Come rimuovere gestire la flora infestante malerba o erba infestante
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Come rimuovere gestire la flora infestante malerba o erba infestante
LA GESTIONE DELLA FLORA INFESTANTE
Il concetto di malerba o erba infestante è relativo e  non assoluto ed infatti vi sono definizioni diverse a riguardo. Secondo la European Weed Research  Society “weed is any plant or vegetation, excluding fungi, interfering with  the objectives or requirements of people”. Una definizione  soddisfacente anche per i botanici può essere la seguente: le piante  infestanti sono “piante adattate ad ambienti antropogeni, dove interferiscono  con le attività, la salute ed i desideri degli uomini”. Un'altra maniera di  definire le malerbe è quella secondo la quale esse sono “piante la cui  utilità non è stata ancora scoperta”. Quest'ultimo modo è abbastanza  razionale se si pensa che la ricerca di nuove piante alimentari si concentra  oggi su specie che si comportano da malerbe in molte parti del mondo e che la  stessa specie può essere considerata malerba in una parte del globo terrestre e  pianta utile in un'altra, come testimoniano gli esempi di Cynodon dactylon (L.) Pers. (malerba, foraggera, pianta tessile) e Avena fatua (malerba, foraggera e un  tempo anche pianta alimentare). Infine una definizione più agronomica è quella  di “pianta che nasce dove non dovrebbe” e soprattutto che è “in grado  di diminuire il potenziale quali-quantitativo delle colture”.
  Delle circa 200.000 specie di piante diffuse nel  mondo, sono considerate responsabili di azioni negative nei confronti delle  colture solo 250; di queste, il 68% circa rientra in 12 famiglie botaniche ed  in particolare poco meno del 40% sono graminacee e composite.
Cause che hanno favorito lo sviluppo e la diffusione delle infestanti
Tra le cause che hanno determinato lo sviluppo e la  diffusione delle malerbe si possono citare:
  a) la diminuzione della mano d'opera occupata in  agricoltura;
  b) l'abbandono della pratica della rotazione colturale  (monosuccessione);
  c) l'uso di particolari macchine per la lavorazione del  terreno (erpici rotanti) e per la raccolta (mietitrebbia);
  d) elevate concimazioni;
  e) l'estensione dell'irrigazione;
  f)  le semine ed i trapianti delle colture a sesti d'impianto più spaziati.
Classificazione delle infestanti
Le piante infestanti possono essere distinte come segue: a) dal punto di vista botanico in base alla classe, in mono e dicotiledoni, ed alla famiglia (Chenopodiacee, Labiatae, Compositae, ecc.); b) secondo la forma della foglia, stretta o larga; c) secondo il tipo biologico in Terofite, Emicriptofite, Geofite, Fanerofite, Nanofanerofite, Epifite, Elofite ed Idrofite); d) secondo il loro habitat in segetali (dei campi coltivati), ruderali (di habitat indisturbati), ambientali (occupano lo spazio lasciato vuoto dalla vegetazione naturale), acquatiche e selvicolturali.
ALCUNI ASPETTI SULL'ECOLOGIA DELLE INFESTANTI
In virtù dei meccanismi biologici e fisiologici da  esse posseduti, le malerbe riescono ad adattarsi a differenti e variabili  situazioni ambientali. Tale capacità di adattamento può specificatamente  esprimersi:
  a) in relazione alla fisiologia, allo sviluppo ed alla  capacità competitiva, mediante:
  -  elevata rapidità di sviluppo nelle prime fasi vegetative;
  -  elevata attività fotosintetica;
  -  rapido sviluppo del sistema radicale;
  -  rapida utilizzazione dei fotosintetati per la produzione  di nuova area fogliare;
  -  breve fase vegetativa e rapido passaggio alla fase riproduttiva;
  -  scarsa suscettibilità a limitazioni ambientali;
  -  elevata capacità di adattamento  alle  modificazioni  ambientali;
  b) in relazione alle caratteristiche riproduttive, mediante:
  -  sistemi di fecondazione che permettono l'ibridazione e l'autoimpollinazione;
  - abbondante produzione di semi;
  c) in relazione alle pratiche colturali, mediante:
  - somiglianza morfologica e fisiologica con le colture;
  - maturazione del seme in coincidenza della raccolta della  coltura;
  - resistenza agli erbicidi chimici;
  - resistenza al controllo meccanico, con rigenerazione da  rizomi o da altri organi di propagazione vegetativi;
  - dormienza e longevità dei semi nel terreno;
  - elevata scalarità di germinazione.
  La conoscenza in particolare dei caratteri e dei meccanismi  di sopravvivenza posseduti dalle malerbe può essere utile al fine di ricercare  razionali soluzioni alle problematiche di diserbo.
EFFETTI DELLE MALERBE SULLE COLTURE
Sia direttamente, soprattutto per fenomeni di  competizione ed in minor misura di allelopatia, che indirettamente, perchè  possono diventare ospiti di insetti e patogeni, ed ostacolare l'esecuzione di  alcune operazioni colturali, le erbe infestanti possono determinare sulle  colture danni di tipo quantitativo e/o qualitativo, diminuendone in ogni caso  la redditività .
  I possibili tipi di danni sono i seguenti:  parassitismo, competizione, allelopatia, avvelenamento dei prodotti,  deprezzamento qualitativo dei prodotti, intralcio operazioni meccaniche,  propagazione e diffusione parassiti animali e vegetali.
Parassitismo
Orobanche crenata e Cuscuta campestris sono due specie fanerogame in grado di parassitizzare colture come fava, pisello e tabacco, la prima e la barbabietola la seconda.
Competizione
La competizione è uno dei tipi di rapporti che si può  instaurare tra due o più piante quando queste concorrono per dei fattori  ambientali a loro utili, presenti in quantità limitata e senz'altro al di sotto  delle loro esigenze totali. Quanto più saranno simili le esigenze degli  individui in concorrenza, tanto più forte sarà la competizione. La competizione  si svolge essenzialmente nei confronti dei fattori ambientali: acqua, luce,  elementi nutritivi, spazio, O2 e CO2. Nelle  condizioni di campo difficilmente l'azione competitiva si realizza per uno solo  dei fattori. Il più delle volte, invece, si determina contemporaneamente per  più fattori dando luogo ad una serie di conseguenze a catena di tipo  causa-effetto-causa come ad esempio succede quando per un incremento nel ritmo  di assorbimento dei nutrienti le piante si sviluppano maggiormente con  conseguente aumento delle loro esigenze idriche unitamente ad una maggior  intercettazione dell'energia luminosa.
  Gli effetti della competizione possono essere  sintetizzati in: a) modifica della germinazione; b) aumento della mortalità  degli individui; c) deformazioni plastiche con riduzioni del tasso di crescita.
a) Competizione per l'acqua
Essa dipende dall'apparato radicale ed in particolare, dalla  sua profondità (Cirsium  arvense   (L.) Scop. arriva  fino a 6 m),  dalla rapidità con cui si sviluppa, dalla sua estensione (l'avena selvatica può  raggiungere una lunghezza totale di 400 m). La competizione per l'acqua  varia anche in funzione  della specie. Lolium perenne L. ed Atriplex spp. sono capaci di germinare anche a bassi livelli di umidità nel terreno, con  potenziali idrici vicino a -15 bar; a parità di   superficie fogliare la Sinapis  arvensis L. traspira 4  volte più del  grano e 5 volte più dell'avena. Nelle tabelle 11 e 12 sono riportati dati  relativi rispettivamente alla germinabilità del Solanum nigrum, in funzione di differenti stress osmotici ed ai  coefficienti di traspirazione di alcune infestanti.
  Le infestanti riducono le riserve di umidità del suolo  ed aumentano la possibilità di stress da siccità. Nel mais, stress idrici che  dovessero verificarsi anche per uno o due giorni durante i periodi critici  dello sviluppo, possono ridurre le rese di granella di oltre il 20%. Sempre sul  mais, la quantità d'acqua traspirata dalle malerbe per produrre 500 Kg ha   di sostanza secca si avvicina alla perdita  media per traspirazione causata dal mais in dieci giorni.
b) Competizione per la luce
A differenza dell'acqua e degli elementi nutritivi, la luce è un fattore non cumulabile per cui ogni qualvolta essa non è sfruttata immediatamente, è perduta per sempre. La competizione per la luce ha influenza oltre che sul tasso di crescita delle piante, anche sulla loro altezza; dove la presenza di infestanti è cospicua, la pianta coltivata può presentarsi eziolata e con culmi, come nel caso dei cereali che, diventando di diametro minore sono più suscettibili all'allettamento. Va ricordato, inoltre, che anche nell'ambito delle malerbe vi sono delle specie con una maggiore efficienza fotosintetica.
c) Competizione per gli elementi nutritivi
Riguardo agli elementi nutritivi le malerbe sono capaci di  accumularne notevoli quantità.
  La capacità   delle  infestanti di sottrarre  elementi nutritivi è senz'altro funzione   della specie. 
  Le radici delle infestanti monocotiledoni sono in  grado di assorbire con più facilità i cationi monovalenti, mentre quelle delle  dicotiledoni i bivalenti. La presenza di determinati elementi o il loro apporto  con la concimazione, può aumentare la competizione esercitata dalle malerbe.
Allelopatia
Con il termine allelopatia, ci si riferisce ai fenomeni di inibizione dello sviluppo manifestati da una specie (ricevente), per effetto dell'emissione o della liberazione di sostanze organiche tossiche (allelopatiche) da parte di una pianta (donatrice) situata nelle sue vicinanze o vissuta in precessione. Qualora le sostanze allelopatiche sono prodotte da organi viventi (radici, foglie e fusti), sono denominate fitoinibitine, se invece derivano dal disfacimento di strutture morte (radici, foglie, fusti, semi, frutti), sono chiamate saproinibitine.
Infestanti ospiti di parassiti e patogeni
La flora spontanea costituisce uno dei più importanti mezzi di diffusione e sopravvivenza di parassiti e patogeni delle piante coltivate. Sono state elencate 445 specie di avventizie in grado di ospitare organismi nocivi per le colture; tale osservazione ha trovato ulteriori conferme in studi condotti per i nematodi, per i virus e per le malattie fungine.
Ostacolo delle operazioni colturali
La presenza delle malerbe sulle colture al momento della raccolta può determinare rallentamenti operativi delle macchine, ed inoltre perdite ed inquinamento del raccolto.
Danni dovuti alle erbe infestanti
I danni possono essere diretti e/o indiretti.
Danni quantitativi
I danni sono variabili a seconda delle specie infestanti e della loro densità e di quella della specie utile.
Danni indiretti
I danni indiretti possono estrinsecarsi in:
  a) una diffusione dei parassiti;
  b) un aumento di lavoro per l’uomo;
  c) un pericolo per la salute dell’uomo e/o degli animali;
  d) un impedimento all’uso delle macchine agricole;
  e) un aumento dello stock di semi di malerbe nel terreno e  quindi una maggiore nocività diretta differita nel tempo;
  f) una diminuzione della qualità del raccolto.
  Esempi di danni qualitativi sono la diminuzione del  peso ettolitrico delle cariossidi di frumento, l'aumento del contenuto di acido  erucico nell'olio di colza se tra i suoi semi erano presenti anche quelli della  senape selvatica.
  La presenza di erbe infestanti può determinare una  diminuzione di qualità anche nei prodotti destinati all'alimentazione del  bestiame. Prati e pascoli infestati da malerbe del genere Allium  forniscono alimenti  (latte, formaggio e carne) con sapore agliaceo sgradevole. 
  Il  problema, anche in ragione degli alti costi di esecuzione delle operazioni di  controllo, è molto sentito, in modo particolare nelle colture caratterizzate da  un lento accrescimento, da una taglia ridotta e da densità di piante che  lasciano molto spazio tra le file. Quest’ultimo, è un caso molto diffuso tra le  colture erbacee condotte in maniera biologica, per le quali occorre prevedere  densità di piante meno fitte ed in ogni modo tali da rispettare le naturali  potenzialità del terreno in termini soprattutto di risorse idriche e  nutrizionali.
  il  controllo delle erbe infestanti 
Le considerazioni fin qui fatte non devono spingere,  tuttavia, a voler eliminare a tutti i costi e completamente la flora avventizia  dal campo.
  La presenza,  sia pur controllata, delle infestanti può risultare utile in molti casi in  quanto esse possono contribuire, direttamente o indirettamente, a conseguire il  fine principale al quale deve mirare l’agricoltore e cioè la creazione di un  agro-ecosistema aziendale che sia il più possibile stabile e complesso. 
Infatti, è possibile affermare che:
- le infestanti poco temibili, comunque esercitano una certa concorrenza verso le specie di difficile controllo eventualmente presenti
- distolgono alcuni parassiti della pianta coltivata
- consentono l'insediamento degli insetti utili
- proteggono il terreno diminuendo i fenomeni erosivi e il dilavamento degli elementi minerali più solubili
Obiettivi e principi di controllo
Per quanto detto in precedenza, appare chiaro che gli interventi di controllo andrebbero eseguiti soltanto:
- nei confronti delle specie più competitive cioè quelle ritenute in grado di esercitare una rilevante concorrenza sulla coltura in atto e/o in quelle previste nella rotazione.
- nel periodo in cui tale concorrenza si realizza e causa il maggior danno quantitativo e qualitativo. In particolare, si possono isolare due lassi di tempo, all'inizio e nelle fasi finali della coltivazione, durante i quali la presenza delle infestanti non incide negativamente, mentre all'interno di tali periodi, e cioè in quello che viene definito "periodo critico della competizione", ènecessario controllare le infestanti. Secondo le colture questo periodo può essere più o meno lungo. Per esempio, nella lattuga e negli altri ortaggi a foglia, nella cipolla, nell’aglio e in tutte quelle colture che non riescono a ricoprire perfettamente il campo anche nelle interfila, il periodo critico della competizione è abbastanza lungo; nel caso, invece, dello zucchino, della melanzana, del pomodoro e di altre colture a crescita veloce e a chioma piuttosto ampia, il periodo di massima sensibilità alle infestanti è piuttosto breve.
Una particolare attenzione, inoltre, va riposta nei confronti delle specie che possono ospitare alcuni temibili virus e batteri e che, pertanto, possono diventare veicolo di infezione in campo.
Il periodo critico della competizione
Rappresenta il  periodo nel quale per la coltura è massima la sensibilità alla presenza delle  infestanti e cioè quello in cui si rileva il danno maggiore.
  Infatti, ogni  specie coltivata non mostra una sensibilità sempre uguale alla presenza della  flora spontanea ma ci sono dei periodi in cui questa arreca alla coltura danni  assolutamente accettabili, a fronte di interventi colturali costosi e  altrimenti dannosi al terreno.
  La durata di  questo periodo e la sua collocazione nel ciclo colturale dipendono da una serie  di caratteristiche della pianta quali la velocità di accrescimento, la taglia,  l’ampiezza dell’apparato radicale, eccetera.
  Per la  definizione del periodo critico, è necessario individuare i due parametri che  lo caratterizzano, che sono la DCT (durata della competizione tollerata) ed il  PRAM (periodo richiesto di assenza dalle malerbe). La DCT si definisce come il  periodo massimo di permanenza delle infestanti che può essere sopportato dalla  coltura senza che essa subisca danni produttivi; il PRAM, invece, è  quell'intervallo di tempo durante il quale la coltura deve rimanere priva di  competizione per evitare che la resa finale venga compromessa dall'infestazione  (fig. 1).
  La conoscenza di  questi due parametri può servire per stimare una soglia di durata della  competizione, definibile come “periodo critico della competizione” (PC), che è  l'intervallo di tempo compreso tra la fine della DCT e del PRAM; se in questo  lasso di tempo la coltura viene mantenuta sgombra dalle malerbe, la resa non ne  risente. La dannosità delle malerbe è, infatti, spesso limitata a periodi la  cui lunghezza varia in funzione della specie coltivata e dell’ambiente.
  Ai fini pratici  la conoscenza del PC serve per effettuare una lotta di tipo mirato, poiché  consente di programmare in modo più razionale il momento dell'intervento e, nel  caso dell'utilizzo degli erbicidi, di scegliere il principio attivo con una  persistenza adeguata alle esigenze della coltura. Nelle figura 1 è riportato un  esempio relativamente alle coltura della bietola.
  
  Figura  1 - Periodo critico della competizione nella coltura della barbabietola da  zucchero.
Tecniche di controllo
  Le tecniche che permettono di  limitare lo sviluppo della flora spontanea nelle colture possono essere divise  in:
- preventive quando aumentano la naturale predisposizione della coltura ad essere competitiva nei confronti delle infestanti
- dirette se agiscono in maniera diretta sullo sviluppo delle infestanti
Tecniche  preventive
  Sono rappresentate da tutte  quelle pratiche che permettono alla coltura di insediarsi e ricoprire il campo  in modo uniforme, nel più breve tempo possibile e con la massima capacità di  estrinsecare la competizione con le infestanti.
  In particolare,  una razionale tecnica d’impianto della coltura, può contribuire in modo  importante a limitare l’infestazione che può svilupparsi nel campo. Tra i  fattori da tenere in considerazione, quelli principali sono: 
- l’epoca
- la modalità di semina o di trapianto e la scelta delle cultivar
- le rotazioni
- le lavorazioni del terreno
- l'irrigazione
Tecniche  dirette
  Sono  rappresentate da tutte quelle tecniche che agiscono in maniera diretta sullo  sviluppo della flora infestante come: 
- falsa semina
- interventi meccanici
- diserbo termico
- pacciamatura
- solarizzazione
- controllo biologico
Epoca di impianto
L’epoca di impianto della  coltura può influire positivamente sulla riduzione dell’infestazione e/o sul  livello di competitività di quest'ultima. Infatti, l’impiantare la coltura in  un’epoca ottimale, nella quale le condizioni climatiche sono tali da garantire  un veloce e vigoroso accrescimento delle piante consente alla coltura stessa di  essere molto competitiva nei confronti delle infestanti. 
  Inoltre,  posticipando leggermente l’epoca di impianto, in molti casi è possibile  abbassare l’infestazione potenziale presente nel terreno, praticando la  "falsa semina".
Modalità di impianto
Quando possibile  è preferibile trapiantare la coltura piuttosto che seminarla; tale pratica  consente, infatti, di ottenere piante molto avanti nello stadio vegetativo e  che quindi riescono velocemente a "chiudere" il campo. Inoltre, nelle  colture primaverili-estive, il trapianto si effettua più tardi rispetto alla  semina; questo consente di sfruttare maggiormente gli effetti positivi  dell’anticipazione della preparazione del letto di impianto.
  Anche  la semina comunque può avere degli effetti positivi sul controllo delle  infestanti; infatti, seminando ad una profondità adeguata, la piantina emergerà  e si accrescerà velocemente superando più agevolmente la competizione delle  infestanti che, al momento dell’emergenza, è sempre molto forte. Inoltre, se si  utilizzano strumenti meccanici per il controllo diretto dell’infestazione  (sarchiature, spazzolature, erpicature, eccetera), è bene seminare ad una  profondità che assicuri alle piantine un buon ancoraggio al terreno. 
  Tra le diverse  modalità, la densità di impianto è quella che maggiormente condiziona lo  sviluppo delle infestanti. In generale, al fine di rendere la coltura molto  competitiva nei confronti delle infestanti, occorrerebbe scegliere densità di  impianto abbastanza fitte tra quelle compatibili. Tale scelta va tuttavia  condotta, soprattutto in agricoltura biologica, in stretta osservanza delle  altre esigenze agronomiche e fitosanitarie che, il più delle volte,  sconsigliano impianti molto fitti.
  La disposizione  delle piante sul terreno influenza la loro capacità competitiva verso le  infestanti; a tal proposito, con una disposizione che si avvicina il più  possibile al quadrato, le foglie della coltura risultano più esposte alla luce  e quindi ne viene migliorata la loro efficienza fotosintetica; allo stesso  tempo, tale disposizione, lascia meno luce e meno spazio allo sviluppo delle  infestanti.
  Ai fini,  inoltre, di rendere più agevole l’utilizzo di alcuni particolari erpici e di  agevolare il lavoro di rincalzatura, è opportuno distanziare le file.
Scelta delle cultivar
Nella  scelta delle cultivar, sonno da preferire quelle più competitive nei confronti  delle infestanti ed in grado di "chiudere" velocemente il campo.
  Questo,  nella maggior parte dei casi, è ottenibile preferendo cultivar idonee alla  crescita nei nostri ambienti e che quindi superano velocemente la fase critica  di adattamento in campo e di sviluppo.
  Inoltre, in caso  di semina, è indispensabile accertarsi della purezza del seme al fine di non  portare già artificialmente specie infestanti in campo.
  Rotazioni e controllo delle infestanti
L’avvicendamento  colturale consiste nell’alternanza nel tempo di colture diverse in uno stesso  appezzamento. Tale pratica rappresenta uno degli accorgimenti principali da  mettere in atto in agricoltura biologica, al fine di evitare l’instaurarsi di  un’abbondante infestazione che, oltre ad essere dannosa nei confronti della  coltura, sarebbe di difficile e costoso controllo con i mezzi di cui  normalmente si dispone.
  L’importanza  quindi dell’avvicendamento per il controllo delle infestanti risiede  soprattutto nel fatto che esso rappresenta una tecnica preventiva che,  correttamente associata ad altre pratiche, consente di mantenere un campo ben  equilibrato anche sotto il profilo malerbologico.
  La  tecnica comporta i seguenti vantaggi:
- l’instaurarsi di un’associazione floristica composta da numerose specie che, singolarmente, risultano essere presenti con bassa frequenza
Un’associazione floristica ricca, contribuisce a rendere "complesso" l’agroecosistema anche dal punto di vista botanico e quindi a mantenere equilibrata la flora infestante sul piano quali-quantitativo. La conseguenza di questo fenomeno è evitare l’aumento incontrollato di specie infestanti più competitive; nell’ambito di queste ultime sono da annoverare le specie ruderali, quelle non ancora presenti nel campo, o quelle esotiche, cioè provenienti da altri ambienti. Tra le infestanti, così come tra gli insetti, si stabilisce una competizione che, in un agro-ecosistema in equilibrio, porta a frenare lo sviluppo incontrollato e dannoso di una o poche specie.
- la diminuzione dell'infestazione potenziale e cioè il contenimento della quantità di propaguli (semi ed altri organi riproduttivi quali bulbi, bulbetti, eccetera) presenti nel terreno
La monosuccessione permette la  selezione di tutte quelle specie che hanno lo stesso ciclo vitale della coltura;  questo comporta il fatto che, dette infestanti, riescono sempre a disseminare  prima che avvenga la raccolta del prodotto. Con le rotazioni colturali, invece,  è possibile inserire colture che hanno ciclo vegetativo diverso tra loro e che  quindi esercitano un’azione di selezione molto ridotta. Il vantaggio sarà  maggiore qualora, a fine coltura, vengano allontanate dal campo quelle specie  infestanti di più difficile controllo al fine di impedire che esse possano  disseminare.
  Un buon controllo delle infestanti  nella coltura precedente comporta un terreno poco infestato da semi; ciò  consente di far seguire, nella rotazione, una coltura con un apparato radicale  non molto profondo, come il cavolfiore, e di effettuare arature superficiali  che, quindi, non riportano in superficie semi dormienti.
- la possibilità di inserire nella rotazione colture "rinettanti"
Le colture rinettanti sono specie che, a fine ciclo colturale,  lasciano il campo meno infestato. Tale caratteristica deriva o da una loro  proprietà intrinseca o da particolari pratiche agronomiche alle quali sono  sottoposte. Tra le prime si segnalano le colture che hanno crescita veloce,  taglia elevata ed investimento unitario abbastanza fitto; tra le seconde,  invece, si ricordano soprattutto quelle sarchiate, quali la bietola da costa o  quelle che, come la patata, sono sottoposte alla rincalzatura, pratica che  consente un certo abbattimento dell’infestazione in atto (flora reale) e di  quella potenziale (seed bank).
  Tra  le colture in grado di abbattere l’infestazione presente sul campo si segnalano  soprattutto le foraggere. Inserendo tali colture nella rotazione è possibile  avvantaggiarsi della tecnica dello sfalcio che, eliminando le infestanti prima  che queste vadano a seme, permette di contenere in maniera importante  l’infestazione che si esprime nella coltura successiva.
  Nei  nostri ambienti si consigliano specie che hanno una facile adattabilità ai  climi siccitosi, quali il Trifolium  incarnatum ed il Trifolium  subterraneum; tali specie, oltre ad avere buone capacità rinettanti,  fissano anche una certa quantità di azoto al terreno. Buoni risultati sono  stati ottenuti seminando in autunno la veccia vellutata (Vicia villosa) e falciandola prima di impiantare la coltura del  pomodoro. Questa tecnica ha permesso di arricchire il terreno di azoto, di  trattenere le perdite di elementi nutritivi per lisciviazione durante l’inverno  e, una volta effettuato lo sfalcio, di avere una pacciamatura naturale.
  Le colture rinettanti, infine, sono consigliate nel caso in  cui nel campo si sia instaurata un’infestazione tale da poter essere  difficilmente controllata in colture scarsamente competitive nei confronti  delle infestanti o non sottoposte a pratiche agronomiche particolarmente  efficaci contro di queste.
- l’ottenimento di una coltura più competitiva nei confronti delle infestanti
L’avvicendamento, come è noto, limita la diffusione di alcune fitopatie causate soprattutto da funghi e nematodi; questo rende indirettamente le piante più sane e vigorose e quindi dotate di maggiore capacità competitiva. Non essendoci inoltre fallanze, il campo è più uniformemente ricoperto e quindi toglie spazio allo sviluppo delle infestanti.
Lavorazioni del terreno
Le lavorazioni del terreno  possono essere attuate secondo diverse modalità e intensità di esecuzione.
  Ognuna di queste  tecniche è in grado di esercitare una diversa influenza sullo sviluppo delle  infestanti, sia diretta che indiretta.
Aratura e aratura-ripuntatura
  Risultano  particolarmente efficaci nei riguardi delle infestanti perenni, le quali sono  caratterizzate dalla presenza di organi di propagazione sotterranei (rizomi,  stoloni, tuberi eccetera) che sono portati in superficie ed esposti all’azione  devitalizzante degli agenti atmosferici. In tal senso, assumono particolare  efficacia le lavorazioni effettuate prima delle gelate o dei periodi caldi e  asciutti e non seguite da alcuna operazione di affinamento del terreno.
  Sempre per il controllo delle  specie perenni difficili (cipero, acetosella eccetera), dopo aver effettuato  l’aratura, è possibile effettuare operazioni complementari quali l’estirpatura  o l’erpicatura che, se eseguite ad intervalli ravvicinati di 15-20 giorni,  stimolano la continua emissione di germogli e il conseguente esaurimento delle  sostanze di riserva presenti negli organi sotterranei di queste piante. 
Minima lavorazione
  Le lavorazioni  superficiali (10-20 cm) effettuate con erpici ad elementi flessibili, erpici a  dischi e frese, esercitano un’evidente influenza sia sulla banca dei semi  presenti nel terreno e sia sulle infestanti già emerse.
  Con questo tipo  di lavorazione, i semi delle infestanti tendono ad accumularsi tutti negli  orizzonti più superficiali; questo fenomeno, da un lato potrebbe rendere più  facile la germinazione ad un maggior numero di semi, mentre dall’altro, per lo  stesso motivo, può rendere più efficace la "falsa semina".
  L’azione sulle  piante già emerse varia notevolmente in funzione del tipo di infestante ed  attrezzatura utilizzata.
  Ai fini di un  ottimale controllo della vegetazione spontanea, è preferibile l’utilizzo di  erpici a denti flessibili; questi, infatti, determinano lo sradicamento e  quindi la distruzione delle infestanti annuali, e, con interventi ripetuti, si  ottiene un buon controllo anche della flora perenne.
Lavorazione al buio
  Si tratta di una  tecnica non ancora attuabile nella pratica basata sul concetto che la dormienza  di alcuni semi viene interrotta da un impulso luminoso. Effettuando, quindi, le  lavorazioni al buio o utilizzando apparecchiature appositamente schermate, si limita  la germinazione delle plantule.
Irrigazione
La pratica dell’irrigazione ha di norma l’effetto di aumentare l’infestazione presente in un terreno. Questo accade per tre motivi:
- azione stimolante dell’acqua nei confronti della germinazione dei semi
- maggior sviluppo e produttività di semi da parte delle infestanti
- trasporto diretto dei semi attraverso le acque di irrigazione
Le specie  spontanee hanno esigenze idriche molto ridotte rispetto alla pianta coltivata. 
  L’irrigazione è  pertanto una pratica che, anche per quanto riguarda la gestione della flora  spontanea, deve essere utilizzata in maniera molto razionale se non si vuole  che agisca negativamente sull’equilibrio del campo. 
  La tabella 1 che segue mostra,  per alcune infestanti, la quantità di acqua che deve essere consumata per  produrre un chilogrammo di sostanza secca. Confrontando questi dati con quelli  relativi alla quantità di acqua richiesta, per esempio, da alcune specie  orticole (tab. 2), si vede come a parità di disponibilità idriche, la flora  spontanea sia di gran lunga avvantaggiata rispetto alla coltura.
Tabella 1. Quantità di acqua consumata da alcune specie infestanti
| Specie infestanti | Acqua (l / Kg di sostanza secca) | 
| Panicum miliaceum | 267 | 
| Sorghum spp. | 304 | 
| Setaria italica | 285 | 
| Amaranthus graecizans | 260 | 
| Amaranthus retroflexus | 305 | 
| Portulaca oleracea | 281 | 
| Avena spp. | 583 | 
| Chenopodium album | 658 | 
| Polygonum aviculare | 678 | 
Tabella 2.Quantità di acqua consumata da alcune orticole
| Specie orticole | Acqua (l/kg di sostanza secca) | 
| patata | 575 | 
| cavolo cappuccio | 518 | 
| anguria | 577 | 
| cetriolo | 686 | 
| fagiolo | 700 | 
| peperone | 865 | 
| pomodoro | 645 | 
A tal fine bisogna:
- adottare tutte quelle pratiche agronomiche che permettono di ridurre al minimo gli apporti idrici (pacciamatura, sarchiature superficiali, riduzione della densità di impianto eccetera);
- installare, a monte dell’impianto irriguo, dei filtri che blocchino eventuali semi di infestanti;
- utilizzare il più possibile impianti localizzati che, umettando solo la parte di terreno esplorata dalle radici della pianta coltivata, lasciano comunque secca la restante parte di terreno. Oltre a limitare lo sviluppo delle infestanti nelle zone non umettate, tale sistema ottimizza anche la crescita della coltura che riesce così a "chiudere" il campo più velocemente.
Il metodo irriguo più idoneo a  limitare al massimo lo sviluppo delle infestanti è quello localizzato a  microportata di erogazione. Con tale sistema di distribuzione dell’acqua viene  bagnata solo la fila sulla quale è presente la coltura, mentre l’interfila  rimane asciutta e, quindi, libera da infestanti i cui semi non riescono a  germinare.
  L’associazione  della pacciamatura sulla fila al metodo irriguo a microportata di erogazione,  consente, nelle colture dove è possibile usare le due tecniche insieme, di  controllare in maniera ottimale lo sviluppo della flora avventizia.
Falsa semina
Nell’effettuare la falsa semina, occorre adottare tutte quelle tecniche che consentono di stimolare la germinazione di un alto numero di semi e quindi la successiva eliminazione delle plantule prima che venga impiantata la coltura; tali tecniche prevedono:
- una lavorazione accurata del terreno, eseguita ad una profondità tale che, compatibilmente con le altre esigenze agronomiche, permetta di portare in superficie un congruo numero di semi
- l’umettamento del terreno, al fine di stimolare l’emergenza anche con l’acqua
- l’eliminazione delle infestanti emerse quando queste sono ancora piccole; tale operazione, in particolare, deve essere fatta con un’erpicatura molto superficiale oppure con il pirodiserbo, tecniche che evitano entrambe di portare altro seme in superficie
Riguardo ai periodi nei quali la falsa semina risulta più efficace si segnala che per le colture ad impianto autunnale, prima si prepara il letto d’impianto, maggiore è il numero di infestanti che emergono, in quanto da ottobre in poi le condizioni diventano sempre più sfavorevoli alla germinazione dei semi. Per le colture a ciclo primaverile estivo, invece, la falsa semina andrebbe fatta soprattutto su colture trapiantate piuttosto che seminate; infatti, il trapianto può avvenire più tardi rispetto alla semina e questo consente di tenere il campo "a sfogare" per più tempo.
Interventi meccanici
Gli interventi meccanici che è possibile mettere in atto per il controllo delle infestanti, sono:
Erpicatura
  È un'operazione che permette in  molti casi un soddisfacente controllo della flora avventizia o almeno riesce a  rallentarne lo sviluppo.
  L’efficacia maggiore  dell’erpicatura si rivela nei confronti di plantule di infestanti dicotiledoni  annuali; l’efficacia nei confronti di queste specie diminuisce dallo stadio  delle sei foglie vere in poi.
  Le variabili in grado di  condizionare l’efficacia dell’intervento, riguardano soprattutto il terreno  (tessitura, umidità e struttura degli strati superficiali), il tipo di macchina  (caratteristiche degli organi lavoranti, velocità di avanzamento), le  infestanti da controllare (specie e stadio) e la coltura.
Rincalzatura
  È una pratica  frequente in orticoltura che consiste nell’addossare un certo quantitativo di  terreno al pedale delle piante, ricorrendo solitamente a degli aratri  assolcatori. Per le patate, ed in particolar modo per le varietà che  tuberificano in superficie, questa operazione assolve compiti molto importanti  come l’evitare l’inverdimento dei tuberi, gli attacchi peronosporici e quelli  di alcuni insetti quali la Phythorimaea  operculella (tignola della patata). Per altre colture orticole, quali il  cardo, il finocchio, il sedano, il radicchio ecc., la rincalzatura è importante  per raggiungere l’imbianchimento del prodotto da commerciare.
  La rincalzatura  assolve anche il compito di eliminare l’infestazione presente nelle interfila  della coltura e, spesso, rende inutile l’esecuzione della sarchiatura ottenendo  così il risultato di diminuire il numero di passaggi e di operazioni sul  terreno. In ogni caso, i risultati migliori si ottengono abbinando le due  tecniche.
Sarchiatura
  Rispetto all’erpicatura, la  sarchiatura ha un’azione più completa nei confronti della flora spontanea,  poiché:
- si possono utilizzare anche organi lavoranti in grado di colpire gli apparati radicali delle infestanti
- si può intervenire a stadi di sviluppo delle infestanti più avanzati
- è una operazione efficace nei confronti di un numero più ampio di specie, comprese le graminacee e alcune perennanti
- si ottengono vantaggi agronomici accessori quali la riduzione dell’evaporazione di acqua dal terreno
Spazzolatura
  Le infestanti vengono estirpate  per mezzo di spazzole mosse dalla presa di potenza di una trattrice e rotanti  attorno ad una asse verticale o orizzontale.
  Diversamente da  quanto accade per la sarchiatura o l’erpicatura, solo una parte molto  superficiale del terreno è smossa e quindi non si corre il rischio di stimolare  la germinazione di altre infestanti.
  Quest’operazione,  per essere efficace deve essere effettuata su infestanti ai primi stadi di  sviluppo e la velocità di avanzamento non deve essere molto elevata in quanto  si causerebbe un’eccessiva polverizzazione del suolo.
  Le spazzolatrici  ad asse orizzontale sono in grado di operare solo nelle interfile, mentre  quelle ad asse verticale possono controllare la vegetazione spontanea anche  sulla fila.
  I lati negativi  di questa tecnica, sono la scarsa capacità lavorativa delle macchine  attualmente in commercio e il grado di controllo che sicuramente è inferiore di  quello ottenibile con la sarchiatura.
Sfalcio
  Lo sfalcio della flora  infestante è applicabile solo nelle colture erbacee poliennali quali il  carciofo e l’asparago e nelle colture arboree. In queste colture tale  intervento può essere attuato nelleinterfile per impedire soprattutto la  disseminazione delle specie presenti e contenere la vegetazione delle specie  perennanti.
  Diserbo  termico
Consiste nel danneggiare le erbe infestanti esponendole all’azione di alte temperature prodotte dal fuoco o da raggi infrarossi (pirodiserbo), di basse temperature (criodiserbo), di onde elettromagnetiche a bassa frequenza (microonde), di scariche elettriche.
Pirodiserbo
  Consiste nella  devitalizzazione delle piante infestanti, mediante l’azione diretta (fiamma  fuoriuscita da uno o più bruciatori) o indiretta del fuoco (raggi infrarossi  prodotti dal surriscaldamento di un elemento irradiante).
Criodiserbo
È una tecnica molto recente che consiste nel devitalizzare le infestanti impiegando le basse temperature. In seguito alla formazione di cristalli di ghiaccio nel protoplasma si verifica la distruzione delle cellule Gli abbassamenti termici possono arrivare fino a -196 °C, attraverso l’impiego di azoto liquido.
Onde elettromagnetiche a bassa frequenza
È  una tecnica ancora in fase di messa a punto e  che utilizza l’emissione di microonde per provocare la disorganizzazione delle  cellule delle piante infestanti. La macchina in grado di realizzare questo  lavoro è munita di un telaio semovente che porta generatori elettrici e alcuni  diffusori di onde.
  Lo strato di  terreno interessato dal trattamento è abbastanza limitato; pertanto, tale  tecnica ha una scarsa efficacia nei confronti delle infestanti in grado di  riprodursi anche per bulbi e rizomi.
Scariche elettriche
Consentono di devitalizzare le infestanti che vengono a contatto con elettrodi attraversati da un’alta tensione.
Pirodiserbo
È una tecnica di  difesa dalle infestanti che ne prevede il contenimento o la distruzione  mediante l’azione diretta o indiretta del fuoco. 
  Il meccanismo di  azione sul quale si basa la tecnica è quello della lessatura dei tessuti delle  infestanti.  Infatti, il tempo di azione  del calore durante il trattamento è così breve da non permettere la bruciatura  vera e propria del materiale.  L'effetto  immediato del calore sulle piantine è quello di far espandere velocemente il  contenuto delle cellule (ebollizione del liquido) provocando un aumento della  pressione dei contenuti cellulari e la conseguente rottura della membrana  esterna. 
  Il pirodiserbo  non brucia l'infestante anzi, subito dopo il passaggio con il calore, le piante  colpite non rendono visibile il risultato del trattamento.  Bisogna, infatti, attendere alcune ore per  osservare i primi effetti e almeno due giorni per giudicare appieno l'efficacia  o meno del pirodiserbo.
  Il vantaggio più  importante del pirodiserbo è di non lasciare alcun residuonel terreno, nelle falde acquifere e sulla vegetazione. Il Gpl  (combustibile più utilizzato attualmente), bruciando, forma acqua e anidride  carbonica.  Il riscaldamento degli strati  superficiali del terreno, determinato dal rapido passaggio dei bruciatori, in  genere non supera i 50-60 °C, una temperatura facilmente riscontrabile nelle  ore più calde della stagione estiva. Pertanto, è trascurabile la quota di  sostanza organica che è distrutta così come sono trascurabili i danni che si  possono registrare a carico della microflora e microfauna utile del terreno. A  proposito dell’impatto del pirodiserbo sulla microflora, tale pratica pare  avere un certo effetto anche contro la peronospora limitando il pericolo di  infestazioni future.
Efficacia erbicida
Per verificare,  l'efficacia del trattamento sulle infestanti è possibile fare una prova  pratica. Qualora premendo una foglia trattata tra pollice e indice si ottiene  un’ammaccatura verde scuro persistente, significa che c'è stata una sufficiente distruzione cellulare. Questa prova può  così aiutare a effettuare eventuali regolazioni riguardola velocità dilavoro,  la pressione del gas, la posizione e la distanza dei bruciatori dal terrenoe dalle piante.
  Il pirodiserbo  ha un’efficacia diversa secondo la specie infestante ed il suo stadio di  sviluppo.
  In generale, la  sensibilità massima al pirodiserbo si ottiene quando le infestanti sono ad uno  stadio vegetativo non avanzato, all’incirca tra la seconda e la terza foglia  vera. L’effetto è migliorato da giornate calde e asciutte, leggermente  ventilate, in cui il terreno sì presenta secco e con piante non umide (ad  esempioper effetto della rugiada).  Le specie più sensibili sono le dicotiledoni piuttosto che le monocotiledoni e  le specie perenni. Queste ultime non sono danneggiate da un singolo  trattamento.  In tal caso conviene eventualmente  intervenire più volte con passaggi rapidi, piuttosto che una volta sola in modo  molto lento.
Epoche di intervento
Il pirodiserbo può essere effettuato, a tutto campo o localizzato (sulla fila o nell’interfila), sia in «pre» (semina, emergenza o trapianto) che in «post» (emergenza o trapianto).
Interventi di "pre"
  È l’epoca di  intervento più  praticata nelle aziende  biologiche. 
  Se eseguito  prima dell’impianto della coltura possono servire anche nel caso sia stata  adottata la falsa semina. 
  In pre-emergenza  è particolarmente adatto per le colture con un tempo di germinazione molto  lungo. 
  Nel caso di  localizzazione, i1 trattamento può essere fatto sia sulla fila per una  larghezza di circa 10-15 cm, che nell’interfilare. 
Interventi di "post"
  Generalmente è  praticabile solo in modo localizzato nelle interfile della coltura.
  Per pochissime  specie colturali, quali carota e cipolla, e limitatamente ai primissimi stadi  fenologici, l’intervento può essere effettuato anche sulla fila di semina. 
Sensibilità al calore di alcune infestanti
Sensibili solo in fase di dicotiledoni emersi
Polygonum aviculare L.
  Lamium purpureum L.
  Brassica rapa L. var.  L. var. sylvestris
  Sinapis arvensis L.
  Viola arvensis Murray
Sensibili dalla fase dicotiledonale fino a due foglie vere
Matricaria discoidea DC.
  Chrysanthemum segetum L.
  Polygonum lapathipholium L.
  Polygonum persicaria L.
Capsella bursa-parsoris (L.) Medicus
Solanum nigrum L.
  Senecio vulgaris L.
Sensibili dalla fase dicotiledonale fino a quattro foglie vere
Tripleurospermum inodorum (L.) C.H. Schltz
Sensibili dopo lo stadio di quattro foglie  vere
  Chenopodium album L.
  Stellaria media (L.) Vill.
  Galium aparine L.
  Urtica urens L.
  Fumaria officinalis L.
  Geranium spp.
  Erodium cicutarum (L.) L’Her.
Tolleranti per la capacità di ricaccio
Agropyron repens (L.) Beauv.
  Urtica dioica L.
  Poa annua L.
  Aegopopodium  podagraria L.
  Cirsium arvense (L.) Scop.
  Myosotis arvensis (L.) Hill.
Pacciamatura
Associata  anche alla sarchiatura tra le file, la pacciamatura costituisce un ottimo  metodo di controllo della flora spontanea. In questo caso, si ricorre o a  residui vegetali secchi (residui colturali o di piante spontanee) oppure a film  sintetici neri. Tali materiali consentono, infatti, di non far passare la luce,  fattore indispensabile allo sviluppo delle infestanti. È stato, infatti,  verificato che con l’utilizzo di film trasparenti, si ha un notevole aumento  della presenza di piante spontanee soprattutto macroterme (Amaranthus retroflexus, Chenopodium  album, Cynodon dactylon, Setaria viridis, eccetera). Con i film  neri possono essere controllate quasi tutte le specie, ad eccezione di Cynodon dactylon che, peraltro, presenta  un limitatissimo accrescimento, Cyperus  spp., Equisetum arvense e Phragmites communis infestanti, queste ultime,  che riescono anche a perforare il foglio.
  Ulteriori  vantaggi si potrebbero avere con film fotoselettivi che assorbendo gran parte  della radiazione visibile impediscono, come quelli neri, lo sviluppo delle  piante infestanti; contemporaneamente fanno passare le radiazioni infrarosse  corte e quindi determinano un riscaldamento del terreno pari a quello indotto  dai film trasparenti senza che si verifichi il riscaldamento del materiale di  copertura.
  Questo  è importante per la coltura, poiché ne riceve maggiore precocità e non rischia  ustioni al contatto con il foglio. Tra i film fotoselettivi si segnalano quelli  di colore grigio, bruno violetto e verde.
  Riguardo  alla tecnica da utilizzare, prima di sistemare i film è opportuno eliminare  l’infestazione presente in quanto, dai fori riservati alle piantine, le  infestanti possono comunque fuoriuscire e diventare assai competitive e  dannose; a tal fine, oltre che un’erpicatura, è possibile effettuare un  pirodiserbo.
  È  inoltre possibile utilizzare la pacciamatura con film trasparenti per stimolare  anticipatamente in una zona del campo la crescita delle infestanti. Questo  consente all’operatore di sapere in anticipo qual’è l’infestazione potenziale  presente nell’appezzamento e, quindi, di prevedere in tempo le tecniche di  controllo e gestione.
Solarizzazione
  La  solarizzazione è una tecnica di trattamento termico del terreno che sfrutta  l’energia solare. Inizialmente, è stata ideata per controllare malattie di  origine fungina, mentre successivamente se ne sono visti i vantaggi anche relativamente  al controllo di infestanti e nematodi.
  Tale  tecnica consiste nel ricoprire il terreno con un film plastico trasparente  durante il periodo estivo, per una durata di 3-4 settimane. Così facendo,  rispetto al terreno nudo, la presenza del film determina un innalzamento della  temperatura del terreno, soprattutto nei primi 10 cm, che raggiunge massime  anche di 40 °C. Al fine, comunque del contenimento delle infestanti, non sembra  avere notevole importanza la temperatura massima, quanto piuttosto il totale di  ore con temperature al di sopra di una soglia critica. A questo riguardo, va  tuttavia ricordato che il raggiungimento di una soglia di temperatura non  sufficiente a devitalizzare i semi, potrebbe addirittura determinare un  incremento della germinazione di questi.
  Per  ottenere un buon grado di efficacia con questa tecnica, è necessario che il  terreno sia sufficientemente umido e che il film plastico sia mantenuto per  almeno un mese.
Tabella 1. Infestanti suscettibili alla solarizzazione
| Invernali | Estive | Perennanti | 
| Anagallis cerulea | Abutilon theophrasti | Convolvulus arvensis | 
| Avena fatua | Amaranthus spp. | Cynodon dactylon | 
| Capsella bursa-pastoris | Chenopodium spp. | Equisetum spp. | 
| Hordeum leporinum | Cyperus spp. | Plantago spp. | 
| Lactuga seriola | Datura stramonium | Sorghum halepense | 
| Lamium amplexicaule | Digitaria sanguinalis | 
 | 
| Mercurialis annua | Echinochloa crus-galli | 
 | 
| Phalaris brachistachis | Eleusine indica | 
 | 
| Phalaris paradoxa | Orobanche spp. | 
 | 
| Raphanus raphanistrum | Polygonum persicaria | 
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| Senecio vulgaris | Portulaca oleracea | 
 | 
| Sinapis arvensis | Setaria glauca | 
 | 
| Sinapis arvensis | Solanum nigrum | 
 | 
| Sonchus oleraceus | 
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| Stellaria media | 
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 | 
| Urtica urens | 
 | 
 | 
lotta biologica alle infestanti
La lotta biologica si può attuare mediante insetti (entomo-diserbo) o  crittogame (mico-diserbo) che distruggono o danneggiano una o più specie  infestanti.(tab. 43). Può essere di tipo diretto, quando si introducono i  nemici naturali, e di tipo indiretto, qualora si favorisca il moltiplicarsi di  loro agenti patogeni o si renda l'infestante più suscettibile ad essere da  quelli danneggiata (ad es. concimazione azotata all'Opuntia spp.);  inoltre, a seconda della strategia impiegata può essere distinta in classica ed  inondativa.
  Strategia classica: consiste  nell'introduzione di organismi esotici in aree dove piante, introdotte  incidentalmente ed in assenza di nemici naturali, sono divenute infestanti.
  Risale al 1870 il primo esempio di questo tipo di lotta mediante funghi;  fu attuato in Australia introducendo un ceppo italiano di una ruggine, la Puccinia chondrillina per il  contenimento della Chondrilla juncea. 
  Strategia inondativa: viene  attuata utilizzando organismi indigeni e/o esotici,sotto forma di prodotti  commerciali che sono denominati "micoerbicidi". Il primo di questi è  stato commercializzato nel 1981 con il nome di Devine ed è un formulato liquido  contenente spore di Phytopthora palmivora,  specifico per Morrenia odorata. In questi ultimi anni si stanno facendo  numerosi studi sulle possibilità di sviluppare la lotta biologica isolando  sostanze biocide di tipo ed origine diversa.
  Pur essendo molto pulita, la lotta biologica presenta attualmente dei  limiti, alcuni dei quali possono essere così sintetizzati:
  1) si potrà  risolvere il problema  di un limitato numero di specie;
  2) l'impiego dei micoerbicidi è limitato ad aree definite dove esistono  malerbe sensibili, colture non sensibili e condizioni di sviluppo del fungo;
  3) l'eliminazione delle malerbe può essere tardiva cioè quando questa ha  già espletato il suo danno;
  4) non è ancora così perfezionata da poter essere utilizzata su vasta  scala;
  5) gli ambienti che meglio si prestano sono le isole, dove per la  limitatezza della superficie è più facile controllare i vantaggi e gli  svantaggi, le aree incolte o quelle con un basso coefficiente di  antropizzazione, quelle dove l'economia umana è più semplice e dove qualunque  altro mezzo di lotta non sarebbe   economicamente conveniente;
- le piante annuali sono piuttosto difficili da contrastare, in quanto le condizioni ambientali che possono influenzare il potenziale di emergenza ed il fatto che comunque una certa parte dei semi rimane quiescente nel terreno non permettono ai fitofagi in particolare di conservare adeguatamente una massa d'urto sufficiente al contenimento dell'infestazione.
L'INERBIMENTO DEL TERRENO NELLE COLTURE ARBOREE
VANTAGGI DELLA NON LAVORAZIONE
- diminuisce l’erosione derivante dalla pioggia negli arboreti situati in pendio;
- evita la formazione della “suola” che è spesso causa di asfissia radicale;
- non determinando l’ossidazione della sostanza organica, provoca un miglioramento, anche se parziale, della struttura del terreno e del suo stato nutritivo;
- migliora lo sviluppo degli apparati radicali degli alberi che, non subendo più tagli e lesioni, possono svilupparsi anche negli strati più superficiali del terreno, i quali sono quelli solitamente più ricchi di nutrienti, e sfruttare anche l’acqua derivante da piogge di modesta entità;
- riduce l’incidenza di fisiopatie come la clorosi ferrica, perchè è minore la quantità di calcare attivo che entra nella soluzione circolante del terreno.
L'INERBIMENTO
E’ un metodo di conduzione del terreno nel quale l’arboreto “convive” (è consociato) con una copertura vegetale, naturale o artificiale, che viene periodicamente controllata. Esso si propone come metodo alternativo, ecologico ed economico di conduzione del suolo in quanto, se ben gestito, può svolgere un ruolo equilibratore di tutti i fenomeni fisici, chimici e biologici che ruotano attorno al sistema terreno-pianta
TIPOLOGIE DI INERBIMENTO
1) In base alla composizione 
  della cotica erbosa :                                                         naturale ed artificiale
______________________________
2) In funzione della durata : permanente e temporaneo
______________________________
3) A seconda dell’entità della 
  superficie inerbita :                                                          totale e ad interfilari
| 
 | 
Inerbimento naturale
Consiste nel lasciare insediare liberamente la flora spontanea, che verrà poi controllata, quando la sua presenza viene ritenuta non più utile e/o dannosa per la coltura, mediante periodici o con la trinciatura.
Inerbimento artificiale
La flora infestante viene controllata mediante la costituzione di una copertura artificiale ottenuta seminando delle specie desiderate, a ciclo annuale o poliennale, che consentono rispettivamente di ricoprire il terreno temporaneamente o in modo permanente.
Inerbimento artificiale temporaneo
Consiste nel seminare un erbaio, solitamente costituito da una specie, che:
- copra rapidamente la superficie del suolo;
- sia competitiva con la flora spontanea;
- produca una biomassa consistente.
Specie utilizzabili nella pratica dell’inerbimento artificiale temporaneo
| Nome volgare | Nome scientifico | Biomassa prodotta (Kg/ha) | 
| 
 Graminacee | ||
| Loiessa | Lolium multiflorum | 40-50 | 
| Segale | Secale cereale | 100-150 | 
| 
 Leguminose | ||
| Veccia comune | Vicia sativa | 100-150 | 
| Veccia vellutata | Vicia villosa | 30-45 | 
| Trifoglio alessandrino | Trifolium alexandrinum | 30-40 | 
| Trifoglio sotterraneo | Trifolium subterraneum | 30-50 | 
| Favino | Vicia faba minor | 30-40 | 
| Pisello | Pisum arvense | 100-150 | 
| Lupino amaro | Lupinus spp. | 150-200 | 
| Cicerchia | Lathyrus sativus | 150 | 
| 
 Crucifere | ||
| Senape bianca | Sinapis alba | 15-30 | 
| Ravizzone | Brassica campestris | 15-30 | 
| Rapa invernale | Brassica rapa | 15-30 | 
| Rafano oleifero | Raphanus sativus | 15-30 | 
| 
 Altre famiglie | ||
| Facelia | Phacelia tanacetifolia | 10-20 | 
| Grano saraceno | Fagopyrum esculentum | 70-100 | 
| Consociazioni | ||
| Segale + Veccia vellutata | 125 + 45 | |
| Orzo vernino + veccia vellutata | 112- 45 | |
Il trifoglio sotterraneo
Ideale per le regioni meridionali in quanto:
- accumula biomassa (30-50 Kg/Ha di azoto) nel periodo più critico per gli effetti negativi dell’erosione ;
- interra il seme e muore quando iniziano le carenze idriche; non entra, perciò, in competizione con le piante, anzi contribuisce, specialmente se sfalciata, alla tesaurizzazione dell’umidità del terreno.
Inerbimento artificiale permanente
    E’ una pratica che è proponibile in condizioni pedoclimatiche e colturali  caratterizzate da elevate disponibilità idrico-nutrizionali.
    Il prato deve possedere le stesse caratteristiche indicate per  l’inerbimento naturale ed, inoltre:
- bassa manutenzione;
- resistenza al calpestamento;
- equilibrio autonomo con l'ambito pedoclimatico;
- moderata concorrenza idrico-nutrizionale verso la pianta coltivata;
- capacità di smaltimento di eccessi idrici.
Principali caratteristiche delle specie da inerbimento permanente
| Specie | Caratteristiche principali | Varietà | 
| Lolium perenne | rapido insediamento, durata limitata | Apollo, Bacredo, Barrage, Elka. | 
| Poa pratensis | Longeva, resistente al calpestio | Barcellona, Baron, Geronimo, Geronimo, Limousine. | 
| Festuca rubra | Scarse esigenze idriche e nutrizionali | Bargena, Clip, Ensylvia,Barcrown, Bastide, Manoir, Banner, Soprano. | 
| Festuca ovina (subsp. Duriuscula, tenuifolia) | (come per F. rubra) | Barreppo, Barfina, Clio, Barok. | 
| Festuca arundinacea | Resistente al calpestio ed alla siccità | Arminda, Barfelix, Eldorado, Silverado. | 
| Trifolium repens | Rapido insediamento | Barbian, Huia. | 
EFFETTI DELL’INERBIMENTO SUL TERRENO
Effetti positivi :
- Riduzione dell’erosione.
- Aumento della sostanza organica.
- Miglioramento dello stato nutritivo del terreno.
- Miglioramento della struttura del terreno.
- Aumento della capacità di ritenzione idrica almeno nei primi 20-30 cm del profilo.
- Aumento della portanza del terreno.
Effetti negativi:
- Consumo idrico più elevato, in media, di circa il 20-30%, secondo le condizioni pedoclimatiche, rispetto ai terreni lavorati.
- Sottrazione di elementi nutritivi (soprattutto azoto) alla pianta coltivata, limitatamente ai primi 3-4 anni.
- EFFETTI DELL’INERBIMENTO SULLA PIANTA
1) Riduzione, in alcuni casi, della cascola di pre-raccolta.
2) Miglioramento di alcune caratteristiche dei frutti quali il colore dell’epicarpo, la conservabilità e la resistenza a certe alterazioni fisiologiche (butteratura amara e marciumi).
- Possibilità di sfruttare la competizione del prato per riequilibrare impianti arborei troppo vigorosi, specialmente durante le fasi più delicate del ciclo vegetativo (allegagione, maturazione).
- EFFETTO DELL’INERBIMENTO SUL CONTENUTO DI SOSTANZA ORGANICA DEL TERRENO
| 
 | Contenuto di sostanza organica del terreno (%) | |
| Profondità | inerbito | lavorato | 
| 0-15 | 3,5 | 1,9 | 
| 5-10 | 1,9 | 1,6 | 
| 10-15 | 1,3 | 1,4 | 
| 15-20 | 0,8 | 0,9 | 
BIBLIOGRAFIA
Gabriel Guet - Agricoltura biologica mediterranea: guida pratica ad uso professionale con la partecipazione del G.R.A.B. - Edagricole, Bologna -1997.
Del Fabro Adriano - Controllo ecologico delle erbe infestanti / Demetra, Sommacampagna (VR)
Covarelli Gino - Principi di controllo della flora infestante. – Edagricole, 1995
Ferrero Aldo e Casini Paolo – Mezzi di lotta non chimici. In Malerbologia - Catizone Pietro e Zanin Giuseppe – Patron Editore, Bologna – 2001.
Fonte: http://frumed.files.wordpress.com/2009/03/dispensa-generale.doc
Sito web da visitare: http://frumed.files.wordpress.com
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