Termocoppie

 


 

Termocoppie

 

Funzionamento e tipi di termocoppie.

 

Il principio di funzionamento delle termocoppie è noto come effetto Seebeck. In base ad alcune osservazioni a proposito sono state scelte delle leghe che all’interno della termocoppia aumentano la sensibilità dello strumento rispetto alla temperatura.

 

3.1) Effetto Seebeck : fenomeno macroscopico.

Se prendo un filo metallico avente due temperature differenti alle sue estremità, viene a formarsi una forza elettromotrice nota come Seebeck electromotive force (emf).
Questo fenomeno avviene se il materiale non è tutto alla stessa temperatura e non necessita di avere un circuito chiuso.
Una termocoppia è costituita  da due fili metallici collegati ad un estremo avente una certa T1(hot junction) e aventi all’altro estremo una stessa temperatura T2(cold junction). La tensione che si va a misurare sul giunto freddo agli estremi dei due fili è strettamente correlata con la differenza di temperatura tra i due giunti.

 

Fug. 3.1: Effetto Seebeck in una termocoppia.

 

Da quanto detto la differenza di potenziale si sviluppa in ognuno dei due fili e non perché i due fili sono uniti assieme. Ricordiamo quindi che LA SEEBECK EMF C’E’ IN TUTTI I METALLI, NON NECESSITA DI ACCOPPIAMENTI TRA METALLI DIVERSI E NON SI SVILUPPA SULLA GIUNZIONE DEI DUE METALLI.
Ogni materiale quindi svilupperà una certa emf secondo la legge

riscrivibile anche come

Es= Es (T1) - Es (T2)

dove Es è il potenziale dato dal coefficiente di Seebeck assoluto definito come s(T)=d Es / dT .
In una zona dove la Es è sufficientemente lineare e il coefficiente di Seebeck è quindi circa costante, questa equazione è approssimabile con la

Es= s(T1-T2)

Nella pratica però la non-linearità della Es è presa sempre in considerazione.Oltre al coefficiente di Seebeck assoluto viene utilizzato quello relativo.Se prendo una coppia di fili, rispettivamente A e R, a formare una termocoppia tra le T1 e T2  , ho una emf uguale a

Quest’ultima è riscrivibile come integrale tra T2 e T1 di un nuovo coefficiente sAR=sA-sR.
Questo coefficiente è appunto detto coefficiente di Seebeck relativo.
I coefficienti di Seebeck  sono proprietà intrinseche del singolo materiale.

Ma allora perché si usano due metalli differenti nella costruzione di una termocoppia, se ne basta uno per avere l’effetto desiderato?
Per chiarire questo aspetto facciamo un esempio.Per poter misurare con facilità una tensione, gli estremi devono essere piuttosto vicini.Uso ora una rappresentazione non comune ma facilmente intuibile. Uso un T/X plot, dove X rappresenta la posizione avuta da ciascun elemento.
Si svilupperà quindi una emf lungo ciascun ramo del circuito solo nel caso che gli estremi dello stesso siano posti a temperature differenti.

Fig. 3.2: T/X plot di tre elementi (A,B,C) posti a temperature T1 e T2 .

Perché si sviluppi una certa emf non è necessario che a e d siano collegati assieme; inoltre dato che Tb=Tc=T1  , il ramo C non darà nessuno contributo alla emf totale misurata ai capi (a,d).
Così:

Da questa formula si capisce che se i rami A e B fossero costituiti dallo stesso metallo, avrei sA=sB e quindi la E totale ai capi (a,d) sarebbe nulla (legge dei metalli omogenei).
E’ quindi necessario che i  A e B siano diversi: per questo motivo la termocoppia è costituita da 2  differenti metalli.
Questa legge permette di usare voltmetri con fili di contatto dello stesso metallo senza alterare la termocoppia; naturalmente i fili devono essere omogenei e senza danneggiamenti che porterebbero a voltaggi spuri.

La natura dell’effetto Seebeck  contiene alcuni principi molto utili dal punto di vista tecnologico:

1)La legge dei metalli intermedi: in assenza di un gradiente di temperatura fra due giunzioni di una coppia di fili non si presenta alcun voltaggio. In questo modo è possibile inserire fili e circuiti tra gli estremi di una termocoppia senza alterarne il voltaggio;inoltre le giunzioni possono essere costituite da  ogni tipo di materiale di connessione.

2)La legge dei metalli successivi: dati tre metalli A,B e C e fatte le giunzioni AB,BC e AC i voltaggi che si sviluppano tra le giunzioni sono legati dalla relazione

EAC = EAB + EBC

Questa legge permette di calcolare la tabella dei voltaggi di AC note le tabelle per AB e BC

3)Se una termocoppia sviluppa un voltaggio Va con le giunzioni alle temperature T1 e T2 e un voltaggio Vb con le giunzioni alle temperature T2 e T3 , allora svilupperà un voltaggio Va + Vb con le giunzioni alle temperatura T1 e T3 .
Questa legge permette di ignorare i gradienti di temperatura lungo la termocoppia, dato che la Seebeck emf dipende solo  dalle temperature alle giunzioni; inoltre è utile nel calcolo della temperatura del giunto caldo indipendentemente da quella del giunto freddo. Infatti va tenuto presente che le tabelle relative alla Seebeck emf sono riferite al giunto di riferimento a T2=0 oC.

Esempio:  Sia una termocoppia avente il giunto caldo a T1=600oC e il giunto freddo a T2=100oC.Le tabelle danno per quel tipo di termocoppia una emf col giunto freddo a 0 oC e il giunto caldo a 600 oC  di 1.792mV. Se leggo sul voltmetro però trovo una tensione di 1.759 mV. Perché? Il giunto freddo è a 100 oC ; sulla tabella a 100 oC  corrisponde una emf di 0.033 mV.  Infatti  1,792 mV-1.759 mV = 0.033 mV (vedi termocoppia tipo B, normativa ASTM)

Nelle tabelle delle normative la tensione è legata alla temperatura secondo la legge

E=co+c1T+c2T+c3T+.....+cnT

dove i coefficienti sono forniti per intervalli di temperatura
Da questo si capisce la non linearità dell’andamento della Seebeck emf rispetto alla temperatura.

 

3.2) Effetto Seebeck: fenomeno quantistico.

Per capire il perché si sviluppi una tensione ai capi di un metallo se gli stessi sono posti a temperature differenti, bisogna studiare la microstruttura del metallo e degli atomi del cristallo.
La teoria di Bohr, modificata poi da Schroedinger e Heisenberg, descrive l’atomo come una struttura composta da un nucleo avente carica positiva circondato da elettroni la cui spinta centrifuga  viene bilanciata dall’attrazione elettrostatica nei confronti del nucleo stesso. La soluzione dell’equazione di Schroedinger definisce livelli discreti (quantizzati) che un elettrone può occupare senza perdita di energia.Nel caso del sodio il modello può essere così semplificato.

Fig. 3.3: livelli occupati dagli elettroni nel sodio (Na).

Le linee tratteggiate sottolineano il fatto che solo alcuni livelli quantizzati possono essere occupati dagli elettroni. Più ci avviciniamo al nucleo e più l’attrazione aumenta e quindi l’energia potenziale decresce. L’elettrone più esterno è detto elettrone di valenza.
I livelli concessi quando più atomi si uniscono in una struttura tridimensionale regolare (come quella di un cristallo metallico) diventano bande. I livelli più interni non sentono praticamente l’influenza degli altri atomi e restano legati al proprio atomo.


Fig. 3.4: livelli elettronici in un cristallo di sodio.

Gli elettroni più esterni possono partecipare al fenomeno di conduzione della corrente elettrica.Tra i vari livelli energetici sono presenti degli spazi che costituiscono delle forbidden gaps (intervallo proibito). Se quindi riscaldo sufficientemente il metallo, fornisco ad alcuni elettroni vincolati al singolo atomo l’energia necessaria per andare ad occupare i livelli energetici più esterni e quindi partecipare alla conduzione elettrica. Perché questo fenomeno sia possibile, il gap tra bande esterne deve essere ridotto e la banda di valenza (la più esterna) non deve essere completamente riempita Si scelgono quindi materiali conduttori dove il gap è minimo o addirittura le bande più esterne sono sovrapposte(al contrario degli isolanti) e la banda di valenza non è completamente riempita. Anche le holes (buche),cariche positivelasciate in banda di valenza, possono entrare nel processo di conduzione

Se un conduttore è riscaldato ad un’estremità, l’elettrone della parte calda (hot junction) acquisirà maggiore energia rispetto a quello dell’estremità fredda (cold or reference junction).
Così l’elettrone più energetico del giunto caldo diffonde verso il giunto freddo dove la sua energia viene abbassata andando ad occupare livelli energetici inferiori liberi. Questo porta ad un accumulo di carica negativa al giunto di riferimento.Il processo continua finché non si raggiunge uno stato di equilibrio dinamico dove ho lo stesso numero di elettroni che diffondono verso il giunto freddo e di elettroni che vengono respinti dallo stesso per l’eccesso di carica che si è venuta a formare. Ma, mentre il numero di elettroni che si sposta è lo stesso, la velocità degli elettroni che si muovono verso il giunto freddo è maggiore di quella delle particelle respinte.
Questo differenza assicura che ci sia un continuo trasferimento di calore (conduzione termica), secondo il gradiente termico, senza effettivo trasferimento di carica una volta che l’equilibrio dinamico è stato raggiunto.

 

3.3) Problemi di compensazione.

Una termocoppia, come si vede dalla figura 3.5, per la sua natura di strumento di misura differenziale, produce una emf dovuta alle diverse temperature dei due giunti.
Una delle due giunzioni è alla temperatura che vogliamo misurare, l’altra è la giunzione di riferimento ad una certa temperatura.
La presenza del rame che collega la giunzione di riferimento al voltmetro non introduce nessuna forza elettromotrice per quanto detto nel paragrafo precedente.
Nelle tabelle fornite dalle case produttrici è data una forza elettromotrice riferita al giunto freddo avente temperatura di 0 oC.

La scarsa conoscenza nonché la variabilità della temperatura del giunto freddo/di riferimento si riflette in un incertezza della temperatura da misurare.
Come fare quindi a risolvere questo problema? Si ricorre ad una operazione detta di compensazione.
Compensare significa operare in modo che la temperatura del giunto freddo non influenzi la misura della tensione e quindi della temperatura.

Fig. 3.5: collegamenti per la misura della Seebeck efm.

Due sono i metodi più usati per risolvere questo problema:

  • la cold junction è mantenuta ad una temperatura nota
  • è introdotta una tensione che bilancia il fatto che la temperatura del giunto freddo sia diversa da 0 oC

1) In questo caso si creano delle condizioni ambientali in grado di consentire il mantenimento del giunto di riferimento alla temperatura di 0 oC. Sia un’atmosfera nella quale coesistano stato solido,liquido e gassoso dell’acqua (punto triplo) nonché un bagno di ghiaccio fuso sono molto vicini a tale valore.Il problema è che queste condizioni devono essere mantenute costanti; ciò rende questo metodo poco pratico.

 

Fig. 3.6: esempio di mantenimento del giunto freddo a 0 oC.

2) Se il giunto freddo non è tenuto alla temperatura di riferimento di 0 oC, è noto che la tensione generata è data dall’equazione
Es= Es (T2) - Es (T1)

Essendo noto che nelle tabelle fornite dai costruttori nonché regolamentate dall’ASTM le tensioni sono calcolate con il giunto freddo a 0 oC, ci si riporta a questo caso con un circuito contenente una sorgente di tensione, una combinazione di resistori fissi e un resistore sensibile alla temperatura (TSR).
Questo sistema può generare una tensione molto vicina a quella generata dalla termocoppia per temperature prossime a quelle ambientali. Mettendo in serie questa resistenza in modo che annulli
Es (T1) ottengo una tensione all’incirca costante;inoltre con una scelta opportuna delle resistenze fisse si può simulare una qualsiasi temperatura del giunto di riferimento.
Se riusciamo infatti a simulare una temperatura di zero gradi Celsius, possiamo avere la misura di temperatura direttamente dalle tabelle fornite dalle case produttrici o dall’ASTM.

 

3.4) Tipi di giunto e tempo di risposta.

La realizzazione del giunto di misura nelle termocoppie può essere di tre tipi e la scelta del tipo dipende dalle condizioni di impiego della termocoppia stessa.

Fig. 3.7: tipi di giunto di una termocoppia.

 

E’ importante tener presente che i giunti di tipo B e C sono tipici di termocoppie con insolazione ceramica compatta (v. par. 4.3). Per le termocoppie classiche cioè con i due fili isolati semplicemente in PVC o fibra  ci troviamo sempre nel caso A.
In questo caso il tempo di risposta è praticamente immediato.

  • Giunto caldo esposto
    Caratterizzato da un ridottissimo tempo di risposta in quanto lo stesso è a diretto contatto con l'ambiente in cui si deve misurare la temperatura; tuttavia ne è sconsigliato l'utilizzo in ambienti corrosivi .
  • Giunto caldo a massa
    In questo tipo di realizzazione il giunto di misura è parte integrante della guaina di protezione e di conseguenza il tempo di risposta è abbastanza ridotto, l'esecuzione dello stesso è conforme alle norme ASTM-E-235 . Consigliato in presenza di alte pressioni ( fino a 3500Kg/cm2).
  • Giunto caldo isolato
    Il giunto caldo è completamente isolato dalla guaina di protezione e quindi particolarmente indicato nei casi in cui fem parassite potrebbero falsare la misura. L'esecuzione dello stesso è conforme alle norme ASTM-E-235.

 

Al variare del tipo di giunto varia la velocità di misura della termocoppia.Il grafico seguente mostra il tempo necessario ad una termocoppia con isolamento minerale per il raggiungere il 63,2% del salto termico misurato in acqua con velocità di 0,4m/s

Fig.  3.8: tempo di risposta al variare del tipo di giunto.

 

3.5) Tipi di termocoppie.

E’ noto per quanto detto più volte che i due metalli costituenti la termocoppia devono essere diversi.
Per avere dei valori di Seebeck emf più alti possibili si capisce (v Fig. 3.2) che una delle due tensioni deve essere predominante rispetto all’altra cioè per esempio EA > EB .
Vengono scelti così fili di metalli diversi, uno detto positive leg, P o + (EA nell’esempio precedente) e l’altro detto negative leg, N o - (EB nell’esempio precedente).
I più comuni tipi di termocoppia sono identificati da una designazione alfabetica secondo la Instrument society of America riconosciuta internazionalmente.

Tab. 3.1: costituenti delle termocoppie e T limite di utilizzo.

I materiali vengono dati nell’ordine positive leg / negative leg.
Le sigle Co, Al e Cr sono relative non all’elemento chimico ma a delle leghe particolari cioè
alla  costantana, all’ Alumel e al Chromel (Alumel e Chromel sono marchi registrati dalla Hoskins Manufacturing Company).

 

Ma perché vengono scelte certe leghe o metalli puri rispetto ad altri ?
Questo perché in ambito industriale è richiesta oltre alla resistenza alle alte temperature , anche altre proprietà quali per esempio la resistenza ad ambienti aggressivi e all’ossidazione.
Comunque ciascuna termocoppia ha i suoi ambiti di utilizzo; la possibilità di scegliere fra diversi tipi,ciascuno con i suoi campi di impiego, ha permesso alla termocoppia di essere lo strumento più usato nella misura di temperatura in campo industriale.
Le caratteristiche delle termocoppie sono:

Tipo T (rame/costantana): questo tipo di termocoppia è resistente alla corrosione in ambiente umido e può essere usata per temperature inferiori allo zero. L’uso per temperature elevate in ambiente ossidante è limitato per l’ossidazione del rame.Può comunque essere usata per alte temperature ma in assenza di O2.

Tipo J (ferro/costantana): il range di utilizzo di questa termocoppia  è in realtà inferiore a quello dato dalla tabella.Infatti per temperature superiori ai 540 oC il ferro tende ad ossidarsi; naturalmente è possibile lavorare in ambiente privo di O2 a temperature  superiori ai 540 oC.

Tipo E (Chromel/costantana): in ambiente ossidante o inerte ho l’intervallo di utilizzo dato dalla tabella. Se l’ambiente è riducente ho le stesse limitazioni della termocoppia di tipo K.
Le termocoppie di tipo E hanno il coefficiente di Seebeck più elevato; questo porta ad una maggior sensibilità che le rende le più utilizzate.

Tipo K (Chromel/Alumel): sono molto resistenti ad ambienti ossidanti e per questo vengono usate in questo caso anche a T superiori ai 600 oC.

Le termocoppie di tipo K non vanno utilizzate in

  • Atmosfere riducenti o alternatamene ossidanti e riducenti

 

  • Atmosfere ricche di zolfo, in quanto questo elemento attacca entrambe i costituenti portando ad  infragilimento e rottura
  • Sotto-vuoto, in quanto il cromo tende ad evaporare dal Chromel portando alla perdita di calibrazione della termocoppia

 

  • Atmosfere che facilitano la corrosione nota come “green-rot” al termoelemento positivo. Avviene per basse percentuali di ossigeno e causa problemi di calibrazione per alte temperature

Tipo N (nicrosil/nisil): è simile alla termocoppia K ma con l’aggiunta di silicio a entrambe i fili e di cromo al chromel.Questo porta ad una buona desensibilazzazione alla “green-rot”.

Tipo R e S (platino e rodio rispettivamente al 13 e al 10%/platino): sono consigliate per temperature da appena sotto lo zero a temperature dell’ordine dei 1500 oC. Ad alte temperature il platino tende ad ingrossare il grano e quindi il pezzo può rompersi.

Tipo B (a base di platino e rodio<30%): sono usate per alte temperature.Ho meno problemi in questo caso di crescita del grano.

Oltre a queste termocoppie ce ne sono altre di non standardizzate; queste occupano un ruolo di minor rilievo in ambito industriale. Si trovano comunque termocoppie Iridio/Rodio,Nickel/Cromo e Nickel/Molibdeno oltre alle termocoppie in metallo prezioso (oro).

 

fonte: http://www.ing.unitn.it/~colombo/Termocoppie/3)Funzionamento%20e%20tipi%20di%20termocoppie.doc

 

Termocoppie

Rivelatori di radiazione
La scarsezza di intensità del segnale è uno dei maggiori limiti in molte indagini spettroscopiche. È quindi importante per lo sperimentatore scegliere il rivelatore di luce più appropriato.
La misura viene effettuata da un sensore o trasduttore, ovvero un dispositivo che fornisce in uscita una grandezza elettrica (segnale analogico) di valore proporzionale all'entità o alla variazione della grandezza fisica in esame.
Esempi:
- una termocoppia fornisce una tensione proporzionale alla temperatura
- un fotodiodo fornisce una corrente proporzionale alla luminosità
- un microfono fornisce un segnale proporzionale alla pressione dell'onda sonora
I segnali generati dai trasduttori devono di solito essere condizionati, tramite filtri e amplificatori, in modo che il trasferimento dell'informazione possa avvenire con le caratteristiche di precisione, linearità, immunità dal rumore, isolamento elettrico richieste per una data applicazione.

A seconda del tipo e dell'utilizzo, i sensori possono:
- dare una lettura direttamente nell'unità d'interesse (esempio nei termometri a mercurio);
- essere collegati ad uno strumento indicatore (chiamato comunemente display) che provvedere a leggere il segnale e tradurlo in una comoda lettura nell'unità d'interesse (essendo la maggior parte delle volte un segnale in tensione, il visualizzatore è spesso un qualche tipo di voltmetro opportunamente calibrato o settato allo scopo);
- essere collegati ad uno strumento registratore che provvede a memorizzare il segnale per una sua successiva elaborazione (il più delle volte, quest'ultimo opera una conversione analogico-digitale che traduce il segnale in dati digitali, che vengono immediatamente memorizzati nello strumento stesso o su un computer collegato in remoto).

 

Caratteristiche di un rivelatore:


Risposta spettrale

Intervallo di frequenze in cui il rivelatore ha una risposta lineare

Tempo di risposta

 

Sensibilità assoluta o responsività

Efficienza con cui l’unità di area del rivelatore trasforma il segnale luminoso in segnale elettrico.


Si misura in Volt/Watt (dispositivi termici o fotovoltaici) o Ampere/Watt (fotomoltiplicatori).

Figura di rumore del rivelatore

Espressa dalla "potenza di rumore equivalente" (noise equivalent input power NEP), ovvero come la potenza del segnale che colpendo il rivelatore dà un rapporto segnale/disturbo pari a 1 per un tempo di integrazione di mezzo secondo.

L'inverso del NEP è la dettetività.

I sensori possono essere classificati in base

al loro principio di funzionamento
al tipo di segnale in uscita
al tipo di grandezza fisica che misurano

Se classifichiamo i rivelatori di radiazione elettromagnetica in base al loro principio di funzionamento, distinguiamo:

Rivelatori fotonici
fotoconducibilità:      fotoresistenze
effetto fotoelettrico:   fototubi, fotomoltiplicatori
effetto fotovoltaico:   fotodiodi, CCD (charge coupled devices)
effetto fotochimico:   lastre fotografiche

Rivelatori termici
dipendenza della resistività dalla temperatura: rivelatori a semi-conduttori
transizioni ferroelettriche: rivelatori piroelettrici
dipendenza della pressione di un gas dalla temperatura: celle di Golay
dipendenza della differenza di potenziale dalla temperatura:
termocoppie, termopile, bolometri

Rivelatori fotonici
Fototubi (effetto fotoelettrico)

 

Un fototubo è un tubo a vuoto costituito da un catodo, detto fotocatodo, di grande area, e da un anodo; gli elettrodi, contenuti in un'ampolla di vetro in cui si è fatto il vuoto spinto, sono sottoposti ad un'elevata differenza di potenziale. Quando i fotoni colpiscono il catodo, costituito di materiale fotoemittente, causano la fuoriuscita di elettroni, i quali, accelerati dal campo elettrico prodotto, si muovono verso l'anodo, posto a potenziale superiore rispetto al catodo. L'area del fotocatodo viene mantenuta la più grande possibile per raccogliere la maggior quantità di luce, mentre l'anodo deve avere una forma tale da ostruire il minimo possibile la raccolta di fotoni da parte del catodo.

La raccolta degli elettroni da parte dell'anodo permette di ottenere una corrente elettrica in uscita dal fototubo, corrente la quale rispecchia il flusso luminoso che colpisce il dispositivo; la relazione che lega le due grandezze è praticamente lineare per tensioni di polarizzazione superiori ad un valore di soglia. Un semplice circuito utilizzato per rivelare l'intensità luminosa con un fototubo è costituito semplicemente da un resistore posto in serie al dispositivo la cui alimentazione è tipicamente superiore ai 100 V.

Fotomoltiplicatori (effetto fotoelettrico)
Gli elettroni emessi dal fotocatodo vengono accelerati da una differenza di potenziale verso una superficie metallica che espelle altri elettroni che a loro volta vengono accelarati verso un'altra superficie metallica. Dopo più passaggi si raccolgono gli elettroni sull'anodo.

I fotomoltiplicatori devono essere schermati magneticamente, in quanto un campo magnetico esterno (anche quello terrestre) può deviare il percorso degli elettroni al suo interno. Il dispositivo è talmente sensibile da potere rilevare un singolo fotone.
Uno scintillatore è un materiale capace di emettere impulsi di luce, in genere visibile o ultravioletta, quando viene attraversato da fotoni di alta energia o da particelle cariche.


Fotoresistenze (fotoconducibilità)
Le fotoresistenze sono semiconduttori la cui conducibilità cambia se colpiti da una radiazione e.m..


Fotodiodi (effetto fotovoltaico)


Un fotodiodo è un particolare tipo di diodo a stato solido che funziona come sensore ottico in grado di riconoscere una determinata lunghezza d'onda e di trasformare questo evento in un segnale elettrico di corrente.


CCD (effetto fotovoltaico)


I "charge coupled devices" o "dispositivi ad accoppiamento di carica" sono insiemi bidimensionali di rivelatori a fotodiodo che permettono di rivelare simultaneamente un vasto intervallo di frequenze
Lastre fotografiche (effetto fotochimico)
Di importanza storica sono tutt'ora utilizzati nel lontano UV e nella zona dei raggi X.

Rivelatori termici
Rivelatori a semi-conduttori (dipendenza della resistività dalla temperatura)
I semiconduttori variano la propria resistenza in funzione della temperatura. La variazione è data dalla promozione di elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione.
Rivelatori piroelettrici(transizioni ferroelettriche)
Nei materiali ferroelettrici, come ad esempio il tantalato di litio (LiTaO3) la cui polarizzazione varia fortemente con la temperatura.
I rivelatori piroelettrici convertono il segnale ottico in calore; a causa dell'aumento di temperatura cambia la polarizzazione e la permittività relativa del materiale ferroelettrico e quindi la capacità del cristallo.
Metallizzando due facce opposte di questi cristalli si ottiene un condensatore. Durante la variazione della temperatura, per effetto della radiazione incidente sul cristallo, sono indotte delle cariche sulle facce del condensatore con un conseguente transitorio della corrente. Quindi i rivelatori piroelettrici registrano soltanto le variazioni di temperatura.
Celle di Golay(dipendenza della pressione di un gas dalla temperatura)
Sfruttano l'espansione di un gas per riscaldamento indotto. La membrana che si flette è collegata:
- o a uno specchio che riflette un raggio
- o a un piatto di un condensatore.
Si misura lo spostamento del raggio riflesso o la variazione di capacità che viene convertita in un voltaggio AC (microfono a capacità).


Termocoppie(dipendenza della differenza di potenziale dalla temperatura)
Sfruttano l'effetto Seebeck: in un circuito formato da due conduttori di natura differente, sottoposto a un gradiente di temperatura, si instaura una differenza di potenziale.
Una termocoppia, quindi, è costituita da una coppia di conduttori elettrici di diverso materiale uniti tra loro in un punto. Questa giunzione è convenzionalmente chiamata  giunzione calda, ed è il punto nel quale viene applicata la temperatura da misurare. L'altra estremità, costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è convenzionalmente chiamata giunzione fredda e funge da riferimento. Quando esiste una differenza di temperatura tra le giunzioni, si può rilevare una differenza di potenziale elettrico tra le estremità libere della termocoppia in corrispondenza del giunto freddo. Tale valore di potenziale elettrico è funzione diretta della differenza di temperatura, secondo una legge non lineare.
Per misure di radiazione elettromagnetica, il giunto caldo viene esposto alla radiazione ed è fatto in modo da assorbirne la maggior parte.


Termopile(dipendenza della differenza di potenziale dalla temperatura)
Una termopila è un sensore di temperatura composto da più termocoppie collegate in serie ed aventi le rispettive giunzioni di riferimento e le giunzioni di misura poste alla stessa temperatura. Una termopila formata da n termocoppie possiede ai suoi capi una differenza di potenziale n volte superiore alla singola termocoppia,


Bolometri(dipendenza della differenza di potenziale dalla temperatura)
I bolometri sono costituiti da un elemento in grado di assorbire tutto lo spettro elettromagnetico (idealmente un corpo nero) termicamente isolato posto in una camera termostatata. La radiazione assorbita provoca un innalzamento della temperatura che può essere misurata con sensibili termometri (per es. termocoppie)


Semiconduttori
I solidi, normalmente, hanno struttura cristallina e gli atomi (o le molecole) che li costituiscono sono raggruppati in una disposizione spaziale ordinata e periodica. Ogni atomo contribuisce a creare nel reticolo un potenziale elettrico la cui entità risulta una funzione periodica spaziale perché è legato alla struttura del reticolo.
Gli elettroni più interni dell'atomo non risentono sensibilmente dell'azione di questo campo reticolare.
Gli elettroni più esterni, invece, sono fortemente influenzati dal potenziale, tanto che essi non risultano più associati ciascuno ad un particolare atomo, ma vengono a costituire un sistema di elettroni comune a tutto il reticolo.
In questo sistema i livelli di energia degli elettroni più esterni sono raccolti in due grandi bande: quella a energia minore è chiamata "banda di valenza", quella ad energia superiore "banda di conduzione".
In ogni banda i livelli di energia sono molto vicini e le due bande sono separate da un intervallo di energia EGAP chiamato "banda proibita" la cui ampiezza dipende dalla struttura del reticolo e dalla specie degli atomi. Gli elettroni occupano preferenzialmente i livelli a energia più bassa e possono passare per eccitazione ai livelli a energia più alta.
L'ampiezza della "banda proibita" determina la classificazione delle sostanze in isolanti, semiconduttori e conduttori.

Isolanti
Negli isolanti la banda proibita è molto ampia (EGAP~6 eV per il diamante) e separa nettametente la banda di valenza, piena di elettroni, dalla banda di conduzione, vuota. Inoltre l'eccitazione da parte di un campo elettrico esterno non è sufficiente a portare gli elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione. In questa situazione la conduzione è impossibile.


Metalli
Nei metalli la banda proibita è assente e le bande di valenza e di conduzione si sovrappongono formando un'unica banda parzialmente vuota di elettroni. Un campo elettrico esterno può portare gli elettroni a livelli energetici più elevati e può quindi dar luogo alla conduzione.


Semiconduttori
Nei semiconduttori la banda proibita ha un'ampiezza relativamente modesta (EGAP~0.785 eV per il Ge, EGAP~1.21 eV per il Si). Per queste sostanze non si ha conduzione a bassa temperatura. La conduttività si manifesta a temperature più alte ed è strettamente dipendente dalla temperatura stessa. Infatti per eccitazione termica (o ottica) gli elettroni passano dalla banda di valenza a quella di conduzione e la sostanza diventa un modesto conduttore (termoresistività, fotoconducibilità). Ogni elettrone che passa nella banda di conduzione lascia libero un livello energetico nella banda di valenza che viene chiamato "lacuna" ("hole"). Le lacune di carica possono dare luogo ad un meccanismo particolare di conduzione elettrica: altri elettroni vanno ad occupare le lacune generando nuove lacune, nel complesso si osserva un "moto di lacune".

Le impurezze (atomi diversi) contenute nei cristalli dei semiconduttori possono ridurre l'ampiezza della banda proibita.
Le proprietà elettroniche dei semiconduttori possono essere fortemente modificate in modo altamente controllato aggiungendo piccole quantità di impurità. Queste impurità, chiamate droganti, sono classificabili in due tipi: quelle che forniscono un eccesso di elettroni alla banda di conduzione, e quelle che forniscono un eccesso di lacune alla banda di valenza. Un semiconduttore con eccesso di elettroni è detto semiconduttore tipo N, mentre un semiconduttore con un eccesso di lacune è detto semiconduttore tipo P.
I droganti più comuni di tipo N per il silicio sono il fosforo e l'arsenico. Da notare che entrambi questi elementi sono nel Gruppo V della tavola periodica, e il silicio è nel Gruppo IV. Quando il silicio è drogato con atomi di arsenico o di fosforo, gli atomi di questi droganti sostituiscono atomi di silicio nel reticolo cristallino del semiconduttore, ma poiché hanno un elettrone esterno in più del silicio, essi tendono a fornire questo elettrone alla banda di conduzione. Il drogante di tipo P di gran lunga più usato per il silicio è l'elemento del Gruppo III boro, il quale ha un elettrone esterno in meno del silicio e così tende a prendere un elettrone dalla banda di valenza, e quindi a creare una lacuna.

I "portatori di carica maggioritari" sono:
- gli elettroni, in un semiconduttore drogato di tipo N,
- le lacune, in un semiconduttore drogato di tipo P.

I "portatori di carica minoritari" sono:
- le lacune, in un semiconduttore drogato di tipo N,
- gli elettroni, in un semiconduttore drogato di tipo P.

 

Diodi
Supponiamo di accostare un cristallo di tipo P (eccesso di buche) a un cristallo di tipo N (eccesso di elettroni): all'atto del contatto al fine di equilibrare le concentrazioni dei portatori di carica nelle due regioni, si ha:
- un flusso di elettroni dalla parte N alla parte P
- un flusso di lacune dalla parte P alla parte N
Dunque il gradiente di concentrazione di portatori di carica maggioritari nella zona di giunzione si comporta come un campo elettromotore (potenziale di contatto) che origina una corrente (corrente diretta o di diffusione) diretta dalla regione P alla regione N.
In seguito al flusso di portatori di carica maggioritari, nei pressi della giunzione si formano 2 regioni di carica spaziale (dette di transizione o di svuotamento), negativa nella regione P e positiva nella regione N, che danno luogo a un campo elettrico che ostacola l'ulteriore flusso di portatori di carica maggioritari.
A causa di questo campo elettrico interno alla giunzione (potenziale di giunzione) si genera inoltre un flusso di portatori di carica minoritari (corrente inversa o di deriva) che si muovono in direzione opposta ai portatori di carica maggioritari:
- gli elettroni presenti nella regione P a una distanza dalla giunzione tale da essere in grado di raggiungerla, a causa del loro moto di origine termica sono sospinti nella regione N dal campo elettrico.
- analogamente, le buche presenti nella regione N (dove sono minoritarie) che sono in grado di raggiungere la regione dove il campo elettrico è presente sono da questo trasportate nella regione P.
In condizioni di equilibrio le correnti di diffusione e di deriva devono compensarsi per mantenere la neutralità all’interno del semiconduttore.

Supponiamo ora di polarizzare la giunzione in modo diretto, ovvero di rendere la regione P positiva rispetto a quella N per mezzo di un generatore di tensione V. In tal caso un numero maggiore di portatori di carica maggioritari ha energia sufficiente per diffondere; in particolare il numero di elettroni che dalla regione N passa a quella P, come pure quello delle buche che compiono il cammino inverso cresce esponenzialmente con la tensione di polarizzazione diretta V.
Questo fenomeno viene descritto come iniezione di portatori attraverso la giunzione direttamente polarizzata.
Quando la giunzione è inversamente polarizzata, ovvero quando la regione P è resa negativa rispetto a quella N, solo un numero di portatori che diminuisce esponenzialmente al crescere di V, in valore assoluto, è in grado di superare la barriera.

Al contrario della corrente di diffusione, che, per quanto detto, dipende fortemente dalla tensione e dal verso di polarizzazione, la corrente di ne è sostanzialmente indipendente; la ragione di ciò risiede nel fatto che quest’ultima dipende dal numero di elettroni e di buche, rispettivamente nella regione P ed N dove sono minoritari, che, a causa del loro moto di origine termica, si affacciano alla regione di transizione attraverso la quale sono trasportati dal campo elettrico ivi presente, e non dall’intensità di tale campo interno alla giunzione, che è sempre suffcientemente intenso indipendentemente dalla condizione di polarizzazione esterna.
Le considerazioni sopra fatte possono essere sviluppate quantitativamente e, sotto alcune ipotesi semplificatrici, si perviene alla nota equazione di Shockley che esprime la corrente i attraverso una giunzione in funzione della tensione di polariziazione V:

i(V)= ideriva [exp (qV/kT) - 1]

dove q è la carica dell’elettrone, k la costante di Boltzmann e T la temperatura assoluta della giunzione; ideriva indica la corrente di deriva (denominata anche corrente inversa di saturazione) che cresce all’aumentare della concentrazione dei portatori minoritari nella regione P ed N della giunzione, esternamente alla regione di transizione.

L'andamento della caratteristica i(V) di una giunzione tipica si discosta sa quello previsto dall'equazione di Shockley, soprattutto nella regione di polarizzazione inversa dove, oltre un certo valore (detto di rottuta) della tensione applicata, la corrente cresce rapidamente.
Esistono due meccanismi che giustificano un simile comportamento: uno è la rottura a valanga, l’altro è la rottura Zener.
Nella rottura a valanga, a causa della notevole polarizzazione inversa della giunzione, il campo elettrico nella regione di transizione raggiunge valori tali che i portatori acquistano da esso un’energia sufliciente per formare, per impatto, altre coppie elettrone·buca; questo fenomeno, innescatosi a un certo valore della tensione inversa di polarizzazione, può proseguire a valanga dando luogo a un rapido aumento della corrente inversa attraverso la giunzione.
La rottura Zener può essere spiegata come la ionizzazione di atomi nella regione della giunzione dovuta al forte campo elettrico e il conseguente passaggio degli elettroni cosi liberati sotto l’azione del campo, dalla regione P a quella N.

Notiamo che un dispositivo siffatto si comporta come un diodo, ovvero un dispositivo che permette il flusso di corrente elettrica in una direzione e lo blocca nell'altra

Una giunzione mostra effetti capacitivi di duplice origine:
- la capacità della regione di transizione è dovuta alla distribuzione dipolare della carica spaziale nella regione di transizione e cresce con lo spessore della regione di transizione che, a sua volta, aumenta con la tensione di polarizzazione inversa
- la capacità di diffusione deriva dal ritardo col quale la tensione segue le variazioni di corrente attraverso la giunzione, a causa di effetti di accumulo di carica. Per rendersi conto dell’origine di questo effetto consideriamo una giunzione nelle suddette condizioni: se la corrente viene bruscamente interrotta è richiesto un certo tempo perchè le distribuzioni di portatori minoritari in eccesso nelle regioni P ed N (dovute all’iniezione) svaniscano per ricombinazione e diffusione e, finché ciò non e accaduto, una certa tensione rimane presente ai capi della giunzione, determinando così il ritardo col quale la tensione segue le variazioni di corrente.
La capacità della regione di transizione è predominante in condizioni di polarizzazione inversa, mentre la capacità di diffusione domina quando la giunzione è direttamente polarizzata.

 

Fotodiodi
I dispositivi progettati in modo da essere sensibili all’assorbimento della radiazione ottica in prossimità della giunzione vengono chiamati fotodiodi. Quando un fascio di radiazione di energia opportuna cade sul diodo, parte di esso viene assorbito dando luogo a coppie elettrone-buca, aumentando quindi la concentrazione di portatori maggioritari e minoritari nelle regioni adiacenti la giunzione; questo processo di fotogenerazione di portatori provoca l’aumento della corrente inversa di saturazione del diodo che, come si è detto in precedenza, è legata alla concentrazione dei portatori minoritari nei pressi della giunzione e quindi la caratteristica i(V)di un diodo illuminato con radiazione opportuna è data dalla caratteristica delle stesso diodo in condizioni di buio, spostata parallelamente verso il basso di una quantità proporzionale, entro un grande intervallo, al livello di illuminazione.

Quando un fotodiodo è impiegato nel I quadrante della sua caratteristica i(V) si fornisce dall'esterno potenza elettrica al dispositivo.
Quando un fotodiodo è impiegato nel IV quadrante della sua caratteristica i(V) si ottiene da esso energia che deriva dalla conversione dell'energia della radiazione incidente.
Quando il fotodiodo è impiegato nel III quadrante della sua caratteristica i(V), la corrente è essenzialmente indipendente dalla tensione inversa di polarizzazione e, entro limiti piuttosto vasti, dipende linearmente dall’intensità della luce incidente: in tal caso, il diodo è impiegato come fotorivelatore.
Questo dispositivo ha la massima sensibilità per radiazione di energia pari all’intervallo proibito di energia EGAP, del semiconduttore con cui è realizzato; la ragione di ciò risiede nel fatto che la radiazione di energia inferiore a EGAP, non e assorbita e quindi non da luogo alla formazione dicoppie elettrone-buca; viceversa, quanto più la radiazione ha energia maggiore di EGAP, tanto più essa si arresta in prossimità della superficie del dispositivo e tanto più difficilmente i portatori fotogenerati raggiungono la giunzione.
Il campo di applicabilità di rivelatori a giunzione va dalla regione del visibile fino al medio infrarosso e questo è ottenuto utilizzando diversi semiconduttori con opportuni intervalli proibiti di energia. Il tempo di risposta èe un’altra interessante caratteristica di un fotodiodo ed è determinato essenzialmente da tre fattori:
- il primo è il tempo necessario ai portatori fotogenerati in prossimità della giunzione di diffondere fino alla regione di transizione
- il secondo è il tempo che essi impiegano ad attraversarla sotto l’azione del campo elettrico ivi presente
- il terzo e la costante di tempo RC del rivelatore, intendendo con R e C rispettivamente la resistenza e la capacità della giunzione in condizioni di funzionamento.
Dispositivi veloci vengono realizzati in modo tale che i portatori vengono generati direttamente nella regione di transizione, in modo da evitare il ritardo dovuto alla diffusione dei portatori verso tale regione. Lo spessore della regione suddetta deve essere scelto in modo da costituire un compromesso tra l’esigenza di non avere né tempi di attraversamento troppo lunghi, né capacità di giunzione troppo elevate.

 

Diodo emettitore di luce
Chiamato anche diodo LED (Light Emitting Diode), è un dispositivo che si basa sulle proprietà di una giunzione direttamente polarizzata: infatti, in queste condizioni, si ha un’iniezione di portatori nei due lati della giunzione attraverso la regione di transizione e qui pertanto le concentrazioni dei portatori minoritari risultano più elevate che in condizioni di equilibrio.
Se il diodo è realizzato con semiconduttori caratterizzati da ricombinazione diretta dei portatori, questo processo è seguito dall’emissione di radiazione nella regione della giunzione in misura tanto più elevata quanto più l’iniezione è forte.
A seconda del semiconduttore con cui è realizzato il diodo e del tipo di drogaggio impiegato per introdurre livelli all’interno dell’intervallo proibito tra le bande, l’energia coinvolta nel processo di ricombinazione o interbanda o tra livelli di impurezza varia entro limiti piuttosto ampi; si hanno cosi emissioni comprese nell’intervallo tra il visibile e il medio infrarosso.

 

Fonte: http://campus.cib.unibo.it/8333/6/06-rivelatori.doc

 

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