Rococò

 

 

 

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Rococò

 

Il ‘700 segna l’inizio della storia moderna: il secolo si apre con la crisi dell’assolutismo di Luigi XIV e termina con la Rivoluzione Francese., quando la borghesia si sostituisce all’aristocrazia nella direzione dello stato. In generale, è un periodo di grandi sconvolgimenti politici in Europa, testimoniati da tre guerre di successione: spagnola (1702-1714), polacca (1733-1738) e austriaca (1740-1748). La conseguenza di questo stato di cose è che intorno alla metà del XVIII secolo il panorama politico europeo appare profondamente mutato rispetto a quello seicentesco.
Come date importanti, possiamo ricordare il 1715, legato alla morte di Luigi XIV, il 1707, anno in cui gli austriaci conquistarono il milanese e il regno di Napoli, e il 1725, che vide la composizione delle Quattro stagioni di Vivaldi. Già soltanto accostandoci alla musica possiamo avere un’idea del tipo di linguaggio stilistico e iconografico che si sviluppò in quel periodo. Se il Barocco era uno stile all’insegna del movimento e dell’esagerazione, con il Rococò arriviamo all’esasperazione di questi aspetti, portati ai limiti più estremi: a Mozart fu addirittura rimproverata la presenza di un numero eccessivo di note negli spartiti delle sue opere.
Lo sviluppo di questo nuovo movimento artistico è dovuta al fatto che, all’inizio del 1700, il gusto predominante era ancora quello barocco, ma l’affermarsi delle teorie illuministe, tendenti a rivalutare la razionalità e l’indagine scientifica, finì per scontrarsi con le esigenze di un’arte che, al contrario, tendeva a privilegiare l’effetto scenografico e l’invenzione fantastica. Si assistette, quindi, a una spaccatura, che portò alla nascita del Rococò e del Neoclassicismo. Il perdurare dell’arte barocca, nella sua ultima fase, sempre più ripetitiva, prende il nome di Rococò. Il termine, che venne usato in senso dispregiativo dagli intellettuali e dagli architetti neoclassici del periodo successivo, deriva dalla parola francese rocaille, che sta a indicare un tipo di decorazione con conchiglie e pietruzze, allora molto diffusa. Il Rococò, oltre che nella pittura si manifestò di preferenza nel decorativismo esasperato degli interni, ornati di stucchi, intarsi e specchi e nella produzione di mobili, arazzi e porcellane dalle forme elaboratissime. Esso divenne spesso espressione della vuotezza e della falsità di certa vita di corte, che perseguiva esclusivamente il proprio ideale di grazia e ricercatezza, incurante del fatto che la società stesse avviandosi verso gli eventi rivoluzionari di fine secolo. Nel 1789, con la Rivoluzione Francese, la borghesia cominciò ad appropriarsi del potere politico ed economico sull’onda di una ribellione scatenata dal malcontento popolare: è proprio quando un paese sta attraversando un periodo di crisi che si assiste alla nascita di mode che esprimono esagerazione.
Non c’è quindi da stupirsi che questo nuovo stile sia nato in Francia, dove si manifestò non soltanto in ambito strettamente artistico, ma anche nell’abbigliamento (vestiti esageratamente ampi per le donne, calzamaglie per gli uomini), nelle acconciature (parrucche vistose) e nei comportamenti, che apparivano molto studiati. Siamo di fronte a un arte che puntava moltissimo allo stile e alla forma, un’arte che non poteva durare più di tanto, ma metteva in evidenza una crisi del potere politico.
In Italia, il Rococò prese piede a Venezia con il nome di Vedutismo, termine associato alla riproduzione di un luogo o di un ambiente attraverso precise ottiche prospettiche.

 

Filippo Juvara
Filippo Juvara (o, indifferentemente, Juvarra) nacque a Messina nel 1678 e morì a Madrid nel 1736. La sua formazione artistica avvenne a Roma, dove lavorò presso l’architetto Carlo Fontana.
Una delle funzioni del Rococò era quella di creare grandiose residenze per le corti europee e ne abbiamo alcuni esempi, come la Reggia di Caserta. Esse sono costruzioni in cui l’attenzione è concentrata sulla decorazione, la ricerca della raffinatezza, la scelta dell’arredamento e degli oggetti. È un’architettura che voleva mettere in risalto la grandezza delle corti e in Italia, Torino, in quanto capitale di uno Stato moderno come quello sabaudo, doveva essere completamente ridisegnata. Perciò, Vittorio Amedeo II di Savoia invitò Filippo Juvara a intervenire nell’opera di rinnovamento, nominandolo primo architetto di corte.

 

Basilica di Superga, Torino
L’enorme fabbrica si articola attorno a una chiesa a pianta centrale sormontata da un’imponente cupola di gusto michelangiolesco e preceduta da un alto e maestoso pronao a pianta quadrata.
Già dalla pianta si capisce lo stile che l’artista cerca di impostare su quest’opera, egli fa riferimento all’architettura tipicamente romana, ispirandosi al Pantheon e alla Basilica di San Pietro. Di conseguenza l’impostazione è classica, ma Juvara riuscì a inserire un’importante innovazione nella parte esterna dell’edificio: essa si presenta come il primo esempio di architettura eclettica, cioè che viene realizzata attraverso l’uso di vari stili, attraverso la grande abilità dell’artista di fondere senza forzature temi architettonici estremamente diversi. Si va, infatti, dal classicheggiante pronao corinzio alla slanciata cupola rinascimentale, fino ai campanili barocchi di evidente derivazione borromiana. Analizzando più attentamente questi elementi, possiamo notare che il pronao è il primo elemento architettonico che si presenta in modo aggettante anticipando l’entrata alla basilica. Esso è caratterizzato da colonne classiche che sorreggono un timpano dentellato e si aggancia con efficace continuità al corpo centrale coperto dalla cupola. Da questo si diradano due ali che terminano con i rispettivi campanili. L’effetto finale è di tipo fortemente scenografico. La basilica, come la chiesa di San Luca a Bologna, si erge su un rilievo che domina panoramicamente tutta la città: essa segna il limite estremo della nuova capitale sabauda, della quale rappresenta anche il vero e proprio emblema.

 

Palazzina di caccia di Stupinigi, Torino
Filippo Juvara ricevette un altro incarico da Vittorio Emanuele II: doveva progettare e costruire un complesso architettonico che soddisfacesse il desiderio del signore di avere un luogo, al di fuori del contesto urbano, in cui trascorrere del tempo dedicandosi ad attività come la caccia con amici e parenti. Anche in questo caso la costruzione ha un enorme impatto urbanistico, in quanto sia per forma sia per dimensioni non si configura come un semplice palazzo, ma come un organismo molto più complesso e articolato.
L’impianto centrale è caratterizzato da una forma ellittica e costituisce il perno dell’intera costruzione. A partire da esso si diramano quattro bracci lineari disposti a croce di Sant’Andrea, nei quali sono presenti gli appartamenti reali e per gli ospiti. Il complesso centrale è anche il punto di incontro delle linee di fuga del parco circostante. La costruzione, infatti, è inserita all’interno di un vastissimo giardino che si articola in un raffinato gioco geometrico di aiuole e viali. L’effetto scenografico è garantito da un’attenzione progettuale degli spazi interni: questa diventerà una delle residenze più prestigiose a livello europeo. Essa non è importante solo da un punto di vista artistico o paesaggistico ma anche come indicatore di quella che è la tipica vita di corte settecentesca. Mentre l’Europa è travagliata da guerre devastanti e da una crisi economica sempre crescente, all’interno del mondo dorato delle corti il tempo trascorreva in una dimensione quasi irreale, tra feste, balli, banchetti e battute di caccia.

 

Luigi Vanvitelli
Luigi Vanvitelli nacque a Napoli nel 1700 e morì a Caserta nel 1773. Egli fu più architetto che pittore e si formò, come Filippo Juvara, a Roma, nell’ambiente di Carlo Fontana. La sua personalissima concezione architettonica, pur partendo da una solida base barocca, si dimostrò estremamente sensibile ai temi della classicità. Per questi motivi egli è da molti considerato il primo architetto neoclassico italiano, anche se ciò non è del tutto vero in quanto il Neoclassicismo incominciò a diffondersi solo dalla seconda metà del Settecento, quando Vanvitelli era ormai giunto alla piena maturità artistica.

 

Reggia di Caserta
Nel 1751 Vanvitelli fu chiamato a Napoli da Carlo III di Borbone, il sovrano illuminato che, a partire dalla sua investitura, aveva intrapreso una vigorosa azione di rinnovamento dello Stato. È in questo contesto di rinnovamento generale che si inserì la realizzazione dell’opera più famosa e importante di Luigi Vanvitelli. Il re, infatti, gli commissionò la costruzione della nuova Reggia di Caserta, un palazzo che, secondo gli intenti della corte, non doveva essere secondo a quello di alcun altro grande sovrano d’Europa. Come già lo Juvara per la Palazzina di Stupinigi, anche il Vanvitelli non si occupò solo del progetto architettonico del palazzo, ma anche della realizzazione dell’immenso parco e della risistemazione urbanistica dell’intera città circostante. La nuova reggia voleva essere il simbolo del nuovo Stato borbonico: potente e grandioso, secondo la tradizione, ma al tempo stesso anche razionale ed efficiente.

 

 

 

 

 

 


Il palazzo appare come un massiccio parallelepipedo a pianta rettangolare e lo spazio interno è diviso da due bracci ortogonali che intersecano i corpi principali delle facciate nel punto mediano, dando origine a quattro immensi cortili, a loro volta rettangolari. Perno centrale di tutto il grandioso edificio è il grande atrio ottagonale ove i due bracci mediani si incontrano dando origine a delle prospettive estremamente scenografiche, secondo il gusto teatrale dell’ultimo Barocco. Da questo atrio si diparte uno scalone monumentale che è sicuramente il più grande d’Italia e si colloca anche tra i più celebri d’Europa.
Il modello del parco circostante è evidentemente ispirato a quello di Versailles voluto dal re di Francia Luigi XIV, ogni elemento naturale viene volutamente e profondamente modificato e il paesaggio che ne deriva è quello di un fondale di teatro, davanti al quale viene recitata la farsa continua di una vita di corte frivola e staccata da qualsiasi realtà sociale.

 

Fonte:

http://clp07.altervista.org/110503_RuggeriROCOCO.doc

Autore del testo: Ruggeri

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