Socialismo utopistico e socialismo scientifico e comunismo

 


 

Socialismo utopistico e socialismo scientifico e comunismo

 

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SOCIALISMO

  1. Definizione. Socialismo e comunismo

 

II termine «socialismo» nasce nei primi decenni dell'Ottocento in Inghilterra con un significato pole­mico di contrapposizione al capitalismo e al liberali­smo individualistico.
Il S. moderno è una conseguenza della rivoluzio­ne industriale, con cui è nata la classe operaia, e della Rivoluzione francese, che ha inaugurato la politica come programma (v. Rivoluzione). La rivo­luzione industriale ha potentemente accelerato l'af­fermazione del modo di produzione capitalistico, ha sconvolto i tradizionali assetti societari, imponendo un'urbanizzazione forzata, ed ha sottoposto a sfruttamento brutale la forza-lavoro (v.). Il S. è stato la ""' reazione a questa devastazione; ha rivendicato la riappropriazione del valore prodotto dagli operai ed ha opposto all'etica della competizione e dell'individualismo quella della solidarietà, dell'egualitarismo '„. e della «socializzazione», cioè della proprietà comune o collettiva dei mezzi di produzione.
Il S. però nel contempo partecipa, specie nella sua versione marxista, di una visione progressiva e non regressiva della storia, ed è per questo verso anche erede dell'industrializzazione e del progresso tecnico e scientifico: la società futura, per la quale i socialisti combattono, dovrà essere una società dell'abbondanza, con una distribuzione egualitaria della
ricchezza.
Nel corso dell'Ottocento il termine S. è spesso confuso con «comunismo»; ma sarà prevalente l'uso del primo, per il più esplicito richiamo alla modernità che esso contiene. Infatti la parola comunismo (v.) e molto più antica e ritorna periodicamente nella lette­ratura politica; prima della Rivoluzione francese designava prevalentemente un modello immaginario di società ed era parte del genere utopia (v.).
Solo nel Novecento S. e comunismo si sono separati. Ha scelto la denominazione «comunista»^ punta radicale del S., resasi autonoma, a live europeo, a seguito della Rivoluzione d'Ottobre Russia. La scissione dei comunisti è maturata sin base di una serie di divergenze sulla natura del movimento e sul  carattere della società capitalista,la natura della democrazia, ecc. (v. Comunismo).
Allo stato attuale: a) il comunismo dei paesi dell'Est europeo è crollato) nei paesi occidentali le ragioni della divisione tra S. e comunismo sono praticamente cadute. La differenza tra socialisti e comunisti non verte più, quindi, sui fondamenti teorici e sulle linee strategiche di fondo, ma si riduce a una diversità di valutazoni politiche (e, forse, al modo di intendere l'impegno politico).
Là dove la separazione è rimasta, come, per esempio, in Italia, una riunificazione è teoricamente possibile; di fatto non è di facile attuazione, perché bisogna fare i conti con 1'«istinto di sopravvivenza» degli apparati e dei quadri dirigenti, propri di orga­nizzazioni storiche e complesse come i partiti, che tra l'altro sono condizionati dal tradizionalismo di una :    parte dei loro iscritti, e soprattutto con il problema di chi debba avere la direzione di un eventuale nuovo partito unificato.

 

  1. Socialismo «utopistico» e socialismo «scientifico»

 

Marx ha definito «utopistici» i S. che, se individuano correttamente i caratteri che dovranno possedere le società future (abolizione del lavoro salariato, del profitto, del contrasto tra città e campagna, ecc.), si mostrano tuttavia incapaci di svolgere un'analisi «scientifica» della società presente e di indicare, ; quindi, una strategia positiva di uscita dal capita­smo
Le prime teorie socialiste (C.H. de Saint-Simon,
P.-J. Proudhon, L. Blanc, R. Owen, C. Fourier, ece.) si intrecciano con le prime analisi della società industriale  . S. e sociologia hanno in comune la perce­zione delle radicali trasformazioni e delle nuove ;: contraddizioni sociali, prodotte dalla rivoluzione in­dustriale e dal capitalismo.
Per distinguersi dai socialisti del tempo, K. Marx (1818-1883) e F. Engels (1820-1895) definirono il loro S. «scientifico» e adottarono esplicitamente il ; termine «comunista». Contro la tendenza di chi ; faceva affidamento solo sull'esempio e sulla propa­ganda (Owen e Fourier in particolare), comunismo   doveva significare ruolo attivo della dottrina e del  1 partito. Inoltre, se la storia è lotta di classi, e se il Proletariato è la classe rivoluzionaria nella società II capitalistica, comunistico è il progetto che prevede l'intervento attivo, in prima persona, della classe .operaia.
II marxismo è solo una versione, anche se di |gran lunga la più rilevante, del S. d'altra parte il S. non esaurisce il marxismo, che è una teoria filosofica,sociologica, politica, economica. Si tratta di un corpus dottrinario ampiamente trattato anche nei manuali di  storia, ai quali facciamo senz'altro riferi-mento per un discorso più articolato sul S. utopistico. Teorie marxiste sono peraltro ampia-f in molte voci di questo Dizionario  o in particolare Accumulazione, Aliena , Capitale, Classi sociali, Comunismo, Crisi economica, Forza-lavoro, Ideologia, Lavoro (ideolo­gie del), Proletariato, Socialdemocrazia.
Ricorderemo solo che Marx è piuttosto sobrio nel descrivere i caratteri della futura società senza classi. Certo, la proprietà dei mezzi di produzione non sarà più privata, ma collettiva; Marx però definisce con i termini S. e comunismo due fasi diverse del processo di rivoluzione sociale. Il S. è la fase che segue immediatamente la caduta della socie­tà capitalistica; essa è caratterizzata dal fatto che ognuno riceve in relazione a quanto da, cioè «il diritto dei produttori è proporzionale alle loro pre­stazioni di lavoro». Lo stato è ancora in vita, la forma del potere è la dittatura del proletariato. Il comunismo è invece la fase in cui, eliminate definiti­vamente le forze controrivoluzionarie, e con esse la divisione della società in classi, superata la necessità della dittatura, lo stato «si estingue» e la società può finalmente adottare il principio «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni».
Marx precisa che comunismo non significa aboli­zione della proprietà privata in generale, ma aboli­zione della proprietà borghese. «Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi di prodotti sociali; toglie soltanto il potere di asservire il lavoro altrui attraverso quella appropriazione» (Manifesto,

  1. La Prima e la Seconda internazionale

 

Le sconfitte subite dai democratici e dai socialisti nel 1848 determinarono un riflusso del movimento, che si riprese solo con la costituzione dell'Associazione Internazionale degli operai, fondata a Londra nel 1864, con lo scopo di organizzare unitariamente i diversi movimenti nazionali. In effetti la Prima Internazionale risultò composta da tanti gruppi, tra i quali non fu facile mediare. Marx ed Engels dettero in tal senso un contributo decisivo, e riuscirono a far sottoscrivere un programma comune che riconosce­va il principio della lotta di classe, il rifiuto dei metodi cospirativi, la necessità della conquista del potere, l'opportunità della costituzione di partiti politici organizzati.
I maggiori problemi furono determinati dai con­trasti tra Marx e l'anarchismo (v.) di Bakunin (1812-1876); tali contrasti si accentuarono in seguito alla diversa valutazione sui fatti della Comune parigina (Marx ritenne momentaneamente esaurite le condi­zioni rivoluzionarie), e portarono infine, con la defi­nitiva uscita degli anarchici dall'associazione, allo scioglimento dell'Internazionale nel 1876.
Dopo il 1870 il marxismo cominciò ad esercitare un ruolo egemonico all'interno del movimento socia­lista. Furono prevalentemente marxisti coloro che nel 1889, a Parigi, fondarono la Seconda internazio­nale con lo scopo di orientare sotto l'aspetto ideologi­co e politico i partiti nazionali che nel frattempo si erano costituiti.
Verso la fine del secolo il S. era ormai ampiamente diffuso in Europa, ma al suo interno esisteva­no posizioni assai diversificate sulle strategie da adottare. Inoltre, superata la depressione economica fine-secolo, il capitalismo stava conoscendo ovunque una forte crescita, che rendeva meno sicuri del suo «crollo» imminente e anzi costringeva a rivedere alcune tesi della stessa dottrina marxista.
A partire dal «revisionismo» di Bernstein si sviluppa una discussione, che coinvolge soprattutto i grandi leader della socialdemocrazia (v.) tedesca. La principale divisione nasce tra riformisti e rivoluzio-nari, i primi sempre più acquisiti alla democrazia parlamentare e fautori del gradualismo, i secondi convinti della inconciliabilità tra ordine borghese e ordine proletario e dell'inevitabilità dello scontro finale, che, se non si poteva provocare ad arte (Marx aveva sostenuto che «una formazione sociale non . scompare mai finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive che essa è capace di creare»), si doveva prevedere e preparare.
Le divisioni non finivano qui. Tra i riformisti c'era chi, di fronte alla resistenza del capitalismo e alla sua formidabile capacità di adattamento, pensa­va che il S. dovesse esaurirsi nell'azione riformatri­ce, e che convenisse denunciare come pura utopia l'obiettivo della società socialista; e chi invece questa rinuncia era incapace di fare. Tra i rivoluzionari il contrasto si giocava sul dilemma spontaneità/direzio­ne: gli «spontaneisti» privilegiavano l'azione diretta delle masse, i «dirigisti» ritenevano insostituibile il ruolo delle avanguardie politicizzate.
Tutte queste posizioni (per non dire dei cugini anarchici e dei sindacalisti rivoluzionari) erano pre­senti all'interno della socialdemocrazia prebellica, ma la convivenza non poteva durare a lungo. La storia del S. è una storia strana, una storia di progetti, di discussioni, di scontri anche aspri, di continue scissioni. Per quanto paradossale possa apparire, il S. non è mai stato un'entità politica precisa, un partito, un'organizzazione, e nemmeno un progetto o un programma; è stato una specie di officina, in cui sono stati forgiati e da cui sono usciti strumenti diversi per operare nella storia (v. Social­democrazia e Comunismo).

4. La sconfitta dell'internazionalismo

Tutti conoscono le conclusioni del Manifesto di Marx ed Engels: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!». Per il marxismo e per il S. in genere, la solidarietà di classe è superiore (come fatto e come valore) a qualsiasi altra, nazionale, etnica, religiosa che sia. Sostenere queste idee in tempi di nazionalismo montante e di imperialismo diffuso non era facile. E infatti, da un lato l'internazionalismo proletario fu oggetto di attacchi feroci da parte dei governi e delle destre, e comodo alibi per campagne repressive (si pensi alla politica di Crispi), dall'altro furono i socia­listi stessi, spesso per necessità di convivenza e di sopravvivenza, a moderare i toni, a rilasciare dichia razioni di patriottismo, a ricercare compromessi tra  lealtà nazionale e vocazione internazionalista, a ten-tare accomodamenti politici e teorici con le politiche colonialiste (nelle elezioni del 1907 la socialdemocra­zia tedesca, che aveva condotto una campagna elet­torale fortemente antimperialista, per la prima volta subì una pesante sconfitta).
L'aggressività del capitalismo mondiale dei pri­mi del Novecento costringeva il S. sulla difensiva; e nulla fu più tragicamente rivelatore della debolezza del movimento che l'atteggiamento di fronte alla guerra. In linea di principio la guerra non poteva che essere un affare delle borghesie nazionali, che non riguardava il proletariato. Ma quando scoppiò la prima guerra mondiale tutti i partiti socialisti, ad eccezione degli italiani, dei bolscevichi russi e di pochi altri gruppi minoritari, aderirono alla politica dei rispettivi paesi.
Clima eccitato di esaltazione patriottica, appa­rente adesione delle masse alla politica di guerra, senso di isolamento e rischio di essere emarginati e criminalizzati, timori di vittoria dell'autoritarismo degli imperi centrali spiegano fino ad un certo punto. In realtà entro il S. -le distanze erano divenute incolmabili: mentre il comunismo pensava ormai in termini di rivoluzione mondiale, il riformismo si avviava verso una progressiva integrazione nelle specifiche realtà nazionali.

5. Problemi attuali

La storia del S. dopo la seconda guerra mondiale fino ad oggi è la storia dei diffìcili rapporti con i comunisti e delle prime responsabilità di governo. Democrazia parlamentare ed economia di mercato, corretta dal­l'intervento pubblico, sono diventati i punti stabili di riferimento dei partiti socialisti, sempre meno parti­ti di classe e sempre più partiti popolari.
A partire dagli anni Settanta anche il S. ha accusato alcuni limiti delle politiche egualitarie, non­ché delle degenerazioni burocratiche dello Stato sociale, che hanno contribuito a provocare crisi di governabilità (v. Governo).
D'altra parte l'internazionalizzazione dell'econo­mia (mercati finanziari transnazionali, imprese mul­tinazionali) ha tolto potere agli stati nazionali, le cui politiche d'intervento hanno quindi perso di effi
cacia.
Le ristrutturazioni industriali e i nuovi settori (microelettronica, tecnica delle comunicazioni, fibre ottiche) stanno sconvolgendo il mondo del lavoro, creano nuove figure professionali e spostano conti­nuamente le linee di distinzione di classe. Da una parte il S., o, più propriamente, la socialdemocrazia (v.), si rende conto che deve assumersi la rappresen­tanza dei nuovi ceti emergenti e della stessa borghe­sia produttiva; dall'altra non si nasconde che all'in­terno della stessa classe operaia e della più vasta categoria del «lavoro dipendente» si stanno creando fratture, che dividono coloro ne traggono beneficio dalla ristrutturazione tecnologica (operai specializza­ti tecnici della manutenzione, ingegneri) dai lavora­tori meno fortunati.
Mutati i referenti sociali, il riformismo classico dei socialdemocratici è costretto a rivedere molte sue posizioni, e attende un rilancio, che dovrà avere un respiro non più angustamente nazionale.
È un'esigenza, questa, a cui sono giunti per altre strade anche alcune correnti del comunismo occidentale. Alcuni osservatori sostengono che si stanno creando le condizioni per il superamento dei tradizio­nali steccati, almeno in Europa, tra S. e comunismo, che non si possono più distinguere per l'alternativa riforme/rivoluzione. Leader prestigiosi ammettono che «sono caduti oggettivamente i motivi che stava­no alla base di vecchie divisioni», e che «si potrebbe parlare di una terza fase, dopo quella della Seconda e della Terza internazionale».
L'esigenza di una riflessione si è fatta tanto più pressante, dopo il crollo del cosiddetto socialismo reale. A questo fine possono essere illuminanti le conclusioni di un illustre pensatore d'ispirazione marxista, per il quale anche i socialisti dei paesi dell'Est devono ormai essere in grado di «ricollocare le idee socialiste sul terreno di una autocritica radi­cale e riformista di una società capitalistica che nelle  forme di una democrazia di massa ispirata allo stato  sociale di diritto, insieme alle sue debolezze ha saputo sviluppare allo stesso tempo le sue forze. Dopo la bancarotta del socialismo di stato questa critica è l'unica cruna dell'ago da cui deve passare ogni cosa. Questo socialismo scomparirà solo insieme all'oggetto della sua critica - forse il giorno in cui la società criticata avrà mutato a tal punto la propria " identità da poter percepire e dare il giusto rilievo a tutto ciò che non può essere espresso in termini di prezzo. La speranza di un'emancipazione dell'umani­tà da una minorità di cui porta la responsabilità e da condizioni di vita umilianti non ha perso la sua forza, ma è stata affinata dalla coscienza del fallibilismo e dall'esperienza storica, che insegna che già sarebbe un successo se l'equilibrio di quanto vi è di accettabi­le potesse essere perpetuato a favore dei pochi privilegiati e soprattutto esteso ai continenti deva­stati» (J. Habermas, 1990, p. 27).

 

fonte: http://digilander.libero.it/terzacmanzoni/Storia/Socialismo.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Socialismo utopistico e socialismo scientifico e comunismo

 

Marx (1818- 1883)

Il pensiero di Marx ha carattere di analisi globale della società e della storia.
Un secondo elemento importante del marxismo è la tendenza a fornire un’interpretazione dell’uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria.
L’ideale di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato e che Marx si propone invece di attuare con la prassi, mediante l’edificazione di una nuova società.
LA CRITICA AL “MISTICISMO LOGICO” DI HEGEL
Nella “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, Marx colpisce in un primo momento il metodo di Hegel. Egli attacca il modo di filosofare hegeliano:invece di limitarsi a constatare la monarchia, Hegel ne legittima la validità, scorgendo in essa la sovranità statale personificata. Attraverso questo procedimento le istituzioni finiscono per essere allegorie di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di essi.
Secondo Marx l’idealismo fa del concreto la manifestazione dell’astratto, e di ciò che viene prima, la manifestazione di ciò che viene dopo.
Al metodo “mistico” egli contrappone un metodo trasformativi, che consiste nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e veramente oggetto.
Il metodo mistico hegeliano è conservatore sul piano politico, poiché porta a santificare la realtà esistente.
CRITICA DELLA CIVILTA’ MODERNA E DEL LIBERALISMO
Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo vi è una critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale.
È convinto che vi sia una scissione fra Stato e società civile.
Nella polis greca l’individuo non conosceva antitesi fra sfera individuale e sfera sociale, fra società e stato.
Nel mondo moderno l’uomo è costretto a vivere due vite: una come “borghese” nell’ambito della società civile e una come “cittadino” nella sfera superiore dello Stato e dell’interesse comune.
Ma il “cielo” dello Stato è solo illusorio, poiché la sua pretesa di porsi come organo che persegue l’interesse comune è verificabilmente falsa.
Lo stato non fa che riflettere e sanzionare gli interessi particolari dei gruppi e delle classi.
La civiltà moderna rappresenta, al tempo stesso, la società dell’egoismo e delle particolarità “reali” e della fratellanza e delle universalità “illusorie”.
Marx scorge i tratti essenziali della civiltà moderna nell’ “individualismo” e nell’ “atomismo”, ossia nella separazione del singolo dal tessuto comunitario. E siccome lo Stato post-rivoluzionario legalizza questa situazione, riconoscendo quali diritti dell’uomo, la libertà individuale e la proprietà privata, esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturalmente asociale o controsociale.
L’ideale di società per Marx si identifica con un modello di democrazia sostanziale o totale, in cui esiste una sorta di compenetrazione perfetta fra singolo e genere.
E ritiene che l’unico modo per realizzare tale modello sia l’eliminazione delle disuguaglianze reali fra gli uomini e in particolare del principio stesso di ogni disuguaglianza : la proprietà privata.
LA CRITICA DELL’ECONOMIA BORGHESE E LA PROBLEMATICA DELL’ “ALIENAZIONE”.

  • Alienazione per Hegel: movimento stesso dello Spirito, che si fa altro da sé, nella natura e nell’oggetto, per potersi  ri-appropriare di sé in modo arricchito. Significato negativo e positivo al tempo stesso.
  • Alienazione per Feuerbach: qualcosa di puramente negativo che si identifica con la situazione dell’uomo religioso, che, “scindendosi”, si sottometter ad una potenza estranea (Dio) che lui stesso ha posto, “estraniandosi” in tal modo dalla propria realtà.
  • Alienazione per Marx: si rifà soprattutto a Feuerbach. Assume però un carattere economico- sociale. L’alienazione si identifica con la condizione storica del salariato nell’ambito della società capitalistica.

           L’alienazione dell’operaio viene descritto sotto quattro aspetti fondamentali:

    • il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività ( che appartiene al capitalista).
    • il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività (che assume la forma di un lavoro costrittivo nel quale egli è reso strumento di fini estranei).
    • il lavoratore è alienato rispetto alla sua essenza ( per natura il lavoro dell’uomo dovrebbe essere libero, creativo e universale, mentre nella società capitalistica l’operaio è costretto a un lavoro forzato, ripetitivo, unilaterale).
    • il lavoratore è alienato rispetto al prossimo (perché l’ “altro” è il capitalista con cui ha un rapporto conflittuale).

ALIENAZIONE RELIGIOSA: Feuerbach, uomo produce Dio, ma non trova cause e mezzi per sopprimere l’alienazione. Marx pensa sia un narcotico come consolazione illusoria delle ingiustizie sociali, quindi per eliminarla occorre eliminare le classi che producono le ingiustizie.
IDEOLOGIA: rappresentazione falsa e deformata della realtà, derivante da specifici interessi di classe, la lotta contro l’ideologia è uno scopo primario del marxismo (“scienza reale e positiva”, quadro oggettivo delle forze motrici della società e della storia
FORZE PRODUTTIVE: elementi indispensabili al processo di produzione: uomini (forza-lavoro), mezzi di produzione, conoscenze tecniche e scientifiche
RAPPORTI DI PRODUZIONE: rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro. La loro espressione giuridica e nei rapporti di proprietà.
MODO DI PRODUZIONE:combinazione storicamente determinata tra forze produttive e rapporti di produzione.
STRUTTURA: la base economica, quale si esprime nel modo di produzione
 SOVRASTRUTTURA:  insieme delle istituzioni giuridico-politiche e delle teorie morali, religiose, filosofiche…che corrispondono ad una determinata struttura economica.
MATERIALISMO STORICO: teoria secondo la quale le vere forze motrici della storia non sono di natura spirituale o coscienziale, bensì materiale o socio-economica. “non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza” (ideologia tedesca).
FALSI SOCIALISMI: tutte quelle dottrine (socialismo reazionario, conservatore o borghese, socialismo e comunismo critico-utopistico) che non sono ancora giunte al socialismo scientifico.
SOCIALISMO SCIENTIFICO: socialismo basato su un’analisi critici-scientifica dei meccanismi sociali del capitalismo e sull’individuazione del proletariato come forza rivoluzionaria destinata ad abbattere il sistema borghese.
PARTITO COMUNISTA: avanguardia organizzata dal movimento operaio, che deve guidare la classe lavoratrice alla rivoluzione.
MERCE:costituisce la più evidente caratteristica del capitalismo (un immane raccolta di merce)
VALORE D’USO: ha a che fare con le caratteristiche qualitative della merce e rappresenta l’utilità di una cosa. Si realizza nel consumo.
VALORE DI SCAMBIO: ha a che fare con le caratteristiche quantitative (una merce si rapporta all’altra solo in relazione alla quantità). Dipende dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrre una determinata merce. Non corrisponde propriamente con il prezzo.
DENARO: equivalente generale di tutte le merci.
FETICISMO DELLE MERCI: processo che porta a ritenere che le merci abbiano valore di per sé stesso (invece sono il frutto del lavoro umano) e che i rapporti economici siano rapporti fra cose e non fra uomini.
PLUS-VALORE: incremento del denaro impiegato all’inizio del processo economico. Discende dal plus-lavoro dell’operaio e si identifica con la porzione di valore da lui gratuitamente offerta al capitalista.
CAPITALE COSTANTE:capitale investito nei mezzi di produzione.
CAPITALE VARIABILE:capitale investito nei salari
SAGGIO DI PLUS-VALORE: rapporto tra plus-valore e capitale variabile. Manifesta il grado di sfruttamento della forza-lavoro

SAGGIO DI PROFITTO: rapporto tra plus-valore e la composizione organica del capitale (=cap.variabile+cap.costante). risulta inferiore del saggio di plus-valore.

CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DI PROFITTO: legge per cui, accrescendosi smisuratamente il capitale costante rispetto al capitale variabile, diminuisce per forza il saggio di profitto. Il profitto quanto per elevato, risulta progressivamente più scarso rispetto al capitale impiegato, in virtù, appunto, della crescita eccessiva del capitale costante.
CONTRADDIZIONE DEL CAPITALISMO: anarchia della produzione, crisi cicliche, disoccupazione, caduta tendenziale del saggio di profitto, concorrenza e scissione della società in due classi antagonistiche. Contraddizioni che dipendono dal contrasto tra forze produttive sempre più sociali e il carattere privatistico dei rapporti di produzione e di proprietà.

RIVOLUZIONE: processo con il quale il proletariato, impadronendosi del potere politico, dà avvio alla trasformazione globale della vecchia società, attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo. Passaggio che prevede una progressiva abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, la scomparsa delle classi e la realizzazione di una società di liberi produttori nella quale non vi siano più né sfruttatori né sfruttati.

DITTATURA DEL PROLETARIATO: fase che media il passaggio dalla società borghese a quella comunista. Tale dittatura è il momento in cui il proletariato impone la propria egemonia sulla classe borghese, al fine di distruggere lo stato borghese e di attuare il progetto comunista.
FASI DEL COMUNISMO: nella “Critica al programma di Gotha” Marx distingua due fasi della società futura: 1. una società comunista che porta ancora le macchie della vecchia società, vige il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro”. 2.  condizione di comunismo pienamente dispiegato e di grande ricchezza, vige il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
OPERE

  • Manoscritti economico-filosofici (scritti nel 1844 ; pubblicati nel 1932)
  • Per la critica della filosofia del diritto di Hegel ( pubblicati nel 1844)
  • La sacra famiglia ( scritto nel 1845 )
  • L’ideologia tedesca ( scritto nel 1845-46; pubblicato nel 1932)
  • Manifesto del Partito comunista (scritto nel 1847-8; pubblicato nel 1848)
  • Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (scritto nel 1857-59; pubblicato nel 1859)
  • Teorie sul plusvalore (scritto nel 1862-63; pubblicato nel1905-10)
  • Il Capitale (scritto nel 1866; pubblicato nel 1885 e 1894)

Fonte: http://www.afurly.net/doc/marx.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


Dopo la crisi del 1848 c’ erano ancora molti dubbi ed incertezze:
- i ceti popolari non si erano ancora riscattati, sia per le variegate ideologie che si erano sviluppate in Europa, sia perché ancora nessuno aveva ben capito quale andatura avrebbe preso il sistema economico capitalistico a base industriale;
- la classe operaia ( o proletaria)non aveva assunto una propria fisionomia;
- il lavoro salariato aveva sostituito quello artigianale, ma gli strumenti non erano cambiati, questo aveva mantenuto nel lavoratore una mentalità e una funzione pressoché invariata.
Ciò nonostante si era venuta a formare una “massa proletaria”, che sostenendo ritmi di lavoro faticosi, era riuscita ad organizzare (1) associazioni di mestiere, a volte combattive ma con scarso rilievo politico e (2) moti rivoluzionari con i quali si richiedevano mezzi di produzione e la formazione di cooperative di produzione, che salvaguardassero i vecchi mestieri, collaborando con la nuova classe proletaria.
Con l’avvento del capitalismo alcuni dubbi si sanarono, iniziò a crescere una coscienza di classe da parte dei nuovi lavoratori appoggiati, politicamente, dal socialismo “scientifico”.

Il socialismo scientifico.
Il programma del socialismo scientifico era completamente contenuto all’interno del ”Manifesto del Partito Comunista” redatto da Marx ed Engels e pubblicato proprio nel 1848. Conteneva: l’analisi della società e dell’economia capitalistica, alcune previsioni future sempre riguardanti il capitalismo e le lotte socio-politiche che sarebbero avvenute.
La grande novità del Manifesto consisteva nell’eliminazione delle classi sociali come normale “risultato storico”, portato dall’inevitabile crisi del mondo capitalista, che con il suo crollo avrebbe spazzato via l’intera classe borghese da ogni tipo di attività.
Il Manifesto(come viene semplicemente chiamato) risultava efficiente per i seguenti motivi:
1. Viene enunciato un metodo per interpretare la storia: prima di tutto si deve entrare nell’ottica che le classi sociali esistono in quanto sono uno sviluppo della storia. La storia finora esistita è la storia delle lotte di classe.
2. L’affermazione che il potere appartenesse a una piccola cerchia di persone che imponevano un modello di produzione borghese.
3. Far capire che l’elemento della crisi sarebbe stata la sovra-produzione (tesi più che reale come si vedrà in seguito), cha avrebbe portato alla ricerca di un controllo monopolistico, accompagnata necessariamente da guerre.
4. Il proletariato è una classe rivoluzionaria, perché lo sviluppo del capitalismo fa crescere la massa dei lavoratori e aumenta il suo degrado. Inoltre la rivoluzione è necessaria per il fine che il Manifesto si pone. Se bisogna arrivare all’ eliminazione delle classi sociali dovrà per forza esserci un momento in cui il comunismo conquisterà il potere con una dittatura, trasformando il proletariato “da classe economica sfruttata a classe politica dominante”, per giungere ad una completa eliminazione dei privilegi di una classe sull’altra.

 

La prima e la seconda internazionale.
I movimenti sociali in Europa non ebbero un grande successo, fino a quando il capitalismo e contemporaneamente i problemi dei lavoratori ebbero un espansione su scala mondiale. Così nel 1864 a Londra nacque la Prima Associazione internazionale dei lavoratori: la Prima Internazionale.
L’associazione, che era nata da un nucleo anglo-sassone si era espansa a macchia d’olio, coinvolgendo l’Italia, guidata da Mazzini, la Germania, la Polonia…Il fine principale era quello di collegare i sindacati di tutta Europa, riunirli sotto un unico indirizzo, che doveva essere formulato dallo stesso Marx. Fu messo in primo piano il contrasto tra lo sviluppo dell’economia e la sempre peggiore situazione del proletariato, che per essere appianato serviva:
- L’emancipazione della classe operaia, che doveva avvenire per opera della stessa, anche con l’utilizzo di metodi battaglieri.
- La conquista del potere politico con il quale i ricchi imprenditori mantenevano vivi i loro privilegi.
I contrasti più significativi, all’interno di un’associazione così ampia, furono essenzialmente tra due fazioni.
1) Mazzini si oppose per il comportamento troppo drastico indicato da Marx, per l’eliminazione delle classi sociali. Inoltre sosteneva che l’emancipazione dovesse avere delle motivazioni religiose.
2) Le teorie proudhoniane, che avevano preso piede soprattutto nelle zone francesi, erano anche queste in opposizione alla dottrina marxista. Le prime sostenevano che il vero problema della società fosse la mancanza di libertà, e proponeva come forma ideale di organizzazione sociale la famiglia o le piccole proprietà, avendo perciò un orientamento più anarchico che socialista.
Tuttavia nel 1869 la Prima Internazionale aveva fatto ormai sue le tesi sostenute da Marx: appoggio del movimento sindacale, usare come mezzo gli scioperi, ottenere le terre per la collettività…
La Germania dovette presto uscire dall’associazione, perché erano venuti a crearsi dei contrasti rilevanti tra socialisti, sostenitori di Marx e lavoratori che invece vedevano in Bakunin la giusta guida. L’Unità della Prima Internazionale si sciolse definitivamente dopo il tentativo fallito della Comune di Parigi nel 1871.
La Comune sorse con l’intento di fermare il governo di Tiers, che voleva reprimere la guerra rivoluzionaria. Gli aspetti più innovativi consistevano nell’abolizione della presenza dell’esercito in periodo di pace, la confisca delle proprietà ecclesiastiche, la possibilità del popolo di deporre in qualsiasi momento i propri rappresentanti. I provvedimenti non erano di certo rivoluzionari anche se queste manifestazioni furono da subito represse nel sangue. Nel 1872 si concludeva non ufficialmente l’Internazionale, formalmente chiusa nel 1876, con una divisione tra Paesi, come l’Italia e la Spagna , che avevano accettato una linea anarchica e altri, l’Inghilterra, che avevano fatto nascere partiti operai socialisti.
Quando la Prima Internazionale si sciolse erano state gettate le basi per i successivi passaggi del movimento operaio: la costruzione di partiti operai nazionali, promuovere, attraverso i sindacati, azioni di tutela da attuarsi attraverso lo sciopero.
Le basi dei partiti sociali erano essenzialmente quattro:
- una maggiore democrazia politica
- migliori condizioni di lavoro
- garanzie più favorevoli
- piena libertà di associazione e di sciopero.
Nel 1889 fu fondata a Bruxelles la seconda internazionale che subì influssi socialisti e socialdemocratici.

Lo sviluppo del socialismo.
Un nuovo problema si sviluppò quando la rivoluzione industriale espandendosi aveva colpito anche il settore agrario, con una crisi dello stesso e una caduta dei prezzi, per colpa dei nuovi macchinari. Così i movimenti ancor prima dei diretti interessati, iniziarono a chiedersi quale fosse il giusto schieramento per la classe contadina.
Considerando che i lavoratori in genere erano divisi in due diverse categorie, quelli qualificati e quelli non qualificati, che vivevano in situazioni con tradizioni, condizioni politiche ed economiche assai divergenti, si svilupparono in tutta Europa teorie a volte contrastanti.

a) Il socialismo inglese.
In Inghilterra, i sindacati erano influenzati da caratteri empirici e pratici legati a caratteristiche del liberalismo_radicale. Così si può affermare che il marxismo non influenzò affatto i movimenti inglesi e l’unico fine del socialismo era quello di ottenere attraverso vie costituzionali – perciò - con i sindacati, riforme favorevoli all’ambiente del lavoro. Una svolta tuttavia molto importante fu costituita dalla crisi economica del 1879, dove finalmente i sindacati si interessarono anche dei lavoratori non qualificati ottenendo alcuni risultati positivi.
Questo portò alla formazione del partito laburista opposto a quello marxista, e della “società fabiana”, sorta grazie ad un gruppo di intellettuali che credevano nel passaggio tra la società capitalistica a quella socialistica, sempre per mezzo di una lotta parlamentare.

b) Il socialismo tedesco.
Dopo Bakunin_ (2) in Germania si sviluppa il revisionismo, una revisione delle ideologie marxiste ritenute sbagliate, per quanto riguarda le previsioni sullo sviluppo del capitalismo. Il revisionismo, fondato da Bernstein, puntava su organizzazioni sindacali e politiche. Così il leader del nuovo partito socialista-evoluzionista ottenne libertà civili e politiche.

c)Il socialismo francese.
Il partito socialista dei lavoratori francesi aderì nel 1879 al programma marxista, dovendo però affrontare le divisioni interne. I dissensi si svilupparono tre anni dopo fra la linea possibilista (simile a quella fabiana inglese) e il vero partito socialista, guidato da Guesde. La carenza di un partito socialista unitario fece procedere il sindacalismo per conto proprio, trasformandosi in una vera e propria forza politica più vicina all’anarchismo che al marxismo. Il partito socialista tuttavia seguendo le tesi di Jaurès, tentò una linea di collaborazione tra borghesia e proletariato. Anche questa volta il sindacalismo non andò di pari passo col movimento che puntava sulla propria indipendenza e affidava allo sciopero generale l’abbattimento dello Stato borghese. Importante componente di questo movimento fu lo scrittore Sorel che “indicò nello sciopero generale il nuovo mito che avrebbe permesso la trasformazione radicale del sistema vigente”. Solo nel 1905 Jaurès riuscì ad unire in un unico partito le varie correnti contrastanti, purtroppo eletto nelle elezioni del 1913 fu presto assassinato con lo scoppio della prima guerra mondiale, accusato di favoritismi nei confronti dei tedeschi. Questa uccisione portò a scissioni interne ancora più profonde.

La situazione italiana.
Anche se i primi movimenti socialisti in Italia si formarono solo nel 1892, questa nazione era stata la guida fino dal 1870. Il controllo delle società operaie era finito nelle mani di anarchici bakuniniani, questi avevano soprattutto influenzato le regioni dove più era diffuso il bracciantato, guidati da caratteri rivoluzionari, come Cafiero e Malatesta; puntavano ad azioni di ribellione spontanea e non ad azioni prettamente politiche.Gli anarchici fallirono portando alla luce due problemi: - la conquista del potere politico da parte del proletariato, - la richiesta di urgenti riforme.
Nel 1892 fu fondato il partito dei lavoratori, il Partito Socialista, al congresso di Genova.
Filippo Turati, esponente della democrazia radicale, sosteneva un programma graduale che dava peso alla conquista di strumenti democratici; tuttavia esistevano anche diverse correnti rivoluzionarie.

 

Gli Stati Uniti alla fine del 1800.
Dopo la guerra civile del 1865 e aiutando Cuba a liberarsi dal colonialismo spagnolo l’economia statunitense conobbe uno straordinario sviluppo, affacciandosi tra le potenze capitalistiche e mettendosi, un decennio dopo, a capo delle potenze capitalistiche.
Con la morte del presidente Lincoln, sempre nel 1865, salì al potere Andrew Johnson, che riassorbì nel congresso gli Stati del Sud che erano stati sconfitti nella precedente guerra, solo per imporre di nuovo la supremazia dei bianchi e aumentare l’ emarginazione della gente di colore. Fu proprio in questo periodo che nacque il Ku-Klux-Kla, dal greco kγklos “circoli”, sorto nel 1866 e rimesto attivo fino agli anni ’70, e riformatosi nel 1915. Questo gruppo operò con metodi terroristici contro i neri e contro tutti gli immigrati che minacciavano, secondo loro, la “purezza della razza americana”.
Essenzialmente negli Stati Uniti, troviamo tre importanti partiti, quello repubblicano, volto agli interessi industriali e al mondo finanziario, il partito democratico, che sosteneva le attività dei borghesi e dei grandi proprietari terrieri, e in fine il così detto movimento populista, che sostenne i più poveri e aveva come scopo quello di restaurare una vera democrazia. Nelle elezioni del 1892 tuttavia vinse il repubblicano McKinley, contro il populista Bryan. Sotto questo governo l’ industria statunitense fece il primo ingresso nei conflitti internazionali. Ancora prima però era nata la corsa alla conquista degli stati dell’Ovest, che produsse un vero e proprio sterminio degli indiani.
Lo straordinario sviluppo economico statunitense si deve in gran parte a coloro che unirono l’abilità alla mancanza di scrupoli. Si sviluppò un rigido protezionismo nei confronti dell’esterno contrapposto a un ampio liberismo interno.
I movimenti operai e contadini non ebbero un grande sviluppo politico e il socialismo non ebbe successo. I movimenti sindacali, invece, si svilupparono molto, anche perché riuscirono ad inquadrare i non qualificati e puntarono a colpire gli imprenditori con grandi scioperi.
L’azione imperialistica statunitense iniziò definitivamente nel 1898, facendo terminare il vecchio isolazionismo con l’annessione delle isole Hawaii, dell’isola di Samoa, le Filippine, Porto Rico e con la guerra contro il dominio spagnolo a Cuba che ridusse la stessa ad un protettorato. Gli Stati Uniti però non usarono il tipico metodo del colonialismo europeo, unirono invece al controllo territoriale anche quello politico ed economico costituendo un imperialismo di tipo socio-economico.
Nuove riforme politiche si ebbero in ambito politico con Theodor Roosevelt, che per primo non mandò contro gli scioperanti, soldati armati pronti a far fuoco, ma cercò di capire anche i lavoratori, e giungere a un compromesso tra le due parti, operai ed imprenditori. Il suo successore fu Wilson che fece importanti riforme bancarie e sostenne anche quando gli stati uniti furono costretti ad entrare in guerra contro i tedeschi, la pace che riassunse in un libro intitolato “14 punti”.

Il fordismo.
Il fordismo è un sistema, ideato da Ford una delle persone più ricche e che meglio all’inizio del ‘900 poteva rappresentare gli Stati Uniti.
Questo sistema è basato sulla produzione_in_serie_e_di_massa, prezzi bassi e salari alti. Ford è proprietario di una fabbrica automobilistica, perciò molti chiedevano come si potesse arrivare a produrre automobili per tutti se solo i ricchi le potevano comprare; ma la grande novità del sistema inventato da Ford era proprio l’applicabilità del metodo stesso. Le idee del famoso imprenditore erano proprie del capitalismo: “la costruzione di oggetti, come automobili, avrebbero migliorato il mondo”.
Ford sosteneva che non fossero i prezzi a determinare la ricchezza di un paese ma i salari, se la gente aveva un salario cospicuo poteva, oltre che acquistare beni di primaria necessità, utilizzare il “surplus” per beni voluttuari, che avrebbero migliorato lo stile di vita. “E’ il grado di agiatezza delle grandi MASSE che testimonia la prosperità di un paese; la funzione dell’industria è condurre all’agiatezza” questo è quello che sosteneva Ford, che non si rendeva conto, però, di trasformare gli uomini in masse di persone, spesso omologati e spinte solo dalla voglia di denaro.
Nel momento stesso in cui l’operaio entra a far parte del sistema, è incasellato in uno schema ferreo, perché solo così si poteva produrre tanto, a basso costo, con alti salari. Il luogo del lavoro doveva essere pulito, arieggiato, illuminato, si dovevano rispettare i tempi in modo rigido, e gli operai dovevano essere motivati. Queste norme dovevano però essere rispettate anche nelle case dei lavoratori. Così come in fabbrica, non c’era bisogno di legami affettivi tra i lavoratori, che avrebbero messo in crisi la produzione, così si inizia anche a sviluppare un nuovo tipo di famiglia, spesso, composta da un minor numero di componenti.
Nessuno all’interno della fabbrica aveva un ruolo specifico, anche chi era l’addetto al controllo dei tempi, poiché questo facilitava l’individuazione degli errori o dei ritardi, poiché nessuno era più importante di un altro. Il “fordismo” inoltre è completamente contrario ai prestiti bancari in periodi di crisi. L’industria doveva essere capace di riprendersi da sola e non si doveva, come invece spesso succedeva, trasformare in azioni e cambiali, i prestiti bancari potevano essere utili solo per ampliare le fabbriche ma non per salvarle dalla bancarotta.
Le idee di Ford però non si basavano sull’esperienza dello stesso, ma sulle teorie - si riteneva - di un “giovane inesperto”, come veniva da molti giudicato. Tuttavia applicando il suo sistema, Ford era riuscito a sconfiggere anche tutti quelli che non credevano fosse utile costruire una macchina a basso costo, poiché doveva essere solo un bene dei ricchi. Ford, tuttavia, non riusciva ad accettare la presenza dei sindacati, che invece, come abbiamo visto, avevano acquisito un ampio potere in America. Ford sosteneva che seguendo il suo metodo nessuno poteva aver bisogno di essere protetto contro le ingiustizie.
La più importante caratteristica delle industrie fordiste era la misurazione dei tempi che seguiva le teorie tayloriste. Taylor si era proposto di eliminare qualunque istante che non portasse guadagno durante la produzione in fabbrica; aveva studiato e ottimizzato il lavoro delle macchine ormai ampiamente usate ed in seguito aveva fatto lo stesso con gli operai, ma aveva trascurato completamente il lato fisiologico e psicologico dei lavoratori.. Lo stesso tipo di ragionamento fu tenuto da Ford quando ideo’ la catena di montaggio, che unita al taylorismo dava vita all’industria moderna.

La prima metà del ‘900.
L’isolazionismo americano si era trasformato dopo la prima guerra mondiale in protezionismo, volto a scoraggiare la concorrenza e limitare le importazioni.
L’Europa inoltre si era fortemente indebitata con gli Stati Uniti, tra i prestiti più cospicui:
• alla Germania 1.420.957 $ (ricordando la sconfitta della Germania dalla guerra)
• alla Gran Bretagna 640.892 $
• ala Francia 471.334 $
• all’ Italia 401.140 $
Con l’aumento della produttività industriale e dei salari, i profitti delle aziende salirono notevolmente, portando ampi vantaggi alla Borsa statunitense. Tutti erano ottimisti, nasceva il modo di vivere all’americana, si consumava riempiendo il tempo libero di svaghi e divertimento.
Anche se gli anni ’20 in America sono spesso riconosciuti come gli anni del proibizionismo, furono, invece, un periodo di libertà assoluta.. I tradizionalisti, ostili ai socialisti e ai dissenzienti si opponevano alle donne, che avevano cominciato a bere e fumare in pubblico, che indossavano la minigonna e grandi cappelli, e ai grandi locali alcoolisti.
Tuttavia l’euforia per la nuova ricchezza aveva portato alla speculazione, non solo dei ricchi ma anche dei salariati e dei piccoli impresari. Purtroppo la speculazione vive di se stessa e perde qualunque contato con la realtà, specialmente per il fatto che molti credevano che l’arricchimento della classe media americana poteva far parte di un qualche progetto divino. Ogni giorno venivano scambiati quattro, cinque milioni di titoli fra i piccoli risparmiatori e gli speculatori di professione, questo alimentò la formazione di un economia di carta, sempre più slegata dall’economia reale, quella della produzione e dello scambio di beni. Molti non riuscivano a credere che la Borsa prima o poi sarebbe crollata, e si rassicuravano con delle illusioni di un futuro sempre migliore. Tra gli strumenti più comuni per alimentare l’acquisto in massa di azioni di ogni tipo molto importanti furono gli Investente_Trust . Gli anni tra il ’28 e il ’29 furono favolosi per l’America. Il capitale americano investito per il mondo era in buona parte investito di nuovo a Wall Street, la Borsa americana. Non potevano essere dati giudizi negativi sulla Borsa di quei tempi, ne’ sul ritmo di vita, chi lo faceva veniva ignorato e criticato, molti investirono tutto quello che era in loro possesso.

La crisi e la depressione.
La data di inizio del crollo indicata da molti economisti, come Galbraith,fu il 24 ottobre del 1929, il così detto “giovedì nero”. Subito si riunirono i grandi proprietari di banche, e decisero di aiutare con i loro fondi la Borsa. Questo in un primo momento rassicurò tutti gli investitori ma solo per poco. Lo stesso presidente Hoover,successore di Wilson, da cui il popolo si aspettava grandi cose ed invece rimase gravemente deluso, provò a rassicurare gli americani.. Infine, la giornata più rovinosa per la Borsa fu il martedì 29, neanche i banchieri ebbero la forza di ammettere che era ormai iniziata la fase più critica che avrebbe coinvolto società finanziarie, aziende commerciali e industrie.
Infatti al crollo della Borsa seguì la grande depressione, ma è impossibile stabilire quale rapporto esiste tra le due, quale sia la causa e quale l’effetto. Alcuni sostengono che il crollo della Borsa influenzò l’andamento dei posti di lavoro, e fu causa della diminuzione dei prezzi…Molti purtroppo non si aspettavano che il crollo delle azioni avrebbe influenzato il loro tipo di vita, specialmente i contadini che non si interessavano di quello che succedeva in città. Altri tuttavia sostenevano che l’attività produttiva già fosse entrata in crisi; anche se i due eventi si alimentavano a vicenda, infatti sarebbe stato difficile per chiunque immaginare la grande depressione senza il crollo borsistico.
In effetti non mancavano, i segnali di una crisi economica,:
1. Gli indici industriali salivano, ma le ricchezze non erano per i contadini, che erano invece svantaggiati dai bassi prezzi di vendita.
2. Alcuni settori dell’industria, ad esempio quello tessile erano in crisi e molti diventavano disoccupati.
3. Il problema principale è la disparità dei redditi: tanto in mano di pochi, che comporta una domanda assai limitata fino ad arrivare ad una produzione maggiore (favorita anche dai nuovi metodi industriali come il Taylorismo e il fordismo) della richiesta, è questo che è causa di crisi.
Alla fine intervenne il governo abbassando le tasse per favorire la domanda, tuttavia questa brillante iniziativa fu annullata dalla pretesa di mantenere fisso il bilancio.

Mercato internazionale e mercato interno.
Già dal 1925/1926 ci si era resi conto in America che la produzione era assai elevata rispetto alla domanda, così le industrie statunitensi rispondevano ormai ad esigenze internazionali. Purtroppo molte grandi imprese sostenevano la macchina produttiva al disopra delle loro reali capacità, grazie ai prestiti bancari. Perciò quando crollò la Borsa americana ne risentì l’intero mercato internazionale, ed in particolare tutte le più importanti nazioni d’Europa, specialmente quelle a base capitalistica come la stessa America. Inoltre la depressione non tendeva al miglioramento, gli impresari si trovarono costretti a licenziare molta mano d’opera per ridurre le spese, così la domanda continuava a calare.
Gli effetti di questa crisi furono disastrosi soprattutto per la classe operaia ricca di: disoccupati o di salari eccessivamente bassi, diminuzione del potere d’acquisto della moneta non bilanciato da una parallela caduta dei prezzi.La situazione Americana degli anni trenta era veramente disastrosa; uno dei film che meglio rappresenta il fordismo e la crisi americana è “Tempi moderni” di Chaplin, la storia di un operaio Charlot e di una monella che non vogliono diventare macchine e pezzi di una catena di montaggio ma vogliono vivere, il regista dice commentando il film:
“Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all’odio e al terrore (…) è paradossale che nell’elaborazione di una comica la tragedia stimoli il senso del ridicolo; perché il ridicolo, immagino, è l’atteggiamento di sfida: dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura se non vogliamo impazzire.”
Gli interessi dei grandi industriali erano ormai coincidenti con quelli dello stato, l’unico modo per risolvere la crisi era il colonialismo, che portò lo scoppio della seconda guerra mondiale, e la partecipazione degli Stati Uniti.

Franklin Delano Roosevelt e il New Deal.
Il democratico F. D. Roosevelt salì al potere nel 1933 e con il New Deal, cioe’ il Nuovo Corso, riuscì a sanare in parte la situazione economica americana.
Gli scopi esenziali di questo nuovo programma erano essenzialmente tre:
1. L’aumento del potere d’acquisto delle masse.
2. Rilanciare la domanda interna con una diminuzione della disoccupazione e un aumento dei redditi.
3. controllare le banche per evitare una nuova speculazione.
La vera novità di questo sistema fu proporre come promotore della domanda interna, lo Stato stesso che assumeva e pagava i lavoratori, per un ampio piano di lavori pubblici, così che gli operai avrebbero a loro volta usato i propri salari per rimettere in moto l’economia, ed evitare la stagflazione. Roosevelt introdusse la garanzia del governo federale sui piccoli depositi bancari, iniziò una ricostruzione delle industrie limitandone la concorrenza. In agricoltura limitò le aree da mettere a coltura per evitare una sovrapproduzione. Le resistenze non mancarono ma Roosevelt introdusse altre due importante innovazioni:
- La legge Wagner che riconosceva pienamente i diritti sindacali.
- La Social Security Act che proteggeva i lavoratori con un sistema di assicurazioni per la vecchiaia.
La disoccupazione fu tuttavia pienamente riassorbita solo con l’avvento della seconda guerra mondiale, dopo l’avvio della politica del riarmo.

Le fonti:
- Elio Bonifazi e Alberto Pellegrini :“Stato e società civile” - editore Bulgarini, Firenze,
- Massimo L. Salvatori e Francesco Tuccari: “L’Europa e il mondo nella storia” – volumeC, XIX/XX secolo -Loescher,
- “La crisi del ’29 e la grande depressione, in “La Repubblica”, 24/10/04,”
- Gianbattista Vicinali: “Uomini e problemi, Ford e il lavoro in serie”, La Nuova Italia,
- www.google.it: Tempi moderni, Chaplin regista e Charlot.


Approfondimenti brevi di: temi e parole.
Vita (di) Marx.
Marx nasce a Treviri nel 1818, aderisce inizialmente alla corrente della sinistra hegeliana. Diventa redattore della “Gazzetta Renata” di stampo democratico radicale.
Nel 1844 emigra a Parigi, dove inizia a interessarsi di economia e di politica.
Cambia così radicalmente il suo indirizzo politico, iniziando a criticare la filosofia hegeliana, definita rivoluzionaria nel metodo,ma non nei contenuti, e in completo contrasto con il suo materialismo storico e dialettico.
Stringe amicizia con Engels, figlio di un industriale, proprietario di una fabbrica tessile. I due entrano a far parte della Lega dei Comunisti.
Durante la rivoluzione del ’48 dirige un nuovo giornale, ma fallita la rivoluzione, va in esilio in Inghilterra con la famiglia, dove vivrà in condizioni misere fino alla morte, spesso aiutato finanziariamente dall’amico Engels.
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Il plus-valore di Marx.
Marx sosteneva che se il valore del prodotto non viene completamente ceduto al proletario, sotto la forma del salario, si forma un surplus di valore, il plus-valore, che è alla base dei redditi capitalisti. E’ la regola suprema, che porta alla proprietà privata borghese dei mezzi di produzione.

Il_socialismo_in_Germania.
F. Lassalle fu l’unico capace di far nascere un vero movimento socialista in Germania. Era stato il primo a costruire un partito operaio in Europa, ideologicamente ispirato al socialismo di Stato, avente come fini: come mezzi:
1. Il suffragio universale 1. lotta parlamentare
2. Una legislazione sul lavoro 2. collaborazione con i borghesi
3. cooperative gestite direttamente da operai
Alla morte di Lassalle il partito si scisse. Bakunin , che aveva sempre cercato di formare un proprio movimento rivoluzionario socialdemocraticodiresse una parte del movimento socialista e non mirava alla conquista dello Stato, quanto alla distruzione della classe borghese, mediante una rivoluzione violenta. I fini e i mezzi erano completamente differenti da quelli di Marx:
- I mezzi erano le rivolte di singoli o di piccoli gruppi, le cospirazioni e il terrorismo.
- Come fine promulgava una società fondata sulla libertà, e perciò priva di qualunque potere politico molto simile a quella sostenuta da Proudhon
Nel 1870, quando Bakunin usci dall’Internazionale, il suo anarchismo libertario si presentava come un vero e proprio nemico del socialismo.
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Indietro(2)
Locke_e_il_liberalismo.
Lo sviluppo della borghesia inglese portò presto a diversi scontri tra le classi. Esplose perciò la guerra civile tra i progressisti e la vecchia classe feudale sostenuta da Carlo I. La vittoria arrivò nelle mani dei sostenitori del parlamento, guidati da Oliver Cromwell, che segnò la fine dell’assolutismo.
Era ormai necessario uno stato che avesse come scopo “quello di favorire gli affari dei cittadini, di servirli e non di servirsene”. Queste parole sono del filosofo inglese John Locke, il quale sosteneva che “il diritto naturale di proprietà’’ venisse fondato sul lavoro. Lock così giustifica la proprietà privata : appartengono all’uomo “il diritto naturale di proprietà, oggetto da lui lavorato, e il frutto del lavoro.
Lo Stato ha come scopo di mantenere quello che è già insito nella legge di natura, di conservare la proprietà del singolo, che è unguadagno per la comunità umana. Queste idee sono diventate la base del liberalismo europeo borghese. Locke inoltre:
- capisce che i poteri legislativi ed esecutivi non possono restare nelle mani delle stesse persone o dello stesso gruppo, devono invece separarsi e limitare l’uno i poteri dell’altro.
- legittima la rivolta contro un potere, che opprime le libertà dei cittadini.
Tuttavia Lock non è un rivoluzionario, infatti: la rivolta che lui legittima è piuttosto un avvertimento nei confronti del sovrano, che sarà così portato a rispettare pienamente i cittadini. Locke infatti è visto come un liberale moderato, il suo ideale politico è pertanto la pace e l’ordine sociale.
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Sistema_economico.
Sistema economico identifica “un complesso organizzato di operatori(pubblici o privati), che effettuano attività produttiva nell’ambito di un determinato territorio conformemente ai valori che animano la comunità nazionale e nel quadro delle istituzioni politiche e giuridiche esistenti”.
Ogni sistema si deve porre tre problemi:
- che cosa produrre e in quale misura
- per chi produrre, per gli interessi di un elite o per la collettività
- come produrre, impegnando operai o sfruttando le nuove tecnologie.
I modelli tipici, che rispondono in maniera diversa a questi tre problemi, sono essenzialmente due ed il terzo è solo un unione degli altri due:
1. Il sistema liberistico o capitalistico è tipico dei regimi fondati sulla libertà di iniziativa privata. Ogni cittadino è libero di intraprendere una qualunque attività economica, che è indirizzata solo all’interesse dello stesso, e lo Stato non deve intervenire nelle attività produttive neanche se l’operatore economico commette degli errori. I consumatori hanno libertà di scelta nel comperare la merce che meglio soddisfa i loro bisogni. Questo sistema permette di esprimere le loro capacità, ma questa possibilità è essenzialmente solo di chi è già economicamente forte.
2. Il sistema collettivistico è proprio dei paesi socialisti, perciò caratterizzato dalla proprietà pubblica dei mezzi di produzione e avente come unico organizzatore e proprietario lo Stato. Tutti i lavoratori sono subordinati a quest’ultimo. In questo sistema, nonostante manchino ricorrenti crisi, ci sia la piena occupazione, e il reddito nazionale sia uniformemente ripartito fra tutti, manca uno stimolo, poiché tutti i cittadini sono demotivati dalla consapevolezza che i loro sforzi non porterebbero a migliorare il loro tenore di vita.
3. Il sistema misto nasce dall’ intervento degli Stati nei sistemi capitalistici, per mitigare le ingiustizie, aumentare l’occupazione e migliorare i salari. Questo sistema è caratterizzato dalla compresenza di imprese private e pubbliche.
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I_nuovi_poveri.
Se alla fine del 1800, ancora i poveri erano indicati come i piccoli proprietari o come le persone che non avevano alcuna proprietà immobile, con lo sviluppo dell’industria ci si inizia a chiedere chi sono veramente i poveri. Così nascono dei parametri per definire il livello di povertà.
La povertà assoluta si ha quando la grave mancanza di risorse mette in pericolo la vita, o se il reddito di una persona è al disotto di un redito minimo, che è specifico per ogni paese. Si può indicare come povere anche quelle famiglie che riescono a soddisfare i loro bisogni ma posseggono un reddito inferiore al reddito medio pro capite, sempre all’interno di un certo paese, introdotto dall’intenational standard of poverty line.

La_produzione_in_serie_e_di_massa.

Prima di Ford, la produzione standard e di serie era legato alla produzione di massa , nel senso che avrebbe potuto essere realizzata con maggiore facilità e più guadagno per l’imprenditore, senza tenere conto della qualità e del prezzo. Con il fordismo, invece, prima si deve cercare l’oggetto-merce che più soddisfa l’interesse del consumatore, e solo dopo decidere qual è il modo più consono di produrlo; la funzione dell’industria,infatti, è quella di soddisfare i bisogni di massa; la qualità, inoltre, dell’articolo deve essere alta e il prezzo basso, l’oggetto prodotto deve essere utile alla massa e, quindi, anche universalmente richiesto.

Gli_Investente_Trust
Gli Investment Trust furono ideati da John Raskob presidente della General Motors, che sinteticamente poteva seguire questo meccanismo: “organizzata una società per acquistare titoli, il proletario munito, ad esempio, di 200$ avrebbe versato i suoi magri risparmi alla stessa società che avrebbe acquistato titoli per la cifra meno ridotta di 500$. I 300$ in più sarebbero stati ottenuti da una società finanziaria, organizzata per depositare tutti i titoli come garanzia accessoria. Il candidato capitalista avrebbe pagato 25$ al mese il suo debito, ma il guadagno sui titoli sarebbe stato interamente suo.”
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Il_crollo_raccontato_da_Galbraith.
Galbraith sostiene che il crollo della Borsa non fu influenzato dalla crisi economica ed inoltre fa una descrizione dettagliata dei dieci giorni più bui della storia della Borsa.

Molti sostennero,per Galbraith, che la Borsa era solo un riflesso della crisi economica. Sostenere questo però indicherebbe anche sostenere che la Borsa è il riflesso della realtà, e che il crollo di Wall Street sarebbe stato solo la punta di un problema economico già in atto da molto. La Borsa era sempre stata un simbolo delle nazioni unite ma Galbraith sostiene, giustamente che gli speculatori non sono di certo la migliore figura per rappresentare un popolo. Fu proprio la speculazione ad essere la prima causa degli avvenimenti del ’29. Non si poteva poi sicuramente immaginare una crisi lunga tre anni solo per un crollo economico, ne’ tanto meno si poteva credere che la crescita sarebbe contata all’infinito. I primi segni del crollo fecero perdere fiducia anche ai più ottimisti, ma ai giorni di perdite finanziarie si alternavano, tuttavia, dei giorni buoni, che non fecero scemare del tutto lo zelo speculativo, perché economisti come: Andrei Mellon, Charles E. Mitchell…dichiaravano, anche in forma ufficiale, che “la situazione industriale degli Stati Uniti era assolutamente solida”.

I “duri” dieci giorni (sempre per Galbraith):
- 19 ottobre: ci fu un’inconsueta scarsità di denaro, i titoli del “New York Time”, ed in generale tutti i titoli sui quali più contavano gli speculatori, scesero.
- 20 ottobre: Le azioni continuarono a scendere a causa della cospicua voglia di vendere, molti cedettero alla fine.. Si conteneva il panico, perché si stava attivando un’azione di sostegno, ovvero i più ricchi uomini del paese avrebbero aiutato i connazionali, mantenendo i prezzi a livelli ragionevoli, chi fossero questi ricchi ancora non si sapeva.
- 21 ottobre:gli operatori meno esperti o più ottimisti si resero conto che il ticket (dispositivo che segnala gli andamenti dei titoli di Borsa), era spesso rimasto indietro e solo dopo un paio di ore dalla chiusura poteva sapere quanto aveva vinto, ora potevano tutti essere rovinati e neanche saperlo. Tuttavia ancora sembrava che il mercato poteva riprendersi.
- 22 ottobre: da un lato Charles E. Mitchell sosteneva che la situazione era andata talmente oltre, che solo se lasciata a se stessa si sarebbe risolta, dall’altro Babson raccomandava invece di vendere tutto e comprare solo oro.
- 23 ottobre: ci furono gravi perdite, migliaia di speculatori decisero di ritirarsi, ma ancora c’era una speranza: “il sostegno organizzato”.
- 24 ottobre, il giovedì nero: questo giorno fu identificato col panico del 1929. Si sviluppò tutto nella mattina, all’apertura tutto sembrava stazionario poi le azioni iniziarono a scendere, alle undici tutti volevano vendere. I valori correnti erano molto al di sotto della storia della Borsa. “Si poteva dire fuori del palazzo della Borsa in Broad Street un vocio sinistro. C’era folla[…]. Era in corso un’ondata di suicidi, e undici noti speculatori si erano già uccisi.” A mezzogiorno il panico si era arrestato: era iniziata l’azione del sostegno organizzato, i cui protagonisti furono: Charles E. Mitchell, presidente del consiglio d’amministrazione della National City Bank, Albert Wiggin, presidente della Chase National Bank, William Potter, presidente della Guaranti Trust Company, Seward Prosser, presidente della Bankers Trust Company, e Lamont socio del vecchi Morgan.
Lamont dichiarò che c’era stata un po’ di vendita forzata, ma la situazione sarebbe presto migliorata poiché la causa principale di quel crollo dipendeva essenzialmente dal mercato; inoltre i grandi presidenti bancari si sarebbero impegnati al massimo per migliorare la situazione. La paura svanì, il mercato riprese a salire e gli speculatori non volevano lasciar perdere quel nuovo aumento.
- 25/26 ottobre: i prezzi furono costanti, la situazione era migliorata. L’ansia era scomparsa, perché la gente ora viveva con la convinzione che per qualunque problema o difficoltà, i grandi banchieri avrebbero sempre aiutato l’economia. Inoltre era venuto a formarsi un più ampio senso di compiacimento per il proprio paese poiché forse nessun altro sarebbe stato capace di superare un così grave momento di difficoltà con cui era riuscito a farlo l’America. Vi fu tuttavia una nota divergente dal coro, quella del governatore Delano Roosevelt, che criticò apertamente la “febbre della speculazione”.
- 27 ottobre: Molti interpretarono questi giorni come una punizione divina, che ormai era passata e la speculazione avrebbe ripreso tranquillamente piede.
- 28 ottobre: le perdite furono ancora più gravi. I banchieri si incontrarono e si resero conto di essere troppo impegnati su un mercato in crisi, così vennero meno alle promesse senza sconvolgere ancora le persone, ovvero decidendo di organizzare sistematicamente la caduta dei prezzi. Cosa molto importate però, fu che nessuno accusò i banchieri di essersi ritirati, forse solo ora si capiva veramente la triste situazione a cui si era giunti.
¬ 29 ottobre, il martedì nero: tutti iniziarono a vendere e nessuno comperava. Gli Investment Trust potevano addirittura annullarsi. “I membri della Borsa [..] si trovano a dover registrare la maggior quantità di transazioni che si fosse mai presentata” e per giunte con nessuna speranza per il futuro.

Il_fordismo_e_la_stagflazione.
Dopo cinquant’anni, durante i quali il taylorismo ed il fordismo avevano dominato le industrie, ormai questi metodi non permettevano più di sfruttare l’ingegno umano. I vecchi metodi avevano fatto nascere una crisi profonda caratterizzata dal fenomeno della stagflazione, ovvero di un ciclo economico caratterizzato dalla contemporanea presenza di stagnazione(bassi tassi di crescita degli investimenti e della produzione ) e di elevata inflazione.
Le soluzioni scelte per rispondere alla crisi dei metodi sono: (1)Il trasferimento delle produzioni fordiste più comuni verso i paesi con bassi salari e con debole protezione sociale (2)la ricerca di nuove fonti di produttività (3)la ricerca di nuove tecnologie elettroniche…
Un importante input fu inoltre dato dalle macchine informatiche che oltre a poter essere utilizzate a tempo pieno sono più flessibili, ovvero possono essere programmate di nuovo e adattate a nuove funzioni, trasformando però gli operatori in semplici “tappabuchi” nei processi automatizzati.

 

Fonte: http://www.chirale.net/francesco/docustudenti/II%20Ind%20Polit%20e%20Econ%20di%20M%20Camia.doc

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Comunismo definizione


Dottrina e sistema politico-sociale fondato sul principio dell'uguaglianza reale (non astratta né puramente nominale), che comporta, anche se non necessariamente, il possesso comune di tutti i beni e l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. In questo senso il comunismo va distinto dal collettivismo, che implica il possesso comunitario integrale di tutti i beni. Ispirato all'istanza di radicale rinnovamento della società umana, il comunismo si è sviluppato attraverso i tempi con tematiche di varia ispirazione e non meno difformi teorizzazioni, cui sono seguiti rinnovati tentativi di realizzazione pratica.

 

COMUNISMO MARXISTA
Rispetto a questi progetti, che hanno il limite di affidarsi ai generosi sforzi di piccole minoranze, una svolta significativa nel programma del comunismo moderno viene impressa da K. Marx e da F. Engels che nel 1848, alla vigilia dei moti rivoluzionari, pubblicano a Londra il Manifesto del Partito Comunista, destinato a costituire la prima esposizione teorica, completa e unitaria, di un programma e di una strategia politica che indicano quale compito decisivo dei comunisti la costruzione di una nuova società senza classi. Ai principi del giusnaturalismo e del razionalismo settecentesco e alla concezione filosofica dell'idealismo (soprattutto hegeliano), Marx contrappone una «filosofia della prassi», volta a considerare ogni aspetto dell'attività umana come un fenomeno sociale, che si svolge all'insegna di un continuo movimento dialettico e trova nella rivoluzione («forza motrice della storia») lo strumento per superare le contraddizioni esistenti e inaugurare un nuovo sistema di rapporti individuali e collettivi. Le tappe per raggiungere il traguardo finale comportano tre fasi distinte, che costituiranno la piattaforma di lotta della I Internazionale, creata a Londra nel 1864. Anzitutto, il proletariato deve prendere coscienza del suo ruolo di classe oppressa e, attraverso la rottura rivoluzionaria dell'ordine costituito, deve distruggere lo Stato borghese; una volta conquistato il potere politico attraverso la formula della «dittatura del proletariato», deve provvedere a socializzare i mezzi di produzione, eliminando i residui della vinta borghesia; infine, quando i rapporti economici avranno permesso di eliminare «ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo», prenderà il via la società senza classi, col trionfo completo del comunismo. Tuttavia, dopo la sconfitta della Comune (1871), che doveva costituire il primo esempio storico di governo proletario dichiaratamente antiborghese, all'interno del movimento rivoluzionario europeo, che si richiama al programma di Marx, si formano due correnti, destinate a contrapporsi nella scelta delle tattiche da seguire per edificare la società del futuro. A destra, dopo la nascita della socialdemocrazia tedesca e lo sviluppo della II Internazionale, fondata a Parigi nel 1889, prevalgono i gruppi riformisti, convinti che la violenza rivoluzionaria non sempre è indispensabile ma che l'allargamento del suffragio elettorale e il diffondersi dei movimenti sindacali rappresentano i mezzi più efficaci per far sentire la presenza determinante delle forze operaie nella vita politica. Ma contro questa interpretazione, che assorbe i principi del revisionismo e reputa possibile (e preferibile) la «via parlamentare» per raggiungere la società senza classi, dai primi del Novecento, soprattutto per merito di Lenin e degli esponenti bolscevichi del Partito socialdemocratico operaio russo, a sinistra si affermano i gruppi del comunismo contemporaneo, decisi a respingere qualunque compromesso coi nuclei borghesi e pronti a utilizzare il conflitto mondiale, per trasformarlo in una gigantesca guerra civile, con cui portare alla vittoria il proletariato internazionale. Questo obiettivo si realizza solo in parte; infatti in Russia la Rivoluzione d'Ottobre del 1917 distrugge lo zarismo e il proletariato, guidato dal Partito comunista, arriva a conquistare il potere. Nel 1919 a Mosca nasce la III Internazionale, o Internazionale comunista, che si propone di utilizzare il modello del comunismo sovietico per ottenere anche negli altri Paesi uno sviluppo rivoluzionario, con cui realizzare un comunismo mondiale. Ma la tragedia dello spartachismo di K. Liebknecht e R. Luxemburg in Germania e il fallimento dell'esperienza ungherese di Béla Kun segnano un'improvvisa battuta d'arresto al diffondersi del comunismo. Anzi, la morte di Lenin (1924) accentua anche fra i bolscevichi il contrasto fra il programma della «rivoluzione permanente», difeso da L. Trotzkij, e la politica del «socialismo in un Paese solo», che troverà in J. V. Stalin il massimo teorico e sostenitore e si realizzerà attraverso un sistema di economia collettivistica sulla base dei famosi «piani quinquennali». Col prevalere della linea staliniana, che assicura il monopolio del potere nelle mani del leader georgiano e impone una ferrea disciplina di partito, culminante nel drastico divieto di qualunque dissidenza interna, anche a costo di massicce repressioni (le famose «purghe» degli anni Trenta), il modello ufficiale del comunismo contemporaneo finisce per identificarsi con la politica dell'U.R.S.S., che assurge a Stato-guida anche verso tutti gli altri partiti comunisti. Almeno fino alla II guerra mondiale, lo sforzo per il consolidamento del comunismo sovietico si accompagna, anche fuori dell'U.R.S.S., alla lotta contro il nazifascismo, che condiziona la strategia di ogni partito comunista, imponendogli la politica di alleanza coi partiti socialisti e coi gruppi più avanzati della borghesia (i cosiddetti «fronti popolari»). Ma, dopo la fine del conflitto, col processo di decolonizzazione nei Paesi afroasiatici e coi nuovi rapporti di equilibrio internazionale, l'U.R.S.S., che pure aveva contribuito massicciamente a portare al potere i partiti comunisti nell'Europa orient. (D.D.R., Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia), comincia a veder criticato e respinto il ruolo di Stato-guida; e la vittoria di Mao Tse-tung che proclama la Repubblica Popolare Cinese (1949) serve di inizio a un «nuovo corso» nelle vicende del comunismo mondiale, che, dopo il XX Congresso del Partito comunista sovietico e la famosa destalinizzazione (1956), cerca di affermarsi e consolidarsi all'insegna delle «vie nazionali». Il dissidio russo-cinese, iniziato nel 1955, diventa rivelatore per cogliere le due strategie che, a partire dagli anni Sessanta, dividono i partiti comunisti. Da un lato stanno i partiti (in prevalenza europei) che rimangono fedeli a Mosca e considerano la coesistenza pacifica l'unica possibilità efficace per rispondere alla sfida del capitalismo; dall'altro lato stanno i partiti comunisti (soprattutto quelli del Terzo Mondo) che si richiamano al comunismo cinese e perseguono un programma di «rivoluzione ininterrotta» per ottenere il trionfo del comunismo nel mondo. Quest'ultima posizione peraltro perde sempre più terreno; la morte di Mao (1976) in un certo senso le è fatale. Ma è con gli anni Ottanta che il panorama cambia radicalmente. La salita al potere di Gorbacëv (1985) modifica in profondità gli equilibri politici mondiali. Si delinea una nuova fase dei rapporti Est-Ovest con incontri al vertice tra U.R.S.S. e U.S.A. che segnano la fine del contrasto esasperato tra i due Paesi e aprono nuove prospettive di collaborazione e di riduzione degli arsenali militari. Anche all'interno del «campo socialista» si apre un processo che induce cambiamenti profondi che condurranno, alla fine del decennio, al crollo del socialismo reale. Le parole d'ordine glasnost (trasparenza) e perestrojka (riforma) scuotono la società sovietica e mettono a nudo le insufficienze economiche e politiche di quel modello; lo stesso ruolo guida del partito (P.C.U.S.), sancito dalla Costituzione, viene messo in discussione (1990) aprendo una stagione politica di relativa liberalizzazione. L'accavallarsi di spinte centrifughe con la richiesta di indipendenza di varie repubbliche, la radicalizzazione di un'opposizione democratica sempre più insofferente alle resistenze degli apparati politici ed economici, il rapido deteriorarsi delle condizioni di vita delle masse popolari: tutto contribuisce a un'accelerazione della crisi. Nell'agosto 1991, un tentativo di colpo di Stato da parte dei conservatori del partito e del governo, fermato dalla decisa reazione popolare e delle forze democratiche guidata da B. Elcyn, determina, all'indomani del fallito golpe, lo scioglimento del P.C.U.S., che prelude alla disgregazione della stessa Unione Sovietica, consumatasi alla fine del medesimo anno. Nei Paesi dell'Est europeo il processo di revisione favorito dall'era gorbaceviana culmina nel 1989 con un sostanziale ripudio dei precedenti regimi: in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia i partiti comunisti perdono il privilegio di ruolo guida e si afferma la democrazia; il crollo del regime nella Germania Orientale determina la fine della divisione di quella nazione sancita a Jalta; in Romania, dove il regime di Ceausescu si era mostrato refrattario a ogni novità, una ribellione popolare rovescia il dittatore che viene giustiziato; in Bulgaria (1990) e in Albania (1991) pur rimanendo, in un primo momento, al potere i partiti comunisti più o meno trasformati, si hanno elezioni libere che confermano l'esistenza di una forte opposizione democratica, risultata poi vincitrice in entrambi i Paesi alle successive elezioni politiche (tenutesi, rispettivamente, nel 1991 e nel 1992). La ventata di democratizzazione non può certo risparmiare la Iugoslavia, nonostante l'estraneità di quel regime al blocco sovietico. La crisi del comunismo balcanico innesca, però, un meccanismo di sgretolamento della Federazione iugoslava con l'esplodere di istanze nazionaliste che portano alla formazione di Stati indipendenti, ma a prezzo di una cruenta guerra civile che oppone le varie etnie presenti nella regione. A questo processo di disfacimento del comunismo mondiale, fanno eccezione le esperienze di Cuba, della Corea del Nord, del Vietnam, della Cina Popolare. In realtà, anche in quei Paesi, seppur con diverse motivazioni e modalità, il comunismo presenta alcuni elementi contraddittori. Un esempio emblematico in questo senso è fornito dalla Cina dove il partito comunista al potere si mostra insensibile a ogni istanza di democrazia stroncando con una sanguinosa repressione il movimento di piazza T'ien-An-Mên (1989). Ciò non impedisce, tuttavia, l'accelerazione di un processo di modernizzazione economica basata su aperture sempre più ampie al libero mercato.

 

Fonte: http://sitocina.altervista.org/down/comun.doc

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IL CAPITALISMO
Con l’avvento della borghesia al potere ed il definitivo imporsi del capitalismo, l’attività economica fu posta, invece, al centro delle attività della classe dirigente e non fu più intesa come il mezzo per assicurare i consumi, ma come lo strumento per moltiplicare all’infinito il capitale ed incrementare la ricchezza.
L’economia divenne così oggetto di studio specifico, in quanto le teorie mercantilistiche non si erano preoccupate di dimostrare il perché accadessero alcuni fatti e quali legami funzionali collegassero tra loro i fenomeni economici.
Negli altri sistemi economici, il denaro è un mezzo di scambio ed un equivalente universale dei valori. Ad esempio, se un calzolaio vende le sue scarpe ed il denaro che ottiene lo utilizza per comprare due camicie, le camicie hanno lo stesso valore delle scarpe: è uno scambio equo. Così funzionano tutte le economie definite “con mercato”.
Ma il capitalismo non è un’economia con mercato, bensì “un’economia di mercato”: ossia, l’attività economica non comincia con due persone che realizzano un lavoro produttivo e vendono i prodotti sul mercato per riuscire a migliorare il proprio livello di consumo (M-D-M’ dove M=M’). Il circuito economico comincia, invece, col denaro (D), il quale non è più il mezzo per organizzare il mercato e facilitare gli scambi, ma diventa, invece, il principio e la fine dell’attività economica. Il denaro serve per comprare forza-lavoro e mezzi di produzione per realizzare un processo produttivo al fine di fabbricare una merce (M) che si possa vendere, per ottenere una quantità di denaro che necessariamente deve essere maggiore del valore che aveva all’inizio (D’).
D-M-D’ dove D<D’ (circuito capitalista)
Solo coloro che controllano il denaro controllano la loro vita, perché controllano la propria economia. Per questo motivo, nel capitalismo il denaro è uguale a potere. Per cui si intuisce perché la popolazione non determina la propria attività economica, essendo per lo più forza lavoro.

 

IL COMUNISMO
Mentre in Europa occidentale venivano applicate le teorie liberiste, nasce una nuova scuola di pensiero economico che critica il capitalismo ed è la Scuola marxista. Ad essa si ispiro’ la costituzione del sistema economico collettivista dell’URSS, il quale esclude il mercato dei mezzi di produzione: imprese e materie prime sono di proprietà dello Stato e la distribuzione è sempre curata da un organo statale che decideva cosa e con quali tecniche produrre, sottraendo tali poteri alle famiglie ed alle imprese. Esso, nato dalla dittatura del proletariato, avrebbe dovuto essere una tappa transitoria destinata a preparare l’avvento del COMUNISMO propriamente detto, nella quale doveva esserci la messa in comune di tutti mezzi di produzione ed anche di quelli di consumo ed assenza della proprietà privata .
Fu utilizzato la prima volta in Unione Sovietica a seguito della rivoluzione bolscevica del 1917 e fino al 1985. Utilizzato anche in Cina, Cuba e Vietnam.

Le teorie marxiste diedero impulso alle lotte sociali che si moltiplicarono nella seconda metà del XIX secolo e che influenzarono profondamente ideologie e movimenti rivoluzionari nel XX secolo.
Il primo volume del suo Capitale è del 1867, mentre il secondo e il terzo furono pubblicati postumi, nel 1885 e nel 1895. Marx può essere considerato l'ultimo degli economisti classici, in quanto il suo pensiero trova fondamento, in larga misura, negli insegnamenti di Adam Smith e Ricardo.

L'economia di Marx si sviluppa a partire dalla teoria del valore-lavoro: ciò che conferisce valore a un bene è la quantità totale di lavoro mediamente impiegato per produrlo.
La differenza tra il valore del lavoro incorporato nei beni e quello pagato ai lavoratori sotto forma di salario è il plusvalore . A ciò è connessa la teoria dello sfruttamento della classe subordinata .
Quindi, il plus-valore discende dal plus-lavoro effettuato dell’operaio e si identifica con l’insieme del valore da lui gratuitamente offerto al capitalista.

Secondo Marx la caratteristica peculiare del capitalismo è il fatto che in esso la produzione non risulta finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro (denaro- merce- più denaro anziché merce-denaro-merce delle società pre-borghese): il capitalista compra ed usa una merce particolare (la forza lavoro) che ha come caratteristica di produrre valore, pagandola come una qualsiasi merce; tuttavia l’operaio ha la capacità di produrre più di una normale merce e quindi lavora oltre il valore corrispondente alla quantità di lavoro socialmente necessario per vivere, ossia più del suo salario. Questo più è il plus-valore dato al capitalista.
In un primo momento, il capitale cerca di accrescere il plus-valore aumentando la giornata lavorativa, ossia sfruttando; ma anche ciò ha un limite invalicabile, ossia le ore di lavoro oltre le quali l’operaio diventerebbe improduttivo, quindi si punta all’accrescimento della produttività del lavoro. Da ciò nasce la necessità per il capitalismo di introdurre in continuazione nuovi e più efficienti metodi e strumenti di lavoro quali: la cooperazione, la manifattura ed, infine, la grande svolta con l’industria meccanizzata. Quest’ultima introduce mezzi per l’accrescimento enorme di quantità di merce prodotta nello stesso tempo con lo stesso numero di operai ed ore. Ma tutto ciò comporta crisi cicliche di sovrapproduzione. Inoltre, per il capitalismo la necessità di un continuo rinnovamento tecnologico genera anche la caduta tendenziale del saggio di profitto, a causa dei costi smisurati di capitale costante (costituito da macchine e materie prime) rispetto al capitale variabile (salari).

Quindi, se da una parte, in forza del processo di accumulazione capitalistica, il controllo delle risorse produttive tende a restringersi nella mani di un numero limitato di capitalisti, dell’altra determina un proletariato sempre più povero e numeroso. La capacità produttiva cresce, dunque, ad un ritmo superiore alla capacità d’acquisto della classe operaia, determinando crisi periodiche di sovrapproduzione, fino al crollo del sistema capitalista ed all’instaurazione di un’economia socialista.

Secondo Marx la soluzione al capitalismo, pur non fornendo un progetto preciso per la realizzazione, è l’eliminazione delle disuguaglianze fra gli uomini ed in particolare della proprietà privata, attraverso la rivoluzione sociale da parte del proletario, vittima dello sfruttamento della classe borghese su quella operaia, al fine di realizzare una democrazia vera, ossia la democrazia comunista . Essa avrebbe dovuto distruggere le disuguaglianze reali e porre le basi per un recupero dell’essenza sociale dell’uomo.
Si sarebbe così realizzata una società organica (secondo il pensiero del maestro di Marx, ossia Hegel), simile a quella delle polis greche, in cui l’individuo si sarebbe trovato in un’unità sostanziale con la comunità, senza antitesi tra ego pubblico e privato, tra sfera individuale e sociale, fra società e Stato. Contrariamente nello Stato moderno era costretto a vivere come due vite:una in terra, come borghese, cioè nell’ambito di egoismo ed interessi particolari della società civile e l’altra in cielo, come cittadino, ovvero nella sfera superiore dello Stato e dell’interesse comune.
Secondo Marx, tra la società capitalistica e quella borghese era necessario un periodo di trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra, cui corrisponde anche un periodo politico di transizione (seppur il tutto a lungo termine), il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzione del proletariato. Ma Marx non dice quali forme concrete dovrà avere questa dittatura transitoria. Quello che si evince è:
- la sostituzione dell’esercito permanente con l’organizzazione degli operai armati
- la soppressione del parlamentarismo, cioè della delega del potere ad un apparato politico specializzato, sostituendolo con delegati eletti a suffragio universale, direttamente responsabili del loro operato, revocabili in ogni momento e retribuiti con salari corrispondenti ad un normale salario operaio
- la soppressione del privilegio burocratico
- ed infine, l’abolizione della celebrata, ma per lui fittizia, separazione dei poteri: la Comune da realizzare doveva essere un organismo non parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo.

 

LIMITI DEL COMUNISMO E DEL CAPITALISMO
I limiti del comunismo marxista sono: lo stato ovviamente non è in grado di adeguarsi ai reali bisogni della popolazione; impedisce l’iniziativa economica; soffoca le libertà personali degli individui. Ciò ha portato a proporre il capitalismo come unica verità per l’umanità, sia nell’accademia, sia nella docenza che nei piani di studio dei corsi di economia. Fino agli anni ’70 era tangibile la presenza di materia di critica al pensiero marxista che permetteva la messa a fuoco globale dell’economia come scienza sociale. Negli ultimi anni, il sistema imperante di dominazione ideologica ha portato anche molti studiosi a rinnegare il marxismo per non esser accusati di antiscientificità: questo è stato il prezzo che molti hanno dovuto pagare per affermarsi, far carriera ed impedendo il confronto diretto tra l’economia politica marxista e la micro e macro economia neoclassica.
Oggi, nell’attuale fase della competizione globale capitalista, vi è la propensione ad assoggettare il mondo completamente, sotto ogni dimensione, alla configurazione d’impresa e del profitto e chi ne subisce le maggiori conseguenze è l’individuo singolo e sociale, che si lascia omologare senza opporsi, rinunciando alla sua libertà e personalità: cosa forse ormai scontata, poiché quotidianamente si ricevono stimoli a farsi massa omologata, ad assimilarsi all’impero del capitale. E, infatti, spazi e tempi diventano sempre più brevi e funzionali alla diffusione delle idee dominante del capitale comunicazione. I mass-media, i computer, la telefonia mobile hanno reso l’intero globo un piccolo paese, non solo per motivi informativi e culturali, ma anche per far fronte alle esigenze di un mercato sempre più mondiale e per diffondere ed inculcare nella lente ala mentalità della mercificazione: ogni cosa ha un prezzo, un preciso valore di scambio.

OGGI - Nella fase attuale, si assiste ad una globalizzazione dei mercati, o meglio ad una sempre più aspra competizione globale, causa ed effetto dell’aumento di competitività del sistema economico nel suo complesso e dei singoli operatori economici in particolare. Il miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni elettroniche, l’abbattimento progressivo delle barriere doganali, anche per i rinnovati accordi internazionali politici ed economici apparentemente a carattere liberalizzante ma nei fatti a forte connotazione protettiva e competitiva, hanno portato le imprese a confrontarsi più direttamente ed a comportarsi come se operassero in un mercato senza alcun vincolo di confine territoriale. Il mercato, divenuto sempre più dinamico e competitivo, appare oggi con una tendenza chiara ed irreversibile a divenire un mercato unico; si tratta, invece, di un mercato avente una dimensione di aspra competizione mondiale, in cui si vanno definendo le aree di influenza di almeno tre poli imperialisti: USA, UE e Giappone.

 


Per Marx e Engels: “il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale cui la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”

Saggio del plus-valore = plus-valore/capitale variabile

Alienazione del lavoratore di Marx, a causa della proprietà privata dei mezzi di produzione:

  1. il lavoratore è alienato rispetto al prodotto, in quanto produce un oggetto, il capitale, che non gli appartiene, ma si costituisce come una potenza dominatrice nei suoi confronti
  2. il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto effettua un lavoro forzato nel quale è strumento di fini estranei, ossia il profitto del capitalista, sentendosi una bestia anziché un uomo
  3. il lavoratore è alienato rispetto alla sua essenza perché nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato, ripetitivo ed unilaterale anziché libero, creativo ed universale
  4. il lavoratore è alienato rispetto al prossimo perché l’altro per lui è il capitalista, ossia quello che lo tratta come un mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica, realizzando così un rapporto conflittuale.

Comunismo: forza che si ispira più strettamente a Marx ed alla rivoluzione d’ottobre
Socialismo: forza riconducibile a Lenin ed al modello sovietico (esso non esclude la proprietà privata totalmente)

 

Fonte: http://www.iisdellafra.it/PierodellaFrancesca/DOCUMENTI/APPUNTI%20VECCHI/studenti/Economia/Capitalismo%20e%20comunismo.doc

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Il socialismo prima di Marx
Saint-Simon (1760-1825)
Con lo sviluppo del capitalismo, al posto dei vecchi ceti privilegiati (nobili e possessori di rendite) acquistarono maggiore prestigio il “lavoro”, le capacità tecniche e intellettuali. Un personaggio importante per questa nuova visione “borghese”, ancora aperta in alcuni casi alle istanze democratiche dei lavoratori, si rivelò essere Saint-Simon, che comprese l’importanza dei nuovi ceti imprenditoriali. Nella sua opera principale, il Nuovo Cristianesimo (1825) espresse aspirazioni associazionistiche e comunitarie. Nella sua celebre Parabola (1819) scriveva: “Supponiamo che la Francia perda all’improvviso i suoi migliori tremila sapienti, artisti, artigiani. Questi uomini sono i produttori più necessari alla Francia, forniscono i beni più importanti, dirigono i lavori più utili per la nazione e la rendono feconda nelle scienze, nelle arti, nelle manifatture e nei mestieri: sono realmente il fiore della società francese”.
Saint-Simon, con le sue polemiche contro le strutture dello stato, contro la burocrazia e i proprietari parassitari, rappresentò la contrapposizione tra lavoro produttivo e sfruttamento passivo, e l’avversione ai poteri dello stato rappresentante dei ceti privilegiati. La nuova società nascente si basava su scienziati, professionisti, banchieri, fabbricanti, artigiani, negozianti; non più su nobili e proprietari (e nemmeno su contadini e operai).
Le sue idee esercitarono notevoli influssi, legandosi poi a tendenze egualitarie emerse dalla Rivoluzione francese (ad esempio, quelle di Babeuf) e alle prime teorie economiche capitalistiche (Smith, Malthus, Ricardo).

Robert Owen (1771-1858)
Uno dei pionieri dell’attività sindacale inglese fu senz’altro Owen, direttore e proprietario di un grande stabilimento tessile scozzese. Filantropo, si accorse che la produttività aumentava considerevolmente quando gli operai non venivano sottoposti a uno sfruttamento troppo intenso e quando venivano istruiti. Owen, puntando sulla cooperazione sull’istruzione, realizzò negli Stati Uniti una comunità sperimentale, chiamata New Harmony (1825), regolata sui suoi principi. Non ebbe il successo sperato e tornò quindi in Inghilterra, dove si dedicò alle Trades unions, (organizzazioni sindacali), e al movimento cooperativistico, che portò alla realizzazione di molte cooperative di consumo.
Su queste basi si diffuse anche il successivo movimento del cartismo, che rivendicava uno statuto (People’s Chartes) che coniugava istanze sociali a richieste politiche (suffragio universale maschile, elezioni annuali). Il movimento si diffuse tra il 1836 e il 1848.

Charles Fourier (1772-1837)
Discepolo di Saint-Simon, scrisse alcune opere, tra cui La fausse industrie che proponeva una visione di tipo cooperativistico. In opposizione all’ideale della libera concorrenza capitalistica, proponeva come modello di una nuova organizzazione della società i falanstieri, utopistiche comunità formate ciascuna da 810 uomini e 810 donne, che avrebbero dovuto realizzare l’armonia sociale. Queste comunità avrebbero dovuto dedicarsi alle libere attività agricole, più che ai monotoni lavori industriali: in questo Fourier si mostrò in grado di cogliere il pericolo dell’alienazione insito nello sviluppo del mondo industriale.

Pierre Joseph Proudhon (1809-1865)
Questo filosofo divenne celebre come socialista utopista. Scrisse Che cos’è la proprietà? (1840) e sostenne, con grande scandalo, che “la proprietà è un furto”. Pur criticando l’organizzazione del credito e l’usura, va considerato portavoce non delle istanze dei lavoratori più poveri, ma della piccola borghesia mercantile ed agraria, spingendo all’estremo le aspirazioni individualistiche fino a forme anarchiche.

Louis Blanc (1813-1882)
Nel suo testo L’organizzazione del lavoro (1841) prospettò come rimedio alla disoccupazione e alle difficoltà legate alle crisi economiche l’istituzione di industrie finanziate dallo stato e gestite dai lavoratori. Lo stato doveva avere una funzione fondamentale nella pianificazione economica e nello sviluppo dei servizi sociali. La democrazia rimaneva però (a differenza di altri sansimoniani) un valore fondamentale. Avversario della lotta di classe, è considerato uno dei primi sostenitori del socialismo di stato, e le sue idee avranno ripercussioni sulla situazione parigina del 1848.

Auguste Blanqui (1805-1881)
Esponente di una dottrina della dittatura rivoluzionaria, desunta nelle linee essenziali da Babeuf e Buonarroti. Credeva fermamente nell’efficacia di un piccolo partito armato, fortemente disciplinato, organizzato per la rivoluzione e destinato ad instaurare una dittatura che avrebbe educato il popolo, in vista dell’istituzione del nuovo sistema sociale socialista. Fondò, tra l’altro, la Società segreta delle famiglie e poi quella delle stagioni.

Da F. Gaeta, P. Villani, C. Petraccone, Storia contemporanea, Principato, Milano, 1992, pp. 58-78 (con modifiche).


Fonte: http://www.bellodie.altervista.org/storia5a_file/Socialismi_utopistici.doc

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