Carne pesce oli uova cereali
Carne pesce oli uova cereali
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LA CARNE
Per anni considerata un alimento che solo i ricchi potevano permettersi a causa del suo costo elevato e cibo di prim’ordine in quanto a nutrienti, oggi la carne ha perso un po’ della sua popolarità, vuoi perché le diete vegetariane sono venute sempre più alla ribalta, vuoi perché alcuni nutrizionisti l’hanno demonizzata ed accusata come fattore di rischio in alcune patologie cardiovascolari ed oncologiche, vuoi perché, soprattutto negli ultimi anni, è stata attaccata da diverse malattie, tra cui le più conosciute la BSE (o “mucca pazza”) e l’influenza aviaria.
La carne è senza dubbio un alimento importante nella dieta di tutti poiché ricca di proteine, sali minerali, quali ferro, potassio e magnesio, e di vitamine, soprattutto del gruppo B. È anche vero che ci sono dei grassi saturi, cioè quelli che fanno alzare colesterolo e trigliceridi, ma, se mangiata con moderazione, non ha grossi effetti negativi. I glucidi sono presenti in quantità trascurabili; il glicogeno infatti scompare quasi del tutto dopo l’abbattimento dell’animale, trasformandosi in acido lattico. Mangiarla 2-3 volte a settimana sicuramente aiuta l’organismo a rimanere in salute e in energia. E, soprattutto oggi, le carni sono estremamente sicure, perché proprio i problemi avuti in passato e che ancora ci sono hanno portato il governo a legiferare in modo che ogni momento, dalla nascita alla macellazione alla vendita, di un qualsiasi capo fosse tracciato in modo da assicurare la salute dei consumatori.
Tutti i tipi di carne, quindi, sono accomunati da un più o meno simile apporto di nutrienti. Cambiano il sapore, la digeribilità ed il contenuto di grassi, legati essenzialmente al tipo di carne e al taglio scelto. Le carni possono essere suddivise, in base al colore, dovuto alla presenza di una proteina chiamata mioglobina in tre grandi gruppi: le carni rosse, le carni bianche e le carni nere. Tra le prime rientrano fondamentalmente le carni bovine ed equine, le carni bianche sono rappresentate da vitello, coniglio, agnello, pollo e tacchino, mentre le carni nere sono quelle da selvaggina. Resta fuori da questa classificazione il maiale, che fa gruppo a parte, in quanto presenta una carne rosata, che unisce le qualità della carne bianca e rossa.
8.1.1       Le carni rosse 
  Hanno un contenuto di ferro più alto  delle altre, anche se non di molto, ed hanno un sapore molto intenso. Il manzo,  maschio castrato macellato verso i 3-4 anni, presenta un sapore intenso ed un  buon apporto di proteine. Per facilitarne la digeribilità, viene sottoposto ad  un lungo periodo di frollatura (stagionatura a media temperatura e media  umidità). Il vitellone,  invece, è il maschio macellato tra i 12 ed i 18 mesi; esso contiene una  quantità di acqua minore rispetto al vitello, quindi è più nutriente, pur  rimanendo molto digeribile. La carne  equina, infine, è quella con contenuto maggiore di ferro; ha un  sapore dolciastro dovuto alla presenza di glicogeno. Per quanto riguarda  la carne di cavallo, bisogna fare molta attenzione alla provenienza,  solitamente Paesi dell’Est Europeo, in cui l’igiene non è purtroppo il  requisito essenziale. Meglio scegliere, quindi, quelli di provenienza  nazionale. 
8.1.2      Le carni bianche 
  Anche se hanno una presenza minore  di mioglobina,  che conferisce il colore, ciò non significa che presentino un valori nutritivo  inferiore alle carni rosse. A differenza di queste però, presentano un tasso di  grassi molto più basso, il che le fa preferire nelle diete, ed un’alta  digeribilità. Il vitello è sempre stato considerato la “carne” per eccellenza; ha delle buonissime  carni, ma è comunque in ottima compagnia, quindi è sempre preferibile variare e  non mangiare solo quello. Il coniglio,  ad esempio, è il tipo di carne migliore tra le quelle bianche, poiché ha un  sapore deciso ed è molto magro e povero di colesterolo. Anche l’agnello presenta carni magre e molto digeribili, soprattutto quelle dell’agnello  bianco. Ottime anche le carni di pollo e tacchino. Il pollo,  infatti, contiene molta lisina, utile nella crescita, è molto magro e povero di  grassi; anche il tacchino presenta un’alta digeribilità e pochissimi grassi. Bisogna, per questi due tipi  di carni, però, togliere la pelle, che, al contrario della carne, è molto  grassa. 
8.1.3      La selvaggina 
  Si tratta di animali quali cinghiale,  lepri, cervi e similari, che però non vengono mangiati spesso in Italia.  Presentano una carne compatta, scura e ricca di tessuto connettivo. Per  renderla più digeribile, la carne di selvaggina viene sottoposta ad una lunga  frollatura, ma resta comunque di difficile digestione. E non offre  grandi vantaggi per la salute rispetto agli altri tipi di carne. È preferibile,  quindi, mangiarla una volta ogni tanto, per togliersi lo sfizio di qualche  golosità prelibata. 
8.1.4     Il maiale 
  Considerato in passato un animale  dalle carni grasse e poco adatte ad una alimentazione sana, oggi è assurto a  carne prelibata sulle tavole degli italiani. Le sue carni, infatti, oggi sono  povere di colesterolo e magre, grazie a particolari accorgimenti  nell’allevamento, ed inoltre presentano una composizione dei grassi  prevalentemente insaturi. È possibile quindi farne un consumo vario, adatto  anche ai bambini, soprattutto per quel che riguarda le costolette. 
  8.1.5      Modalità  di abbattimento
  Le modalità di abbattimento degli  animali hanno un una importanza fondamentale nel valore delle loro carni e  sulla loro conservabilità; è necessario infatti che gli animali siano abbattuti  con le minori sofferenze possibili e che si proceda al dissanguamento completo  in quanto le carni non dissanguate imbruniscono sensibilmente nei tagli esposti  all’aria e si alterano facilmente.
  Le carni fresche prima di essere  consumate devono essere lasciate per un certo tempo perché avvenga la  cosiddetta frollatura. Dopo qualche  ora dalla macellazione, gli animali cominciano ad irrigidirsi per opera  dall’acido lattico. La carne deve essere consumata quando è stata frollata  altrimenti risulterebbe dura e insipida.
8.1.6     Taglio
  Le carni di uno stesso animale si  dicono di 1ª, 2ª, 3ª e 4ª categoria secondo il loro pregio alimentare.
  Sono carni di 1ª categoria quelle  con masse muscolari dure, prive di osso, quasi esenti da tendini e con  pochissime infiltrazioni di grasso (filetto).
  Sono carni di 2ª categoria quelle in  cui si trova una certa quantità di tendini e di grasso (muscolo della spalla);  alla 3ª categoria le zone dell’addome, collo, parti inferiori degli arti ed in  esse abbondano tendini e grasso; alla 4ª categoria appartengono i muscoli della  testa.
- La cottura
 
Per avere un buon sapore senza perdere le sostanze nutritive, bisogna scegliere la cottura adatta e seguire i consigli per effettuarla ad regola d’arte. Se scegliete di fare un pezzo di carne al forno, la parte più importante è la rosolatura, cioè la crosta che avvolge la carne e che impedisce ai succhi interni di fuoriuscire, mantenendone così i nutrienti e la morbidezza. Anche la cottura ai ferri è una scelta ottima, soprattutto perché così il grasso viene eliminato; bisogna però fare attenzione a non far bruciare le parti più esterne, perché la combustione può liberare sostanze nocive e cancerogene. Essenziale che lo spessore della carne da fare ai ferri non vada oltre i due centimetri. La lessatura invece non è una tecnica “conservatrice”, nel senso che la carne lessa perde gran parte delle sostanze nutritive nell’acqua in cui è immersa. Per “limitare i danni” si può scegliere un taglio particolarmente grasso immergendolo nell’acqua già bollente. Infine, la cottura a vapore potrebbe rappresentare la cottura ideale per quel che riguarda le sostanze nutritive, ma non per il sapore, che, però, può essere migliorato aggiungendo delle salse o delle spezie.
8.2         IL PESCE
  Vengono  definiti pesci i vertebrati eterotermi forniti di pinne e branchie che  vivono nel mare, nelle acque salmastre e dolci. Sono una delle migliori fonti  di proteine,  mentre il loro contenuto in grassi varia a seconda del luogo e della stagione. In base alla percentuale di grassi  si definiscono
- magri, 90-130kcal/etto (<3% grassi) , sogliola, orata, merluzzo, ...
 - semigrassi, 160-200 kcal/etto (3-8% grassi) , pesce spada, storione, triglia,...
 - grassi, 250-350 kcal/etto (>8% grassi), tonno, salmone, acciuga,...
 
La composizione chimica del pesce  non si discosta molto da quella della carne dei vertebrati. 
  Essa  comprende:
  Acqua: tra il 60  e l’80%
  Proteine: tra il 15  e il 25%. Ottima presenza di amminoacidi essenziali
  Lipidi: essendo la  parte più variabile possono oscillare tra lo 0,5 e il 22%. Buona presenza di  omega3.
  Glucidi: presenti  in modeste quantità (0,5 – 1%); più che altro monosaccaridi e glicogeno.
  Sali  minerali:presenti  in notevole quantità (0.8 – 2%); in particolare il pesce è ricco di P, Na, I  (pesce marino), contiene invece meno ferro della carne.
  Vitamine:i pesci  grassi e il fegato di quelli magri contengono vitamina A e D, mentre nel  muscolo troviamo le vitamine del gruppo B e la vitamina PP:
  
  Si possono classificare in: 
- Teleostei - con scheletro osseo (dentici, orate, pagelli, spigole, cernie, cefali, triglie, scorfani, sgombri, tonni, merluzzi, sogliole, rombi, murene e acciughe
 - Selacei - con scheletro cartilagineo (pesci cane, gattucci, squali e razze)
 - Ganoidi - con scheletro cartilagineo ed il corpo con scudi ossei e totale assenza di squame (storioni)
 
Si definiscono invece crostacei artropodi coperti da uno spesso involucro esterno (crosta) e si possono classificare in :
- Macruri - addome allungato, con la pinna caudale a forma di ventaglio (aragoste, astici, gamberi e scampi)
 - Brachiuri - addome corto e ripiegato
 - Stomatopodi - presentano due appendici sulla bocca, cosituite da un articolo mobile dentato simile ad una lama di un coltello (pannocchie)
 
I molluschi sono animali dal corpo molle, provvisti o mancanti di conchilglia e si possono classificare in :
- Cefalopodi - provvisti di conchiglia interna (calamari, calamaretti, moscardini, polpi, totani e seppie)
 - Gasteropodi o Lumache - animali che strisciano sul proprio ventre (patelle, murici e chiocciole)
 - Lamellibranchi (frutti di mare) - sono racchiusi in gusci e sono privi di cervello (ostriche, cozze, vongole, telline, canestrelli e tartufi di mare)
 
      Gli echinodermi sono i Ricci di mare. 
  La carne dei  molluschi e dei crostacei ha una composizione molto simile a quella del pesce  magro. I lipidi sono presenti in basse quantità, le proteine oscillano tra il  13 e il 16% e tra il 14 e il 23%. I glucidi sono più abbondanti e tra le  peculiarità si ricorda l’elevato contenuto di ferro nelle cozze e nelle  ostriche, di rame nei polpi e in certi tipi di ostriche una notevole quantità  di vitamina C.
Freschezza - Cottura – Conservazione 
  La freschezza è un requisito  richiesto al pesce. Il primo segno distintivo è l'odore che, se il pesce è  fresco, deve essere molto lieve, fine e deve profumare di mare. Il corpo deve  essere inoltre assolutamente rigido. Con il trascorrere delle ore dalla morte  del pesce, il suo corpo si affievolisce e l'addome di gonfia, come conseguenza  dell'azione batterica ed enzimatica che modifica appunto l'aspetto fisico,  chimico ed organolettico.
  Le squame del pesce fresco devono  essere lucide e l'occhio deve essere vivo ed avere una luminosità e  piacevolezza alla vista come se fosse vivo.
Il pesce fresco deve presentare:
- Squame lucenti
 - Occhi prominenti e brillanti
 - Branchie chiuse di colore rosso vivo
 - Pinne fortemente fissate
 - Coda distesa e dura
 
Per i molluschi ed i crostacei è un po' più difficile riuscire a stabilirne la freschezza in quanto molto facilmente possono variare i caratteri organolettici a causa dell'elevato contenuto di aminoacidi liberi che agevolano la formazione di microrganismi. Oltre alle frodi dovute al trattamento con sostanze chimiche non consentite che fanno sì che il colore vivace rimanga tale anche in caso di alterazione, bisogna considerare anche le condizioni ambientali in cui vengono allevati, soggette alla formazione di batteri che comportano deterioramenti dei molluschi stessi.
Al momento dell'acquisto i frutti di  mare devono essere freschi. Questi di media vivono dai 10 ai 15 giorni dal  momento che escono dall'acqua, se mantenuti in ambiente fresco. Superato questo  periodo, generalmente, muoiono e, se ingeriti, provocano gravi disturbi  all'organismo. Al momento dell'acquisto, i lamellibranchi devono essere  rigorosamente chiusi e, dal peso, si può individuare se all'interno c'è acqua  oppure no. Quest'ultima è necessaria per mantenere vivo il mollusco. Una cozza  filtra anche fino ad 800   litri di acqua al giorno. Si tratta di spugne in  continua lavorazione. Trattengono principi attivi ma anche alcune sostanze  nocive a causa dell'inquinamento del mare oppure alla mancanza di controlli  sanitari nel caso di allevamenti.
        Con la cottura non si eliminano del tutto  le impurità come spesso si è portato a pensare. Se vivo, con la cottura il  mollusco si aprirà. E' questo il motivo per cui l'apertura di quei frutti di  mare che non si sono aperti durante la cottura, non deve mai essere forzata.  Anche questi devono profumare, così come i cefalopodi, la cui carne deve essere  tendenzialmente umida ed aver un colore brillante, madreperla.
Il sistema di cottura influisce in modo fondamentale sull'abbinamento del pesce. Di seguito si riepilogano i principali sistemi di cottura adottati per la preparazione del pesce:
- Frittura - richiede l'intervento dell'olio; è forse il metodo di cottura più critico per quanto riguarda l'abbinamento. Trattasi di una tradizione che fa parte di molti paesi del mondo (in Giappone ed in altri paesi orientali, la frittura del pesce vede l'intervento di varie tecniche).E' molto importante l'abbondanza dell'olio d'oliva. Normalmente per la frittura vengono utilizzati pesci di piccola taglia. Può essere preceduta da un'infarinatura, impanatura o pastella. In quest'ultimo caso si conferisce all'alimento una maggiore succulenza e maggiore croccantezza e struttura. Si possono quindi azzardare abbinamenti con vini rosati o alcuni vini rossi privi di tannino, con una buona acidità.
 - Cottura alla griglia - vede adatti pesci di dimensioni un po' più grosse oppure tranci. Un classico, come cucina regionale, è il trancio di murena alla griglia, tipico di Lampedusa. In quasi tutte le tradizioni locali, la cottura alla griglia vede il concorso di erbe aromatiche. Il pesce va sviscerato ma non squamato. Le squame infatti proteggono la carne evitando che questa si attacchi alla griglia. La caratteristica di questa preparazione è la tendenza amarognola. Nel caso di pesci di taglia grossa, si richiede un'incisione per uniformare la cottura tra l'interno e l'esterno.
 - Cottura al forno - trattasi di una preparazione un po' più complessa che dà al pesce un'ampiezza organolettica particolare. Prevede di marinare con olio ed aromi il pesce che, prima di essere infornato, viene coperto di pane grattato. Durante la cottura si continua ad irrorare con la marinatura e, a metà cottura, il pesce viene insaporito con sale e pepe.
 - Alla mugnaia - adatta per pesci di piccola taglia o filetti, che vengono insaporiti con sale e pepe prima dell'infarinatura e cottura in poco olio.
 - In bianco - in realtà si intende la bollitura e la preparazione del court bouillon. Tale procedimento consiste nell'aromatizzare con prezzemolo, sedano, carote, alloro e cipolla l'acqua, salando ed aggiungendo del vino bianco, facendo cuocere per una mezz'ora. Una volta intiepidita si immerge il pesce oppure le rimanenze (lische e teste) e si fa cuocere ancora fino ad ottenere un concentrato che verrà poi utilizzato per le preparazioni di zuppe, oppure lasciato più liquido, come sorta di condimento del pesce. In questo caso il vino entra nella cottura del pesce e quindi, si può abbinare lo stesso vino utilizzato per la preparazione. Con la sostituzione dell'aceto al vino si parla di
 - Cottura al blu - utilizzato principalmente per i pesci d'acqua dolce
 - Marinatura - prevede l'intervento dell'aceto che rende quasi impossibile qualsiasi abbinamento. Si dovrà cercare quindi nel vino la morbidezza
 - Al vapore - tipo di cottura che aumenta la tendenza dolce
 - In umido - consiste nel cuocere il pesce a fuoco moderato in un soffritto di aglio, cipolla, pomodoro e vino bianco. La preparazione viene ultimata con abbondante prezzemolo tritato.
 - Al sale - consiste nel rivestire il pesce di sale e poi cuocerlo in forno
 
Altri fattori che contribuiscono a determinare le caratteristiche organolettiche del pesce sono
- la provenienza che, se di mare, oltre alla tendenza dolce avrà una nota salmastra rispetto al pesce di lago, la cui tendenza dolce è più accentuata;
 - il tipo di taglio : intero, a tranci oppure filetti di pesce. La compattezza aumenta la succulenza.
 - il contorno ed eventuali salse di accompagnamento (se il contorno sarà un radicchio oppure dei carciofi, la tendenza amara sarà elevatissima)
 
La conservazione dei prodotti ittici adotta sia tecniche antiche che moderne e possono essere le seguenti:
- salagione - può essere per via secca, che si ottiene cospargendo il sale sul prodotto oppure per via umida, immergendo il prodotto in salamoia. Alla salagione segue un periodo di circa 6/12 mesi di stagionatura.
 - essiccamento - segue la fase della salatura e consiste nell'eliminazione parziale dell'acqua contenuta nei tessuti del pesce
 - affumicamento - è un trattamento che, bloccando l'azione microbica, asciuga la carne che viene anche aromatizzata con il fumo ottenuto bruciando legno aromatico (faggio, betulla e quercia)
 - sterilizzazione- generalmente utilizzata per il tonno, le sardine,il salmone e le aringhe, consiste nello sterilizzare il prodotto già inscatolato, alla temperatura di 110°/120°C.
 - refrigerazione - consiste nel conservare alla temperatura di 0-1°C i prodotti in celle frigorifero oppure in ghiaccio formato da acqua marina. Tale sistema viene generalmente adottato a bordo dei pescherecci oppure a terra per i prodotti destinati al consumo immediato.
 - congelamento o surgelazione - Un prodotto si definisce surgelato quando sottoposto ad un congelamento ultrarapido, ossia un abbassamento della temperatura fino a raggiungere i -18°C. Il buon esito di questo trattamento richiede un prodotto di partenza perfettamente integro. Sul prodotto che viene acquistato dovrà essere indicata la data in cui è avvenuta la surgelazione e, di regola, il prodotto dovrebbe essere consumato entro 24 ore dallo scongelamento. In questo contesto è molto importante il mantenimento della temperatura. Si parla infatti di catena del freddo, si intende cioè il rispetto della temperatura durante tutti i passaggi, dalla produzione, all'immagazzinamento del prodotto ed al trasporto fino al luogo di vendita.
 
- LE UOVA
 
Con la sola dizione di UOVO ci si riferisce a  quello di gallina. 
  Se di altra provenienza deve seguire  la dizione anche la specie di appartenenza.
  L’uovo ha un alto valore nutritivo e viene digerito in tempi diversi a seconda  del tipo di cottura (ad esempio alla coque impiega 1:45’ mentre sodo o in frittata  impiega 3 ore). 
  
  La composizione alimentare (guscio escluso perché non edibile) è la seguente:
  | 
      ALBUME  | 
      TUORLO  | 
    
ACQUA  | 
      86,6%  | 
      50,9%  | 
    
PROTEINE  | 
      11,6%  | 
      16,2%  | 
    
GRASSI  | 
      0,2%  | 
      31,75%  | 
    
altro  | 
      1,6%  | 
      1,15%  | 
    
La frazione  proteica del tuorlo è costituita da  lipoproteine e fosfoproteine. I lipidi sono rappresentato da trigliceridi,  fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo. Il tuorlo oltre al Fe e al P legati  alle proteine contiene modeste quantità di Ca. Notevole il contenuto in  vitamine del gruppo B, assente la vitamina C.
  L’albume  è costituito da due strati fluidi, interno ed esterno ed uno  intermedio, più spesso. E’ una soluzione acquosa contenente proteine, enzimi, Sali  minerali (Na, K, Mg), vitamine del gruppo B e piccole quantità di glucosio  libero.
  La  freschezza di un uovo va dai 4-5 giorni in estate a 10-12 giorni in inverno se  conservato a temperatura ambiente. La freschezza si può valutare a guscio  intatto immergendolo in una soluzione di acqua(90%) e sale(10%): se va a fondo  è fresco. Una volta rotto il guscio l’uovo si può ritenere fresco se il tuorlo  risulta con forma globosa e l’albume si presenta fluido all’esterno e compatto  verso l’interno. Il tuorlo è avvolto dalla membrana vitellina e tenuto sospeso  nella chiara dalle calaze, cordoni di albume ispessito.
  La  classificazione merceologica è prevista in base alla qualità 
- CATEGORIA “A”
 
deve essere intatto, mai refrigerato, e la cuticola non deve superare i 6mm (l’ampiezza della cuticola è indice di freschezza); se entro i 4mm si definisce EXTRA (max per 7gg);
- CATEGORIA “B”
 
deve essere intatto, può aver subito trattamenti per la conservazione, la cuticola non deve superare i 9mm;
- CATEGORIA “C”
 
deve essere  intatto, può superare i 9mm di cuticola; viene utilizzato dall’industria  alimentare;
  ma anche in  base al peso 
- GRANDISSIME, oltre i 73g
 - GRANDI, da 63 a 73g
 - MEDIE, da 53 a 63g
 - PICCOLE, meno di 53g
 

8.4 L’OLIO
Esistono oli di oliva e oli di altra  natura. L'olio di oliva è più sano e più adatto anche per le cotture e le  fritture perché ha una consistenza diversa e tiene in modo diverso il calore.  Il cosiddetto punto di fumo identifica il grado di temperatura al di  sopra del quale l'olio è come se si sfaldasse, e le profonde alterazioni  molecolari si traducono in tossicità per l'organismo umano. Quindi più elevato  è questo punto di fumo e più elevato è il pregio dell'olio.
  L'olio di oliva è non a caso l'olio con il più elevato punto di fumo, supera i 200-220°C; quando si passa ad  altre categorie, l'unico olio con un punto di fumo leggermente inferiore è l'olio  di semi arachidi, ma al di là di questo gli altri oli (soia, girasole,  ecc.) hanno punti di fumo estremamente inferiori (130-140°C), il che significa che  sono inadatti alla cottura. C'è da dire che ci sono anche degli oli d'oliva  inadatti alla frittura, per il fatto che hanno una carica aromatica notevole  che coprirebbe tutto cedendo molto alla sostanza che cuociamo.
DENOMINAZIONI  | 
    |||
OLIO  | 
      olio ottenuto dal frutto dell'olivo mediante processi meccanici o altri processi fisici, in condizioni che non causano alterazione, e che non hanno subito alcun trattamento diverso da lavaggio, decantazione, centrifugazione, filtrazione, esclusi gli oli ottenuti mediante solvente o con coadiuvanti ad azione chimica o biochimica, o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura.  | 
    ||
  | 
      Le sottodenominazioni sono le seguenti:  | 
      Acidità  | 
    |
  | 
      OLIO EXTRAVERGINE  | 
      La nostra legge dice di fatto che un olio extravergine di oliva per essere venduto come tale deve avere un'acidità massima espressa in percentuale di acido oleico <= 0,8%, e allo stesso tempo deve essere perfetto dal punto di vista organolettico.  | 
      <= 0,8%  | 
    
  | 
      OLIO  | 
      Al di sotto troviamo l'olio d'oliva vergine organoletticamente perfetto con una acidità <= 2%.  | 
      <= 2%  | 
    
  | 
      OLIO  | 
      Infine esiste l'olio d'oliva lampante, dal gusto imperfetto o difettoso e con un'acidità > 2%. Quest'olio non è commestibile e deve essere destinato ad altri usi industriali, non per il settore alimentare.  | 
      > 2%  | 
    
  | 
      In realtà per quanto riguarda l'olio extravergine il consumatore non è affatto tutelato. Sull'etichetta non è infatti obbligatorio indicare la provenienza delle olive né i tagli effettuati con le miscele più disparate, viene spesso riportata solamente la dizione "Prodotto in Italia" che non vuol dire nulla, perché potrebbe essere un olio le cui olive sono straniere ma frante in Italia; può essere altresì prodotto all'estero ma raffinato da noi, ma peggio ancora le grandi multinazionali dell'olio tendenzialmente acquistano olio lampante su mercati inferiori e abbassano chimicamente l'acidità al di sotto dello 0,8% e lo imbottigliano. Ciò non significa a priori che sia nocivo, ma non c'è la dovuta trasparenza nei confronti dei consumatori.  | 
    ||
Altre tipologie di olio sono:  | 
      Acidità  | 
    |
OLIO  | 
      olio ottenuto dalla raffinazione di oli vergini  | 
      < 0,3%  | 
    
OLIO  | 
      olio ottenuto dal taglio di olio d'oliva raffinato con olio di oliva vergine (diverso dal lampante)  | 
      < 1%  | 
    
OLIO  | 
      olio ottenuto dalla sansa di olive mediante trattamento con solvente o processi fisici  | 
      
  | 
    
OLIO  | 
      olio ottenuto dalla raffinazione di olio di sansa di oliva greggio  | 
      < 0,3%  | 
    
OLIO  | 
      olio ottenuto dal taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di olio di oliva vergine (escluso il lampante)  | 
      < 1%  | 
    
La sansa è costituita dai residui della spremitura, composti da rottami di frutti, noccioli, semi, che costituiscono circa il 40% delle olive iniziali.  | 
    ||
8.4.1     Olio di oliva 
  L'olio di oliva è un componente  fondamentale e tipico della dieta mediterranea. Il termine "olio di  oliva" comunemente è usato in maniera generica per definire tutti gli oli  derivanti della lavorazione delle olive; in realtà questo termine racchiude una  gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche. 
- OLIO EXTRAVERGINE: di gusto "assolutamente" perfetto con acidità inferiore al 1% è ottenuto da una lavorazione effettuata con l'esclusivo utilizzo di mezzi fisici (frangitura - spremitura - separazione)
 - OLIO VERGINE:di gusto perfetto con acidità inferiore al 2% è ottenuto come l'extravergine con mezzi fisici
 - OLIO DI OLIVA: ottenuto miscelando oli di oliva raffinati e oli vergini, deve avere un acidità inferiore allo 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare
 - OLIO DI SANSA DI OLIVA:ottenuto miscelando olio di sansa raffinato con oli vergini, con acidità inferiore al 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare.
 
E'  sicuramente il pater ideale per fritture gustose, il suo punto di fumo è di 210°C.
  8.4.2    Olio di semi di girasole 
  L'olio  di girasole viene estratto per pressione o per mezzo di solventi dai semi. Essi  contengono circa il 60 per cento di trigliceridi. Ha un alto contenuto di acido  linoleico e di acido oleico ed è uno degli oli di semi maggiormente utilizzati.  E' un olio inadatto per friggere, infatti il suo punto di fumo e di circa 130°C, viene comunque  utilizzato per condire, cuocere a basse temperature, per preparare maionesi o  produrre margarine
  8.5.3     Olio di semi di arachide  
  L'olio  di arachide viene estratto dai semi dell'Arachys hypogea, che contengono circa  il 50 percento di olio. I semi vengono privati del germe e macerati in modo da  ottenere una farina che, sottoposta a pressione o all'azione di solventi,  fornisce un olio con un alto contenuto di acido oleico (45 - 65 per cento) e di  acido linoleico (20 - 45 per cento). L'olio di arachide risulta tra i più  pregiati oli di semi sia per le caratteristiche organolettiche che per la  composizione chimica che si avvicina a quella dell'olio di oliva. E' adatto sia  per condimento che per fritture, data la sua stabilità ad elevate temperature  di cottura, punto di fumo 180°C.  Per mezzo di trattamenti chimico-fisici si può ottenere il burro di arachidi,  un prodotto poco conosciuto in Italia ma assai diffuso in altri paesi come gli  Stati Uniti.
  8.5.4    Olio di cartamo  
  L'olio  di cartamo viene estratto dai semi del Charthamus tinctorius, che contengono  circa il 75 per cento di acido linoleico, il 15 per cento di acido oleico e  dosi elevate di vitamina E. Recentemente è stata selezionata una varietà da cui  si ottiene un olio con composizione invertita, e che viene chiamata appunto  "olio di carcamo invertito".
  8.5.5     Olio di palma 
  L'olio  di palma viene estratto dai frutti della palma africana ad alto fusto, mentre  dai semi della stessa pianta si ricava l'olio di palmisto. Contengono  sopratutto acido palmitico nella misura del 43 per cento circa, acido oleico  nella misura del 40 - 50 per cento circa, e acido stearico. L'olio di palma raffinato  e frazionato ha un punto di fumo piuttosto elevato ed è quindi adatto alle  fritture.
8.5.6    Olio di colza
  L'olio  di colza viene ricavato dai semi della pianta. L'olio viene usato in  alimentazione dopo essere stato raffinato e miscelato ad altri oli poiché  all'origine ha sapore e odore poco gradevoli. L'olio di colza contiene acido  erucico, leggermente tossico per gli esseri umani in grandi dosi ma usato come  additivo alimentare in piccole dosi. Proprio per il contenuto di acido erucico  l'olio di colza non era ammesso per l'alimentazione umana in Italia. La  legislazione varia in altri paesi.
  8.5.7     Punto di fumo di alcuni oli e grassi 
  Olio di  girasole meno di 130 °C
  Olio di soia 130 °C
  Olio di mais 160 °C
  Olio di arachide 180 °C
  Olio extravergine di oliva 210   °C
  
  8.5.8    LE FASI DI PRODUZIONE
  
  Il processo estrattivo comprende diversi passaggi e ogni momento della  trasformazione deve essere attentamente controllato per ottenere un extravergine  di ottimo livello. Il primo passaggio è la defogliazione seguita dal lavaggio.  Le olive raccolte devono essere ripulite d’ogni impurità, tipo rametti, foglie,  terra che potrebbero portare ad avere poi un prodotto con un sentore legnoso o  di terra, oppure con un’eccessiva colorazione verde dovuta alla clorofilla  delle foglie. 
  Si passa poi alla frangitura,  per la quale possono essere utilizzate macine in pietra o frangitori meccanici.  Già in questo passaggio è importantissimo controllare la temperatura,  soprattutto se il processo è effettuato con frangitori meccanici che possono  operare ad un elevato numero di giri. Passiamo poi alla gramolazione,  processo con il quale la pasta d’oliva ottenuta dalla frangitura è tenuta in  una lenta agitazione, a temperatura costante e controllata, per permettere l’aggregazione  delle gocce d’olio in modo da poter poi estrarle attraverso la centrifugazione.  Non controllare la temperatura in rapporto con il tempo di gramolatura fa  insorgere in questo passaggio i difetti di rancido, metallico, cotto. I tempi d’aggregazione  sono in relazione alla maturazione del frutto alla raccolta e soprattutto al  tipo di frangitura utilizzata: più questa sarà stata spinta, più le goccioline  da riaggregare saranno piccole e quindi maggiore il tempo di gramolazione. 
  A questo punto l’olio sarà estratto  dalla pasta d’oliva. I processi utilizzati sono vari: discontinuo della  pressione o tradizionale, continuo della centrifugazione in due o tre fasi e  quello di percolamento-centrifugazione. Ogni sistema ha vantaggi e svantaggi e  si adatta, più o meno bene, al tipo di frutto utilizzato, al suo livello di  maturazione, alla percentuale di polifenoli contenuta nel frutto ecc.. 
Si può a questo punto parlare di conservazione,  passaggio delicato dove il contatto con l’aria può aumentare l’acidità del  prodotto e l’appiattimento delle note aromatiche, con l’insorgenza di difetti  come il rancido, causato dall’ossidazione, o morchia, fermentato, causati per  esempio da fermentazioni innescate dalle sostanze anaerobiche che vengono a  contatto con la superficie oppure dai depositi sul fondo dei recipienti. Le  regole di base per una buona conservazione sono ridurre al minimo il volume d’aria  a contatto con il prodotto, mantenere bassa la temperatura, evitando però la  solidificazione, evitare il contatto con luce, calore e metallo. A tal  proposito è ovviamente importante considerare le condizioni di stoccaggio e  deducendo da quanto esposto finora sono da evitare i vecchi sistemi di  contenimento quali giare di terracotta, latta, vasche di pietra o di cemento  vetrificato. Si deve preferire il contenitore in acciaio inossidabile e  possibilmente utilizzare gas inerti, quali l’azoto, per ridurre la quantità di  ossigeno presente nello spazio di testa. Durante il periodo di stoccaggio deve  essere mantenuta la temperatura ottimale di 10-18°. 
        Prima  del confezionamento si deve porre attenzione alla filtrazione,  per evitare che i sedimenti naturali dello stoccaggio entrino nella confezione  finale di commercializzazione, inducendo nel tempo i difetti di morchia o  avvinato. Si ricorda infine che le confezioni per la messa in commercio devono  essere di vetro, scure, perché l’esposizione del prodotto sulle scaffalature  sottopone l’olio alla luce e al calore, pertanto il vetro scuro costituisce un’ottima  barriera, soprattutto per la luce.
8.6 CEREALI E DERIVATI
I cereali appartengono alla famiglia delle Graminacee, sono i vegetali più coltivati al mondo per i loro frutti che come tali o frequentemente macinati, stanno alla base dell’alimentazione umana. Il loro valore alimentare è dovuto all’elevato contenuto in amido, minimo invece quello in grassi.
Il frumento o grano è il cerale più consumato in Italia e le specie coltivate sono il grano duro (nell’Italia meridionale) e il grano tenero (nell’Italia settentrionale e centrale). Il primo in seguito a macinazione dà origine a semole e semolati da destinare prevalentemente alla produzione delle paste, mentre dal secondo si ottengono le farine, dalla cui lavorazione si ricava il pane.
Il chicco di grano o cariosside ha forma ovoidale ed è costituita da diverse parti:
- L’involucro esterno (pericarpo), conosciuto comunemente come crusca è composto prevalentemente da cellulosa;
 - La parte centrale (endosperma), ricca di amido;
 - L’embrione o germe cioè la parte da cui si forma una nuova pianta, che ha un elevato tenore in proteine e lipidi.
 
Nella cariosside troviamo:
- Acqua, in media il 12%
 - Glucidi, mediamente il 72%, di cui il 60 – 68% è dato da amido.
 - Proteine, circa il 12, carente però in amminoacidi essenziali
 - Lipidi, si ritrovano nel germe in bassa percentuale (1,5 – 2%)
 - Sali minerali, (1,5 – 2%) soprattutto fosfato di magnesio e potassio, Sali di calcio, ferro, rame, zinco e zolfo.
 - Vitamine, presenti le vitamine del gruppo B, vitamina E, assenti la C e la D.
 
Nei cereali come in altri alimenti, prevalentemente di origine vegetale si trovano sostanze particolari comunemente conosciute come fattori antinutrizionali.
Grano tenero        Grano duro
  Molitura        Molitura
  Abburattamento           Abburattamento
  Crusca              Farina    Crusca  Semola
  Semolati      
   
Pane          Fette        Prodotti      Biscotti                                  Pasta alimentare            Cous cous
                biscottate   da forno
   
  Prodotti derivati dalla lavorazione del grano tenero e duri
  8.7         IL LATTE  
Il latte alimentare è il prodotto ottenuto dalla mungitura completa ed ininterrotta della mammella di animali in buono stato di salute e nutrizione.
Il latte vaccino può essere chiamato semplicemente “latte” mentre per gli altri animali deve essere specificata la provenienza (es. latte di capra, latte di pecora ecc.).
La composizione dipende da vari fattori come ad esempio la specie, la razza, l’alimentazione, l’età, lo stato dell’animale ecc.
Per la maggior parte esso è composto da
- Acqua (87/90%);
 - Zuccheri (4,5/5,0%), come il lattosio,
 - Lipidi (3,2/3,5%), sotto forma di goccioline in emulsione, di cui le più grandi si portano spontaneamente in superficie formando la panna.
 - Proteine (3,0/3,5%), come la caseina, la lattoalbumina e la lattoglobulina,
 - Sali minerali, specialmente di calcio e di fosforo mentre invece è scarso il ferro, sia il latte materno e ancor di più quello di mucca, per cui una prolungata alimentazione con latte di mucca potrebbe dare origine a casi di anemia.
 - Vitamine (B2 e D) a sufficienza sia nel latte materno che in quello di mucca. Nel latte materno però la quantità non è fissa ma è soggetta a oscillazioni per cui si consiglia di effettuare alcune integrazioni vitaminiche dopo le prime settimane di vita.
 
- FASI DELLA PRODUZIONE DEL LATTE
 
- Mungitura: spremitura dei capezzoli della mammella dell’animale. Può essere meccanica o manuale.
 - Filtrazione: serve per togliere tutte le eventuali impurità
 - Refrigerazione: rallenta lo sviluppo microbiologico (deve avvenire a 4°C circa) e serve quindi per la conservazione
 - Trasporto dalla stalla alla centrale; durante tale trasporto dovrà essere mantenuta la temperatura della refrigerazione
 - Controllo igienico-sanitario; è la serie di esami chimico-batteriologici imposti dalla legge
 - Degasatura e deodorazione; operazioni con le quali si toglie gas ed eventuali odori dal latte.
 - Eventuale scrematura; il latte intero contiene il 3,2/3,5% di grasso, quello parzialmente scremato l’1,5%, quello totalmente scremato lo 0,5%.
 - Trattamento termico
 - Pastorizzazione: si porta il latte ad una temperatura superiore ai 100°C nel minor tempo possibile per uccidere tutti i microrganismi e le spore.
 - Sterilizzazione: si riduce la carica batterica esponendo il latte o a 70°C per 30 minuti o a 80°C per 15 secondi.
 - Tindalizzazione: a qualche ora dalla sterilizzazione si sottopone il latte per 10-20 minuti alla temperatura di 60-100°C per eliminare le spore eventualmente rimaste.
 - Stassanizzazione: il latte viene fatto passare fra lamine riscaldate a 72°C per non più di 15 secondi
 - U.H.T. : Il latte viene portato a 140-150°C in pochissimi secondi per ridurre la carica batterica.
 - Confezionamento (tetra-pack o bottiglie di vetro o plastica).
 
8.8 IL PEPERONCINO
Ha più vitamine di un’arancia e cresce ovunque e non causa emorroidi, c’è chi lo usa come autodifesa o come lozione per capelli. Dopo il sale marino, il peperoncino è l’alimento più diffuso nel mondo: lo mangiano due persone su tre. Usatissimo nella nostra cucina mediterranea, il peperoncino, pur appartenendo allo stesso genere dei peperoni dolci si caratterizza per un maggior contenuto di capsicina, la sostanza che gli dona quel sapore unico. Le origini del genere vegetale capsicum (dal latino capsa = scatola, per la forma dei frutti) si fanno risalire ad un’epoca abbastanza lontana; pare che il peperoncino sia apparso per la prima volta circa 10.000 anni fa nel Messico centro-meridionale e di lì si sia poi diffuso nel resto dell’America centrale e meridionale. In Europa è arrivato grazie a Diego Alvarez Chanca di Siviglia, medico e biologo della seconda spedizione nelle Americhe di Cristoforo Colombo (1493 –1494). Venne nominato pimento in quanto si riteneva che per la sua piccantezza potesse essere un sostituto del pepe (pimento in spagnolo), spezia assai costosa e di difficile coltivazione. Il peperoncino, essendo una pianta facilmente adattabile, venne subito coltivata in molte parti del mondo, diventando il condimento aromatico di coloro che non potevano permettersi le costosissime spezie orientali.
Secondo  una ricerca dell’Accademia italiana del peperoncino di Diamante (CS) con il  Dipartimento di biologia delle piante agrarie dell’Università di Pisa  esisterebbero oltre 2 mila varietà, una sessantina solo in Italia. In realtà è  impossibile classificare tutti i tipi di peperoncini esistenti al mondo in  quanto oltre agli incroci ottenuti dall’uomo vi sono anche quelli creati dagli  insetti che si spostano da una varietà all’altra trasportando il polline e  dando vita a tipologie nuove.
  Comunque le specie più utilizzate  per la coltivazione sono 5:
- Il capsicum annuun, la specie più presente in Italia e a ciclo annuale;
 - Il bacatum, per il suo frutto a forma di bacca;
 - Il chinense, specie pluriennale alla quale appartengono i peperoncini più piccanti come l’Habanero, coltivata soprattutto in America latina e in Messico;
 - Il frutescens come il Tabasco, famoso per la salsa;
 - Il pubescens, dai semi neri.
 
Le analisi scientifiche hanno dimostrato che il peperoncino rafforza le difese naturali dell’organismo. Studi epidemiologici hanno invece messo in evidenza un nesso tra l’uso di peperoncino e la bassa incidenza di tumori in queste popolazioni. Merito della capsicina, che è un antiossidante con effetti vasodilatatori. Ma il peperoncino contiene anche vitamina PP, che rende elastici i capillari e vitamina E che aumenta l’ossigenazione del sangue, abbassa il livello di colesterolo e aiuta il cuore. Senza dimenticare che il peperoncino, insieme ai peperoni dolci, è il frutto con la più alta concentrazione di vitamina C.
Misurare il piccante
C’è  chi ha provato a misurare il grado di “piccantezza” dei peperoncini, anche se  in questa misurazione c’è innegabilmente una variabile di soggettività.
  I primi ad utilizzare una scala di  valutazione del piccante furono gli Aztechi. Essi distinguevano nella loro  lingua sei gradi:
- Coco (piccante)
 - Cocopatic (molto piccante)
 - Cocopetz-patic (molto molto piccante)
 - Cocopetztic (piccante acceso)
 - Cocopetzquantil (estremamente piccante)
 - Cocopalatic (piccante da scappare)
 
Nel 1912 il chimico statunitense Wilbur Scoville inventò un metodo empirico: diluire in acqua i peperoncini fino ad annullarne il gusto quando esano assaggiati. Il numero di diluizioni necessarie per ogni varietà di peperoncino ha dato vita alla scala Scoville che misura il grado di piccantezza.
Quantità (per unità Scoville) | 
      Qualità e provenienza | 
      
0 - 100  | 
      Bell (Olanda)  | 
      
500 – 1.000  | 
      New Mexico (Messico)  | 
      
1.000 – 1.500  | 
      Espaňola (Spagna)  | 
      
1500 – 2.000  | 
      Ancho, Pasilla (Messico)  | 
      
2.000 – 2.500  | 
      Cascabel, Cherry (Messico)  | 
      
2.500 – 5.000  | 
      Japaleňo, Mirasol (Messico)  | 
      
5.000 – 15.000  | 
      Serrano (Messico)  | 
      
15.000 – 30.000  | 
      De Arbor (Messico)  | 
      
30.000 – 50.000  | 
      Cayenne, Tabasco (Usa, Messico)  | 
      
50.000 – 100.000  | 
      Chiltepin (Messico)  | 
      
100.000 – 350.000  | 
      Scotch Bonnet (Caraibi), Thai (Perù)  | 
      
200.000 – 300.000  | 
      Habanero (Cuba, Messico, Belize)  | 
      
855.000  | 
      Tezpur (India)  | 
      
16.000.000  | 
      capsaicinoidi allo stato puro  | 
      

Fonte: http://massimoparisi.it/docs/Scienza%20dell%27Alimentazione%20(%20V%20Dirigenti%20di%20Comunit%C3%A0)/Capitolo%208.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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