Il cinema classico

 

 

 

Il cinema classico

 

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Il cinema classico

 

Il cinema classico

Quando parliamo di cinema classico ci riferiamo alla produzione cinematografica che si è sviluppata a Hollywood fra la fine degli anni venti e la fine degli anni cinquanta.
L’inizio si colloca quindi in concomitanza con l’avvento e la diffusione del sonoro, mentre la fine è determinata da fattori di natura economica (leggi antitrust) e sociale (la diffusione di massa della televisione) che intaccano il potere assoluto delle grandi case di produzione che avevano permesso al cinema hollywoodiano di assumere, appunto, un carattere classico

Il concetto di classico al cinema

Ma che cos’è classico e che cosa intendiamo quando ne parliamo in relazione al cinema?

Con il termine classico indichiamo un qualcosa che, prodotto della cultura o dello spirito, ha caratteristiche uniformi e ha raggiunto un livello di qualità tale da poter essere considerato esemplare, modello di riferimento valido in un contesto molto ampio e ben oltre il luogo e il periodo storico in cui si è generato e manifestato. Dunque, possiamo dire che è classico quel momento della storia del cinema che ha tratti uniformi e i cui elementi caratterizzanti sono diventati modello di riferimento generale per buona parte del cinema mondiale contemporaneo e successivo.

Nel quadro di un fenomeno culturale dalla durata piuttosto limitata qual è il cinematografo (un’esistenza contenuta in poco più di un secolo), l’unica produzione in cui si riscontrano ampiamente queste caratteristiche è quella hollywoodiana ed è per ciò che viene unanimemente considerata cinema classico per eccellenza.

Le caratteristiche del cinema classico

La produzione che si sviluppa intorno agli studios di Hollywood sin dagli inizi, a metà anni dieci, va assumendo in breve tempo precise caratteristiche, di ordine sia linguistico-espressivo sia economico-organizzativo, che la porteranno a raggiungere una sostanziale omogeneità stilistica e a occupare un ruolo dominante nella cinematografia mondiale.
Tali caratteristiche si perfezionano dopo l’avvento del sonoro grazie anche ad un contesto storico-politico in cui il cinema assume una funzione fondamentale nella ripresa psicologica e ideologica dell’America uscita stremata dalla grande crisi del ’29.

Questi elementi caratteristici possono essere così sintetizzati:

  • sistema produttivo organizzato in grandi case di produzione capaci di gestire e controllare l’intero percorso di vita del film, dall’ideazione alle riprese, dal montaggio alla distribuzione (studio system);
  • struttura produttiva fortemente industrializzata e organizzata in settori non interagenti fra loro e dove la singola personalità (incluso il regista ed escluso il produttore) non ha potere di controllo sull’intera opera;
  • sistema di autoregolamentazione dei contenuti, dei temi e delle forme in modo da non incorrere in possibili interventi della censura (codice Hays);
  • dominio della logica narrativa e della verosimiglianza psicologica nell’organizzazione del testo filmico;
  • creazione di modelli narrativi ripetitivi, e pertanto riconoscibili dallo spettatore, attraverso il sistema dei generi;
  • trasparenza nella costruzione del testo attraverso il rigoroso rispetto del rapporto causa/effetto e l’uso di un montaggio “invisibile”;
  • ricorso ad attori il cui corpo è arricchito di grande valore simbolico e che ritornano costantemente da un film all’altro interpretando ruoli sempre simili (star system).

Gli anni venti

La fine della prima guerra mondiale (che per gli Stati Uniti dura solo un anno, dal 1917 al 1918) coincide con un periodo particolarmente felice per l’economia americana che si impone come la più forte a livello mondiale. Tale situazione non può che riflettersi anche sull’industria cinematografica che grazie all’apporto di grossi capitali si sviluppa e consolida la propria forza.

È in questo periodo che prende corpo quel tipo di organizzazione del sistema produttivo che è una delle caratteristiche del cinema americano: poche case di produzione gestite con un monopolio verticale che controlla l’intero ciclo di vita del film dall’ideazione alla distribuzione nelle sale.
Il sistema è guidato da otto case (le cosiddette majors) distinte in due gruppi, The big three (Paramount-Publix, Metro Goldwin-Meyer, First National) e The little five (Universal, Fox, Producers Distributing Corporation, Film Booking Office, Warner Brothers), proprietarie di studios e circuiti di sale cinematografiche.

Ognuna di queste case ha una sua storia, ma l’organizzazione interna è sostanzialmente la medesima, con tecnici e artisti vincolati da contratti pluriennali, tanto che ogni studio finisce per avere uno stile riconoscibile e, come scrive Jean-loup Bourget, “un’aria di famiglia”.

grandi investimenti e la particolare organizzazione del sistema produttivo danno immediatamente i loro effetti, sia permettendo una crescita straordinaria del numero di spettatori (tra l’inizio e la fine del decennio il numero annuale di spettatori passa da 40 a 80 milioni), sia ponendo Hollywood come luogo di riferimento mondiale del cinema.

Proprio questo aspetto fa sì che dall’Europa, e in particolare dalla Germania, all’epoca profondamente colpita da una grave crisi economica, registi, attori e tecnici emigrino negli Stati Uniti in cerca di fortuna. Qui trovano grandi opportunità di lavoro ben remunerato e contribuiscono in maniera determinante alla crescita qualitativa del prodotto hollywoodiano.

Se per gli Stati Uniti gli anni venti sono un decennio complessivamente positivo, va comunque detto che per le condizioni di vita di alcune categorie sociali (immigrati, operai, braccianti ecc.) e per la legalità, la situazione non è certo positiva. La ricchezza, infatti, si è accumulata nelle mani di pochi, non distribuendosi equamente nel paese, e la rigida normativa proibizionista ha favorito lo sviluppo della delinquenza organizzata e del contrabbando. Si tratta di problematiche molto sentite in America, anche in ambito cinematografico, tanto che Hollywood dedicherà loro tantissimi film.

Quando il crollo della borsa di Wall Street il 24 ottobre 1929 segna l’inizio della Grande depressione, non pochi analisti individuano nella cattiva distribuzione del reddito, oltre che nella speculazione vera e propria, una delle cause della crisi che mette in ginocchio per diversi anni l’America e il mondo intero.
Anche Hollywood non rimane immune dagli effetti della Grande depressione e la produzione ne risente. Non si tratta, però, di un qualcosa di duraturo, dal momento che l’industria cinematografica sarà una delle principali beneficiarie degli interventi dello Stato per combattere la crisi.

Il New Deal

Franklin Delano Roosevelt viene eletto presidente degli Stati Uniti nel 1932 e da subito attua una politica economica (che viene chiamata New Deal, nuovo corso) di forte impatto per la rinascita del paese. Sviluppo dell’industria e creazione di posti di lavoro sono i pilastri portanti di questa politica. Ma per un’azione politica che faccia sentire i suoi effetti in tempi brevi ciò non è sufficiente. Il paese deve anche recuperare un po’ di quel ottimismo che la crisi sembrava aver cancellato definitivamente. Deve aver voglia di credere che la rinascita sia possibile, deve aver voglia di lavorare, di costruire, di far andare avanti l’economia.

Da questo punto di vista il cinema, più di qualsiasi altro mezzo, poteva giocare un ruolo fondamentale. Perciò le produzioni hollywoodiane di questi anni contengono sempre un tono di speranza, di ottimismo verso il futuro, di fiducia nelle istituzioni. Anche quando i film raccontano storie tristi e conflittuali, drammi umani o crisi sentimentali, c’è sempre un finale che riporta le vicende ad una condizione positiva, o qualche elemento che permette di guardare avanti con speranza.

Un’altro aspetto essenziale per un cinema che deve assumere questa funzione pubblica è la capacità di raggiungere tutta la popolazione ed essere accessibile a tutti gli strati sociali, culturali e generazionali. Un cinema che possa piacere agli anziani come ai giovani, agli operai come ai dirigenti, agli intellettuali come agli imprenditori. Un cinema che non stanchi lo spettatore costringendolo a pensare e a porsi problemi, come ad esempio accadeva nel cinema sovietico, ma che lo accolga facendolo partecipare alle vicende narrate ed entrare nella realtà rappresentata sullo schermo fino a considerarla propria.
Queste sono le caratteristiche che sanciscono il grande successo di pubblico in patria, ma anche all’estero, dove il cinema americano, a partire da questo periodo, si impone senza quasi concorrenza fino ad oggi.

Il nuovo corso economico dell’era rooseveltiana non modifica l’organizzazione dell’industria hollywoodiana che mantiene le medesime caratteristiche degli anni precedenti. Il sistema monopolistico che affidava alle majors il controllo del grande mercato cinematografico non viene intaccato da norme antitrust, che verranno promulgate solo negli anni cinquanta, contribuendo a demolire il sistema classico.

Lo studio system

Lo studio system continua dunque a caratterizzare la vita hollywoodiana. Dopo la crisi del 1929, il controllo dell’industria cinematografica rimane sempre nelle mani di otto case che però non sono esattamente le stesse degli anni precedenti. Fusioni e riorganizzazioni hanno modificato leggermente l’assetto produttivo e ora abbiamo cinque majors (Paramount, RKO, Fox, Warner Brothers, Metro Goldwin-Mayer) e tre minors (Universal, United Artist, Columbia) unite in un cartello, l’MPPDA (Motion Pictures Producers and Distributors Association), che controlla l’intero mercato.

Anche la struttura organizzativa degli studios è la medesima. La gestione è affidata ad un produttore esecutivo affiancato da altri produttori con livelli di autonomia variabile. I registi, gli attori, gli sceneggiatori e i tecnici (direttori della fotografia, scenografi, montatori) sono vincolati alla casa da contratti pluriennali. Il lavoro si svolge in uno stesso luogo, dato che ogni studio possiede strutture accentrate che gli garantiscono autonomia in ogni fase della produzione, secondo modalità tipiche del taylorismo.

Il lavoro è diviso per settori non comunicanti fra di loro in modo da ottimizzare i risultati. Ogni “lavoratore”, incluso il regista, non ha la possibilità di controllare il prodotto nell’insieme, ma solo un parte ben definita del prodotto. Lo sguardo finale viene dato dal produttore a cui spetta sempre l’ultima parola. Un lavoro in stile catena di montaggio che lo scrittore-sceneggiatore William Faulkner designava con l’immagine della miniera di sale.

La presenza delle stesse persone dietro le quinte di più film fa sì che ogni singola casa produca delle opere con caratteristiche simili, che ci siano degli elementi stilistici che rendono il prodotto riconoscibile, “alla maniera di…”. Peraltro le diverse strategie di mercato portano le case, pur all’interno di un quadro di riferimento comune, a privilegiare determinati aspetti: la Paramount è “aristocratica” e dà ampio spazio al regista, la Fox privilegia tematiche sociali o della vita quotidiana, la RKO ha preoccupazioni intellettuali, la Universal guarda al fantastico e all’horror…

Anche gli attori sono legati alle singole case di produzione e contribuiscono in maniera determinante al loro successo.

Lo star system

Il cinema hollywoodiano è un cinema che deriva strettamente dal romanzo popolare ottocentesco (in particolare Dickens), con impianto narrativo lineare, vicende che si svolgono in maniera chiara e precisa, uno sviluppo affidato a personaggi ben identificati, alcuni dei quali emergono al di sopra degli altri. Questi ruoli sono quelli del protagonista e la loro interpretazione è affidata ad attori noti.

La notorietà di questi attori è uno degli aspetti che gli studios usano per promuovere le loro produzioni. E infatti anche loro, come tutti i lavoratori degli studios, sono legati da contratti pluriennali molto difficili da annullare. Il pubblico che ha apprezzato quel attore nei panni di un personaggio torna a vederlo in un film successivo, dove lo ritrova a interpretare un ruolo non del tutto diverso da quello interpretato nel film precedente. La continuità nei ruoli, la presenza costante sullo schermo, un forte battage pubblicitario intorno a questi attori contribuiscono a trasformare la loro immagine in quella di divi.

In questo cinema, dove per il grande pubblico la paternità del film non è del regista, come per esempio accade nel cinema europeo, ma della produzione e degli attori, queste figure perdono nell’immaginario collettivo il contatto con la realtà quotidiana, diventano qualcosa di superiore, oggetto di culto per la massa degli spettatori.

La capacità del cinema di costruire immagini del reale superando la caducità immediata e transeunte colloca in una dimensione metafisica l’oggetto della sua rappresentazione. L’attore, il protagonista assoluto di questo sistema, diventa una stella, una star, il corrispondente dell’immagine sacra della pittura o della statuaria, un moderno dio. Il fatto che per definirlo si usi il termine “divo” non è casuale. Egli supera ogni vincolo materiale per assumere un’esistenza non immanente, legata al suo essere impressionato nella pellicola, che lo porta a vivere in una dimensione fittizia ma dall’apparenza reale. Straordinario potere del verosimile filmico: l’apparenza può diventare sostanza e un’ombra addirittura oggetto di adorazione.

 

Il sistema dei generi

Alla base del sistema dei generi cinematografici sta la necessità di organizzare il testo secondo modelli riconoscibili giocati sulla ripetitività e la capacità di sfruttare le abitudini degli spettatori e i loro orizzonti d’attesa.
Un genere cinematografico, dunque, non è altro che un modello con caratteristiche fortemente codificate che permette di organizzare un testo filmico in maniera differente a seconda dei particolari tipi di trama/contenuto, stile, ambientazione, messa in scena.

In questo modo, lo spettatore del cinema classico, conoscendo il genere del film, ma anche la casa di produzione e il divo protagonista, sa già cosa andrà a vedere nelle sue linee generali. D’altra parte, il pubblico di massa cerca sempre lo stesso tipo di storie di cui conosce le conclusioni generali (per esempio nel poliziesco sa che il detective risolverà il caso, nella commedia che l’amore vincerà, nel gangster movie che il fuorilegge sarà punito e la legge trionferà). Ciò che lo attrae è il modo in cui queste storie si sviluppano, quali percorsi prendono, quali soluzioni narrative porteranno alle conclusioni note.

Quando parliamo di generi cinematografici non dobbiamo confonderli con quelli letterari o teatrali, per quanto molto spesso traggono origine da questi, e non dobbiamo fare l’errore di pensare che la classificazione propria del cinema hollywoodiano classico sia esportabile e applicabile a qualsiasi altra produzione. I modelli narrativi che stanno alla base dei generi assumono caratteri particolari, sia nelle diverse realtà produttive sia all’interno della stessa realtà in epoche diverse.

Il melodramma

Nell’ambito del sistema dei generi, per prima cosa possiamo individuare due macrogeneri: il melodramma e la commedia.

Il melodramma può essere considerato come l’altra faccia della commedia, con cui ha in comune registi e attori che risultano talvolta interscambiabili.
Il tema di fondo del melodramma è quello dell’amore contrastato, dell’elemento esterno che funge da impedimento amoroso e del tentativo da parte dei protagonisti di superare questo ostacolo.
L’impedimento può essere di diversa natura. Ci sono le cause sociali e quelle storiche, quelle etniche e quelle belliche, quelle culturali e quelle economiche, ma anche legate all’età, alle ideologie, all’impegno politico. L’amore ostacolato può anche non riguardare esclusivamente il rapporto passionale uomo/donna, ma può toccare anche quello fra genitori e figli. Inoltre, esistono dei casi in cui il rapporto giunge a coinvolgere intere famiglie o comunità, diventando un vera e propria saga. In tal caso, gli eventi si moltiplicano, si intersecano fra loro, e la dimensione temporale si dilata.

C’è da dire inoltre che, come per la commedia, l’elemento melodrammatico può svilupparsi all’interno di altre tipologie di genere.

La commedia

La commedia è forse il genere più diffuso nella storia del cinema. Può essere considerato il corrispondente positivo del melodramma, e infatti racconta vicende, principalmente amorose, che si sviluppano positivamente e confluiscono nell’happy end.

Nel cinema americano classico la commedia assume diversi caratteri:

  • la commedia brillante o sofisticata (sophisticated comedy) è ambientata principalmente nel bel mondo ricco ed elegante e ha una predominanza dei dialoghi sulle azioni;
  • la commedia suonata (screwball comedy) si svolge in ambienti non solo eleganti e si caratterizza per i dialoghi e le azioni scanzonate;
  • la commedia farsesca (slapstick comedy) vede il dominio dell’azione sui dialoghi;
  • la commedia drammatica inserisce le vicende in problematiche più complesse, come quelle a carattere politico o sociale.

Il western

Il western (che viene definito da André Bazin “Il cinema americano per eccellenza”) si svolge in tempi e luoghi ben precisi, collocato in un periodo compreso fra la guerra di secessione e la scomparsa della frontiera (1860/1890) e ambientato nell’Ovest degli Stati Uniti.

Nato pressoché contemporaneamente alla nascita del cinema (“La grande rapina al treno” di Porter, il primo western, è del 1903), il western diventa solo negli anni un genere storico. Esso racconta, con una rappresentazione mitica, la genesi dei moderni Stati Uniti d’America, nati dalla battaglia di eroi positivi (pionieri o pistoleros onesti) contro le forze del male (indiani selvaggi, banditi e fuorilegge) combattuta nei grandi spazi aperti delle praterie occidentali. È in qualche modo riconducibile al genere dell’avventura, in quanto il West diventa una sorta di terra promessa da conquistare alla civiltà.

Sostanzialmente, quindi, il western racconta il conflitto mitico fra natura e cultura, fra civiltà e wilderness, con la presenza di eroi dal carattere classico, quasi dei cavalieri medievali, pronti a combattere per proteggere la fanciulla in preda al pericolo o a battersi in difesa dell’onore.

Da un punto di vista stilistico il genere fa grande uso di ampi movimenti di macchina e privilegia le ambientazioni in spazi aperti, sottolineati dall’uso di campi lunghi e lunghissimi, dove meglio si può evidenziare il rapporto fra individuo e paesaggio naturale.

La precisa ambientazione storica e geografica richiede inoltre l’uso di caratteristici costumi e scenografie che ricorrono da un film all’altro. Queste ultime sono molto spesso ricostruite ma sempre in stretto rapporto con gli ampi spazi naturali.

l musical

Proveniente dai palcoscenici di Broadway, il musical, come il western, è un genere tipicamente americano (oltre che dell’India) e ha una vita che coincide pressoché esattamente con il cinema classico: nasce con l‘avvento del sonoro e muore (tranne poche eccezioni) agli inizi degli anni sessanta.

Si tratta di un genere in cui azioni rilevanti nel contesto narrativo vengono trattate attraverso numeri musicali (canzoni, balletti) che sostituiscono le normali scene, inserendosi naturalmente nello sviluppo delle vicende.
È un genere di puro intrattenimento attraverso il quale lo spettatore entra in un mondo allegro e sereno, privo di preoccupazioni.
Le sue storie possono benissimo rientrare nella fiaba, perché spesso portano ad un mondo fantastico, o nella commedia, in quanto normalmente riguardano vicende amorose.

Poliziesco e noir

Nel poliziesco, genere di derivazione letteraria, le vicende vedono un investigatore che deve risolvere un caso più o meno articolato e complesso. Il risultato dell’investigazione dà sempre un risultato positivo, portando alla scoperta del colpevole ed evidenziando l’impossibilità di un successo derivante dal male.

Il punto di forza di questo genere di film sta nel modo in cui l’istanza narrante distribuisce le informazioni allo spettatore e quindi lo rende partecipe dei risultati dell’indagine. Molto spesso viene utilizzato l’espediente della cosiddetta motivazione simulata, che consiste nell’inserimento di indizi che portano l’attenzione verso aspetti che paiono importanti, ma che poi si rivelano non utili ai fini dell’indagine.

Seguendo l’articolazione proposta da Todorov all’interno del poliziesco letterario, valida anche al cinema, possiamo schematicamente distinguere tre modalità di trattare il genere:

  • il film enigma, dove abbiamo un crimine che precede la vicenda narrata e la storia propone la raccolta di una serie di informazioni utili per la soluzione dell’inchiesta, come accade nei film che ruotano intorno ai processi;
  • il film suspense, dove il delitto precede la vicenda narrata ma viene ripetuto nel corso del suo svolgimento;
  • il noir, dove il crimine viene introdotto durante la narrazione e può ripetersi prima che la giustizia abbia trionfato.

Gangster movie

Il film di gangster ruota intorno alle vicende di un eroe negativo, self made man, normalmente di provenienza italiana o irlandese, che ha un successo effimero e in seguito ad azioni malvagie e contro la legge viene punito dalle forze dell’ordine.

Nato dopo la grande crisi del 1929, e spesso ispirato a vicende dell’epoca del proibizionismo (1919-1933), il gangster movie può essere considerato come l’antagonista del genere western: uno ruota sui valori positivi della società americana, l’altro su quelli negativi.

Il gangster movie si svolge in luoghi cupi, ambienti urbani e spazi ristretti (interni, strade piene di traffico e delimitate da palazzoni), privilegiando campi medi e piani ravvicinati. In questo genere ha molta importanza l’uso degli oggetti quali auto, telefoni, armi, e i personaggi si caratterizzano per l’abbigliamento curato ma di un’eleganza kitsch. Il gangster è un duro circondato da scagnozzi con volti e fisico fortemente connotati in senso delinquenziale e di norma è accompagnato da una appariscente bionda svampita (dumb blonde).

l codice Hays

Nella definizione delle caratteristiche della produzione hollywoodiana ebbe un ruolo fondamentale il codice Hays, un codice di autoregolamentazione da utilizzare come punto di riferimento nella produzione dei film.

L’idea di un codice di autoregolamentazione venne all’MPPDA (Motion Pictures Producers and Distributors Association) al fine di prevenire azioni della censura o la promulgazione di una normativa che potesse danneggiare la produzione.
L’incarico di stendere questo codice viene affidato già nel 1922 a William Hays, che all’epoca era ministro delle poste. Hays elaborò negli anni diverse formulazioni dei criteri a cui attenersi, arrivando nel 1930 a perfezionare un vero e proprio Production Code che contribuì in maniera sostanziale a definire il sistema hollywoodiano classico, imponendo un’ulteriore standardizzazione del prodotto cinematografico.

Articolato per principi generali e applicazioni particolari, il Codice prevedeva che non dovessero essere prodotti film che potevano abbassare il livello morale degli spettatori o presentare modelli di vita non corretti”. La legge, quella dello stato come quella naturale o divina, non doveva essere messa in discussione o ridicolizzata, né tanto meno si poteva caratterizzare positivamente chi la violava.
l Codice bandiva esplicitamente le scene licenziose o con nudi, le allusioni all’omosessualità o alle perversioni sessuali (ma anche le malattie veneree e il parto). Se non caratterizzate negativamente, erano proibite le allusioni all’uso di droghe e al consumo di alcolici, all’esecuzione di delitti, all’adulterio e al sesso clandestino, tutti aspetti che in ogni caso andavano rappresentati in modo non esplicito. Dai film dovevano essere bandite tutte le scene cruente e violente, la volgarità e quanto si opponeva al normale buon gusto. Anche la pena di morte, la tortura, le varie forme di crudeltà dovevano essere trattate il meno possibile e in tutti i casi con molta sensibilità. Le scene passionali, inserite solo se strettamente indispensabili alla trama, non dovevano durare più del necessario e dovevano evitare ogni carattere capace di stimolare i bassi istinti. Da evitare la rappresentazione di relazioni fra persone di razze diverse e quelle extraconiugali. Adeguato rispetto doveva essere dato alla bandiera degli Stati Uniti e più in generale alla storia dei popoli e delle nazioni.

Il Codice Hays rimase in uso fino alla seconda metà degli anni sessanta, anche se già da metà anni cinquanta cominciò a non essere rispettato in tutti i suoi punti.

 

fonte: http://aletour.ntbusiness.it/webtv/ceci/Facolt%E0/1%B0%20ANNO/Cinema/Il%20cinema%20classico.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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