Trattamenti termici e prove meccaniche

 


 

Trattamenti termici e prove meccaniche

 

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Introduzione

Nel corso dell’anno scolastico sono state svolte  prove di laboratorio tecnologico meccanico, con lo scopo di acquisire ed approfondire conoscenze relative ad argomenti trattati in classe sulle proprietà tecnologiche e meccaniche dei materiali e degli effetti che provocano su questi i trattamenti termici.
Le diverse prove sono state eseguite su due tipi di materiali metallici: C40 e Fe37(vecchia unificazione, oggi del tipo Fe360).


Dei due materiali presi in esame abbiamo ricercato genericamente la composizione chimica, le proprietà prima di averli trattate termicamente e il loro utilizzo.
Le provette che abbiamo preparato sono le seguenti:

  • per Fe37 n° 7 provette di tipo Charpy modificata (ex. Mesnager), di cui 2 con diversa disposizione delle fibre fra di esse (allo scopo di ulteriori verifiche delle proprietà meccaniche del materiale) e n° 1 provetta per la prova Jominy;
  • per C40 n° 5 provette di tipo Charpy modificata (ex. Mesnager), n° 5 provette di tipo normal lunghe avente diametro 10 mm per prova di trazione e n° 1 provetta per la prova Jominy.

Tutte le provette sopra classificate sono state trattate termicamente e solo per le provette normal lunghe (C40) si è effettuata la prova di trazione statica determinando anche, sperimentalmente, il modulo di elasticità normale (modulo di Young). Sulle rimanenti provette si sono effettuate le prove di resilienza (KU), di macrodurezza (HBS, HV, HBR, HRC) e di microdurezza (HV, HK).
Per quanto riguarda le proprietà tecnologiche si è effettuata la prova Jominy, il cui scopo è quello di rilevare la temprabilità dei materiali.
I provini Charpy dei diversi materiali sono stati contrassegnati con numeri da 1 a 5 (si sono escluse le due con diversa disposizione delle fibre), con sigla C se il materiale è C40 e con sigla Fe se è Fe37.


Il codice numerico determina il riferimento al diverso trattamento termico subito:

 

n° provetta

Trattamento termico subito

1

Nessuno: stato di fornitura (barre TRAFILATE)

2

RICOTTURA COMPLETA (spegnimento in forno)

3

NORMALIZZAZIONE (raffreddamento in aria calma)

4

TEMPRA IN OLIO (, °E, m, Cs, T)

5

TEMPRA IN H2O (, m, Cs, T)

 

E’ stata, inoltre, eseguita l’indagine al microscopio metallografico sulle provette che sono state sottoposte a precedenti prove: lo scopo è quello di confrontare le strutture e soprattutto di imparare ad utilizzare la macchina.
Nelle pagine seguenti sarà analizzata compiutamente ogni prova eseguita, verranno eseguite considerazioni, commenti, confronti fra le diverse prove e i diversi comportamenti dei due materiali.

Caratteristiche generali 

· Manuale P.I. Cremonese (pag. 387 e pag. 404)

   Fe37        Rm = 37 ¸ 45 kgf/mm2             » 37 ¸ 45 daN/mm2
ReHmin = 22 kgf/mm2                » 22 daN/mm2
Amin = 27 %   
KVmin = 3,5 kgm/cm2          (L = 3,5 × 0,8 = 2,8 kgm » 2,8 daJ)

· Manuale dell’ingegnere 80^ Ed. Hoepli  Colombo (pag. 526)

   Fe37        Rm = 37 ¸ 45 kgf/mm2             » 37 ¸ 45 daN/mm2      
A5min = 25 %
A10min = 20 %
HBS = 110 ¸ 130 punti

                                                        ì  S0 = 0,80 cm2
Kmin = 6 kgm/cm2           í
(nuova KU300/2/20)          î  L = 6 × 0,8 = 4,8 kgm » 4,8 daJ

· Manuale P.I. Cremonese (pag. 388)

   C40         %C = 0,37 ¸ 0,44         
%Mn = 0,50 ¸ 0,90
%Si = 0,40
Ricotto       HBS = 220 punti
Bonificato Rm = 71 ¸ 86 kgf/mm2             » 71 ¸ 86 daN/mm2
ReH = 50 kgf/mm2                    » 50 daN/mm2
Amin = 15 %
KCUmin = 5,5 kgm/cm2    » 5,5 daJ/cm2

   Trattamenti termici:
- Normalizzazione                840 ¸ 860 °C
- Ricottura di lavorabilità    650 ¸ 700 °C
- Tempra in acqua               830 ¸ 850 °C
- Tempra in olio                            840 ¸ 860 °C
- Rinvenimento                    580 ¸ 620 °C

· Manuale dell’ingegnere 80^ Ed. Hoepli  Colombo (pag. 528)

   C40         Normalizzato
Rm = 60 ¸ 70 kgf/mm2             » 60 ¸ 70 daN/mm2
ReHmin = 34 kgf/mm2                » 34 daN/mm2
A5min = 19 %
E = 21000 daN/mm2
HBS = 180 ¸ 205 punti
Kmin = 5 kgm/cm2          (L = 5 × 0,8 = 4 kgm » 4 daJ)

 

Trattamenti termici eseguiti

Operazione (o successione di operazioni nel caso di un trattamento complesso) durante la quale un materiale è sottoposto, allo stato solido, ad uno o più cicli termici. Nel corso di tali operazioni il mezzo in cui si trovano i pezzi può, negli strati superficiali, modificare più o meno profondamente la composizione chimica del materiale stesso.
Lo scopo del trattamento termico consiste nel conferire al materiale proprietà particolari adatte alla sua messa in opera o alla sua utilizzazione.
Il trattamento termico è definito dal ciclo termico, cioè dalle variazioni, entro limiti determinati, della temperatura del materiale in funzione del tempo.

Ricottura

La ricottura propriamente detta o completa è quel trattamento che consiste in un riscaldo al disopra dell’intervallo critico (superiore cioè ad Ac3 di 25¸50 °C), nella permanenza a tale temperatura per un tempo sufficiente a provocare in tutta la massa del pezzo equilibrio termico-strutturale e nel successivo raffreddamento lento in forno fino ad una temperatura tale per cui sia cessata ogni trasformazione al raffreddamento, con formazione cioè di perlite accoppiata a ferrite o cementite a seconda che l’acciaio sia ipo o ipereutettotide.
Lo scopo della ricottura è quello di migliorare la lavorabilità diminuendo la resistenza e la durezza. La temperatura di regime raggiunta dal forno, nella nostra esperienza, è di 860°C.
La ricottura può essere di differenti tipi: di coalescenza, di lavorabilità, di ricristallizzazione, ....

 

 

Normalizzazione

 

Con, questo termine, assai frequente, s’intende un trattamento termico identico alla ricottura per quanto riguarda la fase di riscaldo (superiore ad Ac3) mentre ne differisce per la fase di raffreddamento, che, anziché lento in forno viene effettuato all’aria. La durezza che si ottiene con questo trattamento è naturalmente più elevata di quella determinata dalla ricottura completa, con la formazione di perlite fine.
In taluni acciai, detti autotempranti il raffreddamento all’aria può addirittura superare la velocità critica di tempra: si può parlare quindi di tempra all’aria.
La normalizzazione viene per lo più eseguita come trattamento preliminare per rigenerare, affinare, omogeneizzare la struttura e, in generale, per annullare surriscaldamenti, incrudimenti o disuniformità strutturali determinate da lavorazioni precedenti.
Temperatura a regime è: 860°C.

 

Tempra

 

Questo trattamento comporta un riscaldamento al di sopra dell’intervallo critico (30 ¸ 50 °C superiore ad Ac3), una permanenza a tale temperatura per un tempo sufficiente a determinare in tutta la massa equilibrio termico strutturale, ed un raffreddamento volto ad ottenere martensite.
La diversa velocità critica di tempra, maggiore per gli acciai al carbonio, minore per gli acciai legati, e tanto minore quando più ricchi di elementi alliganti, legittima l’impiego di mezzi di tempra differenti, che vanno dall’acqua, agli olii minerali, ai bagni di sali fusi, dotati di indici di drasticità di raffreddamento di diversi.
Nella nostra prova, la temperatura raggiunta dal forno è di 860 °C, e si riscaldano le provette fino al raggiungimento di questa temperatura, dopo di che si estraggono dal forno e si immergono immediatamente nel mezzo di spegnimento.
I mezzi di spegnimento da noi utilizzati sono stati: l’acqua e l’olio, il primo di questi aveva una temperatura iniziale di 14 °C, mentre ha raggiunto il valore di 17 °C dopo lo spegnimento delle provette; nella stessa maniera si è proceduto per lo spegnimento  in olio che avendo la temperatura iniziale di 20 °C in seguito ha raggiunto una temperatura di 23 °C.
Nella prova abbiamo, anche, potuto osservare che dopo il trattamento termico di tempra le provette utilizzate non hanno subito variazioni di peso se si esclude una piccola differenza provocata dalla ossidazione, maggiormente sentita dal C40 causa il maggior tenore di carbonio (per evitare ciò è necessario controllare l'atmosfera del forno).

 

Prova di trazione statica

 

La prova di trazione statica misura le fondamentali proprietà meccaniche con le quali si classificano, si designano e si scelgono i materiali metallici.
La norma UNI EN 10002/1 indica che la prova a temperatura ambiente consiste nel sottoporre una provetta (parte del saggio, di forma e dimensioni fissate, lavorata di macchina o no, portata allo stato voluto per subire una determinata prova) ad un carico di  trazione applicato con velocità di incremento dell’allungamento o del carico prestabilito dalle norme di prodotto fino a provocarne la rottura, allo scopo di determinare le caratteristiche di resistenza, di elasticità e di deformabilità.
La prova si effettua con macchina universale e dura mediamente da due a cinque minuti.
Il comportamento dei materiali alle sollecitazione di trazione statica dipende da:

  • proprietà intrinseche dei componenti strutturali;
  • dimensioni dei cristalli;
  • distribuzione delle fasi e/o strutture;
  • stato del materiale;
  • temperatura.

Dunque a parità di composizione chimica potremmo avere risposte diverse.
La parte del materiale destinata alle esecuzione della prova è denominata saggio; la forma e le dimensioni delle provette variano a seconda delle determinate caratteristiche meccaniche che vogliamo rilevare, nel nostro caso le dimensioni sono riportate nella Figura 1.
Le norme relative ai diversi materiali ci prescrivono il modo, il prelievo e la preparazione delle provette. Il distacco dei saggi e la loro lavorazione debbono avvenire, di massima, a freddo, affinché non siano alterate le caratteristiche del materiale, ad esempio con surriscaldo o incrudimento.
Nelle provette si distinguono la lunghezza utile L0, la lunghezza della parte calibrata Lc e le teste di serraggio aventi forma e dimensioni appropriate per il bloccaggio sulla macchina di prova: L0 > 20 mm.

Lc =L0 + (0,5 ¸ 2)×d0                Lc = L0 + (1,5 ¸ 2,5)×

Le provette utilizzate nella nostra prova sono, al fine di poter collocare l’estensimetro, quelle normal lunghe e cioè quelle con K = 11,3, che si ricava dalla relazione:

L0 = K

 

Figura 1

Tabella 1


d o [mm]

S0 [mm2]

Fm [daN]

DL [mm]

A10 [%]

Rm [daN/mm2]

1

10

78,5

6190

7,60

7,60

78,9

2

9,95

77,7

4540

22,10

22,10

58,4

3

9,90

76,9

5200

22,64

22,64

67,6

4

9,90

76,9

6370

9,60

9,60

82,2

5

9,75

74,6

3430

0,74

0,74

46,0*

 

* valore "basso": la rottura è avvenuta fuori dal tratto utile, causa l'estrema fragilità indotta dal drastico raffreddamento in H2O e dal tipo di forma della provetta.
I dati inseriti nella Tabella 1 hanno il seguente significato:
d0 [mm] diametro iniziale;
S0 [mm2] area della sezione iniziale;
Fm [daN]  carico massimo;
Rm [daN/mm2]  carico unitario di rottura, detto anche resistenza a trazione (esso risulta essere un carico convenzionale ed è a favore della sicurezza; tende ad avvicinarsi al "vero" carico di rottura se la provetta ha una rottura di tipo fragile);
Rm =


Fu [daN] carico all'istante della rottura;
Su [mm2] area della sezione finale (dopo la rottura);
DL [mm] differenza fra la lunghezza dopo rottura Lu e quella iniziale L0;
A10 [%] allungamento percentuale dopo rottura.
A10 =                        A10 ®  L0 = 10×d0

 

In aggiunta ai parametri descritti se ne possono individuare altri due e cioè:
FeH [daN] carico di snervamento superiore;
ReH [daN/mm2] carico unitario di snervamento superiore: ReH =
Utilizzando i diagrammi di trazione ottenuti con l’utilizzo dell’estensimetro (dunque non si è quivi raggiunto la rottura ma ci siamo fermati ad un certo carico prestabilito o al primo “incurvarsi”), abbiamo calcolato il modulo di Young E.
Ad ogni diagramma, nel tratto dove è valida la legge di Hooke (ossia quello rettilineo, proporzionale), abbiamo letto tre valori di carico F e in corrispondenza i relativi valori dell’allungamento DL. Con la formula sotto indicata, convertendo i valori letti in scala e calcolando la media di questi, abbiamo potuto trovare il valore medio, per ogni tipo di provetta e il relativo trattamento subito, del modulo di elasticità normale E; i valori calcolati sono riportati nella Tabella 2.

 

Ei =

Fi [daN] carico misurato nel punto generico i;
DLi [mm] allungamento rilevato nel punto generico i;
Ei [daN/mm2] modulo di Young, modulo di elasticità longitudinale, corrispondente ai parametri rilevati nel punto generico i.


Tabella 2


n° provetta

E1[daN/mm2]

E2[daN/mm2]

E3[daN/mm2]

Emedio[daN/mm2]

1

20238

20238

20457

20311

2

23698

22004

22189

22630

3

21553

21890

21643

21695

4

23450

21276

23191

22639

5

18500

18789

19362

18884

 

Dalla Tabella 2 possiamo dire che il modulo di elasticità normale E raggiunge valori massimi nella provetta ricotta e in quella temprata in olio.
I valori trovati, potrebbero essere influenzati da imprecisioni commesse nella rilevazione dei parametri dai diagrammi.
Nella Tabella 1, invece, possiamo affermare, con più certezza, che la provetta temprata in olio è quella che fa registrare una miglior resistenza a trazione. Le provette, normalizzata e ricotta, riscontrano: una diminuzione del carico unitario di rottura Rm rispetto a quella allo stato di fornitura, e un aumento, circa il doppio di quella temprata in olio, dell’allungamento percentuale.
La tempra in acqua ha, invece, fatto riscontrare nella provetta trattata un diminuzione della duttilità, causata dal brusco raffreddamento.
Il carico di snervamento, fenomeno per il quale avviene una deformazione plastica senza alcun incremento del carico oppure una diminuzione del carico stesso, si individua solo nella provetta ricotta o normalizzata.


Prova di resilienza


Si definisce RESILIENZA la resistenza alla rottura a flessione per urto: essa è definita dal valore dell’energia assorbita per rompere con un sol colpo, con una mazza a caduta pendolare, una provetta intagliata nella sua metà ed appoggiata su due sostegni.


Figura 2

La prova di resilienza, che ha lo scopo di determinare un indice di qualità dinamica, viene eseguita con un maglio pendolare (detto anche pendolo di Charpy) su provette di forma e dimensione unificate.
La resilienza rappresenta dunque la resistenza agli urti ed il suo reciproco la FRAGILITA’.

Figura 3

Detta Ep l’energia potenziale e Ec l’energia cinetica vremo:
punto 1      Ep = m×g×H Ec = 0  m = massa maglio  g = accelerazione di gravità
all’impatto           Ep = 0         Ec = × m×v2
punto 2      Ep = m×g×h Ec = 0         

 

Lavoro assorbito dall’urto  Þ   L = mg × (H - h)

 

Come già detto in precedenza la prova viene eseguita con il pendolo di Charpy.
Questa macchina di prova è costruita e messa in opera in modo da essere rigida e stabile affinché le perdite di energia (per traslazione, rotazione, o vibrazione) nell’incastellatura durante la prova risultino trascurabili.
Il piano di oscillazione del pendolo deve essere verticale e coincidente con il piano di simmetria tra gli appoggi. La macchina deve possedere un dispositivo di misurazione dell’energia disponibile (energia iniziale potenziale) e dell’energia residua di risalita (energia residua dopo rottura) con sensibilità non minore di 1 J.

  • Le provette normali: hanno sezione quadrata con lato di 10 mm e lunghezza di 55 mm con le tolleranze di lavorazione indicate nella figura sotto riportata. La loro preparazione deve avvenire in modo da evitare alterazioni delle caratteristiche del materiale causate da riscaldo, da deformazione a freddo, .... Quando viene prescritto dalla norma di prodotto, la direzione di prelievo deve essere indicata in rapporto alla geometria del prodotto.
  • Posizione degli intagli: nel mezzo, perpendicolari all’asse longitudinale della provetta.
  • Esecuzione degli intagli: non sono prescritti procedimenti particolari di lavorazione, ma debbono essere eseguiti con cura in modo che non compaiano striature longitudinali visibili ad occhio nudo.
  • Posizione delle provette: debbono appoggiare sugli appoggi in modo che il piano di simmetria dell’intaglio non disti più di 0,5 mm dal piano di simmetria tra gli appoggi. Le provette debbono essere disposte sugli appoggi con la faccia dell’intaglio dalla parte opposta a quella su cui batte la mazza in modo che lo spigolo del coltello venga a colpire nel piano di simmetria longitudinale dell’intaglio.
  • Condizioni normali di prova: corrispondono ad un’energia nominale della macchina di (300 ± 10) J, alla velocità della mazza al momento dell’urto compresa tra 5 e 5,5 m/s e all’impiego di provette normali.
  • Temperatura: la prova normale è considerata a temperatura ambiente quando viene effettuata alla temperatura di (23 ± 5) °C, nel caso non si verificasse questa situazione sui risultati della prova si deve indicare obbligatoriamente il valore della temperatura in gradi Celsius (centigradi).
  • Provette non rotte: se durante la prova la provetta non si è rotta, si deve scrivere provetta non rotta con E = 300 J.

Figura 4

 

KU = L/So [J/cm2]        (ex  KCU)
L  [J]           Lavoro assorbito per la rottura.
So [cm2]       Area della sezione resistente (dove c’è l’intaglio).

La prova Mesnager (cioè la nostra) con simbolo K viene vista come una Charpy modificata e cioè KU 300/2/20 che consiste nell’avere l’intaglio profondo 2 mm, l'energia [J] e la temperatura [°C] con valori unificati (300, 20). Le unità di misura possono essere daJ/cm2 perché daJ/cm2 » kgm/cm2 e quindi si possono confrontare i valori con le "vecchie" tabelle. Si può anche dare il valore KU in J, rammentando che dal tipo di indice si può conoscere il valore dell'area della sezione resistente.
Nella codifica con pedici il primo numero della denominazione sta ad indicare l’energia normale disponibile E [J], il secondo è legato alla profondità dell’intaglio [mm] e il terzo alla temperatura di prova [°C].
Prima di eseguire la prova si è dovuto procedere ad un corretto azzeramento dell’apparecchiatura impiegata rompendo una “provetta d’aria” e cioè lasciando cadere il pendolo dalla posizione di energia potenziale iniziale (300 J); si verifica che al termine della salita l’indice segni zero, provvedendo alla correzione dell’eventuale scostamento (eliminando l’influenza degli attriti sul perno e la resistenza dell’aria).
Dopo aver effettuato l’azzeramento si procede all’esecuzione della prova, che viene effettuata come la  procedure di azzeramento con la provetta posizionata correttamente sui due appoggi. Al termine della salita del pendolo si rileva il valore del lavoro L indicato dall’indice sulla scala e lo si riporta nella Tabella 3.
La prova è stata svolta sulle 10 provette ex Mesnager che in precedenza abbiamo preparato e trattato termicamente. Oltre a queste, sono state impiegate altre due provette, per una ulteriore verifica, di tipo: Fe37 ottenuta con fibre trasversali e con fibre longitudinali rispetto all'asse della provetta stessa; il fine era di verificare l'effetto di strasverso delle fibre (Tabella 3a).

Tabella 3

 

 

C40

Fe37

n° provetta

Lavoro [daJ]

Lavoro [daJ]

1

2,2

15 (*)

2

5,6

12,6

3

7

18,4 (*)

4

7,2

15,4 (*)

5

4,4

5

Si può notare che il miglior trattamento termico per aumentare la resilienza (KU) del materiale C40 è la tempra in olio, mentre per il materiale Fe37 è la normalizzazione. I valori contrassegnati da un asterisco (*) non sono validi ai fini pratici (infatti la provetta non si è rotta e pertanto nel certificato di prova occorre scrivere "provetta non rotta con E = 300 J", E = energia macchina).

Tabella 3a

Fe37

Tipo

Lavoro [daJ]

FeT

6

FeL

Non rotta

Come si può notare se prendiamo in esame una provetta con fibre longitudinali essa risulterà essere più resiliente.
NB. FeT fibre disposte parallelamente alla forza F applicata (vedi figura 2 pag. 8) mentre FeL fibre disposte perpendicolarmente alla forza F.

 

Grafico 1


Quanto detto in precedenza per la Tabella 3, lo si può meglio analizzare nel Grafico 1, nel quale si fa un confronto tra i vari tipi di provette trattate e il rapporto tra di esse tenendo come riferimento la provetta ricotta: è infatti quella che si prevede che nelle prossime prove farà registrare la minor durezza e che può essere pensata come l’equilibrio.

 

Prova di durezza brinell

 

La prova, valida per i materiali metallici, consiste nel premere una sfera levigata di acciaio temprato o di metallo duro di diametro D, per un prestabilito intervallo di tempo, con una prefissata forza F (carico di prova), contro la superficie del pezzo o della provetta in esame e nel determinare il diametro medio d (si intende la media aritmetica fra due diametri di un impronta rilevati in due direzioni fra di loro ortogonali) dell’impronta lasciata sulla superficie dopo la rimozione della forza F.
La durezza Brinell è proporzionale al rapporto tra il carico di prova F [in newton] e l’area di superficie S [in mm2] dell’impronta, che si suppone a forma di calotta sferica e di diametro uguale a quello della sfera come rappresentato nella     Figura 5, a carico tolto.

 

 
Figura 5

 

Pertanto:
durezza Brinell =
Essendo S l’area della superficie dell’impronta assimilata ad una calotta sferica di diametro medio d e di altezza h, il suo valore è equivalente alla superficie laterale di un cilindro avente il diametro di base uguale al diametro D della sfera e l’altezza uguale all’altezza h della calotta, cioè alla profondità dell’impronta:

S = p×D×h

Esprimendo h in funzione del diametro medio d:

S =

di conseguenza l’espressione analitica della durezza risulta:

durezza Brinell =

che si trasforma nell’espressione pratica da impiegare:

HBS = HBW = 0,102 ×

che differisce dall’espressione analitica per l’introduzione del fattore di conversione 0,102.
Il coefficiente numerico di correzione 0,102 si rende necessario per poter inserire la forza in N. In precedenza, secondo il Sistema Tecnico, il carico era espresso in kgf. Per questo motivo la durezza è espressa da un valore adimensionalizzato (si potrebbe ancora parlare di kgf /mm2).
I simboli HBS e HBW si riferiscono al materiale del penetratore: se la sfera è in acciaio temprato la designazione viene fatta con HBS; mentre viene utilizzato HBW se la sfera è in metallo duro (carburi di Wolframio).
Si sceglie sempre il diametro della sfera più grande, ammesso dalle dimensioni del pezzo.

0,102×F = K×D2

K = coefficiente che dipende dal materiale (per acciaio K = 30), sono valori unificati.
Il rapporto fra il diametro dell’impronta e quello della sfera deve essere compreso fra 0,24 e 0,60, la distanza  dai centri fra impronta ed impronta, e quella fra impronta e bordo deve, sempre, essere almeno 4 volte il diametro dell’impronta stessa.

 

Nella nostra esperienza abbiamo scelto il diametro D = 2,5 mm (sfera di acciaio temprato) e il carico corrispondente secondo la precedente relazione. Il numero di impronte effettuate sono state tre per ogni provetta (già sottoposta alla prova di resilienza), sono stati rilevati due diametri ortogonali fra loro e calcolata la loro media.
Dei tre valori medi si è calcolato nuovamente la media e con il risultato ottenuto si è calcolato il valore di durezza (HBS).
Tutti i valori rilevati e calcolati sono riportati nella Tabella 4 (per il materiale Fe37) e nella Tabella 5 (per il C40).
Per entrambi i materiali la designazione è la seguente:

n HBS a/b/c

dove: n i punti di durezza
a [mm] diametro della sfera
b [kgf] numero che si riferisce al carico di prova, nel nostro caso abbiamo assunto il valore di 187,5 [kgf]; poiché nel SI non si possono utilizzare i kgf b si può pensare al valore della massa (in kg) che conferisce quel carico oppure al carico espresso in 0,102N
c [s] tempo di permanenza del carico, può essere omesso se è quello convenzionale, come nel nostro (dipenderà dal tipo di materiale)

 

 

Tabella 4   Fe37 (ex)             HBS2,5/187,5

n° provetta

n°rilev.

d1 [mm]

d2 [mm]

d [mm]

HBS2,5/187,5

 

I

1,17

1,19

 

 

1

II

1,22

1,27

1,22

150

Trafilata

III

1,22

1,25

 

 

 

I

1,27

1,32

 

 

2

II

1,27

1,27

1,28

135

Ricotta

III

1,28

1,29

 

 

 

I

1,09

1,10

 

 

3

II

1,21

1,20

1,18

161

Normalizz.

III

1,21

1,20

 

 

 

I

1,09

1,10

 

 

4

II

1,13

1,11

1,11

183

Temp. Olio

III

1,09

1,10

 

 

 

I

0,89

0,88

 

 

5

II

0,94

0,94

0,88

298

Temp. H2O

III

0,80

0,85

 

 

 

Tabella 5   C40            HBS2,5/187,5

 

n° provetta

n°rilev.

d1 [mm]

d2 [mm]

d [mm]

HBS2,5/187,5

 

I

0,989

0,974

 

 

1

II

0,976

0,987

0,98

238

Trafilata

III

0,970

0,976

 

 

 

I

1,18

1,19

 

 

2

II

1,17

1,15

1,17

164

Ricotta

III

1,16

1,16

 

 

 

I

1,07

1,08

 

 

3

II

1,05

1,09

1,08

194

Normalizz.

III

1,08

1,08

 

 

 

I

0,93

0,98

 

 

4

II

0,95

0,99

0,97

243

Temp. Olio

III

0,95

0,99

 

 

 

I

0,716

0,721

 

 

5

II

0,746

0,757

0,76

403

Temp. H2O

III

0,805

0,813

 

 

 

Grafico 2

Dal Grafico 2 possiamo notare che, prendendo come riferimento la provetta ricotta, quella con valore di durezza più basso rispetto alle altre, il valore massimo di durezza Brinell è stato raggiunto dalla provetta di materiale C40 temprata in acqua, assumendo il valore di 403 HBS2,5/187,5. Per i due materiali sottoposti alla prova, possiamo affermare che hanno variazioni di durezza pressoché analoghe, con la sola differenza che il C40 raggiunge valori di poco più elevati: risentendo maggiormente dei trattamenti termici.
Confrontando quest’ultimo grafico e quello precedente, riferito alla resilienza, notiamo, come ci aspettavamo, che all’aumento della durezza corrisponde una diminuzione sensibile della resilienza.
Fra la durezza Brinell e la resistenza a trazione statica esiste per gli acciai un legame che si può stabilire con una semplice relazione del tipo:

R = n × HBS           R = n × HBW

dove n è una costante. Questo legame sarà meglio approfondito nella prova di durezza Vickers, visto che ci aspettiamo valori simili fra le due prove.

 

Prova di durezza vickers

 

Questo metodo estende e perfeziona il metodo Brinell.
Si può attribuire al metodo Vickers lo specifico e preferenziale impiego per la misurazione delle durezze oltre l’applicabilità del metodo Brinell, per i pezzi finiti di lavorazione, per i pezzi di modeste dimensioni e/o di piccolo spessore, per il rilievo della durezza di pezzi cementati o nitrurati o con spessori riportati e, in generale, per le misurazioni di laboratorio.
La prova consiste nel premere con una forza F (carico di prova) un penetratore di diamante a forma di piramide retta a base quadrata con un angolo, fra le facce opposte al vertice, di 136° contro la superficie e misurarne la diagonale dell’impronta lasciata dopo la rimozione della forza F.
La durezza Vickers è proporzionale al rapporto tra il carico di prova F (in newton) e l’area della superficie laterale S (in mm2) dell’impronta, che si suppone a forma di piramide retta a base quadrata e avente lo stesso angolo al vertice del penetratore (Figura 6).

Figura 6

Esprimendo S in funzione di d si ottiene:

S =

Pertanto:

durezza Vickers =

che si trasforma nell’espressione pratica da impiegare:

durezza Vickers = 0,102 × 1,854 ×

dove la forza F dovrà essere introdotta in newton.
Essa differisce dall’espressione analitica per l’introduzione del fattore di conversione 0,102 per le stesse ragioni già considerate nella durezza Brinell.
La durezza Vickers è identificata dal simbolo HV preceduto dal valore di durezza (n):
n HVb/c

e seguito:

  • da un numero indicante il carico di prova (b) [in realtà il numero indica la massa in kilogrammi in grado di realizzare una forza-peso in newton corrispondente al carico di prova che deve agire sul penetratore];
  • dal tempo di mantenimento del carico (c), in secondi, se diverso dal valore 10¸15 s.

La durezza Vickers ha le dimensioni di una pressione. Per mantenere inalterati i valori tabulati si è proceduto ad una adimensionalizzazione e si parla di “punti Vickers” e dunque senza unità di misura. Ma volendo ancora dare un’unità di misura ai risultati della prova si potrebbe parlare di kgf/mm2 » daN/mm2.
Lo spessore s (in mm) del pezzo in prova deve essere almeno 1,5 volte la diagonale dell’impronta.
La temperatura compresa fra i valori di 10°C e 35°C, condizioni controllate (23±5) °C.
I carichi sono scelti in funzione del materiale in prova (minori per materiali teneri), dello spessore, del volume di prova interessato (per materiale eterogeneo il carico dovrà essere maggiore), dalla necessità che la prova sia “non distruttiva” (il concetto di prova non distruttiva dipenderà dal fatto che i particolari provati si potranno o no dopo l’esecuzione della prova). Il carico di prova normale per l’acciaio è 294,2 N (ex 30 kgf).
Il pezzo in prova deve possedere una superficie libera da materiali “estranei”; dovrà essere preparata senza alterazioni della superficie di prova: né riscaldi, né incrudimenti.
Una comparazione rigorosa per carichi minori di 98 N è possibile solo se il carico è identico, mentre per carichi da 98¸980 N è possibile paragonare le durezze dei diversi materiali. Il metodo Vickers può essere utilizzato anche per le prove di microdurezza.
La distanza fra impronta-impronta e impronta-bordo deve essere  almeno 4 volte la diagonale d.
Il numero di impronte effettuate sono tre per ogni provetta (già sottoposte ad altre prove precedenti), dopo aver rilevato le due diagonali, di ciascuna impronta lasciata dal penetratore, si è calcolato la loro media aritmetica:



Dei tre valori calcolati si è calcolato nuovamente la media e, con quest’ultimo valore indicato con d, il valore della durezza Vickers (HV).
Tutti i valori rilevati e calcolati sono riportati nelle seguenti tabelle: Tabella 6 per Fe37 e Tabella 7 per C40.

 

Tabella 6   Fe37           HV30/20

n° provetta

N° rilev.

d1 [mm]

d2 [mm]

d [mm]

HV30/20

 

I

0,610

0,609

 

 

1

II

0,614

0,606

0,613

148

Trafilata

III

0,615

0,621

 

 

 

I

0,665

0,653

 

 

2

II

0,653

0,667

0,658

128

Ricotta

III

0,656

0,654

 

 

 

I

0,604

0,619

 

 

3

II

0,612

0,616

0,609

150

Normalizz.

III

0,600

0,612

 

 

 

I

0,567

0,566

 

 

4

II

0,568

0,562

0,565

174

Tempr. Olio

III

0,560

0,566

 

 

 

I

0,483

0,469

 

 

5

II

0,433

0,444

0,443

283

Tempr. H2O

III

0,416

0,411

 

 

 

Tabella 7   C40            HV30/20

n° provetta

N° rilev.

d1 [mm]

d2 [mm]

d[mm]

HV30/20

 

I

0,47

0,46

 

 

1

II

0,53

0,48

0,490

232

Trafilata

III

0,47

0,52

 

 

 

I

0,59

0,60

 

 

2

II

0,58

0,59

0,590

160

Ricotta

III

0,61

0,59

 

 

 

I

0,52

0,52

 

 

3

II

0,51

0,52

0,515

206

Normalizz.

III

0,51

0,51

 

 

 

I

0,48

0,49

 

 

4

II

0,48

0,49

0,480

241

Tempr. Olio

III

0,47

0,47

 

 

 

I

0,373

0,370

 

 

5

II

0,317

0,313

0,331

508

Tempr. H2O

III

0,303

0,308

 

 

 

Grafico 3

Dal Grafico 3 possiamo notare che, prendendo sempre come riferimento la provetta ricotta, cioè quella che fa rilevare, ancora una volta, valori di durezza più bassi, la provetta temprata in acqua del materiale C40 è quella con maggior durezza, assumendo il valore 508 HV30/20.

Con i dati ottenuti, da quest’ultima prova, possiamo confrontare i valori della durezza Brinell con quelli della durezza Vickers, differenziando in due grafici, uno per Fe37 (Grafico 4), e uno per C40 (Grafico 5).

Grafico 4             Fe37           confronto fra    HBS2,5/187,5   e  HV30/20

 

Grafico 5             C40            confronto fra    HBS2,5/187,5   e  HV30/20


Dai grafici rappresentati osserviamo che fra i valori delle due durezze c’è un certa uguaglianza, ad eccezione per la provetta C40 temprata in acqua che fa registrare dei valori un po' scostati l’uno dall’altro; questo fatto potrebbe essere causato da possibili errori commessi durante la prova: errore di lettura dei valori al microscopio, possibili inadeguatezze della superficie del pezzo, approssimazioni nei calcoli, condizioni di prova differenti al momento dell’esecuzione, e che soprattutto la prova Brinell non va bene per pezzi temprati, o meglio occorre utilizzare la sfera di carburi di wolframio ovvero HBW, …
La prova Vickers ha un legame anche con la resistenza a trazione, infatti, pensando alla prova di durezza Vickers come un’estensione della prova di durezza Brinell, si può stabilire una semplice relazione fra i valori di durezza Vickers e la resistenza a trazione.
Essa è del tipo:
R = n × HV
dove n è una costante.
Tale relazione sarà essenzialmente empirica e non può essere di applicazione generale. Occorre anche disporre di una valida base statistica per poter determinare il valore di n; tale valore è identico nel caso di prove di durezza Brinell unificate (infatti i punti ottenuti, per lo stesso materiale nelle stesse condizioni, sono numericamente identici).
Per gli acciai da costruzione si può avere con buona approssimazione:
Rm = [daN/mm2] » ×HV
Rm = [N/mm2] » 3 ×HV

 

Facendo un confronto fra la resistenza a trazione delle provette normal lunghe di materiale C40 e le provette sottoposte alla prova di durezza Vickers, otteniamo:

Tabella 8

n° provetta C40

Rm [daN/mm2]

Rm= 1/3×HV [daN/mm2]

1

78,9

77,3

2

58,4

53,3

3

67,6

68,6

4

82,2

80,3

5

46,0

169

 

Grafico 6             C40 confronto fra HV30/20 e Rm[daN/mm2]
Questo confronto, ci evidenzia l’estrema fragilità della provetta temprata in acqua, resistenza a trazione pari a 46 daN/mm2, valore infatti non accettabile come affermato in nota alla Tabella 1 a pagina 6.
Per le altre provette, invece, si scopre una certa analogia fra i risultati, dandoci una conferma sulla veridicità dei risultati ottenuti.

 

PROVA DI DUREZZA ROCKWELL

 

Questa prova è sempre più impiegata per la sua praticità ed immediatezza di lettura. Consiste nel far penetrare, in due tempi, sulla superficie del pezzo (o della provetta) in prova, un penetratore di tipo unificato e nel misurare, nelle condizioni convenzionali che saranno nel seguito specificate, l’accrescimento rimanente (e) della profondità dell’impronta di detto penetratore.
La durezza Rockwell è pertanto misurata in funzione dell’accrescimento rimanente (e) la cui unità è uguale a 0,002 mm:

HR = f (e)

I penetratori unificati utilizzati in questo tipo di prova sono due:

  • un penetratore a cono (Figura 7) è costituito da un diamante a forma di cono circolare retto con angolo al vertice di 120° a punta arrotondata con raggio della calotta sferica terminale di 0,2 mm.
  •     L’asse del cono deve coincidere con l’asse del supporto.
  •     La durezza determinata con questo penetratore è definita dal simbolo HR seguito dalla lettera C della scala impiegata: HRC.
  • Il penetratore a sfera (Figura 8) è costituito da una sfera  di acciaio temprato avente il diametro di 1,587 mm (1/16"). La sfera deve essere levigata ed esente da cricche o da qualsiasi altro difetto superficiale.
  •     La durezza determinata con questo penetratore è definita dal simbolo HR seguito dalla lettera B della scala impiegata: HRB.

Figura 7

Figura 8

Con il penetratore a cono circolare retto si possono ottenere valori di durezza maggiori di 20 (max 100), mentre per quello a sfera valori compresi fra 20 ¸ 100 (max 130).
Il primo viene utilizzato per materiali la cui durezza è minore di 200 punti HBS (o HBW, HV), il secondo per materiali con durezza maggiore di 200 punti HBS (o HBW, HV).
Il penetratore a cono è portato in posizione perpendicolare alla superficie da provare ed a contatto con questa; si applica senza urto il carico iniziale F0 = (9,8 ± 0,2)  daN e si sposta il quadrante dello strumento indicatore di profondità sino a portare l’indice sullo zero della scala (quest’ultima descrizione della prova da eseguire è identica a quelle delle prove già, in precedenza, svolte, perché il durometro da noi utilizzato è sempre il medesimo, cioè il durometro officine Galileo).
Si applica progressivamente, in un tempo variabile da 5 a 10 secondi il carico addizionale F1 = (140 ± 0,6) daN in modo da raggiungere il carico totale

F = F0 +F1 » (150 ± 0,9) daN

Trascorsi 30 secondi dall’applicazione del carico addizionale F1 questo si toglie in modo da riportare il carico al suo valore iniziale F0. In tal modo si esclude la deformazione elastica, resta l’accrescimento rimanente e la profondità dell’impronta che deve essere misurato con tolleranza di ± 0,5 unità HRC.
La durezza HRC è espressa dall’equazione:
HRC = 100 - e*
Il valore uguale a 100, nella equazione sopra riportata, è un numero convenzionale, mentre e* è l’accrescimento permanente.
Pertanto:
e* =  = 500 × e               e [mm]

In definitiva HRC = 100 - 500 × e, mentre per HRB = 130 - 500 × e, perché con il penetratore a sfera la prova differisce da quella con l’utilizzo del penetratore a cono dal valore del carico addizionale F1 di (90 ± 0,4) daN.
Il carico totale risulterà circa uguale a (100 ± 0,6) daN.

HRB = 130 - e*

Per determinare i punti di durezza HRB e HRC non occorre eseguire alcun calcolo perché la rilevazione dei dati viene effettuata direttamente sulle scale C o B, a seconda dei casi.
Lo spessore del pezzo non deve essere minore di 8 volte il valore di e.
La distanza tra il centro di un’impronta e i bordi della provetta non deve essere minore di 2,5 volte il diametro dell’impronta (meglio 4)e la distanza tra i centri di due impronte vicine non deve essere minore di 4 volte il diametro dell’impronta, salvo specificazione contraria.
I risultati vanno presentati per analogia con i metodi Brinell e Vickers, nel seguente modo:

         n HRB                 n HRC

dove: n sono i punti di durezza.
E’ evidente che i valori di HRC, anche se minori di quelli HRB, rappresentano sempre durezze più elevate di quelle espresse in HRB.
La scelta dei valori di carico F0 ed F, la forma del penetratore definiscono il tipo di simbolo da utilizzare.
La prova deve essere effettuata su un pezzo avente una superficie liscia priva di materiali “estranei”.
La temperatura deve essere compresa fra 10¸35 °C, condizioni controllate: (23±5) °C.
La nostra prova prevede l’esecuzione di tre impronte per ogni provetta sia di Fe37, che di C40 (già utilizzate per le prove Brinell, Vickers, Resilienza). Delle tre impronte si calcola la media aritmetica e la si riporta nelle tabelle: Tabella 9 per Fe37, Tabella 10 per C40. In seguito verranno eseguiti confronti con i risultati in precedenza ottenuti dalle altre prove di durezza.
Tabella 9             Fe37           HRB - HRC


N° provetta

HRB1

HRB

HRC1

HRC

 

83

 

 

 

1

80

81

 

 

Trafilata

80

 

 

 

 

76

 

 

 

2

72

73

 

 

Ricotta

72

 

 

 

 

82

 

 

 

3

81

82

 

 

Normalizzata

82

 

 

 

 

92

 

 

 

4

91

92

 

 

Tempr. Olio

90

 

 

 

 

 

 

39

 

5

 

 

38

39

Tempr. Acqua

 

 

39

 

 

Tabella 10           C40            HRB - HRC

 

n° provetta

HRB1

HRB

HRC1

HRC

 

 

 

21

 

1

 

 

22

21

Trafilata

 

 

21

 

 

81

 

 

 

2

82

82

 

 

Ricotta

84

 

 

 

 

94

 

 

 

3

94

94

 

 

Normalizzata

94

 

 

 

 

 

 

17

 

4

 

 

17

17*

Tempr. Olio

 

 

17

 

 

 

 

51

 

5

 

 

47

49

Tempr. Acqua

 

 

50

 

*valori al limite di scala

Facendo riferimento ai risultati della prova di durezza Brinell e Vickers e sapendo che:
HRC           OK    se      HBS > 200 punti  (20 ¸ ...  )
HRB           OK    se      HBS < 200 punti  (20 ¸ 100)

osserviamo che queste relazioni vengono verificate in quasi tutti i casi, ad eccezione della provetta C40 normalizzata se la si confronta con i valori ottenuti nella prova di durezza Vickers.
Possiamo, quindi, affermare che, tra indici di durezza c’è un certo legame. Disponendo di una valida base statistica, si possono stabilire delle relazioni approssimate ed essenzialmente empiriche per gli acciai (esclusi quelli austenitici) come le seguenti:

  • per          HBS º HBW º HV < 200 punti

                   HRB » HV

  • per          200 < HBS º HBW º HV < 500 punti

                   HRC » HV

 

utilizzando le stesse si può confrontarle con la resistenza a trazione statica:

Rm » HBS                   (o HBW)    [daN/mm2]

Nella Tabella 11 vengono rappresentati i legami fra le durezze.

 

Tabella 11

Fe37

n° provetta

HRB

HRC

HRB da (HBS)

HRC da (HBS)

HRB da
(HV)

HRC da
(HV)

1

81

 

75

 

74

 

2

73

 

65

 

64

 

3

82

 

80

 

75

 

4

91

 

91

 

87

 

5

 

39

 

30

 

28

C40

n° provetta

HRB

HRC

HRB da
(HBS)

HRC da
(HBS)

HRB da
(HV)

HRC da
(HV)

1

 

21

 

24

 

23

2

82

 

82

 

80

 

3

94

 

97

 

103

 

4

 

17

 

24

 

24

5

 

49

 

40

 

50

Dalla tabella riscontriamo un’importante disuguaglianza, fra la durezza Vickers e quella Rockwell, nella provetta n° 3 del C40, questo errore potrebbe esser causato da piccole imprecisioni della macchina utilizzata. Si noti peraltro che siamo sui valori della scala B.
Per le altre provette i valori possono essere ritenuti validi e confrontabili.
Noteremo meglio le differenze e i legami fra le tre prove di durezza nel Grafico 7 per Fe37 e Grafico 8 per C40.
Nei grafici sopracitati sono stati realizzati tenendo come riferimento i valori della durezza Vickers (trasformati in punti Rockwell) perché, a confronto delle altre due, fa registrare per la maggior parte delle provette minori punti Rockwell.

 

 

Grafico 7             Fe37           HRB - HRC (HBS - HV)

Grafico 8             C40            HRB - HRC (HBS - HV)

 

 

 

Microdurezza

 

Il termine microdurezza è assunto per significare che la durezza è misurata con carichi di prova notevolmente inferiori a quelli impiegati per le durezze normali ed unificate. Secondo la UNI ISO 4615 si può ritenere massimo il carico di 0,981 N onde stabilire una continuità di applicazione fra la macrodurezza e la microdurezza.
Questo metodo può avere le seguenti applicazioni:

  • per pezzi di limitate dimensioni sia nello spessore che nella superficie tali da non contenere le impronte della macrodurezza;
  • per pezzi di materiale fragile non in grado di sopportare i carichi delle macrodurezze;
  • per la valutazione della durezza dei cristalli.

Si desume quindi che la microdurezza può avere due distinti campi di
applicazione:

  • pratico, come nella determinazione della durezza superficiale di sottili pellicole o nella determinazione della durezza di limitatissime zone;
  • di ricerca, come nello studio della variazione della durezza in funzione della profondità di uno strato cementato od elettrodepositato, ovvero anche nello studio della durezza dei singoli cristalli costituenti le leghe.

I metodi unificati per la misurazione della microdurezza sono: metodo Vickers e metodo Knoop.

Il metodo Vickers: impiega il noto penetratore  di diamante avente la forma di piramide retta a base quadrata con angolo tra le facce opposte al vertice di 136° (± 0,5°).
Le quattro facce devono presentare inclinazione costante rispetto all’asse del penetratore (entro 0,3°) e devono incontrarsi in un punto (in ogni caso la linea di congiunzione tra due facce opposte non deve essere maggiore di 0,5 mm).
La microdurezza è ancora espressa dalla equazione:

HV = 1,854×106 ×

essendo F il carico di prova espresso in newton e d il valore della media aritmetica delle due diagonali misurate separatamente espresso in micrometri.

 

 

Il metodo Knoop: impiega un penetratore di diamante avente la forma di piramide retta con angoli al vertice fra due opposte facce rispettivamente di 172,5° (± 0,08°) e di 130° (± 0,08°) (Figura 8). La base della piramide ha la forma di un rombo le cui diagonali stanno nel rapporto d/d1 = 7,1145/1, il nome è losanga     (Figura 9).

 

Figura 9

La durezza Knoop HK è espressa dal rapporto tra il carico di prova F e l’area della superficie S, a carico tolto, della proiezione dell’impronta su un piano perpendicolare alla direzione del carico e tangente alla superficie in esame:
HK =  

Tenuto conto del fattore di conversione 0,102 introdotto per conservare invariati i valori delle durezze precedenti all’introduzione del SI si perviene all’equazione:

HK = 14,229×106×

con F [N] e d [mm]
La profondità di penetrazione è circa 1/30 della diagonale maggiore dell’impronta.
La  convenienza del penetratore Knoop rispetto al Vickers deve ricercarsi nella maggiore dimensione della diagonale maggiore (3 volte più lunga) e nella minore profondità di penetrazione (2/3 più piccola) a parità di carico applicato.
Ne consegue che nella prova Knoop la diagonale maggiore non è praticamente influenzata dalla elasticità residua durante la rimozione del carico applicato. Il metodo in oggetto è quindi adatto per prove su materiale molto duri e fragili o sottili parti sinterizzate fino ad uno spessore minimo di 2 mm.
Il pezzo prima di essere sottoposto alla prova deve subire una preparazione della superficie interessata, con una lucidatrice. La distanza fra le impronte Vickers vicine deve essere almeno di 2,5 diagonali: ciò assicura che il materiale interessato nella deformazione plastica, attorno all’impronta, non disturba le impronte vicine e viceversa.
La misurazione delle impronte Vickers si esegue mediante microscopi con ingrandimenti maggiori o uguali a 400 x.
Nella Tabella 12 sono riportati i valori di microdurezza per il materiale Fe37 e per C40.
Per il metodo Vickers si sono inseriti i valori per C40 nella Tabella 13 e per  Fe37 Tabella 14.

 

Tabella 12

Metodo Knoop (250 g)

C40

Fe37

n° pro.

n° ril.

d1 [mm]

dmedio [mm]

HK

n° pro.

n°ril.

d1  [mm]

dmedio [mm]

HK

 

I

0,095

 

 

 

I

0,116

 

 

1

II

0,100

0,0975

374

1

II

0,117

0,1165

262

 

III

 

 

 

 

III

 

 

 

 

I

0,117

 

 

 

I

0,125

 

 

2

II

0,119

0,118

255

2

II

0,123

0,124

231

 

III

 

 

 

 

III

 

 

 

 

I

0,102

 

 

 

I

0,117

 

 

3

II

0,104

0,103

335

3

II

0,113

0,115

269

 

III

 

 

 

 

III

0,114

 

 

 

I

0,093

 

 

 

I

0,113

 

 

4

II

0,101

0,098

370

4

II

0,113

0,113

279

 

III

0.100

 

 

 

III

 

 

 

 

I

0,06

 

 

 

I

0,087

 

 

5

II

0,062

0,062

925

5

II

0,077

0,082

529

 

III

 

 

 

 

III

0,082

 

 

 

 

 

Tabella 13           C40            HV = 14,2290×                 (250g)


n° prov.

n° rilev.

d1 [mm]

d2 [mm]

d3 [mm]

dmedio [mm]

HV

 

I

0,037

0,036

0,0365

 

 

1

II

0,038

0,0365

0,03725

0,0365

348

 

III

0,036

0,0355

0,03575

 

 

 

I

0,044

0,043

0,0435

 

 

2

II

0,044

0,049

0,0465

0,045

229

 

III

0,045

0,045

0,045

 

 

 

I

0,040

0,041

0,0405

 

 

3

II

0,0405

0,040

0,04025

0,040

287

 

III

0,040

0,0395

0,03975

 

 

 

I

0,0390

0,0385

 

 

 

4

II

0,038

0,0385

 

0,0387

310

 

III

0,0395

0,0385

 

 

 

 

I

0,0245

0,024

 

 

 

5

II

0,0235

0,0230

 

0,0237

828

 

III

0,0235

0,0235

 

 

 

Tabella 14           Fe37           HV = 1,8544×          (250g)


n° prov.

n° rilev.

d1 [mm]

d2 [mm]

dmedio [mm]

HV

 

I

0,043

0,0445

 

 

1

II

0,045

0,046

0,0452

227

 

III

0,0465

0,046

 

 

 

I

0,045

0,046

 

 

2

II

0,048

0,0495

0,0474

206

 

III

0,049

0,047

 

 

 

I

0,045

0,0455

 

 

3

II

0,046

0,047

0,0451

229

 

III

0,044

0,043

 

 

 

I

0,043

0,0425

 

 

4

II

0,0425

0,0435

0,0429

251

 

III

0,043

0,043

 

 

 

I

0,030

0,0285

 

 

5

II

0,029

0,030

0,0298

515

 

III

0,0305

0,0310

 

 

Dalla Tabella 14 notiamo che i valori di durezza Vickers (HV) sono troppo bassi rispetto ai valori del metodo Knoop (HK); questo fatto si noterà meglio nel Grafico 11, dove sarà eseguito un confronto fra le durezze Vickers e Knoop.
Il Grafico 9 e 10 rappresentano il confronto della durezza Knoop e Vickers rispettivamente per C40 e Fe37, mentre il Grafico 11 e 12 serviranno per meglio confrontare la durezza Vickers (250 g) tra i due materiali in esame, il primo per Fe37 e il secondo per C40. Quest’ultimo confronto è possibile realizzarlo anche senza eseguire calcoli per trasformare i valori dal metodo Knoop in quelli Vickers o viceversa, il calcolo sopra citato deriva dalla relazione HK > 1,08×HV.

Grafico 9

Grafico 10

Grafico 11

 

Grafico 12

Nei Grafici è sempre stato preso come riferimento la provetta ricotta perché è quella che ha più “dolcezza” e quindi è quella con minor durezza e resistenza a trazione.
Dai grafici e dalle tabelle si nota che per la provetta n°4 C40, quella temprata in olio, i valori calcolati sono più bassi di quanto ci aspettavamo, infatti per la prova Knoop doveva assumere un valore circa uguale a 400 HK e a 360 HV.

 

PROVA JOMINY

 

E’ la prova unificata che consiste nell’austenizzare una provetta di acciaio di forma cilindrica e nel raffreddarla ad una delle due estremità mediante un getto d’acqua. La variazione della durezza a partire da detta estremità temprata (curva Jominy) caratterizza la temprabilità dell’acciaio.
La prova in oggetto si applica agli acciai da costruzione a media temprabilità usando provette normali (diametro 25 mm, larghezza 100 mm); non è applicabile invece agli acciai che, in tondi con diametro uguale o maggiore di 19 mm, prendono tempra a cuore in seguito a raffreddamento in aria. (Figura 10)

Figura 10

Il saggio prima di essere sottoposto alla prova Jominy, e portato a misura, deve subire un trattamento di normalizzazione alla temperatura prescritta con permanenza a tale temperatura non minore di 30 minuti. Le temperature di riscaldo, uguali sia per la normalizzazione sia per la tempra nella prova Jominy, sono rilevabili nelle norme relative ai singoli gruppi di acciai.
L’apparecchiatura comprende un dispositivo di riscaldamento e uno di raffreddamento. Il riscaldamento avviene tramite forno elettrico a muffola, mentre il raffreddamento lo si effettua mediante un opportuno getto d’acqua, a temperatura regolata, che colpisce l’estremità della provetta ed induce in essa una velocità di raffreddamento scalare, massima ad una estremità, quasi nulla in quella opposta.
Ricapitolando la provetta viene riscaldata alla temperatura di tempra prescritta per le diverse qualità di acciaio: la permanenza a tale temperatura è di 30 minuti.
A riscaldamento ultimato la provetta è introdotta nell’apertura del dispositivo di tempra e, aperto il rubinetto, si lascia che la provetta si raffreddi per almeno 10 min.
Dal momento dell’estrazione dal forno a quello dell’apertura del rubinetto non devono intercorrere più di 5 secondi. La temperatura dell’acqua deve essere compresa tra i 5 e 30 °C. Sulla provetta trattata si ricavano due superfici piane lungo due generatrici diametralmente opposte mediante rettifica che asporti uno strato dello spessore di 0,4 ¸ 0,5 mm evitando riscaldi o incrudimenti con passate molto leggere. Su queste due superfici si eseguono le prove di durezza Rockwell C (con carichi di prova »150 daN) o Vickers HV30. Le misure di durezza devono essere effettuate nei seguenti punti: la prima a distanza di 1,5 mm dall’estremità raffreddata , la seconda a 1,5 mm dalla prima e le successive con intervalli di 2 mm fino ad una distanza di 15 mm e da questa in poi gli intervalli fra le impronte sono di 5 mm fino all’estremità opposta della provetta. (Tabella 15 per Fe37, Tabella 16 per C40)

Tabella 15

 

Posizione

 

Distanza

 

HRB1

 

HRB2

 

HRBmedio

1

1,5

77

77

77

2

3

75

75

75

3

5

69

69

69

4

7

66

65

65,5

5

9

65

64

64,5

6

11

63

63

63

7

13

62

62

62

8

15

61

61

61

9

20

58

58

58

10

25

57

57

57

11

30

55

56

55,5

12

40

54

53

53,5

13

60

53

52

52,5

14

70

52

52

52

Tabella 16

 

Posizione

 

Distanza

 

HRC1

 

HRC2

 

HRCmedio

1

1,5

58

58

58

2

3

57

57

57

3

5

52

53

52,5

4

7

38

37

37,5

5

9

29

31

30

6

11

27

28

27,5

7

13

27

28

27,5

8

15

26

27

26,5

9

20

24

25

24,5

10

25

23

23

23

11

30

21

22

21,5

12

40

18

19

18,5

13

60

14

15

14,5

14

70

14

14

14

 

Nella tabella 15 dalla posizione 1 fino alla 6 i valori dei punti Rockwell sono minori di 20 e quindi occorre passare alla HRB. Nella Tabella 16 i valori sono accettabili. Per tutte le due tabelle costruiremo un diagramma di temprabilità (Diagramma 6). Questo diagramma è formato da due ordinate, una con i valori HRC e una con i valori HRB, in ascissa sono riportate le distanze tra le varie impronte, partendo dall’estremità raffreddata, nel diagramma si farà un confronto della temprabilità dei due materiali in esame.
La curva ottenuta sarà detta curva di temprabilità, e tanto più sarà orizzontale tanto maggiore è la temprabilità.

Diagramma 6
 

 


                               C40                                                        Fe37

 

Come si può notare il C40 è “più temprabile” dell’Fe37 in quanto i valori di quest’ultimo sono troppo bassi per dire che ha assunto struttura martensitica.
Comunque, e si voleva dimostrare, non si debbono eseguire trattamenti termici sull’Fe37 in quanto la non controllata composizione chimica non garantisce i risultati finali.
Infine, ipotizzando che Fe37 possegga un tenore di carbonio pari a circa 0,10 %, si può notare come la % di carbonio influenzi notevolmente il trattamento termico: sempre i risultati delle prove per il C40 sono stati superiori nei vari casi rilevati e considerati.

 

Fonte: http://xoomer.virgilio.it/treclassi/apotecno.zip

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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