Flora e vegetazione parchi
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Flora e vegetazione parchi
FLORA E VEGETAZIONE
Il paesaggio vegetale del Parco è  particolarmente interessante sia perché il territorio protetto copre un’ampia  fascia altitudinale, sia perché le tre valli su cui si sviluppa hanno  caratteristiche climatiche e pedologiche diverse.
  La Val Chisone e la Valle di Susa  sono caratterizzate da forti escursioni termiche e idriche, con estati calde e  siccitose e inverni rigidi. Le elevate temperature estive e l’esposizione  favorevole dei versanti consentono alle colture di salire in altitudine lungo  le pendici: in Val di Susa, per esempio, i vigneti raggiungono i 1200 metri e i  cereali venivano coltivati fin oltre i 2000 metri. Localmente sono presenti  oasi xerotermiche, con flora di tipo sub-mediterraneo o steppico, in cui la  vegetazione è caratterizzata da piante frugali, eliofile, resistenti alle forti  escursioni termiche e alla siccità. Il Pino silvestre è un loro tipico  rappresentante.
  La Val Sangone è di tipo  pre-alpino, si apre direttamente sulla pianura e da qui le masse d’aria umida  risalgono i versanti, provocando nebbie e frequenti precipitazioni. Il clima è  quindi più fresco e adatto a specie mesofile come il Faggio.
  Alle quote più basse presso i  confini del Parco ci troviamo nella fitocenosi climax dell’orizzonte montano  inferiore, caratterizzata da boschi di latifoglie con predominanza di Faggio.  Queste formazioni di caducifoglie sono spesso interrotte da prati e pascoli di  origine antropica, molti dei quali ancora regolarmente utilizzati.
  Salendo più in alto le conifere  prendono il posto delle latifoglie: Larici, Abeti rossi e bianchi rappresentano  il climax dell’orizzonte montano superiore. Anche qui si aprono praterie create  dall’uomo per ampliare i pascoli.
  Oltre il limite della foresta la  vegetazione diventa rada lasciando il posto agli arbusti di Ginepro, Ontano,  Rododendro e Mirtilli che costituiscono l’orizzonte sub-alpino.
  La fascia successiva è  l’orizzonte alpino, caratterizzato dalle praterie prive di alberi ed arbusti  con manto vegetale prevalentemente erbaceo.
  Infine, nella zona cacuminale, le  erbe si fanno sempre più rade colonizzando il terreno in formazione in modo  discontinuo a zolle.
  Benché il Parco non ospiti  particolari endemismi, sul suo territorio sono presenti quasi tutte le specie  tipicamente alpine, legate agli ambienti rocciosi ed alle vallette nivali.
Schede:
- Il Lariceto
 - La Pineta
 - La Faggeta
 - L’Abetina
 - Fiori di alta quota
 
Elenco floristico.
LE PRATERIE
Ogni prateria, a seconda  dell’altitudine, dell’esposizione,delle caratteristiche fisiche e chimiche del  suolo e microclimatiche dell’area in cui si trova, ospita una popolazione di  piante diversa per tipo e frequenza delle specie che la compongono.
  Ad alta quota sulle creste  ventose le piante sono soggette a forti sbalzi termici diurni e stagionali.  Durante la stagione invernale infatti il freddo non è mitigato dalla copertura  nevosa che si mantiene per un tempo limitato, in quanto spazzata dai forti  venti; in estate l’insolazione è elevata e si verificano frequentemente  condizioni di siccità ed elevata temperatura. In questo ambiente si sviluppa  l’Elineto, una prateria che deve il proprio nome alla presenza di una piccola  Ciperacea dall’aspetto poco appariscente: l’Elina (Elyna myosuroides). Nell’Elineto si trovano frequentemente le  specie basifile dei detriti calcarei come Linaria alpina e Silene vulgaris; si incontrano inoltre numerosi Carici: Carex rupestris, Carex atrata e Carex rosae.
  La tipica prateria pioniera nel  Parco Naturale è il Curvuleto. Legato a substrato siliceo o acido, si presenta  come un tappeto fitto e denso di erbe non molto alte tra cui domina la Carice  curvula (Carex curvula). I  popolamenti sono ben riconoscibili verso fine agosto, quando le foglie della  carice si incurvano ed ingialliscono, dando un colore ocraceo uniforme alle  pendici che ricoprono. In questa prateria è frequente trovare i cuscinetti di Silene acaulis e cespi di Juncus jaquinii, sono inoltre comuni  Leontodon helveticus, Viola calcarata,  Gentiana kochiana, Nigritella nigra, Trifolium alpinum, Geum montanum e  molte altre.
  Dove il contenuto di calcio nel  suolo è più elevato o il processo di acidificazione è più lento, come ad  esempio su pendii ripidi vicino ad affioramenti rocciosi, si afferma il  Seslerieto-sempervireto. Questa è una prateria molto ricca di specie perché il substrato  è un mosaico di zone più o meno umide e più o meno abbondanti di calcio. Le due  piante che la caratterizzano sono la Sesleria  varia e il Carex sempervirens;  assieme ad esse si trovano la Stella alpina (Leontopodium alpinum), i Semprevivi (Sempervivum montanum, S. tectorum, S.  arachnoideum), l’Eliantemo (Helianthemum  oelandicum), la Potentila (Potentilla  tabernae-montani), l’Anthyllis  vulneraria, la Prunella (Prunella  grandiflora), le Pedicularis (Pedicularis  rosae, P. verticillata).
  Sulle pendici meno soleggiate,  esposte e Nord, il Seslerieto è sostituito dal Cariceto  a Carex  ferruginea. In ambiente fresco, nelle conche delle praterie alpine, vivono Festuca violacea e Trifolium thalii; queste specie si accompagnano spesso a quelle  delle vallette nivali e la loro presenza indica l’inizio di un processo di  acidificazione di un suolo ricco di carbonati.
  A quota inferiore, dove il  terreno è profondo e ricco di sostanza organica, si diffonde la Genziana  maggiore (Gentiana lutea), la cui  radice contenente un principio amaro, è stata sottoposta a raccolte  indiscriminate per usarla in liquoreria.
  Sulle pendici soleggiate, ripide  e pietrose si afferma la Festuca varia,  i cui grossi cespi risaltano nelle praterie per il caratteristico colore  chiaro, per le lunghe foglie spesso parzialmente secche e per la disposizione a  gradoni che caratterizza questo tipo di prateria. Pendici a Festuca varia sono  assai diffuse in Val Chisone e soprattutto in Val Sangone, su substrato  roccioso siliceo. In ambiente analogo, probabilmente in relazione ad  un’irrazionale conduzione del pascolo e all’uso del debbio (incendio delle  praterie), si diffonde la Festuca  paniculata. Si tratta di una graminacea cespitosa di grande taglia,  considerata una infestante dei pascoli.
  Ai piedi delle pendici, nei  pianori dove il terreno è pianeggiante, profondo e fresco si estendono le  Praterie fertili, sfruttate per il pascolo del bestiame. Un pascolo ricco  contiene molte erbe buone foraggere, in prevalenza Graminacee accompagnate da  Leguminose. La base della cotica erbosa dei pascoli è costituita dalla Festuca rubra, graminacea di un colore  verde brillante che forma densi tappeti. Ad essa si associano diverse specie  del genere Agrostis sp., il Phleum alpinum, diversi Trifogli (Trifolim repens, T. montanum, T. alpinum),  il Ginestrino (Lotus alpinus) e i  Denti di leone (Leontodon sp.).
  Oltre a queste specie più  tipicamente foraggere, si possono individuare alcune piante indicatrici di  particolari condizioni ambientali o di sfruttamento. In ambiente secco si  trovano il Timo (Thymus serpyllum),  il Millefoglio (Achillea millefolium)  e la Salvia (Salvia pratensis).
  Nei terreni più freschi e ricchi  di sostanza organica sono particolarmente abbondanti le Alchemille (Alchemilla vulgaris) ed i Romici (Rumex sp.). Le Ortiche (Urtica dioica) e il Chenopodium bonus-Henricus caratterizzano la flora nitrofila, cioè  un gruppo di piante che vivono generalmente presso gli alpeggi e le stalle ed  ovunque si verifichi con regolarità l’accumulo di deiezioni o sostanze azotate.
  Nei pascoli troppo intensamente  utilizzati il suolo subisce un processo di acidificazione molto spinto e riduce  drasticamente la propria fertilità. In queste condizioni si afferma il Nardo (Nardus stricta), una graminacea che  forma un fitto feltro in cui sopravvivono solo poche specie di taglia ridotta  come: Geum montanum, Arnica montana,  Trifolium alpinum.
AMBIENTI ROCCIOSI
Rocce e macereti sono habitat  “estremi” in cui le varie caratteristiche ambientali si manifestano con  particolare intensità e la vita delle piante è particolarmente difficile: gli  individui non riescono a moltiplicarsi in modo da formare un tappeto continuo e  rimangono più o meno isolati, di fatto le piante che colonizzano le rocce sono  sempre ancorate  in anfratti, fessure,  nicchie in cui si sia accumulato un po’ di materiale disgregato. La flora che  si adattano alla vita in questi luoghi è detta “pioniera” perché è la prima  colonizzatrice dell’ambiente inospitale.
  I meccanismi che le piante adottano per resistere agli  sbalzi termici e idrici, al vento, alla siccità e all’insolazione sono  molteplici: le piante alpine hanno generalmente uno sviluppo ridotto e un  portamento appressato al suolo, a cuscinetto; le foglie hanno piccole  dimensioni e sono coperte da tomentosità più o meno fitta; nei tessuti  abbondano gli elementi di sostegno (sclerenchimi), poco idratati e quindi poco  esigenti in acqua e molto resistenti alle basse temperature. Spesso la  concentrazione di zuccheri nei succhi cellulari è molto elevata, favorendo la  resistenza al freddo e all’essicazione. Alcune specie sviluppano tessuti in  grado di trattenere l’acqua nelle foglie o nei fusti (piante grasse o  succulente).
  Sulle rupi, nelle fessure più  umide ed ombrose si possono trovare le Felci (Asplenium sp.) e la Primula  latifolia; nei punti più esposti vivono i Semprevivi (Sempervivum sp.)  alcune specie di Cerastium, il Dianthus neglectus e la Poa alpina. Tra i vegetali specializzati  delle rupi si annoverano molte specie di Sassifraghe come Saxifraga bryoides,Saxifraga  oppositifolia e Saxifraga paniculata. 
  Dove le piante superiori non  riescono ad affermarsi vivono licheni ed alghe. I licheni sono organismi  simbionti formati dall’unione di un fungo e di un’alga. Essi sono in grado di  intaccare la roccia mediante secreti acidi e di colonizzarne la superficie e  gli strati esterni formando una crosta di colori diversi: dal verde giallastro  del Rhizocarpon geographicum al rosso  di Xanthoria elegans, al nero, grigio  o arancio di molte altre specie.
  Le piante che colonizzano i detriti  rocciosi accumulati ai piedi delle pendici più ripide, devono svilupparsi negli  anfratti tra il pietrisco e hanno apparati radicali molto estesi per poter  raggiungere e sfruttare il poco terreno interposto tra le macerie. Un esempio  caratteristico è dato dal Thlaspi  rotundifolium, le cui radici crescono orizzontalmente portando le nuove  gemme lontano dal fusto principale in modo da aumentare la probabilità di  sopravvivenza nel caso in cui un parte della pianta venga travolta e sepolta  dai detriti. Altre specie come la Linaria alpina o alcune specie di Cerastium ricoprono e cercano di  consolidare i detriti con un intrico di fusti striscianti; altre ancora come Silene acaulis , Saxifraga oppositifolia, Androsace carnea, formano piccoli  cuscini compatti che ricordano il muschio e sono strettamente aderenti al  terreno per resistere ad eventuali piccole frane.
  Sui macereti si incontrano  inoltre il Doronicum grandiflorum, il Sedum anacamperos, l’Oxyria digyna, l’Achillea nana, l’Armeria  alpina e, più ai margini, il Salix  serpyllifolia con la Dryas octopetala.  Queste ultime due specie rappresentano la fase di passaggio del macereto verso  le fitocenosi chiuse, con densità di piante molto superiore a quella delle rupi  e dei detriti.
IL GINEPRO NANO
Il Ginepro nano (Juniperus nana) si può incontrare nel  sottobosco dei lariceti radi o nelle pinete di Pino silvestre (Pinus sylvestris). L’ambiente di elezione di questo arbusto è  rappresentato dai pendii esposti a Sud, con suolo superficiale, povero e arido.  Spesso si accompagna ad alcune Ericacee come il Mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea) e l’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi), che sono  diffuse nella brughiera alpina. Su suoli più caldi e fortemente acidificati,  accanto al Ginepro nano troviamo lo stesso Brugo che, a quota inferiore, è  associato al Ginepro comune (Juniperus  communis). Bassi cespugli isolati si spingono a notevole quota,  stabilizzando il suolo, migliorandolo e permettendo l’accumulo di humus.
  I pascoli in cui sono diffuse macchie di Ginepro nano sono  generalmente nardeti o festuceti a Festuca varia. Molto spesso la loro scarsa  utilizzazione da parte del bestiame domestico, oltre a favorire l’insediamento  di cespugli, provoca la diffusione nel tappeto erboso del Brachipodio  (Brachypodium pinnatum), graminacea con foglie relativamentelarghe e sottili  che, illuminate dal sole assumono un tipico colore verde pallido, percepibile  anche a distanza. La predilezione per il clima continentale secco e la  tolleranza al freddo fanno si che insieme al Ginepro si incontrino  frequentemente specie “steppiche” come alcune leguminose del genere Oxytropis e  Astragalus. Un’altra pianta assai caratteristica che gli si associa sui pendii  meridionali è la Stella alpina (Leontopodium alpinum).
IL LARICETO
I boschi di Larice (Larix  decidua) sono diffusi soprattutto in Val Chisone e in Val Susa, mentre in  Val Sangone si può incontrare qualche esemplare isolato.
  In confronto alle altre conifere di montagna con rami  robusti, fogliame denso e persistente, il Larice, con i suoi rami sottili e  lunghi, i suoi aghi morbidi e caduchi, sembrerebbe inadatto a vegetare nel  severo clima alpino. In realtà è una pianta molto rustica, capace di sopportare  condizioni climatiche rigide e di svilupparsi su suoli poveri e poco evoluti  senza temere la più intensa insolazione.
  Contrariamente a tutte le aghifoglie dei nostri climi, il  Larice perde le foglie in autunno. Questo gli consente di ridurre la perdita  d’acqua per traspirazione fogliare, che difficilmente potrebbe essere  compensata da quella presente nel suolo perché gelata.
  Queste caratteristiche ne fanno una pianta pioniera,  capace di aprire la strada a formazioni forestali più esigenti.
  Il Lariceto si sviluppa generalmenteintorno ai 2000 metri  di altezza; la notevole diffusione dei lariceti anche a quote inferiori dipende  soprattutto dall’opera dell’uomo. Talvolta le discese del Larice sino a 1000  metri di quota possono originare da cause naturali: è quanto avviene nei  valloni laterali della Val Susa, stretti e con esposizione a Nord, dove il  microclima è particolarmente freddo.
  Alle quote inferiori, il Lariceto  può essere inframmezzato da Abeti rossi (Picea  abies) e talvolta da Abeti bianchi (Abies  alba). In questo caso è possibile supporre una tendenza evolutiva verso la  Pecceta o l’Abetina.
IL PINO SILVESTRE
Il Pino silvestre (Pinus sylvestris) è una conifera che  denota un’elevata capacità di adattamento all’ambiente: vive dal fondovalle  fino a 2000 metri di quota, con esigenze molto limitate, riuscendo a  colonizzare i suoli più poveri e a resistere alla siccità, all’intensa  insolazione e alle escursioni termiche più elevate.
  Il Pino silvestre vegeta  solitamente sui versanti aridi esposti a Sud, dove Faggio, Larice e Abete non  sopportano condizioni di siccità e di calore estreme. In Val Susa e Val  Chisone, nei luoghi più caldi sostituisce persino il Larice fino a 2000 metri  di quota.
  Presso il Consorzio Pracatinat,  su un ex territorio militare e in prossimità degli abitati di Puy e Pequerel,  si estende la Pineta più notevole presnte nel Parco. La pendice esposta a Sud  in passato è stata disboscata ed ha subito un forte processo erosivo. il suolo  è giovane e calcareo, ma nonostante le difficili condizioni ambientali il bosco  di Pino si è riformato e vegeta rigoglioso.
  Nel sottobosco della Pineta è  facile trovare l’Uva orsina (Arctostaphylos  uva-ursi) insieme a cespugli di Ginepro (Juniperus communis e Juniperus nana) e di Crespino (Berberis  vulgaris).
RODODENDRO E MIRTILLI
La vegetazione dominata dal Rododendro e dai Mirtilli o rodoreto-vaccinieto,  si estende dal sottobosco delle laricete e delle peccate rade fino alla fascia  degli arbusti contorti, dove assume l’aspetto più tipico.
  Il Rododendro (Rhododendron  ferrugineum) predilige condizioni climatiche moderatamente continentali, non  tollera escursioni termiche estreme e si diffonde dove nel periodo invernale la  neve si accumula in modo da offrire riparo alle sue fronde. Perciò i rodoreti  si trovano generalmente sui versanti esposti a Nord, sempre che il suolo, pur  mantenendosi umido, non risulti eccessivamente impregnato d’acqua.
  Assieme al Rododendro si possono osservare il Mirtillo nero  (Vaccinium myrtillus), il Mirtillo  rosso (Vaccinium vitis-idaea), il  falso Mirtillo (Vaccinium uliginosum)  e l’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi),  tutti appartenenti alla famiglia delle Ericacee. Essi, grazie anche ad una  simbiosi radicale endotrofica con funghi del terreno, non temono la forte  acidità del suolo, al contrario si avvantaggiano di substrati acidi e in fase  di degrado e contribuiscono al loro deterioramento provocando accumulo di  sostanza organica acida.
  Nei suoli estremamente poveri ed acidi delle valli Chisone e  Sangone, a quota non molto elevata è presente un’altra Ericacea: il Brugo (Calluna vulgaris). Assieme ai Mirtilli e  all’Uva ursina, esso è la specie che caratterizza la brughiera alpina, ovvero  un consorzio vegetale dominato da arbusti che si sviluppa in ambienti molto  degradati di bassa quota, più caldi e meno nevosi rispetto a quelli del  rodoreto-vaccinieto.
  Nel rodoreto-vaccinieto tipico, al limite superiore della  vegetazione forestale, accanto alle specie dominanti compaiono localmente altri  arbusti molto caratteristici: il Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), piccolo alberello dalle frone rade,  stagionalmente punteggiate da grappoli di bacche rosse; le Lonicere (Lonicera sp.), che formano densi  cespugli portanti bacche rosse o nere (a seconda della specie) gemellate a due  a due; la Clematide alpina (Clematis alpina), esile liana che produce grandi fiori azzurri. Diverse  specie erbacee si sviluppano sotto la copertura dei cespugli: Festuca flavescens, Poa chaixii,  Calamagrostis varia, Homogine alpina, tipiche del sottobosco di conifere; Juncus trifidus, Carex sempervirens, Luzula  spicata, caratteristiche delle praterie alpine acide. Mentre alle quote  inferiori prevale il comune Mirtillo nero, salendo oltre il limite degli alberi  si diffonde sempre di più il falso Mirtillo, che si distingue dal primo per  avere il frutto più chiaro, con polpa non colorata e poco saporita, che non  tinge di viola le dita e la bocca di chi li assaggia.
L’ONTANETO
L’Ontano verde (Alnus viridis) forma densi boschetti  (Alneti) negli impluvi e sulle pendici dove la falda scorre poco profonda e il  suolo è molto umido. Spesso vi sono zone con affioramento e scorrimento  superficiale di acqua.
  Come per il Rododendro, l’area di  diffusione dell’Ontano può essere messa in relazione a quella del Larice e  dell’Abete rosso; l’Alneto tuttavia non si evolve in bosco ma lo affianca e lo  sostituisce dove l’eccessiva umidità del suolo impedisce lo sviluppo delle  conifere arboree.
  L’Ontano verde si sviluppa su  suoli profondi e ricchi; esso stesso contribuisce notevolmente all’aumento  della fertilità del suolo attraverso un processo di fissazione dell’azoto  atmosferico. Questo ha luogo nelle radici della pianta ove vivono, ospitati in  appositi tubercoli, microorganismi azotofissatori (Attinomiceti) che  mineralizzano l’azoto gassoso e lo cedono alla pianta ospite e all’ambiente  circostante.
  Il  suolo ospita una particolare flora erbacea i  cui componenti vengono spesso indicati col nome di megaforbie o “alte erbe  nitrofile”. Si tratta di specie molto esigenti e di grande taglia che, essendo  in grado di vivere nei terreni impregnati di acqua, non incontrano altro  fattore limitante lo sviluppo se non la luce. Producono dunque fusti e foglie  di grandi dimensioni, piuttosto teneri, che si reggono soprattutto grazie al  turgore dei tessuti ricchi di acqua: un tipico esempio è il Cavolaccio alpino (Adenostyles alliariae). Altre alte erbe  di dimensioni meno vistose sono gli Aconiti (Aconitum napellus, Aconitum vulparia), l’Erba renna (Peucedanum ostruthium), i Romici (Rumex sp.), la Gentiana di Villars (Gentiana villarsi), il Geranio selvatico  (Geranium sylvaticum). Sotto di  queste si sviluppano piante di dimensioni minori quali la Viola biflora, la Saxifrgaga  rotundifolia e l’Hepatica nobilis.
LA FAGGETA
Il Faggio (Fagus  sylvatica) è una latifoglia a foglie caduche che può raggiungere dimensioni  notevoli; la sua corteccia è grigia, liscia e compatta; le foglie sono  ellittiche, con margine crenato e caratteristico aspetto lucido.
  Il Faggio è una pianta esigente, che non sopporta carenze o  eccessi termici, idrici e luminosi; non tollera gli sbalzi di temperatura e  richiede una costante, ma non eccessiva, disponibilità di acqua, nonché terreni  freschi e profondi.
  La Faggeta cresce dove si trovano queste condizioni, di  solito dai 900 ai 1500 metri di quota, scendendo più in basso solo dove il  ristagno della nebbia assicura una sufficiente umidità; ci possono essere  boschi “puri”, cioè composti da soli Faggi, oppure “misto”, ossia inframmezzato  da un numero elevato di altre specie di alberi, specialmente Abete bianco o  Larice.
  All’interno della faggeta si incontrano a volte delle  macchie di piante pioniere come Betulla (Betula  pendula), Pioppo tremolo (Populus  tremula), Nocciolo (Corylus avellana)  e Maggiociondolo (Laburnum alpinum),  che colonizzano le aree disboscate.
  Sul suolo ricoperto da uno spesso strato di humus e da foglie  morte spuntano l’Acetosella (Oxalis  acetosella), l’Hepatica nobilis, i Gerani (Geranium nodosum) e la Lattuga montana (Prenanthes purpurea). Molte erbe del sottobosco hanno una lamina  fogliare tondeggiante o con una superficie pittosto ampia, tenuta parallela  alla superficie del suolo per poter sfruttare al meglio la poca luce solare che  filtra attraverso la fitta chioma dei Faggi.
VALLETTE NIVALI
Camminando in alta montagna è  frequente attraversare aree conformate a conca o zone poste ai piedi di una  pendice, dove la neve si accumula e permane più a lungo che sulle superfici  circostanti: queste aree si definiscono “vallette nivali” anche se in senso  stretto la flora nivale è quella che si sviluppa sui lembi frammentati di  terreno posti oltre il limite delle nevi perenni, dove nei mesi estivi si forma  un fitto tappeto verdeggiante.
  Brevità della stagione vegetativa  e costante freschezza del terreno determinano l’aspetto del manto vegetale, che  si presenta come un tappeto verde scuro molto fitto di erba piuttosto bassa in  cui spiccano fiori dai colori piuttosto vivaci.
  Nelle zone dove la neve ristagna  per oltre 10 mesi all’anno il tappeto erboso è composto quasi esclusivamente da  muschio (Polytrichum sexangulare)  insieme a pochi esemplari di piante superiori; queste ultime diventano via via  più numerose con l’aumentare della durata della stagione favorevole.
  Caratteristiche di questa flora sono la rapidità del ciclo  vitale e l’abbondanza della moltiplicazione vegetativa. Molte specie sono  sempreverdi perché la neve lascia filtrare una luce diffusa sufficiente a  consentire una ridotta attività fotosintetica. Molte piante delle vallette  nivali sono perenni, in modo da non dover dipendere, per la loro sopravvivenza,  dalla produzione e maturazione dei semi, processi che non sempre giungono a  buon fine a causa delle condizioni meteorologiche stagionali.
  In primavera le gemme delle  piante erbacee perenni si attivano quando ancora c’è la neve e si preparano a  germogliare non appena questa si sarà sciolta. La Soldanella (Soldanella alpina) fiorisce  frequentemente prima che il manto nevoso sia completamente scomparso, facendo  emergere lo scapo fiorale con una corolla violetta sfrangiata.
  La disseminazione, seppure  incostante, e la perennità permettono alla flora alpina, insieme  all’abbondantissima moltiplicazione vegetativa, di perpetuarsi nel tempo.  Alcune piante adottano anche un altro sistema: dove il clima è più rigido,  anziché produrre semi esse generano direttamente dei germinelli che, staccatisi  dalla pianta madre, sono immediatamente pronti ad insediarsi nel suolo. Queste  piante vengono dette vivipare  e tra le  più comuni c’è la Poa alpina (Poa alpina),  una graminacea alta una trentina di centimetri, comune in montagna. Le foglie  sono quasi tutte basali, grassette, carenate, con una doppia nervatura mediana  detta “traccia di sci”; l’infiorescenza è una pannocchia con riflessi violacei,  sulla quale si possono formare i germinali verdi. Altra specie vivipara piuttosto  comune è il Polygonum viviparum, alto  una ventina di centimetri, fusto eretto, foglie ellittico-lanceolate, piccoli  fiori bianchi riuniti in spiga terminale.
  Tra le piante che più comunemente  abitano le vallette nivali ci sono i Salici nani. Su substrato siliceo privo di  carbonati è tipico il Salice erbaceo (Salix  erbacea), un vero e proprio albero in miniatura, con fusto orizzontale  sotterraneo e rametti che escono dal terreno e portano foglioline arrotondate,  con lamina intera e membranosa. Dove il terreno è più ricco di carbonati sono  diffuse altre due specie di salice nano, il Salice reticolato (Salix reticulata) e il Salice retuso  (Salix retusa). Entrambi hanno  portamento simile al Salice erbaceo; il reticolato ha foglie un po’ più grandi,  ellittiche e con una tipica reticolatura sulla pagina superiore, mentre quella  inferiore è tomentosa. Le foglie del retuso sono piccole, hanno un breve  picciolo di 3 – 4 millimetri, base cuneata e apice retuso o arrotondato.
Fonte: http://www.parco-orsiera.it/parco/flora/txt/FloraVegetazione.doc
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