Crisi del 29 e new deal

 


 

Crisi del 29 e new deal

 

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LA CRISI ECONOMICA E IL NEW DEAL

 

Tra il 24 e il 29 ottobre 1929 tutta l’america viene scossa dal crollo di Wall Street. Gli indici della borsa di New York precipitano in conseguenza dell’annunciata crisi economica e finanziaria. Gli effetti sono devastanti e provocano fallimenti  a catena degli istituti di credito, chiusura delle industrie, disoccupazione. Presto la crisi si estende in Europa provocando anche qui disastri sia sul piano economcio che su quello politico. Intanto negli Stati Uniti il nuovo presidente Roosevelt prende provvedimenti e inaugura la fase del New Deal che imposta un nuovo rapporto tra Stato ed economia,  già teorizzato dall’economista Keynes.


La crisi scoppiata nell'ottobre del 1929 con il crollo della borsa di Wall Street è il prodotto inevitabile degli squilibri su cui poggia lo sviluppo incontrollato delle forze produttive negli Stati Uniti. La politica isolazionista, conformista e nazionalista americana, basata sulla filosofia della più completa libertà di iniziativa individuale, conduce il più ricco e potente Stato del mondo a una rovinosa crisi economica e sociale. Il vertiginoso aumento della produttività industriale e agricola nel decennio immediatamente precedente la crisi, al quale fa riscontro l'enorme volume dei profitti, e in piccola parte dei salari, non fa i conti con la saturazione del mercato interno. I governanti, contrari a qualsiasi intervento statale nell'economia, sottovalutano l'imminente pericolo. Continuano gli investimenti nei rami più produttivi dell'industria, che produce ormai al di sopra di ogni possibilità di assorbimento. Nel 1929 si manifesta l'incontrovertibile recessione, alla quale gli industriali reagiscono con la diminuzione della produzione, con la decisa riduzione dei salari e l'espulsione della forza lavoro dalle fabbriche. Il generalizzato impoverimento aggrava la spirale della crisi, abbassando ancora di più la possibilità di assorbimento interno della produzione. La crisi del 1929, manifestatasi con il Big Crash della Borsa di New York  del 29 ottobre, durerà con virulenza fino al 1932. Le cifre della crisi parlano di oltre 5.000 banche fallite; circa il 50% della produzione industriale e del reddito agricolo crollati, di tredici milioni di disoccupati (con un tasso percentuale che toccherà il 25% nel 1933), e della diminuzione dei salari di circa il 45%. Milioni di piccoli e medi risparmiatori, che avevano investito il loro denaro in azioni, sono completamente rovinati.
Insieme con l’intensità e la durata, la crisi e la depressione si caratterizzano per la loro diffusione mondiale. Le ripercussioni non sono ovunque della stessa intensità, ma alcune conseguenze si faranno sentire in tutti i paesi a economia capitalistica. La diffusione della crisi è innanzitutto legata alla dimensione dell’economia statunitense, capace da sola di rappresentare circa il 45% dell’intera produzione mondiale. Malgrado le politiche protezioniste dei governi statunitensi degli anni venti, le importazioni americane raggiungono, prima della crisi, più del 10% del commercio internazionale. Anche i legami finanziari della moneta statunitense con le valute europee accresce la capacità di propagazione e internazionalizzazione della crisi.


Il crollo dei prezzi agricoli e delle materie prime si ripercuote sul mercato internazionale aggravando lo stato delle economie di tutti i paesi produttori. La prima misura per contrastare questa dinamica è quella di alzare barriere doganali: queste, tra il 1929 e il 1930, determinano un calo del 25% del commercio internazionale. La crisi monetaria si manifesta come ultimo atto della disgregazione dell’economia mondiale. In Europa colpisce per primi gli stati finanziariamente più deboli, come l’Austria, che vedono cessare gli  investimenti americani. Alla chiusura degli istituti di credito austriaci segue l’analoga paralisi dell’economia monetaria tedesca, ancora alle prese con le riparazioni di guerra. Ancora più forte è la recessione che colpisce i paesi agricoli dell’Est europeo: il grano tocca i prezzi più bassi degli ultimi quattro secoli. Nel settembre del 1931 è svalutata la sterlina inglese, dopo qualche anno segue lo stesso destino il franco francese. Nell’estate del 1933 fallisce la conferenza internazionale di Londra per la ricerca di una via comune nel superamento della crisi. Le risposte alla depressione sono differenti: l’Inghilterra punta su una netta svalutazione della moneta e sul consistente aumento delle barriere doganali (potendosi avvalere del mercato “interno” del Commonwealt). La Francia, l’Italia e tutti i paesi che possono contare su consistenti riserve auree sottopongono l’economia a una pesante politica deflativa che consente il mantenimento della parità aurea della moneta. Una terza strada, intrapresa dalla Germania e in parte dall’Italia, è rappresentata dall’isolamento progressivo verso un’economia autarchica.


Con la crisi del 1929 tramonta definitivamente l’idea perseguita dalle amministrazioni  repubblicane dello “sviluppo armonico del capitale”. Nel novembre del 1932 i Democratici rappresentati da Franklin Delano Roosevelt, vincono le elezioni presidenziali, dando inizio a quella fase che passerà alla storia come New Deal.
Il programma rooseveltiano è il seguente: potenziamento dei lavori pubblici per favorire la diminuzione della disoccupazione; sostenere i prezzi agricoli  per impedire l’ulteriore abbassamento del tenore di vita degli agricoltori; sviluppare e unificare le attività assistenziali; regolamentare i trasporti e i servizi pubblici; sottoporre al controllo governativo le banche e gli istituti finanziari; disciplinare i rapporti tra capitale e lavoro. Per attuare il suo programma Roosevelt capovolge quello che era stato il precetto repubblicano basato sul minimo intervento dello Stato nella società civile, e chiede con energia un forte potere esecutivo. Già seguace di Wilson e governatore dello Stato di New York, Roosevelt istituisce un rapporto diretto con le masse: in questo senso si possono ricordare i famosi discorsi radiofonici rivolti alla nazione, passati alla storia come “i discorsi del caminetto”.


In breve, egli inaugura un nuovo rapporto tra Stato, industriali e forze lavoratrici. Nei primi giorni del suo mandato presidenziale, i cosiddetti “cento giorni”, l’amministrazione favorisce il rialzo dei prezzi per incrementare i profitti delle imprese e salvaguardare il pagamento dei debiti. Opera una politica deflazionistica per ridurre la circolazione monetaria; riduce le spese dell’amministrazione centrale e gli stipendi degli impiegati pubblici.  A sostegno dell’agricoltura, nel maggio del 1933 è promulgato l’Agricoltural Adjustament Administration con il quale si regolamenta la produzione e si riduce il tasso di indebitamento. Lo sviluppo delle opere pubbliche, capaci di limitare la forte disoccupazione, è affidata alla Federal Emergency Relief Administration  organismo destinato a distribuire i finanziamenti pubblici. Anche la produzione industriale è riorganizzata con la National Industrial  Recovery Administration, una legge per la regolamentazione dei prezzi, dei salari e degli orari di lavoro. Si garantisce, inoltre, l’attività sindacale dei lavoratori (legge Wagner, 1935). Oltre al finanziamento delle piccole e medie imprese, per favorire l’occupazione viene creato il Works progress Administration e con funzioni analoghe il Public Works Administration. Il New Deal di Roosevelt, in definitiva, segna la fine dell’idea della completa autonomia del capitale. L’intervento statale suffragato dalle nuove teorie economiche di Keynes, lungi dal risolvere completamente gli effetti devastanti della crisi, attenua la stessa e pone le basi per una nuova ristrutturazione capitalistica.


Il superamento della fase più acuta generata della crisi del 1929 afferma, attraverso la politica del New Deal, il nuovo ruolo dello Stato nella vita economica. Si afferma, cioè, il sodalizio organico tra grande capitale e direzione statale. La teorizzazione della funzione indispensabile dell'intervento pubblico nell'economia, ha il suo paladino nell'economista inglese John Maynard Keynes. Nel 1936 viene pubblicata la sua maggiore opera teorica: Teoria generale dell'impiego, dell'interesse e della moneta. L'economista individua nell'insufficiente capacità di consumo delle grandi masse i motivi reali della grande crisi. Conseguentemente, contrario alla compressione salariale, vede nell'innalzamento delle retribuzioni una ricetta per scongiurare i pericoli di un futuro crollo dell'economia. Anche i tassi di interesse operati dagli istituti di credito devono essere tenuti bassi per agevolare i prestiti alle imprese. Importante ancora l'investimento dei capitali industriali in attività produttive e non in speculazioni bancarie. Il sistema di tassazione dei redditi e dei profitti da parte dello Stato avrebbe, poi, creato le condizioni per assicurare al potere esecutivo il ruolo di centro di coordinamento dell'economia nazionale. Il programma keynesiano, alla base del cosiddetto Welfare State (in opposizione alla ricetta ultraliberista del Laissez-faire), è adottato nel New Deal rooseveltiano e in parte da alcuni governi europei, come quelli inglese e francese. Prevede il superamento del Gold-standard (valutazione della moneta in rapporto alla quantità di riserve auree) attraverso un sistema di collaborazione e di scambi internazionali che faccia riferimento alle reali capacità economiche di ciascun paese.

 

Fonte: http://scuole.monet.modena.it/barozzi/tesine/anno6/sacchi/MATERIALE/New%20Deal...2.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Crisi del 29 e new deal

 

La Grande Crisi del '29

 

Come tutti gli eventi storici (politici, militari ed economici) anche questo ha radici profonde lunghissime e rami altrettanto lunghi che arrivano fino al giorno d'oggi.

Le radici affondano nella Crisi del 1873/1895, crisi causata dalle barriere doganali sempre più elevate che avevano spinto i paesi a "chiudere" le economie a causa degli altissimi costi delle esportazioni.
Questo aveva permesso il mantenimento di alti prezzi remunerativi all'interno dei mercati "chiusi" dato che non subivano la concorrenza dei paesi meno cari, ma aveva causato il crollo o la stasi dei consumi dato che prezzi alti significavano meno compratori.
I mercati trovarono allora lo sfogo nelle guerre coloniali che tutti i Paesi Europei fecero in quel periodo per allargare i confini delle loro economie; Francia, Belgio, Spagna, Germania e Italia si spartirono l'Africa a colpi di cannone.

Le economie dei Paesi Colonialisti si svilupparono quindi entro i confini delle colonie. Per gli USA queste erano il Sud America.
Ma il commercio fra diversi stati restò sempre ad un livello molto basso per gli elevati dazi doganali.

La Prima Guerra Mondiale dette la spallata al sistema economico delle Colonie già in grave crisi, ma causò anche altri "danni" o effetti, alcuni benefici, altri no.
Tra quelli benefici una spinta definitiva alla industrializzazione dell'Europa, un passaggio da un panorama agricolo a uno industriale che continua tutt'oggi.
Questo significò progresso e benessere diffuso, società che diventavano meno chiuse, la nascita di una classe borghese e operaia.

La Guerra portò via dalle città, dalle officine e dai campi gli uomini, milioni di uomini, per 5 lunghi anni. Le donne allora si affacciarono al mondo del lavoro, dimostrando di essere capaci di prendere il posto di lavoro degli uomini.
A guerra finita, con gli uomini reduci che tornavano ai loro posti c'era quindi una eccedenza di mano d'opera perché le donn non volevano ritornare dietro ai fornelli.

E poi c'erano gli effetti della Guerra.

La Germania era stata sconfitta sui campi di battaglia della Somme e sulle montagne del Carso ma non aveva perso.
Era collassata, dopo 5 estenuanti anni di trincea, la sua macchina bellica, ma Il suo territorio era intatto, le sue industrie funzionavano a pieno ritmo, la popolazione civile era integra.
In compenso per sconfiggerla Gran Bretagna, Francia ed Italia si erano indebitati in modo inverosimile in beni e denaro con gli USA che avevano alimentato la macchina di guerra negli ultimi due anni in modo massiccio.
Avevano inoltre perso morti, mutilati o invalidati, milioni di uomini in età produttiva. Erano più in ginocchio della Germania!

Quindi la Germania venne costretta a pagare un inverosimile ed esorbitante Debito di Guerra ai paesi vincitori in modo da ripianare il debito e permettere alle loro economie di sopravvivere.

Gli USA invece erano usciti dalla guerra senza aver visto una bomba, con relativamente pochi morti e una industria che era cresciuta a dismisura.
Adesso i loro eccesso di produzione bellico era richiesto anche in tempo di pace e desiderato dai paesi usciti dalla Guerra vincitori ma duramente provati nell'economia: Francia, Italia e Gran Bretagna.

La Germania era troppo importante politicamente e strategicamente e doveva essere rimessa in pista, e gli USA erano in prima linea a indirizzare qui gli aiuti.

Si creò così un circolo molto particolare: Gli USA finanziavano la ripresa della Germania, i profitti della crescita industriale della Germania non rimanevano però in Germania ma venivano girati dalla Germania a pagamento del debito di Guerra a Francia, Gran Bretagna ed Italia, che spendevano a loro volta i soldi per comperare in USA i beni di consumo ed alimentari che non potevano o sapevano produrre.

Così in Germania il malcontento cresceva dato che si lavorava per gli altri e non si vedeva il becco di un quattrino, i nquesto malcontento il nazismo trovò terreno fertile per mettere le radici propagandando la "vittoria mancata" o la "pace ingiusta" e chiedendo la rivincita.

Negli USA questa elevata domanda di beni industriali era mantenuta alta con il blocco dei salari e dei prezzi.
Questo doppio blocco fa sì che i profitti crescano solo con il crescere del mercato ed incentivi quindi non gli investimenti ma la semplice crescita del numero dei beni prodotti.
Inoltre privilegia il mercato esterno, dato che a salario bloccato il mercato interno non cresce più di tanto.

Rende al contempo non conveniente investire in beni di consumo dato che i prezzi ed i salari sono stabili. Se le case non aumentano posso decidere di comperarla dopo se adesso non mi serve.
Ben diverso se il valore delle case aumentasse… allora verrebbero percepite come bene di investimento.
Quindi si investe in Borsa che invece cresce a dismisura perché le industrie lavorano a gonfie vele.
E tutto si gonfia fino al punto di esplodere.
In realtà questo giro di beni e di denaro non crea "vera ricchezza"  perché nessuno (a parte i numeri delle Banche e delle Borse che crescono) ne trae beneficio.
I Tedeschi lavorano come negri per pagare il debito a Francia, Gran Bretagna e Italia, ma i paesi non distribuiscono i soldi al popolo ma lo spendono per comperare beni in Usa dove però gli stipendi non crescono.
In realtà un dollaro partito dagli USA ritorna in USA come un dollaro… ma la Borsa aumenta il suo valore… come è possibile?
Infatti non è possibile… intanto le industrie crescevano la produzione senza freni (perché è il mercato che frena con l'andamento dei prezzi ma i prezzi erano fissi) e i magazzini si riempivano.
Il  24 ottobre 1929 all’apertura della Borsa a Wall Street qualcuno, meno ottimista degli altri, iniziò a vendere…. Il panico si sparse e prima di sera il 30% dei valore della Borsa era evaporato.
Ben 11 Banchieri e Agenti di Borsa si uccisero quel giorno!

Era iniziata la Grande Crisi.

L'effetto a ritroso fu' devastante… la media borghesia, che aveva investito in Borsa, si ritrovò di colpo povera in canna e tagliò i consumi. I suoi consumi erano quelli di beni durevoli (Auto, ristoranti, case, vacanze, gioielli ed abiti).
Questo fece crollare le industrie (Auto, ristoranti, sartorie, cantieri edilizi e falegnamerie) che li producevano e in cui lavoravano quelli della classe operaia più povera.
Questi trovandosi a loro volta disoccupati tagliarono i consumi, ma loro consumavano solo alimenti e così mangiarono di meno.
Questo fece crollare anche il mercato agricolo e così tutti finirono in miseria!

Crollò anche la politica e venne eletto un Presidente di cambiamento. Franklin Delano Roosevelt.
Il quale raccolse attorno a se fior di economisti e varò il "New Deal", una azione di intervento economico di dimensioni e portata mai vista prima.
L'azione del "New Deal" di Roosvelt fu' indirizzata a rimuovere le cause della Crisi e far ripartire la macchina economica ed industriale:

  • Venne svalutato il dollaro per abbassare il prezzo dei prodotti americani e far ripartire il commercio con l'estero
  • Gli agricoltori furono costretti a ridurre la produzione per far crescere il prezzo del grano e aumentare i loro redditi.
  • Venne limitato legalmente lo strapotere dei trust bancari ed economici
  • Venne ridotto l’orario di lavoro per obbligare le fabbriche ad assumere più operai ed aumentati contemporaneamente i salari.
  • Si diede il via a Grandi Opere Pubbliche dando lavoro a molti disoccupati
  • Vennero istituite le pensioni di vecchiaia per i lavoratori.

 

Gli effetti arrivano in Europa l'anno dopo, nel 1930, e devastarono Francia e Gran Bretagna.
La Crisi del '29 tocco il culmine nei primi anni '30, i minimi industriali vennero toccati nel 1933.
Se gli USA avevano 12 milioni di disoccupati, ce ne erano ben 6 in Germania e 3 in Gran Bretagna (con popolazioni molto minori in numero).
Nel 1931 la Gran Bretagna abbandono il Gold Standard e la Sterlina non fù più convertibile in oro.
Nel 1934 la Sterlina venne pesantemente svalutata e in fatti per la prima volta l'indice industriale superò il valore del 1929 per poi continuare a crescere.
Era finita la Grande Crisi.

Ma gli effetti politici in Europa furono enormi.
Dittature di destra o fasciste nacquero in Germania, Spagna e Portogallo e si rinforzarono in Italia. Crollò l'Impero Ottomano e Ataturk fondo una Repubblica Presidenziale che si ispirava al Fascismo Italiano. Molti paesi dei Balcani passarono anche loro a governi di destra.

Rimasero quasi indenni dalla Crisi del '29 il Giappone, i paesi del Nord Europa che vivevano di materie prime e non avevano strutture industriali, e l'URSS che aveva varato il suo Primo Piano Quinquennale e aveva sganciato l'economia Russa da quella Internazionale.

E si erano concretizzate le premesse per la Seconda Guerra Mondiale.

Autore: Sandro Degiani

Fonte: http://www.fmboschetto.it/didattica/area_docenti/grande_crisi.doc

 

LA GRANDE CRISI DEL 1929

Gli anni Venti in America sono detti Venti ruggenti per l’espansione dell’attività produttiva dei beni di consumo durevoli.
Lo sviluppo rapido e impetuoso dell’economia ha però basi poco solide, come la compressione dei salari. La produzione aumenta grazie all’aumento della produttività degli operai anche grazie a teorie come il taylorismo. Cresce la produzione ma i livelli salariali sono bassi. La crisi che nasce non è ottocentesca, cioè una crisi di produzione, ma è una crisi di consumo.
Il motivo per cui non aumentano i salari è politico, cioè la paura dei Rossi. Per gli americani di quegli anni tutto ciò che non era cultura americana era comunista. Questo fa sì che forze come i sindacati del CIO vengano repressi.
Accanto alla situazione degli operai si avvicina anche quella dei neri che sono perseguitati da pregiudizi anti etnici.
Proposto nel 1917 entra in vigore solo nel 1920 il 18° emendamento che prevede il proibizionismo. Per legge vengono vietate produzioni, vendite e consumazioni di prodotti alcolici. Questo emendamento è legato alla presenza soprattutto nelle campagne di associazioni evangeliste.
Questa legge voleva un disciplinamento della società, soprattutto degli strati bassi,  secondo norme non strettamente politiche
Le motivazioni originarie di tale legge sono il boicottaggio delle industrie di birra con nome tedesco, l’ossessione puritana verso atteggiamenti scandalosi e la solidarietà con i soldati del fronte.
Questa legge incentiva però il contrabbando, la produzione clandestina, il rafforzamento della criminalità organizzata che diffonde la corruzione anche agli organi di polizia.
Questo emendamento da risultati anche politici: alcuni partiti come quello democratico aveva al suo interno sia “secchi” che “umidi”, mentre i repubblicani erano tutti proibizionisti.
L’emendamento viene cancellato nel 1932 quando sale al potere Roosevelt.
Mentre l’industria si allarga l’agricoltura va in crisi a causa della concorrenza delle aree europee in difficoltà.
Questo quadro è dominato da una amministrazione repubblicana dal 1920 al 1932 che è favorevole a un controllo ferreo delle classi subalterne e a un non controllo dell’attività economica.
I repubblicani si trovano in difficoltà quando nel 1929 nasce la crisi.
Il 24 ottobre e il 29 ottobre si ricordano come ilo lunedì e il giovedì nero. Gli indici della borsa di Wall Street scendono in picchiata per parecchio tempo.
Nel giro di pochi mesi la crisi è diffusa in tutto il mondo perché l’economia mondiale è integrata.
La Francia è l’ultimo paese a risentire dalla crisi perché ha un sistema economico arretrato, mentre in area tedesca si fa sentire presto a causa della dipendenza dall’economia americana ancora per i risarcimenti di guerra.
La crisi è borsistica: negli ultimi anni aumentavano le quotazioni di borsa , la ricchezza provoca la richiesta di investimento che fa debitare le azioni. Si ha un ribasso delle azioni che fa scattare le vendite.
All’interno dell’America non ci sono le possibilità di risolvere la situazione.
Il sistema bancario e finanziario non è adatto perché le banche non erano molto grandi ed erano esposte nei confronti delle aziende e quindi sono in crisi di liquidità.
Inoltre non esisteva una banca centrale.
L’industria entra in crisi perché la crisi economica porta i risparmiatori a non comprare ciò che l’azienda produce.
Le classi medie potevano permettersi di acquistare, gli operai no tranne quelli che lavoravano alla Ford che avevano un salario particolare.
A livello internazionale gli USA erano una potenza economica, ma a livello politico no.
Si privilegia ancora la sterlina come moneta di scambio.
Il GOLDEN STANDARD prevedeva l’oro come elemento base di scambi, per cui la produzione di moneta non poteva essere superiore alle possibilità in oro.
Con il GOLDEN EXCHANGE STANDARD lo scambio avviene invece con la sterlina.
Questo presuppone che la sterlina sia forte.
L’economia inglese non può però sostenere questo valore della sterlina perché è difficile vendere i prodotti in altri mercati valutati in sterlina. Il prodotto inglese costa troppo.
Questa situazione porta alla svalutazione delle altre monete ed è l’unico modo di rimanere sul mercato.
Si cerca di proteggere l’economia con protezioni doganali e in questo modo il mondo diventa frazionato in blocchi plurinazionali.
Chi è favorita è l’Inghilterra che possiede un vasto impero coloniale.
Chi non ha colonie o le conquista o ricerca altri mezzi come l’autarchia, cioè produzione di merci in un paese non legate da importazione di prodotti finiti.
I sistemi economici ristretti portano una tendenza all’aggressività sui mercati internazionali, anche in modo militare come avviene tra il Giappone e l’Inghilterra.
L’amministrazione Hoover era liberista tanto da non prevedere un aiuto ai disoccupati in base al sistema di economia del pareggio del bilancio.
L’America è povera sotto questo punto di vista e c’è un paradosso acuto tra i ricchi industriali e le classi povere.
Questo assume valore anche politico perché proprio in questo periodo in URSS entrano in vigore i piani quinquennali e quindi la Russia si trova in una posizione di vantaggio e può mostrare le pecche del capitalismo.
Nell’estate del 1932 avviene in BONUS ARMI: i soldati smobilitati chiedono al governo chiedono il pagamento di una somma per il servizio prestato in guerra. Ma vengono dispersi.
Nel 1932 diventa presidente Roosevelt che non presenta un programma innovatore, ma vince grazie agli errori di Hoover.
Il nuovo presidente inaugura il New Deal, un nuovo modo di intendere l’economia all’interno di una concezione democratica e capitalista.
All’inizio c’è il caos, perché Roosevelt agisce in modo empirico.
Il New Deal fu un tentativo di incentivare il consumo e quindi la produzione con strumenti diversi.
Il NIRA sostiene l’attività dei sindacati per aumentare i salari e si varano provvedimenti per la giusta concorrenza che consente accordi per tenere alti i prezzi.
L’A.A.A. mira alla ricostruzione dell’agricoltura e il TVA lavora nel settore pubblico: i lavori pubblici assorbivano manodopera e modernizzavano zone del paese.
Molti provvedimenti gravano sul bilancio statale ma il presidente non si preoccupa fino al 1937.
Lo stato assume compiti che prima non aveva interviene nel settore economico in modo massiccio. Aumenta quindi il suo potere federale e la burocrazia sia centrale che negli altri stati.
La Corte Suprema si oppone a questi cambiamenti, vengono cassati provvedimenti come l’Aquila blu, un bollino messo sui prodotti delle industrie che aderivano al New Deal.
I membri della Corte erano scelti da ogni amministrazione e restavano in carica tutta la vita.
Roosevelt propone di licenziare tutti i membri oltre i 70 anni con 10 anni di servizio.
Da questo momento la Corte suprema si occuperà di più di questioni riguardo i diritti civili.
Il New Deal ricostruisce la situazione americana con lentezza tanto che la stabilità si raggiunge nel 1940 quando c’è aria di guerra.
E’ servito però per dare fiducia in sé agli americani.

 

Fonte: http://www.webalice.it/forluca/materials/appunti/STORIA.DOC

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

La grande crisi del 1929


 

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