fringuello per ogni isola dell’arcipelago?

Fu proprio la presenza, su isole vicine tra loro, di specie che differivano di piccoli particolari a suggerirgli la risposta. Probabilmente -pensò Darwin- la causa di questa diversità stava nell’influenza dell’ambiente esterno. Gli animali, cioè, si adattavano alla natura circostante. Ma come? Lamarck, uno zoologo francese, già qualche anno prima aveva avanzato delle ipotesi sull’evoluzione degli animali. Secondo la sua teoria le giraffe, per esempio, avevano collo e gambe più lunghi a forza di allungarsi per brucare le foglie degli alberi. E trasmettevano queste caratteristiche ai loro piccoli.

Darwin conosceva la teoria di Lamarck, però non ne era rimasto soddisfatto: se io faccio flessioni tutta la vita diventerò magari muscolosissimo, ma i miei figli non nasceranno per questo muscolosissimi! Pensò allora ad una spiegazione differente: un piccolo numero di giraffe nascevano -per caso- con il collo e le gambe un po’ più lunghe del normale. Proprio come qualcuno di noi è più alto, o più basso, dei propri genitori. Queste giraffe avevano dei vantaggi sulle altre, quello di potere raggiungere le foglie dei rami più alti in caso di scarsità di cibo, e quello di scappare più veloci davanti a un leone o un leopardo. Avevano perciò rispetto alle altre più possibilità di sopravvivere, e quindi di avere dei piccoli (che avrebbero avuto il collo e le gambe più lunghi degli altri). Ovviamente se un gruppo di queste giraffe si fosse spostate in una zona dove gli alberi erano più alti, o i leopardi più veloci, a lungo andare colli e gambe si sarebbero dovuti allungare ancora di più, altrimenti le possibilità di sopravvivenza sarebbero state minime. Questo spiegava come le specie si trasformavano, e il motivo per cui le caratteristiche delle specie erano diverse da luogo a luogo.

Nasceva così la teoria dellaselezione naturale, che Darwin rese nota più di 20 anni dopo nel famosissimo libro “L’origine della specie”. Fu la prudenza che gli suggerì di aspettare così tanto, e non aveva torto. Infatti, non appena pubblicato, il libro scatenò feroci polemiche, soprattutto da parte della Chiesa. La teoria di Darwin sosteneva che gli animali si evolvevano “a caso”, seguendo una crudele competizione naturale in cui sopravvivevano solo i migliori. Ma ancora più grave era uno dei punti della nuova teoria: l’uomo e le scimmie avevano gli stessi antenati! Allora non era vero che Dio aveva creato in origine Adamo ed Eva, come diceva la Bibbia. Aveva creato delle scimmie da cui poi saremmo discesi tutti noi, con i nostri cugini babbuini, orango-tango e scimpanzé!

La stretta parentela tra uomo e scimmia era difficile da mandare giù. Il lavoro di Darwin incontrò resistenze anche da parte di moltissimi uomini di scienza, e ci vollero molti anni prima che venisse accettato completamente. Eppure la somiglianza tra uomo e scimmia non era così difficile da vedere, sarebbe bastato far guardare loro certe trasmissioni televisive di oggi...

 

 

La teoria di Darwin

La teoria dell'evoluzione di Darwin si basa su 5 osservazioni-chiave e sulle conclusioni che se ne traggono:

  1. Le specie sono dotate di una grande fertilità e producono numerosi discendenti che possono raggiungere lo stadio adulto.
  2. Le popolazioni rimangono grosso modo delle stesse dimensioni, con modeste fluttuazioni.
  3. Le risorse di cibo sono limitate, ma relativamente costanti per la maggior parte del tempo. Da queste prime tre osservazioni è possibile dedurre che verosimilmente in ogni ambiente ci sarà tra gli individui una lotta per la sopravvivenza.
  4. Con la riproduzione sessuale generalmente non vengono prodotti due individui identici. La variazione è abbondante.
  5. Gran parte di questa variazione è ereditabile.

Per queste ragioni Darwin afferma che: in un mondo di popolazioni stabili, dove ogni individuo deve lottare per sopravvivere, quelli con le "migliori" caratteristiche avranno maggiori possibilità di sopravvivenza e così di trasmettere quei tratti favorevoli ai loro discendenti. Col trascorrere delle generazioni, le caratteristiche vantaggiose diverranno dominanti nella popolazione. Questa è la selezione naturale.

Darwin afferma inoltre che la selezione naturale, se si trascina abbastanza a lungo, produce dei cambiamenti in una popolazione, conducendo eventualmente alla formazione di nuove specie. Egli propose una miriade di osservazioni come dimostrazione del processo e dichiarò anche che la documentazione fossile potesse essere interpretata come sostegno a queste osservazioni. Darwin immaginò inoltre la possibilità che tutte le specie viventi discendessero da un antico progenitore comune. Le moderne prove del DNA sostengono questa idea.

 

Le idee di Darwin sono applicate ai fenomeni sociali

Le teorie di Darwin furono applicate ai fenomeni sociali e diedero origine all’   ideologia del darwinismo sociale. Secondo i sostenitori di queste idee anche nella società umana vi è una selezione naturale, che distingue gli individui e i popoli destinati a dominare da quelli destinati ad essere oppressi. Il darwinismo sociale in questo modo:

  • all'interno dei singoli stati stabiliva che i ricchi e i potenti, quando sfruttavano e opprimevano i poveri e i deboli, non facevano altro che obbedire ad una immutabile legge di natura. Così le élites (ristretti gruppi di persone per lo più di alto ceto), che erano al potere nella maggior parte degli stati europei, se ne servirono per affermare, in contrapposizione ai democratici e ai socialisti e alle loro ideologie che predicavano l'uguaglianza, che le disuguaglianze sociali erano inevitabili necessità naturali;
  • nei rapporti internazionali giustificava il dominio degli stati più forti ed economicamente più progrediti sugli altri.

 

Le teorie razziste sostengono la superiorità della razza bianca

La superiorità della razza bianca fu considerata una verità scientificamente dimostrata. Come certi animali sono più forti e dominano quelli di altre specie più deboli, così l'uomo bianco domina naturalmente le altre razze umane. In realtà, le teorie razziste (che sostenevano, cioè, l'esistenza, per natura, nella specie umana, di razze superiori e di razze inferiori) non avevano nessuna validità scientifica; esse, tuttavia, si diffusero e si radicarono, a sostegno dell'espansione coloniale europea e come giustificazione dello sfruttamento di altri popoli da parte dei bianchi.

Si sosteneva, ad esempio, che l'Europa aveva il dovere di non abbandonare i popoli meno sviluppati: doveva, al contrario, educarli, aiutarli a recuperare il tempo perduto, insegnando loro le regole della civiltà. Con queste convinzioni si finiva col considerare normale che gli africani, gli indiani o i cinesi fossero trattati da schiavi e che gli Europei li sfruttassero come manodopera a buon mercato nelle piantagioni e nelle industrie.

Il razzismo non si fermò a questo punto. Anche all'interno della razza bianca - si sostenne - era possibile fare delle distinzioni. Secondo alcuni il gruppo superiore era la stirpe germanica, nella quale la razza bianca, detta anche «ariana», si era preservata pura nei secoli. Ma al tempo stesso c'erano dei francesi che reclamavano il diritto di considerarsi superiori in nome della loro cultura; dei russi che proclamavano la superiorità degli slavi. Anche l'antisemitismo fin dalla fine dell'Ottocento nell'Europa occidentale cominciò a fondarsi sulla convinzione che gli ebrei appartenessero a una razza inferiore.

 

Fonte: http://www.icsfogazzaro.it/public/medie/docenti/Ghiro/DARWIN.doc

 

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