Diritto commerciale riassunti

 

 

 

Diritto commerciale riassunti

 

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Diritto commerciale riassunti

 

RIASSUNTI  DI

“DIRITTO  PRIVATO”  DEL  CAMPOBASSO
CON  INTEGRAZIONI  DA  APPUNTI

 

 

CAPITOLO 1: L’IMPRENDITORE

NOZIONE DI IMPRENDITORE. L’art.2082 del Codice Civile afferma che “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.”
Si noti che la norma (ma nessuna norma all’interno del Codice Civile lo fa) non definisce che cosa sia l’impresa, tuttavia fissa i requisiti minimi e sufficienti affinché un dato soggetto sia esposto alla disciplina dell’imprenditore.
Requisiti essenziali dell’imprenditore:

  • Attività produttiva: Secondo la definizione, l’imprenditore svolge attività produttiva, considerando tale anche l’attività di scambio diretta a incrementare l’utilità dei beni spostandoli nel tempo o nello spazio, ed è irrilevante la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare. Non è impresa, invece, l’attività di mero godimento, ma non vi è incompatibilità tra attività di godimento e impresa in quanto la stessa attività può costituire nel contempo godimento di beni preesistenti e produzione di nuovi beni o servizi. Così, costituisce impresa il proprietario di un immobile che lo adibisce a pensione, ma sono considerabili attività produttive anche quelle svolte dalle società di investimento, da quelle finanziarie, o dalle holdings pure.
  • Organizzazione: Non è concepibile attività d’impresa senza l’impiego coordinato da parte dell’imprenditore di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui, per un fine produttivo. Non ha comunque importanza il tipo di apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale e che può variamente atteggiarsi a seconda del tipo di attività e delle scelte organizzative dell’imprenditore.

N.B. Problema dei prestatori autonomi d’opera manuale (elettricisti, idraulici,..) o di servizi fortemente personalizzati (mediatori, agenti di commercio,…): nonostante opinioni contrastanti, si ritiene che un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è pur sempre necessaria per aversi impresa sia pure piccola. In mancanza si avrà semplice lavoro autonomo non imprenditoriale.

  • Economicità: Per aversi impresa è quindi essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, secondo modalità che quanto meno consentono la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica.
  • Professionalità: Ci si riferisce al requisito oggettivo dell’attività, che va accertato in base ad indici esteriori ed oggettivi, e non al soggetto. Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale (che non vuol dire stagionale, come nel caso degli alberghi) di una data attività produttiva. Impresa si può comunque avere anche quando si opera per il compimento di un “unico affare”, sempre che ciò implichi il compimento di operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici.

ARGOMENTI CONTROVERSI:

  • Attività d’impresa e scopo di lucro. Ci si è chiesti se lo scopo di lucro costituisca requisito essenziale dell’attività d’impresa. Si ritiene che la risposta debba essere comunque negativa sia considerando il lucro soggettivo (movente psicologico dell’imprenditore), sia considerando il lucro oggettivo (attività svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative), poiché irrilevante è la circostanza che un profitto venga realmente conseguito o devoluto a fini altruistici. Ad esempio le cooperative, che hanno scopo mutuativo, devono comunque essere considerate imprese. L’economicità, ossia il finanziamento attraverso la propria attività, è sufficiente affinché ci sia impresa.
  • Problema dell’impresa per conto proprio. Nonostante opinioni contrarie, si ritiene che un soggetto che soddisfa i requisiti essenziali, produce beni utilizzandoli per sé, senza metterli sul mercato, è comunque considerabile imprenditore. Ad esempio, sono tipiche imprese per conto proprio: a) la coltivazione del fondo finalizzata al soddisfacimento dei bisogni dell’agricoltore e della sua famiglia, b) la costruzione di appartamenti non destinati alla rivendita (costruzioni in economia). Esse dimostrano che non vi è incompatibilità tra impresa per conto proprio ed economicità, dato che l’attività produttiva può considerarsi svolta con metodo economico anche quando i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore.
  • Problema dell’impresa illecita. Nei casi meno gravi in cui l’illiceità dell’impresa è determinata da violazione di norme imperative che ne subordinano l’esercizio a concessione o autorizzazione amministrativa, come nel caso di commercio senza licenza o banca di fatto (cosiddetta impresa illegale), si applicano tutte le disposizioni riguardanti l’imprenditore, salvo eventuali sanzioni. Nei casi più gravi in cui illecito è l’oggetto stesso dell’attività, come nel caso di contrabbando o fabbricazione di droga, e anche di impresa mafiosa, l’imprenditore soggiace alle norme “negative” riguardante l’imprenditore (principalmente ai fini di tutelare i terzi), ma non può godere delle norme “positive”.
  • Impresa e professioni intellettuali. I liberi professionisti non sono mai in quanto tali imprenditori, e ciò si desume dal 1° comma dell’art. 2238, secondo il quale le disposizioni in tema d’impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma d’impresa”. I liberi professionisti diventano imprenditori solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabile come impresa. Essi godono comunque di una disciplina legislativa che li privilegia, e per questo si parla di “professioni protette o riservate”, anche se in pratica è difficile stabilire quando un’attività sia considerabile professione intellettuale e ricada perciò nell’art. 2238: decisivo è il carattere eminentemente intellettuale dei servizi prestati (criterio sostanziale). Oggi vengono considerati imprenditori commerciali, e non liberi professionisti, i farmacisti e gli agenti di cambio.

 

CAPITOLO 2: LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI

A tutti gli imprenditori si applicano le norme relative ad azienda, segni distintivi (ditta, insegna,marchio) e concorrenza.    
PRIMA DISTINZIONE. In base all’oggetto dell’attività, è possibile distinguere:

  • imprenditore commerciale: si applicano le norme relative al registro dell’impresa (con effetto di pubblicità legale), sulla redazione delle scritture contabili, sulla rappresentanza e sull’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
  • imprenditore agricolo: si applica la disciplina relativa all’imprenditore in generale, con esonero per la redazione delle scritture contabili, per l’assoggettamento alle procedure concorsuali e con iscrizione nel registro con solo effetto di pubblicità notizia. Esso gode dunque di un trattamento di favore.

Imprenditore agricolo. Art. 2135: “E’ imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse”. Le attività agricole possono perciò essere distinte in: a) attività agricole essenziali e b) attività agricole per connessione.

  • Attività agricole essenziali. La coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del bestiame vengono dunque classificate attività essenziali affinché un soggetto venga considerato imprenditore agricolo. In realtà negli anni che hanno seguito il 1942 (anno di redazione del Codice Civile), il progresso tecnologico ha consentito di ottenere coltivazioni artificiali o fuori terra, allevamenti in batteria e simili, che poco sembrano compatibili con la qualificazione agricola dell’art. 2135. Inoltre l’imprenditore agricolo soggiace al doppio rischio, ovvero quello normale dell’imprenditore di non coprire i costi con i ricavi e lo specifico rischio ambientale, che tuttavia scompare nelle produzioni artificiali. Si ritiene perciò giusto continuare a qualificare la produzione di specie vegetali e animali come attività agricola essenziale fin quando costituisce forma di sfruttamento del fattore terra, sia pure con l’ausilio delle moderne tecnologie. Diventa invece attività commerciale quando tale collegamento viene meno del tutto.
  • Attività agricole per connessione. Tali attività sono attività commerciali che, quando esercitate in connessione con le attività essenziali, vengono considerate per legge attività agricole, ovvero a) quelle “dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura” (attività connesse tipiche); b) tutte le altre attività esercitate in connessione con le attività essenziali (attività connesse atipiche). Affinché tali attività vengano considerate connesse, devono sussistere contemporaneamente i requisiti di connessione soggettiva (sia per le attività tipiche, sia per quelle atipiche significa attività inserita all’interno della produzione agricola, e ad esempio non è imprenditore agricolo il viticoltore che produce formaggi), e di connessione oggettiva (che significa accessorietà e funzionalità” per le attività atipiche come l’agriturismo e “normalità” – criterio piuttosto elastico – per le attività tipiche).

Imprenditore commerciale. L’art. 2195 afferma che è imprenditore commerciale chi esercita una o più delle seguenti categorie di attività:

  • Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi;
  • Attività intermediaria nella circolazione dei beni;
  • Attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
  • Attività bancaria e assicurativa;
  • Altre attività ausiliarie alle precedenti.

In realtà, le attività elencate ai punti 3, 4, 5 sono solo specificazione delle prime due categorie e dunque gli elementi che contraddistinguono l’impresa commerciale rispetto all’impresa agricola sono solo il carattere industriale dell’attività di produzione di beni o servizi e nel carattere intermediario dell’attività di scambio. Ad ogni modo, le categorie elencate non sono una divisione netta, poiché piuttosto generiche, pertanto si preferisce definire l’imprenditore commerciale per differenza rispetto all’imprenditore agricolo.
Per quanto riguarda l’impresa civile, parte della dottrina riteneva che essa debba affiancarsi all’impresa agricola e a quella commerciale, per il fatto che la legge parla soltanto di “attività industriali”, lasciando aperti altri spazi impliciti.
Tale teoria è stata comunque per lo più abbandonata per mancanza di coerenza con le norme legislative.
SECONDA DISTINZIONE. In base alla dimensione dell’impresa, si differenziano:

  • piccolo imprenditore: è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore ma, anche se esercita attività commerciale, è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili e dall’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali, mentre l’iscrizione nel registro delle imprese ha solo funzione di pubblicità notizia.          Egli gode quindi di legislazione di favore, considerando anche altre norme speciali.
  • imprenditore non piccolo (non definito dalla legge)

Piccolo imprenditore. Art. 2083: “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. Quindi la prevalenza del lavoro proprio e familiare sia rispetto al lavoro altrui, sia rispetto al capitale investito, costituisce il carattere distintivo di tutti i piccolo imprenditori. Non esistono invece plausibili ragioni per differenziare, ai fini del codice civile, le single figure di piccoli imprenditori.
Una legge fallimentare aveva introdotto ulteriori requisiti per il piccolo imprenditore, ma è stata implicitamente abrogata e pertanto non va considerata. Parte di tale legge rimane comunque in vigore e assume importanza: “In nessun caso sono considerati imprenditori le società commerciali”. Esse dunque sono comunque esposte al fallimento.
Impresa artigiana. La legge quadro per l’artigianato n. 443 del 1985 definisce l’impresa artigiana, sulla base: a) dell’oggetto dell’impresa, che può essere costituito da qualsiasi attività di produzione dei beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi; b) del ruolo dell’artigiano nell’impresa, richiedendosi che esso svolga “in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”, ma non (attenzione!) che il suo lavoro prevalga sugli altri fattori produttivi; c) del numero di dipendenti.
Tale legge comunque non basta a sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale non piccolo. Oggi, come e più di ieri, l’imprenditore artigiano non è che un piccolo industriale e quindi, giuridicamente, rientra nella categoria degli imprenditori commerciali e, al pari di ogni imprenditore commerciale, l’imprenditore artigiano sarà esonerato dal fallimento solo se in concreto ricorre la prevalenza del lavoro familiare. L’impresa artigiana in forma societaria sarà invece sempre esposta al fallimento in applicazione di principi della legge fallimentare.
Impresa familiare. L’impresa familiare, che non va confusa con la piccola impresa e che ha avuto largo successo soprattutto per ragioni tributarie, è regolata da ampia disciplina, poiché il legislatore ha voluto predisporre una tutela minima e inderogabile al lavoro familiare nell’impresa. Ai membri della famiglia nucleare che lavorino in modo continuato nella famiglia o nell’impresa, sono attribuiti determinati diritti patrimoniali e amministrativi.
Tra i diritti patrimoniali, sono riconosciuti:

  • diritto al mantenimento, secondo le condizioni patrimoniali della famiglia, anche se non dovuto ad altro titolo;
  • diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità del lavoro prestato;
  • diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda;
  • diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda stessa.

Tra i diritti amministrativi, è poi previsto ad esempio che le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e talune altre decisioni di particolare rilievo “sono adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa stessa”, e che il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti. Riguardo alla gestione ordinaria, nessun potere spetta invece ai membri, poiché essi rientrano nella competenza esclusiva dell’imprenditore, il quale tuttavia è responsabile in proprio degli atti verso terzi.
TERZA DISTINZIONE. In base alla natura del soggetto, si differenziano:      

  • impresa individuale
  • impresa societaria
  • impresa pubblica

Impresa societaria. Le società si dividono in 6 categorie:

  • Società semplice  à può esercitare solo attività agricola
  • S.n.c.
  • S.a.s.   à  possono esercitare sia attività agricola, sia commerciale. Si parla di società 
  • S.p.A.       commerciali, per le quali si applicano le norme sull’imprenditore commerciale,
  • S.r.l.         qualunque sia l’attività svolta. L’eccezione è la disciplina del fallimento,

-     Sa.p.a.      che non si applica alle società commerciali che svolgono attività agricola.
Impresa pubblica. Lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali possono anch’esse svolgere attività d’impresa, e lo possono fare:

  • direttamente, avvalendosi di proprie strutture organizzative (in questo caso l’attività d’impresa è attività accessoria);
  • attraverso la creazione di enti pubblici economici (ENEL, Ferrovie dello Stato,…), che negli ultimi anni sono stati in gran parte trasformati in società per azioni a partecipazione statale;
  • attraverso la costituzione di società, generalmente per azioni (società a partecipazione pubblica).

Si ritiene che le imprese accessorie di cui al punto a), nonostante diverse opinioni, non siano soggette alle norme riguardanti l’imprenditore commerciali, mentre le imprese che costituiscono attività principale soggiacciono a tutte le norme riguardanti l’imprenditore commerciale, con l’esclusione del fallimento. Gli enti pubblici economici infatti non possono fallire e sono esonerati da procedure concorsuali minori.
Attività commerciale delle associazioni e delle fondazioni. Tutti gli enti privati con fini ideali e altruistici possono svolgere attività commerciale, che può anche costituire attività esclusiva o principale, qualificabile come attività d’impresa. Tali enti acquistano sicuramente la qualità di imprenditori commerciali con pienezza di effetti anche se l’attività commerciale ha carattere accessorio o secondario. Anche tali enti saranno quindi esposti al fallimento.

 

CAPITOLO 3: L’ACQUISTO DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE

 

L’acquisto della qualità di imprenditore è presupposto per l’applicazione ad un dato soggetto del complesso di norme che l’ordinamento ricollega a tale qualifica. Si diventa imprenditori, come dice l’art. 2082, con l’esercizio di attività d’impresa. Tuttavia per affermare che un dato soggetto è diventato imprenditore, è necessario che l’attività d’impresa sia a lui giuridicamente riferibile, ovvero sia a lui imputabile, così come è necessario stabilire, visto che la legge è muta al riguardo, quando inizi e finisca l’impresa.

ê A. L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA.
Esercizio diretto dell’attività d’impresa. Quando gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato o da altri in suo nome, non sorgono particolari problemi. La qualità di imprenditore è acquistata, con pienezza di effetti, dal soggetto e solo dal soggetto il cui nome è stato speso nel compimento dei singoli atti di impresa. Solo questi è obbligato nei confronti del terzo contraente, ed anche quando gli atti di impresa sono compiuti tramite il rappresentante, imprenditore diventa il rappresentato e non il rappresentante.
Tutto ciò è possibile in base al criterio di spendita del nome: quando il mandatario agisce in nome del mandante (mandato con rappresentanza), tutti gli effetti negoziali si producono direttamente nella sfera giuridica di quest’ultimo, mentre il mandatario che agisce in proprio nome (mandato senza rappresentanza) “acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non hanno alcun rapporto con il mandante”.
Esercizio indiretto dell’attività d’impresa. Spesso l’impresa viene esercitata tramite interposta persona. Cioè vi è distinzione tra chi compie in proprio nome i singoli atti d’impresa (imprenditore palese o prestanome), e chi somministra al primo i mezzi finanziari, dirige di fatto l’impresa e fa propri i guadagni, pur non palesandosi come imprenditore di fronte ai terzi (imprenditore occulto, vero dominus dell’impresa). I problemi gravi sorgono quando gli affari vanno male e il rischi d’impresa viene trasferito sui creditori più deboli che non i erano premuniti contro casi simili.
Parte della dottrina ritiene che si debba superare il principio della spendita del nome per quanto riguarda i debiti d’impresa, e che dunque il rischio si trasferisca direttamente all’imprenditore occulto, altri ritengono che siano responsabili cumulativamente sia il prestanome sia l’imprenditore occulto, con esclusione però del fallimento per quest’ultimo.
Un passo avanti è compiuto invece dalla teoria dell’imprenditore occulto, che sostiene che il dominus di un’impresa formalmente altrui non solo risponderà insieme a questi, ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome. Tutto ciò in base all’art. 147, 2° comma, legge fall.
Tuttavia l’affermazione in base alla quale risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato non può essere condivisa, così come non può essere condiviso il più radicale assunto in base al quale la sovranità di fatto sull’impresa rappresenta il solo criterio giuridico di imputazione dell’attività d’impresa, sicché solo il dominus acquisterebbe la qualità di imprenditore.
Dall’art. 147, 2° comma, si può desumere il principio che chi è socio di una società a responsabilità illimitata risponde verso i terzi anche se la sua partecipazione alla società non è stata esteriorizzata. Non già che può essere chiamato a rispondere chi socio non è. Ma proprio quest’ultimo è il risultato che si determina rendendo responsabile l’imprenditore occulto.
Nella fattispecie imprenditore occulto – imprenditore palese manca, infatti, una società con soci a responsabilità illimitata (il prestanome è persona fisica o società di capitali), e soprattutto nessuna società esiste tra dominus e prestanome, essendo quest’ultimo mandatario senza rappresentanza del dominus e non socio dello stesso. Dunque non è possibile affermare per analogia, in base all’art. 147, la responsabilità illimitata del dominus di un’altrui impresa individuale o di una società di capitali.
Il regime descritto non è comunque così iniquo e pericoloso come appare a prima vista. E’ vero che, non chiamando a rispondere chi sta dietro le quinte, si danneggiano i creditori dell’imprenditore palese, tuttavia con la soluzione opposta essi sarebbero avvantaggiati oltremodo poiché finirebbero per giovarsi di un patrimonio (quello del dominus) su cui non potevano fare affidamento quando concessero credito al prestanome.
Per tutelare i creditori dalle azioni tipiche di chi abusa in generale della posizione di dominio su una società di capitali, la giurisprudenza accosta tali azioni ad autonoma attività d’impresa (ovvero impresa di finanziamento o gestione della società di capitali dominata). Pertanto i soci che hanno abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di un’autonoma impresa commerciale individuale o societaria (impresa di fatto), per le obbligazioni da loro contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitali ed in quanto tali potranno anche fallire.


ê B. INIZIO E FINE DELL’IMPRESA

Inizio dell’impresa. La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa, sia per le persone fisiche sia per gli enti pubblici e privati, comprese le società (principio dell’effettività) Non sono sufficienti né l’intenzione di dare inizio all’attività, né l’iscrizione nel registro delle imprese.
Nel caso che l’attività d’impresa sia preceduta da una fase organizzativa oggettivamente percepibile anche un solo atto di esercizio è sufficiente per affermare che l’attività è iniziata (l’organizzazione è già indice non equivoco di attività professionale). Nel caso in cui, invece tale fase organizzativa manchi, solo la ripetizione nel tempo di atti di impresa omogenei e funzionalmente coordinati renderà certo che non si tratta di atti occasionali bensì di attività professionalmente esercitata.
Talvolta, particolarmente per le società, anche atti di sola organizzazione (valutati secondo il loro numero e il livello di significatività) possono essere equiparati ad atti di impresa, determinando dunque l’acquisto della qualità di imprenditore ed anche l’esposizione al fallimento.
Fine dell’impresa. Anche nel caso della fine dell’impresa, domina il principio dell’effettività. La qualità di imprenditore si perde solo con l’effettiva cessazione dell’attività, ovvero con la chiusura della liquidazione, che potrà verificarsi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale (non si devono cioè più verificare operazioni intrinsecamente uguali a quelle “normali”),
che rende definitiva ed irrevocabile la cessazione. Non è necessario che siano stati riscossi tutti i crediti e pagati tutti i debiti relativi.
E’ importante determinare l’esatto giorno di cessazione di attività d’impresa commerciale, poiché l’art. 10 legge fall. prevede che l’imprenditore può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’attività.
Per quanto riguarda le società, si verifica talvolta che dei creditori avanzino pretese dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese. Il legislatore dispone che di tali passività sopravvenute risponderanno gli ex soci o i liquidatori. La giurisprudenza tuttavia è ormai consolidata nell’affermare che la società, benché cancellata dal registro delle imprese, deve ritenersi ancora esistente ed esposta al fallimento, fin quando non sia stato pagato l’ultimo debito. Una società può essere perciò dichiarata fallita anche a distanza di anni dalla definitiva cessazione di ogni attività d’impresa e dalla cancellazione del registro delle imprese.
L’art. 10 legge fall. è così giurisprudenzialmente abrogato per le società.


ê C. CAPACITA’ E IMPRESA

Capacità e incompatibilità. La capacità all’esercizio di attività d’impresa si acquista con la piena capacità d’agire e quindi al compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione. Costituiscono invece incompatibilità divieti di esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinati uffici o professioni. Essi non precludono all’acquisto della qualità di imprenditore, ma espongono a gravi sanzioni.
L’impresa commerciale dell’incapace. Per quanto riguarda l’attività agricola, il codice non detta disposizioni, e trovano perciò applicazione in materia le norme di diritto comune che regolano il compimento di atti giuridici da parte degli incapaci. Per l’attività commerciale, viene invece ampiamente regolata l’amministrazione del patrimonio degli incapaci, in modo da garantirne la conservazione e l’integrità impedendo che lo stesso venga impiegato in operazioni aleatorie o di pura sorte. Viene inoltre posto un divieto assoluto di inizio di impresa commerciale per il minore, l’interdetto e l’inabilitato. Salvo che per il minore emancipato, è pertanto consentita solo la continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale preesistente, quando ciò sia utile per l’incapace e purché la continuazione sia autorizzata dal tribunale. L’esercizio autorizzato dell’impresa determina l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale da parte dell’incapace. In particolare:

  • Minore e interdetto: in nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse dell’incapace. Quando questi acquista (per successione ereditaria o donazione) una preesistente azienda commerciale, il rappresentante legale può essere autorizzato dal tribunale a continuare l’esercizio dell’impresa. Intervenuta l’autorizzazione definitiva (che nel caso dell’interdetto, può anche riguardare l’impresa iniziata dallo stesso prima dell’interdizione), il genitore o il tutore è legittimato a compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione possono essere compiuti solo in caso di necessità o utilità evidente, accertata dall’autorità giudiziaria con autorizzazione di regola concessa atto per atto.
  • Inabilitato: l’inabilitato è un soggetto la cui capacità di agire è limitata agli atti di ordinaria amministrazione. Come l’interdetto e il minore, può solo continuare un’impresa preesistente, non iniziarla ex novo. Intervenuta l’autorizzazione alla continuazione, l’inabilitato esercita personalmente l’impresa, sia pure con l’assistenza del curatore e con il consenso di questi per gli atti d’impresa che esulano dall’esercizio dell’impresa. Il tribunale può subordinare l’autorizzazione alla nomina di un institore.
  • Minore emancipato: il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale anche ad iniziare una nuova attività. Con l’autorizzazione egli acquista la piena capacità d’agire.

Fallimento del minore. Dato che l’autorizzazione alla continuazione dell’attività fa sorgere in capo all’incapace la qualità dell’imprenditore, questi resta esposto a tutte le conseguenze che ne derivano, compreso il fallimento in caso di insolvenza. Nel caso del minore, si ritiene giusto far ricadere le sanzioni penali non sul minore fallito esente da responsabilità oggettive, ma sul rappresentante legale, sebbene non possa essere qualificato imprenditore. Più difficile appare invece sottrarre il minore fallito alle incapacità personali (esclusione da varie professioni), in quanto nell’albo dei falliti va iscritto il minore.

 

CAPITOLO 4: LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE

 


Statuto generale dell’imprenditore:

  • segni distintivi
  • concorrenza sleale
  • antitrust
  • invenzioni

 

Statuto speciale dell’imprenditore commerciale (non piccolo):

  • registro delle imprese
  • rappresentanza
  • scritture contabili
  • [fallimento] à non trattato nel testo

Funzione delle norme. Le norme riguardanti tutti gli imprenditori tutelano la figura dell’imprenditore verso i terzi, le norme riguardanti l’imprenditore commerciale tendono invece a tutelare i terzi che entrano in contatto con tali imprese.
ê A. LA PUBBLICITA’ LEGALE
La necessità di terzi di poter disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in contatto è soddisfatta dal legislatore con l’introduzione di un sistema di pubblicità legale. Dal 1942 al 1997 ha trovato applicazione un “regime transitorio” imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria, caratterizzato dall’esonero temporaneo dall’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali e degli enti pubblici economici. Per le sole S.p.A. ed S.r.l., e per i consorzi con attività esterna, era previsto un sistema di pubblicità legale attraverso la pubblicazione o il deposito nel BUSARL(Bollettino Ufficiale delle Società per Azioni e a Responsabilità Limitata) (per le prime), e nel BUSC (Bollettino Ufficiale Società Consortili) (per i secondi), definitivamente soppressi dal 1997.
Registro delle imprese. L’art. 8 della legge n. 580 del 1993 ed il relativo regolamento di attuazione permettono l’entrata in vigore di un nuovo regime, più ordinato del precedente. E’ cioè previsto, attraverso lo strumento del registro delle imprese, l’obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa, secondo forma e modalità predeterminate per legge.
In tal modo le informazioni rilevanti non solo sono rese accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia), ma producono l’effetto tipico proprio di ogni forma di pubblicità legale: l’opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti così resi conoscibili.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la Camera di commercio, retto da un conservatore nominato dalla giunta. Il registro è articolato in una sezione ordinaria e in più sezioni speciali.


Iscrizione in sezione ordinaria[pubblic. legale]:

  • imprenditori individ.commerciali non piccoli
  • le società, diverse dalla società semplice
  • i consorzi con attività esterna
  • enti pubblici che hanno per attività principale attività commerciale
  • società estere con sede principale in Italia
  • gruppi europei economici con sede in Italia

Iscrizione in sezioni speciali [pubblicità notizia]:

  • imprenditori agricoli individuali
  • piccoli imprenditori
  • società semplici
  • imprenditori artigiani (quando non piccoli imprenditori, anche in sezione ordinaria)

 


Fatti e atti da registrare sono specificati da una serie di norme, diversi a seconda della struttura dell’impresa. Riguardano gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa, la struttura e l’organizzazione delle società. Sono poi soggette in via di principio a registrazione tutte le modificazioni di elementi già iscritti. Non è consentita l’iscrizione di atti non previsti dalla legge.
Procedimento. L’iscrizione, eseguita su domanda dell’interessato (o d’ufficio se l’iscrizione è obbligatoria e l’interessato non vi provvede), deve essere fatta nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha sede. L’iscrizione è eseguita entro dieci giorni dalla data di protocollazione della domanda. L’ufficio del registro deve comunque prima procedere al controllo di regolarità formale, e successivamente di regolarità sostanziale (esistenza e veridicità dell’esistenza dell’atto o del fatto). L’inosservanza dell’obbligo di registrazione porta a sanzioni amministrative e indirette.
Efficacia dell’iscrizione. Di regola, l’iscrizione in sezione ordinaria ha solo efficacia dichiarativa: dal momento della registrazione gli atti e i fatti iscritti sono opponibili a chiunque e i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto e qualsiasi prova contraria che daranno sarà inutile. Da notare che l’imprenditore che ha omesso la registrazione può comunque provare che i terzi hanno avuto ugualmente conoscenza effettiva dell’atto o del fatto.
In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione può anche avere efficacia costitutiva totale (sia tra le parti che per i terzi), oppure parziale (solo verso i terzi). Ad esempio, ha efficacia costitutiva (totale), l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo delle società di capitali e delle società cooperative.
In altri casi, l’iscrizione nella sezione ordinaria, è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico (efficacia normativa). E’ questo il caso delle S.n.c. e delle S.a.s.  che, se non iscritte, vengono comunque ad esistenza ma la mancata registrazione comporta l’applicazione del più gravoso regime dettato per la società semplice. Tale società è detta irregolare.
L’iscrizione nelle sezioni speciali non produce invece nessuno degli effetti sopra elencati in quanto ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia.
ê B. LE SCRITTURE CONTABILI
Obbligo di tenuta delle scritture contabili. Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e monetari, dei singoli atti d’impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta. Esse contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore. La tenuta delle scritture contabili è tuttavia elevata ad obbligo ed è legislativamente disciplinata per gli imprenditori che esercitano attività commerciale. Non vi è però assoluta coincidenza tra i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili secondo il codice civile e la categoria degli imprenditori commerciali:

  • la disciplina delle scritture non si applica ai piccoli imprenditori, nemmeno se commerciali;
  • le società commerciali sono invece obbligate anche se non esercitano attività commerciale;
  • l’obbligo grava anche sugli enti pubblici e sugli enti di diritto privato diversi dalle società che svolgono attività commerciale in via secondaria, sia pure limitatamente a tale attività.

Scritture contabili obbligatorie. Le scritture necessarie per un’ordinata contabilità variano a seconda del tipo di attività, delle dimensioni e dell’articolazione territoriale dell’impresa.
L’art. 2214 pone il principio generale secondo cui l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili “che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”. In ogni caso devono essere tenuti il libro giornale (registro cronologico–analitico, in cui tutte le operazioni dell’impresa vanno registrate nell’ordine in cui sono state compiute) e il libro degli inventari (registro periodico-sistematico, da redire ogni anno, che fornisce il quadro patrimoniale dell’imprenditore, comprese le passività e le attività estranee all’impresa). Devono essere anche conservate gli originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le copie di quella spedita.
Tutti gli imprenditori devono inoltre redigere il bilancio, composto da stato patrimoniale e conto economico, riguardo al quale tutti gli imprenditori devono seguire gli artt. 2423-2435bis che disciplinano il bilancio delle S.p.A.
Regole di tenuta e controllo. La redazione di altre scritture è rimessa alla “discrezionalità” dell’imprenditore (libro mastro, libro cassa, libro magazzino) con i limiti delle norme tecniche, ma nella pratica si ritengono sufficienti le scritture obbligatorie di cui sopra.
Il codice detta poi l’obbligo di osservare alcune regole formali e sostanziali nella tenuta delle scritture contabili per garantirne la veridicità ed evitare che le stesse siano successivamente alterate:
sono le cosiddette formalità estrinseche (es. libri numerati,..) e formalità intrinseche (cioè “secondo un’ordinata contabilità”). Scritture e corrispondenza commerciale vanno conservate per 10 anni.
L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti.
Di regola non c’è controllo esterno sulle scritture, ma ci sono nella pratica rilevanti eccezioni, a causa dei numerosi interessi coinvolti, che chiamano in causa società di revisione ed altre società.
Sanzioni. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili non è assistito da nessuna sanzione generale o diretta, salvo quelle previste dalla legislazione tributaria. Non mancano, però, sanzioni eventuali e indirette: l’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore, non può essere ammesso al concordato preventivo e alla amministrazione controllata ed è inoltre assoggettato alle sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento.
Rilevanza esterna delle scritture contabili. In via di principio, esse sono destinate a restare nella sfera interna dell’imprenditore e non accessibili a terzi. In realtà anche questo principio non è senza eccezioni. Il diritto al segreto contabile cede di fronte alle esigenze conoscitive della pubblica amministrazione, finalizzate ad accertamenti di carattere tributario a alla repressione di reati.
Ad esempio il bilancio delle società di capitali e delle cooperative deve essere reso pubblico mediante deposito presso l’ufficio del registro delle imprese, ed inoltre il diritto al segreto non sussiste né da parte delle imprese soggetto a controllo pubblico verso l’organo pubblico preposto alla vigilanza, né da parte delle società di capitali quotate in borsa verso la Consob.
Efficacia probatoria. Sul piano processuale,le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Il terzo che se ne vuole avvantaggiare non può però scinderne il contenuto.
Affinché l’imprenditore possa utilizzare le proprie scritture come mezzo processuale di prova contro terzi, è necessario che: a) si tratti di scritture regolarmente tenute; b) la controparte sia anch’essa un imprenditore; c) la controversia sia relativa all’esercizio dell’impresa.
Quanto ai modi di acquisizione, in generale il giudice può chiedere l’esibizione riguardante soltanto singole scritture contabili, relative alla controversia in esame,mentre può ordinare la comunicazione alla controparte di tutte le scritture in tre casi tassativi: controversie relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni e alla successione per causa di morte.
ê C. LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE
Di regola l’imprenditore si avvale di ausiliari interni (o subordinati) oppure di ausiliari esterni (o autonomi), ed in entrambi i casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore: l’agire in rappresentanza dell’imprenditore.
Disciplina generale della rappresentanza. In generale, affinché l’incaricato possa agire in nome e per conto dell’interessato, è necessario l’espresso conferimento del potere di rappresentanza attraverso una specifica dichiarazione di volontà, denominata procura. Il potere di rappresentanza sussiste nei limiti fissati dalla procura, che deve essere conferita con le forma prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere. E’ il terzo sul quale cade l’onere di accertarsi della procura, poiché il contratto concluso dal falso rappresentante è infatti improduttivo di effetti ed il terzo non potrà vantare alcun diritto nei confronti del preteso rappresentato. Egli può solo chiedere il risarcimento al falso rappresentante.
Queste regole tutelano male il terzo e cedono il passo a diversa disciplina quando si è in presenza di determinate figure tipiche di ausiliari interni (institore, procuratori e commessi). Tali principi facilitano le contrattazioni di impresa in quanto ridimensionano i pericoli cui è di regola esposto chi contratta con l’altrui rappresentante, che non dovrà verificare la veridicità della rappresentanza.
Sistema speciale di rappresentanza. Il potere di institori, procuratori e commessi di vincolare direttamente l’imprenditore non si fonda sulla presenza e sulla validità di una procura,ma costituisce effetto naturale di quella determinata collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore. Questi potrà modificare il contenuto di tale potere di rappresentanza, ma servirà uno specifico atto.
L’institore. Secondo l’art. 2203, l’institore è colui che è preposto dal titolare all’esercizio della impresa, o di una sede secondaria, o di un ramo particolare della stessa. E’ dunque di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del personale, attraverso un atto di preposizione dell’imprenditore, investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale (direttore generale nel linguaggio comune).
Obblighi dell’institore, congiuntamente all’imprenditore, sono quelli dell’iscrizione nel registro delle imprese e della tenuta delle scritture contabili. In caso di fallimento dell’imprenditore, gli
effetti relativi alle sole sanzioni penali ricadranno anche sull’institore.
L’institore ha inoltre un ampio potere di rappresentanza: anche in mancanza di espressa procura, egli può compiere in nome dell’imprenditore “tutti gli atti pertinenti all’attività dell’impresa”. E’ comunque certo che l’institore non può compiere atti che esulino dalla gestione dell’impresa, e soprattutto gli è espressamente vietato di alienare o ipotecare i beni immobili, se non è stato a ciò specificatamente autorizzato. Riguardo alla rappresentanza processuale, l’institore può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per le “obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa cui è preposto, compresi gli atti posti in essere direttamente dall’imprenditore.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitai dall’imprenditore sia all’atto della preposizione sia successivamente, ma le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese. Mancando tale pubblicità legale, “la rappresentanza si reputa generale”. Da notare quindi che, nonostante il legislatore parli più volte di una procura da parte del preponente, questa non è assolutamente necessaria. La revoca dei poteri è opponibile solo se pubblicata o se l’imprenditore prova la loro effettiva conoscenza.
Sempre riguardo alla rappresentanza institoria, l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente. Peraltro, diversamente dalla rappresentanza generale dove il rappresentato non è responsabile, personalmente obbligato è anche il preponente, quando gli atti compiuti dall’institore “siano pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto”.
I procuratori. Essi sono ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all’institore in quanto a differenza di questo: a) non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria;
b) pur essendo ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa o ad una serie specifica di atti (es. direttore acquisti).
L’art. 2209 trasferisce al procuratore alcune norme dettate per gli institori: i procuratori sono quindi investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, relativamente però alle sole specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale.
Altre norme dettate per gli institori non sono richiamate, perciò il procuratore:

  • non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore, in nessun caso;
  • non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili;
  • non risponderà per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.

I commessi. Essi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive e materiali che li pongono in contatto con i terzi. Hanno potere di rappresentanza, decisamente più limitato rispetto ai due casi di cui sopra, anche in mancanza di specifico atto di conferimento. L’art. 2210 afferma che essi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni cui sono incaricati”. In generale, salvo espressa autorizzazione, i commessi:

  • non possono esigere il prezzo di merci di cui non facciano consegna, né fare sconti o dilazioni;
  • non possono derogare alle condizioni stabilite nel contratto predisposto dall’imprenditore;
  • se preposti alla vendita, non possono esigere il prezzo fuori dai locali stessi, né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata apposita cassa.

I poteri del commesso possono essere ampliati o limitai dall’imprenditore, ma le limitazioni (dato che non è previsto sistema di pubblicità legale) saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei, o se si prova l’effettiva conoscenza.

 

CAPITOLO 5: L’AZIENDA

 

Definizione di azienda. L’art. 2555 definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Da ciò emerge che l’azienda è un complesso di singoli elementi che hanno unitaria destinazione verso uno specifico fine produttivo. Essa può essere vista come il mezzo di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento della propria attività (rapporto mezzo/fine tra azienda e attività d’impresa).
L’azienda assume inoltre forte rilievo sul piano economico, acquistando solitamente valore maggiore rispetto alla somma dei valori dei singoli beni (avviamento).
Si distingue tra avviamento oggettivo, quello ricollegabile a fattori suscettibili di permanere anche se muta il titolare dell’azienda, e avviamento soggettivo, quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla sua abilità nel formare, conservare e accrescere la propria clientela.
Elementi costitutivi dell’azienda. Al fine di qualificare un dato bene come bene aziendale è rilevante solo la destinazione dell’imprenditore all’esercizio all’attività d’impresa. Irrilevante è il titolo giuridico (proprietà, usufrutto, altro) che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene.
Riguardo a cosa ricomprendere nella parola “beni”, l’opinione più diffusa considera elementi costitutivi dell’azienda solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale, escludendo dunque servizi, crediti, debiti, rapporti di lavoro e rapporti contrattuali.
Tra concezione atomistica e concezione unitaria. Le teorie unitarie considerano l’azienda come un unico bene immateriale, sul quale il titolare potrebbe avere un diritto di proprietà unitario. Le teorie atomistiche concepiscono invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e sul quale l’imprenditore può vantare diritti diversi (proprietà, diritti reali limitai, diritti personali di godimento). Mancando  una legge di circolazione propria dell’azienda l’ipotesi unitaria va rifiutata, tuttavia bisogna sempre tenere conto, nelle controversie, della salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda.
Anche per quanti vogliono considerare l’azienda un’universalità di beni mobili (che secondo l’art. 816 sono “la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”), la disciplina dettata per tali universalità non è applicabile all’azienda, se non per risolvere problemi pratici lasciati insoluti dalla disciplina dell’azienda. Infatti, l’azienda è di regola costituita da beni eterogenei e può comprendere anche beni (mobili ma anche immobili) che non sono di proprietà dell’imprenditore.
Trasferimento dell’azienda. Per stabilire se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore vada qualificato come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali, non si guarda al nomen dato al contratto, ma al risultato realmente perseguito e realizzato.
Con il trasferimento di azienda, saranno considerati trasferiti tutti quei beni che hanno come funzione lo svolgimento dell’attività d’impresa: è necessaria la specificazione dei beni che l’imprenditore non vuole includere nel trasferimento.
Si noti che il trasferimento di azienda può riguardare anche un solo ramo d’azienda, purché dotato di organicità operativa. Non è neanche necessario che l’azienda sia in funzione al momento della vendita, ma solo che l’insieme dei beni trasferiti sia di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività d’impresa.
La forma necessaria per la validità del trasferimento deve essere “la stessa forma stabilita dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”. Non esiste quindi un’autonoma ed unitaria legge di circolazione dell’azienda. Di conseguenza, ad esempio, il trasferimento di immobili comporterà la forma scritta pena la nullità.
La forma richiesta ai fini di opponibilità ai terzi è invece quella scritta, per quanto riguarda le imprese “soggette a registrazione”, includendo tra queste tutte le imprese, poiché tutte le imprese vengono registrate, seppure con diversi tipi di pubblicità. Sempre per le imprese soggette a registrazione, l’art. 2256 stabilisce anche che i relativi contratti, redatti per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, sono soggetti a iscrizione nel registro delle imprese.


Effetti della vendita dell’azienda:

¬ Divieto di concorrenza dell’alienante. L’art. 2257 afferma che chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque, “per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze”, sviare la clientela dall’azienda ceduta.
Si vuole in questo modo contemperare l’esigenza dell’acquirente di godere dell’avviamento soggettivo (che egli stesso ha pagato!), e quella dell’alienante a non vedere compressa la propria libertà di iniziativa economica per troppo tempo.
Si noti che resta possibile stabilire un termine minore di cinque anni, ma mai maggiore, e che il divieto è da ritenersi applicabile anche in caso di vendita coattiva (il divieto rimane al fallito).
Spesso si tenta inoltre di eludere il divieto attraverso inizio di impresa attraverso un prestanome, costituendo una società di comodo o entrando in un’altra impresa concorrente come dirigente.
Si ritiene che il divieto debba considerarsi violato ogni volta si sia avuto sviamento di clientela dall’azienda ceduta, per fatto concorrenziale direttamente o indirettamente dovuto all’alienante.
E’ comunque difficile provare l’elusione, e sono necessarie adeguate clausole per evitare tutto ciò.
­ La successione nei contratti aziendali. La disciplina dettata riguardo alla successione nei contratti aziendali deroga alla disciplina della cessione di contratti “normali” di diritto comune.
L’art. 2258 stabilisce che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”, e dunque automaticamente, senza bisogno di alcuna manifestazione di volontà.
Al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto “entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”.
Da notare in questo caso che la deroga ai principi di diritto comune è ancora più marcata: non è necessario il consenso del contraente ceduto, che può soltanto chiedere il risarcimento danni all’alienante dando la prova (non facile!) che questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente dell’azienda. Inoltre il recesso non determina il ritorno del contratto in testa all’alienante ma la definitiva estinzione dello stesso.
E’ evidente dunque il favor legislativo per il mantenimento dell’unità funzionale dell’azienda.
Riguardo al carattere personale dei contratti, l’opinione prevalente ritiene che contratti personali siano quei contratti nei quali l’identità e le qualità dell’imprenditore alienante sono state in concreto determinanti del consenso del terzo contraente (e non viceversa). Per il trasferimento di tali contratti si ritorna alla disciplina di diritto comune di cessione del contratto.
Anche al fine di provare la giusta causa, il terzo deve dimostrare che l’identità dell’imprenditore era essenziale ai fini del contratto.
® I crediti e i debiti aziendali. A) Riguardo ai crediti, la legge non dice, come invece fa con i contratti, se crediti e debiti si trasferiscono direttamente con l’azienda o meno. L’opinione seguita è che il trasferimento non è automatico, in mancanza di espressa previsione.
Inoltre, come recita l’art. 2259, dal momento dell’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese, la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione. Tuttavia, “il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante” (l’alienante deve naturalmente impegnarsi a pagare a sua volta il debito all’acquirente). Nel caso di imprese non soggette a registrazione, vige invece la disciplina generale della cessione dei crediti.
B) Riguardo ai debiti, l’art. 2560, al fine di tutelare i terzi creditori e l’esigenza di certezza, afferma che l’alienante non è liberato dai debiti anteriori al trasferimento, se non ha il consenso dei creditori. Per quanto riguarda le sole imprese commerciali, è previsto invece che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Usufrutto e affitto dell’azienda. L’azienda può essere costituita in usufrutto o concessa in affitto.
La costituzione in usufrutto comporta il riconoscimento di poteri-doveri in testa all’usufruttuario, per tutelare sia la libertà dell’usufruttuario, sia l’interesse del concedente.
A tal fine, l’art. 2561 dispone che l’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, conducendo l’azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservarne l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. La violazione di tali obblighi o la cessazione arbitraria dalla gestione dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario. L’usufruttuario ha inoltre il potere-dovere non solo di godere dei beni aziendali, ma anche di disporne nei limiti delle esigenze della gestione.
L’usufruttuario potrà comprare nuovi beni, che diventeranno di proprietà del nudo proprietario e sui quali l’usufruttuario avrà diritto di godimento e potere di disposizione.
L’affitto di azienda ha come oggetto del contratto un complesso di beni organizzati ed è decisamente diverso dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività d’impresa, che ha per oggetto il locale in quanto tale. Nella pratica non è facile distinguerli.
Sia all’affitto, sia all’usufrutto si applicano le norme riguardo il divieto di concorrenza e la successione nei contratti aziendali, al solo usufrutto la disciplina dei crediti aziendali, a nessuno dei due le norme riguardanti i debiti aziendali anteriori, dei quali risponderanno unicamente il nudo proprietario o il locatore.

 

CAPITOLO 6: I SEGNI DISTINTIVI

Funzione dei segni distintivi. La funzione dei segni distintivi, ovvero ditta, insegna e marchio, è quella di favorire la formazione ed il mantenimento della clientela. Essi consentono infatti ad un dato imprenditore di individuarlo sul mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti.
Tutti i segni distintivi dovranno comunque rispettare i principi di: a) novità; b) originalità; c)verità.

  • LA DITTA.

La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, che lo individua come soggetto di diritto nel campo dell’imprenditoria. Due limiti specifici nella scelta della ditta sono:

  • Verità. Si distingue se la ditta è originaria (ovvero formata dall’imprenditore che la utilizza), o derivata (ovvero formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad un altro imprenditore insieme all’azienda). Secondo l’art. 2563, la ditta originaria “deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore” (con eventuali e possibili aggiunte, non necessarie in caso di mutamenti nel nome civile dell’imprenditore à matrimonio, divorzio, adozione). Per quanto riguarda la ditta derivata, l’art. 2563 non impongono a chi utilizza una ditta derivata di integrarla con il proprio cognome o la propria sigla. Il principio di verità si riduce a pura “verità storica”.
  • Novità. L’art. 2564 impone che la ditta non deve essere “uguale o simile a quella usata da altro imprenditore” e tale da “creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata” (diritto all’uso esclusivo della ditta). Chi adotta ditta uguale a simile ad altra già esistente, può essere obbligato a modificarla o integrarla. Per le imprese commerciali, tale obbligo spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.      Il diritto all’uso esclusivo non è comunque assoluto, ma relativo: sussiste solo se i due imprenditori sono in rapporto concorrenziale tra loro.

Trasferimento della ditta. Secondo l’art. 2565, la ditta è trasferibile, ma solo insieme all’azienda. Se il trasferimento avviene per atto tra vivi, è necessario il consenso espresso dell’alienante. Regola opposta vale se l’azienda è acquistata per successione a causa di morte: la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.
E’ importante notare che se la persistenza del legame segno distintivo-complesso produttivo tende a tutelare i consumatori, tutela invece molto meno a quanti all’imprenditore stesso concedono credito.
La giurisprudenza ritiene comunque che chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti da questo contratti spendendo la ditta derivata, qualora il terzo contraente abbia potuto ragionevolmente ritenere di trattare col cedente.
Ditta e nome civile. Nome civile e ditta non vanno confusi. Il nome civile, attribuito per legge, è a struttura fissa (prenome + cognome), unico e non liberamente modificabile. Principi opposti regolano la ditta. Inoltre omonimia è consentita tra nomi civili, ma non tra ditte. Questa distinzione è utile per comprendere l’art. 2567, la cui interpretazione chiarisce che le società devono avere una ragione sociale o una denominazione sociale (nome delle società), che non possono essere uguali o simili ad altri “nomi di società” (come per la ditta) e non possono essere trasferiti (come per il nome civile). Tuttavia le società possono anche avere una ditta originaria, formata rispettando le norme sulla ditta (e come prima doveva includere sigla o cognome dell’imprenditore, adesso deve includere ragione sociale o denominazione sociale), e più ditte derivate, che rimangono distinte dal nome e potranno essere trasferite.

  • L’INSEGNA.

L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa. La sua disciplina si esaurisce nell’art. 2568, che rimanda all’art. 2564: l’insegna non potrà cioè essere uguale o simile ad altra già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione per non creare confusione.
Si può comunque affermare che l’insegna deve rispettare i principi generali di liceità, veridicità (non deve trarre in inganno riguardo attività o prodotti), originalità. Il trasferimento dell’insegna si ritiene consentito, così come la licenza non esclusiva ed il conseguente co-uso della stessa insegna da parte di imprenditori collegati (ad esempio nel franchising).

  • IL MARCHIO.

Funzione del marchio. Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa.
Esso costituisce il principale collegamento tra produttori e consumatori e svolge perciò un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento della clientela. La sua principale funzione è la differenziazione del prodotto da quelli concorrenti. Inoltre il marchio è indicatore di provenienza da una fonte unitaria di produzione, anche se dopo la riforma del 1992 è possibile anche la licenza non esclusiva del marchio. Terza funzione del marchio può essere considerata quella di attrarre i consumatori. Da notare che non può invece essere considerata una funzione del marchio quella di garanzia della qualità dei prodotti: nessuna norma può infatti vietare al produttore variazioni qualitative della propria produzione.
Nell’ordinamento nazionale il marchio è disciplinato dal codice Civile (artt. 2569-2574) e dalla legge marchi modificata nel 1992 dopo l’emanazione della Direttiva CEE del 1988. Il marchio internazionale è disciplinato da due convenzioni internazionali.
Tipi di marchi. A seconda di ciò su cui si pone l’attenzione, è possibile distinguere:

  • Marchio di fabbrica e marchio di commercio: su uno stesso prodotto possono infatti coesistere sia il primo, apposto dal fabbricante, sia il secondo, apposto dal rivenditore, che non può comunque sopprimere il marchio del produttore. Da notare che il marchio può essere utilizzato anche da imprese che producono servizi;
  • Marchio generale e marchio speciale: il primo si riferisce ad un unico marchio per tutti i propri prodotti, il secondo a più marchi per più prodotti, con l’intento di differenziare i prodotti della propria impresa. E’ possibile anche l’uso di un marchio generale e più speciali (es. “Fiat-Uno”);
  • Marchio denominativo, composto solo da parole, e marchio figurativo,composto esclusivamente da figure, lettere, cifre, disegni. E’ possibile anche il marchio costituito da suoni. Spesso si sceglie un marchio misto, combinazione di parole e altri simboli;
  • Marchio di forma, se costituito dalla forma del prodotto o dalla confezione dello stesso;
  • Marchio collettivo, quando titolare del marchio è un soggetto o un ente che svolge la funzione di “garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”, che lo concede in uso a produttori o commercianti consociati (es. “Pura lana vergine” o “Prosciutto di Parma”). Questi a loro volta devono rispettare determinate regole fissate dall’ente.

Requisiti di validità. Per tutelare e registrare il marchio, bisogna rispettare alcuni requisiti:
¬ Liceità. Il marchio non deve andare contro la legge, il buon costume, l’ordine pubblico, non deve contenere segni protetti da convenzioni internazionali, lesivi di diritto d’autore o di proprietà industriale. Riguardo alla tutela dell’altrui diritto al nome: se si tratta di persona nota, è necessario il suo consenso per utilizzare il suo nome o lo pseudonimo (es. videogiochi Fifa senza il nome di Ronaldo), se invece si tratta di persona non nota, in generale non c’è bisogno del consenso ma l’uso non deve comunque “ledere la fama, il credito o il decoro” dell’avente diritto al nome.
­ Verità (o non ingannevolezza del marchio). Nel marchio non possono essere inseriti segni idonei ad ingannare il pubblico, “in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi” (es. marchio New England per magliette fabbricate in Italia).
® Originalità. Il marchio deve cioè essere composto in modo da consentire l’individuazione sul mercato dei prodotti contrassegnati. Secondo il legislatore, non bastano né le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro figura generica (es. “calzature”), né le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto (es. “brillo” per prodotti luccicanti), né i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente (es. “super”, “extra”). Si vuole così impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto. Tale regole non valgono per marchi di fantasia, che non abbiano relazione con il prodotto contraddistinto(es.“aeroplano” per un marchio di calzature), e per parole straniere generiche non note al consumatore medio italiano (es. “Cynar”).
E’ possibile usare combinazioni di parole generiche (es. ”Amplifon”), tuttavia in questo caso il marchio è detto marchio debole poiché bastano poche modifiche per imitarlo(es. “Udifon”). Marchi forti sono invece quelli dotati di forte capacità distintiva e quindi in genere i marchi di pura fantasia.
Ai fini dell’originalità, è importante parlare del “secondary meaning”. E’ il caso di marchi registrati ma privi di capacità distintiva (come parole generiche, tipo “Bambolina”), che possono diventare marchi “forti”, e quindi validi, a seguito dell’uso che ne è stato fatto e della notorietà che ha acquistato presso il pubblico, in genere grazie ad un’accorta pubblicità.
¯ Novità. La novità riguarda l’uguaglianza o la somiglianza con altri marchi. Si distingue tra marchi ordinari e marchi celebri. Per i primi la regola è che non sono nuovi i segni che possono determinare “un rischio di confusione per il pubblico”, poiché identici o simili ad un segno già noto come marchio, ditta o insegna di altro imprenditore concorrente, o comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini. Il rapporto di affinità non è invece necessario se il  marchio è celebre.
à Nullità e convalida. Il difetto dei requisiti di validità esposti comporta la nullità del marchio, che può riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato.
Due eccezioni sono previste: a) la nullità del marchio per difetto di novità non può più essere dichiarata quando chi lo ha richiesto non era in mala fede ed il titolare del marchio anteriore ne abbia tollerato l’uso per cinque anni (è questa la convalida del marchio); b) la nullità del marchio per difetto di originalità non può più essere dichiarata quando il marchio ha acquisito capacità distintiva grazie al secondary meaning.
Il marchio registrato. La registrazione del marchio presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio nazionale. Il diritto di esclusiva copre prodotti identici ma anche affini (destinati cioè alla stessa clientela, es. frigoriferi e lavatrici, o al soddisfacimento di bisogni identici o complementari, es. prodotti caseari e alimentari). Per marchi celebri, come detto, la tutela copre anche prodotti non affini (es. Coca-Cola non può essere utilizzato da altri per il vestiario).
Il diritto di esclusiva decorre in maniera retroattiva dalla data di presentazione della domanda all’Ufficio B.M. (e non dalla registrazione!), sempre che sia poi arrivata la successiva conferma.
Dopo il deposito del marchio, l’Ufficio B.M. verifica solo i requisiti di non ingannevolezza e liceità, mentre riguardo all’originalità e alla novità possono sorgere problemi e controlli solo in caso di controversie. La registrazione del marchio dura 10 anni, ma è rinnovabile un numero infinito di volte (tutela pressoché perpetua), salvo che non sia dichiarata nullità o decadenza del marchio.
à Decadenza. Un marchio decade per: a) volgarizzazione (marchio diventato denominazione generica, es. Aspirina), b) sopravvenuta ingannevolezza dello stesso, c) mancata utilizzazione entro cinque anni dalla registrazione, o se l’utilizzazione è stata sospesa per uguale periodo, salvo che l’inerzia del titolare non sia dovuta a motivo legittimo.
Il marchio registrato è tutelabile civilmente e penalmente: il titolare del marchio leso nel diritto di esclusiva, può promuovere azione di contraffazione, per ottenere l’inibitoria della continuazione di atti lesivi, e la rimozione degli effetti degli stessi. Possono essere utilizzati marchi protettivi (non soggetti a decadenza) per precostituire la prova della confondibilità.
Il marchio di fatto. La tutela del marchio di fatto è decisamente minore di quella del marchio registrato, e più o meno ampia a seconda della diffusione locale o nazionale. Infatti, l’art. 2571 dispone che “chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, [ma] nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso”.
Se c’è notorietà nazionale,il titolare di marchio non registrato potrà impedire l’uso o la registrazione di marchio confondibile per difetto di novità riguardo prodotti uguali,ma non affini. Se c’è notorietà locale, altri potranno utilizzare e registrare lo stesso marchio in altre regioni. In tal caso il titolare di marchio di fatto non potrà diffondere i prodotti contrassegnati fuori dall’ambito territoriale.
Trasferimento del marchio. Il marchio può essere trasferito a titolo sia temporaneo sia definitivo, e dal 1992 può essere trasferito o concesso in licenza anche senza trasferimento dell’azienda. E’ ora possibile anche la licenza di marchio non esclusiva, utilizzata per il franchising e il merchandising.
Dal trasferimento o concessione del marchio non deve comunque derivare inganno nei caratteri essenziali dei prodotti e il licenziatario deve utilizzare il marchio per prodotti con uguali caratteristiche a quelle dei prodotti del concedente. In caso di violazione, si è esposti alla decadenza.


CAPITOLO 7: OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI

Le creazioni intellettuali. Le creazioni intellettuali sono costituite da:

  • Opere dell’ingegno: opere creative nel campo culturale à danno origine al diritto d’autore
  • Invenzioni industriali: idee creative nel campo della tecnica à danno origine a:
  • brevetto per invenzioni industriali;
  • brevetto per modelli di utilità o brevetto per modelli e disegni ornamentali

Il diritto delle imprese disciplina le creazioni intellettuali poiché la grande industria è, nel contempo, titolare e utilizzatrice della massima parte dei brevetti industriali.
Principi ispiratori. Le norme cercano di contemperare le due opposte esigenze di tutelare il diritto esclusivo di sfruttamento dell’opera o dell’invenzione dell’autore o inventore (à attraverso il diritto di esclusiva) e di far sì che i progressi conseguiti diventino di pubblica conoscenza (à attraverso limiti a tale diritto). Per questo, mentre il diritto d’autore si acquista con la creazione dell’opera, il diritto di esclusiva sorge solo in seguito a brevettazione, che da un lato permette la tutela dell’invenzione, ma dall’altro la rende di pubblico dominio.
Il diritto di esclusiva è inoltre limitato nel tempo: dura fino a 70 anni dopo la morte dell’autore per le opere dell’ingegno, 20, 15 e 10 anni dalla domanda di brevetto per invenzioni industriali, modelli ornamentali e modelli di utilità.

  • IL DIRITTO D’AUTORE

Oggetto. Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il modo e la forma di espressione; romanzi, poesie, trattati scientifici, canzoni, opere d’arte software, ecc.
Requisiti e acquisto del diritto. Affinché possa essere attribuito il diritto d’autore, è necessario solo che l’opera abbia carattere creativo (presenti cioè un minimo di originalità oggettiva rispetto a altre opere dello stesso genere). L’acquisto del diritto avviene semplicemente con la creazione dell’opera, e non è necessario che l’opera sia stata divulgata fra il pubblico, ma basta l’estrinsecazione (ad esempio uno scrittore è tutelato dal momento in cui fissa le idee su carta).
à Diritto morale. I diritti morali sono irrinunciabili, inalienabili (non si perdono neanche con la cessione di diritti patrimoniali) e possono essere esercitati anche dai congiunti dopo la morte dell’autore. Diritto morale è il diritto di rivendicare la paternità dell’opera, decidere se pubblicarla o meno, col proprio nome o in anonimo, di opporsi a modificazioni che possano danneggiare onore e  reputazione. L’autore può anche ritirare l’opera dal commercio se ricorrono gravi ragioni morali.
à Diritto patrimoniale. Si estende in 70 anni dopo la morte dell’autore. Diritto patrimoniale è il diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera “in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Regole specifiche in caso di opere in collaborazione. Attribuzione specifica dei diritti:
* Opera collettiva: opera costituita da più contributi autonomi e separabili, organizzati in forma unitaria da un direttore o coordinatore (es. giornali). Autore della stessa è considerato il direttore, i diritti patrimoniali spettano all’editore, i singoli hanno però diritto d’autore sulla propria parte;
* Opera in collaborazione: opera composta da contributi omogenei ed oggettivamente non distinguibili e non divisibili (es. progetto redatto da più architetti). Si instaura regime di comunione tra autori: ognuno può tutelare autonomamente il diritto morale, mentre è necessario l’accordo di tutti per i diritti patrimoniali (sostituibile dall’autorizzazione del tribunale in casi estremi);
* Opera composta: opera costituita da contributi eterogenei e distinti, ma che danno vita ad un’opera funzionalmente unitaria e indivisibile (es. opere liriche). Anch’esse cadono in regime di comunione, ma sono individuati i singoli autori sia per i diritti morali che per quelli patrimoniali.
Trasferimento del diritto di utilizzazione economica. Secondo l’art. 2581, il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi che a causa di morte. Per atto tra vivi qualsiasi schema contrattuale, atipico o tipico, è possibile, tuttavia i contratti previsti e più utilizzati sono:

  • Contratto di edizione: l’autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del diritto di pubblicare per la stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso. L’editore si obbliga a mettere in commercio l’opera e a corrispondere il compenso pattuito all’autore. Il contratto può riguardare anche opera non ancora creata, e può sia prevedere un numero determinato di edizioni (contratto per edizione) o lasciare all’editore questa facoltà (contratto a termine). La durata del contratto non può eccedere i 20 anni.
  • Contratto di rappresentazione ed esecuzione: l’autore cede, di solito non in esclusiva, il solo diritto di rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine(musicali,coreografiche, ecc.), o di eseguire in pubblico una composizione musicale. L’altra parte deve provvedere alle spese.

Difesa del diritto d’autore. Il diritto d’autore è protetto da specifiche sanzioni civili, amministrative, penali. E’ possibile chiedere l’accertamento del proprio diritto, l’inibizione della violazione, ed eventualmente la rimozione e la distruzione di ciò che materialmente ha leso il diritto, salvo risarcimento dei danni subiti. Il giudice può anche disporre la pubblicazione su uno o più giornali.
Tutela internazionale. Dato che le opere dell’ingegno godono di tutela esclusivamente nazionale e sono esposte alla concorrente utilizzazione in altri Stati,l’Italia ha aderito a due convenzioni europee

 

  • LE INVENZIONI INDUSTRIALI.

Oggetto. Le invenzioni industriali consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Rispetto alle opere dell’ingegno, si differenziano per il diverso modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica: la concessione del corrispondente brevetto da parte  dell’Ufficio Brevetti e marchi.
Possono formare oggetto di brevetto:
¬ Invenzioni di prodotto, riguardanti un nuovo prodotto materiale;
­ Invenzioni di procedimento, riguardanti un nuovo metodo;
® Invenzioni derivate, che “derivano da un’invenzione precedente e a loro volta si suddividono in: a) invenzioni di combinazione, combinazione di invenzioni precedenti per averne una nuova, b) invenzioni di perfezionamento, attraverso modificazioni di miglioramento di un’invenzione precedente; c) invenzioni traslative, nuova utilizzazione di prodotto già conosciuto.
Per scelta legislativa, non sono però considerate invenzioni (e tutti così ne possono fruire):
scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici; presentazione di informazioni; software (mentre lo è l’hardware). Non sono brevettabili neanche i metodi diagnostici e chirurgici, né le razze animali modificate biologicamente.
Requisiti di validità:

  • Liceità;
  • Novità: è nuova l’invenzione “non compresa nello stato della tecnica”, cioè già divulgata;
  • Implicazione di attività inventiva(originalità): è invenzione qualunque tipo di progresso tecnico, anche piccolo, purché non conseguibile da un esperto del ramo facendo riferimento alle sue ordinarie capacità e conoscenze (giudizio di non ovvietà);
  • Industrialità: l’invenzione è considerata atta ad avere applicazione industriale se !può essere fabbricata o utilizzata in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola”.

Il diritto al brevetto. L’inventore acquista il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione (diritto morale) per il solo fatto dell’invenzione. Egli ha inoltre il diritto, trasferibile, di conseguire il brevetto (diritto al brevetto), che ha funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto patrimoniale all’utilizzazione economica in esclusiva sul trovato (diritto sul brevetto).
N.B. Non sempre l’autore dell’invenzione coincide col soggetto legittimato a richiedere il 
brevetto e a sfruttarlo economicamente.
Posto che il lavoratore ha sempre diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro (art. 2590), possono distinguersi 3 casi:

  • Invenzione di servizio (attività inventiva prevista come oggetto del rapporto di lavoro, con specifica retribuzione per tale attività) ài diritti, salvo quelli morali, spettano al datore di lavoro
  • Invenzione aziendale (invenzione fatta all’interno di un rapporto di lavoro, ma senza specifica retribuzione) à i diritti spettano al datore di lavoro, ma al lavoratore spetta un equo premio;
  • Invenzione occasionale (invenzione fatta nell’esecuzione dell’attività d’impresa, ma del tutto casuale) à i diritti patrimoniali spettano al lavoratore, al datore solo diritti di prelazione.

Domanda di brevetto. La domanda per il brevetto va fatta all’Ufficio brevetti, corredata, a pena di nullità, da una adeguata descrizione dell’invenzione. Può inoltre avere ad oggetto una sola invenzione e deve specificare cosa debba formare oggetto del brevetto (rivendicazione).
L’Ufficio brevetti accerta solo la regolarità formale (liceità e industrialità), e non accerta invece né se il richiedente è titolare del diritto al brevetto, né la novità e l’originalità.
Durata ed effetti. La durata del brevetto per invenzioni industriali è 20 anni dalla data di deposito della domanda (e non dalla registrazione!). E’ esclusa ogni possibilità di rinnovo.
Il brevetto conferisce la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, sia per quanto riguarda la fabbricazione, sia per quanto riguarda il commercio e l’importazione dei prodotti cui l’invenzione si riferisce. Si parla però di esaurimento à L’esclusiva di commercio si esaurisce con la prima immissione in circolazione del prodotto brevettato (finalità di ridimensionare eventuali posizioni monopolistiche create dal brevetto)
Caso particolare dell’invenzione di procedimento. Se l’invenzione riguarda un nuovo metodo, il titolare del brevetto non potrà impedire la messa in commercio di prodotti identici ai propri, se ottenuti con metodo differente.
Trasferimento e licenza di brevetto. Il brevetto è liberamente trasferibile sia fra vivi sia mortis causa, indipendentemente dal trasferimento dell’azienda. Sul brevetto potranno essere conseguiti diritti reali di godimento o di garanzia. Il titolare del brevetto può inoltre concedere licenza di uso dello stesso, con o senza esclusiva di fabbricazione a favore del licenziatario.
Tutela. L’invenzione brevettata è tutelata da sanzioni civili e penali. E’ possibile esercitare azione di contraffazione verso chi abusivamente sfrutta l’invenzione, che può causare l’inibitoria ed eventualmente il sequestro, la rimozione, la distruzione, salvo il risarcimento dei danni. Può essere anche disposta la pubblicazione in uno o più giornali.
Brevettazione internazionale. Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di invenzione solo sul territorio nazionale. In ambito europeo, per la tutela in altri Stati:

  • Convenzione di Unione di Parigi (1883) à riconosce a chi ha richiesto il brevetto in uno degli Stati diritto di priorità per ciascuno degli altri paesi, attraverso distinte domande da presentarsi. L’inventore conseguirà così tanti brevetti nazionali, regolati dalle singole legislazioni;
  • Trattato di Washington (1970) à semplifica la procedura di cui sopra;
  • Convenzione di Monaco di Baviera (1973) àl’inventore può conseguire il brevetto europeo attraverso unica domanda, unica procedura e l’unico ufficio europeo di Monaco, ma regolato dalle singole legislazioni. E’ un fascio di brevetti nazionali.
  • Convenzione del Lussemburgo (1975) à riconosce (anche se in Italia la direttiva CEE non è ancora stata recepita) il brevetto comunitario, con carattere sovranazionale, unitario e autonomo.

Invenzione non brevettata. Chi non brevetta un’invenzione può sfruttarla in segreto, ma rischia che qualcun altro lo preceda, attraverso la brevettazione, acquistando il diritto di esclusiva. Chi ha fatto uso dell’invenzione nella propria azienda, nei 12 mesi anteriori all’altrui domanda, può continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti del preuso. Può anche trasferire tale facoltà, ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione è utilizzata.

  • I MODELLI INDUSTRIALI

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali. Essi si dividono in:

  • Modelli di utilità: nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità (efficacia o comodità di applicaz.) a macchine, strumenti, utensili o oggetti d’uso. Durata brevetto: 10 anni.
  • Modelli ornamentali: nuove idee destinate a migliorare l’estetica (forme, linee o colori) dei prodotti industriali (es. industrial design). Durata brevetto: 15 anni.

Data la difficoltà di distinguere agevolmente tra i due modelli, il legislatore consente di ottenere entrambi i brevetti contemporaneamente e di godere di entrambe le protezioni.
Difficile appare distinguere tra invenzioni e modelli di utilità (i cui brevetti non sono cumulabili), e soprattutto tra modelli ornamentali e opere soggette al diritto d’autore. Per quest’ultimo caso è applicato dal legislatore un criterio poco chiaro, definito criterio della scindibilità: se la forma
estetico è scindibile dal prodotto stesso, è applicabile il diritto d’autore, in caso contrario si preferisce utilizzare la disciplina dei brevetti riguardanti i modelli ornamentali.

 



 

Fonte: http://www.testi-utili.com/secondo_anno/commerciale/Diritto_commerciale_riassunto_libro_Campobasso_1_parte.doc

Autore del testo: Mario Carbone Anno Accademico 2000/2001

Parola chiave google : Diritto commerciale riassunti tipo file : doc

 

Diritto commerciale riassunti

Capitolo I

Il fenomeno dell'impresa 

 

 Il codice civile definisce all'art. 2082 l'imprenditore. E' imprenditore, secondo la legge chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Gli elementi che concorrono a qualificare una persona come imprenditore sono: 

- la professionalità; 

- l'economicità; 

- l'organizzazione; 

- l a produzione e lo scambio di beni o di servizi.

 

L'attività dell'imprenditore deve essere professionale cioè deve essere esercitata in modo abituale, è non soltanto occasionale, deve avere una certa sistematicità o ripetitività nel tempo, anche se non deve essere necessariamente ininterrotta o continuativa.

 

L'attività esercitata dall'imprenditore deve essere economica, in quanto deve essere idonea a coprire i costi di produzione con i ricavi delle vendite e  a ricostruire al termine processo produttivo  il capitale che stato investito nella produzione. Secondo la giurisprudenza è sufficiente che l'impresa abbia un'obiettiva economicità cioè che già in partenza non sia destinata a operare in perdita.

 

L'imprenditore è colui che organizza e coordina i diversi fattori produttivi, l'organizzatore riguarda sia l'organizzazione di elementi personali, sia di quelli reali. L'organizzazione personale può mancare, perché l'imprenditore può anche non avere dipendenti, mentre deve esistere sempre un'organizzazione reale, sia pure limitata.

 

L’attività dell’imprenditore deve essere un’attività produttiva, cioè deve essere diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi. L’attività esercitata dall’imprenditore deve essere destinata a soddisfare i bisogni di altre persone e richiede sempre uno scambio: non dà luogo a una vera e propria impresa un’attività di produzione di beni o di servizi per conto proprio, cioè destinate esclusivamente all’autoconsumo personale o familiare del soggetto che la esercita.

 

Perché una persona sia considerata un imprenditore è necessario e sufficiente, per il diritto, che eserciti di fatto una attività di impresa. Un’impresa inizia con il compimento del primo atto di gestione, cioè del primo atto diretto alla produzione o allo scambio di beni o di servizi, termina con la liquidazione di tutti i rapporti giuridici relativi all’esercizio dell’impresa.

 

Imprenditore agricolo

E’ imprenditore agricolo chi esercita una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura o all’allevamento di animali oppure un’altra attività connessa alla agricoltura.

Le attività agricole si distinguono in principali e in connesse. 

Le attività agricole principali comprendono la coltivazione di un fondo o di un bosco e l’allevamento di animali. 

Per coltivazione e allevamento si devono intendere a norma dell’articolo 2135, le attività dirette alla cura e

allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale: è necessario quindi che le specie vegetali o animali diventino qualcosa di biologicamente diverso da ciò che erano al momento in cui è iniziata l’attività di coltivazione o di allevamento. 

Queste attività sono considerate agricole quando utilizzano o possono utilizzare un terreno in senso ampio, cioè un fondo, un bosco o anche l’acqua dolce, salmastra o marina. 

Le attività agricole connesse devono essere esercitate da un soggetto che già è imprenditore agricolo a titolo principale, in quanto svolge una attività agricola di coltivazione o di allevamento. Le attività agricole per connessione comprendano le attività dirette alla: 

- manipolazione; 

- conservazione; 

- trasformazione; 

-alienazione dei prodotti agricoli, a condizione che tali prodotti siano ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco oppure dall’allevamento di animali. 

Le attività connesse comprendono altre attività dirette alla fornitura di beni o di servizi, a condizione che utilizzino in modo prevalente le attrezzature e le risorse impiegate normalmente nell’attività agricola. Si qualificano come imprenditori agricoli anche le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi, quando impiegano prevalentemente i prodotti dei soci per svolgere una attività agricola o forniscono prevalentemente ai soci beni o servizi  diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico. Le imprese agricole sono soggette all’iscrizione in una sezione speciale del registro dell’imprese, tale iscrizione a una funzione di pubblicità dichiarativa.

 

Piccolo imprenditore

Sono piccoli imprenditori coloro che esercitano una attività di impresa prevalentemente con il lavoro proprio e dei propri familiari. 

La prevalenza dell’attività lavorativa dell’imprenditore, ed eventualmente anche dei membri della sua famiglia, deve riguardare sia i fattori personali sia i fattori reali impiegati nell’impresa. Anche quando esercita una attività commerciale il piccolo imprenditore non è sottoposto alla disciplina prevista per l’imprenditore commerciale, alla dichiarazione di fallimento o alle altre procedure di natura concorsuale in caso di insolvenza. (art.2083)

 

L’ Impresa è illecita quando l’attività svolta è una attività illecita cioè contraria a norme  imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Non si può trascurare che anche l’attività di impresa illecita può dare luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi. E ciò in quanto l’illiceità del risultato globalmente perseguito dall’imprenditore non comporta, di per sé, l’illiceità della causa o dell’oggetto dei singoli atti di impresa. Quando l’illiceità dell’impresa è determinata dalla violazione di norme imperative che ne subordinano l’esercizio a concessione o autorizzazione amministrativa, tale tipo di illecito non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore con pienezza di effetti ferma restando l’applicazione delle previste sanzioni amministrative e penali che possono giungere fino all’inibizione ulteriore di tale attività. Anche il titolare di un’impresa illecita è esposto al fallimento.

 

 Professioni intellettuali

Un professionista intellettuale è considerato un ’imprenditore soltanto quando l’esercizio della sua professione costituisce l’elemento di una attività organizzata in forma di impresa. Per esempio un medico che visita i suoi pazienti nel suo ambulatorio non è un’ imprenditore, ma lo diviene se gestisce una casa di cura, perché in questo caso la sua attività rappresenta un elemento di un’attività più ampia organizzata con mezzi materiali e personali.

 

L' imprenditore commerciale. (Art. 2195)

È un imprenditore commerciale chi esercita una attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi (qualsiasi produzione di beni/servizi diversi dai prodotti agricoli)oppure un’attività di intermediazione nella circolazione dei beni ( che consiste nell’acquistare i  beni per rivenderli intervenendo nella loro distribuzione, ossia nel passaggio dalla produzione al consumo).

Un imprenditore commerciale e non piccolo è obbligato: 

  • a iscriversi nel registro generale delle imprese art. 2188; 
  • tenere apposite scritture contabili art.2214; 
  • è sottoposto al fallimento e alle altre procedure concorsuali in caso di insolvenza delle proprie obbligazioni.

Le imprese commerciali non piccole sono sottoposte al particolare regime di pubblicità legale che consente ai terzi di conosce i fatti principali riguardanti l’impresa. il registro delle imprese attraverso il quale si realizza il sistema di pubblicità legale è tenuto da una apposito ufficio del registro delle imprese. L’ufficio del registro è istituito presso la camera provinciale di commercio. Nel registro generale delle imprese devono iscriversi: 

- gli imprenditore individuali che svolgono attività commerciale esclusi però i piccoli imprenditori; 

- le società commerciali e le società cooperative anche quando esercitano una attività non commerciale; 

- gli enti pubblici economici che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio dell’attività commerciale

- i consorzi con attività esterna, vale a dire le associazioni di imprenditori che hanno anche rapporti giuridici con terzi.

Oltre l’inizio della attività nel registro delle imprese devono essere iscritte, entro 30 giorni dal momento in cui si sono verificate, le eventuali modificazioni degli elementi contenuti nella domanda di iscrizione e la cessazione dell’attività. Quando un’iscrizione è obbligatoria ma non è stata richiesta dall’interessato nei termini previsti, deve essere effettuata d’ufficio con la procedura prevista dalla legge. Di regola l’iscrizione di determinati atti o fatti nel registro delle imprese ha soltanto una efficacia dichiarativa, in quanto: 

  • i fatti che non sono stati iscritti non sono opponibili ai terzi a meno che l’imprenditore non provi che i terzi ne erano effettivamente a conoscenza (presunzione relativa di ignoranza dei fatti non iscritti); 
  • i fatti che sono stati iscritti sono sempre opponibile ai terzi senza  che i terzi possano provare che non ne erano a conoscenza (Presunzione assoluta di conoscenza dei fatti iscritti). 

L’inosservanza dell’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese comporta a carico dell’imprenditore l’applicazione di una sanzione amministrativa.

 

L’imprenditore commerciale deve documentare in modo continuativo gli atti e  i fatti principali relativi alla gestione dell’impresa mediante apposite scritture contabili. 

La regolare tenuta della contabilità è vantaggiosa:

  • per i creditori dell’impresa, perché le scritture contabili costituiscono mezzi di prova e facilitano la realizzazione dei loro crediti nei confronti dell’ imprenditore; 
  • per l’imprenditore in quanto le scritture contabili gli permettano di tenere sotto controllo la situazione economica e finanziaria dell’impresa.

L’Imprenditore commerciale non piccolo è sempre obbligato a tenere il libro giornale e il libro degli inventari. 

Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa.

Il libri degli inventari deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa e  se si tratta di un’impresa individuale, anche di quelle personali dell’imprenditore. L’inventario si chiude con la il bilancio o stato patrimoniale  e il conto dei profitti e delle perdite o conto economico che deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite.  

Oltre al libro giornale e al libro degli inventari, un imprenditore commerciale non piccolo deve tenere le altre scritture contabili eventualmente richieste dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa, ad esempio il libro mastro, il libro magazzino, il libro casa. 

L’imprenditore deve formare anche un fascicolo della corrispondenza contenente gli originali della corrispondenza  ricevuta e le copie della corrispondenza inviata. 

L’imprenditore può tenere le altre scritture contabili che ritenga utili per l’organizzazione interna e per la gestione dell’impresa ( scritture facoltative o ausiliare).

Le scritture contabili sono sottoposte ad alcune formalità:   

  • prima di iniziare a utilizzare i libri e le scritture contabile  l’imprenditore deve provvedere alla loro numerazione progressiva in ogni pagina; 
  • deve tenere le scritture secondo le norme di un’ordinata contabilità, nelle scritture contabili non vi devono essere spazi in bianco, interlinee o riporti a margine, non si possono fare abrasioni e le eventuali correzioni qualora si rendano necessarie devono essere fatte in modo che le parole cancellate siano leggibili. Le scritture contabili  dell’ impresa possono essere tenute anche con procedure informatiche a condizione che  i documenti vengano aggiornati regolarmente e possano essere stampati in qualsiasi momento.

Le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. I libri e le scritture contabili possono essere utilizzati come mezzi di prova in un processo nel quale l’imprenditore sia parte, come attore o come convenuto.

Le scritture contabili fanno sempre prova contro l’imprenditore anche se sono tenute in modo irregolare. Pertanto i terzi che affermano dei diritti nei confronti dell’imprenditore non devono provarne il fondamento, quando risultano dalle registrazioni contabili dell’impresa, ed è l’imprenditore che ha l’onere di dimostrare l’eventuale inesistenza dei loro diritti (inversione dell’onere legale della prova). I terzi che intendono utilizzare le scritture come mezzi di prova però non possono separarne il contenuto cioè non possono  considerare attendibili solo le registrazioni a loro favore.

In secondo luogo le scritture contabili possono fare prova anche a favore dell’imprenditore quando sono tenute regolarmente, ma soltanto per i rapporti con altri imprenditori e riguardanti l’esercizio dell’impresa. L’acquisizione in giudizio della contabilità può avvenire in seguito a un ordine di comunicazione o di esibizione da parte del giudice.

Il giudice può ordinare la comunicazione integrale delle scritture contabili di un’impresa commerciale soltanto nelle controversie indicate tassativamente dalla legge, che richiedono un accertamento complessivo sul patrimonio di impresa. Negli altri casi il giudice può ordinare solamente l’esibizione dei libri contabili, attraverso un estratto autentico redatto da un notaio e riguardante le registrazioni che sono rilevanti per il processo.

La mancata o l’irregolare tenuta della contabilità può comportare l’applicazione di sanzioni a carico dell’imprenditore soltanto se viene dichiarato fallito o se viene sottoposto in seguito al dissesto dell’impresa, a un’altra procedura concorsuale.

 

La capacità per l’esercizio di un’impresa commerciale.

 

In generale un imprenditore commerciale deve essere una persona capace d’agire, cioè deve essere pienamente in grado di intendere e di volere. Tuttavia la legge consente eccezionalmente a un incapace d’agire di esercitare un’impresa commerciale, a condizione che abbia ottenuto l’autorizzazione del tribunale. In particolare:

  • un minorenne, un interdetto o un’ inabilitato può essere autorizzato soltanto a continuare un’ impresa commerciale già esistente, ma non a iniziarne una nuova; 
  • un minorenne emancipato può essere autorizzato a continuare o anche a iniziare una nuova impresa commerciale. 

Per effetto dell’autorizzazione l’incapace assume giuridicamente la titolarità dell’impresa; per quanto riguarda la gestione impresa, invece è necessario distinguere le diverse situazioni di incapacità legale. 

Il minorenne e l’interdetto, che sono incapaci d’agire assoluti, sono sostituiti dal loro rappresentante legale, cioè dai genitori o dal tutore che esercitano l’impresa in nome e per conto dell’incapace.

In questo modo si realizza una separazione tra la titolarità e la direzione dell’impresa: imprenditore formalmente è l’incapace, che quindi si espone con il suo patrimonio personale al rischio economico, mentre le decisioni relative all’impresa vengono prese dal suo rappresentante legale sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. 

L’ inabilitato invece può compiere da solo atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione è sempre necessaria, l’assistenza del curatore. 

L’emancipato infine può compiere da solo qualsiasi atto, di ordinaria o di straordinaria amministrazione. 

Per effetto dell’autorizzazione a esercitare un’impresa commerciale pertanto l’emancipato acquista di fatto una piena capacità d’agire, salvo l’eventuale revoca successiva della autorizzazione.

Può anche accadere che un’impresa commerciale venga esercitata da un incapace d’agire o dal suo rappresentante legale senza l’autorizzazione richiesta dalla legge: in questo caso l’incapace non diviene giuridicamente un’ imprenditore e gli atti compiuti dall’incapace o dal suo rappresentante legale sono annullabili. 

Nel caso invece di revoca dell’autorizzazione, che può essere decisa dal tribunale se l’esercizio dell’attività è pregiudizievole per l’incapace oppure se il rappresentante legale non rispetta le prescrizioni stabilite nel suo interesse, gli atti che sono stati già compiti rimangono pienamente validi.

 

Il codice civile dispone e regola un registro delle imprese. Soggetti a registrazione sono gli imprenditori che esercitano attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi, attività intermediaria nella circolazione dei beni, attività di trasporto per terra, acqua e aria, attività bancaria o assicurativa, altre attività ausiliarie alle precedenti. Tradizionalmente, sono costoro ad essere definiti imprenditori commerciali.

 

Capitolo II

Imputazione e disciplina dell’attività d’impresa

 

Giacché l’attività d’impresa si risolve in una sequenza di atti, anche di terzi, organizzati in un  ciclo produttivo di beni e servizi per lo scambio, il suo centro di imputazione andrà ricercato in chi organizza quella sequenza e non in chi possa vedersi imputarsi uno o anche più atti sottoposti all’organizzazione.

Gli effetti giuridici dei singoli atti di cui si compone l’organizzazione vanno a ricadere su chi il ciclo produttivo abbia realizzato; 

che il risultato del ciclo produttivo andrà a sua volta imputato a chi lo abbia organizzato e non a coloro che abbiano compiuto i singoli atti cui si compone; 

che quel centro di imputazione viene indicato come l’imprenditore (art. 2082)

Nell’impresa la spendita del nome dell’imprenditore risulta indispensabile. 

 

Segmentazione dell’attività di impresa e della responsabilità per all’attività di impresa

 

L’imprenditore, in quanto centro di imputazione dell’attività di impresa, ne è patrimonialmente responsabile. Risponde per l’attività di impresa, quindi per gli atti organizzati ad impresa, con tutti i suoi beni presenti e futuri (art.2740). Non vi è distinzione fra i beni che formano oggetto degli atti che compongono l’attività organizzata ad impresa e i beni che rimangono nella sfera privata dell’imprenditore; con la conseguenza che soggiacciono a fallimento tutti i beni dell’imprenditore  alla data di dichiarazione della sua insolvenza e ancora tutti i beni che gli pervengono pendente la procedura. 

Autonomia dell’attività di impresa.

L’art. 2216 dispone che nel libro giornale vanno riportate solo le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Nell’inventario annuale devono essere indicate separatamente le attività e le passività relative all’impresa nonché quelle estranee alla medesima. È punito con reclusione da sei a due anni se i dichiarato fallito l’imprenditore che abbia fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica o  consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestatamene imprudenti. 

Segmentazione della responsabilità

Per altro verso, la stessa responsabilità patrimoniale può oggi essere parcellizzata. Ai sensi dell’art. 2447- bis la società per azioni può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in esclusiva ad uno specifico affare, rispetto al quale i creditori della società non possono far valere alcun diritto così come non possono far valere alcun diritto, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti. Inoltre, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, a meno che la deliberazione di costituzione del patrimonio separato non disponga diversamente, la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato. Ne discende che ferma restando la unitarietà d’imputazione dell’attività di impresa una delle sue principali conseguenze, responsabilità patrimoniale, può essere scomposta, l’imprenditore-società nel caso rispondendo con frazioni dei propri beni all’uopo destinate, indifferenti l’una alle altre. Il patrimonio destinato ad uno specifico affare può essere oggi costituito solo da una società per azioni.

 

La ditta. La sede dell’impresa.

La ditta è il nome sotto il quale l’imprenditore svolge la sua attività, è cioè il segno distintivo con cui si individua, sul mercato, il centro di imputazione dell’impresa. Deve comprendere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. Se la ditta è uguale o simile a quella già adottata da un altro imprenditore e ciò crei confusione quanto all’oggetto e al luogo d’esercizio dell’impresa chi la ha adottata in epoca posteriore deve integrarla o modificarla così da ridarle effettiva capacità distintiva. La legge riconosce altresì dell’impresa una sede principale e sedi secondarie. La sede dell’impresa è da intendere come il centro direzionale e amministrativo degli affari e interessi attinenti all’impresa. Riconoscendosi una sede all’impresa, la iscrizione nel registro delle imprese andrà fatta tenendone conto, così da darne conoscenza ufficiale. Con la conseguenza che ai fini della dichiarazione di fallimento la competenza è del tribunale del luogo dove ha sede l’impresa. Il codice civile ammette la istituibilità di sedi secondarie, giuridicamente rilevanti quando esprimano una rappresentanza stabile e in tale caso soggette anch’esse  ad obbligo di registrazione.

 

Capacità l’esercizio dell’impresa 

L’iniziativa economica è costituzionalmente garantita a tutti. Chiunque può perciò organizzare una attività di impresa. Si richiede tuttavia la capacità d’agire, che si acquista con il compimento del diciottesimo anno. 

Nel caso che il minore o l’incapace esercitino abusivamente attività d’impresa, le discipline proprie a quest’ultima non si applicano al soggetto agente. Le discipline dell’impresa  si applicano invece agli atti compiuti nel suo esercizio e quegli atti saranno inoltre regolati dalle norme specificatamente applicabili.  

L’inizio e la continuazione dell’attività d’impresa da parte di incapaci possono essere autorizzati, ma in diverse configurazioni. 

  • l’inizio di una nuova attività d’impresa può essere autorizzato dal tribunale solo al minore emancipato, eventualmente anche senza l’assistenza di un curatore. Quando autorizzato all’esercizio dell’attività d’impresa, il minore emancipato acquista la piena capacità di agire. L’autorizzazione è però revocabile. 
  • La continuazione dell’attività d’impresa è invece ammessa anche per il minore non emancipato, per l’interdetto e l’inabilitato. Deve essere autorizzata dal tribunale. Il rappresentante legale del minore o dell’interdetto potrà compiere tutti gli atti che rientrano nelle esercizio dell’impresa di ordinaria e straordinaria amministrazione; la richiesta di autorizzazione specifica sarà necessaria solo per gli atti che non siano strumentali all’esercizio propriamente detto dell’attività d’impresa. In caso di inabilitato autorizzato alla continuazione dell’esercizio dell’impresa, il tribunale può  subordinare l’autorizzazione alla nomina di un institore. 
  • La legge può vietare infine l’esercizio dell’impresa a determinate persone ad esempio  impiegati dello stato o subordinandolo a condizioni legali ad esempio autorizzazioni, concessioni, licenze. L’esercizio abusivo da parte di chi vi sia incompatibile o non legittimato per mancanza di autorizzazione ecc. non esclude l’applicazione delle discipline dell’impresa; comporta tuttavia sanzioni penali o amministrative per chi abbia commesso l’abuso, oltre la liquidazione dell’ attività abusivamente compiuta.

 

Organizzazione e rappresentanza dell’impresa 

 

L’organizzazione di impresa esprime rapporti di preminenza e di subordinazione nel suo contesto interno sulla base di contratti di lavoro subordinato, e si avranno così ausiliari dipendenti, e di collaborazione sulla base di rapporti negoziali diversi, soprattutto di mandato, nel qual caso si usa parlare di ausiliari indipendenti. 

Le figure tipiche di ausiliari dipendenti regolate dal codice civile si distinguono nettamente tra loro soprattutto per la funzione esercitata. 

a) Ai commessi  sono affidate funzioni tecnico materiali a carattere esecutivo. Soggiacciono pienamente alle direttive di chi è gerarchicamente superiore nella sequenza organizzativa e che rappresenta l’impresa nei loro confronti. Godono del potere di impegnare l’impresa per gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati e per i quali appaiono incaricati anche se manchi specifico atto di conferimento di procura, perché appunto obiettivamente rappresentano l’impresa nelle funzioni loro specificatamente affidate. Sicché saranno queste funzioni ( di commesso di negozio, cameriere di bar, di impiegato di banca addetto allo sportello) che ne qualificano e circoscrivono il potere rappresentativo, a meno di limitazioni ufficialmente rese note ai terzi con avvisi nei locali aperti al pubblico e con aperture anche sotto il profilo processuale, atteso che i commessi sono legittimati a chiedere provvedimenti cautelari nell’interesse dell’imprenditore. Tale rappresentanza obiettiva dell’impresa incontra alcuni limiti disposti dalla legge: i commessi non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non sono d’uso, salvo che siano a ciò espressamente autorizzati; se preposti alla vendita nei locali dell’impresa posso esigere il prezzo delle merci da essi vendute , salvo che alla riscossione sia palesemente destinata una cassa speciale, ma ciò non fuori dei locali, a meno che non vi  siano autorizzati e non consegnino quietanza firmata dall’imprenditore. 

b) I procuratori  rappresentano l’impresa solo in determinati suoi settori operativi ad esempio la direzione del personale o la direzione del settore acquisti. La procura loro concessa va iscritta nel registro delle imprese e in tale caso conterrà l’indicazione del settore operativo affidato e se del caso limitazioni ai poteri gestori. In mancanza, la rappresentanza del procuratore si riterrà generale, seppure circoscritta al settore operativo ufficialmente affidatogli e alle operazioni a questo connesse. I procuratori non hanno rappresentanza processuale, né attiva né passiva, neppure per gli atti da essi stessi posti in essere. 

c) L’institore è colui che è  preposto all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare dell’impresa. La sua nomina, che si traduce nella cosiddetta procura institoria, e le eventuali modifiche e revoca, vanno iscritte presso il registro delle imprese. Gode di poteri generali di gestione dell’impresa o del ramo di impresa affidatogli, a meno che la procura institoria iscritta nel registro  non  disponga limiti, e sta in giudizio in nome dell’impresa per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa o del ramo d’impresa cui è preposto. E’ tenuto assieme all’imprenditore, all’ osservanza delle disposizioni riguardanti l’iscrizione nel registro delle imprese e la tenuta delle scritture contabili. L’institore che non abbia speso il nome dell’impresa come doveva è personalmente responsabile, ma il terzo può agire anche contro il  preponente, cioè sollevare pretesa nei confronti dell’impresa, per gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa o del ramo d’impresa al quale l’institore è preposto. Se vengono preposti più institori ciascuno aggirà  disgiuntamente dagli altri.

 

Il registro delle imprese

Il registro delle imprese serve a dare pubblica conoscenza dell’esistenza e dell’articolazione dell’impresa per la migliore protezione dei terzi. Il registro delle imprese si trova presso la camera di commercio di ciascuna provincia, ed è soggetto alla vigilanza di un giudice, c.d. giudice del registro, nominato dal presidente del tribunale del capoluogo provinciale. È articolato in sezione ordinaria e sezione speciale. Nella prima sono iscritti:  

- gli imprenditori commerciali; 

- tutte società anche se non esercitano attività commerciale, tranne la società semplice; 

- i consorzi con attività esterna; 

- i gruppi europei di interesse economico con sede in Italia;

- gli enti pubblici che abbiano ad oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale; 

- le società estere con sede dell’amministrazione o oggetto principale dell’attività in Italia.

Nella seconda sono iscritti: 

- gli imprenditori agricoli;

- i piccoli imprenditori;  

- le società semplici.

Gli atti da iscrivere sono genericamente quelli previsti dalla legge. 

L’iscrizione, eseguita a domanda dell’interessato, avviene mediante tecniche informatiche. Può essere eseguita d’ufficio, quando sia obbligatoria e non sia stata richiesta. Vanno iscritte  ovviamente anche le modifiche agli atti iscritti. L’ufficio del registro verifica: 

- l’autenticità della sottoscrizione della domanda; 

- la regolarità formale della documentazione prodotta per l’iscrizione; 

- la corrispondenza dell’atto e del fatto della quale si prevede l’iscrizione a quello previsto dalla legge; 

- il concorso delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione. Non giudica la validità e perciò non può eccepire eventuali cause di nullità o annullabilità dell’atto. Chi non rispetta l’obbligo di  iscrizione quando vi sia tenuto incorre in sanzioni amministrative. 

Gli effetti dell’iscrizione e della pubblicità legale che ne consegue sono diversi. Si parla di efficacia dichiarativa quando tutto si risolve nella conoscibilità dai, e nella opponibilità ai, terzi dell’atto o del fatto iscritti. L’atto o  il fatto  iscritti  sono opponibili dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta. In mancanza di iscrizione, l’imprenditore può tuttavia provare che il terzo ne abbia egualmente avuto a conoscenza. 

Si parla di efficacia costitutiva, quando senza iscrizione l’atto non è produttivo di effetti, nei confronti dei terzi ( efficacia costitutiva parziale) o anche fra le parti ( efficacia costitutiva totale).

Le ipotesi di efficacia costitutiva dell’iscrizione nel registro devono essere espressamente previste dalla legge; e fino al quindicesimo giorno dall’iscrizione i terzi possono provare di essere stati nell’impossibilità di averne conoscenza evitando così di vedersi opposto l’ atto.

Si parla infine di efficacia normativa quando l’iscrizione non ha valore costitutivo, ma in sua mancanza si applica non la disciplina organizzativa pure evocata nell’atto ma un’altra per così dire a carattere residuale. Così è quando una società in nome collettivo o una società in accomandita semplice  non vengano iscritte ( c.d.  società irregolare):  il rapporto societario, che resta valido ed efficace, soggiace almeno in una certa misura alla disciplina della società semplice.

Il minimo di pubblicità attribuito alla iscrizione è quello di semplice notizia (c.d. pubblicità notizia). Si dà in tale caso informazione del fatto o dell’atto, ma l’impresa, per opporre quel fatto o quell’atto ai terzi deve sempre provarne l’effettiva conoscenza da parte di questi ultimi.

Tale disciplina a contenuto minimale si applica alle iscrizioni nella sezione speciale del registro, con l’eccezione dei cc.dd. imprenditori agricoli e delle società semplici esercenti attività agricola per le quali l’iscrizione nel registro produce invece effetti di pubblicità dichiarativa.

Da ultimo, è stata creata una ulteriore sezione speciale per l’iscrizione delle società fra professionisti, con effetti di pubblicità- notizia.

 

La contabilità dell’impresa

Il codice dispone la conservazione ordinata di tutta la documentazione utile a spiegare  i fatti che si sono verificati, dunque per ciascun affare la conservazione della corrispondenza commerciale, delle lettere, dei telegrammi e delle fatture  in originale quando  ricevute e in copia quanto spedite. Il codice dispone inoltre la registrazione nella libro giornale da parte dell’imprenditore di tutte le operazioni relative all’esercizio dell’impresa nella loro sequenza quotidiana. Il codice dispone  anche la puntualizzazione di quanto è avvenuto a scadenze periodiche omogenee, così da permettere:

  • nella comparazione in sequenza dei risultati dell’impresa scanditi per periodi omogenei, la verifica se l’attività obiettivamente considerata evolvere economicamente o regredisca;
  • e nel raffronto dei risultati raggiunti da imprese diverse in periodi omogenei la verifica di quale impresa si dimostri vincente nella competizione. Tale puntualizzazione si traduce nell’inventario delle attività e passività all’inizio dell’impresa e poi ogni anno.

Il raffronto fra risultati di esercizi diversi impone che quei risultati siano espressi in termini comparabili. Così come il raffronto fra i risultati di imprese diverse impone che tutte le imprese adottino, allo scopo un linguaggio comune. L’uniformità è raggiunta tramite l’esposizione del valore di ogni attività e passività espresso numericamente in moneta nazionale. Atteso che la  suddivisione per esercizi è solo ideale e  non interrompe la vicenda dell’impresa che continua invece nel suo ciclo produttivo senza soluzioni di continuità, le attività e passività da inventariare vanno considerate in una prospettiva di prosecuzione dell’azione imprenditoriale ( c.d. going concern).

L’ inventario deve contenere la valutazione oltre che l’indicazione delle attività e passività facenti capo all’impresa: valutazione poi intesa ad individuare il reddito che l’impresa è capace di produrre. L’imprenditore  risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’inventario sarebbe incompleto se non contenesse le indicazioni e la valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa, nonché delle attività e delle passività dell’imprenditore estranee alla medesima. 

Il libro giornale deve indicare le sole operazioni relative all’impresa; l’inventario che deve contenere dati attinenti all’impresa e alla sfera economica privata dell’imprenditore, si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite. Libro giornale e libro inventari, in cui ogni inventario si chiude con il bilancio annuale, sono tassativamente prescritti dalla legge. Si devono tenere, oltre le scritture contabili tassativamente imposte, tutte le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalla dimensione dell’impresa come ad esempio il libro mastro o li libro del magazzino. Il codice precisa che nelle valutazioni di bilancio l’imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni in quanto applicabili. Il bilancio è composto dallo stato patrimoniale,  dal conto economico e dalla nota integrativa. Esso deve dimostrare come evidenza e verità gli utili conseguiti e le perdite subite, la nota integrativa deve indicare i criteri di valutazione applicati e i fatti i più significativi della loro consistenza. Le scritturazioni relative al movimento giornaliero nel libro giornale e quelle relative all’inventario devono essere tenute, anche con procedure informatiche e con susseguente stampa per la lettura, in fogli numerati progressivamente. Per altri libri contabili può essere prevista dalla legge la bollatura o la vidimazione in ogni foglio dall’ufficio delle imprese o da un notaio, che devono dichiarare anche all’ultima pagina di quanti fogli il libro si compone. Le scritture contabili devono essere formate inoltre secondo le norme di un’ordinata contabilità, senza abrasioni, senza spazi in bianco, senza interlinee, senza riporti a margine. Le scritture contabili e la corrispondenza commerciale devono essere conservate per dieci anni rispettivamente  dalla data dell’ultima registrazione o della trasmissione o ricezione. I libri e le scritture contabili, regolarmente tenuti o meno, fanno piena prova contro l’imprenditore. Il terzo che se ne avvale non può tuttavia scinderne il contenuto solo per la parte a lui favorevole. L’imprenditore può a sua volta provare con ogni mezzo che le sue scritture non rispondono a verità. Le scritture contabili possono anche giovare all’imprenditore. Le scritture devono allora essere regolarmente tenute. La controparte dovrà essere anch’essa un imprenditore, sicché vi sarà modo di confrontare, ed eventualmente di  dibattere, fra opposte scritture contabili regolarmente tenute. Inoltre, la prova deve concernere rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, vale a dire i rapporti che devono essere obbligatoriamente iscritti. Infine, la prova dovrà essere valutata dal giudice nel suo prudente apprezzamento. L’imprenditore che non tenga regolarmente le scritture contabili non può invocarle a proprio favore. È consentita l’acquisizione in giudizio delle scritture contabili:

  • parziale, quando il giudice ordina l’esibizione dei libri per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in esame, o di singole scritture contabili o di lettere ecc.
  •  integrale, quando il giudice ordina la comunicazione dei libri, delle altre scritture contabili e della corrispondenza nelle controversie concernenti lo scioglimento della società.

 

Fonte: http://wikieconomiaunifg.weebly.com/uploads/8/8/0/0/8800523/diritto_commerciale.doc

 

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Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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