Filosofia del diritto

 

 

 

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Filosofia del diritto - 5

Il processo di “costruzione” della realtà presenta una struttura “circolare”. E per quanto riguarda le “teorie”? Com’è che si costruiscono? L’idea alla base di molte teorie è la seguente: ci sono oggetti (o  realtà) oppure ci sono realtà rese oggetto della teoria stessa.
La teoria del diritto ha come oggetto il diritto. Si suppone che ci sia un oggetto e che dall’esterno dell’oggetto esso possa essere osservabile (idea molto semplicista accettata come condivisibile, vera). Le filosofie, a seconda delle semantiche all’interno delle quali si sono prodotte, hanno particolari pretese (definire una volta per tutte il diritto, per esempio) e comunque presuppongono una netta distinzione fra il soggetto e l’oggetto. L’economia, il diritto la morale differiscono nettamente dal soggetto.
Com’è possibile osservare dall’esterno un oggetto? Nel nostro caso ci interessa ciò che chiamiamo società e ciò che in essa si produce. La specificità dell’oggetto qual è?
Le filosofie dovrebbero essere al di sopra dell’oggetto o tanto profonde da stare “negli inferi” rispetto ad esso e penetrarlo profondamente.
Le teorie della conoscenza sono costruzioni che riunificato ciò che hanno supposto come differenziato. Ripercorriamo molte delle teorie della conoscenza, vediamo che il tentativo continuamente fatto è quello di riunificate l’oggetto con il pensiero. Si pensi all’originale teoria dell’essere, del pensiero di Platone (che parla di immagini presenti in modo innato all’interno dell’anima) o a S. Tommaso. (che parla di perfezione delle idee. Si pensi all’empirismo di Hume (l’esperienza si può solo accumulare) fino al pensiero kantiano secondo cui la conoscenza con schemi pone ordine al disordine del mondo. Si pensi all’idealismo di Hegel secondo cui la storia è una manifestazione dell’evoluzione dello spirito, il movimento verso l’assolutezza del pensiero (che coincide con l’infinità della realtà). Tutte le costruzioni dedicate alla costruzione della realtà da parte del pensiero consentono riunificazione di ciò che è esterno con il pensiero.
Se l’oggetto di cui parliamo è la società (l’universo della comunicazione sociale) cosa succede? E’ possibile pensare a qualcosa al di fuori della società? Al di fuori di ciò che è comunicabile non c’è nulla di comunicabile. Quando pensiamo a teorie o filosofie pensiamo ad operazioni comunicabili, sociali, e quindi consideriamo le teorie comunicabili come parte dell’oggetto di cui si occupano.
Questo vale anche per la nostra prospettiva di osservazione che si implica da se stessa, non ha fondamenti al di fuori di essa.
La nostra forza nel discorso della semantica non riposa in fondamenti universali ma nel fatto che la costruzione implica se stessa in modo autologico, sempre parte dell’oggetto di cui si occupa.
Pensiamo al linguaggio, autologico per eccellenza. Come funziona? La genesi del linguaggio è oggetto di discussione. Pensiamo al linguaggio verbale dalla struttura elementare, è coordinazione di rumore con immagine, la genesi è nella rappresentazione di una corrispondenza fra suoni ed oggetti.
 


PIETRE   =                    DSD                 

Genesi del linguaggio è legato al fatto che le comunità arcaiche sentivano il bisogno di rendere possibile un apprendimento a distanza (nell’uso della terra, nella costruzione di capanne). Attraverso il linguaggio si accede a determinati apprendimenti senza ripetere il processo di apprendimento.
Potenzialità del linguaggio nella prima fase di vita sono limitate. Il linguaggio in tal senso è solo INDICATIVO. Non significa che si dica il vero. Il linguaggio è meramente descrittivo. Quando però il linguaggio si libera dal vincolo della materialità designata e ci si accorge che tra la parola pietra e la pietra c’è una forte differenza allora il linguaggio si espande e diventa uno strumento universale della comunicazione. Il linguaggio diventa l’unità della differenza di suono e di senso.
Il suono è il rumore della parola pietra, il senso è la possibilità di individuare che c’è distinzione fra senso ed oggetto. In tale fase si può utilizzare il linguaggio per parlare del linguaggio stesso. Non si esce dal linguaggio, il linguaggio è oggetto di se stesso.
Questa è una struttura palesemente autologica. Il linguaggio ha un grande potenziale connotativo.
Il linguaggio cessa di essere indicativo con la negazione, cosa tipicamente linguistica. “Oggi c’è il sole” ha senso anche nella realtà. “Oggi non piove” è una posizione esclusivamente linguistica. Con la negazione il linguaggio dubita delle possibilità di parlare della realtà. Il linguaggio viene a universalizzarsi per via della continua apertura di ogni affermazione verso una possibile negazione.

 

Il potenziale esplicativo di una teoria non è nell’esistenza di assiomi ma nel fatto che non ce li ha. La teoria della costruzione, dell’osservazione tratta se stessa come parte dell’oggetto di cui si occupa.

TEORIA DELLA SOCIETA’ NELLA SOCIETA’ implica se stessa e rende possibile osservazione delle sue osservazioni.

Una tale costruzione si trasforma con l’oggetto di cui è parte. Qual è la differenza fra questa costruzione ed i modelli teorici di prima? Non c’è bisogno di costruire un oggetto esterno da riunificare con il pensiero. Essa implica se stessa. Vede che non vede quello che non vede. Sa di se stessa, di essere priva di implicazioni esterne. Le costruzioni tradizionali trovano la loro forza nella presunta forza di principi, di assiomi e quindi rimangono fuori di se stesse. Quando si chiede qual è il fondamento del fondamento allora crolla tutto.
Una teoria va avanti se è falsificabile. L’accumulo di falsificazioni è il processo di crescita della teoria. Spesso lo sviluppo del pensiero viene presentato come una serie di rifiuti e nuove affermazioni alla ricerca di una perfetta unità della descrizione della realtà. I principi vengono considerati come punti fissi. Se il principio che rispettiamo è la libertà il clandestino non deve stare nel Centro di permanenza temporanea, giusto?
 In realtà i principi funzionano in modo stabile per la labilità di chi ha problemi psichici.
Pensiamo al principio del rispetto della vita in nome del quale c’è chi pensa che la pena di morte sia necessaria e chi invece la aborrisce. Il principio è come un pallone vuoto, non dice quel che bisogna fare. La funzione dei principi consiste nel fatto che non dovrebbero essere messi in dubbio e che finiscono per rendere legittimo il conflitto fra principi. Il principio, paradossalmente, non è DATO una volta per tutte ma si costruisce con la sua APPLICAZIONE.

Un paradosso è il diritto. I codici hanno norme da interpretare. Il giudica crede di applicare una norma ad un fatto. Ci sono norme che dicono che il giudice decide secondo i principi generali del diritto. Non sono norme esistenti. Come si costruiscono? Pensiamo al principio del buon padre di famiglia. Chi può decidere chi è un buon padre di famiglia? Il giudice nell’applicazione del principio lo costruisce.

Il problema che ci dobbiamo porre con la nostra riflessione non è quello dei principi ma quello delle distinzioni delle differenze. Solo l’indicazione della distinzione che uso mi permette di dire cosa includere all’interno di una mia speculazione. Abbiamo la certezza della costruzione di differenze osservabili.
La credenza nell’esistenza di verità produce conflitti.
Solo la moralizzazione della differenza porta a pensare che un principio sia meglio dell’altro. La scienza invece cresce con il falsificazionismo.

Per dimostrare che l’intelligenza non era presente nel sangue si rese necessario in passato falsificare tale teoria.

Si pensi ai metaloghi di Bateson, dialoghi fra un padre e la figlia. La figlia chiede al padre cosa sia l’istinto e il padre le risponde che l’istinto è ciò che fa girare la luna attorno alla terra. Gli istinti, infatti, sono cose che si possono dire di tutto. Concetti di tal tipo si possono chiamare concetti di pianificazione, cioè si tratta di principi applicabili a tutto perché a tutto si adattano.
Parole come VERITA’, VALORI sono concetti di pianificazione. Oscurano in realtà ciò che deve essere visto, occludono il paradosso insito in ogni principio.

Noi non prendiamo in considerazione né principi né valori. Il valore del valore funziona in quanto non ha valore. La morale non ha valore perché “positiva” ma perché è parte di una distinzione (morale-amorale).

La distinzione è l’unica operazione realmente ORIGINARIA.

Se si dicesse che il valore è solo l’altra parte dell’altra parte si vedrebbe che non ha valore in sé. L’osservatore vede una parte della distinzione e con una semplice operazione può passare dall’altra parte.
Spesso si parla dell’uguaglianza come principio universale. Di quale uguaglianza parliamo? Prendiamo l’uguaglianza di fronte alla legge. Non tutti sono uguali. Si possono fissare differenze fra le aliquote (chi ha paga, non ha non paga) per il principio di uguaglianza basato su una differenza. Uguaglianza non è un principio, in realtà, ma è una parte di una distinzione in cui l’altra parte è disuguaglianza. Ogni misura che produce uguaglianza produce disuguaglianza.
Medioevo era infarcito di letteratura sull’uguaglianza (tutti uguali perché figli di Dio ma trattati da Dio in modo differente a seconda della dimostrazione della propria fede).
E’ con i principi che incappiamo in simili paradossi. Si pensi al liberismo: uguaglianza nelle possibilità di accesso ai capitali che genera disuguaglianze  fortissime.Il marxismo, facendo partecipare tutti dei beni, creava disuguaglianze.Usando la distinzione riusciamo a vedere paradossi. La formula “Tutti sono uguali” andrebbe integrata (come dice Kelsen) dicendo che sono TUTTI UGUALI COLORO CHE LA LEGGE COSTITUISCE COME UGUALI. Sarebbe solo una becera tautologia.

 

Fonte: http://www.udulecce.it/files/Documenti/doctufi/filosofia%20del%20diritto%205%20appunti%20esatti.doc

 

                                                                                                 

 

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