La rete delle reti internet e altro

 


 

La rete delle reti internet e altro

 

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Università degli Studi di Perugia

 

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione

 

Tesi di laurea

 

Teorie e Tecniche dei Nuovi Media

 

Dalla nascita della Rete una nuova geometria di produzioni e relazioni sociali

 

              Relatore:                       Laureando:
Prof. Michele Mezza                             Pasquale D’Amico

 

Anno Accademico 2005/2006



introduzione

Da sempre l’essere umano ha nutrito il desiderio naturale di esprimere in varie forme ciò che prova, ciò che sente, ciò che spera e ciò che immagina.  Dai graffiti degli uomini primitivi ai collegamenti telematici la voglia che ha spinto l’uomo a trovare nuove forme di comunicazione si è evoluta a dismisura. Oggi Internet rappresenta l’apice della diffusione globale della cultura che ha cambiato per sempre il nostro modo di comunicare. Nel primo capitolo di questa tesi parleremo della genesi della grande Rete e spiegheremo la sua evoluzione a livello geometrico e sociale. L’evoluzione geometrica che intendo analizzare ripercorre la storia di Internet e dimostra come i collegamenti tra i vari utenti siano mutati in maniera radicale: la Rete nasce come collegamento punto a punto (Arpanet e BBS)  dove tutti i computer connessi alla Rete hanno le stesse capacità e possibilità. Negli anni ’90 la simmetria originale della Rete viene stravolta del World Wide Web che trasforma Internet in un canale mono direzionale dove un piccolo numero di utenti pubblica e un gran numero di utenti usufruisce passivamente dei contenuti. Questo cambio di geometria espropria temporaneamente agli utenti la possibilità di avere un ruolo sociale attivo nella Rete ma allo stesso tempo permette ad ogni internauta  di avere accesso a molte informazioni. Nel secondo capitolo parleremo delle Reti peer to peer (p2p) che ristabiliscono la simmetria originaria della Rete, fatta di nodi paritari e di comunicazioni punto a punto. Le Reti p2p, parallele a le Reti Web, hanno creato un’entropia nel mercato dei beni intangibili, dando a tutti gli utenti connessi a queste reti alternative, la possibilità di avere accesso gratuito ad una quantità gigantesca di informazioni (audio, video, e-books). Ma questo accesso gratuito mette in crisi il concetto di diritto d’autore e distrugge il business delle lobbies dell’intrattenimento. A tale proposito parleremo delle vicende di  Napster e del file sharing  e vedremo come le Reti sociali p2p forniscono un pascolo dove le pecore evacuano erba: dove ognuno fornisce le risorse che consuma. Le applicazioni p2p, innestate in tutti i campi, permettono di vedere gratuitamente programmi televisivi criptati (p2p Streaming TV), di parlare  con l’altra parte del mondo a costo zero (VOIP)  e di poter scaricare film, video, documentari, e-books, musica ( file-sharing). L’implementazione del protocollo p2p che rende possibile tutte queste violazioni di copyright è Bittorrent, un p2p evoluto che permette un nuovo tipo di comunicazione definito many to many (da molti a molti) dove ogni utente, oltre che scaricare, diventa ripetitore del segnale stesso. Nel terzo capitolo approfondiremo il tema del diritto d’autore e della sua evoluzione legislativa inerente alle nuove sfide tecnologiche. Dimostreremo l’inadeguatezza delle leggi esistenti e proporremo tre possibili scenari di sviluppo del diritto d’autore all’interno della Rete. Vedremo emergere una nuova forma di produzione sociale dove l’accesso ai contenuti è semplice, meno costoso ed alla portata di tutti (Creative Commons License). Questo scenario trasforma radicalmente ogni utente in un potenziale editore, produttore, giornalista che può pubblicare gratuitamente le proprie opere dell’ingegno (cortometraggi, musica, libri) riservandosi solo alcuni diritti (some right are reserved). Questa tesi è animata da uno spirito di condivisione delle conoscenze, di diffusione delle idee e di incentivazione della creatività. Lo stesso spirito libero che ha permesso ai padri dell’informatica di creare l’interconnessione globale, non a fini commerciali ma bensì a fini sociali.  Questa visione della Rete fa in modo che il valore culturale dell’intera comunità cresca a vantaggio di tutti, provocando un arricchimento sociale che non ha nulla a che vedere con il modo di pensare dell’Industria dell’intrattenimento (open source e copyleft). Nell’ultimo capitolo vedremo che le utopie romantiche di condivisione  e di libertà dell’informazione non piacciono affatto ai potenti del mondo che vorrebbero controllare tutto e tutti. Ripercorreremo la storia delle telematica sociale di base made in Italy e analizzeremo le vicende dell’Italian Crackdown del 1994. Questa storia dimenticata da tutti ci dimostra palesemente come la violazione del copyright, a volte, sia solo un pretesto per controllare qualcosa di più grande: la libertà individuale di ogni utente connesso.

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Capitolo 1

La Storia della Rete delle Reti

 

1.1 La genesi della Rete
La storia della creazione e dello sviluppo di Internet è quella di una straordinaria avventura umana. Essa sottolinea la capacità degli individui di trascendere gli scopi istituzionali, superare le barriere burocratiche e sovvertire i valori costituiti nel processo di accompagnamento di un nuovo mondo. Fornisce anche un sostegno all’ idea che la cooperazione e la libertà di informazione abbiano una capacità conduttiva dell’innovazione superiore a quella della concorrenza e dei diritti di proprietà […]. In realtà la produzione storica di una data tecnologia determina i suoi contenuti e le sue utilizzazioni  in modi che durano al di là dei suoi primi passi, e Internet non sfugge a questa regola. La storia di Internet ci aiuta a capire i percorsi del suo futuro procedere nella Storia.

 

Nel 1957 l’ Unione Sovietica realizzò un importantissimo progetto spaziale  mettendo in orbita il primo satellite della storia, lo Sputnik. Questo fu un evento che diede un notevole scossone tanto all’orgoglio tecnologico degli Stati Uniti quanto alla loro sicurezza di primato in campo militare. Infatti la risposta d’oltreoceano non tardò ad arrivare: grazie ai finanziamenti concessi dal Presidente Eisenhower alla fine degli anni ’50, in piena guerra fredda, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti diede vita all’ ARPA (Advanced Research Projects Agency), un’agenzia per la sperimentazione nell’ambito del networking, dalla quale, dieci anni più tardi nascerà l’embrione di quello che noi oggi chiamiamo Internet. L’ARPA aveva sede a Washington, all’interno del Pentagono, nacque il 7 gennaio del 1958 ed ebbe il pregio di unire alcuni tra gli scienziati più brillanti d’America, che misero a punto il primo satellite dopo solo 18 mesi. Il suo compito era quello di stimolare e finanziare la ricerca di base nei settori che avrebbero potuto avere un ripiego militare allo scopo di battere la  superiorità tecnologica dei rivali russi. L’ ARPA raggruppava al suo interno vari sottoprogetti: uno di questi era ARPANET, una sperimentazione che serviva a condividere on-line il tempo di utilizzazione dei computer tra i diversi centri di elaborazione dati e i gruppi di ricerca che lavoravano per l’agenzia. Per costruire un network interattivo informatico, l’IPTO (Information Processing Techniques Office) si era affidato ad una rivoluzionaria tecnologia di trasmissione delle telecomunicazioni, la commutazione a pacchetto (packet switching), sviluppata in maniera indipendente da Paul Baran alla Rand Corporation e da Donald Davies del British National Physical Laboratori. Appena assunto alla Rand C., P. Baran  fu investito dall’importantissimo compito di sviluppare un sistema di comunicazione in grado di sopravvivere ad un attacco nucleare. Nel 1959 la probabilità che una testata nucleare sovietica piovesse dal cielo non era più fantascienza, ma un possibile e giustamente temuto scenario di guerra. La californiana Rand Corporation, un centro fondato nel 1946 per fornire  le competenze necessarie alla corsa agli armamenti nucleari, aveva solide competenze nello sviluppo di scenari di guerra e delle loro conseguenze potenzialmente disastrose. Lugubri obbiettivi come quello di prevedere e descrivere dettagliatamente la morte di milioni di persone non attiravano certo i commenti migliori da parte della stampa, che spesso paragonava gli esperimenti della Rand C., a quelli del Dottor Stranamore. L’incarico di Baran, sviluppare un sistema di comunicazione che resistesse ad un bombardamento, era il minimo che si potesse aspettare dalla Rand. Baran prese il suo lavoro molto sul serio e in una relazione di dodici volumi, descrisse meticolosamente le vulnerabilità dell’infrastruttura comunicativa esistente, proponendone una migliore. Baran si rese conto che la vulnerabilità del sistema di comando risiedeva nella topologia della Rete di Comunicazione. Poiché un attacco nucleare mette fuori uso tutte le apparecchiature che si trovano entro il raggio di detonazione, Baran intendeva progettare un meccanismo dove gli utenti oltre quest’area non perdessero i contatti fra loro. Analizzando i vari sistemi di comunicazione egli individuò tre tipi di Reti. Scartò subito la tipologia detta a stella, constatando che “…la rete centralizzata è chiaramente vulnerabile, in quanto la soppressione di un unico nodo centrale distruggerebbe automaticamente la comunicazione fra le stazioni periferiche”.

Figura 1. a) Rete Centralizzata, b) Rete a Stella, c) Rete Distribuita.

Baran considerava il sistema allora in vigore come una struttura gerarchica  formata da una serie di stelle connesse fra loro in una più grande, offrendo così una prima descrizione di rete a invarianza di scala. A parere suo, l’unica rete in grado di sopravvivere ad un attacco nucleare era “…la Rete con architettura distribuita, simile ad un sistema stradale, abbastanza ridondante da creare, nel caso di eliminazione di alcuni nodi, percorsi alternativi che tenessero i contatti con i nodi restanti”. Per i suoi studi sulle reti di trasmissione dati, Baran si ispirò alla rete più complessa in assoluto, il cervello umano. Fu proprio grazie allo studio approfondito delle reti neurali che Baran ricavò il modello chiamato col nome di  Rete Distribuita, basata sulla molteplicità dei collegamenti e sulla ridondanza. La duplicazione e la sovrabbondanza di connessioni ricordava quelle del cervello umano, dove le funzioni di una parte danneggiata possono venire rimpiazzate da una nuova connessione realizzata con i neuroni rimasti intatti.


L’altra idea rivoluzionaria di Baran fu quella di frazionare i messaggi in diverse unità elementari di informazione, ciascuna  in grado di seguire un percorso differente all’interno della rete:
“… è tempo di cominciare a pensare ad una nuova e non ancora esistente rete pubblica, un impianto di comunicazione […] progettato specificatamente per la trasmissione di dati digitali tra un vasto insieme di utenti.
La Rand C. propose il progetto di Baran al Dipartimento della Difesa e furono esposte le tre soluzioni chiave che avrebbero permesso agli Stati Uniti di avere un sistema di comunicazione immune ad un attacco nucleare:

 

  • Avere un sistema  di telecomunicazioni basato sui nuovi computer digitali per gestire il problema della correzione degli errori di trasmissione  e per scegliere i percorsi possibili della rete;
  • Utilizzare una rete comunicativa distribuita e ridondante, al contrario di quanto avveniva per la rete telefonica, in modo che esistano più percorsi possibili lungo i quali far viaggiare i messaggi;
  • Frazionare il messaggio in più parti, far viaggiare le parti e ricomporre il messaggio a destinazione.

Ma l’idea di Baran fu ostacolata da tutti non tanto per la trasformazione topologica da lui invocata quanto per l’avversione riguardante la sua proposta di dividere i messaggi in tanti piccoli pacchetti di dimensione uniforme, in grado di viaggiare attraverso la rete indipendentemente l’uno dall’altro. Un obbiettivo che non poteva essere raggiunto con il sistema analogico esistente.


Baran insisteva sulla necessità di passare a un sistema digitale e per la AT&T (l’azienda che allora aveva il monopolio delle comunicazioni) questo era un passaggio troppo difficile da assorbire. Perciò Jack Osterman della AT&T bocciò l’idea di Baran dichiarando: ”…Prima di tutto non può funzionare, ma anche se funzionasse vi pare che acconsentiremmo alla nascita di un nostro concorrente?”.
Le idee di Baran, respinte dall’industria a dalle forze armate, furono riscoperte dieci anni più tardi quando l’ARPA, senza conoscere i risultati del consulente della Rand, formulò la stessa visione. Comunque questo rivoluzionario e incompreso scienziato continuò la sua ricerca e realizzò molti memorandum dove venivano demolite tutte le obbiezioni e le critiche che erano state mosse al suo progetto. Su sollecitazione dello stesso August Rand, nel 1965 il Pentagono decise di prendere in considerazione la proposta di rete distribuita, ma fu lo stesso Baran a bloccare tutto quando si accorse che il progetto sarebbe stato affidato alla DCA (Defense Comunication Agency), un’agenzia governativa con un approccio alle telecomunicazioni “vecchio stile”, che non aveva nessuna esperienza nel campo delle tecnologie digitali. Baran decise di lasciare nel cassetto il suo progetto .


Nel luglio del 1961 Leonard Kleinrock, dell’Università della California, pubblicò “Informational Flow in Large Comunication Net”, un testo che gettava le basi statistiche e matematiche per lo studio del traffico nelle reti distribuite di trasmissioni dati a pacchetto. L’ARPA affidò a Kleinrock la realizzazione del NMC, Network Measurement Center, il primo centro di misurazione della rete situato nell’UCLA. L’ NMC diventerà il primo nodo della futura Arpanet, con il compito di monitorare il traffico dei pacchetti attraverso i nodi che si sarebbero successivamente aggiunti. Nel frattempo il direttore dell’ARPA, il Generale Austin W. Betts, venne sostituito da Jack P. Ruina, il primo scienziato a dirigere l’ARPA, dopo un uomo  d’affari e un militare. Il principale merito di Ruina fu quello di intuire il grande potenziale della computer science e delle sue applicazioni alla trasmissione dati. Nell’autunno del 1962, Ruina accolse tra le fila dell’ARPA Joseph Carl Robert Licklider, meglio conosciuto come Lick, uno studioso di psicoacustica che avrà un ruolo fondamentale nello sviluppo delle ricerche dell’Arpa e che prima ancora dell’avvento del personal computer, riuscirà ad intravedere il futuro in cui l’interconnessione dei calcolatori elettronici sarà totalmente al servizio dell’umanità. Le innovative visioni di Lick furono raccolte in un saggio intitolato “Man Computer Symbiosis” che ha avuto una grandissima influenza sui tantissimi psicologi e studiosi di informatica dell’epoca. Nell’ottobre del ’62 Licklider venne messo sotto contratto dall’ARPA, che lo strappa al MIT (Massachusseetts Institute of Tecnology). Licklider cominciò una “caccia ai cervelli”, coinvolgendo nelle ricerche  dell’Arpa tutti i più grandi centri di ricerca e le più prestigiose istituzioni universitarie degli Stati Uniti. Questa scelta condizionò fortemente l’evoluzione di Arpanet, che si sviluppò fuori dagli ambienti militari, con il fondamentale contributo di tutti gli studenti universitari che iniziarono ad utilizzare i collegamenti ad Arpanet a partire dal 1969, data del primo collegamento della storia tra due computer. Licklider venne messo a capo di un gruppo di lavoro da lui battezzato “Intergalattic Computer Network”, al quale indirizzò nel 1963 un memorandum che rappresentava la base concettuale di ciò che sarebbe diventata Arpanet. Lick lasciò l’ARPA nel 1965 ma le sue idee rivoluzionarie rimarranno nella storia del passato e del futuro delle Reti. Nello stesso anno, mentre Paul Baran aveva oramai messo nel cassetto il suo progetto costato cinque anni di lavoro, dall’altra parte dell’oceano Donald Davies, un parlamentare londinese, fisico del British National Physical Laboratory, sviluppò delle teorie molto simili a quelle di Baran. Nella primavera del 1966, Davies diede  una pubblica lettura del suo lavoro nel quale parlava di una rete distribuita, analoga a quella concepita da Baran; inoltre affermò che l’inoltro del messaggio, suddiviso in tanti “pacchetti”, doveva avvenire all’interno di una rete digitale. Alla fine della conferenza lo scienziato venne avvicinato da un funzionario del Ministro delle Difesa USA che gli segnalò gli studi della Rand Corporation, di cui Davies non aveva mai sentito parlare. Baran e Davies avevano raggiunto le stesse conclusioni ad un continente di distanza, arrivando a coincidere perfino sulla dimensione dei pacchetti, sulla velocità di trasmissione e sull’utilizzo di una regola di instradamento (routing) che fosse adattativa, in maniera da inviare i pacchetti all’interno della rete tenendo conto, istante per istante, la situazione dei nodi adiacenti e della congestione dei collegamenti. La scelta del termine Packet Swithing si deve a Davies, mentre a Baran aveva descritto le stesse cose con il termine più prolisso di “distribuited adaptative message block swithing”. Sempre nel 1966 Robert Taylor sostituì Ivan Sutherland alla guida dell’ IPTO, l’ufficio Arpa di cui Licklider era l’indiscusso leader spirituale. Le idee sul networking seminate negli anni da Lick erano finalmente mature ed a Taylor bastarono solo venti minuti per ottenere da Charles Herzfeld, il quarto direttore dell’Arpa, un finanziamento da un milione di dollari per un progetto di rete distribuita. Venti anni più tardi, un articolo della rivista TIME darà vita alla leggenda di una rete militare costruita con la precisa intenzione di mettere gli Stati Uniti in condizioni di affrontare una guerra termonucleare, disponendo di una rete di comunicazioni in grado di sopravvivere ad un eventuale bombardamento. L’articolo del TIME  venne smentito da una lettera inviata da Taylor e mai pubblicata. In realtà le reti a commutazione a pacchetto e la realizzazione di Arpanet erano solo due dei tanti progetti di ricerca di base portati avanti dall’Arpa in quegli anni. Charles Herzfeld raccontò la nascita di Arpanet  in una intervista rilasciata a Scientific American nel settembre ’95:       
“ […] Arpanet non nacque per assicurare le comunicazioni militari in caso di guerra nucleare – questa è un’impressione  sbagliata molto comune - ma piuttosto per collegare computer e ricercatori delle varie Università, assistendoli nel condurre ricerche comuni sui computer e sulle reti di comunicazione e per usare questi computer nelle ricerche di base. Certamente eravamo consapevoli delle applicazioni potenziali di Arpanet per la sicurezza nazionale, ma gli sforzi per usare tale tecnologia a questo fine vennero solo molto dopo”.


Taylor voleva a tutti i costi che a capo di questo progetto ci fosse Roberts Larry, un ricercatore del Lincoln Laboratori; fu proprio il direttore del Lincoln Lab a convincere Roberts Larry ad andare all’Arpa, per non incrinare i rapporti con questa istituzione che forniva ai suoi laboratori più della metà dei finanziamenti totali. Al Lincoln Lab, Roberts aveva supervisionato uno dei primi esperimenti di collegamento remoto tra due computer, sempre all’interno di un progetto finanziato dall’Arpa, diventando il candidato naturale per la nuova impresa concepita da Taylor. A dicembre Larry Roberts fa il suo ingresso negli uffici dell’Arpa.

 

1.2 Arpanet: si parte

 

Nei primi mesi del 1967 Larry Roberts organizzò due incontri in cui si diedero appuntamento tutti i rappresentanti dei maggiori centri di ricerca e organismi universitari del settore informatico. Il mondo accademico non era ancora pronto ad abbracciare lo spirito delle reti distribuite, e nel primo di questi due appuntamenti molti non furono entusiasti dell’idea di doversi organizzare in rete condividendo con gli altri le proprie risorse di calcolo, già fin troppo scarse. Alcuni però ebbero la vista più lunga degli altri e decisero di dare il proprio contributo all’idea di Roberts. Tra i sostenitori del progetto c’era  Douglas Engelbart, dello Stanford Research Institute, il primo di una generazione di visionari cocciuti convinti che i calcolatori potevano essere usati anche dai non esperti. Se non fosse stato per questi pochi fermamente convinti di voler creare più raffinati strumenti di pensiero, computer per agevolare anche le più banali operazioni quotidiane, è molto improbabile che oggi ci sarebbero personal computer e sistemi telematici.


Gli elementi essenziali della Rete furono creati da persone che ci credevano, che lo desideravano e che perciò escogitarono applicazioni che consentissero di agevolare il pensiero e le comunicazioni umane. L’obbiettivo che si prefiggevano era di distribuirli a un numero maggiore possibile di persone a un costo minimo. Entusiasmati dall’idea di creare una cultura alternativa ai mass media tradizionali, lavorando con ciò che avevano a disposizione. E, per l’ennesima volta, le componenti più importanti della Rete nacquero sulla base di tecnologie create per scopi completamente diversi. La Rete è nata dall’immaginazione di poche persone guidate dall’ispirazione, non da un progetto ne commerciale ne militare.
Negli anni ’60, Engelbart aveva dimostrato la possibilità di uno spazio di lavoro in collaborazione chiamato OLS (On Line System), prevedendo che la gente avrebbe usato un ipertesto come strumento di lavoro. Per muovere  facilmente il cursore sullo schermo del computer, Doug inventò un blocco di legno con dei sensori e una pallina nella parte inferiore che chiamò mouse. In un famoso video, dimostrò una grande disinvoltura nell’uso del computer, grazie al mouse fatto in casa manovrato dalla mano destra e una tastiera tipo pianoforte a cinque tasti azionata dalla mano sinistra. Doug pensava che in questo modo ci si potesse interfacciare con la macchina in maniera aderente e naturale. Engelbart mise a disposizione il suo gruppo di ricerca per la realizzazione di NIC, il primo centro amministrativo della rete che più tardi prenderà il nome di InterNIC (Internet Network Information Center). Sulla scia dello Standford Institute, col passare del tempo, nasceranno altri NIC, per gestire in maniera decentralizzata servizi di documentazione ed assistenza, relativamente alla struttura della rete e alla gestione dei “nomi di dominio” con i quali vengono identificati i computer collegati in rete. Durante uno degli incontri organizzati da Roberts, un contributo importante arrivò da Wesley Clark, che propose di collegare direttamente i computer tra loro: i modelli di computer in circolazione all’epoca erano tanti e tali che spesso anche calcolatori prodotti dalla stessa ditta richiedevano enormi sforzi di programmazione e numerose modifiche all’Hardware per essere in grado di comunicare l’uno con l’altro. Clark suggerì di utilizzare una sottorete di computer tutti uguali e compatibili, dedicati esclusivamente alle funzioni di trasmissione e ricezione dati. In questo modo, i computer della sottorete avrebbero parlato tutti lo stesso “linguaggio” senza problemi di compatibilità e ogni nodo della rete avrebbe dovuto imparare solamente il linguaggio della sottorete anziché quello di tutti gli altri a cui sarebbe stato connesso. I computer interposti tra  i calcolatori universitari e la rete di comunicazione vera e propria vengono battezzati col nome di IMP (Interface Message Processor). In un’incontro successivo promosso dall’ Association for Computing Machinary, Roberts presentò il primo documento su quella che aveva battezzato ARPANET. Tra gli altri oratori c’era Roger Scantlebury, del team di Donald Davies, che presentò il lavoro sulle reti a commutazione a pacchetto realizzato dalla National Physical Laboratori. Attraverso Scantlebury, Roberts venne a conoscenza del lavoro di Paul Baran, che in seguito verrà contattato dallo stesso Roberts per unirsi al suo gruppo in qualità di consulente. Con questi incontri iniziarono a mettersi insieme i tasselli che daranno vita al primo embrione di Arpanet: l’iniziativa di Roberts, le risorse dell’Arpa, gli strumenti tecnologici sviluppati da Davies e Baran, gli studi di statistica delle reti distribuite sviluppate da Kleinrock, l’idea di Clark per risolvere i problemi di compatibilità e il Mouse di Engelbart.


“…Quindi l’avventura che ha dato origine alla Rete delle reti non può essere ridotta alla semplice realizzazione di un progetto militare. Più che una conquista strategica delle forze armate, la Rete è stata una conquista umana e culturale di un gruppo di persone che hanno creduto nel networking quando parlare di condivisione suonava come un’eresia”.
Nel corso del 1968 Larry Roberts rilasciò un documento nel quale definì le specifiche degli IMP; questo documento venne inviato a 140 compagnie interessate alla costruzione di questi fondamentali componenti della rete.


Nel testo di Roberts vennero riorganizzati con ricchezza di dettagli tutti i contributi teorici e tecnologici realizzati sin dai primi anni ’60 da Baran, Davies, Kleirock e Clark. L’IBM fu tra i primi rispondere alla “request for proposal” divulgata da Roberts, sostenendo che una rete del genere non avrebbe mai potuto essere realizzata a causa dell’enorme costo da sostenere per l’acquisto dei computer necessari a far funzionare ogni nodo della rete.
Nell’agosto del 1969 il documento di Roberts arrivò alla BBN (Bolt Berabek and  Newnmn) e Frank Heart  venne incaricato di mettere insieme un gruppo di ricerca in grado di realizzare il primo esemplare di IMP rispettando le scadenze fissate dall’Arpa. Attorno a Heart vennero riuniti gli IMP guys: Dave  Walden, esperto di sistemi in tempo reale, Severo Ornstain, il mago dell’hardware, Bernie Cosell, capace di scovare anche il più piccolo errore di programmazione, Will Crowther, appassionato di matematica in grado di produrre programmi piccoli e complessi allo stesso tempo. Gli IMP guys si buttarono a capofitto nel loro lavoro di programmazione del primo IMP, che li appassionò a tal punto che trasformarono la BBN in una seconda casa, nella quale trascorreranno molte notti insonni.


Tra il ’68 e ’69, mentre i movimenti studenteschi erano in pieno fermento, questi giovanissimi ragazzi avevano intrapreso una lotta contro il tempo per riuscire  a realizzare il progetto, rispettando la scadenza che l’Arpa gli aveva dato. Contemporaneamente, nelle altre sedi universitarie destinate ad ospitare i primi nodi di Arpanet, si lavorava altrettanto intensamente per permettere ai propri computer di collegarsi agli IMP, secondo le specifiche della BBN.


Steve Crocker, del gruppo di ricerca di Leonard Kleinrock all’UCLA, scrisse  il “Request For Comments” numero 1, intitolato “Host Software”, un documento nel quale si descrivevano i protocolli di connessione tra due computer, vale a dire le regole per stabilire uno scambio dati fra due calcolatori diversi connessi a due IMP uguali. I documenti erano delle proposte di innovazioni tecniche da sottoporre ad approvazione e riflettono la natura originaria della rete, priva di una qualsiasi autorità centralizzata e aperta alle proposte di chiunque. Lo spirito di questi documenti era dovuto all’impostazione data da Crocker, che scrisse RFC N°1 nel bagno della casa che condivideva con altri studenti, cercando volutamente di utilizzare uno stile aperto e informale, in grado di invogliare chiunque a collaborare alle specifiche tecniche di questa rete ancora in incubazione. Lo stile aperto dei RFC venne apprezzato da tutte le università che stavano lavorando al progetto di rete promosso dall’Arpa. Si creò un clima di cooperazione nel quale prenderà vita il Network Working Group (NWG), il gruppo di lavoro all’interno del quale, con il meccanismo delle RFC, nasceranno le soluzioni tecnologiche e gli standard che sono alla base degli attuali servizi Internet. Il 30 agosto l’IMP n°1 parte dai laboratori BBN per arrivare in aereo all’UCLA (Los Angeles): il primo embrione di quello che sarebbe diventata Internet si chiamava Sigma-7 ed era un computer senza hardisk, senza floppy, con soli 12k di memoria a nuclei di ferrite. Il codice di  necessario al funzionamento dell’ IMP n°1 occupava più o meno mezzo miglio di nastro perforato (circa 800 metri!).

 

M. Castells, “Galassia Internet”, Giacomo Feltrinelli Editore Milano, 2002.

P. Baran, “On distribuited communication networks”, IEEE Transictions on Communication Sistem, 1964.

P. Baran, memorandum On Distribuited Comunication Network, 1964.

H. Rheiongold, Comunità virtuali, Sperling & Kupfer Editori, 1994.

Ibidem.

 

 Nell’ottobre del ’69 Charley Kline dell’Università dell’ UCLA, fu incaricato di effettuare il primo collegamento da computer a computer attraverso una linea telefonica. Kline lavorava come programmatore nel laboratorio di Kleinrock e fece parte di un  progetto volto a realizzare un collegamento con l’unico nodo esistente: la Standford University. Dopo aver stabilito la connessione, Kline cominciò a digitare la parola “login”. Aveva appena finito di digitare la l, quando da Standford giunse la conferma che la lettera era stata ricevuta. Proseguì con la o, e seguì una nuova conferma. Poi provò con la g. Ma a quel punto il computer andò in tilt, disconnettendosi; il collegamento fu velocemente ristabilito in maniera permanete e nel giro di un’ora il Sigma-7 e l’IMP di Standford iniziarono a scambiarsi dati e colloquiare come due vecchi amici che si conoscevano da sempre. Fu il primo collegamento in rete della Storia.


Ben presto si aggiunsero altri nodi. A novembre l’ Università di Santa Barbara si collega al nodo dell’UCLA e, un mese più tardi, si aggiunse ai tre nodi precedenti anche l’Università dello Utah, che venne collegata allo Standford Institute tramite l’IMP n°4. Nel giro di pochi mesi, Arpanet non è più un’idea, ma una vera e propria rete funzionante con quattro nodi. All’inizio del 1970 Leonard Kleinrock fece un commento al suo amico Larry Roberts: “Sai Larry, questa Rete sta diventando troppo complessa per essere disegnata sul retro di una busta!; la rivoluzione delle Reti era iniziata. Nell’ estate del ’70 vennero collegati altri quattro nodi ovvero il MIT, LA Rand Corporation, la System Development Corporation e Harvard. Alla fine del ’71 i nodi diventarono 15 e comprendevano anche la NASA e, alla fine del ’72 erano diventati 37. La crescita della Rete delle Reti avveniva a velocità esponenziale, ma l’IMP concepito dalla BBN poteva collegare al massimo 64 computer. Nel 1974 Vint Cerf di Arpa e Bob Kahn della Stanford, servendosi dei risultati ottenuti da esperimenti paralleli sulle comunicazioni radio e satellitari, riuscirono a fissare delle nuove specifiche di comunicazione dei dati, e istituirono il TCP (transfer file protocol), uno standard indispensabile per la comunicazione tra computer. Nel 1978 Cerf, Postel e Crocker scomposero il protocollo in due parti: TCP per la gestione dei pacchetti di dati e l’IP (internet protocol) per la loro canalizzazione. Il protocollo TCP/IP costituisce la base della moderna concezione di Internet, considerando che oggi ogni computer connesso alla rete ha un proprio indirizzo IP. Fu proprio in questo documento che comparve per la prima volta il termine Internet.


Un altro protocollo innovativo ancora oggi utilizzato inventato sempre negli anni ’70 era l’ FTP (file transfer protocol), la prima funzionalità che implementava la scambio di file tra computer. Alla fine degli anni ’70 la NSF (National Science Foundation) iniziò a finanziare la costruzione di reti più economiche tra i vari poli universitari (Usenet, Csnet, Bitnet che abbracciava la prestigiosa Università di Yale), collegate tra loro tramite protocollo TCP/IP. L’importanza delle tecnologie della commutazione a pacchetto, per il mondo non tecnico, avevano una duplice importanza. In primo luogo, questa invenzione fu un modo utile per costruire un sistema comunicativo senza controllo accentrato: dal momento che ciascun pacchetto e tutte le reti di nodi di smistamento sapevano come far circolare le informazioni, non fu necessario un nodo centrale di controllo. In secondo luogo, nella misura in cui procede la digitalizzazione delle informazioni mondiali, questi pacchetti potevano trasportare tutto ciò che gli uomini erano in grado di percepire e le macchine di elaborare: voce, suoni, testi, colori ecc… Nel 1983 il Dipartimento delle Difesa statunitense, preoccupato per i possibili buchi nella sicurezza, creò Milnet, una rete dedicata a scopi unicamente militari, mentre Arpa-Internet subentrò come rete esclusivamente dedicata alla ricerca. Nel 1984 la NSF mise a punto la propria rete di comunicazione via computer (NSFNET) e nell’88 iniziò ad usarla come sua dorsale Arpanet. Nel ’90 la NFS venne incaricata dal governo USA al management della rete e Arpanet venne smantellata con grande tristezza.

 


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Vedi Cap. 3 Pag. 80. R.Ristuccia e V. Zeno in ” Il software nella dottrina giuridica”, CEDAM 1993, spiegano che la rapidità con cui questo decreto legge fu approvato, ritenendo che il testo legislativo fosse da tempo pronto e che con la delega al Governo si sia saltato il dibattito parlamentare, evitando persino il parere delle Commissioni.

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Nella interpretazione più restrittiva della legge sulla computer crime, se masterizziamo un programma per un nostro amico, e come se abbiamo effettuato 500 copie pirata!

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Relatore: Laureando:
Prof. Michele Mezza                             Pasquale D’Amico

 
 
 

Ringraziamenti

 

Ringrazio la Grande Rete che mi ha dato e mi continuerà a dare conoscenza, punti di vista alternativi e voglia di novità e di cambiamento creativo. Grazie a tutti voi.

 

Autore: Pasquale D’Amico

Fonte: http://files.splinder.com/3b8f4252314837a93ceb319b61d2384e.doc

 

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