Diritti delle donne

 


 

Diritti delle donne

 

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“Mi duole che le donne si struggano di lacrime. Esse dicono di essere vittime.
Ma vittime di che?
Della loro ignoranza che le rende cieche; del loro ozio, che le abbandona alla noia;
della loro debolezza d’animo che le fa schiave…
Lasciate i gesti, gli atteggiamenti e gli accenti supplichevoli:
levatevi e marciate con passo fermo verso la verità”
George Sand
 

 

 

 



 

 


Italiano

      • La donna secondo Platone
  • Sibilla Aleramo
    • Una donna
  • Riassunto
  • Luoghi e tempi

Storia

  • Il ruolo della donna
    • Nella Prima Guerra Mondiale
    • Nel fascismo
      • La politica del lavoro
    • Nella Seconda Guerra Mondiale
      • La resistenza delle donne
  • Il diritto al voto
        • La donna nella società moderna

Diritto

  • La donna nelle istituzioni
  • Il lavoro femminile
    • Legge n. 653/1934
    • Tutela della lavoratrice madre
  • Legge n. 53/2000
  • Parità uomo-donna
  • Legge n. 903/1977
  • Legge n. 25/1991

Inglese

  • Virginia Woolf
  • A Room Of One's Own

 


Lacondizione della donna è stata spesso caratterizzata, nel corso della storia, da una situazione di inferiorità, dal punto di vista sociale, giuridico e politico.
La donna si è vista ripetutamente oggetto di forti discriminazioni, giustificate da una sua presunta inferiorità fisica e intellettuale e che hanno fatto si che avesse dei ruoli limitati alla gestione della famiglia, alla cura dei figli e della casa.
Uno dei periodi in cui la donna fu privata di diritti fondamentali, fu quello del regime fascista.
Quello femminile era un ruolo molto limitato, con molti divieti. Essenzialmente la donna era vista come madre. Veniva, infatti, premiata quando aveva molti figli, perché regalava soldati alla patria, e discriminata qualora volesse impegnarsi in attività professionali. Col passare degli anni, pian piano la donna si è emancipata, ha ottenuto con dure battaglie i diritti di uguaglianza e con l’ingresso nel mondo del lavoro è riuscita ad ottenere anche l’autonomia economica che in passato non ha avuto. Ma se ai giorni nostri il ruolo femminile all’interno delle famiglie e della società intera è profondamente cambiato, non bisogna dimenticare tutti quei tratti che accomunano la donna di ieri a quella di oggi.
Con la mia tesina ho voluto confrontare la condizione della donna nel primo ‘900 e la condizione della donna odierna, mettere in relazione il suo ruolo sociale e familiare attuale con quello del passato; dimostrare che vi sono dei particolari problemi o situazioni di disagio che c’erano allora e vi sono ancora oggi, dovute allo stato di malessere in cui una donna può venirsi a trovare, anche se per cause diverse.
Ho scelto di far ruotare gli argomenti della tesina attorno alla donna perché, durante l’anno scolastico sono stati fatti spesso dei riferimenti riguardo il suo ruolo sociale dal punto di vista storico e letterario; perciò le sue lotte per affermarsi nella società mi hanno particolarmente interessata. Infatti credo che per ognuno sia importante capire, studiare e approfondire soprattutto ciò che lo riguarda in prima persona, quindi una donna ha interesse a conoscere quali enormi sacrifici si siano fatti per ottenere i diritti che ora possiede; in che condizioni si sia trovata a vivere; quali sono i problemi che maggiormente la riguardano.

 

 

 

 

 

 


Sin dai tempi antichi viene messo in rilievo il ruolo della donna nella società. Già a partire dal secolo di Platone (Atene 427-347 a.C.) questo argomento è stato fonte di discussione per tutti.
Nel quinto libro della Repubblica, Platone affronta la questione della diversità dei sessi e assume posizioni piuttosto aperte, soprattutto se teniamo in considerazione dei tempi in cui é vissuto, tempi in cui l' attività manuale, per esempio la coltivazione dei campi, era predominante: Platone sta tratteggiando il suo stato ideale, visto come grande famiglia, caratterizzato dall' abolizione della proprietà privata. Socrate, il protagonista del dialogo di cui Platone si serve per esprimere le sue idee, arriva a dire che perfino le donne e i figli devono essere in comune; quest' affermazione, chiaramente, suscita scalpore presso i suoi interlocutori, i quali lo travolgono di domande: Socrate si trova decisamente in difficoltà e prende come esempio per spiegare ciò che intende il mondo dei cani, ipotizzando che le femmine debbano svolgere le stesse mansioni dei maschi: andare a caccia e fare tutto ciò che fanno i maschi.

 

 

 

 


Se ogni attività deve essere in comune, é ovvio che dovranno avere la stessa educazione, lo stesso allevamento impartito ai maschi: l' unica differenza, per Socrate, è che i maschi saranno più vigorosi. Platone assume una posizione ambigua verso le donne: egli è consapevole, come Socrate, che hanno natura diversa dagli uomini poiché esse partoriscono ma egli offre alla donna la possibilità di un ruolo di primo piano e ne riconosce quasi l’eguaglianza con gli uomini. La donna non è diversa dagli uomini se svolge funzioni sociali: la differenza è solo di tipo quantitativo (perché hanno minor forza) e non qualitativo. Egli nella sua città ideale considera di far accedere la donna ai due campi che sono da sempre praticati dagli uomini: la guerra e la politica. Socrate afferma che l’uomo risulta superiore alle donne in tutti i campi anche nel caso in cui un uomo e una donna siano portati entrambi per la difesa dello Stato. I Pitagorici ed Epicuro dimostrarono grande apertura mentale verso le donne, mentre Aristotele aveva una concezione diversa delle donne: egli era convinto della naturale disuguaglianza dei sessi e della superiorità maschile sulle donne, anche nella riproduzione.
Dal secolo di Platone iniziarono ben presto le discriminazioni verso le donne.

 

SIBILLA ALERAMO


 

 


Il libro Una donna di Sibilla Aleramo è uno dei primi libri femministi usciti nel nostro paese ed è una testimonianza della condizione femminile nella prima metà del XX secolo nell’Italia del Sud. Attraverso la narrazione, l’autrice esprime dei concetti molto forti sul ruolo della donna nella società, ma molto più nella famiglia e nella vita privata. Non diario, non romanzo, né autobiografia, “Una donna” potrebbe forse definirsi “esercizio d’autoanalisi” in forma letteraria: probabilmente una severa riflessione sul proprio vissuto e su come avrebbe potuto o dovuto essere. La protagonista, privilegiata per nascita, più colta e più ricca delle sue coetanee, dopo un’infanzia serena e un’adolescenza vivace, trasferitasi con la famiglia in un paesino del meridione si trova, suo malgrado, invischiata nella logica del matrimonio “obbligato” con un ottuso “ragazzetto” del luogo che l’aveva insidiata e di cui lei stessa, per un tempo brevissimo, s’era ritenuta innamorata. Da questo matrimonio subito rivelatosi tragicamente sbagliato, nasce il figlio che per dieci anni sarà, a suo dire, l’unico vincolo che la tiene legata alla vita. La solitudine, la repulsione per la cruda e animalesca sessualità del marito, la soffocante atmosfera del paese, la spingeranno a ritenere se stessa già quasi morta e, infine, dopo il tentato suicidio, a trovare conforto nella scrittura. I destini familiari la condurranno a Roma dove, giovane redattrice di una rivista velleitariamente femminista, inizierà il suo doloroso percorso d’autocoscienza. Quando si trasferisce a Roma, scopre la lettura, la pratica della scrittura, i conflitti sociali, ma anche il mondo politico e culturale delle donne. Infine, ritornata al paese con il marito colpito da una malattia “infamante”, ma pur sempre deciso a soggiogarla e a reprimerne le richieste di separazione, prenderà la decisione della fuga verso il nord, sola, senza il figlio amato. In questa storia, si innestano le figure di un padre apparentemente illuminato, libero pensatore, dai caratteri fascinosi e moderni, che delega alla figlia appena adolescente una parte non marginale della direzione della fabbrica e di un marito che si comporta con la moglie, né più né meno di qualsiasi uomo della sua epoca: egoista e cieco di fronte alla sua disperazione e al destino oscuro che l’attende dopo il volontario esilio nella follia. Vi é poi la figura della madre, paradigma femminile in disfacimento, senza ombra di riscatto dalla propria debolezza. La madre rappresenta infatti ciò che lei non vuole essere, ma che purtroppo è destinata a diventare se non interrompe la strada che tutte le donne sono destinate a seguire. Infine, il marito: ottuso, incolto, legato indissolubilmente ai rituali della violenza e del possesso, incapace, per carattere e tradizione, di superarli se non per qualche sporadico e confuso momento. E la protagonista, sempre più consapevole della propria alterità, assiste attonita e impotente alla repressione d’ogni suo impulso vitale, quindi, attraverso l’osservazione, pur confusa e superficiale, delle vite diverse degli operai della fabbrica paterna, della miserabile esistenza delle popolane romane e dei movimenti delle classi lavoratrici, rialza il capo e trova il coraggio di fuggire per ritrovare se stessa e dare corpo ai propri ideali. Dalla narrazione, traspare il vero motore della scelta finale d’affrancamento: il bisogno di quell’autodeterminazione che in ogni creatura, maschile o femminile, consente l’espressione di un’esistenza appagante che nulla deve spartire con il senso di semplice, doverosa sopravvivenza.

RIASSUNTO

Il romanzo di Sibilla Aleramo "Una donna" inizia col ricordo della fanciullezza della protagonista, che fu libera e spensierata, infatti ella rivede la bambina che era, e le sembra quasi un sogno tanto era bello quel periodo. Per parecchio tempo, nell’epoca buia della sua vita, rivivendo quei momenti le viene da pensare alla vera felicità.
Era la maggiore di quattro fratelli, la preferita dai genitori. All’età di dodici anni si trasferì con la famiglia da Milano in una cittadina del Mezzogiorno perché il padre aveva ottenuto la direzione di un’industria chimica. Dopo pochi anni che si trovava nel nuovo paese, la protagonista interruppe gli studi e venne impiegata regolarmente nella fabbrica diretta dal padre e da qui inizia il suo periodo di solitudine; non aveva amiche perché restava tutto il giorno a lavorare, le donne del paese riferivano cose orrende sul suo conto perché non badava alle faccende di casa e occupava un ruolo che al tempo era riservato ad un uomo. Inoltre, non aveva più accanto a sé la mamma, che la trascurava parecchio perché non condivideva le scelte della figlia. Il paese dove viveva la famiglia non offriva svaghi, la madre della protagonista si era piano piano chiusa in se stessa, dato che non aveva amiche e stava tutto il giorno in casa a leggere; un giorno però presa dalla depressione, si gettò dal balcone e miracolosamente si salvò. Quando le cose sembravano essersi sistemate nella famiglia della protagonista, proprio quest’ultima venne a sapere che il suo adorato padre tradiva sua madre con una ragazza poco più grande di sua figlia. Il mondo improvvisamente le cadde addosso ed ella perse la fiducia che aveva nell’uomo e mai più riuscì a riacquistarla. A risistemare un po’ le cose per la giovane arrivò l’amore, un ragazzo di venticinque anni, suo collega d’ufficio. Le chiacchiere in paese si diffusero subito, in quanto lei aveva solo sedici anni, lui invece venticinque, ma col passare del tempo si placarono. Il tempo passava e la protagonista trovò nel fidanzato un uomo geloso e incolto che lei però voleva amare ugualmente. Arrivò così il matrimonio che fu infelice da subito; la ragazza rimase incinta, ma perse subito il bambino e pensava che se aveva perso il bambino era perché Dio capì che il bimbo non avrebbe vissuto in una famiglia felice come invece era stata la sua. Gli anni passano e la protagonista riuscì di nuovo ad avere un figlio, era felicissima, ma dopo poco tempo dovette darlo nelle mani di una nutrice perché non aveva più latte per nutrirlo. Per il malinteso, la protagonista fu giudicata male da tutto il paese e per la vergogna, anche se non aveva commesso niente, decise di togliersi la vita bevendo del veleno, ma per fortuna il suo gesto fu interrotto dall’arrivo del marito, giunto appena in tempo per salvarla. Da quel giorno la giovane donna decise di cambiare completamente vita, iniziando a migliorare il rapporto col marito. Seguì poi un periodo intenso nel quale ella visse solo di letture, meditazioni e dell’amore del figlio.

In seguito partecipò ad un movimento femminista che si sviluppò nel capoluogo della sua provincia che sosteneva era stata, fino a quel momento, trattata come una schiava ed ignorata. Iniziò un nuovo lavoro in una casa editrice di Roma, la città in cui si era trasferita da poco con la famiglia. Era entusiasta di questa nuova vita, aveva perfino iniziato a frequentare i teatri, i musei ed aveva un gruppo di amiche. Sembrava veramente rinata. Divenne ben presto amica e consigliera del suo principale, una donna che all’apparenza sembrava avere tutto: soldi, carriera, famiglia, ma che in realtà soffriva tremendamente, e alla protagonista sembrava di rivedere se stessa qualche anno prima.
Alla fine dell’inverno il figlioletto di appena cinque anni si ammalò gravemente. La malattia del bimbo durò alcuni mesi, alla fine dei quali la famiglia si concesse una vacanza in montagna per permettere al piccolo di ristabilirsi.
Quando tornarono il marito si trasferì nuovamente nel paese d’origine, nella casa che in precedenza era stata del suocero, a dirigere la fabbrica di quest’ultimo; lei restò a Roma col figlio e una domestica. In quei giorni di assenza del marito, la protagonista capì di non averlo mai amato, e di averlo sposato perché ormai le chiacchiere in paese erano troppe e se lei non avesse compiuto quel passo, sarebbe stata definita una ragazza facile e una poco di buono.
Dopo pochi giorni il marito tornò e la donna le propose una separazione amichevole, pensando che lui accettasse. La sua reazione invece fu tremenda, la gettò per terra ed iniziò a percuoterla mentre ella si dibatteva, allora lei si rassegnò e chiese perdono dicendogli che aveva pensato alla separazione in un momento di depressione, ma che era stata una pessima idea. Chiarite le cose il marito ritornò al paese e la protagonista continuò a soffrire in silenzio e a piangere per non essere riuscita a mettere fine alla storia una volta per tutte. Dopo poco tempo raggiunse il marito, trovò l’uomo cambiato, affettuoso, non più rude come era stato per anni.
Nel paese non c’era più nessuno della sua famiglia, i genitori e due fratelli erano tornati a Milano e la sorella si era sposata ed era andata a vivere nel Veneto. Era sola, suo figlio era l’unico compagno. In quei giorni le passò davanti tutta la sua gioventù: le corse in giardino, alla fabbrica, le ore passate con la mamma e sempre in quei giorni trovò nella soffitta delle vecchie lettere che la madre scrisse al proprio padre dicendogli che soffriva a causa del marito, ma che non l’avrebbe lasciato per amore dei figli; la protagonista capì allora che doveva continuare a stare col marito, anche soffrendo, per amore del piccolo. Le liti col marito intanto continuavano, ma la giovane teneva duro per cercare di far crescere il figlio in una famiglia unita.
Dalle liti però si passò alle botte e la ragazza stremata decise di partire, ma quando lo comunicò al marito, lui disse che avrebbe acconsentito purché il piccolo fosse rimasto con lui. La donna partì e tornò a Milano con la speranza che nel giro di pochi giorni avrebbe fatto in modo che suo figlio la raggiungesse. Passarono giorni, mesi e anni, ma non vide arrivare a Milano il suo piccolo.
Le lettere che la madre gli scriveva non ebbero mai una risposta, la protagonista allora, soffrendo in silenzio, scrisse un libro di modo che le parole contenute in esso lo raggiungessero.

 

 

Luoghi e Tempi

Il racconto si svolge principalmente in tre città: Milano, un paesino del Mezzogiorno e Roma.
Milano è il simbolo della libertà e dell’ingenuità delle bambine che ancora non comprendono la complessità dell’universo femminile e l’ingrato futuro cui sono destinate. La protagonista qui passa la sua fanciullezza spensierata, libera e nello stesso tempo felice per questa sensazione.
Il paesino del Mezzogiorno è simbolo della consapevolezza delle donne del loro ruolo nella società che considerano “un carcere strano” e quello che rimane da fare è rassegnarsi. Infatti la protagonista viene rinchiusa dentro casa dal marito per gelosia e non le concede neanche un minimo di considerazione e di rispetto.
Si trasferisce nella capitale: Roma. La città eterna rispecchia la solitudine delle donne e la loro frustrazione nei confronti di una vita ingiusta: come conseguenza di tutto ciò si afferma il femminismo, movimento sorto per rivendicare la parità giuridica, politica e sociale delle donne rispetto agli uomini.
La città è dunque il simbolo di libertà ed emancipazione, e ha perciò caratteristiche positive per l’autrice; il piccolo paesino meridionale, essendo invece il simbolo dell’ottusità e della chiusura mentale, è una sorta d’ambiente antagonista, e d’opposizione al desiderio d’indipendenza dell’autrice.
La storia raccontata dalla protagonista non è altro che un lungo flash back nel quale il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza occupano uno spazio minore rispetto agli avvenimenti più recenti accaduti. Per questo l’autrice, parlando della sua giovinezza si serve dell’imperfetto, trattandosi di un ricordo bello ed idealizzato, scrivendo il racconto attraverso un linguaggio articolato e fluido per indicare la spensieratezza di quel periodo.
Il tempo storico del romanzo è contemporaneo al momento in cui l’autrice scrive e corrisponde quindi ai primi anni del ‘900, periodo caratterizzato dalle prime insurrezioni femministe per la parità tra i sessi.

 

 

 

 

 

 

 

 


Agli inizi del ‘900 il ruolo della donna rimase uguale: ella doveva accudire i figli e pensare alle faccende domestiche ma con l’arrivo della Prima Guerra Mondiale molte cose cambiarono.
Il ruolo della donna è fondamentale: è chiamata a sostituire i soldati sia in campagna sia in città, in più è impegnata come crocerossina e ausiliaria. Così tra il 1914 e il 1918 acquisisce sempre più importanza all’interno della società; infatti negli stabilimenti ausiliari, dalle 90.000 lavoratrici del 1916 si arriva alle 200.000 alla fine del Conflitto. Molte delle lavoratrici imparano a prendere coscienza delle proprie capacità nel lavoro e scoprono il bello della nuova indipendenza economica: il lavoro in guerra e soprattutto nelle fabbriche di armi è pagato il doppio e anche di più se paragonato ai bassi salari solitamente pagati alle lavoratrici donne. Quindi, moltissime donne di ciascun ambito sociale escono dalle mura domestiche per volontà propria o per necessità. Molte donne sono impiegate anche nei servizi pubblici. Aumenta inoltre il numero delle donne nelle scuole e quello delle laureate.
Alla fine della Guerra la donna ha già iniziato ad assaporare la libertà e questo comportò un senso inedito di indipendenza: vivere sole, uscire da sole, assumersi da sole certe responsabilità erano cose che un tempo apparivano impossibili o pericolose, e ora divenivano per molte attuabili, Ma non fu così facile come sembrava, perché, la nuova posizione della donna nella società, era vista come pericolo per il mondo maschile, così iniziarono le prime manifestazioni contro le donne lavoratrici.
 

 

 


Per consolidare il proprio regime improntato sull’autoritarismo, Mussolini adottò una politica antifemminista, che impose alla donna l’esclusivo ruolo di madre casalinga e facendo così della maternità oggetto di pubblica esaltazione, a sostegno della forza nazionalista dello Stato.
Le donne intese come portatrici di interessi privati (familiari), furono così escluse da tutto ciò che aveva attinenza con la sfera pubblica. La famiglia era incoraggiata ad essere prolifica per promuovere l’incremento demografico; perciò il fascismo vietò l’aborto e l’uso di anticoncezionali. Le madri più prolifiche ottenevano addirittura riconoscimenti ufficiali e privilegi. Ogni aspetto della vita delle donne fu subordinato agli interessi dello Stato, al punto di negare, in assoluto, ogni forma di emancipazione femminile.
Le femministe storiche come Anna Kuliscioff famosa per la sua coraggiosa battaglia a favore del voto alle donne, dopo la sconfitta del 1925, furono costrette a volgere il loro impegno nel volontariato sociale o nell’attivismo culturale, ma con crescenti ostacoli e limitazioni. Dal 1926, con la soppressione di tutti i partiti politici, fenomeno che imbavagliò la stampa nonché l’attivismo femminista delle socialiste e delle giovani militanti del P.C.I., il regime riconobbe solo due movimenti femminili: quello fascista, che venne incoraggiato, e quello cattolico, che fu tollerato.
La riforma della scuola fascista, ricordata con il nome del suo promotore, Giovanni Gentile, ministro dell’educazione nazionale dal 1922 al 1924, produsse una vera e propria defemminilizzazione del corpo insegnante, negando alla donna qualsiasi capacità come educatrice.
Le donne non poterono accedere ai concorsi pubblici per insegnare lettere, latino, greco, storia, filosofia, economia mentre le studentesse avevano l’obbligo di pagare le tasse doppie rispetto agli studenti.

La politica del lavoro

Per non creare competizione tra uomini e donne sul mercato del lavoro, il fascismo sviluppò la legislazione proprio per evitare che il lavoro fosse da quest’ultime considerato un punto di slancio verso l’emancipazione.
La mobilitazione femminile di massa cominciò solo negli anni ’30 e, sebbene venisse riconosciuto alle donne il diritto di cittadinanza, il fascismo non le portò mai all’emancipazione e all’autonomia, ma soltanto a nuovi doveri nei confronti della famiglia e dello Stato, in un ruolo secondario e predisposto all’obbedienza.
Alla metà degli anni ’30 esistevano svariate misure discriminatorie, la legge fascista sul lavoro danneggiò gli interessi dei lavoratori in generale. Ma colpì le lavoratrici abbassando i salari maschili a livelli competitivi con quelli delle donne e dei ragazzi e favorendo infine i lavoratori più avvantaggiati, vale a dire quelli specializzati, quelli con maggiore anzianità e quelli impiegati in settori di importanza politica la maggior parte dei quali erano uomini.
Nel ’38 le lavoratrici avevano obbligatoriamente diritto a un congedo di maternità della durata di 2 mesi coperti da un sussidio di maternità pari alla paga media percepita nello stesso arco di tempo, a un congedo non retribuito lungo fino a 7 mesi e a 2 pause giornaliere per l’allattamento finché il bambino non avesse compiuto un anno.
La dittatura rese più severe le norme che proibivano i lavori notturni a tutte le donne e quelli pericolosi alle ragazze di età inferiore ai 15-20 anni e ai maschi sotto ai 15; vietava invece ogni tipo di lavoro ai minori di 12 anni.
I legislatori fascisti affermavano di voler escludere dal lavoro le donne; infatti con un decreto legge del 5 settembre 1938 fissò un limite del 10% all’impiego di personale femminile negli uffici pubblici e privati. I posti di alto prestigio e meglio retribuiti all’interno della burocrazia statale furono riservati agli uomini.

 

 

 


Con la seconda guerra mondiale si ebbe un miglioramento della vita delle donne, venne approvato un disegno di legge per sostituire nel lavoro il personale maschile con quello femminile. Le donne offrivano soccorso e aiuto ai partigiani, li nascondevano e procuravano loro viveri, vestiario e medicinali; s’improvvisavano infermiere e centraliniste. Nel frattempo organizzavano manifestazioni di protesta contro la guerra e contro ciò che essa causava: povertà, fame, cattive condizioni di lavoro; alcune delle donne operaie impiegate nelle fabbriche di armi sabotarono i macchinari per interrompere la produzione. Diffusero poi un’ampia propaganda con manifesti, riviste nazionali o locali, cercando di conquistare il maggior numero possibile di aderenti alla loro causa.

 

La resistenza delle donne

I primi corrieri e informatori partigiani furono le donne. Inizialmente portavano, assieme agli aiuti in viveri e indumenti, le notizie da casa e le informazioni sui movimenti del nemico. Questo lavoro diventò organizzato e si formarono le staffette, le quali costituirono una parte importante nell’esercito partigiano. Il loro lavoro era duro e delicato e spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo “i ribelli”. Se c’era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli un medico e organizzare il suo ricovero in clinica.
Dal 1943 si segnalò dapprima come porta ordini, uno dei ruoli più significativi e pericolosi assunti dalle donne, durante la resistenza, attraverso il quale i partigiani tessevano la fitta rete di intrecci politici, che portarono l’Italia alla liberazione dall’occupazione nazi-fascista.
Numerose staffette caddero in combattimento o nell’adempimento delle loro pericolose missioni.

 

 

 

 


La decisione di ammettere le donne al voto venne formalmente a poco di due mesi dalla conclusione del conflitto, ma essa era maturata fin dal 1944. Nell’ottobre del ’44 l’U.D.I. (Unione Donne in Italia), insieme all’Alleanza femminile prosuffragio e la FILDIS (Federazione Italiana Laureate Diplomate Istituti Superiori), inviò un promemoria al capo del governo Bonomi, affinché l’estensione del voto alle donne e dell’eleggibilità fosse tenuta presente nell’elaborazione delle leggi elettorali da introdurre per le future consultazioni. In un Italia ancora divisa in due, con il centro sud liberato decreto luogo tenenziale n. 23 datato 1 febbraio 1945. Ma esso parlava semplicemente del diritto di voto, e non dell’eleggibilità delle donne, che venne riconosciuta solo nel marzo 1946 da un nuovo d.lgs. Il 2 giugno 1946 ci furono le elezioni per l’Assemblea Costituente (le prime libere elezioni dopo 22 anni e le prime elezioni a suffragio universale, maschile e femminile). L’Assemblea Costituente aveva il compito di redigere la nuova Costituzione che avrebbe dovuto sostituire lo Statuto Albertino del 1848 ancora in vigore. Il 22/12/1947 venne approvata dall’Assemblea Costituente la nuova Costituzione della Repubblica Italiana che entrò in vigore il 1 gennaio 1948

 

 

 

 


Il riconoscimento dell’uguaglianza anche morale e soprattutto di una completa emancipazione la si ebbe dopo la ventata del 1968, quando le donne di tutti i paesi occidentali rivendicarono in massa i propri diritti fino ad allora disattesi e riuscirono con anni di lotte clamorose, a vederli in parte soddisfatti. Fu anche grazie alle proteste delle femministe degli anni 60-70 che in Italia fu approvata la legge nel divorzio (1974) e quella nell’aborto (1981).
Le condizioni lavorative per la donna rimasero sfavorevoli per parecchio tempo. Soltanto con una legge del 1977 intitolata “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro” venne riconosciuto a livello legislativo il principio generale di parità di diritti, con la predisposizione di strumenti idonei a contrastare le discriminazioni sul lavoro.
Inoltre, sempre di più sono state le donne impegnate in politica, nel giornalismo e nella scienza.

 

 

 

 

 

 


La nostra società fa grandi dichiarazioni di uguaglianza tra i sessi, ma ancora oggi la donna non è sempre tutelata e permangono discriminazioni.
Oggi i diritti e i doveri della donna si stanno avvicinando sempre di più a quelli dell’uomo ma nei secoli scorsi il diritto di essere una persona indipendente e il diritto di libertà personale, quasi mai, sono stati riconosciuti. La strada che la donna ha percorso per raggiungere l’attuale traguardo di parità (o quasi parità) è stata lunga e tortuosa, ma per arrivare ad una parità totale ed effettiva tra gli individui di sesso differenti restano ancora passi da fare.
Infatti non basta che la parità sia voluta dalla legge: per realizzarsi deve essere accettata e vissuta spontaneamente da tutti.
Con l’entrata in vigore del Codice del 1/01/1866, la legge riconosce alla donna la possibilità di venire adulta a 21 anni ed essere titolare di patria potestà sui figli. La donna è ancora però obbligata a seguire il marito, risultandone sottomessa.
Nello Statuto Albertino non si trovano riferimenti sulle donna. Gli articoli 24 e 32 enunciano i diritti e i doveri dei cittadini ma in nessuno di essi si pronuncia la parola donna.
La Costituzione Repubblicana segue il punto di svolta
Quando parla dei “diritti dell’uomo” (art. 2) si riferisce ovviamente ai diritti dell’uomo e della donna, ossia della persona umana.
Dal 1948 la donna è un cittadino a pieno titolo, infatti acquista i diritti politici, cioè può eleggere i propri rappresentanti e a sua volta può essere eletta.
La Costituzione conferma la sua posizione di uguaglianza, nell’art. 48 viene affermato che “sono elettori i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”.

Donne elette al Parlamento italiano, per legislatura e
camera di appartenenza - Anni 1994, 1996, 2001 e 2006 (valori percentuali)

Genere

XII Legislatura
1994

XIII Legislatura
1996

XIV Legislatura
2001

XV Legislatura
2006

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Donne

9,2

14,7

8,2

10,6

8,1

11,5

14,0

17,1

Uomini

90,8

85,3

91,8

89,4

92,1

88,5

86,0

82,9

Fonte: Elaborazioni su dati del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati

 

 

 

 

 

 

 

 


L’ordinamento giuridico italiano prevede una speciale normativa protettiva nei confronti del lavoro femminile. La prima legge che si occupa della tutela delle condizioni di lavoro delle donne è la Legge n. 653/1934.

LEGGE N. 653/1934

I tratti caratteristici di questa legge sono:

  • il divieto di lavori pericolosi, faticosi e insalubri;
  • il divieto di trasporto e sollevamento pesi;
  • il divieto di lavoro notturno;
  • il limite di 11 ore giornaliere di lavoro, con riposi intermedi;
  • i provvedimenti a tutela dell’igiene, della sicurezza e della moralità.

 

Successivamente con l’entrata in vigore della Costituzione, viene sancita la parità normativa e retributiva fra lavoratori e lavoratrici grazie all’art. 37 il quale afferma che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. In particolare alla donna lavoratrice, devono essere assicurate condizioni di lavoro che le consentano di adempiere alla sua essenziale funzione familiare e che siano in grado di garantire un’adeguata protezione alla madre ed al bambino.

LA TUTELA DELLA LAVORATRICE MADRE

Si è più volte ripetuto come la nostra Costituzione tuteli la donna lavoratrice soprattutto riguardo alla  sua essenziale funzione familiare, ossia di madre. La normativa sulle lavoratrici, dunque prevede una serie di garanzie e diritti idonei a proteggere la maternità, ed infatti la tutela della maternità e dell’infanzia rappresenta nell’ordinamento giuridico, un valore prioritario.
Diverse sono le leggi emanate in tale ambito: in particolare la n. 860/1950 che per prima ha regolato tale materia prevedendo appunto la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri. Successivamente la l. n. 1204/1971 che dispone un generale divieto di licenziamento della lavoratrice all’inizio del periodo di gestazione sino al compimento del 1° anno di età del bambino. Tale divieto opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio ed infatti la lavoratrice licenziata in tale circostanza ha il diritto ad ottenere il  ripristino del rapporto di lavoro.
Più recentemente è da ricordare la Legge n. 53/2000 che in tema di sostegno della maternità e della paternità ha profondamente ampliato i diritti dei genitori nell’ambito di una totale equiparazione.
Legge n. 53/2000

Tale legge prevede:

  • astensione obbligatoria. Riguardo ai 5 mesi di astensione obbligatoria previsti per la maternità, la madre può decidere come gestirli e cioè mentre prima della legge era previsto che la madre rimanesse a casa obbligatoriamente 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo tale data, oggi la madre può decidere (chiaramente in base anche alle condizioni della gravidanza) di lavorare fino ad un mese prima del parto e stare a casa 4 mesi dopo il parto. Durante tale periodo di astensione obbligatoria (detto anche periodo di comporto) la donna ha diritto di percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione a carico dell’INPS e l’anzianità di servizio decorre a tutti i fini.
  • Morte, infermità, abbandono della madre. Il padre ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi 3 mesi dalla nascita del bambino in caso di morte o grave infermità della madre oppure in caso di abbandono di affidamento esclusivo del figlio al padre.
  • Dieci mesi per otto anni. Nei primi 8 anni di vita del bambino madri e padri possono usufruire di permessi  fino a 10 mesi complessivamente. Singolarmente ognuno dei genitori non può assentarsi dal lavoro per più di 6 mesi. Tali permessi sono retribuiti al 30% fino ai 3 anni di vita del bambino e sono comunque computati nell’anzianità di servizio
  • Malattia del figlio. I genitori possono assentarsi anche in caso di malattia del figlio: le norme precedenti prevedevano la possibilità di assenza fino ai 3 anni del bambino, mentre questa legge porta il limite fino ad 8 anni con la possibilità di usufruire di tali permessi però solo per 5 giorni all’anno.
  • Un premio per i padri. I padri che esercitano il diritto a curare i propri figli sono premiati e possono assentarsi un mese in più.
  • Genitori adottivi. Le stesse disposizioni si applicano anche ai genitori adottivi (parificati a quelli naturali), infatti chi ha scelto di adottare un bambino può usufruire delle stesse norme previste per i genitori naturali.
  • genitori – lavoratori autonomi. Commercianti e artigiani possono usufruire dei congedi facoltativi solo durante il primo anno di vita del figlio e per una durata massima di 3 mesi.
  • gemelli permessi doppi. Nel caso di parto gemellare, le ore di permesso per allattamento nel primo anno di vita del bambino vengono raddoppiate. Anche questi permessi possono essere utilizzati dai padri.

 

 

 


LEGGE N. 903/1977

La legge n. 903/1977 rappresenta un’innovazione riguardo alla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Le fondamentali caratteristiche e innovazioni introdotte da tale legge sono:

  • divieto di qualsiasi discriminazione;
  • diritto alla stessa retribuzione dell’uomo a parità di lavoro;
  • diritto di rinunciare all’anticipazione del pensionamento e di optare per il proseguimento del lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini;
  • possibilità di deroghe al divieto di lavoro notturno;
  • corresponsione degli assegni familiari, aggiunte di famiglia e maggiorazioni per familiari a carico, in alternativa, alla donna lavoratrice.

 

 

LEGGE N. 125/1991

Un ulteriore passo in avanti per la realizzazione di tale parità uomo-donna nel lavoro, è stato compito dal legislatore con l’emanazione della legge n. 125/1991.
Tale normativa è rivolta essenzialmente alla rimozione di tutti gli ostacoli che, di fatto, impediscono la realizzazione della parità, formalmente affermata ma concretamente non esistente.
Tale legge prevede:

  • eliminare la disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione in carriera, ecc.;
  • favorire la diversificazione nelle scelte professionali delle donne, anche nel settore del lavoro autonomo ed imprenditoriale;
  • superare situazioni pregiudizievoli per l’avanzamento professionale, di carriera ed economico della donna;
  • promuovere l’inserimento della donna in attività professionali in cui è sotto rappresentata;
  • favorire l’equilibrio e la migliore ripartizione tra responsabilità familiari e professionali dei due sessi.

 

 

 



VIRGINIA WOOLF
 

 


Virginia Woolf (January 25, 1882 - March 28, 1941) was a English author and feminist.
A Room of One's Own is an extended essay, based on Woolf's lectures at a women's college at Cambridge University in 1928. In it, Woolf addresses her thoughts on "the question of women and fiction," interpreted by Woolf as many questions. In A Room of One's Own, Woolf ponders the significant question of whether or not a woman could produce art of the high quality of Shakespeare. In doing so, she examines women's historical experience as well as the distinctive struggle of the woman artist.
First published during 1929, it was based on a series of lectures she delivered at Newham College and Girton College, two women's colleges at Cambridge University in 1928.
Virginia Woolf, giving a lecture on women and fiction, tells her audience she is not sure if the topic should be what women are like; the fiction women write; the fiction written about women; or a combination of the three. Instead, she has come up with "one minor point--a woman must have money and a room of her own if she is to write fiction." She says she will use a fictional narrator whom she calls Mary Beton as her alter ego to relate how her thoughts on the lecture mingled with her daily life.

 

 


The narrator crosses a lawn at the fictional Oxbridge university, tries to enter the library, and passes by the chapel. She is intercepted at each station and reminded that women are not allowed to do such things without accompanying men. She goes to lunch, where the excellent food and relaxing atmosphere make for good conversation. Back at Farnham, the women's college where she is staying as a guest, she has a mediocre dinner. She later talks with a friend of hers, Mary Seton, about how men's colleges were funded by kings and independently wealthy men, and how funds were raised with difficulty for the women's college. She and Seton denounce their mothers, and their sex, for being so impoverished and leaving their daughters so little.
The narrator thinks about the effects of wealth and poverty on the mind, about the prosperity of males and the poverty of females, and about the effects of tradition or lack of tradition on the writer.
Searching for answers, the narrator explores the British Museum in London. She finds there are countless books written about women by men, while there are hardly any books by women on men. She selects a dozen books to try and come up with an answer for why women are poor. Instead, she locates a multitude of other topics and a contradictory array of men's opinions on women. One male professor who writes about the inferiority of women angers her, and it occurs to her that she has become angry because the professor has written angrily.
She wonders why men are so angry if England is a patriarchal society in which they have all the power and money. She posits that when men pronounce the inferiority of women, they are really claiming their own superiority.
Throughout history, women have served as models of inferiority who enlarge the superiority of men.
The narrator is grateful for the inheritance left her by her aunt. She investigates women in Elizabethan England, puzzled why there were no women writers in that fertile literary period.
She reads a history book, learns that women had few rights in the era, and finds no material about middle-class women. She imagines what would have happened had Shakespeare had an equally gifted sister named Judith. She outlines the possible course of Shakespeare's life.
His sister, however, was not able to attend school and her family discouraged her from independent study. She was married against her will as a teenager and ran away to London. The men at a theatre denied her the chance to work and learn the craft. Impregnated by a theatrical man, she committed suicide.
The narrator reviews the poetry of several Elizabethan aristocratic ladies, and finds that anger toward men and insecurity mar their writing and prevent genius from shining through.
The pleasing sight of a man and woman getting into a taxi provokes an idea for the narrator: the mind contains both a male and female part, and for "complete satisfaction and happiness," the two must live in harmony.
Woolf takes over the speaking voice and responds to two anticipated criticisms against the narrator. First, she says she purposely did not express an opinion on the relative merits of the two genders--especially as writers--since she does not believe such a judgment is possible or desirable. Second, her audience may believe the narrator laid too much emphasis on material things, and that the mind should be able to overcome poverty and lack of privacy.
Women, who have been poor since the beginning of time, have understandably not yet written great poetry. She also responds to the question of why she insists women's writing is important.
She encourages her audience to be themselves and "Think of things in themselves." She says that Judith Shakespeare still lives within all women, and that if women are given money and privacy in the next century, she will be reborn.

 

 

 

 


 

 

 

 

 


Sibilla Aleramo, “Una donna”, Universale Economica Feltrinelli, 1990
Virginia Woolf “Una stanza tutta per sè”, Tascabili Economica Newton, 1993
Platone “La Repubblica”, Laterza, 2003

 

 

 

 


http://www.studenti.it
http://www.studentville.it
http://www.wikipedia.it
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070307_00/16_retribuzioni.pdf
http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/l903_77.html
http://www.handylex.org/stato/l080300.shtml

 

fonte: http://skuola.tiscali.it/sezioni/tesine/tesina-diritti-donne.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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