Istituzioni di diritto pubblico

 

 

 

Istituzioni di diritto pubblico

 

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Istituzioni di diritto pubblico

 

INTRODUZIONE

 

Il diritto è una scienza sociale. E’ il mondo delle regole descrittive del dover essere racchiuso in precetti obbligatori che vigono all’interno di una società. Comprende l’insieme delle regole che connotano una certa realtà sociale, che ha un suo ordinamento e una sua unità giuridica (ubi societas, ibi ius).

Il diritto si divide in due branche: pubblico e privato.

Il diritto pubblico attiene agli interessi pubblici della collettività per eccellenza, lo stato. E’ innanzitutto il diritto dello stato, che è il soggetto sociale che ha acquisito storicamente la capacità di gestire gli interessi pubblici, da tutelare in vista di un’utilità per coloro che compongono la collettività. Lo stato  il soggetto dell’esercizio del potere giuridico. Ci sono poi poteri infrastatuali e sovrastatuali, che nelle società contemporanee hanno un potere crescente.

Il diritto privato è il mondo delle regole che riguardano gli interessi privati individuali, legittimi e tutelati. Sono gli interessi di singoli o particolari gruppi, di persone fisiche e anche di persone giuridiche.

Il confine tra diritto pubblico e privato, già noto ai Romani, non è sempre chiaro: strumenti di diritto pubblico sono funzionali al perseguimento di interessi privati e viceversa.

 

SOCIALITA’ E STATALITA’ DEL DIRITTO

 

Socialità del diritto. Il diritto è l’ordinamento, cioè l’insieme delle regole vigenti in un dato contesto sociale che formano l’insieme delle prescrizioni che regolano la vita dei consociati. Queste prescrizioni non riguardano gli individui come singoli, ma come soci (cioè facenti parte) della società, con i loro obblighi e i loro diritti.

 

Diritto ha anche l’accezione di condizione soggettiva di una data persona che è titolare di una data sfera di utilità personale garantita dall’ordinamento. Il

 

Il diritto serve a garantire l’ordinata e pacifica convivenza del gruppo attraverso le prescrizioni. Le prescrizioni sono frutto di scelte che traducono in regole valori e convinzioni che caratterizzano il gruppo nel suo complesso. Il diritto è quindi l’espressione del sentire di una data società correlato con gli obiettivi che tale società persegue. Il diritto è composto da regole in ragione di valori condivisi e in funzione di obiettivi comuni da perseguire.

 

Il diritto si differenzia da altri sistemi di regole come quelle etiche o religiose. Le regole religiose non puntano alla convivenza, ma alla perfezione e possono essere anche più prescrittive e forti del diritto. L’etica è fatta di precetti dettati dalla propria coscienza, cioè dalla legge morale. L’etica è un ordine personale interiore, non sociale, mentre il diritto riguarda gli aspetti esteriori.

 

Il diritto deve garantire i diritti dei singoli in senso negativo e positivo. In senso negativo il diritto impedisce ad altri di invadere la sfera di utilità del singolo (per esempio: diritto di proprietà); è esclusivo, in quanto esclude gli altri dal godimento. In senso positivo è la garanzia del singolo di poter fruire di certe prestazioni (per esempio il diritto alla salute).

 

La prescrizione giuridica normalmente regola i rapporti tra gli individui La norma è una prescrizione obiettivata, assunta come una regola generale che disciplina i rapporti tra gli individui, definisce diritti ed obblighi degli appartenenti al gruppo. La norma esprime la coscienza giuridica di un dato gruppo, rende “normale” questa coscienza. L’insieme di queste regole forma il diritto oggettivo. L’obiettivizzazione desoggettiva le regole, rendendole generale ed astratte. Le regole obiettivate assumono anche il carattere della stabilità: una volta poste valgono nel tempo finchè il gruppo le riconosce come una regola utile.

 

L’insieme delle regole oggettivate sottrae i comportamenti umani dalla regola della forza (dal diritto della forza alla forza del diritto). Non è la forza che si impone e prescrive comportamenti obbligatori, ma il diritto.

 

Pluralità degli ordinamenti e statalità del diritto. Ogni gruppo sociale ha le sue regole, quindi non c’è un unico diritto, ma una pluralità di ordinamenti giuridici. Per questo non esiste un diritto positivo che valga per tutti i popoli, ma esistono tanti ordinamenti giuridici quanti sono i gruppi sociali a cui ci riferiamo. Arbitrariamente potremmo riferirci agli stati, ma in realtà ogni gruppo sociale, anche al di là dello stato, ha un proprio ordinamento, a partire dalla famiglia che ha al suo interno un diritto embrionale anche se non codificato. I gruppi con i loro ordinamenti convivono insieme, ma a volte questi ordinamenti entrano in conflitto e i conflitti vanno regolati. Tendenzialmente è l’ordinamento dello stato quello superiore che regola i conflitti tra altri ordinamenti garantendo la loro pacifica convivenza: si tratta della storica primazìa dello stato. Il rischio è che il potere dello stato sia troppo oppressivo ed invasivo rispetto agli altri ordinamenti, sfociando così nello stato totalitario. In base all’autonomia che gli stati riconoscono ad altri ordinamenti, si possono considerare più o meno liberali, statocentrici o pluralisti. Dal diritto dello stato dipendono gli altri ordinamenti.

 

Anche nella costituzione italiana i caratteri di socialità e statalità del diritto convivono. Il fatto stesso che esiste una costituzione è la misura della statalità del diritto e della sovranità dello stato. La sovranità dello stato è quel potere peculiare che è misura degli altri poteri.

L’articolo 1, secondo comma, afferma che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”. La sovranità dunque nello stato italiano appartiene al popolo, non è assoluta, ma va esercitata nei limiti dello stato, cioè della costituzione.

Nell’articolo 2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Lo stato non crea né attribuisce questi diritti, ma li riconosce e li garantisce poiché esistono a prescindere dallo stato. In questo articolo la Costituzione riconosce la socialità del diritto, che non deriva esclusivamente dallo stato. Lo stato inoltre riconosce questi diritti non solo agli individui, ma anche ad altre formazioni sociali, a cui viene garantita autonomia, sempre nelle forme e nei limiti della costituzione, come afferma l’articolo 1.

Art. 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.”. La costituzione riconosce le l’autonomia e l’esistenza della autonomie locali, precisamente comuni, regioni e province. Queste possono esistere a prescindere dalla sovranità dello stato in quanto sono realtà di vita dei cittadini.

Art. 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.” La sovranità dello stato non può entrare in conflitto con quella della Chiesa, entrambe hanno i loro ambito e i conflitti sono regolati dai Patti.

Art. 8: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”. Le confessioni religiose sono libere, ma la Costituzione afferma la supremazia dell’ordinamento statale.

Art. 18: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.”Ogni cittadino è libero di creare associazioni per perseguire i propri fini purchè non in contrasto con la legge. Questo articolo apre ad ogni ordinamento giuridico possibile.

Art. 29: “ La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.” Quest’articolo riconosce un’altra formazione sociale titolare di diritti riconosciuti e non attribuiti.

Tutti questi articoli si rifanno all’articolo 2, che autolimita il potere dello stato. Il potere dello stato è forte e preminente e per questo c’è la necessità di autolimitarlo.

 

Il diritto è l’espressione di fatti normativi, l’espressione spontanea ella coscienza giuridica del gruppo organizzato che avverte la necessità di dotarsi di regole che disciplinano la convivenza nel perseguimento di obiettivi comuni. Il diritto scaturisce spontaneamente dal basso. Secondo la teoria istituzionale del diritto il diritto nasce all’interno di un’istituzione, cioè un’organizzazione stabilizzata.

 

Fonti fatto. Una fonte del diritto è il fatto, cioè un comportamento spontaneo, ripetuto da parte dei consociati che si accompagna alla consapevolezza, alla convinzione di adempiere ad un obbligo giuridico. Il diritto è quindi la sintesi di comportamenti reiterati nel tempo e della consapevolezza del vincolo giuridico. Le fonti fatto costituiscono il diritto spontaneo.

Fonti atto. Un’altra fonte del diritto è l’atto, cioè l’espressione di un’autorità sociale. L’autorità sociale esprime regole che valgono nel tempo per tutti coloro che appartengono alla consociazione. Questo è il diritto prodotto dall’alto, dai diversi organi dello stato. Le fonti atto sono norme, regole, prodotte da organi legittimati a produrle secondo procedure previste. Nelle società complessa c’è una pluralità di fonti atto, in quanto c’è una pluralità di organi deputati a produrre norme (come ad esempio il parlamento, il governo o i referendum) ed una pluralità di fonti di produzione del diritto. Infatti ogni ordinamento ha le sue fonti e determina le sue fonti atto, le sue fonti di produzione e le sue fonti sulla produzione, cioè le norme che devono disciplinare l’attività degli organi deputati a produrre norme giuridiche. La prima fonte sulla produzione è la Costituzione.

 

Dalla pluralità delle fonti nasce l’esigenza del rapporto tra le fonti. Le fonti sono ordinate secondo un principio gerarchico che riconosce una posizione di primazìa alla Costituzione e colloca in fondo alla scala le fonti fatto. Fa eccezione il sistema britannico dove c’è una Costituzione non scritta e prevalgono le fonti fatto. Le fonti sono anche ordinate secondo un principio di competenza: certe materie devono essere disciplinate da certe fonti di produzione. I compiti sono distribuiti, certe norme devono venir prodotte da alcuni organi e non da altri a prescindere dalla gerarchia. Per esempio gli statuti delle autonomie locali sono subordinati alle leggi dello Stato da un punto di vista gerarchico, ma hanno competenze diverse ed esclusive.

 

Teoria normativistica del diritto – Kelsen. Il diritto, secondo questa concezione, è un sistema di norme concatenate tra le quali c’è un ordine dato dall’esistenza di criteri che stabiliscono i rapporti tra le fonti. Al primo livello c’è la legge fondamentale (di solito la Costituzione), cioè il principio da cui derivano tutti i livelli normativi successivi. Questa legge fonda l’ordinamento e determina la legittimità di ciò che viene dopo. Questa concezione è una teoria pura, radicale, perché il diritto è percepito solamente attraverso le norme, lasciando da parte le dinamiche della società, le consuetudini e i fatti normativi. La teoria normativistica non comprende neanche i problemi di interpretazione del diritto, che vive non solo delle fonti atto, ma anche della loro applicazione, cioè dell’interpretazione delle norme. Grazie all’interpretazione il diritto si lega alla cultura e alle esperienze che una società esprime, al di là delle norme.

 

Teoria istituzionale del diritto. Il diritto non è fatto soltanto da norme, ma è anche una teoria vivente con la sua capacità di far valere un ordine edi esprimere un criterio che corrisponda ai bisogni della società. Il diritto si esprime attraverso le regole, ma non solo attraverso quelle. Le norme funzionano se c’è una realtà sociale che le applica e le rende utili. Il diritto si collega anche a duna coesione sociale in grado di esprimere orientamenti maggioritari e questo potrebbe causare un’eccessiva instabilità del diritto, prende delle diverse maggioranze.

 

 


IL DIRITTO POSITIVO

 

Il diritto positivo è il diritto storicamente posto in un determinato sistema ed ivi vigente, prodotto da fonti di produzione preordinate dalle fonti sulla produzione.

 

Il diritto positivo contiene precetti che riguardano solo alcuni comportamenti sociali, regola aree determinate più o meno ampie: c’è una sfera delle prescrizioni e una sfera lasciata ai liberi comportamenti. La maggiore o minore ampiezza delle aree regolate dal diritto dipende dal tipo di ordinamento e dalle scelte di chi scrive le regole (regolate da fattori metagiuridici: politici, ideologici, valori di riferimento). Ogni diritto positivo stabilizza un ordine definendo l’area dei vincoli e quella della libertà (servi sumus legum ut liberi esse possimus: la legge serve a stabilire la dimensione della sfera della libertà).

 

Ogni diritto positivo nel porre norme finisce per definire le situazioni soggettive giuridicamente rilevanti in quel dato ordinamento, i centri di imputazione di diritti e doveri, cioè ogni ordinamento stabilisce i soggetti giuridici, che possono appunto essere centri di imputazione di diritti e doveri. I soggetti giuridici possono essere persone fisiche e persone giuridiche.

  • Persone fisiche:  sono gli individui che fanno parte del gruppo sociale..
  • Persone giuridiche: sono costruzioni artificiali del diritto con un certa fisionomia. Si classificano in:
  • Associazioni: sono unioni di persone fisiche prese in considerazione non in ragione dei singoli comportamenti, ma come unità organizzate capaci di dar vita a rapporti giuridici. La prevalenza qui è data alla pluralità di persone unite nell’associazione.
  • Fondazioni: all’interno della fondazione vi sono persone fisiche, ma la costruzione è basata su un obbiettivo specifico e sugli strumenti per raggiungerlo. La fondazione viene considerata dal diritto come autonomamente rilevante al di là delle persone che vi operano. La prevalenza è data all’obbiettivo e agli strumenti per raggiungerlo (solitamente il capitale).

 

Un soggetto di diritto ha la capacità giuridica, cioè può essere centro di imputazione di diritta e doveri e può dar luogo a rapporti giuridicamente rilevanti. Le persone fisiche assumono capacità giuridica al momento della nascita, ma occorre distinguere la capacità di agire, che esprime l’attitudine a dar vita realmente a rapporti giuridici. I soggetti possono avere capacità giuridica ma non capacità di agire: nell’ordinamento italiano questa capacità si acquista con la maggiore età. Le persone giuridiche hanno capacità giuridica nel momento in cui sono costituite. La capacità di agire è detenuta dalle persone che operano nell’ambito della persona giuridica e possono agire per suo conto. Ciò che può esprimere la volontà della persona giuridica è l’organo. Gli organi, ad esempio il presidente dell’associazione, il consiglio direttivo o l’assemblea dei soci, sono necessari, perché la persona giuridica è un’entità astratta e ha bisogno di agire. Gli organi sono stabiliti dall’ordinamento interno dell’associazione o della fondazione.

 

Ogni ordinamento positivo fa le sue scelte in fatto di personalità e capacità. Questo fa sì che ci siano situazioni rilevanti in più ordinamenti, perciò potenzialmente configgenti.

 

Le scelte giuridiche positive devono seguire questi passaggi logici:

  • Giudizio di fatto su una realtà sociale, cioè l’acquisizione di un dato sul quale si riflette e che si cerca di comprendere.
  • Giudizio di valore su questo fatto. Questo è un momento deontologico per decidere se il fenomeno merita una disciplina giuridica o va lasciato alla libertà dei singoli. Il giudizio di valore dipende dai valori riconosciuti all’interno di una società.
  • Se il giudizio di valore si traduce in una scelta di intervento, ne scaturirà la statuizione normativa, cioè prescrizioni rilevanti per il fenomeno in esame. La giuridicità della statuizione dipende dalla possibilità delle fonti di produzione di esprimere la volontà del gruppo sociale (ad esempio in Italia il Parlamento può trasformare i giudizi di valore in prescrizioni obbligatorie).

 

Diritto positivo – diritto naturale.

Il diritto positivo può essere messo in discussione da un qualcosa di esterno all’ordinamento. Occorre chiedersi se una norma prodotta secondo le regole non si discuta o se anche le norme positive vadano valutate secondo parametri a loro esterni. Per i giuspositivisti “ius quia iussum”, cioè il diritto è ciò che viene prescritto e posto dall’ordinamento e non “ius quia iustum”. Questo significa che il diritto non dev’essere giusto ed assoluto e che il diritto positivo non va valutato secondo la distanza maggiore o minore dal diritto naturale.

 

Il diritto naturale è il diritto universale, in grado di esprimere valori e opzioni collegate alla natura umana. Il diritto naturale sarebbe frutto della condizione di natura dell’uomo, dalla quale deriverebbero diverse conseguenze. Il diritto naturale porta ad ipotizzare una società naturale, con connotati sempre e comunque validi, in grado di esprimere un ordine giuridico sempre e comunque valido. Secondo l’ottica del giusnaturalismo, il diritto positivo sarebbe una porzione limitata del diritto e andrebbe valutato in base alla distanza dal diritto naturale, che sarebbe l’unico diritto vero e giusto.

 

Ciò può accadere solo se si fa riferimento ad una dimensione religiosa o ontologica, che descriva l’esistenza di un ordine assoluto in base al quale stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è. In questa visione del mondo, i diritti positivi devono essere conformati a questo ordine. Questa situazione accade negli stati teocratici, che assumono un ordine sovrastatale come ordine a cui tendere. Se escludiamo questa prospettiva, l’idea di giustizia ha una sua storicità ed è impossibile costruire un’idea di giustizia assoluta ed immutabile. L’idea di giustizia è legata alla cultura delle società.

 

Rimane comunque l’esigenza di avere un fondamento più ampio del diritto positivo, come si trova nell’art. 2 della Costituzione. Il problema sta nel trovare il fondamento dei diritti naturali e determinare quali siano. Il diritto positivo esiste ed è quello con cui dobbiamo misurarci, ma tutte le statuizioni si basano su scelte di valore che vanno misurate sia formalmente che sostanzialmente. Il diritto positivo deve avere un fondamento ulteriore e nel nostro ordinamento questo fondamento sta nella ragionevolezza delle norme. La ragionevolezza entra anche nell’applicazione delle norme tramite la sentenza di un giudice, che implica l’interpretazione della norma e la spiegazione razionale del come e del perché si applichi in quel caso. Il diritto non è quindi solo prescrizioni formali, ma deve avere nelle norme e nell’applicazione di esse una sua razionalità. Proprio per questo motivo in ultima istanza si può sollevare alla corte costituzionale la questione di ragionevolezza di una legge.


STRUTTURA DELLE NORME, APPLICAZIONE E INTEPRETAZIONE

 

Le norme sono prescrizioni obbligatorie frutto di un processo di obiettivizzazione.

 

Caratteristiche principali: generalità e astrattezza.

  • Generalità. La generalità è un attributo di tipo spaziale. Indica che la norma si applica a tutti coloro che si trovano in una certa situazione in un dato momento. Ciò non vuol dire automaticamente che ci si riferisca a tutti i cittadini di uno stato: in alcuni casi la norma può riguardare solo certe categorie. La generalità può anche essere fittizia, quando riguarda un solo organo o una sola figura istituzionale: la norma rimane generale perchè si applica ad ogni persona che assuma quella carica.
  • Astrattezza. L’astrattezza è un attributo di tipo temporale. Indica che la norma si applica ogni volta che nel tempo si riproduca la stessa situazione.

Queste caratteristiche evitano il pericolo di norme arbitrarie costruite ad hoc per una situazione singola. Esistono comunque alcune eccezioni a questi principi.

  • Esistono norme speciali che permettono una disciplina speciale in deroga a quella regionale solamente per alcuni soggetti. Sono ammissibili perché anche le norme speciali sono generali ed astratte (p.e. regioni a statuto speciale).
  • Esistono norme che nascono per risolvere un caso concreto che già si è posto. Per questo motivo viene creata una norma in apparenza generale ed astratta, ma che è chiaramente una norma singolare, o “legge fotografia”.
  • Esistono norme che vengono poste per legittimare situazioni che si sono create senza che ci fosse una disciplina precedente a regolarle. La produzione della norma dà una legittimazione ex-post ad una situazione di fatto preesistente. Queste norme sono dette legge provvedimento.

 

Altri attributi: esteriorità, bilateralità, novità, imperatività.

  • Esteriorità. La norma disciplina comportamenti esterni di un soggetto nei rapporti con altri soggetti e non può disciplinare la sfera imperiose. La norma costruisce la “fattispecie”, che deve essere un fatto esteriore. Le norme giuridiche possono però dare rilevanza anche alla dimensione interiore, purchè ci sia un comportamento esteriore oggetto della norma.
  • Bilateralità. Le norme disciplinano relazioni tra soggetti. Al diritto dell’uno corrisponde l’obbligo dell’altro. Non tute le norme nascono per disciplinare rapporti: alcune disciplinano poteri o sono strumentali per disciplinare rapporti.
  • Novità. Una norma si dice nuova quando disciplina in modo innovativo una situazione o coprendo un’area non disciplinata precedentemente o modificando una norma precedente. Le norme non possono essere ripetitive. Esiste il caso dell’interpretazione autentica, in cui lo stesso organo che ha prodotto una norma ne produce una successiva che non introduce elementi nuovi, ma chiarisce il significato della norma precedente. L’interpretazione autentica non è retroattiva.
  • Imperatività. E’ l’attitudine che le norme posseggono a stabilire vincoli e prescrizioni imperativi, cioè suscettibili anche di essere portate ad esecuzione coattiva. Esistono norme che considerate singolarmente non sono imperative, ma indicano e disciplinano. Si parla anche di coercibilità, cioè la possibilità che le norme hanno di essere attuate coattivamente.

 

 

 

 

Applicazione delle norme.

 

L’applicazione è l’uso della regola generale ed astratta in un caso concreto.

 

L’esperienza giuridica è fatta non tanto da norme, quanto dalla loro applicazione nei casi concreti. Il momento dell’applicazione è importante quanto il momento legislativo. L’applicazione richiede che la pubblica amministrazione, cioè la burocrazia, svolga un ruolo importante, in quanto ha la funzione di applicare le norme nei casi specifici per raggiungere gli obbiettivi previsti.  L’altra parte importante spetta alla giurisdizione, cioè l’insieme delle attività svolte da organi in posizione neutra che sono chiamati a dirimere controversie per stabilire qual è il diritto nel caso concreto.

 

Quando in un ordinamento c’è una pluralità di fonti che produce una massa di norme, il primo problema applicativo è quello di trovare quale sia la norma utile, cioè la norma che regola il caso da dirimere. Chi deve applicare la norma ha l’onere di orientarsi e capire quale sia la norma utile.

  • Il primo problema, una volta trovata una norma che possa essere utile, è di vedere se sia ancora vigente. La mancata vigenza può avvenire perché la norma è a tempo, ha cioè una durata determinata. La norma può anche essere stata abrogata (l’abrogazione è l’intervento che fa cessare una norma precedentemente vigente). L’abrogazione è esplicita quando il legislatore nel creare una nuova norma si preoccupa di eliminare le norme precedenti. Ciò non sempre avviene, in quanto il legislatore si limita ad approvare una nuova normativa senza curarsi di quelle precedenti. Occorre allora capire come si rapporta la nuova disciplina con le norme precedenti: può essere integrativa, sostituiva o implicitamente abrogativa.
  • Un altro problema nell’individuazione della norma utile si verifica quando avviene una moltiplicazione delle fonti dovute alla valorizzazione delle autonomie infrastatuali e alla pluralità di atti normativi producibili dal governo (decreti legislativi e regolamenti). Una certa materia può perciò essere oggetto di una pluralità di norme prodotte da fonti diverse in momenti diversi. Occorre capire quale sia la norma da applicare utilizzando i criteri di gerarchia o di comptentenza. Occorre pertanto scegliere la norma che proviene dalla fonte di  livello più alto a meno che la norma riguardi un campo dove la fonte non ha la possibilità di legiferare. Per alcune materie vale il principio di concorrenza, cioè più fonti possono esprimere norme su tali materie. Il principio di concorrenza prevede che in una data materia una fonte, di solito lo stato, stabilisca i principi e un’altra, di solito gli enti locali, stabiliscano i dettagli, ma il confine è spesso labile. La corte costituzionale ha il compito di discernere tra gli ambiti di competenza quando nasce un conflitto. Chi deve applicare la norma ha l’onere di orientarsi e capire quale sia la norma utile.
  • Ci può essere anche il caso in cui una pluralità di norme che disciplinano il medesimo oggetto siano sullo stesso piano gerarchico e siano prodotte da un organo competente. In questo caso vale il principio cronologico: la norma più recente prevale su quella precedente. Questo principio non si applica quando si tratta di norme speciali, che delegano alle generali anche quando queste sono più recenti.

 


INTERPRETAZIONE

 

Una volta trovata una norma utile occorre tradurre il precetto generale nel comando del caso concreto: dalla fattispecie astratta si passa alla fattispecie concreta. L’interpretazione è  compito del burocrate o del giudice.

L’interpretazione è un’operazione intellettuale necessaria per rintracciare senso, portata e campo applicativo collegando la prescrizione generale con il caso concreto. L’interpretazione è un’operazione necessaria ed indispensabile, più o meno complessa a seconda dei casi. Le  norme infatti a volte non sono particolarmente chiare per la scarsa attenzione del legislatore o perché frutto di una mediazione tra diversi punti di vista.

 

Volontà del legislatore – Volontà della legge. Pur non trascurando l’occasio legis, colui che applica la norma deve rintracciare la volontà che la norma è in grado di esprimere. Ciò che conta è la voluntas legis più che la voluntas legislatoris, che si esaurisce di per sé nel momento in cui si conclude la produzione della norma. L’interprete deve ricercare il significato della norma per quello che è; poi, in maniera sussidiaria, si può anche andare ad osservare l’intenzione del legislatore, purchè questa non sia in contrasto con la voluntas legis, che in ogni caso prevale.

 

Soggettività e incertezza. Questo processo interpretativo si lega alle capacità e alle conoscenze dei soggetti che operano l’interpretazione: l’interpretazione risente di queste capacità ed è necessariamente soggettiva. Mentre la formazione delle norme tende all’oggettivizzazione, sul piano dell’interpretazione torna il primato del soggetto. Esiste perciò il rischio che la norma venga interpretata diversamente in momenti successivi. à Problema dell’incertezza.

 

Molti sono gli organi e le persone che devono interpretare una norma, quindi c’è il rischio di avere molte interpretazioni non univoche. L’ordinamento però cerca di circoscrivere il rischio dell’interpretazione, pur non potendolo eliminare. Per fare ciò usa alcuni criteri, indicati nell’articolo 12 delle preleggi.

I comma: non si può attribuire alla norma altro senso da quello fatto palese dalle sue parole secondo la connessione di esse nel sistema normativo e dall’intenzione del legislatore.

La prima parte di questa norma afferma che esiste un’interpretazione letterale delle norme secondo la cultura. Poiché la cultura è variabile c’è un margine di evoluzione interpretativa anche al livello dell’interpretazione testuale (p.e. il concetto di ambiente e di urbanistica nella costituzione). I  termini vanno inoltre collocati all’interno di un contesto che ne schiarisce il significato. Italia, nell’articolo 1 della Costituzione, indica la comunità di cittadini italiani con uno status, la cittadinanza italiana; solo i cittadini formano il popolo. Ai sensi dell’articolo 51 gli Italiani che non appartengono alla Repubblica possono essere equiparati, ma non fanno parte dell’Italia. Le parole vanno anche collocate all’interno della legge e dell’interno ordinamento normativo. La volontà del legislatore è posta all’ultimo posto, subordinata all’interpretazione letterale.

II comma: se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione che sia applicabile, si usino norme che disciplinano casi anloghi.

In questo modo si introduce il concetto di analogia: quando non esiste una norma precisa per il caso ma si può usare una norma che regoli casi analoghi.

III comma: se il caso rimane ancora dubbio allora si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico.

Il giudice deve ricavare dai principi le prescrizioni che gli consentono di decidere su un caso concreto qualcosa  non ci sia una norma precisa né una che può essere ricavata per analogia.


Le diverse valenze dell’interpretazione.

Interpretazione privata. L’interpretazione privata è quella che ogni cittadino può liberamente realizzare attraverso la lettura della norma. E’ un’interpretazione che ogni cittadino dovrebbe fare, ma non ha valore giuridico.

Interpretazione dottrinale. E’ un interpretazione privata, ma fatta da qualcuno a cui si riconosce esperienza e conoscenza del diritto, come ad esempio un professore che scrive un manuale. Anche questa interpretazione non ha rilevanza giuridica.

Esistono poi le interpretazione fatte da parte degli organi che hanno la competenza e il dovere di applicare la legge. Essenzialmente le autorità sociali deputate a questo compito sono la pubblica amministrazione e la giurisdizione.

Interpretazione giurisprudenziale. E’ l’interpretazione fatta da un giudice nell’esercizio delle sue funzioni. Il giudice ha il compito di dire qual è il diritto nel caso concreto applicando la norma. Dalla sua decisione (sentenza) dipende in modo concreto l’effetto, quindi la sua interpretazione ha effetti molto evidenti che riguardano le parti in causa. L’interpretazione giurisprudenziale ha una rilevanza giuridica molto forte, ma circoscritta alla vicenda a cui si riferisce, perciò di per sé nessuna sentenza può produrre effetti al di là quel caso circoscritto. Al massimo le sentenze possono avere valore di “precedente”, che in casi simili e successivi possono essere prese in considerazione. Il precedente ha però un valore solo persuasivo e non è vincolante. Se tutti i precedenti sono più o meno analoghi si può parlare di indirizzo giurisprudenziale consolidato. I giudice non crea diritto, si limita ad applicare le norme e non può usarle secondo il suo volere; nel caso ciò si verifichi l’unico rimedio è il ricorso ad un secondo grado di giurisdizione, la corte d’appello. C’è poi una terza possibilità di appello, la corte di cassazione, che è un giudice di diritto, tenuto a verificare se il diritto è stato applicato correttamente nel caso in questione. I primi due gradi sono invece giudizi di merito, Se il giudizio della cassazione è conforme la sentenza è definitiva, altrimenti avviene il rinvio ai gradi inferiori e rinizia il processo di merito. La sentenza può diventare definitiva anche ai gradi inferiori quando le parti non facciano ricorso contro di essa nei termini prescritti dalla legge. Si parla in questo caso di “cosa giudicata” e “stato giuridico”.

Interpretazione burocratica. E’ l’interpretazione del funzionario preposto all’applicazione della norma. L’applicazione può essere compito di un solo organo ed in tal caso gli effetti di quella decisione riguardano solo le persone coinvolte nella determinata vicenda. Esistono però decisioni prese da più organi amministrativi, di solito organizzati secondo un criterio gerarchico. Questo implica che l’interpretazione delle norme stabilita dal vertice della gerarchia vincoli i livelli subordinati, determinando in questo modo effetti giuridici a catena. Per questo motivo la norma viene applicata a tutti i livelli senza disparità, ma il rischio è di non dare importanza ai casi particolari in cui l’interpretazione viene applicata e di deresponsabilizzare i sottoposti.

Interpretazione autentica. E’ l’interpretazione che proviene dal medesimo organo legislativo che a suo tempo aveva prodotto una norma ambigua: con l’interpretazione autentica il legislatore stabilisce quale fosse la sua volontà. In questo caso l’interpretazione non è un’applicazione di norme, ma una produzione. Gli effetti delle interpretazioni autentiche hanno un valore generale e non circoscritto al singolo caso concreto.

 

Esiste un organo con una funzione specificatamente interpretativa, la corte costituzionale, che giudica se una legge è più o meno conforme alla Costituzione. La corte costituzionale deve necessariamente interpretare, non solo le leggi su cui giudica, ma anche la costituzione stessa, che è un testo ricco di formule generali e generiche. Le sentenze della corte hanno valore sui casi concreti e non per i casi futuri, ma occorre comunque che il legislatore ne tenga conto per non incorrere nel rischio di incostituzionalità di una legge.


TEORIA DELLO STATO

 

Lo stato è il soggetto giuridico più forte a cui spetta la primazia del diritto. Almeno nel caso italiano lo stato non è totalizzante, ma è comunque misura e regola degli altri ordinamenti.

 

Lo stato è un’organizzazione politica territoriale sovrana che ha l’attitudine ad imporsi come soggetto preminente ed indipendente.

 

Lo stato è preminente su ciò che è infrastatatuale ed indipendente nei confronti dei poteri che vengono dall’esterno. Sovranità indica proprio un potere in rado di farsi valere nei confronti degli altri poteri.

 

Elementi costitutivi: popolo, territorio e potere sovrano.

 

Il popolo è l’elemento personale, è la collettività delle persone fisiche che compongono un dato stato. Il concetto di popolo è un concetto giuridico che comprende tutti coloro che hanno lo status di cittadino, cioè che appartengono ad un dato ordinamento statuale.

L’elemento personale è legato a quello spaziale: il territorio, cioè lo spazio fisico dove avviene la convivenza tra la pluralità di persone che appartengono a quell’ordinamento. Lo stato è un ente territoriale, per sua natura politico. Un ente territoriale infatti richiede per la convivenza un ordine pacifico e determina una serie di esigenze e bisogni comuni che diventano l’interesse della collettività. Lo stato persegue fini virtualmente generali e per questo si configura come entità politica, mentre gli enti territoriali uniscono un gruppo di persone intorno ad un fine specifico. Lo stato però non è l’unico ente territoriale, ci sono anche comuni, province e regioni. Solo lo stato tra gli enti territoriali ha una potestà peculiare; la sovranità, che non è un potere assoluto e senza limiti come forse lo era in origine.

 

La nascita dello stato moderno si fa risalire al 1648, quando la pace di Westfalia segna la dissoluzione del sacro romano impero e la presa d’atto dell’esistenza di realtà nazionali con un loro potere e con un sovrano che lo detiene. In questo modo si stabilizza un ordine capace di porsi come preminente ed indipendente: lo stato. Quest’ordine si autolegittima e non deriva il proprio potere da altri fattori, è il potere originario, tendenzialmente incondizionato in quanto deve fare i conti soltanto con se stesso. Si dice che il potere dello stato “superiorem non recognoscet”, in quanto è preminente verso gli altri ordinamenti interni, territoriali o non territoriali.

 

Lo stato è un soggetto in evoluzione, legato all’evoluzione della cultura umana. Ad oggi lo stato non ha un potere pieno, ma è relativamente indipendente e relativamente preminente. Inoltre ogni stato è diverso dagli altri, ha proprie caratteristiche peculiari, ma si possono riconoscere i tratti generali di una crisi del vecchio modello di stato. Oggi si parla di interdipendenza piuttosto che di  indipendenza dai fattori esterni: i confini dello stato, per motivi legati all’economia di mercato o all’esigenza di sicurezza, sono sempre più fragili. Sul versante interno acquistano sempre più peso le realtà infrastatuali, che sono fondamentali per lo sviluppo dell’uomo. Gli enti locali svolgono oggi funzioni che erano considerate proprie dello stato. Lo sviluppo della democrazia in occidente va di pari passo con lo sviluppo delle autonomie territoriali, limitando in questo modo il potere dello stato. Queste limitazioni da parte degli organismi sovrastuatali e infrastatuali non sono autolimitazioni, ma risposte ad una necessità.

 

L’indipendenza si è trasformata in interdipendenza, la preminenza in un decentramento sempre maggiore dei poteri dello stato alle autonomie locali.

 

Lo stato stabilisce un’armonia, un ordine in un sistema composito. Lo stato è sia ordinamento che soggetto giuridico. Stato ordinamento significa che lo stato definisce un ordinamento generale, misura degli altri ordinamenti e che stabilisce le regole di convivenza di tutti gli altri ordinamenti, garantendo in questo modo la stabilità dell’assetto. Stato come persona giuridica significa che lo stato è anche uno dei tanti soggetti giuridici riconosciuti dall’ordinamento, con una sua capacità giuridica. Lo stato come soggetto giuridico è dotato di un proprio ordinamento, misura di tuti gli altri.

 

Esistono diversi tipi di stato-ordinamento. Quello italiano è la repubblica. Esistono poi stati liberali o totalitari, teocratici o laici, indipendenti o dipendenti, maxi stati o micro stati. Le varie tipologie di stato realizzano l’equilibrio tra i tre elementi che lo costituiscono in punti diversi.

 

Le condizioni di esistenza di uno stato sono

  • capacità di realizzare un ordine interno
  • riconoscimento da parte degli altri stati.

 

Il popolo.

Il popolo è l’insieme delle persone fisiche che fanno parte dell’ordinamento, che possiedono lo statuto di cittadinanza. Lo statuto di cittadinanza è uno statuto giuridico ed ogni stato determina le regole per il suo acquisto o perdita. Il cittadino è  colui che possiede lo statuto di cittadinanza ed è centro di imputazione giuridica.

 

La popolazione non è l’insieme dei cittadini, ma è un concetto statistico che indica il compresso dei residenti in una certa regione spaziale. La residenza è un concetto diverso dalla cittadinanza. La nazione è un concetto sociologico che indica la comunanza di dati sociali (lingua, religione e cultura) che aggregano le persone in un’unità nazionale grazie al sentimento di appartenza. Esistono nazioni che sono divise in più stati o stati che contengono diverse nazionalità. Nazione e stato possono anche coincidere, ma non è necessario.

 

L’acquisto della cittadinanza può avvenire per acquisto originario o acquisto derivativo; l’acquisto originario arriva per ius sanguinis o ius soli. Il principio dello ius sanguinis afferma che la cittadinanza si acquista per discendenza dal almeno un genitore già cittadino. Il principio dello ius soli dichiara cittadino colui che nasce in un determinato stato. In Italia vale lo ius sanguinis, mentre lo ius soli vale solamente se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori. L’acquisto successivo può avvenire per naturalizzazione, per adozione, per concessione o per beneficio di legge. Per naturalizzazione può avvenire quando l’individuo si è inserito nella società in modo tale da essere considerato cittadino. Per concessione avviene quando l’autorità preposta concede la cittadinanza se sussistono i requisiti previsti dalla legge. La cittadinanza si può acquisire per beneficio di legge quando questa preveda la sua acquisizione dopo certi eventi (come ad esempio nel caso del matrimonio).

 

La perdita della cittadinanza può avvenire per volontà del cittadino o per statuizione di legge, ma non si può perdere per motivi politici.

 


Diritti dell’uomo – Diritti del cittadino

I diritti dell’uomo andrebbero riconosciuti in maniera universale a prescindere dallo statuto di cittadinanza, in quanto riguardano l’uomo in quanto tale e non come cittadino. Tali diritti non nascono dalla cittadinanza, ma dalla condizione umana. Il problema è chi debba assicurare questi diritti che provengono da una dimensione sovrastatale. A questo proposito sono state scritte le carte internazionali dei diritti dell’uomo ed istituiti tribunali internazionali, ma senza l’impegno dei singoli stati no c’è un effettiva tutela di questi diritti. Nella costituzione sono affermati i diritti e i doveri del cittadino.

Art 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.

Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

Il diritto di incolato vale per il cittadino e non espressamente per il non cittadino, ma nulla ci impedisce di riconoscerlo anche a questa figura.

Art 26 L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.

Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.

L’articolo non copre solo il cittadino, ma, in particolare modo il secondo comma, vale anche per i non cittadini.

Art. 52.La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.

Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici.

L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

I cittadini sono chiamati a difendere la patria, i non cittadini non hanno questo obbligo

Art 53 Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Questo articolo, utilizzando tutti, si applica a cittadini e a non cittadini.

 

I non cittadini.

I non cittadini sono o apolidi o stranieri. Gli apolidi non hanno nessuna cittadinanza, non sono cittadini e non hanno i loro diritti e doveri. Lo straniero ha una cittadinanza, ma non è quella dell’ordinamento in questione. Lo statuto di straniero è diverso da quello di cittadino. Inb questo caso vale il principio di reciprocità, per cui le condizioni dello straniero sono pari nei diversi pesi. Inoltre gli stranieri godono del diritto di asilo, cioè del diritto di essere ospitati in un paese che riconosce loro diritti che il loro paese non riconosce.

Gli stranieri, se provengono da stati dell’unione europea, godono dello statuto di cittadini europei, che vale in tutta l’unione, a prescindere dallo stato in cui si trovano. Se un cittadino è extracomunitario è straniero a tutti gli effetti e gode di norme diverse.

 

Le minoranze. Le minoranze etniche presenti nel nostro stato, chiamate nella costituzione minoranze linguistiche, sono riconosciute e protette.

 


Il territorio.

Il territorio si salda con l’elemento personale ed è un elemento imprescindibile degli enti territoriali. Il territorio è lo spazio fisico della convivenza, che diventa anche lo spazio di vigenza dell’ordinamento da un punto di vista giuridico. Il territorio non è considerato come un bene  o una proprietà dello stato; ciò che conta è che su di esso viga il potere e la forza dello stato.

 

Confini: il territorio è uno spazio fisico che ha dei confini oltre i quali indizia un altro ordinamento statuale. Il territorio con i suoi confini è la prova dell’esistenza di uno stato sovrano, perciò le variazioni dei confini di un ente territoriale creano sempre problemi e sono assoggettate a regole giuridiche molto precise. Queste regole cercano di evitare un conflitto e di rispettare l’appartenenza di un territorio alle diverse collettività. La regolazione dei confini sorge o da una guerra o da un trattato; non è un fatto unilaterale, ma interstatuale o internazionale.

 

La questione del territorio degli enti territoriali infrastatuali è trattata negli articoli 131, 132 e 133 della Costituzione. L’articolo 131 elenca quali sono le regioni italiane. L’articolo 132 ci dice come i confini di una regione possano essere modificati attraverso determinate procedure. La preoccupazione che emerge in questo articolo e nel seguente è di tenere conto dell’orientamento delle collettività interessate alle variazioni del territorio. L’articolo 133 regola invece le province e i comuni.

 

Elementi del territorio: oltre allo spazio fisico dove abita la collettività fanno parte del territorio anche altri elementi fisici disabitati:

  • Sottosuolo. Appartiene allo stato che ha la sovranità sul suolo corrispondente “usque ad infera”, cioè non ci sono limitazioni di profondità.
  • Soprasuolo. Comprende l’atmosfera e l’area soprastante. La sovranità dello stato si estende anche nell’atmosfera con limiti diversi. Oltre ad una certa distanza dal terreno, pur potendo continuare a vigere una sovranità teorica, lo spazio è libero.
  • Mare. Nel mare non abitano collettività, ma è una componente importante del territorio che pone problemi di sicurezza, di dogana e di sfruttamento. Il diritto internazionale stabilisce regole comuni per delimitare i confini sul mare, riconoscendo una fascia di acque territoriali che appartengono a pieno titolo al territorio dello stato costiero. Storicamente l’ampiezza di questa fascia era delimitata dalla gittata dei cannoni, oggi il limite è fissato fino ad un massimo di 12 miglia. Oltre al mare territoriale c’è una zona economica esclusiva entro la quale lo stato costiero ha una riserva di sfruttamento. Questa zona si estende fin dove le acque sono profonde meno di 200 metri. Al di là della zona esclusiva c’è il mare libero, res communis omnium, che è soggetto alle regole del diritto internazionale.

 

Extraterritorialità – Ultraterritorialità. Le ambasciate estere situate in uno stato sono giuridicamente territorio dello stato di cui rappresentano il potere, godono cioè della extraterritorialità. Le ambasciate di uno stato all’estero godono di ultraterritorialità, cioè fanno parte del territorio dello stato che rappresentano. Questi concetti vanno applicati anche alle navi e agli aeromobili in acque o cieli internazionali, che sono territorio dello stato di cui battono bandiera. Se il mezzo di trasporto entra nel territorio di un altro stato occorre cambiare bandiera ed entra in vigore l’ordinamento di quello stato. Questo tipo di regime non riguarda anche gli aeromobili e le navi militari.

 

Sovranità.

La sovranità è la capacità che possiede un’organizzazione di governo di farsi valere in modo tendenzialmente preminente ed indipendente. Questo potere non è derivato, ma originario in quanto si autolegittima ed autocrea, attraverso soprattutto la legge fondamentale. Sul versante interno lo stato ha la capacità di farsi valere sugli altri ordinamenti, sul versante esterno uno stato dev’essere riconosciuto come pari dagli altri stati.

 

Il potere dello stato oggi non è assoluto per ragioni giuridiche e fattuali. Sul piano giuridico ci sono limiti al potere dello stato (p.e. la sfera dei diritti soggettivi). Sul piano fattuale la sovranità è limitata da nua serie di eventi economici o politici (p.e. la globalizzazione). Alcuni stati sono così limitati da poter essere “governi fantoccio”, teoricamente sovrani, ma in pratica vassalli di altri stati, semisovrani o colonie. A volte la limitazione della sovranità può essere imposta dall’ordinamento internazionale, come nei casi di riacquisto dell’indipendenza.

 

In Italia le limitazioni giuridiche alla sovranità sono legittime in base all’articolo 10 primo comma della Costituzione, dove la repubblica italiana pone un limite al proprio potere conformandosi alle norme internazionali generalmente riconosciute. Le limitazioni alla sovranità in Italia derivano da due fatti:

 

1) L’esistenza dell’ordinamento internazionale

I diritti dell’uomo sono riconosciuti dallo stato, ma essi e le regole per proteggerli vengono stabiliti dal diritto internazionale. L’ordinamento internazionale non è solo un diritto tra stati, ma è un ordinamento a se stante che si rivolge ad ogni essere umano. L’espressione concreta della ricerca di strumenti giuridici che renda effettivo il diritto internazionale è l’istituzione dei tribunali internazionali per i diritti umani, come il tribunale dell’Aja per l’ex-Jugoslavia o la corte penale internazionale. Questi tribunali perseguono i crimini contro l’umanità in determinati ambiti o invia generale, sono creati dall’ONU, ma hanno comunque bisogno dell’autorità degli stati per farsi valere.

 

2) L’esistenza dell’ordinamento comunitario

L’ordinamento comunitario va considerato un diritto interno e non più una semplice cooperazione libera tra stati contigui. L’unione europea è una forma di coesistenza molto più forte, in cui gli stati si sono dati organi comuni in grado di fare valere le proprie decisioni sul territorio della comunità. Già con i trattati di Roma (1957) erano stati istituiti una commissione, un consiglio ed una corte di giustizia. Nell’UE convivono la dimensione statuale e quella sovrastuatale.

 

Ambiti di competenza della UE (i tre “pilastri”):

  • Mercato e Moneta
  • Politica estera e di sicurezza comune
  • Giustizia

 

L’efficacia dell’ordinamento comunitario è stata affermata dalla riforma costituzionale del 2001, che ha incluso nell’articolo 117 che “la potestà legislativa è esercitata dallo stato e dalle regioni, nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Quest’articolo vincola ad ogni livello i legislatori alle fonti comunitarie, fatto assente nella Costituzione del 1948. E’ un’effettiva limitazione della sovranità dello stato.

 

Fonti comunitarie.

Il regolamento è una fonte legislativa comunitaria che vincola il legislatore ed ha perciò una forza prevalente. I regolamenti sono la fonte capace di produrre norme con efficacia diretta all’interno degli stati membri. I regolamenti devono essere approvati all’unanimità degli stati membri dal consiglio europeo.

La direttiva non ha efficacia diretta all’interno dell’ordinamento degli stati membri, ma esprime e degli indirizzi e degli orientamenti generali vincolanti. La direttiva ha bisogno di una norma nazionale che la traduca in atti con valore di legge all’interno dell’ordinamento. In Italia ciò avviene attraverso la “legge comunitaria”, che una volta all’anno recepisce le direttive europee.

 

Organi comunitari.

Consiglio. Il consiglio europeo è l’organo più importante dell’unione e vi siede un rappresentante per ogni governo degli stati membri. Quest’organo decide all’unanimità su alcune materie e a maggioranza qualificata su altre di minore importanza. La presidenza del consiglio ruota ogni sei mesi tra i vari stati dell’unione.

Parlamento. E’ costituito dai rappresentanti eletti dai popoli degli stati membri, ogni stato con la propria legge elettorale. Il parlamento è un organo politicamente significativo perché è l’unico eletto, ma ha poco potere. Il parlamento non detiene il potere legislativo, può solo determinare indirizzi, fare proposte ed esprimere pareri.

Commissione. Cumula il potere esecutivo e una parte del potere legislativo. Ha una struttura simile a quella dei ministeri nazionali, in quanto è divisa in branche che si occupano di diversi ambiti. E’ una struttura stabile che gestisce gli affari comunitari.

Corte di giustizia. E’ l’organo giurisdizionale che decide in ordine agli affari comunitari e ai rapporti stati-unione.

Banca centrale europea. Presiede al governo della moneta unica e di ciò che ad esso è connesso.

Corte dei conti. E’ l’organo di controllo che verifica l’andamento finanziario della giustizia comunitaria.

 


LE FORME DELLO STATO

 

Le forme dello stato si classificano in base a: struttura interna, rapporto tra cittadino e pubblici poteri, forme di governo.

 

Classificazione in base alla struttura interna.

La struttura interna dello stato è l’organizzazione dello stato al suo interno: stati unitari – stati compositi o federali.

Lo stato unitario è costituito da un unico popolo, un unico territorio ed un unico potere sovrano. Nello stato composito coesistono più popoli su più territori con due livelli di potere sovrano. Un livello è quello degli stati membri, l’altro è quello dello stato composto, o federale, o superstato. I due livelli di statualità sono reciprocamente sovrani, in quanto ogni livello non può influenzare l’altro ed entrambi i livelli hanno la stessa preminenza; entrambi sono livelli costituzionali del potere statuale.

 

Lo stato federale unifica la coesistenza di più stati dando unità al sistema. Il termine federale deriva dal latino “foedus”, patto, in quanto lo stato federale può nascere da un patto tra gli stati membri che, in virtù del patto, danno luogo ad uno stato sovrano con poteri propri ed originari. Lo stato federale nasce dalla volontà di stati precedentemente sovrani ed ha la capacità di imporsi nella sfera dei poteri a lui riconosciuti dagli stati. Il patto definisce quali poteri detenga lo stato federale e quali rimangano allo stato membro. La ripartizione dei poteri tra superstato e stati membri varia da caso a caso. Alcune attribuzioni sono tipicamente dell’uno o dell’altro livello, ma non ci sono regole fisse. Ad esempio difesa, esercito, politica estera, giustizia e moneta sono tendenzialmente compito dei superstati; l’ordine pubblico può essere una materia concorrente, sanità, aspetto del territorio, sviluppo economico sono tra i poteri degli stati membri. L’equilibrio tra i due poteri è individuato nella costituzione, che costituisce il patto su cui si fonda la federazione. L’equilibrio non èuò essere variato unilateralmente né dagli stati membri né dallo stato federale.

 

Gli stati compositi non nascono sempre dal processo di unificazione di stati sovrani, ma anche dal processo opposto, cioè dal processo di frazionamento del potere in uno stato unitario. In questi casi non c’è un patto alla base dello stato federale, ma una semplice evoluzione dello stato composito che decentra il potere riconoscendolo ad enti territoriali subordinati. Un esempio recente è il Belgio. Questi stati nascono soprattutto per evitare le secessioni, cioè tendenze di certe entità territoriali che non riconoscono più lo stato sovrano. La secessione può dare vita a nuove statualità se non viene frenata dal riconoscimento di autonomie più o meno ampie alle singole entità territoriali.

 

Nel mondo occidentale oggi gli stati unitari sono orientati al decentramento, cioè ad un assetto statuale in cui il potere viene formalmente detenuto dallo stato, ma le autonomie infrastatuali vengono valorizzate. Alle autonomie vengono riconosciuti maggiori poteri, dando origine ad un pluralismo istituzionale. Questo fenomeno avviene per motivi democratici, cioè per permettere l’autogoverno delle comunità locali.

 

La differenza tra il processo di federazione e di decentramento sta nel fatto che nel secondo caso il controllo costituzionale rimane allo stato, i cui organi sono gli unici autorizzati a modificare, in maniera unilaterale, la Costituzione.

 

Confederazione – stato federale.

La confederazione è un fenomeno di collaborazione stabile e libera tra stati che restano sovrani. Lo stato federale invece è una realtà statuale con un potere originario, anche se non pieno.

 

Federalismo: ripartizione del potere politico, concezione del potere non statocentrica. Esistono tanti federalismi quanti sono gli stati che realizzano la ripartizione del potere politico.

 

In Italia l’articolo 5 della costituzione afferma che la Repubblica riconosce e valorizza le autonomie. Però la Costituzione dichiara anche che l’Italia è una e indivisibile e che lo stato si pone come potere unitario. Nell’articolo 114, dopo la riscrittura del 2001, regioni, province e comuni sono parti costitutive dello stato. Se per federalismo intendiamo il policentrismo e la ripartizione del potere politico tra vari enti territoriali, allora il sistema italiano è federale. Il federalismo italiano però non è un federalismo vero e proprio, perché l’assetto dello stato è unilateralmente modificabile, cosa che non avviene nelle federazioni. Il parlamento è l’organo centrale, l’unico che può modificare l’assetto del potere secondo le procedure previste dalal costituzione. In Italia è stata decisa la devolution, cioè il decentramento del potere alle autonomie locali soprattutto su certe materie, come l’istruzione, la sanità e la polizia.

 

Stati europei formalmente federali: Germania, Austria, Belgio, Svizzera.

Stati europei che attuano devoluzione e decentramento: Gran Bretagna, Spagna, Finlandia, Portogallo, Irlanda, Italia

Stati che attuano un decentramento puramente amministrativo: Francia, Danimarca.

 

Classificazione in base alla condizione del cittadino nei confronti del pubblico potere

Da Westfalia il potere da assoluto si è via via ripartito tra vari centri di poteri, aumentando in questo modo le garanzie dei cittadini.

 

Dallo stato assoluto, in cui il sovrano era absolutus, cioè sciolto da ogni altro potere, si è passati allo stato di polizia. Nello stato di polizia (da polis), il cittadino era percepito come titolare di alcuni diritti nei confronti dello stato che lo stato stesso è chiamato a tutelare.

Nel successivo stato liberale ogni cittadino ha diritti civili riconosciuti nelle “carte dei diritti” che vanno tutelati; il cittadino diventa “adulto” sia nella sfera privata che nella sfera pubblica.

Lo stato socialista prevedeva di realizzare l’ideologia socialista, cioè il principio di eguaglianza sostanziale nel godimento dei diritti di libertà. Di fatto storicamente si è verificata una riduzione delle libertà civili e lo stato ha preso il sopravvento sul cittadino.

Lo stato sociale è diverso dallo stato socialista: persegue fini sociali, dà vita ad una serie di prestazioni in favore dei cittadini, è uno stato interventista, a differenza dello stato liberale che si limita a garantire i diritti dei cittadini. Lo stato sociale interviene su diverse materie, come l’istruzione, l’assistenza sanitaria. Lo stato sociale organizza le prestazioni e garantisce e tutela i diritti di cittadino.

 


Classificazione in base alle forme di governo

 

Per discriminare tra le diverse forme di governo occorre osservare com’è strutturato in uno stato il potere politico. La dimensione politica sottolinea l’attitudine dei poteri collettivi a farsi carico degli interessi generali. La forma di governo descrive come un ordinamento gestisce il potere politico. Normalmente questo potere spetta a chi detiene il potere esecutivo, cioè agli organi di governo. Il governo presiede in permanenza alla gestione del sistema, indirizza l’applicazione dell’ordinamento e può anche prendere iniziative per rispondere a nuovi bisogni. Gli organi di governo sono normalmente il primo ministro, i ministri e l’organo collegiale che li contiene, cioè il consiglio dei ministri. La forma di governo coinvolge anche il potere che rappresenta la collettività, normalmente detenuto da un’assemblea ad elezione diretta. L’assemblea, o parlamento, è titolare del potere legislativo e adotta determinazioni politiche indispensabili per il sistema.

 

Ogni ordinamento può organizzarsi liberamente: ,non ci sono modelli a cui fare necessariamente riferimento. L’organizzazione di un ordinamento viene posta nella Costituzione.

 

DISTINZIONI SECONDARIE

Monarchia – Aristocrazia – Democrazia

Il potere è detenuto da una figura

Il potere è detenuto da un’oligarchia determinata secondo diversi criteri

Il potere appartiene a tutti i cittadini

 

Monarchia – Repubblica

La fonte del potere è teocratica o legittimista (trasmissione del potere per via ereditaria)

La fonte del potere è un’investitura dal basso, dal corpo elettorale.

 

Lo stato moderno è uno stato costituzionale. La costituzionalità indica che il potere statuale è organizzano costituzionalmente secondo una logica di spartizione del potere. La ripartizione dei poteri tende a limitarli in modo da ridurre i rischi di arbitrio e al controllo della gestione del potere attraverso un sistema di pesi e contrappesi. La costituzionalità nasce nel 1300 in Inghilterra con la Magna Charta e si radica in Europa con la rivoluzione francese. La costituzione serve a delineare quali sono gli organi costituzionali tra qui è ripartito il potere tra questi organi.

 

Le forme di governo: costituzionale puro, presidenziale, parlamentare, semipresidenziale, direttoriale e premierato.

 

1) Costituzionale puro. In questa forma di governo il parlamento è del tutto sperato dal governo e questi due organi svolgono le loro funzioni in maniera totalmente separata: il parlamento fa le leggi, l’esecutivo gestisce la politica quotidiana del sistema applicando le leggi e prendendo decisioni. Questa forma di governo era quella della Prussia di Bismarck. Questa forma di governa è poco diffusa perché è emersa la ncessità di una maggiore complessità del sistema e di relazioni tra gli organi. Infatti il rischio di questa forma di governo è o strapotere del potere esecutivo e lo svincolamento della funzione politica dal Parlamento. In un sistema rappresentativo e democratico questo rischio rappresenta un grave limite, in quanto il potere finisce per concentrarsi in un luogo dove il popolo non è rappresentato.

 

2) Presidenziale. Il gestore del potere esecutivo è il presidente, che cumula le funzioni di capo dello stato e di capo del governo. Il presidente ha un’investitura popolare, è scelto direttamente dal corpo elettorale al quale deve rendere conto al termine del mandato. Il presidente sceglie autonomamente i suoi collaboratori, cioè i ministri. In questo sistema i potere è fortemente concentrato nel vertice dell’esecutivo e questa concentrazione viene bilanciata grazie ad una serie di rapporti tra poteri, in particolare tra il legislativo e l’esecutivo, che permettono interferenze e controlli reciproci. Ad esempio il parlamento ha il potere di stabilire le risorse finanziarie necessarie alla gestione del sistema o può esercitare il potere di impeachment, cioè la messa in stato d’accusa del presidente con la possibilità di revocarne il mandato.

 

3) Parlamentare. La forma di governo parlamentare è incardinata sull’istituto della fiducia: l’esecutivo può esercitare il proprio potere solo se ottiene la fiducia del parlamento. Il governo deve avere l’imprimatur del parlamento e mantenere con esso un rapporto di fiducia, altrimenti si verifica una crisi di governo. La fiducia è un mezzo per garantire il controllo permanente del corpo elettorale, tramite i suoi rappresentanti, sul governo. Gli organi che detengono il potere esecutivo sono distinti dal capo dello stato. Il governo nasce per investitura del capo dello stato, che nomina sia il capo del governo, sia gli altri ministri, che insieme formano il consiglio dei ministri. Dopo un atto formale come un giuramento ha luogo il passaggio di consegne tra un governo e quello successivo, ma per essere nel pieno delle sue funzioni il governo deve ottenere la fiducia del parlamento. La scelta del capo dello stato deve tenere conto dell’orientamento del parlamento, per questo il capo dello stato tiene una serie di consultazioni con i rappresentanti di tutti i gruppi politici e con altre personalità eminenti. Il consiglio dei ministri deve stilare un proprio programma generale che intende perseguire, per il quale richiede la fiducia al parlamento. La fiducia serve a verificare la sintonia dell’indirizzo politico tra governo e parlamento, o almeno tra il governo e la maggioranza dei parlamentari. Per esercitare le sue funzioni il governo deve poi collaborare continuativamente con il parlamento. Il governo dura in carica finchè persiste la fiducia o finchè rimane in carica il parlamento che l’ha concessa. In caso di crisi di governo il capo dello stato avvia le consultazioni per verificare se vi sono le condizioni per nominare un altro governo; se queste non sussistono il capo dello stato può sciogliere le camere per uscire dalla crisi. L’elemento di rischio nel sistema parlamentare è dato dal rischio dell’instabilità, i quanto il governo può entrare in crisi in ogni momento. A fronte di questo rischio connaturato a questa forma di governo, l’ordinamento inserisce alcune clausole di razionalizzazione.

  • I sistemi elettorali. Il sistema elettorale non è un scelta tecnica, ma risponde ad un obiettivo politico, in quanto ha influenza sulla stabilità di un governo. I sistemi elettorali possono essere distinti tra proporzionali e maggioritari. I sistemi proporzionali eleggono i rappresentanti in misura proporzionale ala consistenza delle diverse forze politiche: l’organo rappresentativo è formato proporzionalmente all’orientamento del corpo elettorale. Il sistema maggioritario ha l’obiettivo di individuare e premiare la forza maggioritaria per far emergere una maggioranza in parlamento. Il sistema maggioritario non tiene conto della consistenza delle forze in campo, ma fa sì che venga eletto colui che in ogni singolo collegio ha ottenuto più voti. Entrambi i sistemi sono democratici, ma si pongono obiettivi diversi. Il sistema proporzionale fotografa le consistenze delle forze politiche, quello maggioritario cerca di dar luogo ad una maggioranza stabile che abbia i numeri per governare. Il sistema maggioritario spinge ad un certo grado di bipolarismo.
  • Clausola di sbarramento. Si stabilisce a priori che in un sistema proporzionale si concorre alla ripartizione dei seggi a condizione di arrivare ad una soglia minima percentuale.
  • Sfiducia costruttiva. Quando si sfiducia un governo in carica c’è l’obbligo di avere pronta un’alternativa al governo sfiduciato.

 

4) Semipresidenziale. Questa forma di governo, in vigore in Francia, ha un capo dello stato eletto direttamente dal corpo elettorale, come nel sistema presidenziale. Il capo dello stato non è il capo del governo, che è un organo distinto ed è formato dal primo ministro e dagli altri ministri. Il capo dello stato in quanto eletto dal corpo elettorale non ha però una posizione solamente rappresentativa, ma è politicamente più forte e detiene alcuni poteri politici e ne condivide altri con il governo. Il governo nasce su investitura del capo dello stato e questi due organi devono mantenere un rapporto fiduciario, in quanto il presidente può anche revocare i ministri. Il governo però godere anche della fiducia del parlamento. Questo sistema della doppia fiducia cerca di bilanciare il peso del parlamento e del capo dello stato, entrambi organi eletti direttamente. Accade a volte che l’orientamento politico del capo dello stato sia diverso da quello della maggioranza del parlamento. Occorre decidere se in casi del genere ci debbano essere dei meccanismi automatici per eliminare questa disparità o se ci sia un organo che tra i due prevale. Di solito prevale il parlamento, perciò il capo dello stato deve uniformarsi alla volontà del parlamento e nominare un governo che può ottenerne la fiducia. Il rischio di questo sistema è proprio il conflitto determinato dalla coabitazione.

 

5) Direttoriale. Il governo si forma all’interno dell’assemblea eletta attingendo da essa i suoi componenti. E’ l’assemblea che dà l’imprimatur al governo e che ne sceglie e ne nomina i componenti. In questo modo il governo è molto dipendente dall’assemblea, che ha un ruolo preponderante. In realtà questi modelli realizzano un equilibrio diverso. L’obbiettivo è quello di realizzare una condizione in cui sia il governo il centro dell’indirizzo politico dell’assemblea stessa. L’assemblea fa le leggi, ma è il governo che indica all’assemblea la direzione politica da prendere. Un sistema del genere può funzionare solo se l’assemblea è coesa, altrimenti è difficile far emergere un governo che possa dirigere la volontà dell’intera assemblea. L’assemblea dev’essere disposta a delegare fortemente l’indirizzo politico al governo e questo fatto accade solo se all’interno di essa ci sono valori condivisi comuni. Il governo è costituito in modo da rappresentare le principali forze politiche presenti nell’assemblea, che cercano continuamente soluzioni condivise. La rappresentatività è elemento essenziale perché questo sistema funzioni.

 

6) Premierato. In questa forma di governo nel governo c’è posizione di preminenza del premier, che è una figura con un forte capacità di determinazione dell’indirizzo politico. Occorre capire come determinare questa condizione e quali contrappesi porre a questa figura. Nel premierato il capo del governo coesiste con un capo dello stato che ha funzioni puramente rappresentative. Il premier può avere il potere di nomina e revoca dei ministri, il potere di determinare l’indirizzo politico del consiglio dei ministri e il potere di scioglimento anticipato del parlamento. Questa forma di governo è simile al cancellierato tedesco o al modello israeliano, dove il premier è eletto direttamente dal corpo elettorale. Anche nei sistemi parlamentare informalmente il leader della coalizione vincente è predestinato ad assumere il ruolo di premier, per cui si può parlare di investitura popolare, anche se informale. I contrappesi in questo sistema possono essere la messa in discussione del premier attraverso lo strumento della fiducia e il potere di scioglimento del parlamento. Se questo potere è detenuto dal premier il sistema politico è sbilanciato nei suoi confronti, se non è detenuto dal premier allora si ha un certo contrappeso.

 


I CARATTERI DELLO STATO MODERNO

 

- Costituzionalità (cfr.)

 

- Giuridicità. Il potere dev’essere regolato dal diritto ed ad esso subordinato. Ogni esercizio del potere deve avvenire nel rispetto del regole, non può esistere né un potere libero, né un potere illegittimo, in contrasto con le regole. Questo implica che esistono figure di garanzia a cui ricorrere nel caso in cui il potere sia esercitato illegittimamente. Soprattutto nei confronti della pubblica amministrazione, con cui il cittadino ha rapporti consueti, c’è la necessità di forme di garanzia (àgiustizia amministrativa).

 

- Rappresentatività. Il potere, specialmente quello di indirizzo politico, dev’essere esercitato da organi che sono formalmente espressione di un’investitura del corpo elettorale, cioè il corpo dei cittadini politicamente attivi. L’esercizio del potere è per lo più non diretto, ma mediato. Ci sono anche istituti diretti, come il referendum, ma sono eccezioni. Ci sono due tipi di rappresentanza: quella vincolata, nella quale il rappresentante dev’essere portavoce delle intenzioni di chi rappresenta, e quella libera, nella quale il rappresentante è investito di un mandato che gli consente di essere libero di manifestare il proprio orientamento. Nel primo caso si ha la rappresentanza in senso privatistico, legata al vincolo di mandato, per cui il manifestante non può discostarsi dal mandato che gli è stato conferito. La rappresentanza negli stati contemporanei non è strettamente giuridica, ma richiede una libertà del rappresentante. Il rappresentante deve avere autonomia nell’affrontare le situazioni che si determinano: questa è la rappresentanza politica, garantita dall’articolo 67 della costituzione. I parlamentari rappresentano la nazione nel suo complesso, non chi li ha eletti, in quanto ogni parlamentare dev’essere portavoce degli interessi generali, che devono essere alla basse delle regole che poi vengono poste. L’eletto si stacca dagli elettori, perché il suo compito è perseguire gli interessi generali e perché il cittadino opera una “designazione di capacità”, scegliendo il rappresentante che possa assolvere al meglio il mandato. Una delle possibili degenerazioni del mandato libero consiste nel rapporto che si può creare e il partito nelle cui file è stato eletto, in quanto il rappresentante formalmente non rappresenta il partito, ma deve osservarne le regole e spesso anche le scelte. Il mandato è politicamente controllabile, per questo ciò che avviene all’interno dei corpi rappresentativi dev’essere trasparente e pubblico. Le modalità di voto possono essere segrete o palesi. Il voto palese permette il controllo dei rappresentanti, il voto segreto permette al parlamentare di essere svincolato dalle pressioni esterne, come quelle dei partiti o dei gruppi parlamentari. Le regole per stabilire le diverse modalità di voto sono contenute nei regolamenti parlamentari.

 

- Democraticità.

Democraticità formale

La democraticità si fonda su due regole: il principio di maggioranza e il principio di tutela delle minoranze. Emerge l’esigenza di governare corpi caratterizzati dal pluralismo delle opinioni, necessario in democrazia, ma che richiede l’esistenza di un modo per prendere le decisioni.

Il principio di maggioranza significa che prevale la volontà dei più: ciò che decidono vale per tutti: questo è il modo normale in cui si prendono le decisioni in democrazia. Diversi sono i modi per calcolare la maggioranza:

  • Maggioranza QUALIFICATA. E’ una maggioranza forte e più difficile da raggiungere, superiore alla metà: si parla di maggioranza qualificata quando la percentuale richiesta è compresa tra il 50%+1 e l’unanimità (100%).
  • Maggioranza ASSOLUTA. E’ la maggioranza del 50%+1
  • Maggioranza RELATIVA. La maggioranza relativa è conseguita dall’opinione che ha il consenso maggiore, anche se non si raggiunge la maggioranza assoluta.

Il calcolo delle maggioranze può essere effettuato in riferimento agli aventi di diritto al voto, si parla in questo caso di quorum strutturale, o in riferimento ai votanti, e si parla di quorum funzionale.

La garanzia della minoranza è coessenziale al sistema democratico: senza di essa non esiste il libero confronto. La minoranza ha il diritto ad attestare a sufficienza le proprie convinzioni durante il dibattito parlamentare, attraverso il diritto di parola e di proposta.

Questi principi si prestano a degenerazioni

à Tirannia della maggioranza: una compagine ha i numeri per fare ciò che vuole e lo fa

à Consociazione. Quando nessuna opinione può essere maggioritaria, si deve cercare la mediazione per poter prendere una decisione. La consociazione è necessaria in questi casi o quando si stabiliscono le regole del sistema, ma se diventa prassi si scade nel consociativismo, situazione nella quale la maggioranza rinuncia alle proprie prerogative e ricerca un accordo con le principali componenti del corpo rappresentativo. Ciò determina la fine del confronto.

à Quando la tutela della minoranza è eccessiva, l’uso degli strumenti di garanzia può trasformarsi in ostruzione della maggioranza, impedendole di prendere decisioni. L’ostruzionismo è in parte fisiologico per garantire la tutela della minoranza, ma se supera una certa soglia diventa patologico e causa la degenerazione del sistema.

 

Democraticità sostanziale.

Differenti autori danno differenti risposte su quale sia il quid sostanziale che permette di definire un ordinamento democratico. Comunque tutti gli autori sono d’accordo che uno stato non si può definire democratico solo sulla base delle regole procedurali, ma nelle costituzioni degli stati democratici non devono mancare alcuni elementi essenziali.

    • PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA. Se la democrazia è il luogo del confronto in vista di decisioni, allora non deve mancare la parificazione tra le opinioni e quindi tra le persone: dev’esserci uguaglianza nella possibilità di partecipare al dibattito politico. Una costituzione democratica inoltre deve prevedere l’uguaglianza formale, cioè l’uguaglianza davanti alla legge. Poi si può anche introdurre il principio dell’eguaglianza sostanziale. Il nostro ordinamento nell’articolo 3 della Costituzione riconosce la pari condizione giuridica dei cittadini di fronte alla legge.
    • PRINCIPIO DI RISPETTO DEI DIRITTI INDIVIDUALI. Ci sono diritti che vanno garantiti a tutti gli uomini. La sfera di questi diritti può essere più o meno ampia, ma alcuni di questi sono assolutamente imprescindibili: diritti di libertà personale, di manifestazione del pensiero (a cui sono associate le libertà di associazione e riunione come base della democrazia intesa come partecipazione), diritto all’istruzione, che è la precondizione per una vera democrazia, diritto al concorso dei cittadini all’elaborazione delle scelte (per esempio attraverso i partiti politici).

Gli stati del sistema occidentale anno questi contenuti e hanno forme di garanzia per mettere il cittadino in condizione di partecipare alla vita politica.

 

- Socialità

Uno stato che mira a realizzare l’eguaglianza sostanziale, cioè effettive pari opportunità per tutti i cittadini deve far sì che il principio di eguaglianza si concretizzi per tutti al di là delle differenze che esistono. Questo principio implica l’effettivo intervento dei pubblici poteri per ridurre queste differenze.

Art. 3 – II comma

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

In questo articolo si afferma il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza, impedendo la partecipazione alla vita politica, economica e sociale dello stato di tutti i cittadini. La repubblica non è solo garante del principio di eguaglianza, ma interviene rimovendo gli ostacoli che si presentano. L’organizzazione dei pubblici poter è in funzione di questi diritti. Lo stato può intervenire direttamente nelle prestazioni o può favorire la fornitura di queste prestazioni.

 

- Policentrismo

Il policentrismo è il fenomeno per cui lo stato demanda il potere ad altri centri. Lo stato contemporaneo nel mondo occidentale effettua questo decentramento, per cui c’è una pluralità di centri politici. Si ha una tendenza a rafforzare il ruolo dei centri politici altri rispetto allo stato. Nella Costituzione italiana le autonomie locali sono riconosciute nell’articolo 5 e l’articolo 114 I comma, che apre il titolo V della seconda parte, afferma che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. La repubblica è l’ordinamento complessivo, ma è formata da più ordinamenti che sono ordinati al basso all’alto secondo il principio di competenza e dal principio di sussidiarietà. Il principio della sussidiarietà afferma che le istituzioni politiche sono ordinate in modo da far fare a quella più vicina al cittadino tutto il possibile e limitando il compito delle istituzioni politiche superiori a interventi di sussidiarietà (svolgono compiti che i poteri infrastatuali non sono in grado di svolgere). La carta europea delle autonomie locali, scritta nel 1985 dal consiglio d’Europa, riconosce importanza agli ordinamenti infrastatuali.
LA COSTITUZIONE

 

La Costituzione è un fenomeno particolarmente importante, perché concomitante con la nascita di un ordinamento statale. Storicamente attraverso un documento – la Costituzione – si è cercato di sancire alcune scelte ed alcune opzioni fondamentali per l’ordinamento statuale. La Costituzione è il punto di partenza e il dato di riferimento dell’orientamento posto nel momento in cui l’ordinamento stesso si costituisce.

 

La Costituzione è la fonte suprema, la fonte dell’organizzazione costituzionale e la fonte delle fonti.

La Costituzione è la fonte fondamentale, suprema dell’ordinamento statuale. E’ un elemento imprescindibile, il dato da cui dipende il resto. Le opzioni fatte nella Costituzione condizionano tutto l’ordinamento.

La costituzione disciplina il potere e l’organizzazione del potere costituzionale. Il costituzionalismo supera la concentrazione dei poteri per arrivare alla loro ripartizione tra una pluralità di organi costituzionali, posti sullo stesso piano. Nella Costituzione si trovano le funzioni dei vari organi, i loro rapporti, i sistemi di pesi e contrappesi.

La Costituzione è la fonte delle fonti, cioè è la fonte che ha il compito di stabilire come successivamente si potrà produrre diritto e quali sono le fonti di produzione legittime in quell’ordinamento. La costituzione è la prima e la principale fonte sulla produzione

 

La costituzione è la norma prodotta dal potere costituzionale, cioè da quel corpo politico capace di creare la Costituzione nel momento genetico dell’ordinamento. In seguito la vita del gruppo sociale si sviluppa su quelle scelte, che sono stabilizzate nella Costituzione, duratura nel tempo. Il potere costituzionale è il potere iniziale capace di operare le scelte fondamentali, definendo così un ordine: il potere successivo è da quel momento ordinato, costituito. Nel momento costituente il potere è libero, poi diventa limitato dalla Costituzione, che tende a stabilizzare ed irrigidire le scelte successive. Le scelte del costituente valgono a tempo indeterminato.

 

Costituzioni rigide – flessibili. Le costituzioni flessibili possono essere agevolmente modificate, le costituzioni rigide impediscono o rendono difficoltose le modifiche. La rigidità contraddistingue quasi tute le costituzioni contemporanee. Le costituzioni flessibili sono modificabili attraverso leggi e procedure ordinarie, le costituzioni rigide richiedono maggioranze e procedure più complesse.

 

Costituzione formale – sostanziale – materiale.

La costituzione formale è il testo della Costituzione, prodotto da un processo costituente, con un certo contenuto ed una certa forma.
La costituzione sostanziale è ciò che dev’essere disciplinato con norme costituzionali anche al di là del testo formale; la Costituzione deve disciplinare due aspetti essenziali: la ripartizione del potere e la garanzia dei diritti fondamentali del cittadino nei confronti dei pubblici poteri. Oltre al nucleo essenziale nulla impedisce di inserire nella Costituzione regole su altri argomenti.

L’espressione costituzione materiale indica che oltre alla costituzione formale esiste un potere stabilizzato che risulta determinate per l’ordinamento statale. E’ la costituzione vivente, capace di avere effettiva vigenza anche al di là del documento scritto.

 

Procedure per scrivere una costituzione.

  • Assemblea costituente, creata appositamente per questo scopo e che ha termine con la firma della Costituzione.
  • Procedura rivoluzionaria: stabilizzazione da parte di chi rovesci l’ordinamento precedente
  • Sovrano illuminato.

 

 

L’assemblea costituente in Italia fu eletta il 2 giugno del ’46 e ha redatto il testo della Costituzione, entrata in vigore il primo gennaio 1948.

 

Come incide la nuova Costituzione sul vecchio ordinamento? Essa si innesta nell’ordinamento statuale già vigente apportando alcune modifiche o rappresenta un cambiamento totale? C’è rottura o continuità?

Cambiare radicalmente pagina vuol dire anarchia, che turba l’ordine sociale. La Costituzione non dovrebbe avere questo effetto, dl momento che si propone l’obiettivo di porre le basi dell’ordine sociale. Questo principio non vale nel caso in cui la Costituzione non sia il risultato di una rivoluzione, che pone un sistema di valori radicalmente diverso dal precedente.

La nuova Costituzione ha superato in toto lo Statuto Albertino, ma il tessuto legislativo precedente non è stato travolto. Le vecchie regole vennero valutate in base alla loro legittimità costituzionale, cioè vennero esaminate per vedere se fossero conformi o meno alla nuova Costituzione. Ciò che c’era prima fu quindi parametrato alla nuova Costituzione, ma l’esigenza di questa parametrazione fu successiva alla redazione della Costituzione e si presentò quando sorsero le prime questioni di costituzionalità della legge, risolte prima dalla corte di Cassazione e poi dalla corte Costituzionale. La corte Costituzionale fu creata nel ’53 e diventò operativa nel ’54: aveva il compito di valutare e confrontare le regole dell’ordinamento precostituzionale sulla base della nuova Costituzione. Questo compito non è mai terminato, perché ancora oggi alcune norme precostituzionali sono in vigore e vengono esaminate. La corte costituzionale infatti non può agire di propria volontà, ma solo se chiamata in causa, per cui è possibile che nell’ordinamento vigente ci siano norme in contrasto con la Costituzione, di cui però non è mai stata accertata l’incostituzionalità. Il sistema si aggiusta da sé o proclamando l’incostituzionalità di una norma o abrogando, implicitamente o esplicitamente, le norme passate. Ciò non toglie però che possano esistere norme incostituzionali.

 

Per capire se ci sia stata o meno rottura costituzionale occorre considerare da chi sia stata convocata l’assemblea costituente e chi ne abbia fatto parte. L’elezione dell’assemblea costituente è stata indette dal luogotenente Umberto II, che reggeva il potere per il re Vittorio Emanuele III. L’esito delle elezioni, svolte in concomitanza con il referendum tra monarchia e repubblica segnarono la chiusura del periodo monarchico e gettarono le basi per la costituzione della nata Repubblica italiana. Le procedure che hanno portato al rovesciamento del vecchio ordinamento sono state legali, per questo c’è stata continuità nella legalità.


LA COSTITUZIONE ITALIANA

 

  • votata
  • scritta
  • lunga (139 articoli più le disposizioni finali)

 

E’ divisa in due parti più i principi fondamentali (articolo 1-12). La prima parte contiene i diritti e i doveri dei cittadini (articolo 13-53). Questa parte contiene per lo più norme programmatiche, che costituiscono un programma che dovrà rispettare il futuro legislatore. Le norme programmatiche sono scelte di fondo che affidano al legislatore il compito di renderle concrete in quanto la Costituzione non può comprendere tutto ciò che va regolato nel dettaglio. Le norme programmatiche sono dei manifesti di valori che indicano i principi di base su cui il legislatore deve operare. La costituzione pone, quindi, un problema di attuazione; nella fase di attuazione il dominus è il parlamento. Ciò non vuol dire che la Costituzione non abbia valenza giuridica, in quanto il giudice ne deve sempre tenere conto perché è da esso vincolato. Le norme programmatiche a volte sono state applicate tardivamente, a volte non sono ancora state applicate (esempio: articolo 39 che disciplina la materia sindacale).

 

La Costituzione italiana è il frutto del patto costituzionale, cioè un patto tra le principali forze politiche dell’epoca per raggiungere un’intesa sulle questioni fondamentali. La Costituzione è il frutto di valori provenienti da diverse forze politiche, che dovevano trovare un’intesa per stabilire le regole del gioco. La Costituzione è quindi il risultato di una serie di compromessi a cui si è arrivati pur partendo da direzioni diametralmente opposte. Le matrici di pensiero presenti nell’assemblea costituente erano principalmente cattolica, socialista e liberale. Se il patto funzione, la Costituzione esprime valori condivisi al di là delle convinzioni politiche, perciò è stabile. In Italia si è in effetti realizzata questa stabilità, grazie all’integrazione tra le varie forze politiche. L’assemblea costituente fu eletta in base al sistema proporzionale perché si voleva fotografare la consistenza delle forze politiche nella società piuttosto che premiare la forza principale. Quando si stabiliscono le regole nessuno può prevalere sugli altri, anche se ha la maggioranza per farlo.

 

Le modifiche costituzionali.

Per garantire la stabilità delle regole del gioco, la Costituzione stabilisce la propria rigidità e un procedimento aggravato ad hoc per la sua revisione. Alcuni oggetti non sono suscettibili di revisione, alcune scelte sono decisive ed immodificabili.

Art. 139. La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.

Nel concetto di Repubblica sono compresi gli elementi che le danno forma e non solo l’opzione della repubblica rispetto alla monarchia. Alcuni degli elementi che danno forma alla repubblica sono contenuti nell’articolo 1 e nel 5.

Altri principi della costituzione non sono modificabili, come l’articolo 2 che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 138.

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

 

Questo articolo fa sì che le modifiche costituzionali siano frutto di scelte condivise e vengano adottate da procedure che garantiscano una larga condivisione e una forte volontà di procedere in quella direzione. Le modifiche devono essere approvate con doppia votazione ad intervalli non inferiori a tre mesi dalle Camere. L’obiettivo di questa norma è di accertare che ci sia la ferma volontà di andare in una certa direzione e che la decisione non sia presa per motivi contingenti.

L’approvazione avviene nella seconda votazione a maggioranza assoluta in ogni Camera e la maggioranza è calcolata sul quorum struttale. Se la legge non è stata votata una maggioranza qualificata dei due terzi di ogni camera può avere luogo al referendum, su richiesta di un quinto dei membri di una camera, di cinque consigli regionali o di cinquecentomila elettori. Sono numeri bassi in quanto si permette alla minoranza di mettere in discussione la maggioranza. Il referendum costituzionale non ha quorum strutturale, per cui il rischio è che una minoranza di cittadini sconfessi la maggioranza del parlamento.

 

L’articolo 138 è stato pensato per un sistema proporzionale, ma oggi le elezioni seguono un sistema maggioritario, per cui i seggi appartenenti alla maggioranza sono più della sua effettiva forza. Alle maggiorane parlamentari non corrispondono sempre maggioranze nel corpo elettorale, per cui si rischia di compromettere il principio di rigidità procedurale. Se può avere la situazione in cui la costituzione sia modificata secondo la volontà di una minoranza di cittadini, anche se in realtà con il referendum si può sempre sottoporre la decisione al corpo elettorale. Per questo sii aprono alcune questioni, come l’importanza dell’informazione del corpo elettorale. Ci sono anche questioni giuridiche sull’utilizzo del referendum, che è utile per scelte su singoli oggetti, ma poco funzionale nel caso in cui l’oggetto si è plurimo.

 

La revisione costituzionale può essere plurima, anche se per opinione condivisa non è consentita una revisione completa della Costituzione, cioè la sua sostituzione. L’articolo 138 prescrive interventi di puntuale revisione di alcuni aspetti, anche se non è chiaro se questi aspetti debbano essere omogenei o se si possa comprendere nella stessa legge costituzionale diversi aspetti. Negli anni ‘80/’90 le modifiche costituzionali hanno riguardato quasi tutti i titoli della II parte, quella organizzativa, per cui oggetti tra loro diversi sono stati gestiti nell’ambito di processi di analisi unitari e coordinati. Questi tentativi di aggiornamenti complessivi non hanno avuto successo, a parte la revisione del titolo V promulgata nel 2001.

 

Oggi c’è un processo di revisione di tutta la seconda parte e dell’articolo 138, approvato in prima lettura al senato. E’ aperto il dibattito se sia ammissibile gestire unitariamente un processo di revisione così ampio, soprattutto con la possibilità che ci sia un referendum confermativo.

 

Modificabilità dell’articolo 138.

Occorre chiedersi se l’articolo 138 possa essere modificato, visto che è la norma che determina la posizione differenziata della Costituzione rispetto alle altre fonti, e se si possa attenuare o modificare la rigidità che imprime alla Costituzione.

L’articolo138 può essere modificato rispettando l’articolo 138, perché non è una norma non suscettibile di modifica, ma è una norma strumentale che chiarisce le modalità di revisione costituzionale. E’ inoltre derogabile e negli anni ’90 si è modificato attraverso una una tantum dal valore temporale circoscritto, secondo la quale si è introdotta una variante dell’iter di modifica che prevedeva una commissione bicamerale con potere di presentare progetti di modifica ferme restando le modalità di approvazione.

La costituzione non può essere resa meno rigida: la rigidità può essere disciplinata in maniera diversa, ma non può essere ridotta o eliminata e va salvaguardata la necessità di ottenere il consenso più ampio possibile.

Le due ipotesi di modifica al vaglio del parlamento riguardano l’abrogazione del terzo comma che prevede che non ci sia possibilità di referendum qualora le modifiche siano approvate a maggioranza qualificata e l’introduzione del quorum strutturale per il referendum confermativo. E’ una soluzione compatibile con il principio di rigidità in quanto tende ad aumentare la rigidità della Costituzione.

 

Fonte:

http://www.aula28.altervista.org/appunti/istituzioni_di_diritto_pubblico.doc

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