Frankenstein

 

 

 

Frankenstein

 

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Frankenstein
by Mary Shelley (1797 - 1851)

Type of Work:

Conceptual horror novel

 

Setting

Switzerland; late 1700s

 

Principal Characters

Robert Walton, an explorer attempting to sail to the North Pole
Victor Frankenstein, a young scientist who creates a "monster"
Clerval, Frankenstein's friend
The Monster, Frankenstein's angry, frustrated, and lonely creation

 

Story Overview

One morning Robert Walton and his crew found a man, nearly frozen, on a slab of floating ice. By giving him hot soup and rubbing his body with brandy, the crew restored him to health. A few days later he was able to speak.
This stranger, Victor Frankenstein, began to tell his story:
During a journey with her husband abroad, Victor’s mother found a peasant and his wife with five hungry babies. All had dark complex skin, save one, a very fair little girl. His mother decided at that moment to adopt the child.
Victor and his adopted sister, Elizabeth, came to love one another, though they were very diverse in character. Victor had the remote desire to discover every physical secret of the world.
After the death of his mother when he was seventeen, Victor departed for the University of Inglostadt. There, young Frankenstein grew intensely interested in the phenomena of the human body. He investigated the processes of death and decay, and soon became obsessed with the idea of creating life itself.
Frankenstein set out to create a superior living being, hoping to eventually uncover the formula for eternal life.

In his brilliant and terrible research Frankenstein collected body parts from charnel-houses and cemeteries. Finally, on a dreary night of November, he beheld the accomplishment of his creature: an eight-foot monster. Applying electricity to the "lifeless matter" before him, Victor saw his creature coming to life. He had created a freak.

A long depressive illness hit Victor, who slowly began to recover. But soon he received terrible news from his father: William, the youngest son, had been strangled, and his murderer remained at large. The scientist returned to Geneva during a terrible storm. As he plodded along, he perceived in the gloom a figure, and knew instinctively that it was the demon to whom he had given life. Then a horrible thought struck him: this monster might be his brother's murderer.
But when Victor arrived at his home, he was told that William's killer had already been unmasked. Justine, the family's long-time servant, had been found in possession of a locket that held a picture of their mother, taken from William during the murder.

Victor took a solitary journey to Mont Blanc. During a hike up a mountain path he saw a strange, agile figure - his own monstrous creation - advancing towards him. Creature and creator argued back and forth until the monster convinced Victor to hear his account.
Life for the intelligent and sensitive being had been difficult. He wandered, surviving on berries and stream water, until he found a fire left by vagrants, and learned to keep warm. Despised by all who saw him, he wandered the countryside until one day he came upon a young boy: Victor's brother. In bitter rage, the monster killed the boy, then took the locket that hung around the child's neck and hid it on Justine's clothing as she slept.
After relating his tale, the monster made a frightful demand: "You must create a female for me. . . " "I do refuse it," Victor declared. Making a mate for this monster could give rise to a hostile superhuman race.
Perplexed, Victor travelled to Britain with the intent of marrying his foster sister, Elizabeth. But first he retired to a remote area of Scotland, where he planned to finish his work in solitude. Even there he could sense the monster near, waiting for the "birth" of his mate. But shortly before the female's completion, Victor destroyed her in disgust. Watching at a window, the lonely, enraged brute forced his way into the house. But this time Victor was adamant; he would not again enter into such a work.
"Man, you shall repent of the injuries you inflict ... I shall be with you on your wedding night," the vengeful monster intoned. Despite these words, Victor determined that his marriage to Elizabeth would take place.
Following the wedding, Victor stood watch downstairs, waiting for the appearance of his rejected creature. Just as Victor be an to believe that by some fortunate chance the monster would not come, a shrill and dreadful scream broke the stillness. Victor rushed to the nuptial chamber. But he was too late. All he found was Elizabeth's dead body.

His story completed, the chilled and weakened Victor Frankenstein died there on the ice-bound ship.
That night the monster visited Walton in the dead man's cabin. Standing over his creator's body, the beast first asked the dead scientist's pardon, but then blamed Frankenstein for his sorrow - and for destroying his unfinished mate.
Then, predicting his own imminent death by fire, the monster bid Walton farewell, sprang from the window, and vanished across the Arctic ice fields.

 

Traduzione

Una mattina Robert Walton e la sua compagnia trovarono un uomo, quasi congelato, su una lastra di ghiaccio. Dandogli della zuppa calda e sfregando il suo corpo con del brandy, la compagnia lo rimise in sesto. Dopo un paio di giorni era in grado di parlare.
Questo straniero, Victor Frankenstein, comincó a raccontare la sua storia:
Durante un viaggio all’estero con suo marito, la madre do Victor trovoó i corpi di un contadino, sua moglie e cinque bambini affamati. Tutti erano di carnagione scura tranne uno, una bambina molto chiara. Sua madre decise in quel momento di adottare la bimba.
Victor e la sua sorella adottiva, Elisabeth, iniziarono a volersi molto bene, nonostante le diversità di carattere. Victor aveva il remoto desiderio di scoprire ogni segreto fisico del mondo.
Dopo la morte di sua madre, quando lui aveva diciassette anni, Victor partí per l’università di Inglostadt. Lí, il giovane Frankenstein compinció ad avere una grande passione nei fenomeni del corpo umano. Investigó il processo della morte e della decomposizione, e presto divenne ossessionato con l’idea di creare la vita stessa.
Frankenstein inizió il progetto di creare un essere vivente superiore, sperando di scoprire, in ultimo, la formula per creare la vita eterna.
Nel corso della sua brillante e terribile ricerca, Frankenstein reccolse parti di corpi da ???? e cimiteri. Finalmente, una spaventosa notte in Novembre, riuscí a completare la sua creatura: un mostro di otto piedi (= 2,40 metri). Applicando elettricità alla “materia non-vivente” dinnanzi a lui, Victor osservó la sua creatura dievntare vivente. Aveva creato un mostro.
Una lunga malattia depressiva colpí Victor, che cominció lenatmente a riprendersi. Ma presto ricevette la terribile notizia di suo padre. William, il figlio piú giovane, fu strangolato, ed il suo assasino era ancora in libertà. Lo scenziato ritornó a Ginevra durante una terribile tempesta. Mentre camminava, percepí la presenza di una grande figura, e seppe instantaneamente che era il demone al quale aveva dato vita. Poi, un terribile pesiero lo colpí: questo mostro poteva essere l’assassino di suo fratello.
Ma quando Victor arrivó a casa, gli fu detto che l’assassino di William era già stato smascherato. Justine, un membro della servitú per lungo tempo, fu trovata in possesso do un ciondolo, preso da William durante l’assasinio, nel quale c’era la foto della loro madre.
Victor intraprese un viaggio solitario al Monte Bianco. Durante una passeggiata lungo un sentiero di una montagna, vide una strana, agile figura – la sua mostruosa creazione – avanzare verso di lui. Creatura e creatore litigarono finchè il mostro convinse Victor ad ascolare la sua storia.
Vita per l’intellogente e sensibile essere vivente era stata difficile. Vagava, cibandosi di bacche ed acqua dei ruscelli, finchè trovó un fuoco lasciato acceso da ???, ed imparó come rimanere caldo. Odiato da tutti quelli che lo vedevano, vagava nella campagna finchè un giorno incontró un ragazzo: il fratell ro Voctor. In un momento di rabbia, il mostro uccise il ragazzo, poi prese il ciondolo che era appeso al collo del giovane e lo nascose sui vestiti di Justine mentre dormiva.
Dopo la storia, il mostro fece una richiesta spaventosa: “Devi crearme una donna per me…”. Victor disse: “Mi rifiuto”. Creare una compagna per questo mostro potrebbe portare all’insorgere di un’ostile razza sovraumana. In ogni caso, alla fine Victor acconsentí a creare una compagna per il mostro a condizione che i due si ritirassero in Sud America. Nuovamnete, nel suo laboratorio, Victor non riuscí a trovae il coraggio per il suo lavoro.
Perplesso, Victor si recó in Inghilterra con l’intenzione di sposae la sua sorellasrta, Elisabeth. Ma prima si ritiró in una zona remota in Scozia, dove pianificó di finire il suo lavoro in solitudine. Anche lí riusciva a percepire la presenza del mostro, che aspettava la “nascita” della sua compagna. Ma poco prima del completamento della donna, Victor la distrusse indignato. Che guardava alla finestra, il solitario, arrabbiato bruto forzó la sua entrata nella casa. Ma questa volta, Victor era ???; non avrebbe piú fatto un lavoro simile.
“Uomo, farai penitenza per le lesioni che hai inflitto...Saró con te la tua notte di nozze”, disse il vendicativo mostro. Nonostante quelle parole, Victor era determinato che il suo matrimonio avvenisse.
Dopo il matrimonio, Victor fece la guardia al piano inferiore, aspettando l’arrivo della sua creatura rigettata. ?????? Victor sperava che che il mostro non venisse, ma un urlo tremendo lo riportó alla realtà. Victor corse alla camera nuziale. Ma era troppo tardi. Tutto ció che trovó fu il corpo senza vita di Elisabeth.
Una volta completata la sotia, l’infreddolito e debole Victor Frankenstein morí lí sulla nave gelata.
Quella notte il mostro visitó Walton nella cabina dell’uomo morto. In piedi dinnanzi al corpo senza vita del suo creatore, il mostro prima domandó scusa al suo creatore, ma poi lo incolpó per la sua tristezza – e per aver distrutto la sua incomletata compagna.
Poi, prevedendo la sua imminente morte a cause del fuoco, il mostro disse addio a Walton, saltó dalla finestra, e scomparse attraverso i campi gelati dell’Artico.

 

Fonte: http://www.myskarlet.altervista.org/Scuola/Frankenstein.doc
Autore: non identificabile dal documento

 


 

Frankenstein

Frankenstein e Schedoni: L’eroe scienziato e l’eroe maledetto dell’Ottocento


Due scrittrici a confronto: Ann Radcliffe e Mary Godwin Shelley

 

“ Fu una scribacchina, celebrata dai suoi ammiratori borghesi come lo Shakespeare dei romanzieri: Ann Radcliffe, la prima ad ottenere successo con un’opera del genere macabro” : il critico americano Fiedler interpretando il genere del romanzo nero in chiave psico-analitica e considerando anche le condizioni storico-sociali del periodo post-rivoluzionario, dà vita ad una prospettiva che vede questo tipo di romanzo come un genere che nasce dal senso di colpa dell’Europa rivoluzionaria che ha distrutto gli ideali tradizionali come la Chiesa e lo Stato: da qui scaturisce la paura di aver aperto la strada al caos e all’irrazionale che rischiano di travolgere la ragione e l’ordine. Con Shelley il genere si solleva di livello, dando di per sé una rappresentazione simbolica dei terrori profondi dell’età, ma il suo eroe non è il monaco oscuro o il personaggio tenebroso che perseguita candide fanciulle, ma lo scienziato che trascinato dal suo folle orgoglio, sfida Dio, sostituendosi a lui e attribuendo all’uomo le prerogative della creazione. La fatica più importante della Radcliffe è “ The Italian” che si sviluppa secondo una dinamica ormai ampiamente sperimentata dalla Radcliffe: in un paesaggio da sogno, con caratteristica ambientazione italiana, una fanciulla fugge tra castelli in rovina seguita da fantasmi che poi si rivelano essere manichini di cera o uomini vivi e mascherati e dopo un ciclo continuo di catture e fughe come in un incubo che si rigenera e dal quale non ci si può destare, alla fine ella riesce a liberarsi e si sposa col suo giovane amato che nel frattempo la ha tanto cercata. Nell’opera della Radcliffe il nostro eroe è il monaco Schedoni, il malvagio artefice di tutte le peripezie dei due giovani protagonisti, Elena e Vivaldi. Le sue origini sono oscure, lui è tormentato da ignoti fantasmi del passato o dell’anima e anche fisicamente questi attributi si modellano : viso pallido, occhi malinconici e la testa sempre circondata da un cappuccio. “ Frankenstein”: il romanzo della Shelley appartiene sempre al genere del terrore ed è ambientato a Ginevra. Frankenstein è uno scienziato che spinto dall’ardore per la ricerca scientifica, trova il modo di creare la vita. Costruisce così una figura umana con pezzi di cadaveri, ma è atterrito dalla mostruosità della sua creatura. Il mostro fugge e compie orribili delitti, uccidendo anche il fratello di Frankenstein. Durante un’escursione sul monte Bianco, Frankenstein incontra il mostro che gli racconta la sua storia. In lui vi era una nativa bontà, un bisogno di amore e di contatto con gli uomini, ma gli uomini lo avevano respinto e perseguitato e l’infelicità lo aveva reso malvagio generando in lui il desiderio di vendicarsi. Il mostro chiede allo scienziato di dargli una compagna che lo ami e Frankenstein glielo promette, ma poi non mantiene fede a ciò, terrorizzato dalla prospettiva di una progenie di mostri. Il mostro si vendica uccidendo il più caro amico e la moglie dello scienziato, allora Frankenstein lo insegue nei luoghi più remoti sino all’artico, ma qui muore, sfinito dopo aver raccontato la storia al capitano della nave che lo ha raccolto. Intanto il mostro ricompare esternando la sua infelicità sulla bara del suo creatore e poi si dilegua nelle tenebre in cerca dell’autodistruzione. Da una parte c’e la figura dell’eroe maledetto della Radcliffe: un personaggio che ha il fascino dell’angelo caduto dal cielo, Satana, il più bello tra tutti gli angeli, carattere suggerito già da Milton che lo aveva dipinto come un coraggioso ribelle, dotato di orgoglio, passione, intolleranza, individualismo, trasformandolo in un eroe romantico. E’ come se Schedoni fosse la segreta reincarnazione del Maligno e il fascino che da lui emana insieme col terrore è il fascino del male, molto sentito nell’età romantica. Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno rappresenta la scienza trasgressiva che si configura come una colpa satanica, come peccato di orgoglio simile a quello di Lucifero, ma oltre alla spiccata attenzione per il satanismo, fondamentale del romanticismo, c’è anche il titanismo. Il sottotitolo allude a Prometeo, il titano che nella mitologia greca aveva forgiato gli uomini con la creta, violando un divieto degli dei e Frankenstein diventa il Prometeo moderno, simbolo di una visione negativa della scienza che aveva partorito il “mostro” dell’industrialismo che distruggeva tutto un mondo del passato generando smarrimento. Il mostro di Frankenstein è la metafora di questo “mostro” che sfugge di mano all’uomo suo creatore, ritorcendosi contro di lui. Oppure si può interpretare come la metafora della classe operaia creata dall’industrialismo che viene vista come una forza minacciosa per l’ordine vigente. La paura della scienza che può creare mostri percorre tutto l’Ottocento: infatti questo motivo traspare dalla figura dell’eroe scienziato che è responsabile di questo terrore, mentre l’eroe della Radcliffe nasce più come una figura di eroe antitetica a quella classica,non armoniosa,          contro l’eroe classico, valoroso, rispettoso del passato, dei suoi maiores , c’è una figura tenebrosa, cupa, un dannato, un persecutore, dotato di una bellezza terribile che lo costringe al male. L’attribuzione del carattere di eroe a questi protagonisti può sembrare una grande contraddizione se si ripercorre l’iter degli eroi nel corso del tempo : con un salto nel passato vediamo Achille, Ettore, fisicamente possenti, conoscitori del combattimento, coraggiosi e quasi delle semi-divinità per poi passare ai cavalieri, al nostro Orlando, difensor fidei, rispettoso del nemico, ben educato, conoscitore del galateo e della cortesia, pian piano poi la figura dell’eroe subisce un appassimento, lento e graduale fino al Cinquecento dove Ariosto ride sotto i baffi di loro e con un salto di solamente qualche secolo arriviamo a Super-man o a Spider-man, eroi socialmente impegnati che sono sempre al posto giusto nel momento giusto per salvare bambini in lacrime o vecchine bloccate al semaforo da ore. Ma in questa cerchia di “buoni, precisini,” che cosa vogliono il mostro e il monaco che creano solo danni? La risposta è nel periodo storico e nella parola “ Romanticismo”! Lo scrittore romantico è un ribelle, ama il terrore, la passione, il sublime e certo la sua aspirazione di eroe non è il muscoloso corazzato con l’armatura scintillante e tutto d’un pezzo, ma quella del “combina guai”, che trasgredisce come lo stesso scrittore vorrebbe, la sua genialità è tale che non importa se egli sfida i limiti del mondo perché anche lo scrittore vuole superarli, la sensucht , lo streben imperano. Schedoni è diabolico, ma altrettanto affascinante e anche Frankenstein ha delle attenuanti: è colpevole di aver sfidato Dio, ma è pur sempre un genio, quello con immense e trascendenti qualità che in fondo dà vita ad un nobile selvaggio, un essere primitivo inizialmente buono che la società rende cattivo. Quindi questa apparente contraddizione si risolve nel concetto di sublime: timore, magnificenza, terrore, grandezza ed emozioni incontrollabili nello stesso momento, incompatibili, ma sempre inscindibili. In fondo anche l’uomo è un doppio, non è interamente buono, né solo malvagio, ma kantianamente parlando è un legno storto, ha una parte positiva e l’altra negativa non sempre bilanciate, ma spesso contrastanti, eros e thanatos che lottano tra di loro. L’insistenza sull’orrore può riguardare il fatto che la crisi vissuta dall’anima europea induceva ad abbandonare le impalcature della ragione e aprire la strada a zone oscure della coscienza, dove si agitano gli impulsi più inquietanti. Inoltre mentre l’eroe della Radcliffe è misterioso, inquietante da sempre, è la negatività fatta persona, non sappiamo perché , ma è così e fa share, ottiene successo presso il pubblico, è personificazione del male, Frankenstein è diverso, crea un essere  con scopi non malvagi, la sua colpa è la sua eccessiva vanità intellettuale che sfida le leggi della natura che lo punirà, ma è più profondo, più psicologicamente rappresentativo, lui che mostra ora la razionalità, ora il genio, ora la follia creatrice in un crescendo di esagerazioni. Frankenstein è romantico come Schedoni, ma più complesso, è un uomo come pochi che si fa prendere la mano, ma non è un cattivo, commette degli errori dovuti alla sete di conoscenza e anche il suo mostro non lo è fino in fondo, ma lo diventa perché tremendamente deluso dalla possibilità di poter essere accettato dagli altri uomini complicando ulteriormente la storia e la dimensione psicologica di questa e introducendo un altro motivo romantico: quello dell’uomo frustrato perché non trova posto nella società.

 

           Autore :  Antonella Borzacchiello VD
Fonte: http://www.didacta.altervista.org/anto.doc

 

La Lotta dell’Emarginato per l’Affermazione
In Frankenstein; or, The Modern Prometheus

 

                                                                                                  Francesco Scanavino
Classe VB
Liceo Scientifico “Arturo Issel”
Anno Scolastico 2008/2009

"I endeavoured to crush these fears, and to fortify myself for the trial which in a few months I resolved to undergo; and sometimes I allowed my thoughts, unchecked by reason, to ramble in the fields of Paradise, and dared to fancy amiable and lovely creatures sympathising with my feelings, and cheering my gloom; their angelic countenances breathed smiles of consolation. But it was all a dream; no Eve soothed my sorrows, nor shared my thoughts; I was alone. I remembered Adam's supplication to his Creator. But where was mine? He had abandoned me: and, in the bitterness of my heart, I cursed him.”
____  in Frankenstein; or, The Modern Prometheus

 

 

 

In copertina: immagine di Bernie Wrightson per Frankenstein


Sommario
Premessa
1. Il capitano Robert Walton
2. Victor Frankenstein – Un emarginato modello
2.1. Personaggi importanti nel processo di formazione
3. Il percorso di decadenza – Osare come peccato contro la morale di Dio (o senso comune)
4. La nascita della creatura – Ritorno alla realtà e recupero dei legami
5. L’irreversibilità delle scelte compiute – Il concetto di consapevolezza e responsabilità
6. Il processo – Critica della giustizia e del sistema politico
7. Uomo o Dio? – Il giudizio dettato dal senso comune
8. A faccia a faccia – L’affrontare se stessi e le proprie responsabilità
8.1. La duplice presenza di senso di colpa e accusa dell’altro
8.2. Il totem – Il rapporto tra padre e figlio
9. Rinnegato – Il bisogno di accettazione
9.1. Il ruolo del linguaggio come mezzo di affermazione
9.2. Un male necessario – La rimozione delle pulsioni 19
9.3. Il riflesso – L’importanza dell’aspetto fisico
9.4. Historia magistra vitae – Signore e servo. 21
9.5. La vera storia dei contadini
9.6. La letteratura come rifugio dal mondo, la letteratura come specchio del mondo
10. Che cosa voglio – Desiderio di pagamento per il riscatto delle discriminazioni subite
11. Non è colpa mia – Rottura del contratto e pena da pagare
12. Vendetta – Sostituzione degli impulsi d’amore e morte
13. Mi odi? – Il giudizio dell’uditorio di Victor Frankenstein
Bibliografia
Sitografia

 


Premessa

 

La tesina tratta di un tema che ha catturato la mia attenzione mentre leggevo l’opera Frankenstein; or, The Modern Prometheus di Mary Shelley, cioè l’emarginazione sociale, di cui la creatura rappresenta un famoso simbolo. Mi sono posto una serie di domande sulla vera natura della discriminazione, sulle sue cause, sull’applicazione del tema nella cornice dell’epoca attuale, sulla nascita del pregiudizio.


Leggendo della vita della creatura, nata per mano di Victor Frankenstein, ho provato a immaginare i sentimenti che ha provato sin dalla nascita, costretto alla fuga a causa del ribrezzo e della paura che il suo aspetto suscita negli altri; ancora oggi, l’immagine che ci è offerta di lui dalle rappresentazioni semplicistiche spesso è muta, non dotata di intelletto, dai movimenti disarticolati: ma il lettore dell’opera scopre che non è affatto così. Egli è rifiutato perfino dal suo stesso padre, da chi gli ha dato la vita. Ho riflettuto sulla sensazione che si prova a sentirsi dire da qualcuno di rappresentare il fallimento delle sue aspettative, nemmeno per un gesto compiuto, ma per via dell’aspetto fisico, fattore indipendente dal piano dell’intenzionalità dell’individuo. Spesso la gente non riflette sul fatto che nessuno cerca volontariamente una condizione sfavorevole, come una malattia o una deformazione, o ancora delle caratteristiche, fisiche e psicologiche, che non rispondono ai canoni imposti dalla società.
Questa trattazione si prefigge il compito di elaborare un percorso, che esplori non solo la vita di un essere visibilmente emarginato come la creatura, ma anche le esistenze di tante persone che hanno dovuto affrontare le difficoltà imposte loro non solo dal caso o dalla natura, bensì anche da parte di una società chiusa, che disprezza e aborrisce il diverso; dopotutto, diverso è un concetto volubile, perché implica non uno, ma ben due termini di confronto. Quindi la domanda è legittima: diverso da chi, diverso da cosa?


Nella citazione iniziale non ho messo il nome della creatura di proposito, perché nel libro è chiamato solo con epiteti come disgraziato, miserabile, demone, mostro, che a mio parere non rendono giustizia al messaggio che intendo trasmettere. Al contrario, lo spazio vuoto indica come nella sua immagine siano identificabili tutti coloro che nella vita sopportano le angherie di un mondo che li denigra; serve a ricordare loro come nella propria solitudine non siano soli, perché confido che troveranno, in un modo o nell’altro, la propria ragione di vita, un motivo per sorridere, magari nelle parole di affetto dette da qualcun altro.


1. Il capitano Robert Walton

 

All'inizio della storia il lettore fa conoscenza di un personaggio che, pur sembrando irrilevante ai fini della storia, ha molti aspetti in comune con i due protagonisti, il dottor Victor Frankenstein e la creatura: il capitano Robert Walton. Egli si trova nel corso di una spedizione verso le regioni artiche, cercando di portare a compimento quello che da sempre è stato un suo sogno: arrivare dove mai prima un essere umano sia arrivato. Si può da subito vedere la sua vicinanza al personaggio di Victor nell’aspirazione alla scoperta dell’ignoto, quasi del Paradiso: il polo è definito proprio “country of eternal light”, un’immagine poetica di speranza e di redenzione.


Già in lui si presentano i tratti dell'emarginato: dalle lettere che scrive alla sorella, possiamo capire come abbia sacrificato durante la propria gioventù ogni tipo di svago e come abbia troncato tutti i rapporti sociali, tutto in funzione dello studio e della ricerca che lo avrebbero potuto portare alla gloria e al riscatto. Egli parla del sacrificio che ha dovuto compiere in termini di tempo per fortificare la propria mente e il proprio corpo con dedizione per lo stesso motivo, mostrando il legame che sussiste tra rinuncia, intesa come alienazione rispetto ai propri desideri-bisogni, e aspettativa di premio:
I commenced by inuring my body to hardship. I accompanied the whale-fishers on several expeditions to the North Sea; I voluntarily endured cold, famine, thirst, and want of sleep; I often worked harder than the common sailors during the day, and devoted my nights to the study of mathematics, the theory of medicine, and those branches of physical science from which a naval adventurer might derive the greatest practical advantage.


Riflette inoltre sul significato del proprio percorso, costellato di fatiche, e sul valore della gloria che ne può conseguire, in contrapposizione all’affermazione nella società grazie alla raccomandazione. Si tratta proprio dell’intenzione di emancipazione rispetto alla società in cui vive, che lo rende così simile al dottore: essi allo stesso modo intendono portare le proprie esistenze a un compimento, a una realizzazione. Meglio una vita dedita al sacrificio, e magari accompagnata dalla gloria, piuttosto che passarne il resto nell’ozio e nel lusso:
And now, dear Margaret, do I not deserve to accomplish some great purpose? My life might have been passed in ease and luxury; but I preferred glory to every enticement that wealth placed in my path. Oh, that some encouraging voice would answer in the affirmative! My courage and my resolution is firm; but my hopes fluctuate and my spirits are often depressed. I am about to proceed on a long and difficult voyage, the emergencies of which will demand all my fortitude: I am required not only to raise the spirits of others, but sometimes to sustain my own, when theirs are failing.
Veniamo dunque a conoscenza anche di un desiderio particolarmente sentito del giovane capitano, cioè quello di avere accanto a sé una persona fidata, che condivida con lui lo slancio verso la scoperta e l’avventura.
But I have one want which I have never yet been able to satisfy; and the absence of the object of which I now feel as a most severe evil. I have no friend, Margaret: when I am glowing with the enthusiasm of success, there will be none to participate my joy; if I am assailed by disappointment, no one will endeavour to sustain me in dejection. […] I desire the company of a man who could sympathise with me; whose eyes would reply to mine.
Nella quarta lettera di Walton troviamo il primo contatto tra lui e Victor: da subito s’instaura un profondo legame tra i due, complice l’affinità caratteriale ed esistenziale. Fatta conoscenza, però, Walton viene messo presto in guardia a proposito delle sue aspirazioni:
Unhappy man! Do you share my madness? Have you drank also of the intoxicating draught? Hear me--let me reveal my tale, and you will dash the cup from your lips!

2. Victor Frankenstein – Un emarginato modello

 

Inizia la storia della vita di Victor Frankenstein, nella quale si svelano molti particolari della sua persona, ma anche i retroscena delle vite delle persone che hanno avuto un ruolo importante per lui: si scopre come ognuno abbia sofferto, a proprio modo, per via dell’impossibilità di vivere una vita normale. Come si vedrà, sono comunque persone che riescono a recuperare il proprio rapporto con il mondo e a superare le difficoltà impostegli dal caso.

 

2.1. Personaggi importanti nel processo di formazione

Caroline Beaufort trova lavoro da giovanissima per far fronte ai seri problemi economici di suo padre, un tempo ricco mercante ora caduto in povertà. La morte del suo unico familiare la lascia orfana e nullatenente: grazie però alla bontà del padre di Victor, il quale prima le fa da tutore, e in seguito la sposa, ha un’occasione di riscatto e dimostra, nonostante le vicende passate, grande determinatezza e sensibilità. È lei a far crescere Victor con un carattere allo stesso tempo sensibile e testardo, che lo renderà in seguito un fuoriclasse, un outsider: questo fattore influenzerà pesantemente i suoi rapporti con le persone, definendo la sua emancipazione. Il suo carattere è attivo, rivoluzionario, teso alla ricerca di conoscenze non ancora in mano all’uomo:
My temper was sometimes violent, and my passions vehement; but by some law in my temperature they were turned, not towards childish pursuits, but to an eager desire to learn, and not to learn all things indiscriminately. […] It was the secrets of heaven and earth that I desired to learn; and whether it was the outward substance of things, or the inner spirit of nature and the mysterious soul of man that occupied me, still my inquiries were directed to the metaphysical, or, in its highest sense, the physical secrets of the world.
Questo comportamento però pregiudica possibili contatti e amicizie che si sarebbero potuti creare con nuove persone. Dopotutto, è ammissione dello stesso Victor di essere una persona schiva, lontana dalla società e dai rapporti con gli altri.
It was my temper to avoid a crowd, and to attach myself fervently to a few. I was indifferent, therefore, to my schoolfellows in general; but I united myself in the bonds of the closest friendship to one among them.
Il carattere di esclusività nella scelta dei rapporti fa comprendere come possa crearsi un legame così solido tra Victor e Henry Clerval, il suo unico amico, il quale pure conduce un’esistenza conflittuale con il mondo intorno a sé. A dispetto di un padre soffocante e autoritario, Henry è un ragazzo di talento amante del pericolo, anche a rischio della propria incolumità; tende, però, a perdere il contatto con la realtà, giacché amante dei romanzi cavallereschi e delle gesta eroiche. Mary Shelley intende quindi caratterizzarlo come personaggio al di fuori del proprio contesto sociale, proiettato verso un passato ormai perso; Victor, al contrario, proietta le proprie aspettative nel futuro della scoperta. Ognuno, pertanto, perde il proprio contatto con la realtà presente e con l'ambiente in cui è inserito, in un progressivo processo di alienazione.


Nel momento in cui Caroline adotta la piccola Elizabeth Lavenza, probabilmente rivede in lei il proprio miserabile passato di sofferenza: la madre della giovane morì quando era molto piccola, mentre il padre la lasciò in custodia a una famiglia di contadini, senza alcuna eredità.
Entrambe queste figure femminili sono accomunate dal fatto che, anche dopo essere tornate a vivere in condizioni normali (o persino agiate), conservino la propria purezza, semplicità e innocenza.


This child was thin and very fair. Her hair was the brightest living gold, and despite the poverty of her clothing, seemed to set a crown of distinction on her head. Her brow was clear and ample, her blue eyes cloudless, and her lips and the moulding of her face so expressive of sensibility and sweetness that none could behold her without looking on her as of a distinct species, a being heaven-sent, and bearing a celestial stamp in all her features.
Da questa descrizione si vede in che modo Mary Shelley incarni nelle figure femminili del libro i massimi valori positivi della società ottocentesca, come calma, concentrazione, sensibilità, determinatezza, lealtà: donne forti ma angeliche, che offrono la possibilità di redenzione a chi soffre per i peccati commessi. La donna diventa simbolo dell’equilibrio, che conserva in sé ed è capace di offrire agli altri: si spiegherà quindi l’atto di distruzione della creatura femmina, perché simbolo della perduta possibilità di salvezza per la creatura.
L’adozione di Elizabeth è però anche uno dei fattori causa del graduale processo di alienazione di Victor dalla società: lei entra a far parte della famiglia e diventa cugina di Victor, almeno di nome. Così il sentimento d’amore che nasce tra di loro viene soffocato, perché percepito quale incestuoso e immorale. È importante ricordare come ci sia stato un cambiamento dalla prima versione del romanzo, dove Elizabeth era veramente presentata nel ruolo di cugina di Victor; in seguito Mary Shelley ha modificato l’impostazione, forse perché ritenuta scandalosa.

 

3. Il percorso di decadenza – Osare come peccato contro la morale di Dio (o senso comune)

 

Al momento della partenza per l’Università di Ingolstadt, Victor ha il primo accostamento all’esperienza della morte: Caroline scompare a causa della scarlattina, contratta da Elizabeth per esserle stata accanto durante la malattia. Anche la sofferenza derivante dalla perdita concorre ad aumentare l’anelito del ragazzo alla scienza, vista come possibilità di trascendere la morte e recuperare ciò che si è perso. Si può evincere dal comportamento di Victor come non intenda metabolizzare gli eventi a cui la vita lo sottopone, bensì la sua intenzione di trovare una soluzione, anche a costo di subire delle perdite. Come ci si può aspettare, Elizabeth rinuncia persino al proprio dolore per offrire conforto alla famiglia, e in qualche modo per sviare implicitamente Victor dai suoi propositi; ancora una volta si vede come le due donne siano disposte a dare anche parte di se stesse per chi amano.

 


Nel corso dei suoi studi a Ingolstadt, ci è fornito un chiaro esempio di discriminazione nell’ambiente di studio: mister Krempe, professore tradizionalista, lo deride per la sua passione per alchimisti come Paracelso e Cornelio Agrippa, e gli intima di lasciare stare quelle che etichetta come sciocchezze. Un intero sistema di credenze viene minato alla base dall’atteggiamento dell’insegnante, ma è l’occasione per Victor di considerare da un’altra prospettiva i propri studi, e di considerare gli alchimisti come predecessori della scienza moderna, quindi senza rinnegare il proprio percorso, ma portandolo a una svolta. Anche l’interesse di Victor per figure come queste, che hanno da sempre cercato di superare i limiti del mondo conosciuto (basti pensare alle ricerche sulla pietra filosofale e sull’immortalità), è indicativo dello spirito con cui egli si accosta allo studio della philosophia naturalis.
Conoscendo un altro insegnante, mister Waldman, Victor trova un vero amico: al nome degli alchimisti egli sorride, ma con affetto e comprensione, poiché consapevole del loro contributo al progresso scientifico. Da qui trapela il messaggio di Mary Shelley sulla negatività dei comportamenti discriminatori come quello di mister Krempe, offrendo in contrapposizione la figura di Waldman, nella quale si vede l’effetto della comprensione e dell’apertura verso ciò che per senso comune può essere considerato come inutile e sterile: esse possono rendere le persone più complete e apprezzabili.

 


Il percorso nello studio della vita e della morte in funzione della scienza è segnato da una discesa negli incubi della mente umana e nella follia derivante dall’incessante e violento alternarsi di speranza e fallimento; egli vive giorno e notte immerso in una dimensione di decadimento e putrefazione, vagando tra mattatoi e cimiteri alla ricerca di materie prime per creare una nuova vita.


L’esistenza di Victor è di nuovo segnata da un atto giudicato peccaminoso secondo il senso comune; il suo sentimento d’amore è macchiato dall’incesto, mentre ora le sue aspettative vertono verso una meta tradizionalmente proibita, quella di oltrepassare i limiti che dividono la vita dalla morte. Questo è un segno rivelatore della coincidenza tra l’allontanamento dai canoni, comunemente accettati, di normalità, e il processo di distanziamento dalla società civile.


Le scelte di vita e il carattere del protagonista segnano la sua strada verso una totale incomunicabilità con il mondo intorno, al termine della quale la cesura diventerà così netta da permettergli di compiere un’unica scelta, cioè quella di inseguire la creatura quale causa dei suoi mali, mentre in realtà essa è solo prodotto delle sue aspirazioni. Già dall’inizio i legami tra l’uomo e la realtà cominciano a spezzarsi, come quelli familiari:
The summer months passed while I was thus engaged, heart and soul, in one pursuit. It was a most beautiful season; never did the fields bestow a more plentiful harvest, or the vines yield a more luxuriant vintage: but my eyes were insensible to the charms of nature. And the same feelings which made me neglect the scenes around me caused me also to forget those friends who were so many miles absent, and whom I had not seen for so long a time.
Victor si rende conto della natura corrotta della situazione in cui si trova, ma il suo entusiasmo soffoca ogni senso critico, impedendogli di valutare il peso e il significato della sua indagine.

 

 

 

 

 

 

4. La nascita della creatura – Ritorno alla realtà e recupero dei legami

All’apparente successo dell’esperimento corrisponde in realtà un totale fallimento delle aspettative di Victor: il corpo che ha generato è orribile alla vista, e il senso comune, facendosi strada in lui, gli mostra la peccaminosità del suo atto. C’è un immediato ritorno al piano della razionalità, che gli fa comprendere le possibili conseguenze del suo gesto, e si rende conto del prezzo che ha pagato per poi ottenere una delusione, cioè la stessa salute fisica e mentale. Così alla fuga della creatura dal laboratorio, egli prova solo un senso di sollievo.
A questo punto è dimostrata di nuovo l’importanza degli affetti familiari: Henry Clerval offre il proprio aiuto per aiutarlo a rimettersi, e rimane ad assisterlo piuttosto che seguire gli studi ora concessigli dal padre, inizialmente non disposto a lasciarlo andare all’Università. Ancora una volta l’amore che scaturisce dai rapporti umani rappresenta un’isola di conforto nella quale il dolore del protagonista cessa.


Altro mezzo di connessione col mondo degli affetti è una lettera inviata da Elizabeth, grazie alla quale Victor può ricollegarsi alla sua origine. Qui al lettore viene nuovamente presentato un personaggio che nel corso della propria vita è stato messo alla prova dal caso, cioè Justine Moritz, la domestica di casa Frankenstein. Terza di quattro fratelli, era sempre stata invisa alla madre, la quale, dopo la morte del marito, non aveva fatto che trattarla male. Fu assunta da Caroline (meccanismo affine all’adozione di Elizabeth), alla quale Justine guardò sempre con grande rispetto; tornata per un certo periodo ad aiutare la madre, in difficoltà dopo la morte degli altri tre figli, dovette di nuovo sopportare le sue angherie, dettate dal rimorso di non essere mai stata giusta nei confronti della figlia. Alla morte della madre, è rimasta infine a casa Frankenstein. Il suo carattere rimane impeccabile in ogni situazione, e la sua grande dignità le permette di poter essere affiancata alle altre figure angeliche del racconto, le quali conservano il decoro anche nelle situazioni che possono sembrare disperate.
Ora l’unico mezzo per Victor di superare il proprio fallimento è ripudiare tutto ciò che era stato materia di studio; naturalmente mister Krempe ironizza sarcastico sul cambiamento di studi di Victor, ma egli è più impegnato a ritornare quello di prima, per dimenticare l’accaduto.

 

 

 

 

 

5. L’irreversibilità delle scelte compiute – Il concetto di consapevolezza e responsabilità

 

Purtroppo per lui, deve presto affrontare i propri errori; così viene a sapere poco prima della partenza per Ginevra della morte del giovane fratello William, strangolato nel bosco. Nella lettera che contiene la notizia, Elizabeth ancora una volta si fa carico della responsabilità morale dell’accaduto, esprimendo il proprio rammarico per non essere stata capace di comprendere i bisogni di William. Mentre Victor e Henry tornano indietro, il primo percepisce con chiarezza i cambiamenti del paesaggio, prima florido e ora desolato e spoglio: è segno dell’avvenuto cambiamento nella vita del ragazzo, il quale ora ha cominciato il proprio irreversibile cammino verso l’annichilimento di ogni speranza. Man mano che procede, si fa notte, lo scenario si inselvatichisce e non resta che una percezione di dolore e paura.
While I watched the tempest, so beautiful yet terrific, I wandered on with a hasty step. This noble war in the sky elevated my spirits; […] I perceived in the gloom a figure which stole from behind a clump of trees near me; I stood fixed, gazing intently: I could not be mistaken. A flash of lightning illuminated the object, and discovered its shape plainly to me; its gigantic stature, and the deformity of its aspect, more hideous than belongs to humanity, instantly informed me that it was the wretch, the filthy daemon, to whom I had given life.


In un attimo l’incubo di Victor ritorna a gravare sulla sua coscienza, e la sola vista della creatura, che lui chiama the filthy Daemon, sullo sfondo di una violenta tempesta, lo terrorizza a morte. Basta poco a Victor, in preda al panico, per associare le due figure della creatura e dell’assassino del fratello: il senso di colpa sentito dal protagonista giustifica il passaggio che egli compie, all’interno della propria mente, dalla figura di esteticamente brutto a moralmente corrotto, sulla base di un semplicissimo stereotipo comune. Probabilmente su questo giudizio influisce in gran parte il senso morale comune della società contemporanea, che ha implicitamente condannato l’esistenza di Victor, perché peccatore, ma in realtà traspare la vera natura del suo presunto sbaglio: egli non sente di avere sbagliato nei confronti dell’etica, la quale vuole tenere separati gli ambiti di vita e di morte, ma crede, con il fallimento, di avere tradito le aspettative che egli stesso e la comunità scientifica nutrivano. Infatti, se si prova un attimo a riflettere su cosa sarebbe derivato da un eventuale successo dell’esperimento, viene spontaneo chiedersi se, in caso di felice realizzazione, Victor avrebbe trovato egualmente così riprovevole il risultato ottenuto e se si sarebbe pentito del percorso compiuto.
Così lo scienziato si affretta a tornare a casa, con un implicito bisogno di conforto che solo la sua famiglia gli può dare. Purtroppo per Victor, una volta arrivato dai propri famigliari, in un attimo epifanico gli si rivela l’essenza degli avvenimenti che sono passati, o avverranno di lì a poco: la colpa della morte di suo fratello, nel caso probabile in cui sia avvenuta per mano della creatura, è imputabile solo a se stesso, perché è stato lui a dare il via alla serie di eventi. Il dolore di questa consapevolezza si somma alla delusione del fallimento ottenuto all’Università, e non fa che aumentare il rimorso, ma allo stesso tempo fa crescere anche il suo odio nei confronti del prodotto del suo esperimento: così ogni sensazione di Victor si sposta e concentra nell’emozione di risentimento.

 

6. Il processo – Critica della giustizia e del sistema politico

 

La situazione non fa che peggiorare: nel momento in cui Victor chiede di incontrare Elizabeth, apprende che è dilaniata dal peso della responsabilità che sente su di sé dopo la morte del giovane; inoltre, gli dicono che è già stato trovato l’assassino, Justine Moritz. Il protagonista è desolato, ma sebbene tema per l’incolumità della giovane, la quale sta per subire un processo, pensa di poter ancora confidare nella sensibilità della gente del paese e della giustizia. In realtà, dentro di sé, conosce perfettamente la mentalità dei paesani e sa che, se andasse a testimoniare a favore della domestica, raccontando della creatura, sarebbe guardato come un povero pazzo; è la prova evidente della predisposizione della folla alla credenza non supportata da alcuna prova, al pettegolezzo e al pregiudizio, i quali non possono che portare a errori di valutazione.
I could not sustain the horror of my situation; and when I perceived that the popular voice, and the countenances of the judges, had already condemned my unhappy victim, I rushed out of the court in agony. The tortures of the accused did not equal mine; she was sustained by innocence, but the fangs of remorse tore my bosom, and would not forego their hold.
Infatti, tutti i testimoni chiamati a favore di Justine parlano di lei sotto l’influenza delle dicerie sentite, e la giudicano colpevole ancora prima che la sentenza venga emessa. Victor ed Elizabeth assistono a tutto questo impotenti: il simbolo di chi conosce la verità, oppure ha la certezza attraverso lo strumento della fede, ma non può comunque reagire perché messo in minoranza dall’imperante senso comune.


Nella decisione unanime della corte si rintraccia la metafora dell’uccisione dei valori di verità e innocenza, non a caso incarnate nella figura di una donna non nobile ma onesta, innocente, fiera del proprio io, la quale fino all’ultimo conserva la propria dignità a dispetto della miserabile vita condotta. Si può anche vedere il chiaro fallimento della fiducia del singolo, impersonato da Victor ed Elizabeth, nella giustizia assicurata dalla società, proprio a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, cioè inizio del periodo di affermazione delle grandi nazioni repubblicane europee. La diffusione dell’ignoranza dettata dal preconcetto segna, in un certo senso, la fine delle possibilità di affermazione dell’individuo all’interno dello Stato, esso stesso organizzato in modo da allontanare, attraverso l’istituzione della burocrazia, queste due sfere di appartenenza e identità.

 

7. Uomo o Dio? – Il giudizio dettato dal senso comune

 

La stessa Justine confessa di propria spontanea volontà, poiché le è stato fatto credere, attraverso iterate minacce che l’hanno annichilita e privata della propria identità, di essere colpevole: l’ingiustizia alla base del sistema politico subentra nella coscienza della verità e la convince di essere lei stessa causa del degrado sociale. In tutto questo, le armi che le rimangono sono la dignità e la fede:
"I do not fear to die," she said; "that pang is past. God raises my weakness, and gives me courage to endure the worst. I leave a sad and bitter world; and if you remember me, and think of me as of one unjustly condemned, I am resigned to the fate awaiting me. Learn from me, dear lady, to submit in patience to the will of Heaven!"


La frase di Justine può però essere un monito per chi confida esclusivamente nella provvidenza divina per giustificare questi atti. L’intera vicenda di Victor si esaurisce sul piano umano, e la soluzione per Mary Shelley non può essere vedere il piano di Dio come causa di tutto, bensì capire la natura fallace dell’uomo, comune a ogni essere vivente: ogni accusatore diventa così a sua volta imputato di una colpa condivisa. È lo stesso discorso esposto nell’opera più volte citata nel corso della storia, cioè il Paradiso perduto di John Milton (1667): nella storia, che parla della ribellione di Lucifero, e della cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino dell’Eden, la colpa del peccato originale è comune a uomo, donna e angelo, indiscriminatamente da chi abbia compiuto per primo il gesto. È l’invito non a rinnegare la religione, bensì ad acquisire senso critico in modo da capire i propri errori e poterli evitare in futuro; il punto più importante è il messaggio del perdono, dal quale nessuno, sia credente oppure no, è esente dal considerare. Il perdono di Justine avrebbe salvato un innocente; il perdono della creatura che Victor dovrà affrontare potrà evitare disgrazie e sofferenze a entrambi; il perdono di Victor da parte della gente comune, inteso come accettazione e conforto, avrebbe evitato il suo odio nei confronti di una persona che non aveva alcuna colpa, in altre parole la creatura.
La stessa folla deve guardare a sé con occhio critico, poiché sussiste un problema di fraintendimento che affonda le sue radici all’inizio del sistema della morale: si è instaurata nel corso dei secoli una lacuna creata dal senso comune, il quale, condannando un atto solo per sentito dire e concezione approvata comunemente, fa sentire colpevole un individuo quando forse egli non ha alcuna colpa, perché non esiste il peccato in sé. La discriminazione alla quale Victor crede di poter essere soggetto, nel caso in cui sia scoperto ciò che ha fatto, non ha una prova empirica, ma egli compie direttamente un collegamento tra atto immorale e conseguente pena, prova di come l’emarginazione avvenga implicitamente nel romanzo perché radicata a fondo nel sistema sociale.

 

8. A faccia a faccia – L’affrontare se stessi e le proprie responsabilità

 

8.1. La duplice presenza di senso di colpa e accusa dell’altro

La sensazione di ribrezzo che Victor nutre è un continuo altalenare di attribuzione di colpa, prima verso di sé e poi verso la creatura, prodotto delle sue azioni; questo lo porta a chiedersi quando avverrà il prossimo delitto, maturando con sempre maggior convinzione la conclusione che l’assassino sia l’altro, sebbene la prova non sia ancora stata presentata.
Come risposta alle difficoltà il giovane parte verso le selvagge vette delle Alpi Svizzere, fino alla cima del Monte Bianco; il conforto dell’amore famigliare non basta a placare l’esigenza di consolazione, e pertanto la natura è simbolo di un eventuale rifugio di purificazione attraverso le dure condizioni climatiche imposte al protagonista. Come si può facilmente notare, il luogo scelto dall’autrice assomiglia molto allo scenario iniziale del romanzo: il Polo e la montagna sono due rappresentazioni dei confini del mondo, oltre i quali l’avventore spera di poter trovare ciò che desidera, sia esso gloria, riscatto o consolazione.


L’ambiente gli permette di iniziare una riflessione sulla condizione dell’uomo che ha raggiunto la conoscenza:
Alas! why does man boast of sensibilities superior to those apparent in the brute; it only renders them more necessary beings. If our impulses were confined to hunger, thirst, and desire, we might be nearly free; but now we are moved by every wind that blows, and a chance word or scene that that word may convey to us.
È chiaramente dimostrata la connessione che Mary Shelley ha voluto stabilire tra l’acquisizione di conoscenza e la discriminazione subita dal soggetto rispetto al mondo ignorante. Il paradosso risiede nel fatto che chi non sa ha la presunzione di sentirsi, senza alcuna base logica, in diritto di considerare chi conosce la verità come bugiardo, solo perché, come già spiegato a suo tempo in occasione della nascita della creatura, essi compiono un salto automatico e ingiustificato dal concetto di conosciuto da molti a quello di logicamente corretto. La verità risiede talvolta quindi nella falsità ritenuta tale da molti, e chi conosce il vero diventa discriminato solo perché tanti non pensano nel suo stesso modo. L’ignorante non solo non la pensa a modo proprio, ma non pensa a modo proprio, cioè non solo non ha una opinione, bensì diventa schiavo della chiacchiera impersonale creandosi un’opinione sbagliata.

 


In un attimo la creatura gli si profila davanti, riportando in superficie tutto l’astio provato nei mesi precedenti:
"Devil," I exclaimed, "do you dare approach me? and do not you fear the fierce vengeance of my arm wreaked on your miserable head? Begone, vile insect! or rather, stay, that I may trample you to dust! and, oh! that I could, with the extinction of your miserable existence, restore those victims whom you have so diabolically murdered!"
"I expected this reception," said the daemon. "All men hate the wretched; how, then, must I be hated, who am miserable beyond all living things! Yet you, my creator, detest and spurn me, thy creature, to whom thou art bound by ties only dissoluble by the annihilation of one of us. You purpose to kill me. How dare you sport thus with life? Do your duty towards me, and I will do mine towards you and the rest of mankind. If you will comply with my conditions, I will leave them and you at peace; but if you refuse, I will glut the maw of death, until it be satiated with the blood of your remaining friends."
"Abhorred monster! fiend that thou art! the tortures of hell are too mild a vengeance for thy crimes. Wretched devil! you reproach me with your creation; come on, then, that I may extinguish the spark which I so negligently bestowed." My rage was without bounds; I sprang on him, impelled by all the feelings which can arm one being against the existence of another.
He easily eluded me, and said--


"Be calm! I entreat you to hear me, before you give vent to your hatred on my devoted head. Have I not suffered enough that you seek to increase my misery? Life, although it may only be an accumulation of anguish, is dear to me, and I will defend it. Remember, thou hast made me more powerful than thyself; my height is superior to thine; my joints more supple. But I will not be tempted to set myself in opposition to thee. I am thy creature, and I will be even mild and docile to my natural lord and king, if thou wilt also perform thy part, the which thou owest me. Oh, Frankenstein, be not equitable to every other, and trample upon me alone, to whom thy justice, and even thy clemency and affection, is most due. Remember, that I am thy creature; I ought to be thy Adam; but I am rather the fallen angel, whom thou drivest from joy for no misdeed. Everywhere I see bliss, from which I alone am irrevocably excluded. I was benevolent and good; misery made me a fiend. Make me happy, and I shall again be virtuous."
“I expected this reception, all men hate the wretched”. La prima frase mai pronunciata dalla creatura è indicativa del messaggio del romanzo: anche se si è già sofferta una vita da miserabile, c’è solo da aspettarsi di ricevere odio, persino da chi ci ha generato. A parlare è la voce dell’uomo emarginato e maltrattato, ma non prende le sembianze delle figure dei discendenti di Adamo ed Eva, bensì di Lucifero, l’angelo caduto; commise in passato l’atto immorale di inalberare lo stendardo della rivolta contro Dio, peccando di superbia, ma ora chiede solo perdono per rientrare nella grazia del suo creatore. Come si può aspettare, infatti, di riconciliarsi col mondo, se persino chi lo ha concepito ora lo rinnega?

 

8.2. Il totem – Il rapporto tra padre e figlio

Il rapporto tra padre e figlio è ben analizzato da Sigmund Freud nel corso dei suoi studi di psicoanalisi; in particolare, nel saggio Totem e tabù (1912), fa riferimento a situazioni di vita primitive, o talvolta a narrazioni mitologiche, per spiegare la questione del padre e del parricidio. Freud espone l’evoluzione della religione nel tempo, basandosi anche sugli studi di William Robertson Smith . All’inizio erano presenti riti come il banchetto totemico, di natura sacrificale, nei quali si uccideva o sacrificava un totem, per poi nutrirsene. Il concetto di totem è illustrato sempre in Totem e tabù:
Che cos’è il totem? Di solito un animale, un animale commestibile, innocuo o pericoloso e temuto; oppure, più raramente, una pianta o un elemento naturale (pioggia o acqua), legato a tutto il clan da un rapporto particolare. Il totem è in primo luogo il capostipite del clan, ma ne è anche lo spirito tutelare e il soccorritore che trasmette oracoli alla sua gente e, se pur pericoloso agli altri, riconosce e risparmia i suoi figli. I membri del clan, per contro, hanno il sacro dovere – pena la punizione automatica – di non uccidere (o distruggere) il loro totem e devono astenersi dalla sua carne (o dall’usufruirne in qualunque modo). Il carattere di totem non è insito in un singolo animale o in un singolo essere, ma in tutti gli individui della stessa specie.
Si vede come nel concetto atavico di totem si possano rintracciare i tratti distintivi della figura della divinità, fin dai tempi primitivi: essendo il totem capostipite della tribù, ne è anche padre. Il totem però coincide anche con l’intero clan, e pertanto l’atto di cannibalismo-parricidio quindi questo sacrificio è inteso come uccisione della carne del totem per dare più forza al totem stesso, cioè la tribù; cioè la natura comunitaria del gesto fa in modo da scontare la punizione che deriverebbe dall’atto infrangente la legge totemica.
All’inizio, quindi, il gesto di uccidere il padre è il simbolo della lotta per interiorizzare tutte le sue caratteristiche, sotto la spinta di una duplice pulsione di idolatria e disprezzo dettato dall’invidia nei confronti di tutto quello che il totem poteva ottenere a dispetto della virtù. Il sacrificio rende così sacra la figura del padre, elevandola al rango di divinità. Con il tempo il sacrificio acquista valore di omaggio per rispetto nei confronti del divino, e di auto privazione, allo scopo di placare il senso di colpa derivante dal gesto che aveva infranto la legge totemica. Si instaura un processo di alienazione rispetto al rapporto iniziale con il dio, che trova il suo compimento nell’istituzione dei sacerdoti, figure mediatrici. La natura umana dei mediatori, però, rende la figura del dio autoritaria e dispotica che pretende vendetta per l’affronto subito, tanto da portare gli uomini a credere che egli stesso pretenda il sacrificio votivo. Così si sbilancia il rapporto che inizialmente sussisteva tra totem e dio, oggetto del sacrificio e destinatario: ora l’adorazione verte sempre più in direzione del secondo. Col passare del tempo nascono miti nei quali il soggetto si presenta quasi sempre come figlio aiutato da una figura caritatevole di madre, che si abbandonano alla passione incestuosa e al piacere libidico; la via per redimersi è vista nella religione cristiana, nella quale l’uccisione del figlio risveglia il ricordo del sacrificio: l’uomo uccide l’uomo stesso. La comunione stessa è rievocazione del banchetto totemico primitivo, nel quale il clan mangia parte di sé, per tornare a una dimensione terrena e immanente del potere.


In questo modo, la sofferenza per il peccato commesso torna a presentarsi nel corso della storia, assumendo proporzioni diverse secondo il nucleo di riferimento; nella dimensione umana, ad esempio, con l’istituzione di miti e leggende, specialmente greche: nelle tragedie si presenta spesso lo schema che vuole un eroe che giunge alla redenzione dopo un percorso travagliato. Un famoso esempio è la tragedia di Edipo re, dalla quale Freud trarrà spunto per formulare il concetto di complesso edipico. Nella dimensione famigliare, invece, il rimorso si materializza nel tormentato rapporto tra padre e figlio, fatto della duplice pulsione di ammirazione e disprezzo, dal quale si origina il meccanismo del complesso edipico, il quale, se continua a persistere dopo l’età infantile, genera le nevrosi.
La creatura è un personaggio innovativo allo stesso modo di Victor Frankenstein, perché, sebbene con solennità, rivolge pesanti accuse verso il proprio creatore; tenta una riappacificazione, e rinnega la propria lotta, ma fa notare come una figura buona e caritatevole come quella di Victor, o di Dio, sia in realtà ambivalente, facendo emergere il suo lato carico d’ira e risentimento per l’affronto subito: chi chiama assassino la creatura, dopotutto, è il primo a minacciare di distruggerlo. La creatura sembra comprendere il vero valore della vita che le è stata data, e con essa ora Victor si permetterebbe di giocare. Così vuole chiedere qualcosa, un riscatto per la sofferenza che sembra abbia dovuto sopportare fino a questo momento per essere stato allontanato dai rapporti con gli altri; prima però intende spiegare cosa ha passato raccontando la sua storia.

 

9. Rinnegato – Il bisogno di accettazione

 

Come un neonato, i primi momenti di vita della creatura constano dei primi rapporti col mondo attraverso l’uso dei sensi. Ogni elemento che identifica intorno a sé, però, lo spaventa, dalla luce al buio, dal freddo al caldo. Questo dovrebbe già far capire come in realtà sia molto più vicino a un essere umano di quanto possa sembrare; allo stesso modo di Lucifero appena arrivato nell’Inferno, allo stesso modo di Adamo ed Eva appena cacciati dal giardino dell’Eden, è lasciato da solo in un ambiente sconosciuto e potenzialmente pericoloso. Grazie ai resti di un falò di campeggiatori scopre il fuoco, fonte di luce e calore, simboli della verità e dell’affetto, che lo accompagna nella solitudine cui è condannato; ogni esperienza è positiva per lui, sebbene comporti pro e contro.
[…] I longed to obtain food and shelter; at length I perceived a small hut, on a rising ground, which had doubtless been built for the convenience of some shepherd. This was a new sight to me; and I examined the structure with great curiosity. Finding the door open, I entered. An old man sat in it, near a fire, over which he was preparing his breakfast. He turned on hearing a noise; and, perceiving me, shrieked loudly, and, quitting the hut, ran across the fields with a speed of which his debilitated form hardly appeared capable. His appearance, different from any I had ever before seen, and his flight, somewhat surprised me. But I was enchanted by the appearance of the hut: here the snow and rain could not penetrate; the ground was dry; and it presented to me then as exquisite and divine a retreat as Pandaemonium appeared to the daemons of hell after their sufferings in the lake of fire.


In questo estratto è presente una nota che rimanda al primo libro del Paradiso perduto di Milton, esattamente al verso 170:
There stood a Hill not far whose griesly top
Belch'd fire and rowling smoak; the rest entire
Shon with a glossie scurff, undoubted sign
That in his womb was hid metallic Ore,
The work of Sulphur.
Dalla descrizione si può evincere con quale stupore e curiosità i demoni, appena caduti dal Cielo, guardassero il Pandemonio; aiuta a intendere la portata dell’ammirazione che la creatura nutre nei confronti di un semplice, malridotto riparo.


Il primo incontro con un essere umano non ha buon esito, ma la creatura non capisce perché; è l’unico uomo che ha visto finora, e non si può rendere conto di come la propria immagine appaia diversa da tutto il resto delle persone. La cosa che però importa è la sua sensazione nel vedere un riparo, l’immediato e inconscio bisogno di vivere la propria vita protetti da qualcosa, sia esso una reggia, un capanno oppure il Pandemonio per i demoni reietti. La creatura percepisce allo stesso modo di tutti gli altri la necessità di appartenere a qualcosa, di avere un significato; e, per averlo, serve qualcosa con cui il soggetto si metta in rapporto: l’ambiente di vita è un esempio di quest’oggetto di rapporto.
Quando la creatura prova a entrare in un villaggio, si scontra con la dura realtà del proprio essere: assiste solo a una violenta reazione da parte dei contadini, che lo aggrediscono senza dargli alcuna possibilità di esprimersi. L’unica soluzione è scappare e rintanarsi in un piccolo capanno per l’accatastamento della legna vicino a una casa.
Here, then, I retreated, and lay down happy to have found a shelter, however miserable, from the inclemency of the season, and still more from the barbarity of man.

 

 

 

 


La crudeltà mostrata dai contadini è stata generata dallo spavento causato dall’aspetto della creatura, e questo fatto lo convince a preferire la solitudine e le intemperie, piuttosto che subire l’odio della gente. Col tempo però scopre di abitare vicino a una famiglia povera composta di due ragazzi e un anziano signore, e si mette a osservarli. La creatura è capace così di scoprire il valore di aspetti della vita che probabilmente su altre persone non sortirebbero lo stesso effetto; bisogna ricordare che comunque è inesperto allo stesso modo di un bambino, e qualsiasi fatto osservato ha la capacità di stupirlo con la stessa intensità degli altri.


Quando vede queste persone piangere, si chiede il motivo della loro tristezza; ai suoi occhi hanno ogni cosa che possono chiedere dalla vita, come l’amore e un riparo. Questo mostra la relatività dei concetti e il vero valore delle azioni quotidiane che una persona magari non è più abituata a prendere in considerazione. In seguito però si rende conto di come essi soffrano la povertà, e di come spesso, ad esempio, i due giovani rinuncino alle proprie porzioni di cibo per darle al vecchio cieco; dei simili gesti commuovono la creatura, e mossa dall’affetto che comincia a provare nei loro confronti, inizia a fare dei piccoli lavori, come raccogliere la legna. Questo accade perché, in tal modo, la creatura crede inconsciamente nella possibilità di essere accettato da coloro cui fa del bene; fa sempre parte del meccanismo di lavoro compiuto attraverso la rinuncia e aspettativa di premio citato in precedenza.

 

9.1. Il ruolo del linguaggio come mezzo di affermazione

La creatura scopre anche una parte importante della vita di tutti i giorni che lo avvicina gradualmente al mondo in cui egli si sta inserendo, cioè il linguaggio, il quale ha la proprietà di veicolare emozioni, sentimenti e concetti attraverso i suoni, e in seguito attraverso la parola scritta. Così diviene anche capace di dare un nome agli abitanti della capanna: i due giovani, fratello e sorella, si chiamano Agatha e Felix. Se esaminato sotto la prospettiva della creatura, ci possiamo rendere conto della straordinarietà dello strumento che possediamo:
By degrees I made a discovery of still greater moment. I found that these people possessed a method of communicating their experience and feelings to one another by articulate sounds. I perceived that the words they spoke sometimes produced pleasure or pain, smiles or sadness, in the minds and countenances of the hearers. This was indeed a godlike science, and I ardently desired to become acquainted with it.


Ancora una volta, ritorna il tema della brama per la conoscenza, atto giudicato come superbo dall’imperante senso morale; bisognerebbe però rendersi conto dell’innocenza di questa necessità, ricercata per vari motivi e soprattutto da molte più persone di quante ci si possa aspettare.
Prima di tutto, l’essere vivente sembra contenere in sé uno stimolo, almeno inconscio, al miglioramento della persona: in questo caso, il linguaggio, una volta acquisito come abilità, entra a far parte del bagaglio culturale dell’individuo e contribuisce alla sua primordiale ricerca del senso di completezza derivante dall’acquisizione di nuove competenze e dall’evoluzione della propria persona.


In secondo luogo, un’altra caratteristica degli esseri umani è quella di cercare mezzi per entrare nella società e non esserne escluso (e quindi emarginato); la creatura, per esempio, si vuole conformare al modello di comunicazione degli esseri umani perché anche solo dentro di sé ha la spinta inconscia all’omologazione. È naturale che questo bisogno di accettazione abbia diversi gradi, e così abbiamo un’ampia scala di esempi: essa va da chi opta per una minima rinuncia di un aspetto della propria essenza, con un parziale meccanismo di alienazione, fino a una totale cessione della propria identità per arrivare alla completa accettazione, anche se non si sa il risultato che ne potrà conseguire. Pertanto la conquista del linguaggio può essere vista in realtà come l’adattamento dell’individuo al modello comunemente condiviso; si è già osservato però, in occasione del processo di Justine, come l’omologazione comporti il rischio di cadere in errori di valutazione nei rapporti con altre persone.

 

9.2. Un male necessario – La rimozione delle pulsioni

 

A questo proposito, Sigmund Freud, nel suo saggio chiamato Il disagio della civiltà (1929), analizza il legame che sussiste nel meccanismo di rimozione e aspettativa. Egli trova come il comportamento dell’uomo nei confronti della civiltà sia rimasto, in sostanza, invariato rispetto all’epoca preistorica dell’uomo selvaggio, che ha potuto studiare osservando popolazioni dotate di una struttura sociale ancora primordiale, come gli aborigeni australiani, gli indiani pellerossa o i maori: sono studi ai quali ha fatto riferimento anche per la composizione di Totem e tabù, sopra citato . Egli scopre che gli influssi reciproci fra natura umana, sviluppo sociale e strutture sociali (il pensiero tramandato, la tradizione, la religione, ecc...) hanno un collegamento con i moti d’interazione tra i luoghi della psiche, cioè Io, Es e Super-Io. Nel corso dell’esposizione della seconda topica , Freud ha mostrato come l’Es, polo pulsionale della personalità e insieme delle spinte inconsce all’azione, abbia un rapporto di sviluppo dinamico con il Super-Io, l’insieme delle leggi e del patrimonio culturale con il quale l’individuo si confronta continuamente: il punto d’incontro e mediazione, non conflittuale, è proprio l’Io, la vita conscia. Poiché però molte pulsioni della libido, intesa come energia sessuale, ma anche come spinta primordiale alla sopravvivenza, sono incompatibili con i canoni richiesti e ammessi dalla società, allora sussiste una repressione delle pulsioni dichiarate non conformi, che viene definita principio di realtà.
Così per Freud la civiltà è un male, perché nasce dalla soppressione da parte dell’essere della sua stessa essenza, ma necessario, per placare il caos degli istinti che vertono all’individualità e all’amoralità, e sono quindi incompatibili con la vita comunitaria. D’altra parte, se ogni individuo seguisse le proprie pulsioni, non potrebbe sussistere alcun tipo di organizzazione sociale.


Se la civiltà impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualità ma anche all'aggressività dell'uomo, allora intendiamo meglio perché egli stenti a trovare la sua felicità in essa. Di fatto l'uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L'uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po' di sicurezza. Non dimentichiamo poi che nella famiglia primigenia solo il capo godeva di questa libertà pulsionale, gli altri vivevano in una repressione schiavistica. Il contrasto tra una minoranza che godeva dei benefici della civiltà e una maggioranza che ne era spogliata era dunque, in quei primordi della civiltà, portato agli estremi. Quanto ai primitivi oggi viventi, sappiamo ormai, dopo accurate indagini, che la loro vita pulsionale non é affatto da invidiarsi per la sua libertà, essa soggiace a restrizioni di altra specie, ma forse più rigorose di quelle dell'uomo civile moderno.
Quando giustamente protestiamo contro lo stato attuale della nostra civiltà, accusandolo di appagare troppo poco le nostre esigenze di un assetto vitale che ci renda felici, di lasciar sussistere molto dolore che probabilmente potrebbe essere evitato, quando con critica spietata ci sforziamo di mettere a nudo le radici della sua imperfezione, sicuramente esercitiamo un nostro giusto diritto e non ci mostriamo nemici della civiltà. Possiamo aspettarci di ottenere cambiamenti nella nostra civiltà con l'andare del tempo, tali che soddisfino meglio i nostri bisogni e sfuggano a questa critica. Ma forse ci abitueremo anche all'idea che ci sono difficoltà inerenti all'essenza stessa della civiltà e che non cederanno di fronte ad alcun tentativo di riforma.
“L’uomo preistorico ignorava la restrizione pulsionale”: è un indizio di come Mary Shelley, con grande anticipo rispetto alle prime teorie psicanalitiche del primo Novecento, consideri il percorso di acquisizione della cultura (componente della società) parallelo a quello dell’infelicità e dell’insoddisfazione. Anche se poi ammette che l’infelicità sussisteva anche nella vita primitiva, l’importante è la concezione del rapporto tra sapere e felicità.
In questo modo l’emancipazione, anche se al principio sembra un sacrificio, può essere vista come una scalare acquisizione delle caratteristiche e delle abilità che fanno parte fin dall’origine della nostra essenza, insomma una rivendicazione del diritto naturale al godimento delle pulsioni.

 

9.3. Il riflesso – L’importanza dell’aspetto fisico


La creatura soffre per il proprio aspetto fisico, perché ha finalmente capito qual è il canone di riferimento per gli esseri umani e il motivo della loro reazione alla sua vista. Tuttavia, anziché venire annullato dalla sgradevole sensazione del disprezzo di sé stesso, si dà da fare per aiutare, pur rimanendo nascosto, i poveri contadini; il fatto che comincino a rivolgersi a chi svolge questi lavori col nome di good spirit potrebbe essere indicativo della loro accettazione della presenza di qualcosa che non possono vedere, e la creatura si convince così di avere la possibilità di presentarsi a chi ama con le credenziali offerte dal linguaggio umano.


I thought (foolish wretch!) that it might be in my power to restore happiness to these deserving people. […] I looked upon them as superior beings, who would be the arbiters of my future destiny. I formed in my imagination a thousand pictures of presenting myself to them, and their reception of me. I imagined that they would be disgusted, until, by my gentle demeanour and conciliating words, I should first win their favour, and afterwards their love.
L’attimo di presentazione ai suoi amici è il desiderio più importante della creatura, nella speranza dell’accettazione da parte di chi ha sofferto durante tutta la propria vita, e perciò, in teoria, più propenso a comprendere chi come lui ha dovuto patire le ingiustizie della vita. In quel periodo arriva la primavera, e il risveglio della natura convince la creatura ad avere più autostima.

 

9.4. Historia magistra vitae – Signore e servo

Un giorno a cambiare l’ordine delle cose arriva una misteriosa ragazza di etnia araba, Safie, che all’apparenza conosce Felix; subito la sofferenza fino allora aleggiante sul volto del ragazzo scompare per lasciare posto a un sentimento che la creatura non comprende essere amore. Poiché la ragazza deve imparare la lingua dei contadini prima di parlare con loro, la creatura fa tesoro dell’esperienza e anche lui si mette ad ascoltare le lezioni; viene così a conoscenza delle opere della letteratura. Grazie al saggio Ruins of Empires di Comte de Volnay, il quale ripercorre la storia della stirpe umana e degli imperi formatisi in tutto il mondo, la creatura riflette sulla natura contraddittoria dell’essere umano: mentre talvolta dimostra grande sensibilità per tutto ciò che lo circonda, altre volte commette atti immorali ed egoisti, volgendo il proprio interesse verso il bene individuale. È la morale espressa dall’intera vicenda di Victor Frankenstein, la quale asserisce come la presunzione dell’uomo, accompagnata dall’avidità di potere, possono portare a conseguenze spiacevoli e, soprattutto, irreversibili.


The book from which Felix instructed Safie was Volney's Ruins of Empires. I should not have understood the purport of this book, had not Felix, in reading it, given very minute explanations. He had chosen this work, he said, because the declamatory style was framed in imitation of the eastern authors. Through this work I obtained a cursory knowledge of history, and a view of the several empires at present existing in the world; it gave me an insight into the manners, governments, and religions of the different nations of the earth. I heard of the slothful Asiatics; of the stupendous genius and mental activity of the Grecians; of the wars and wonderful virtue of the early Romans--of their subsequent degenerating--of the decline of that mighty empire; of chivalry, Christianity, and kings. I heard of the discovery of the American hemisphere, and wept with Safie over the hapless fate of its original inhabitants.
These wonderful narrations inspired me with strange feelings. Was man, indeed, at once so powerful, so virtuous and magnificent, yet so vicious and base? He appeared at one time a mere scion of the evil principle, and at another as all that can be conceived of noble and godlike. To be a great and virtuous man appeared the highest honour that can befall a sensitive being; to be base and vicious, as many on record have been, appeared the lowest degradation, a condition more abject than that of the blind mole or harmless worm. For a long time I could not conceive how one man could go forth to murder his fellow, or even why there were laws and governments; but when I heard details of vice and bloodshed, my wonder ceased, and I turned away with disgust and loathing.
Every conversation of the cottagers now opened new wonders to me. While I listened to the instructions which Felix bestowed upon the Arabian, the strange system of human society was explained to me. I heard of the division of property, of immense wealth and squalid poverty; of rank, descent, and noble blood.


The words induced me to turn towards myself. I learned that the possessions most esteemed by your fellow-creatures were high and unsullied descent united with riches. A man might be respected with only one of these advantages; but, without either, he was considered, except in very rare instances, as a vagabond and a slave, doomed to waste his powers for the profits of the chosen few! And what was I? Of my creation and creator I was absolutely ignorant; but I knew that I possessed no money, no friends, no kind of property. I was, besides, endued with a figure hideously deformed and loathsome; I was not even of the same nature as man. I was more agile than they, and could subsist upon coarser diet; I bore the extremes of heat and cold with less injury to my frame; my stature far exceeded theirs. When I looked around, I saw and heard of none like me. Was I then a monster, a blot upon the earth, from which all men fled, and whom all men disowned?


I cannot describe to you the agony that these reflections inflicted upon me: I tried to dispel them, but sorrow only increased with knowledge. Oh, that I had for ever remained in my native wood, nor known nor felt beyond the sensations of hunger, thirst, and heat!
La reazione della creatura è quella che ci potremmo aspettare dall’uomo primitivo stesso, se oggi leggesse la storia umana, una sensazione di disgusto che nasce dal vedere come tutto quello che è nato nei secoli si sia generato dalla conquista e dalla gloria di alcuni, ma a scapito della potenziale sofferenza di altri.

 


La voce della creatura è la voce della coscienza degli uomini, che vuole indurre l’intero genere umano alla riflessione sul vero concetto di potenza e conquista; ma dalle sue parole emerge l’amarezza di chi ha rinunciato da molto tempo a credere nella possibilità di redenzione, perché il problema, per l’autrice, è troppo radicato a fondo per essere rimosso. Conoscendo la passione e il trasporto con cui Mary Shelley leggeva Rousseau, riesce facile comprendere perché considerasse l’avvento della proprietà privata come punto di non ritorno: a partire da quel momento, sono nate le distinzioni che sono tutt’ora alla base del meccanismo di discriminazione, cioè povero-ricco, debole-forte, schiavo-padrone. L’emarginazione sociale dopotutto colpisce chi è diverso, estraneo ai canoni che la civiltà impone, e un individuo comincia a essere diverso quando si creano due diverse alternative di essenza, come, per esempio, ricco oppure povero. La più funzionale alla vita, intesa però come vita propria, come esistenza ridotta a una dimensione individuale ed egoistica, viene scelta da chi possiede i mezzi oppure le opportunità per goderne. Il diverso, nell’ottica di chi vive nelle condizioni migliori, è considerato come potenzialmente pericoloso, perché secondo lui possiede la carica sovversiva sufficiente a capovolgere il sistema, ed è intenzionato a usarla, dato che anche lui cerca le condizioni di vita migliori. Il problema risiede nel fatto che chi ricopre il ruolo dominante, considerato dai suoi pari normale, ha paura del pericolo potenziale che il diverso costituisce, e non del pericolo reale che magari rappresenta; perciò il pregiudizio nasce da uno stereotipo dettato dalla paura di chi non ha intenzione di essere scalzato dal proprio posto di dominanza.


Così la creatura capisce come il proprio unico destino sia di rimanere ai confini della società, senza alcuna possibilità di riscatto a causa della profondità a cui si è radicato il pregiudizio nella struttura sociale, ma la cosa che lo scoraggia maggiormente è soprattutto il fatto di non avere alcuna colpa del proprio aspetto e della propria condizione, perché le premesse di tutto risiedono all’origine della vita umana.
L’unica via di contatto che la creatura ha è quella di guardare chi ama di nascosto, quasi fosse un criminale, atto che non fa che aumentare il suo desiderio di rapporti affettivi e accettazione. Ogni argomento che studia gli ricorda di come egli sia stato escluso dalla dimensione umana: l’atto sessuale, la procreazione, l’amore, la famiglia, le amicizie gli sono precluse dall’inizio, giacché nato senza madre che lo nutrisse e senza modelli di riferimento.

 

9.5. La vera storia dei contadini

Il lettore apprende come ancora una volta i personaggi della vicenda abbiano conosciuto la decadenza a partire da una situazione iniziale di prosperità e benessere. L’anziano cieco si chiama De Lacey, e un tempo era un borghese benestante abitante a Parigi ; il padre di Safie invece era un ricco mercante turco, il quale, dopo un periodo di pesanti discriminazioni per via della sua religione, venne sottoposto a un processo farsa, e condannato alla prigione. Quando Felix venne a sapere dell’ingiusta sentenza decise di liberarlo a tutti i costi, e una delle promesse che il mercante fece al ragazzo fu la mano di sua figlia Safie, ma la richiesta non poteva essere accettata per una questione di rispetto. Dal canto suo, la giovane araba era affascinata dalla prospettiva di rimanere in un paese dove le donne fossero in diritto di costruirsi una propria vita; verrebbe spontaneo da parte del lettore questionare l’elogio della società ottocentesca, dove la donna era ancora costretta da legami e obblighi di sudditanza nei confronti dell’uomo, ma bisogna pensare che Mary Shelley viveva in una società dove era in atto un cambiamento radicale della prospettiva pubblica, e l’integralismo musulmano poteva essere assolutamente considerato come un modello di arretratezza già dal diciannovesimo secolo.
La fuga riuscì, e il ragazzo, assieme al mercante e alla sua amata, si rifugiarono in posti sconosciuti della Francia in attesa della partenza dell’anziano turco, ma alla scoperta del piano di Felix, sua sorella e suo padre furono rinchiusi in prigione. Sapendo questo, Felix abbandonò ogni possibilità di fuga per tornare dalla sua famiglia, ma l’unico risultato fu di essere punito per il suo gesto e di vedere espropriati tutti i propri beni.
Non tardò a svelarsi la vera natura del musulmano, il quale scappò lasciando la famiglia nella miseria, poiché non intendeva concedere sua figlia in sposa a un cristiano. Si delinea il fallimento della fiducia dell’uomo virtuoso nella possibilità di ricevere bene una volta che si sia dato ad altri; il pessimismo dell’autrice si rivolge, quindi, non solo a un sistema sociale corrotto e ingiusto, ma anche agli integralismi religiosi, dai quali non ci si può aspettare apertura e disponibilità. La condizione miserabile alla quale furono relegati i tre poveri famigliari non era niente rispetto alla delusione di avere perso la fiducia nella giustizia del mondo e, soprattutto, di avere perso l’amore.
Safie si ribellò al padre, in nome dell’indipendenza che ogni donna da sempre sogna, specialmente se costretta da un sistema repressivo quale quello arabo, e in ricordo della figura di sua madre, una cristiana che aveva sposato il padre della ragazza grazie alla sua virtù e alla sua integrità morale; si evince come l’autrice, sebbene all’avanguardia nel panorama dell’Ottocento, considerasse ancora, sotto l’influsso degli stereotipi della civiltà, la religione cristiana superiore a quella musulmana. Grazie comunque alla propria determinatezza la ragazza riesce a scappare e a raggiungere l’amato.
Con l’aiuto di questa storia il buon selvaggio incarnato nella creatura non fa che aumentare la sua sfiducia nei confronti dell’ambiente in cui vive; la graduale acquisizione di conoscenza e consapevolezza è un cammino irreversibile che porta solo all’infelicità, e all’incomunicabilità con gli altri.

 

9.6. La letteratura come rifugio dal mondo, la letteratura come specchio del mondo

La creatura un giorno trova dentro a un cappotto dei libri, che consistono nelle Vite parallele di Plutarco, ne I dolori del giovane Werther di Johann von Goethe e nel Paradiso perduto di John Milton. L’unico conforto che l’emarginato trova è la letteratura: la produzione scritta è il rifugio delle anime sensibili che ancora tentano di mediare tra il genere umano e la natura. Non è neppure un caso che ognuno di questi libri narri storie di persone, vere o fittizie, che di sono distinte per virtù e integrità morale, ma dalle quali la vita ha preteso dolore e sofferenza come prezzo della gloria. Sono uomini la cui sapienza è stata duplice fonte di felicità e disagio, perché li ha resi speciali, più sensibili degli altri e perciò capaci di stabilire un contatto con lo scenario in cui sono inseriti, ma proprio per questo minacce alla stabilità del piccolo mondo che gli ignoranti si sono costruiti, e non vogliono vedere andato distrutto. È la dimostrazione di come in realtà neppure in questo discorso bisogna abbandonarsi al pregiudizio: talvolta non è solo il povero che soffre, bensì è il ricco a essere discriminato perché lui stesso accusato di essere il discriminante. Insomma, la ricchezza interiore e materiale possono coincidere, oppure no; l’importante è comprendere come la seconda possa diventare, qualora se ne perda il controllo -inteso come senso critico- uno dei potenziali fattori della trasformazione a soggetto discriminante.


Allo stesso tempo, ogni libro colpisce l’attenzione della creatura per l’originalità del suo tema e della sua trattazione. L’analisi delle tematiche conduce, attraverso un graduale percorso culturale di analisi esistenziale, all’evidenziazione delle possibilità del singolo di rapportarsi con il mondo.
Con i dolori del giovane Werther, la creatura scopre il rapporto con la categoria dell’individuale e l’autoanalisi: in quest’opera sono poste le più ardue domande esistenziali, e il lettore non è esente dall’analizzarle e dal proporle a se stesso. Così, scavando a fondo nelle proprie disavventure, la creatura realizza il significato della propria solitudine e del rapporto tormentato con la società che vive intorno a sé: è il fallimento del tentativo di conciliare l’anima sensibile con gli altri esseri umani.
Leggendo le Vite parallele, il viaggio del singolo affronta la dimensione civile e sociale, con l’insieme delle strutture che ne governano la vita: in esse è vista una possibilità di mediazione che assicuri anche alle minoranze degli emarginati, dei diversi, i diritti che spettano anche a loro: si tratta di quel bisogno del diritto naturale che, secondo la teoria rousseauiana, sussisteva prima dell’avvento della proprietà privata e quindi della differenziazione umana. È insomma il tentativo di supplire alla perdita di quei diritti, rubati con la forza dalla classe imperante. Ancora una volta, però, si assiste al fallimento delle aspettative: prima di tutto, perché le vicende narrate fanno parte di un periodo lontano nel tempo, nel quale la nobiltà d’animo persisteva ancora in chi fondava un impero, e gli dava la possibilità di migliorare le condizioni di vita di chi sottostava al suo comando. In secondo luogo, perché c’è uno stallo tra possibilità di comprensione da parte del lettore e il concetto espresso dallo scritto, e quindi all’assimilazione del senso della magnificenza dei grandi imperi riesce difficile alla mente del buon selvaggio. Infine, perché chi governa è comunque un essere umano a sua volta, e può cadere nello stesso errore di chi lo ha commesso a suo tempo.


È con la lettura del Paradiso perduto che il lettore si sente completamente coinvolto e immedesimato nella vicenda: è la scoperta del piano metafisico, che trascende il livello umano. Gli uomini spesso vedono questa come meta da raggiungere per ottenere risposte, sollievo, perdono, ma anche questa prospettiva fallisce per l’emarginato. Spesso la creatura, infatti, non si immedesima in Adamo: egli è benvoluto dal suo creatore, e anche se non conosce altre forme di vita non è lasciato mai da solo dal proprio padre. Al contrario, sente maggiore affinità con Lucifero:
Many times I considered Satan as the fitter emblem of my condition; for often, like him, when I viewed the bliss of my protectors, the bitter gall of envy rose within me.


Egli sente chiaramente come il proprio destino sia quello di soffrire in eterno, senza alcuna possibilità di perdono, ma, al contrario, condannato a provare invidia nei confronti degli altri. A peggiorare la sua situazione concorre il fatto di essere da solo, mentre Satana era accompagnato dai demoni nel corso della ribellione.
Il colpo di grazia arriva quando la creatura decifra gli appunti di laboratorio di Victor, trovati nella tasca di un soprabito preso quando era scappato. Viene così a sapere le orribili circostanze della sua nascita, fatte di cimiteri, cadaveri e carne putrida, ma la cosa che lo addolora di più, dopo la consapevolezza della propria natura disgraziata e miserabile, è sapere che persino chi lo ha creato si è poi voltato causato dal disgusto che la sua vista suscitava.
L’unica speranza è quella di avvicinarsi a persone miserabili come lui, che possano comprenderlo e accettarlo; la famiglia di contadini è un’isola di felicità, completa per se stessa, ora che Safie è arrivata  a integrare il nucleo familiare e a completare l’elenco delle tipologie di rapporti agognati dalla creatura: affetto fraterno, affetto filiale, amicizia, amore. Forse è la possibilità di riscatto che la creatura ha sempre sognato:



L’occasione si presenta quando la famiglia esce a fare una passeggiata, lasciando l’anziano De Lacey da solo. La creatura entra, e comincia a raccontare come egli voglia ardentemente incontrare dei suoi amici, non menzionando alcuno della famiglia, ma ammette di avere paura all’idea di un rifiuto a causa del suo aspetto mostruoso. Viene rassicurato dal vecchio cieco sulla sua superiorità morale, che trapela dalle sue parole; ma quando la famiglia ritorna, viene solo accolto da grida e violenza.


Amarezza e disperazione aleggiano nella mente del miserabile, il quale percepisce ormai l’abisso di incomunicabilità tra sé e l’intero genere umano, accecato dal pregiudizio; il controsenso risiede proprio nel fatto che il cieco, perduto uno dei cinque principali sensi che fanno da tramite con il mondo sensibile, sia comunque l’unico essere umano che mai proverà un sentimento positivo nei confronti della natura, perché capace di guardare oltre la cortina del preconcetto, non impedito dai legami con la realtà imposti dal senso della vista.
L’unica soluzione rimasta per supplire al fallimento delle proprie speranze è la rabbia, l’odio verso gli umani e, in special modo, verso il proprio creatore.


There was none among the myriads of men that existed who would pity or assist me; and should I feel kindness towards my enemies? No: from that moment I declared everlasting war against the species, and, more than all, against him who had formed me, and sent me forth to this insupportable misery.
Sebbene distrutto per l’accaduto, dà ai contadini l’ultima possibilità di riconsiderarlo, presentandosi di nuovo alla capanna il giorno seguente, per vedere se se sia possibile una riconciliazione, ma scopre della decisiva partenza della famiglia. Quel giorno segna la rottura definitiva dell’unico legame che teneva uniti mondi radicalmente diversi come quello degli umani e quello della creatura. Per la prima volta, sensazioni di astio e vendetta riempiono il suo cuore, e alimentano la sua determinatezza nel cercare Victor Frankenstein. Mentre si dirige in Svizzera accade un altro episodio, nel quale viene ferito a causa di un colpo sparato da un ragazzo, dopo aver salvato una bambina dall’annegamento; ormai nauseato dai dispiaceri che la vita sembra riservargli come unica possibilità di vita, vagando per i boschi incontra il piccolo William Frankenstein. Il bambino pronunciando il nome Frankenstein fa capire alla creatura di essere parente del suo crudele artefice; così, quando si mette a strillare dalla paura, fa scaturire nel cuore dell’essere diverse sensazioni, che vanno dal profondo risentimento verso Victor, alla voglia di soffocare quel grido che gli ricorda, pur senza contenere alcuna parola, quanto sia inviso, disprezzato ed escluso dal mondo. Così in un attimo di raptus strangola il piccolo.
Il ritratto di Caroline che trova al suo collo viene messo nelle tasche di Justine, addormentata in un fienile: la bellezza delle due donne, prima cosa che colpisce la creatura, è emblema di tutto ciò che gli è pregiudicato, e inoltre il canone di bellezza degli esseri umani è la causa prima della sua discriminazione; perciò, saranno loro a sopportare la colpa dell’omicidio.

 

10. Che cosa voglio – Desiderio di pagamento per il riscatto delle discriminazioni subite

 

La creatura finisce di raccontare le proprie disavventure; sperando che il suo artefice abbia compreso quanto dolore ha dovuto sopportare, ha solo una richiesta da fare.
We may not part until you have promised to comply with my requisition. I am alone, and miserable; man will not associate with me; but one as deformed and horrible as myself would not deny herself to me. My companion must be of the same species, and have the same defects. This being you must create.
È logico come l’oggetto della richiesta sia proprio la cosa che gli è mancata fin dall’inizio all’essere per sentire la propria completezza; la nascita di una creatura femminile uguale a lui comporterebbe un confronto con una persona nella stessa situazione, con gli stessi difetti, capace perciò di comprendere la sofferenza del sentire la diversità sulla propria pelle.
Victor non intende esaudire questa richiesta, perché un’altra creatura, nel suo punto di vista, porterebbe solo morte e distruzione; bisogna anche pensare come ripetere lo stesso esperimento eseguito sei anni prima potrebbe condannare un’altra persona alla sofferenza e alla discriminazione. La scelta di Victor non è facile, poiché per rimediare a un errore comporterebbe ripeterlo ancora una volta.

 


Sebbene lo scienziato sia disgustato dalla vista della creatura, è mosso dalla sua ferrea e pacata retorica, e alla fine acconsente di esaudire la richiesta, alla promessa che, una volta finito, se ne vadano per sempre dal mondo civile. La paura di eventuali assassinii viene esorcizzata dalle rassicurazioni della creatura: se vivrà con qualcuno che gli saprà dare amore, la rabbia e il risentimento scompariranno.

 


Guardando il suo incubo che si allontana, Victor sa bene che il rimorso derivante dai suoi gesti non scomparirà mai, e dentro di sé nutre ancora dubbi su quale sia la scelta giusta da fare. Così rimanda sempre l’inizio dell’esperimento, pienamente consapevole di dover affrontare per la seconda volta un cammino di degrado e orrore che sperava di aver dimenticato per sempre.

 


Il padre Alphonse pensa che le sue preoccupazioni riguardino il suo rapporto con Elizabeth e il matrimonio che era stato deciso da tempo ma mai messo in atto, e gliene parla, ma Victor afferma che, al contrario, sarebbe felice di sposare finalmente la donna amata. In realtà, guarda spaventato questa prospettiva, perché la creatura potrebbe riversare la sua vendetta sulle persone a lui care.
Victor decide che il giorno in cui sposerà Elizabeth, sarà per lasciarsi alle spalle ogni cosa del passato: questo dimostra come nella donna Mary Shelley incarni il simbolo del Paradiso pacificatore, inteso come prospettiva di abbandono della sofferenza della vita terrena, ingiusta e imperfetta.
Parte così assieme a Henry per l’Inghilterra, dove riprenderà i suoi studi; durante il viaggio l’amico è l’unico capace di apprezzare gli scenari che la natura offre, e spesso perde il proprio sguardo nell’orizzonte, cercando il senso della natura oltre il confine conosciuto dall’uomo: è la voglia di trasgredire e di scoprire il nuovo, anche se significa rimanere isolato per questo. Henry Clerval incarna lo spirito dei poeti inglesi della prima generazione ottocentesca, in piena comunione con la natura e lontano dal contesto sociale in cui vive. Infatti, nel viaggio è citato proprio una parte di un componimento di William Wordsworth, Tintern Abbey.
The sounding cataract
Haunted me like a passion: the tall rock,
The mountain, and the deep and gloomy wood,
Their colours and their forms, were then to me
An appetite; a feeling and a love,
That had no need of a remoter charm,
By thought supplied, nor any interest
Unborrowed from the eye.
Mentre l’amico Samuel Taylor Coleridge, anche lui citato molte volte da Mary Shelley , sostiene la radicale divisione e incomunicabilità tra l’uomo sensibile e la dimensione civile, Wordsworth, con lo stesso spirito di Henry, offre una possibilità di mediazione con il presente sociale attraverso lo strumento della recollection in tranquillity : sebbene la società allontani progressivamente l’individuo dal suo rapporto originario con l’ambiente, la rielaborazione delle emozioni in perfetta quiete le sublima, fino a purificarle da qualsiasi preconcetto.

 


Arrivati a Londra, Victor si rende conto di quanto sia cambiato negli anni: un tempo sarebbe stato felice di poter studiare nel Paese che ammira di più al mondo, ma ora il suo odio verso la creatura si è esteso al piano del genere umano, incapace, dal suo punto di vista, di accettare il suo errore.
But busy uninteresting joyous faces brought back despair to my heart. I saw an insurmountable barrier placed between me and my fellow-men; this barrier was sealed with the blood of William and Justine; and to reflect on the events connected with those names filled my soul with anguish.
È sancita la netta separazione di chi sa dalla massa ignorante i benefici derivanti dall’accettazione del diverso, forse a prima impressione un folle, ma che in realtà può donare qualcosa di nuovo. Invece è proprio l’oppresso a non concedere una possibilità a chi è diverso da sé: egli vede la propria vita, che si è costruito con tanta fatica, come l’unico bene in proprio possesso, talmente prezioso da non potersi permettere di metterlo in discussione. Alla fine, la schermatura dalla novità è semplicemente, anche se può sembrare scontato, un sintomo di profonda insicurezza. Così la risposta alla discriminazione subita prende la forma di un profondo e consolidato senso di misantropia da parte di Victor, che forse gli sarà possibile esorcizzare con la nascita di un’altra creatura.
La metafora del viaggio attraverso la natura come percorso di conoscenza ritorna nel tragitto esplorato dal poeta e dallo scienziato, fatto di piacere e dolore:
"I could pass my life here," said he [:Henry] to me; "and among these mountains I should scarcely regret Switzerland and the Rhine."
But he found that a traveller's life is one that includes much pain amidst its enjoyments. His feelings are for ever on the stretch; and when he begins to sink into repose, he finds himself obliged to quit that on which he rests in pleasure for something new, which again engages his attention, and which also he forsakes for other novelties.
Victor congeda l’amico, per non correre il rischio di offrire un ostaggio alla creatura, e ricostituisce il laboratorio; il suo carattere peggiora ogni giorno, a causa del costante timore di incontrare il suo persecutore e ben consapevole dello sgradevole percorso intrapreso.
Nelle pause del lavoro, però, un fantasma sorge nella sua coscienza: le creature potrebbero anche detestarsi; la vista dell’altro potrebbe essere per loro un costante appunto alla loro bruttezza, insostenibile alla vista; potrebbero lasciarsi ed essere costretti a vagare senza meta, e lui avrà condannato ben due esseri viventi all’eterna sofferenza; se si riproducessero, una nuova razza potrebbe colonizzare il pianeta. Tutti questi pensieri non fanno che mettere la mente di Victor nel dubbio; l’apparizione della creatura alla finestra del casolare in cui vive è il momento decisivo che spinge lo scienziato a ridurre in pezzi la creatura femmina, preso in un impulso momentaneo di insostenibile ripugnanza e disperazione.


È la chiave di volta dell’intero racconto, durante il quale scatta nel lettore la domanda “cosa sarebbe successo se...?”. È un dubbio legittimo, che però non ha facile risposta. Personalmente, credo che il perdono e la fiducia avrebbero portato a conclusioni ben diverse; sono ben conscio dell’infinito sconforto in cui versa Victor, ma fattori come l’aspetto fisico o il pregiudizio non dovrebbero mai condizionare i nostri giudizi: ciò è solo causa di sconforto per chi non si sente accettato.
Proseguiamo con il racconto: la creatura lo raggiunge chiedendo spiegazioni, ma Victor è risoluto a non intraprendere mai più un simile peccato. Ciò che il miserabile ora vuole è la sua disperazione e la sua solitudine, e perciò annuncia che sarà con lui la sua notte di nozze. Il giovane ora è disposto perfino ad accettare la morte, perché, anche se ha ancora delle cose da perdere, come Elizabeth, è deciso a porre fine alla propria infelice esistenza: ma non ha calcolato che il desiderio di vendetta della creatura può non esaurirsi con la sua uccisione.
Al suo ritorno in una cittadina Irlandese, allo scopo di partire quanto prima, però, accade l’inaspettato: un gruppetto di persone lo invita a parlare con il magistrato del paese, per un interrogatorio concernente un omicidio avvenuto la sera prima.

 

 

 

 

11. Non è colpa mia – Rottura del contratto e pena da pagare

Il cadavere di un uomo strangolato era stato trovato la sera prima da dei pescatori; subito le circostanze della morte causano grande preoccupazione in Victor, identificando il marchio dei lividi sul collo come la firma della creatura. Insostenibile è la vista del cadavere, quando scopre che si tratta del corpo di Henry.
Victor sviene, e per due mesi viene ricoverato a causa della febbre e delle convulsioni che si manifestano a causa dello shock. Naturalmente le sue parole, che fanno riferimento alla sua colpa nelle morti di William, Justine e Henry vengono equivocate, e tutti pensano che sia lui l’assassino. Poiché straniero, Victor viene comunque giudicato colpevole prima ancora del riconoscimento del corpo, per via della xenofobia del paese in cui è arrivato: ancora una volta si manifesta la paura dello sconosciuto, e anche ora questo terrore irrazionale fa compiere salti illogici ai paesani, che lo additano come assassino a priori.


The physician came and prescribed medicines, and the old woman prepared them for me; but utter carelessness was visible in the first, and the expression of brutality was strongly marked in the visage of the second. Who could be interested in the fate of a murderer, but the hangman who would gain his fee?
La sfiducia del protagonista nella sensibilità umana è palese: il disinteresse di chi si prende cura di lui, la freddezza degli occhi che lo guardano giudicandolo, sono segni inequivocabili della insanabile cesura che si è creata tra lui e il mondo. Nulla può essergli di conforto, se non la sua amata lontana, per ridurre il senso di colpa per la morte del suo migliore amico che lo dilania.


Due mesi dopo mister Kirwin, il magistrato, il quale è l’unico a parlare il francese e ad aver compreso i suoi deliri durante la malattia, ha mandato a chiamare il padre di Victor, Alphonse: infatti è convinto dell’innocenza di Victor, e che non sarà difficile provare l’assenza dell’accusato dal luogo del delitto all’ora in cui è stato commesso. Dopo essere riuscito a salvare Victor, accomiata i due uomini, i quali finalmente possono intraprendere il viaggio di ritorno per Ginevra.
My father's care and attentions were indefatigable; but he did not know the origin of my sufferings, and sought erroneous methods to remedy the incurable ill. He wished me to seek amusement in society. I abhorred the face of man. Oh, not abhorred! they were my brethren, my fellow beings, and I felt attracted even to the most repulsive among them as to creatures of an angelic nature and celestial mechanism. But I felt that I had no right to share their intercourse. I had unchained an enemy among them, whose joy it was to shed their blood and to revel in their groans. How they would, each and all, abhor me, and hunt me from the world, did they know my unhallowed acts and the crimes which had their source in me!
A dispetto delle cure del padre, lo sconforto di Victor lo fa sentire totalmente inadatto, incompatibile con la vita in società: il suo rimorso è così grande da fargli vedere la civiltà come lontana e irraggiungibile. È ben evidente nell’uso del past tense, tempo verbale che in lingua inglese esprime il concetto di un’azione che si è svolta nel passato, dove esaurisce il proprio valore efficace, e pertanto non ha più nessun rapporto con il presente; l’autrice sancisce anche grammaticalmente la rottura incurabile con gli esseri umani, dai quali il protagonista non si può che aspettare biasimo e rifiuto.


L’unica cosa che può offrire conforto a Victor è Elizabeth; è conscio della minaccia della creatura di ucciderlo – o almeno pensa siano queste le sue intenzioni – ed è deciso ad affrontare una volta per tutte il tormento di una vita, la notte in cui sposerà la propria amata. Al loro incontro, però, vede il bel viso della ragazza consumato e stanco: è il simbolo dello sfiorire dell’ultima speranza di collegamento che Victor ha con il genere umano. Per salvare questo spiraglio di salvezza, decide di fissare le nozze al più presto.


Il giorno delle nozze, tutto sembra procedere per il meglio; così, arrivati nel posto dove pernotteranno, Victor congeda Elizabeth per prepararsi ad affrontare la creatura. Quando, però, sente un urlo provenire dalla stanza della sposa, realizza in un attimo ogni cosa: il vero senso della minaccia del suo nemico, chi realmente è il bersaglio del pericolo imminente, la sua totale disfatta, la perdita della sua ultima ragione di vita. Corre al piano superiore, ma il corpo di Elizabeth è già senza vita. Quando la notizia raggiunge Il padre di Victor, muore per il colpo subito; ogni cosa per Victor non ha più significato, perché nessun oggetto ha più la possibilità di essere messo in relazione con lui attraverso altre persone.
What then became of me? I know not. I lost sensation, and chains and darkness were the only objects that pressed upon me. Sometimes, indeed, I dreamt that I wandered in flowery meadows and pleasant vales with the friends of my youth; but I awoke, and found myself in a dungeon. Melancholy followed, but by degrees I gained a clear conception of my miseries and situation, and was then released from my prison. For they had called me mad; and during many months, as I understood, a solitary cell had been my habitation.
Liberty, however, had been an useless gift to me had I not, as I awakened to reason, at the same time awakened to revenge. As the memory of past misfortunes pressed upon me, I began to reflect on their cause--the monster whom I had created, the miserable daemon whom I had sent abroad into the world for my destruction. I was possessed by a maddening rage when I thought of him, and desired and ardently prayed that I might have him within my grasp to wreak a great and signal revenge on his cursed head.
Victor è rilasciato dalla prigione per infermità mentale: la prova lampante dell’insuperabile incredulità della folla all’udire una storia come quella dello scienziato e della sua creatura. Ogniqualvolta dei fatti riportati superano il recinto del sapere degli umani, che pensano individuale perché personalizzato, ma che in realtà è comunemente condiviso, lo etichettano automaticamente come stupidaggine o follia; un altro indizio sulla presunta sicurezza dell’essere umano, la quale in sostanza poggia su una base di timori irrazionali, come l’essere scalzati dalle proprie posizioni e convinzioni. Due sono i fattori principali che influenzano la reazione dell’essere umano alla novità: il timore della distruzione di sistemi che si è tanto faticato per costruire, derivante dalla carica agitatrice del sapere innovatore, e la comodità che scaturisce dal conservare posizioni che si reputano proprie, ma talvolta non sono, piuttosto che metterle in discussione.

 

12. Vendetta – Sostituzione degli impulsi d’amore e morte

Freud, nel saggio Al di là del principio del piacere (1920), descrive il costante insorgere nella psiche umana di due moti apparentemente contrastanti, le pulsioni di vita e le pulsioni di morte. Anche se alla prima impressione può sembrare che puntino nelle opposte direzioni di mantenimento e distruzione, Freud spiega come in realtà entrambe abbiano carattere prettamente conservativo. Esse sono infatti accomunate dal fatto di presentare sempre un comportamento nell’individuo che Freud definisce coazione a ripetere, cioè la ricerca del ripetuto soddisfacimento pulsionale. Non bisogna però pensare a questo impulso come un esclusiva ricerca del piacere fine a sé stessa, bensì come a un istinto primario della psiche umana, la sopravvivenza, che viene spontaneo pensare come un continuo bisogno dell’essere vivente, non solo umano. Scopo di base è la ricerca della quiete, e morte e amore sono visti come un continuum, collegati dalla rassicurante posizione fetale, riscontrabile nei resti di molte sepolture preistoriche.
Il senso di annullamento di Victor sembra perfettamente descritto in questo passo:


Ciò che la psicoanalisi svela a proposito di fenomeni di traslazione dei nevrotici si può ritrovare anche nella vita di persone non nevrotiche che suscitano l’impressione di essere perseguitate dal destino o vittime di qualche potere "demoniaco"; ma la psicoanalisi ha sempre pensato che questo destino costoro se lo creino in massima parte con le loro stesse mani, e sia determinato da influssi che risalgono alla seconda infanzia. La coazione che in essi si manifesta non è diversa dalla coazione a ripetere dei nevrotici, anche se queste persone non hanno mai mostrato i segni di un conflitto nevrotico che abbia dato luogo alla formazione dei sintomi. Esistono così persone le cui relazioni umane si concludono tutte allo stesso modo: benefattori che dopo qualche tempo siano astiosamente abbandonati dai loro protetti — per diversi che siano tra loro questi ultimi sotto altri riguardi -, e che quindi paiono destinati a vuotare fino in fondo l’amaro calice dell’ingratitudine; uomini le cui amicizie si concludono immancabilmente con il tradimento dell’amico; o altri che nel corso della loro vita elevano ripetutamente un'altra persona a una posizione di grande autorità privata o anche pubblica, e poi, dopo un certo intervallo di tempo, abbattono essi stessi quest’autorità, per sostituirla con quella di un altro; o, ancora, persone i cui rapporti amorosi con le donne attraversano tutti le medesime fasi e terminano allo stesso modo ecc.
Questo "eterno ritorno dell’eguale" non ci stupisce molto se si tratta di un comportamento attivo del soggetto in questione e se in essi ravvisiamo una peculiarità permanente ed essenziale del suo carattere la quale debba necessariamente esprimersi nella ripetizione delle stesse esperienze. Un’impressione più forte ci fanno quei casi in cui pare che la persona subisca passivamente un’esperienza sulla quale non riesce ad influire, incorrendo tuttavia immancabilmente nella ripetizione dello stesso destino. Si pensi ad esempio alla storia di quella donna che si è sposata per tre volte di seguito con persone che dopo breve tempo si ammalavano, e che essa doveva assistere fino alla morte. La più commovente descrizione poetica di questo destino è stata data da Torquato Tasso nella epopea romantica della Gerusalemme liberata. Senza saperlo l’eroe Tancredi ha ucciso in duello l’amata Clorinda, le cui sembianze erano nascoste sotto l’armatura di un cavaliere nemico. Dopo che essa è stata sepolta Tancredi si addentra nella sinistra foresta magica che terrorizza l’esercito dei crociati; con la spada colpisce un alto albero, ma dal tronco squarciato sgorga sangue, e la voce di Clorinda, la cui anima è imprigionata nell’albero, rimprovera a Tancredi di aver infierito ancora una volta sulla donna che ama.
Alla perdita della prospettiva d’amore, Victor supplisce con l’intenzione di vendetta e distruzione: per la morte della creatura ormai è disposto anche a dare la propria vita, non avendo più nulla da perdere, nulla che lo trattiene sul piano dell’emotività. Ciò si denota anche dal fatto che il suo immaginario sia ormai occupato da un’unica rappresentazione, quella del suo figlio ripudiato, analogamente ai sogni dei nevrotici che Freud descrive: questi sogni rappresentano proprio le cause del trauma subito, per spingere l’Io ad affrontarle, anche allo scopo secondario di trovare la quiete. La vendetta diventa la ragione di esistenza di Victor, talmente intensa da fare raggiungere al protagonista le selvagge terre artiche, allo scopo di ottenere riscatto per le proprie perdite. Essa ha la doppia valenza di autopunizione e punizione della creatura, poiché questa è definibile come figura speculare, come doppio di Victor. Così il giovane arriva fino ai ghiacci del Polo Nord, dove, dopo essersi perso, incontra la nave del capitano Walton.

 

13. Mi odi? – Il giudizio dell’uditorio di Victor Frankenstein

La narrazione ritorna a Robert Walton, che riporta alla sorella Margaret le ultime giornate di vita del suo nuovo amico. Le ultime parole di Victor sono per ringraziarlo di avergli dato un’ultima possibilità, sebbene consapevole del poco tempo che gli resta, e per ammonirlo di non cercare la gloria come fece lui, ma di amare la propria vita e i propri cari: il risultato del suo percorso è stato solo delusione e fallimento.
Il discorso responsabilizza Robert, il quale comincia a chiedersi il valore di una spedizione dall’esito incerto, che mette a repentaglio la vita di altre persone coinvolte, oltre alla sua. Proprio in quei giorni, i marinai gli chiedono di promettere che, se il vascello si libererà dal ghiaccio in cui è bloccato, la spedizione avrà termine. Il senso di responsabilità fa riflettere il capitano sul significato della propria ricerca: gloria per sé o salvezza per gli altri?
Dopo aver optato per il ritorno a casa, qualche giorno dopo la banchisa si frammenta, liberando la nave. Victor, anche se sta molto male, dice di apprezzare la scelta di Walton, se è ciò che lui veramente desidera: nel suo discorso apprendiamo lo spirito con cui egli ha condotto la caccia alla creatura, dopo aver rotto la promessa fatta; è stato l’amore per il genere umano, con il quale, sebbene ne sia stato escluso, sente ancora un flebile legame. Il suo primo impegno è stato salvaguardare la vita di molti, a scapito della vita del suo stesso figlio.



Le ultime parole di Victor Frankenstein sono il suo lascito all’umanità, in particolare a chi, mosso dall’ambizione, perde di vista le cose più care, che spesso sono le cose più vicine a chi invece guarda lontano.
L’atto finale è l’incontro tra Robert e la creatura, accanto al corpo di chi ha unito le loro esistenze. Il capitano rivolge dure parole all’assassino del suo amico, del migliore amico che non ha mai avuto, ed è risoluto nel volere anche lui la morte del demone. Nelle vittime della creatura, vediamo infatti come ognuno sia simbolo delle varie tipologie di uomini e valori, che sono stati metaforicamente persi nell’ascesa inarrestabile del pregiudizio: William, l’innocenza del bambino; Justine, l’integrità morale della donna; Henry, la carica poetica dell’uomo nel fiore della vita; Alphonse, la saggezza della vecchiaia.
Le cose, però, assumono sempre delle sfumature diverse secondo chi le vede da un lato o dall’altro.
"And do you dream?" said the daemon; "do you think that I was then dead to agony and remorse?--He," he continued, pointing to the corpse, "he suffered not in the consummation of the deed--oh! not the ten-thousandth portion of the anguish that was mine during the lingering detail of its execution. A frightful selfishness hurried me on, while my heart was poisoned with remorse. Think you that the groans of Clerval were music to my ears? My heart was fashioned to be susceptible of love and sympathy; and when wrenched by misery to vice and hatred it did not endure the violence of the change without tone such as you cannot even imagine.”
Infatti la creatura spiega che, dopo la distruzione dell’esperimento, uccise Henry in preda alla rabbia cieca di chi ha perso la propria unica possibilità di stare al mondo; in seguito si pentì, ma alla notizia che colui che l’aveva privato della vita stava per sposarsi e godere di ciò che era a lui precluso, facendosi beffe della sua situazione, scatenarono in lui la rabbia della vendetta. Ora fa riflettere Walton sulla soggettività del racconto di Victor, che non ha potuto esprimere tutta la sofferenza provata dal miserabile nelle sue disavventure. Quello che gli rimane, comunque, è il disprezzo di se stesso: espierà la colpa nel freddo e nel buio del Mare Artico, raffigurazione dell’oblio e della dimenticanza. Le ultime parole della creatura rievocano figure opposte, come il fuoco e la luce, emblematiche della sublimazione dell’anima del buon selvaggio incompreso ad un piano superiore.
"But soon," he cried, with sad and solemn enthusiasm, "I shall die, and what I now feel be no longer felt. Soon these burning miseries will be extinct. I shall ascend my funeral pile triumphantly, and exult in the agony of the torturing flames. The light of that conflagration will fade away; my ashes will be swept into the sea by the winds. My spirit will sleep in peace; or if it thinks, it will not surely think thus. Farewell."


Bibliografia

M. Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, Penguin Classics, London, 1985.
S. Freud, Totem e tabù, Editore Boringhieri, Milano, 1969.
S. Freud, Opere, Bollati Boringhieri editore, Torino, 1978.
S. Freud, Al di là del principio di piacere, Biblioteca Bollati Boringhieri, Torino, 1996.
J. Milton, Paradise Lost, Penguin Classics, London, 2003.
W. Wordsworth, The Poetical Works of William Wordsworth, Ward, Lock, & Co., London, s.d.

 

Sitografia

www.literature.org
www.english.upenn.edu
http://wrightsonart.com (da cui sono tratte le illustrazioni di Bernie Wrightson, artista e fumettista illustratore di storie horror)


Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, Penguin Classics, London, 1985, p. 65

Ibid., p. 65

Ibid., p. 67

Ibid., p. 77

Ibid., p. 86

Ibid., p. 85

Ibid., p. 83

Ibid., p. 102

Ibid., p. 123

Ibid., p. 131

Ibid., pp. 133-134

Nel testo è riportata una interessante nota, riguardo alla Teoria della Necessità di William Godwin: “necessary beings: William Godwin’s Doctrine of Necessity maintained that ‘In the life of every human being there is a chain of events, generated in the lapse of ages which preceded his birth, and going on in regular procession through the whole period of his existence, in consequence of which it was impossible for him to act in any instance otherwise than he has acted’ (Enquiry Concerning Political Justice, Book IV, Chapter VIII)”

Ibid., p. 143

Ibid., pp. 145-146 (grassetto mio)

William Robertson Smith, Lectures on the Religion of the Semites, 2nd edition, London, 1894, cit. in Sigmund Freud, Totem e tabù, Editore Boringhieri, Milano, 1969, p. 183

Sigmund Freud, Totem e tabù, cit., p. 31

Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, cit., p. 151

John Milton, Paradise Lost, Penguin Classics, London, 2003, book 1, lines 670-674

Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, cit., p. 152

Ibid., p. 158

Vedi capitolo 8

Nell’opera L’Io e l’Es, in Opere, vol. 9, Bollati Boringhieri editore, Torino, 1978

Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Opere, vol. 10, cit., pp. 602-603

Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, cit., p. 159

Ibid., p. 160 (grassetto mio)

Ibid., p. 164-166 (grassetto mio)

Ibid., p. 175

Ibid., p. 176

Ibid., p. 181

Ibid., p. 160

  William Wordsworth, Lines, composed a few miles above Tintern Abbey, on revisiting the banks of the Wye during a tour, July 13, 1798., in The Poetical Works of William Wordsworth, Ward, Lock, & Co., London, p. 126, lines 78-85

In Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, cit., p. 69: “It is impossible to communicate to you a conception of the trembling sensation, half pleasurable and half fearful, with which I am preparing to depart. I am going to unexplored regions, to "the land of mist and snow;" but I shall kill no albatross, therefore do not be alarmed for my safety, or if I should come back to you as worn and woeful as the "Ancient Mariner?" You will smile at my allusion; but I will disclose a secret.”

Letteralmente "ricordo nella quiete"

Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, cit., p. 203

Ibid., p. 206 (parte tra parentesi mia)

Ibid., p. 222

Ibid., p. 229

Ibid., p. 242

Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, Biblioteca Bollati Boringhieri, Torino, 1996, p.38-39 (grassetto mio)

Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, cit., p. 260

Ibid., p. 261-262

Ibid., p. 265

 

fonte: http://skuola.tiscali.it/sezioni/tesine/tesina-lotta-emarginato-frankestein.doc

 

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