Farro

 

 

 

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Farro

 

Farro: Triticum dicoccum (Fam: Gramineae/Poaceae, tribù: Hordeae, Specie: Triticum spp). Conosciuto e coltivato nell'antico bacino del Mediterraneo. Ezechiele lo usava come uno degli ingredienti per il suo pane (Ezechiele 4:9). La farina di farro costituiva la base della dieta delle popolazioni latine. Il pane di farro veniva consumato congiuntamente dagli sposi nel rito della cumfarreatio, la forma più solenne di matrimonio dell'antica Roma.

Denomina tre specie diverse del genere Triticum, comunemente chiamate frumenti vestiti. Fino agli inizi del '900 la loro coltivazione era diffusa in alcune valli dell'Appennino e in diverse zone montane d'Italia; in seguito è quasi scomparsa. Caratteristiche comuni ai tre tipi sono la fragilità del rachide della spiga e l’aderenza delle glume e delle glumelle alla cariosside, in conseguenza delle quali durante la trebbiatura il rachide si disarticola facilmente liberando spighette intere contenenti cariossidi che rimangono avvolte (vestite) dagli involucri glumeali. Per ottenere la granella nuda è necessaria un’ulteriore lavorazione di svestitura, detta anche sbramatura o sgusciatura.

Da alcuni anni il farro è diventato oggetto di una forte ripresa di interesse, per un insieme di fattori legati alla riscoperta di cibi tipici e alternativi, a provvedimenti di politica agraria volti a diversificare gli indirizzi produttivi ed al recupero di aree marginali e svantaggiate attraverso forme di agricoltura ecocompatibili. Le più importanti aree italiane di coltivazione sono la Garfagnana (il farro della Garfagnana, ai piedi delle Alpi Apuane, in provincia di Lucca, ha ottenuto la certificazione di qualità IGP) e l'area umbro-laziale, (valle del Corno, Valnerina, altopiano di Leonessa e altri territori di confine tra la provincia di Rieti e l’Abruzzo).  

Il farro si adatta alle zone marginali dove grazie alla rusticità, alle modeste esigenze in fatto di fertilità dei terreni, alla resistenza al freddo e a caratteristiche morfologiche e fisiologiche, inadatte a sistemi colturali intensivi, come:

– forte potere di accestimento, che entro certi limiti, può consentire il recupero di una sufficiente fittezza delle colture nei casi di semine mal riuscite o di diradamenti dovuti ad eccessi termici invernali;

– ciclo di sviluppo tardivo, non compatibile con profili climatici meno piovosi e più caldi di quelli di collina e montagna;

– taglia alta della pianta, che in concorso con la tardività del ciclo ed il forte potere di accestimento conferisce elevata suscettibilità all’allettamento, avversità che la modesta fertilità del suolo degli ambienti marginali permette di contenere;

– cariosside vestita dagli involucri glumeali, valida protezione contro avversità biotiche e possibili alterazioni della granella causate dalla piovosità che di norma accompagna la granigione e la maturazione negli ambienti altocollinari.

Farro piccolo o gonococco, il meno produttivo dei tre farri, ha culmo sottile e debole, spiga distica, aristata, compressa lateralmente. Le spighette hanno glume consistenti (quella esterna è aristata; quella interna è membranosa), che racchiudono una, molto raramente due, cariossidi schiacciate lateralmente, a frattura semivitrea. Spiga e matura 10-20 giorni dopo le comuni varietà di frumento tenero, ciò che lo rende inadatto agli ambienti con precoce innalzamento delle temperature accompagnato da assenza di precipitazioni. La debolezza del culmo, unitamente all’elevata facoltà di accestimento ed alla tardività, lo rendono molto suscettibile all’allettamento. Le sue cariossidi però, hanno elevato contenuto in proteine e carotenoidi. E' il farro di più antica origine e coltivazione. Reperti fossili del suo progenitore selvatico, Triticum boeticum, ne indicano il centro principale di origine nelle aree montagnose dell’odierna Turchia; e risalgono al VII-VI millennio a.C.

Farro medio: presenta, come il farro piccolo, spiga compatta e ristata; discende per processo di domesticazione dalla specie selvatica T. dicoccoides, la cui area di diffusione è dal Mediterraneo fino al Caucaso. La domesticazione del dicoccum fu molto più rapida di quella del farro piccolo, fatto che è da collegare alla superiore produttività della prima specie, capace di formare due cariossidi per spighetta invece dell’unico seme caratteristico del T. monococcum. È il più importante e il più diffuso farro coltivato in Italia, tanto da essere considerato il farro per antonomasia. Più adattabile ad ambienti difficili, è la specie tipica delle aree tradizionali di coltivazione del farro dell’Italia centro-meridionale. Nell’ambito di tali areali la coltivazione e la riproduzione in loco da lunghissimo tempo dei medesimi genotipi hanno differenziato delle popolazioni autoctone (ecotipi) caratteristiche, e caratterizzanti, degli areali medesimi . Le particolarità caratterizzanti i tipi di farro dei vari ambienti riguardano soprattutto habitus di sviluppo e produttività e sue componenti più che la morfologia della pianta. Per quanto riguarda il primo carattere sono ad habitus di sviluppo nettamente autunnale i farri della Garfagnana e del Molise, che dimostrano elevate esigenze di freddo collegate al fenomeno della vernalizzazione. Sono pertanto tipi “non alternativi”, non adatti alla semina di fine inverno. La popolazione dell’Italia centrale, viceversa, si caratterizza per elevato grado di primaverilità: è dunque tipo “alternativo” idoneo a semine“marzuole” (fine inverno-inizio primavera), quali di norma sono realizzate sull’altopiano di Leonessa.

Farro grande: farro di origine più recente (due millenni più tardi di farro piccolo e medio), ha come progenitore, oltre la specie selvatica Aegilops squarrosa, il dicoccum coltivato. Il suo centro di origine è dal Mar Caspio all’Afghanistan. Possiede potenzialità produttive superiori al farro medio, che tuttavia possono esprimersi appieno solo in ambienti non troppo sfavorevoli. In situazioni pedoclimatiche difficili non risulta competitivo col farro medio, anche in conseguenza del più lungo ciclo di sviluppo. Non presente in Italia sotto forma di popolazioni autoctone, è disponibile in numerose varietà commerciali, selezionate in paesi centroeuropei.

La tecnica di coltivazione tradizionale è semplice, assente è l'impiego di prodotti chimici di sintesi come erbicidi e concimi azotati, di solito è sufficiente la fertilità lasciata dall'erba medica. Il farro ha infatti modeste esigenze in fatto di elementi nutritivi. Nelle aree tradizionali di coltivazione, non sono adottati regolari schemi di successione delle colture. La preparazione del letto di semina non è accurata come gli altri cereali vernini. L’attuale tendenza agronomica alla semplificazione delle lavorazioni, con un minor numero e intensità degli interventi, presenta aspetti di grande interesse anche nel caso della coltura del farro, per i vantaggi derivanti dalla riduzione del costo delle lavorazioni e contenimento dell’impatto ambientale. La semina, a spaglio, è di norma autunnale, salvo in ambienti ad altitudini elevate dove viene eseguita a fine inverno per evitare i rischi connessi con le temperature molto basse. La semina post-invernale può cadere da fine febbraio ad aprile inoltrato, a seconda delle condizioni locali. La quantità di seme vestito da impiegare è molto variabile (da 70 a 150 kg/ha), per un investimento non superiore a 150-200 cariossidi a metro quadrato. Il farro presenta una rapida crescita iniziale e un elevato accestimento, risultando quindi molto competitivo nei confronti delle infestanti.

Raccolta a partire da metà luglio fino a metà agosto, a seconda delle aree e del tipo di farro. A causa dell'elevata fragilità del rachide, Viene trebbiato lentamente, con le pannocchie raccolte in covoni legati da steli, deposti a terra i circolo e calpestati da asini od ovini. Le produzioni sono molto variabili: dai 28-30 quintali ad ettaro nei terreni di pianura ai 10-18 delle zone di montagna e marginali. La granella, di elevato valore alimentare, oggi è impiegata quasi esclusivamente nell'alimentazione umana, ma può essere impiegata anche nell'alimentazione zootecnica. Può essere impiegato pur nella panificazione (litofagi delle derrate: Tignola del grano delle derrate, Cappuccino del grano, Verme delle farine Tenebrio molitor, Calandra del grano e Acaro delle farine Acarus siro).

Il farro si trova in commercio in due forme: farro decorticato (farro normale) e il farro perlato. Il farrotto è un cereale "vestito", in quanto la glumetta, la pellicola esterna del chicco, ricca di fibre, è perfettamente aderente e quindi non viene eliminata. Il farro decorticato conserva la glumetta intatta, che viene invece eliminata nel farro perlato, che si presenta di colore molto più chiaro e cuoce in un tempo decisamente inferiore. La granella di farro brillata può essere ulteriormente macinata per la preparazione di paste, pane o biscotti. La farina di farro è utilizzata anche nell'industria dolciaria. Con la farina di farro si produce un ottimo pane, preferibile a quello di frumento integrale poiché a parità di fibre non ha il tipico sapore di crusca, ma si avvicina molto al sapore del pane bianco, anzi è addirittura più aromatico e per certi aspetti migliore. In cucina è utilizzato soprattutto come ingrediente di zuppe e minestre, ma si unisce molto bene coi legumi e le verdure, esaltando gusti e profumi. Ottimo per insalate fredde, risotti ai funghi porcini. Si abbina in maniera eccellente ai vini rossi.

 

La popolazione di farro tipica di un determinato ambiente si differenzia dalle popolazioni autoctone di altri areali. Ogni ecotipo, pertanto, costituisce un elemento di tipizzazione della produzione del proprio areale di coltivazione, con riferimento al quale viene generalmente denominato.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/stebama/MEDIA/ortaggi_cereali_legumi.doc

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