Diritto internazionale riassunto

 

 

 

Diritto internazionale riassunto

 

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Diritto internazionale riassunto

 

la nozione di diritto internazionale

La definizione di diritto internazionale dipende ovviamente dalla teoria del diritto cui si aderisce. Come definizione preliminare si puà parlare del diritto internazionale pubblico come di insieme di regole di condotta i cui soggetti portatori di pretese e di obblighi sono gli stati. Diritto internazionale privato è invece l'insieme delle norme di un determinato ordinamento giuridico disciplinanti i conflitti di leggi e giurisdizioni derivanti dalla coesistenza di più sistemi giuridici nazionali e distinti.
Nel passato i giuristi per indicare le regole giuridiche disciplinanti i rapporti fra  enti sovrani e indipendenti usavano il termine ius gentium e ius naturale che veniva così man mano a perdere il significato originale di diritto privato comune dei diversi popoli soggetti all'impero romano.
Fu l'inglese Zouche che per primo utilizzò il termine ius inter gentes (feciale) per differenziarlo dallo ius gentium così carico della originale romanistica significanza.
Oggi la dizione diritto internazionale si è ormai imposta anche se effetivamente essa non  è indicativa dei soggetti che tale diritto riguarda e per ciò sono state proposte altri termini come quello di diritto interstatuale, tra potentati, etc.
Un punto fondamentale è che il concetto di diritto internazionale presuppone necessariamente l'esistenza di una società internazionale, l'esistenza della pluralità di soggetti cui imputare obblighi e pretese.

 

le origini della moderna società internazionale: varie teorie

La parte maggiore della dottrina concorda nel'individuare l'origine della società internazionale nel periodo fra il XV e XVII secolo, ossia nel passaggio dallo stato patrimoniale allo stato assoluto con il consolidamento di una pluralità di monarchie nazionali  in particolar modo in Europa. Tale configurazione di diverse sovranità, combinatasi con lo sviluppo delle comunicazioni fra le nazioni che diventerà sempre più necessario tanto più si realizzerà la trasformazione dell'economia da agricola pastorale a industriale, renderà naturale il verificarsi di stabili rapporti frà le diverse comunità. Tutto ciò in un preciso quadro culturale che prende atto di tale situazione (o le dà impulso) costituito dal pensiero politico di tanti fra i quali Bodin, Machiavelli, Hobbes.
E' il passaggio dallo stato patrimoniale feudale allo stato assoluto moderno con la sua sovranità (potestà di comando suprema, originaria e indipendente) che si lascia alle spalle il problema medioevale del rapporto fra stato e chiesa e della lotta per le investiture. Lo lascia alle spalle non perchè abbia avuto un esito tale scontro, ma perchè col passare del tempo il problema stesso perdeva di interesse visto che l'unità del cristianesimo era venuta meno (grande ruolo della riforma). Quasi paradossamente l'ultimo tentativo di salvare la potestà universale rappresentato dal Sacro Romano impero degli Asburgo termina in un atto che testimonia la nuova realtà. Nella spinta controriformistica e nel tentativo di riaffermare l'impero ci si imbarcò nella grande guerra dei trent'anni che ebbe fine con la pace di Westfalia del 1648 la quale non è altro che una conferma della ormai sorta comunità di stati sovrani e assoluti, una conferma del nuovo mondo moderno.
Altra parte della dottrina invero ha cercato di fare risalire  le origini della società internazionale all'alto medioevo, considerando la evoluzione dal feudalesimo allo stato assoluto come un processo di continuità nell'ambito di una originaria comunità cristiana. Ma rimane una differenza essenziale che è poi un punto di svolta. Prima il rapporto è sempre gerarchico (e la grande lotta fra stato e chiesa è per stabilire il primato assoluto), poi il rapporto diviene paritario. E' con tale rapporto paritario che veramente si può parlare di comunità internazionale di tipo moderno. Infatti altrimenti bisognerebbe risalire fino all'antichità classica perchè i rapporti fra imperi vi sono sempre stati (si pensi ai rapporti fra le polis grche). Ma fra questi tipi di rapporti e l'odierna realtà internazionale non si potrebbe rintracciare alcun nesso di continuità.

La comunità internazionale nasce con l'affermarsi di stati sovrani che per esigenze sempre maggiori tanto più mutava la realtà economica e tecnologica strinsero sempre più regolari rapporti. Stabili in quanto autonomamente fondantesi su un insieme di regole di condotta che assursero opinio iuris ac necessitatis e che sempre più venivano invocate dalle parti nei loro rapporti.

 

la moderna società internazionale come  società naturale e necessaria

Nel dire che la società internazionale è una società naturale si vuole sottolineare che essa non è il prodotto di un patto sociale o di un accordo fra i soggetti che la compongono. Essa sorge per il solo fatto che si manifesti una sovranità nazionale che viene a contatto con un'altra. E nell'era moderna è naturale che con il venirsi a creare in un determinato ambito territoriale un potere supremo, una suprema potestà di comando fra tutti i cittadini, questa venga in contatto con la suprema autorità di comando del territorio contiguo e dei cittadini che con i suoi cittadini hanno rapporti economici sempre crescenti. Rapporti economici e contatti che sempre più si universalizzano con le nuove scoperte geografiche. Al proposito delle quali è da notare che  secondo parte della dottrina  la moderna società internazionale e il suo diritto  sarebbero stati al suo inizio una società  e un ordinamento giuridico puramente europei. Concezione eurocentrica che si è talvolta tradotta  in un appoggio ideologico all'espansione  coloniale delle potenze europee giustificata dal fatto di considerare le entità politiche costituite nei territori di oltre mare oltre che diverse inesistenti, come territori nullius, suscettibili  di occupazione da parte delle potenze civili.

L'universalismo della moderna società internazionale si è man mano ampliato, soprattutto nei venti anni successivi alla seconda guerra mondiale con la massiccia decolonizzazione avvenuta anche grazie alle Nazioni Unite. A riguardo la Carta delle Nazioni Unite, adottata a San Francisco il 26 giugno 1945, dispone fra i fini della organizzazione anche il principio della uguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli limitandosi a sanicire che gli Stati membri, che si assumono la responsabilità dell'amministrazione di territori la cui popolazione non ha ancora raggiunto l'autonomia, hanno il dovere di sviluppare l'autogoverno delle popolazioni, di prendere in debita considerazione le aspirazioni politiche e di assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche, in armonia con le circostanze particolari di ogni territorio e delle sue popolazioni e del loro diverso grado di sviluppo. In tale sede si evita di parlare di indipendenza, preferendosi il termine auto governo. Solo nel 1960 l'Assemblea Generale ha dichiarato che l'assoggettamento dei popoli ad un dominio straniero è contrario alla Carta delle Nazioni Unite, interpretando estensivamente  il testo originario, disponendo altresì che  un territorio raggiunge una piena condizione di autogoverno tramite la sua costituzione in Stato sovrano indipendente, l'associazione con uno stato indipendente o l'integrazione con uno stato indipendente. Molti degli stati che così raggiunsero l'indipendenza costituirono il gruppo dei 77 (paesi in via di sviluppo nei negoziati economici) gruppo dei non allineati (paesi in via di sviluppo nei negoziati politici).

 

la moderna società internazionale come società priva di una propria struttura istituzionale

Sin dall'origine i soggetti della società internazionale si rifiutarono di riconoscere sopra di loro alcuna autorità, in affermazione della propria sovranità, della quale ammettono la limitazione, ma solo come auto limitazione, rimanendo la sovranità originaria e non dipendente dalla concessione o attribuziona altrui. Per ciò la mancanza di una organizzazione politica e istituzionale nell'ambito del diritto internazionale, paragaonabile a quella delle società nazionali. Per tale motivo  la dottrina ha parlato della società internazionale come di una società paritaria basata sulla giustapposizione dei suoi membri, anzichè società gerarchicamente organizzata. In altre parole una società con struttura essenzialmente privatistica. Addirittura taluni hanno parlato di società non organizzata od anarchica. Tale situazione si può descrivere con la elencazione di alcuni caratteri:
- non esiste un legislatore sovraordinato ai soggetti della società
- le norme deirvano o dalla consuetudine o da trattati (formazione spontanea o volontaria)
- il giudice non può pronunziare la sentenza se tutti i litiganti non gli hanno conferito la giurisdizione, ossia le parti non siano d'accordo a rimettere la decisione a quel terzo
- non esistono organi di tipo esecuitivo.
Da tali elementi è sorto il problema di stabilire se effettivamente un sistema così  primitivo sia o meno un ordinamento giuridico. La risposta ovviamente dipende dalla definizione di ordinamento giuridico.
Classico argomento a favore della giuridicità dell'ordinamento internazionale è l'effettività delle sue norme (quasi tutti gli stati osservano quasi tutte le regole)

D'altra parte il rapporto paritario dei membri della società internazionale è sancito direttamente dalla Carta delle Nazioni Unite dove si afferma che la Organizzazione è fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i membri. Uguaglianza tradotta in una dichiarazione del '70 ove si specifica il suo significato in vari punti:
- gli stati sono uguali dal punto di vista giuridico
- ogni stato gode dei diritti inerenti alla piena sovranità
- ogni stato ha l'obbligo di rispettare la personalità degli altri stati
- l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dello stato sono inviolabili
- ogni stato ha diritto di scegliere e sviluppare liberamente il suo sistema politico, sociale, economico e culturale
- ogni stato è tenuto ad adempiere pienamente e in buona fede i suoi obblighi internazionali  e a vivere in pace con gli altri stati

In realtà la dottrina ha sottolineato che tale parità si è tramutata in un equilibrio instabile fra punti di forza impari, fonte di ulteriore ostacolo alla pace e alla uguaglianza delle nazioni.

A tale proposito si ricorda il ruolo svolto nella comunità internazionale dalle grandi potenze nella gestione degli affari internazionali, inevitabile conseguenza della indipendenza fra le nazioni e della mancanza di un apparato politico istituzionale dedicato. Tale squilibrio si è riflesso persino in sede di Consiglio di sicurezza sulle questioni non procedurali (sostanziali) dove nella Carta allo art. 27 su di un totale di 15 voti richiesti, sono necessari 9 voti favorevoli nei quali  siano compresi  quelli dei cinque membri permanenti (Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno Unito, Stati Uniti).

 

il diritto internazionale nella scienza giuridica

 

la dottrina classica del diritto internazionale

Si tratta del pensiero maturato a partire dal XV secolo che ha la sua radice nel patrimonio giuridico romanistico e in particolare nei suoi concetti di ius naturae o naturale e di  ius gentium.
Lo ius commune gentium esprimeva l'idea di un fenomeno giuridico caratterizzato da norme comuni e adottate presso tutte le genti in tutti i paesi (quo iure omnes gentes utuntur). Esso poteva riguardare anche i comportamenti dei reges e dei principes superiorem non riconoscentes.
Lo ius naturae ovviava alla mancanza di autorità superiori alle singole sovranità imponendosi come ordine razionale naturale. Esso non veniva inteso come insieme di precetti costruiti dalla filosofia morale ma come vivente nei rapporti fra pari (le sovranità nazionali).
Ugo Grozio, il famoso autore del De iure bellis ac pacis, afferma la giuridicità di quello che noi oggi diremmo diritto internazionale come rispondente al diritto, al dovere essere, imposto dalla razionalità comune a tutti gli uomini. L'affermazione più nota è quella che il diritto naturale esisterebbe anche se Dio non esistesse. Centro del suo pensiero è la razionalità.
Un secolo dopo Jean Jacques Burlamaqui vede nel diritto regolante le relazioni tra stati come riflesso di una società analoga a quella che naturalmente stringe gli uomini. Ma se il diritto des gentes o Lois des Nations nasce dalla razionalità umana esso, come la ragione umana, è immutabile.
Immutabilità che va attenuandosi nel pensiero successivo.
Vanno comunque ricordati Francisco de Vitoria, Alberico Gentili  e Richard Zouche, che si soffermano sui soggetti dello ius inter gentes qui superiorem non habent, mentre l'analisi da astratta si fa sempre più concreta verso gli effettivi soggetti di imputazione dell'ordinamento. Anche se non mancano elaborazione teoriche giusnaturalistiche di carattere squisitamente filosofico come quelle di Samuel Pudendorf e Christian Wolff.
Ad avviso degli autori colui che condensò e catilizzò il pensiero della dottrina classica fu Johann Jacob Moser, ormai nel XVIII secolo, che accentrò la sua attenzione sulla fonte principale del diritto internazionale: la consuetudine che fonda uno ius commune contrapposto allo ius particulare scaturente dai trattati stipulati dai singoli paesi. Ma lo stesso ius particolare trova la sua giustificazione ancora nello ius commune: pacta sunt servanda.

 

il positivismo statalistico e il positivismo critico

Punti cardine di tale dottrina sono la centralità dello stato come unica fonte sovrana di diritto e la coercibilità come elemento caratterizzante il fenomeno giuridico.
Esemplare John Austin per il quale il diritto positivo  consiste in quelle norme che un superiore politico  pone e impone a tutti coloro che sono a lui subordinati. L'imperatività deontologica è essenziale al diritto. In questa concezione trova poca ospitalità il diritto consuetudinario che vede indiretto riconoscimento solo in quanto riportabile alla volontà di uno stato sovrano. Perciò per Austin le norme internazionali non sono vere norme giuridiche, mancando quel superiore politico che le possa imporre. Altri positivisti ammisero invece la giuridicità solo delle norme derivanti da trattati.
Diversamente Heinrich Triepel e Dionisio Anzilotti individuarono quel superiore politico nella collettività di stati, cui ogni stato nella sia singolarità è subordinato. Il centro dell'attenzione dottrinale è dunque il trattato, vera fonte del diritto internazionale, in cui al limite anche la consuetudine si risolve come fattispecie tacita. Ma il pensiero del Triepel fu sempre negatore della unicità del diritto internazionale che invece si risolverebbe in una pluralità di sistemi, tanti quanti i trattati.
Sempre nell'ambito del positivismo (e del neo Kantismo dal puntoo di vista filosofico) si collaca una linea di pensiero assai diversa: quella di Hans Kelsen.
Egli riconosce le due principali fonti del diritto internazionale come la consuetudine e il trattato, qust'ultimo poggiato sulla suprema norma consuetudinaria pacta sunt servanda. Ne consegue il carattere particolare del diritto pattizio internazionale vigendo le sue norme non per tutti gli stati ma solo per gruppi. Si parla allora di diritto internazionale convenzionale particolare e di diritto internazionale consuetudinario generale come di due diversi livelli di una Stufenbau che viene ad integrarsi poi  alle norme giuridiche dei c.d. tribunali internazionali. Stufenbau che ha al vertice chiaramente la consuetudine in quella norma che la autoimpone alle comunità.
Certo si tratta di un diritto primitivo: le conseguenze della violazione del diritto internazionale sono la rappresaglia e la guerra. Ma si tratta per Kelsen dell'inizio di uno sviluppo.
A questo punto Kelsen pone la unicità del diritto internazionale come postulato gnoseologico, necessità epistemologica della scienza del diritto, contro le dottrine dualistico pluraliste. Si deve prendere atto del diritto internazionale come si presenta componendo le antitesi normative...
Per operare tale unificazione Kelsen analizza il rapporto reciproco di due o più sistemi normativi. Due complessi di norme possono costituire un sistema unitario in 2 sensi: un ordinamento è subordinato all'altro  in quanto uno trova nell'altro il fondamento della sua validità e quindi la sua norma fondamentale; oppure  nel senso che entrambi gli ordinamenti sono equiparati fra loro, ossia reciprocamente delimitati nella loro sfera di validità. Ma in questo secondo caso per costituirsi in unità è necessario un terzo ordinamento che determini la produzione degli altri due, li delimiti reciprocamente  nelle loro sfere di validità e quindi li coordini. Se il diritto internazionale e il diritto degli stati particolari formano un sistema unitario, il loro rapporto reciproco deve allora consistere in una delle due forme qui descritte. Precisamente il II senso è quello proprio che supera tutte le concezioni dualistiche. Il fatto che cosesistano  più ordinamenti giuridici delimitati nei loro ambiti di validità, interagenti e coordinanetesi fra loro presuppone la esistenza di un insieme di regole che svolgono tale funzione delimitante e coordinante. In tale concezione il sorgere e il tramontare degli stati, considerati da questo punto di vista, si presentano come fenomeni giuridici come la costituzione e lo scioglimento di una persona giuridica nel quadro del diritto statale interno. La concezione classica, ad avviso del Kelsen, non può che essere negatrice del diritto internazionale in quanto affermante il primato dell'ordinamento giuridico del singolo stato che diviene il fondamento di ogni atto esterno perchè ogni norma del diritto internazionale è valida in quanto riconosciuta dallo stato medesimo. Antitesi fra il dogma della sovranità dello stato e il suo radicale soggettivismo e la concezione oggettiva del diritto. In tale concezione oggettiva la regola del diritto internazionale, operante come schema qualificativo, collega ad un determinato evento la sanzione corrispondente (rappresaglia o guerra). Tale evento è una atto normativo dello stato particolare che è in violazione di un obbligo stabilito dal diritto internazionale. In definitiva la validità di più ordinamenti giuridici particolari deve trovare fondamento in unico ordinamento superiore efffettivo, sia questo un ordinamento assoluto rispetto agli stati, sia che si tratti di un ordimamento di uno stato che per la sua effetività ha il primato sugli altri.

 

gli sviluppi della dottrina contemporanea

La fase positivistica dello studio del diritto internazionale è la fase del primato del fenomeno giuridico su quello sociale. Proprio l'approccio al diritto internazionale dal punto di vista sociale è ciò che caratterizza gli sviluppi della dottrina contemporanea in cui si pone l'accento non tanto sul problema della validità delle norme internazionali quanto della loro effettiva esistenza.

 

le tendenze evolutive della società internazionale contemporanea

 

Elementi che rendono difficile il porsi di obiettivi determinati  e la elaborazione di strategie per la loro realizzazione sono lo stesso carattere paritetico  della società internazionale e i meccanismi spontanei di formazione delle norme.
E' peraltro innegabile che orientamenti generali esistono :

 

il divieto dell'uso della forza

In tutto il secolo ventesimo, ma soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra, si è sentita l'esigenza di assicurare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, anche con la predisposiizone di un apparato istituzionale in grado di promuovere la soluzione della controversie internazionali con mezzi pacifici, di vegliare sul matenimento della pace e di intrvenire in caso di situazioni critiche.
Già dopo la prima guerra mondiale il patto delle società delle nazioni di Versailles del 28 aprile 1919, impegnava i membri a rispettare e a conservare contro qualsiasi aggressione lìintegrità territoriale e l'indipendenza politica attuale di tutti i membri della società. In caso di aggressione , di minaccia o di pericolo il Consiglio, organo di tale società, individuava i mezzi per risolvere pacificamente l'adempimento. L'impegno di non ricorrere alla guerra non era espresso però in termnini assoluti. I membri si obbligavano a sottoporre a procedura di arbitrato o di regolamento giudiziario o all'esame del consiglio le controversie suscettibili di provocare una rottura e convenivano che in nessun caso avrebbero fatto ricorso alla guerra prima che fosse trascorso un periodo  di tre mesi a partire dalla decisione arbitrale o giudiziale o dal rapporto del consiglio. Peraltro non vi fu una universale partecipazione alla società delle nazioni e il risultato fu, come si sa, fallimentare.
Ulteriore impegno vi fu in tale senso con il patto generale di rinuncia alla guerra, detto di Briand-Kellog, stretto a Parigi il 28 agosto del '29, e ancora con la carta delle Nazioni Unite di San Francisco il 26 giugno '45 dove si fissano i fini delle Nazioni Unite stesse, tutti subordinati all'obiettivo della pace e della risoluzione pacifica delle controversie internazionali.
Degno di nota che nella carta non solo si bandisce l'uso della forza, ma anche della minaccia attuata con la forza. Non solo la guerra dunque. Salvo il caso del ricorso al diritto di autotutela.
Non solo: viene condannata anche l'organizzazione di forze irregolari, di bande armate o di mercenari in vista di incursioni sul territorio di un altro stato, o atti di guerra civile sul territorio di altri stati, di terrorismo, e in ogni caso le acquisizioni territoriali ottenute con la minaccia o l'uso della forza in generale.
Le risoluzioni delle Nazioni unite definiscono nei particolari cosa si debba intendere per aggressione (invasione od occupazione anche temporanea, bombardamento con qualsiasi arma, blocco dei porti o delle coste, l'utilizzo indiretto di forze armate stanziate in altri paesi, l'invio di bande di mercenari, terroristi etc.)
A tale proposito può ricordarsi la condanna degli Stati Uniti d'America nella sentenza del 1986 della corte internazionale di giustizia sulla controversia sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua.

 

il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale secondo la Carta delle Nazioni Unite

Il sisema della Carta delle Nazioni Unite affida al Consiglio di sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace  e della sicurezza internazionale, ai sensi dello art. 24.
Il Consiglio :
- ha funzioni conciliative
- di accertamento dell'esistenza di minacce alla pace
- potere di effettuare raccomandazioni e di decisioni sulle misure da prendere per mantenere o ristabilire la pace. Per es. interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, amrittime, aeree e postali etc. oltre alla rottura delle relazioni diplomatiche.
- può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure (art. 41). Se queste di mostrano insufficienti il Consiglio può intraaprendere con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione dhe sia necessaria per mantenere o stabilire la pace e la sicurezza internazionale (art. 42).
La complessa struttura organizzativa prevista dalla carta per intraprendere le azioni militari necessarie per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionale ex art. 42 non ha visto la luce. In particolare non è stato attuato il Comitato di Stato Maggiore previsto all'art. 47.
In taluni casi eccezionali il Consiglio di sicurezza e l'Assemblea Generale hanno deciso l'invio di peace keeping forces - i caschi blu - con compiti di supervisione al cessate il fuoco, di assistenza e di verifica di ritiri di truppe e di cuscinetto fra forze armate contrapposte. Benchè effettuati tali interventi tramite truppe militari essi non comportano l'uso della forza se non per legittima difesa e richiedono il consenso delle parti in conflitto.
Anche i recenti avvenimenti della guerra del golfo difficlmente si inquadrano nelle previsione degli art. suddetti.

 

la cooperazione per sviluppo economico

Nella Carta delle Nazioni unite  si pone anche il fine di conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale e umanitario. In particolare allo art. 55 si pongono obiettivi come un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della manodopera, e condizioni di progresso  e di sviluppo economico e sociale. Anche il mantenimaento della pace può essere assicurato attraverso una azione di natura economica. Sarebbe assai difficile mantenere la pace in una società internazionale dove esistano marcati squilibri di condizioni economiche.
E' il caso si approfondire una tendenza che sottolinea come per garantire la uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della comunità internazionale sia necessaria una correttiva diseguaglianza formale. Ossia promuovere un sistema di norme apertamente diseguale proprio perchè diretto a compensare mediante opportune misure la situazione dei paesi meno progrediti. Si parla a proposito di ineguaglianza compensatrice.
Su questo principio si fonda la critica a quella regola internazionale che subordina la nazionalizzazione dei beni e delle attività di imprese straniere al versamento di un indenizzo pronto. adeguato ed effettivo. Tale obbligo di indenizzo penalizzerebbe gli stati più deboli in via di sviluppo che mirano a riacquistare il controllo delle loro risorse naturali ma che non hanno le possibilità finanziarie per la nazionalizzazione. Per ciò si sono proposte regole diverse per l'indenizzo. Al proposito la Carta dei diritti e doveri economici degli stati prevede che ogni stato ha diritto di nazionalizzare, espropriare o di trasferire la proprietà dei beni stranieri contro un adeguato indenizzo, tenuto conto delle sue leggi e regolamenti e di tutte le circostanze che esso giudica pertinenti. In tutti i casi in cui la questione dell'indenizzo sia controversa questa sarà regolata conformemente alla legislazione interna dello stato che nazionalizza e dei tribunali di tale stato, a meno che le parti di aomune accordo non convengano di rimettere la decisione a terzi. Estensione del concetto di sovranità al potere di disporre autonomamente e liberamente delle proprie risorse naturali.
Nonostante le numerose dichiarazione della Assemblea generale delle nazioni unite anche in applicazione della citata carta, la sua applicazione si scontra non solo con il suo valore non giuridicamente vincolante ma anche sul mancato accoglimento unanime. La Carta dei diritti e dei doveri economici degli stati è stata approvata con 120 voti favorevoli, ma fra i 6 contrari troviamo USA, Germania federale, Regno unito, e fra i 10 astenuti l'Austria, Canada, Francia, Irlanda, Israele, Italia, Giappone.

 

la protezione dei diritti dell'uomo

Interessante notare che l'attenzione agli inviolabili diritti dell'uomo è partita dalle Carte Costituzionali dei singoli paesi, soprattutto finita in Europa l'ideologia idealistica spiritualistica di destra e quella marxista leninista. I nuovi ordinamenti hanno affermato la centralità della persona umana che non può essere considerata mezzo per ulteriori fini statali.
Ma questo periodo segna un'altra tendenza: quella del superamento della concezione secondo la quale il diritto internazionale consente ad uno stato di intervenire presso un altro solo nel caso in cui quest'ultimo abbia violato le norme sul trattamento dei cittadini del primo .
Ma soltanto con la fine della II guerra e per impulso dei principi sanciti nella carta delle nazioni unite si ebbe una chiara affermazione dei diritti dell'uomo anche sul piano internazionale. La carta annovera fra i fini delle Nazioni Unite anche quello di conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale, umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione (art. 1).
Seguirono una serie nutrita di atti internazionali:
- Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adotta nel 48 dall'Assemblea Generale
- Trattati internazionali di New York del 48, 65, 84, 89 anche sui diritti della donna e dei bambini
- La convenzione detta Europea (Roma 1950) , quella detta Americana (San Josè de Costa Rica del 69) e la carta Africana di Naiorobi del 1981.

la protezione dell'ambiente

Particolare rilievo hanno quelle norme internazionali applicabili per far fronte ai fenomeni di inquinamento o di rischio di inquinamento detto transfrontaliero, che hanno origine in uno stato determinato e che colpiscono un altro stato o uno spazio non sottoposto a sovranità internazionale.
La norma  sancente il divieto di inquinamento transfrontaliero ha trovato la sua prima applicazione nella sentenza del tribunale arbitrale per la controversia fra Canada e USA sulla fonderia di Trail del 1941. Qui si dispone che nessun stato ha il diritto di usare il proprio territorio o di permetterne l'uso in modo da causare danno al territorio di un altro stato, quando le conseguenze siano gravi e il danno sia dimostrato da prova chiara e convincente.
Successivamente la norma si è estesa nella pratica anche pattizia alle attività svolte anche su mezzi mobili, oggetti spaziali, territori non sottoposti a sovranità.
Ma anche la questione generale ambientale sta assumendo una importanza particolare (si pensi al risultato del rapporto sul futuro comune o rapporto Brundtland redatto nel 1987 su incarico della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dalla Commissione mondiale su ambiente e sviluppo).
Sono stati conclusi alcuni trattati multilaterali che riguardano rischi ambientali globali:
- inquinamento (Ginevra 79)
- piogge acide e fascia di ozono per il quale si ricorda il protocollo sulle sostanze  che esauricono la fascia di ozono (Montreal e Londra 1990) - CFC clorofluorocarburi -
Non esiste invece finora alcun trattato per il problema del riscaldamento atmosferico (detto effetto serra).

 

i soggetti del diritto internazionale

 

il concetto di stato ai fini del diritto internazionale

Si dice che gli stati sono i soggetti di diritto del diritto internazionale. Per soggetti di diritto si intende gli enti cui fanno capo  i diritti  e gli obblighi  discendenti dall'ordinamento giuridico. In altri termini la soggettività giuridica va intesa come capacità giuridica, ossia la capacità di un soggetto di essere titolare di diritti e di obblighi.
Se i soggetti di diritto internazionale sono gli stati, il termine stato non ha una definizione univoca.
Parte della dottrina identifica lo stato nella comunità di uomini, nel popolo che organizzandosi entro un territorio ne determina la costituzione.
Secondo una diversa concezione lo Stato come soggetto del diritto internazionale va identificato esclusivamente nell'apparato governativo, negli organi che identificano lo stato persona e dunque in un ristretto nucleo di persone detentirici del potere politico, sia attraverso un mandato di rappresentanza politica del popolo sovrano, sia che il potere sia consolidato in modo antidemocratico.
Dal punto di vista del diritto internazionale va senza dubbio la preferenza alla seconda accezione che rispecchia la stessa genesi storica del diritto internazionale come rapporto fra entità sovrane, originarie e indipendenti di principes superiorem non reconoscentes. E per quanto sia mutata la situazione, per quanto riguarda i caratteri e la posizione dei protagonisti della vita internazionale non si riscontrano modificazioni di fondo rispetto alla società internazionale dei secoli precedenti.
Tuttavia rimane forte la suggestione in molti autori di ritenere destinatari delle regole di un unico e universale ordinamento giuridico sempre e comunque individui umani, e non stati, di cui si nega persino l'esistenza anche come entità sociologiche. Ciò sia da parte di coloro che si rifanno alla dottrina pura del diritto che concependo lo stato come ordinamento giuridico no lo può ritenere in quanto tale destinatario di norme, sia da parte di moderne correnti come quella della cosiddetta dottrina solidarista. A proposito Scelle: "la società internazionale risulta non dalla coesistenza e dalla giustapposizione degli stati, bensì al contrario dall'impenetrazione dei popoli attraverso il commercio internazionale". Il diritto internazionale come diritto mondiale di cui sono soggetti i singoli individui.


Per raffforzare la giuridicità dell'ordinamento internazionale la risoluzione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 44/33 del 1989 ha dichiarato che il periodo 1990-1999 costituirà  il decennio delle Nazioni Unite  del diritto internazionale. Principali obiettivi del decennio: (1) promuovere accettazione e rispetto delle  norme internazionali, (2) promuovere strumenti e metodi per la rispluzione  pacifica delle controversie, in particolare con il ricorso alla Corte Internazionale di giustizia (3)incoraggiare la codificazione e la conoscenza del diritto stesso.

Si ricorda una lettera del 1864 del ministro degli esteri Lamarmora al console generale d'Italia a Tunisi (pag. 68)

 

Fonte: http://www.memoteca.it/upload/dl/Appunti_di_Storia_Contemporanea/Diritto_Internazionale_Origini0.doc

Sito web : http://www.memoteca.it

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Diritto internazionale riassunto

Diritto Internazionale

 

LEZIONE 1

 

INTRODUZIONE

 

Il diritto internazionale occupa quella parte del diritto che regola le relazioni tra gli stati e studia l’ordinamento internazionale.

 

Soggetti del diritto internazionale sono gli Stati, le Organizzazioni internazionali, che possiedono personalità giuridica e ultimamente anche i singoli individui (ad esempio nel caso di crimini contro l’umanità).

 

Soprattutto adesso che la globalizzazione ha cambiato radicalmente il panorama della comunità di tutto il mondo si rende sempre più necessaria la presenza di un sistema giuridico internazionale che regoli l’individualismo, l’egoismo e la competizione che continua a esistere tra gli Stati, con il fine principale di creare un ordine in cui l’intera umanità possa svilupparsi in armonia.

 

Questo sistema ha però bisogno di riforme e modifiche.

 

I temi principali che sono affrontati sono i seguenti:

Rapporti e trattati tra i vari stati;

Responsabilità degli Stati. La mancata osservanza del regolamento porta a illeciti e crimini internazionali.

Vita di uno stato (confini, problemi, ricezione del diritto internazionale all’interno dello stato…)

Fonti, sia scritte che implicite, cioè che derivano dalla consuetudine ma che comunque vengono rispettate.

 

A questi se ne sono aggiunti altri, in modo particolare dalla fine della seconda guerra mondiale si decise che era necessario una forma di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, tanto che l’art. 55 della carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945) considera il rispetto dei diritti dell’uomo come condizione necessaria per il conseguimento della pace tra le nazioni.

 

Le Nazioni Unite nel 1948 promulgarono la Dichiarazione (è solo una raccomandazione) Universale dei Diritti Fondamentali dell’Uomo. Successivamente vennero stipulati due ulteriori accordi nel 1976: il patto delle UN sui diritti civili e politici e il patto sui diritti economici, sociali e culturali.

 

Il tema della tutela dei diritti dell’uomo non è affrontato solamente da organizzazioni internazionali, ma anche da organismi regionali. Ad esempio gli Stati dell’Unione Europea hanno firmato nel 1950 la Carta dei Diritti dell’Uomo, entrata in vigore nel 1953 con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e (riconoscimento) delle libertà fondamentali, per assicurargli una tutela giurisdizionale.

 

La globalizzazione ha reso necessaria l’istituzione di tribunali internazionali che creassero ordine e che garantissero il rispetto di accordi e patti stipulati tra le diverse nazioni.

Il primo tra questi è stata la Corte Internazionale di Giustizia, cioè una forma di arbitrato giuridico creato all’interno delle Nazioni Unite per risolvere le maggiori controversie tra gli Stati. Quest’anno la Corte si è espressa su una disputa tra palestinesi e israeliani, quando Israele ha provato a costruire un muro che separasse i territori abitati da cittadini mussulmani dal resto del Paese.

 

Negli anni successivi alla creazione della Corte Internazionale di Giustizia molti altri tribunali internazionali sono stati creati per risolvere in campi diversi questioni che riguardavano gli Stati.

  • Nel 1982 con la Convenzione di Montego Bay nasce il Tribunale del Mare, incaricato di risolvere controversie nate ad esempio per causa dello sfruttamento di risorse marine o per stabilire i corretti confini territoriali (acqua territoriale, piattaforma continentale, zona sfruttamento economica, alto mare).
  • Il WTO al suo interno ha costituito dei panels cioè camere istituzionali composte da giudici col compito di risolvere le controversie mondiali che nascono in campo commerciale.
  • I diritti dell’uomo sono tutelati dai tribunali penali internazionali. Il Tribunale di Norimberga (fine WWII) di Tokio o altri, creati per i crimini commessi nella ex Jugoslavia o Ruanda. In più vi è la Corte Penale Internazionale che giudica i crimini contro l’umanità, di guerra e di genocidio.

 

Nascono poi dei tribunali misti, composti da giudici nominati dai membri delle Nazioni Unite e da giudici locali per specifici crimini commessi nel loro paese di appartenenza. Spesso si preferisce avere tribunali misti, piuttosto che internazionali, per evitare diverse problematiche. Ad esempio è più comodo per un testimone nel Paese dove abita, piuttosto che dover fare mille chilometri per raggiungere il luogo del processo, e testimoniare nella sua lingua d’origine, in modo che non ci siano problemi d’interpretazione sbagliata. (es. Sierra Leone)

 

Evoluzione storica.

 

Il diritto internazionale si sviluppa a metà del 1600 (1648: Pace di Westfalia: gli Stati si riconoscono reciprocamente come uguali), ma la sua reale necessità inizia a farsi sentire verso la fine dell’800 per limitare il predominio di grandi potenze attraverso norme internazionali o nazionali.

Il ministro argentino Drago fu uno dei primi teorici di fine ‘800 che sostenne che le grandi nazioni non avrebbero dovuto ricorrere alla forza armata per ottenere indietro i crediti che vantavano su nazioni più povere. Ovviamente questa dottrina fu subito altamente contestata.

 

Con la fine della prima guerra mondiale, però, si presentò sempre più l’esigenza di avere una base internazionale più solida per evitare eventuali conflitti mondiali.

A contribuire a questa richiesta ci pensarono i rivoluzionari sovietici, che con le loro proteste si opposero ai modelli economici dominanti provenienti dall’estero e presentarono due principi in netto contrasto con quelli che circolavano nel resto del mondo:

1.- Autodeterminazione dei popoli, cioè i popoli occupati si dovevano liberare dall’invasore e governarsi autonomamente;

2.- Uguaglianza tra gli Stati.

Questi due principi si accostarono con la politica dell’Unione Sovietica di rifiutare le dottrine della politica internazionale basate sul capitalismo, tanto che il nuovo governo russo denunciò e non rispettò gli accordi internazionali presi in precedenza.

L’Unione Sovietica comunque non si rifiutò di riconoscere alcune norme consuetudinari, come quelle poste a tutela della sovranità territoriale.

 

Alla fine della prima guerra mondiale gli Stati vincitori decisero di istituire un organismo che scongiurasse possibili conflitti bellici.

Nel 1919 nasce la Società delle Nazioni a cui aderirono solamente pochi Stati, mentre Stati Uniti e altri grandi potenze come URSS, Germania e Giappone non presero parte all’accordo.

La Carta della Società delle Nazioni non voleva impedire l’uso della forza armata, ma tentava di porre dei limiti all’uso della guerra. Infatti una nazione prima di dichiarare guerra ad un altro paese doveva rivolgersi a un tribunale arbitrale (Consiglio della Società), aspettare la decisione e solo tre mesi dopo era autorizzata ad attaccare. In questo modo si sperava che del tempo di ripensamento avrebbe potuto far ricredere gli stati dall’usare la forza militare. Inoltre la Carta prevedeva questa procedura solo in caso di possibile guerra, non teneva in conto casi diversi. Tali norme riguardavano solo gli stati firmatari. È così che la forza di questo organismo si è dimostrata pressoché nulla, tanto che pochi decenni dopo non si è riusciti ad evitare l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

 

Con la fine delle dittature europee e della devastante WWII si è sentita fortissima l’esigenza di un nuovo ordine internazionale che creasse le condizioni per una pace duratura. In più si era creata anche la consapevolezza dell’enorme forza assunta da molti Stati, che non l’innovazione tecnologica avevano acquisto conoscenze belliche in grado di distruggere l’umanità. Nascono le Nazioni Unite (26 giugno 1945).

 

 

LEZIONE 2

 

LA SOGGETTIVITà DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.

 

Per soggettività s’intende l’attitudine a divenire centro d’imputazione di diritti e obblighi previsti dalle norme internazionale. Sono i soggetti con capacità giuridica. Inizialmente il soggetto di diritto internazionale erano le nazioni, ora lo scenario si è ampliato, lo sono oltre agli Stati anche le diverse organizzazioni internazionali.

 

Quali sono gli elementi che caratterizzano i soggetti di diritto internazionale?

Enti caratterizzati dalla sovrana indipendenza.

 

Lo Stato: sovrano e indipendente.

Stato Organizzazione è distinto da Stato Comunità.

Stato Organizzazione: ci si riferisce all’apparato statale composto da organi che esercitano un potere di controllo sulla comunità. Insieme delle strutture che esercitano il potere politico.

Stato Comunità: comunità d’individui stanziati su un territorio.

 

La teoria maggiore è vedere lo Stato come apparato di organi, perché solitamente uno Stato si distingue da altri per le relazioni che instaura con altri Stati, e produce atti giuridiche, tutte attività svolte da organi.

Nella comunità internazionale sono gli organi ad intervenire, non la comunità, per questo quando si parla di Stato nella teoria internazionale si pensa solo all’apparato di organi.

 

Quali sono gli elementi costitutivi di uno Stato e che caratteristiche deve avere per essere considerato soggetto della comunità internazionale?

Caratteristiche:

1.- Effettività: lo Stato esiste di fatto. S’intende la capacità d’esercitare effettivamente (no solo con i proclami) la propria potestà d’imperio su una data comunità stanziata su un certo territorio. È il potere della sovranità al di sopra del quale no ve ne sono altre.

2.- Indipendenza o sovranità esterna: questo Stato deve essere indipendente da qualsiasi altro Stato. È la condizione stessa della sovranità. Uno Stato è sovrano se indipendente. Non riconosce altri Stati superiori. Lo Stato non deriva giuridicamente il proprio potere da nessun altro ente sovrano.

 

Problemi in merito all’indipendenza:

L’indipendenza non dev’essere solo d’imperio, ma dovrebbe essere anche in senso economico (teoria che non tutti approvano).

Ci sono casi in cui ci sono dubbi sull’indipendenza, ad es. nel caso di Stati Federati. In uno Stato federale, composto da stati federati con alcune competenze, il soggetto è lo Stato federale, che sul piano internazionale ha ruolo principale.

In una Confederazione di Stati, cioè unione di Stati che si uniscono per scopi particolari, i singoli stati mantengono la loro indipendenza.

Microstati (San Marino) sono considerati soggetti di diritto internazionale.

Governi Fantoccio: sono sottoposti al governo di un altro Stato che esercita il potere effettivo (es. Governo dello Stato Turco-Cipriota) e non sono quindi considerati soggetti di diritto internazionale.

Governi in esilio (es. durante la II guerra mondiale –Francia-) sono riconosciute alcune prerogative sovrane; se questo riuscirà a riconquistare il suo posto, verrà considerato soggetto,altrimenti scomparirà.

 

Durante il processo di effettività, mentre un governo si sta per affermare, può avvenire il riconoscimento da parte di altri Stati. Il solo riconoscimento però non fa “esistere” uno stato che per essere considerato tale deve esercitare un potere effettivo.

Riconoscimento: atto attraverso il quale uno Stato ammette che una certa entità si può considerare Stato perché presenta le caratteristiche di uno Stato. Il riconoscimento può essere espresso (attraverso un atto formale) o tacito (se dimostrato dei comportamenti).

Il riconoscimento è considerato da alcuni costitutivo, da altri dichiarativo:

  • riconoscimento costitutivo: dimostra la personalità dello Stato.
  • Riconoscimento dichiarativo: il riconoscimento è solo un’enunciazione, è ma dichiarazione.

 

Il riconoscimento deve avere natura solo dichiarativa, perché ha natura puramente politica.

Il riconoscimento è quindi un atto discrezionale.

È anche un accordo fra lo Stato che lo fa e l’ente di nuova formazione.

Inoltre può essere indipendentemente dal modo in cui il potere è stato preso (fino a pochi anni fa).

Nella prassi più recente il riconoscimento è negato agli Stati formati con l’uso della forza armata e a quelli che non rispettano i diritti ornamentali dell’uomo.

 

Nel diritto internazionale è molto importante il modo di comportarsi degli Stati, cioè la consuetudine, comporta da regole che si applicano a tutti gli Stati.

 

In ambito delle Nazioni Unite, una dichiarazione dell’Assemblea Generale riguarda i principi delle relazioni tra gli Stati tra cui quello per cui non è riconosciuta la personalità di entità che hanno acquisto il territorio con la forza.

Altri motivi per cui un’entità non viene riconosciuta come Stato: la Grecia si è rifiutata di riconoscere come Stato la Macedonia perché non voleva che portasse il nome della Macedonia perché ritiene che il nome Macedonia faccia parte integrante della sua storia.

 

Elementi costitutivi di uno Stato:

1.- Territorio: elemento spaziale.

2.- Popolo: elemento personale.

3.- Apparato governativo: elemento organizzativo.

 

Se manca uno dei tre elementi non si può parlare di Stato.

Nella teoria internazionale si parla di successione degli Stati: quando uno Stato si sostituisce ad un altro in un territorio.

 

Cosa succede agli obblighi presi in precedenza?

Ci sono varie soluzioni:

  • tabula rasa.
  • Dichiarazioni di successione in cui si sente legato solo a certi trattati.

 

1.- Territorio:

Ambito spaziale entro il quale è esercitata la sovranità dello Stato. Questo non vuol dire che lo Stato abbia un diritto reale (non è proprietario) sul territorio.

Lo Stato esercita poteri anche sul mare e lo spazio atmosferico, senza però avere sovranità assoluta.

Il territorio è delimitato da confini artificiali o naturali. Si è affermata la prassi dell’”Uti possidetis”, gli Stati di nuova formazione hanno accettato i confini fissati dallo Stato precedente.

 

2.- Apparato Governativo: Stato apparato:

E’ costituito dagli organi che agiscono all’esterno per l’ente Stato. Sono le istituzioni come il Governo e il Parlamento.

 

3.- Popolazione: Stato comunità:

Insieme di individuo che convivono sotto la potestà del governo riconosciuta nel territorio.

Gli individui di uno Stato sono coloro che posseggono cittadinanza, cioè uno status che segue l’individuo e gli attribuisce diritti e doveri civili e politici. La cittadinanza si acquista in vari modi (es. jus sanguinis: padre e madre cittadina / jus solis: è cittadino chi si trova sullo spazio / sistemi misti).

 

Gli Stati si riconoscono reciprocamente immuni dalla giurisdizione degli altri Stati.

 

 

ALTRI SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.

 

1.- Santa Sede e Città di Vaticano:

Santa Sede: organi che stanno al vertice della Chiesa.

Città del Vaticano: Stato dotato di giuridica esistenza.

Tra Santa Sede e Città di Vaticano:

  • Unione reale: due soggetti di diritto internazionale considerati come unico.
  • Unione personale: due soggetti rimangono distinti, ma hanno in comune un unico sovrano.
  • Natura sui generis dei rapporti.

Godono della Soggettività internazionale:

legazione attiva e passiva.

Potere di stipulare trattati internazionali.

 

2.- Gli insorti:

Diritto internazionale classico: gli insorti, una volta ottenuto uno stabile controllo di parte del territorio, in lotta contro uno Stato possono essere considerati soggetti di diritto internazionale. Non è però facile capire quando gli insorti controllano effettivamente un territorio.

 

3.- Movimenti di liberazione nazionale:

Piena soggettività a quegli enti che lottano in rappresentanza di un popolo soggetto a un dominio coloniale, razzista o straniero.

Sono soggetti di diritto, no perché occupano un territorio, ma a causa della legittimità della loro causa (diritto all’autodeterminazione dei popoli).

 

4.- Individui:

L’attribuzione della soggettività internazionale agli individui è una problematica. È può corretto descrivere l’individuo come il beneficiario dei trattati stipulati e non il diretto destinatario.

 

 

LEZIONE 3

ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

 

È un ente con propri organi che agisce nella comunità internazionale.

Una comunità internazionale è un centro di diritti e obblighi internazionali e è destinataria di questi autonomamente dagli Stati.

Prima del 1945, le organizzazioni internazionali non venivano considerati soggetti del diritto internazionale. Oggi le organizzazioni internazionali oltre a mantenere relazioni con i propri Stati, intrattengono rapporti anche con altre organismi internazionali e altri Stati.

Essendo oggi considerate soggetto del diritto internazionale, i loro organi godono delle immunità concesse agli organi di singoli Stati e così anche i loro funzionari.

Gli scopi degli organizzazioni internazionali sono diversi da quelli degli Stati e quindi possono emanare atti per il raggiungimento di tali scopi.

Il trattato della Costituzione europea (Roma 29 ottobre 2004) pone un articolo che afferma che l’UE ha personalità giuridica. In questo modo l’UE non è più considerata una semplice confederazione di Stati.

 

Si riconosce alle organizzazioni internazionali una certa immunità dalla giurisdizione statale.

 

  • Attività sullo scenario internazionale.
  • Intense relazioni
  • Soggetti con capacità giuridica.
  • Stipulare obblighi per raggiungere scopi.

 

 

FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.

 

L’ordinamento giuridico internazionale è considerato atipico, perché non gli corrisponde un Parlamento come organo deputato a fare le leggi.

La produzione di queste norme è affidata agli Stati stessi che sono destinatari di queste norme. La loro formazione avviene attraverso trattati e la consuetudine.

1.- I Trattati (norme patrizie) regolano le relazioni tra gli Stati parte dell’accordo. Sono quindi norme di diritto particolare. In qualche eccezione il trattato produce effetti su Stati terzi (es. trattato fluviale regola la navigazione dei fiumi) anche se non obblighi.

È fondamentale che gli Stati rispettino i trattati: regola consuetudinaria: Pacta Sunt Servanda.

 

2.- La consuetudine produce regole di diritto generale e disciplina la coesistenza tra gli Stati.

Lo statuto della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nell’art. 38 richiama una norma che chiarisce le fonti del diritto internazionale e prevede che la Corte nelle controversie tra gli Stati applichi:

  • Convenzioni internazionali che possono essere generali o particolari, multilaterali o bilaterali.
  • Convenzione nazionali: prassi riconosciuta dalle nazioni.
  • Principi generali di diritto riconosciuti dai paesi civili.
  • Decisioni giudiziarie gia applicate e dottrine più qualificate come strumenti sussidiari.

 

Accanto a queste fonti si deve tener conto degli atti delle organizzazioni internazionali, scritti sul loro statuto e che creano obblighi e diritti sugli Stati parte dell’organizzazione.

 

Puoi, Fonti del Diritto Internazionale:

  • Fonti Scritte: trattati – norme di diritto particolare.
  • Fonti non Scritte:  - norme non scritte.
  • Consuetudine: manifesta atti giuridici interni. Corrispondenza diplomatica fra Stati. Adesione degli Stati ai trattati.
  • Principi generali del Diritto riconosciuti dai paesi civili.
  • Risoluzioni delle organizzazioni internazionali.

 

 

Il diritto internazionale è atipico perché si fonda sulla volontà degli stati e non ha fonti eteronome (diritto posto da qualcuno diverso dai consociati, es. Parlamento).

 

Tutto il diritto internazionale riposa sulla volontà degli Stati di farlo volere.

 

La codificazione del diritto internazionale, le risoluzioni delle organizzazioni internazionali e i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili non sono fonti eteronome perché non rappresentano leggi date agli Stati da qualcun altro da loro diverso o a loro superiore.

 

Non esiste una gerarchia tra le fonti del diritto internazionale: fonti scritte e fonti non scritte.

Ad es. le norme di jus cogens non sono superiori gerarchicamente, ma la loro inderogabilità si riconduce alla fondamentale rilevanza degli interessi che proteggono.

 

DIRITTO NON SCRITTO.

 

1.- La Consuetudine:

è il risultato del ripetersi (elemento materiale, oggettivo) costante e coerente di certi comportamenti adottati dagli Stati nei loro rapporti reciproci, ripetersi determinato dal convincimento (elemento psicologico, soggettivo) della giuridicità di quei comportamenti.

 

Elemento Oggettivo: prassi generalizzata, non necessariamente universale, estesa nello spazio e nel tempo. I comportamenti che creano questa prassi devono essere uniformi e concordanti.

 

Elemento Soggettivo: convinzione che la pratica è resa obbligatoria dall’esistenza di una norma giuridica (opinio juris sive necessitatis).

 

LA CONSUETUDINE INTERNAZIONALE:

Quando si può affermare che una norma consuetudinaria diventa regola?

È costituita da regole non scritte che vigono per soggetti di un determinato regolamento. La consuetudine è fonte importante per il diritto internazionale tanto che è un diritto consuetudinario.

Alcune dottrine hanno considerato la consuetudine come un accordo tacito tra Stati. Questa rappresenta una difesa della sovranità dello Stato. La dottrina contemporanea prevede invece che la consuetudine si sia formata spontaneamente e che rappresenti i valori e la coscienza della comunità internazionale e che nasca senza il bisogno degli Stati.

Ha però bisogno di due elementi, necessari perché un comportamento sia considerato norma:

1.- Elemento oggettivo: ripetizione costante e uniforme di un certo comportamento (usus).

2.- Elemento soggettivo: la convinzione che questa regola sia obbligatoria (opinio iuris ac necessitatis).

 

Si pongono alcuni problemi sia rispetto all’elemento oggettivo che soggettivo:

1.- Elemento Oggettivo:

Quanto deve essere ripetuto l’elemento affinché sia considerato uniforme?

A ) Manifestazione: come si manifesta il comportamento generale e uniforme? Quando verrà accettato dagli Stati? In cosa consiste il comportamento degli Stati?

Se generalmente gli Stati fissano i confini del mare territoriale a 12 milia, allora la giurisdizione internazionale fisa secondo la consuetudine il mare territoriale a 12 milia. Ora vige la Convenzione del Mare (Montego Bay, 1982) che fissa il mare territoriale a 12 milia. Questa è una norma patrizia che lega gli Stati dentro il trattato. Oltre alla norma patrizia ce ne è una consuetudinaria che lega gli Stati non appartenenti al trattato.

La manifestazione può avvenire attraverso:

a.1) atti giuridici interni.

Caso della piattaforma continentale tra gli Stati che si affacciano sul mare del Nord. La piattaforma va al di là del Mare del Nord.

Nonostante lo Stato in causa non facesse parte della convenzione di Ginevra, la regola richiamata poteva essere considerata consuetudinaria, quindi doveva rispettarla.

a.2) Corrispondenze diplomatiche tra gli Stati (rapporti).

a.3) Adesioni degli Stati ai trattati internazionali. Se la maggior parte degli Stati firmano il trattato (che solitamente ha il compito di codificare le norme consuetudinari), allora quelle norme vengono considerate valide per tutti perché entrate nella consuetudine.

Oltre a codificare le norme consuetudinarie rappresenta uno sviluppo di queste regole (es. Zona economica esclusiva, ampia zona marittima su cui gli Stati stavano diffondendo il proprio potere à è una novità perché con lo sviluppo della tecnologia le nazioni sono riuscite a sfruttare zone più ampie del mare). Codificano comportamenti che si stanno codificando nella prassi. Norme di sviluppo progressivo.

 

B) Tempo: Si può quindi dire che non è previsto un limite di tempo perché esistono regole che diventano consuetudinarie in breve tempo, magari dovute al veloce sviluppo della tecnologia.

 

C) Uniformità: Fino a che punto deve essere uniforme il comportamento?

Ci sono determinati Stati che sono più interessati a un certo argomento (es. gli Stati costieri saranno più interessati al diritto internazionale maritimo) e che manifestano un certo comportamento. Bisogna quindi fare attenzione quando si parla di generalità.

 

OBIETTORE PERSISTENTE:

Posto che la consuetudine può ritenersi esistente solo dopo aver dimostrato che esiste un convincimento degli Stati quanto alla conformità a diritto dei comportamenti dei quali si constata la ripetizione regolare, può applicarsi la norma consuetudinaria allo Stato che abbia sempre costantemente e coerentemente manifestato un punto di vista diverso o contrario?

 

Scontro tra le varietà sull’obbligatorietà della consuetudine.

  • Consuetudine = diritto assunto dagli stati come esistenti anche se fondato su un elemento volontaristico.
  • Consuetudine = accordo tacito tra gli Stati (in tale ottica lo Stato obiettore persistente non darebbe esserne vincolato.

 

In realtà bisogna considerare ogni norma consuetudinaria caso per caso osservando che:

1.- se sono in gioco valori fondamentali che richiedono uniformità, non sì permetterà una deroga.

2.- In altri casi l’atteggiamento sarà più flessibile.

 

 

ALTRE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE NON SCRITTE.

 

b) I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI:

Lo Statuto de la CIG prevede tra le fonti di diritto internazionale non scritte anche i principi generali di diritto riconosciuti nelle nazioni civili.

Questi principi indicano le linee di tendenza generali degli ordinamenti statali (ordinamenti riconducibili a categoria generali: common law/civil law) che influenzano il diritto internazionale.

Occorre sincerarsi che quel principio esiste in tutti gli ordinamenti e che sia compatibile con la struttura del diritto internazionale.

Tali principi ora vengono applicati ai nuovi settori del diritto internazionale come quello penale, dove ancora non si è consolidata una normativa internazionale.

 

c) LE RISOLUZIONI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI:

La loro forza ed efficacia varia a seconda degli statuti delle differenti organizzazioni. In linea di principio hanno valore di mera raccomandazione, raramente hanno valore vincolante. Comunque non vincolano gli Stati che hanno votato contro.

 

 

IL PROCESSO DI CODIFICAZIONE.

Le prime esperienze di codificazione risalgono a fine ‘800 (Aja 1899).

È però stato con l’avvento delle Nazioni Unite che la codificazione ha assunto un grande sviluppo.

Studiosi di diritto internazionale hanno lavorato sia per codificare le norme esistenti che per favorire il progressivo sviluppo di norme in materia. Norme di sviluppo progressivo:

  • Risoluzione dell’Assemblea Generale (non vincolante).
  • Convocazione di una Conferenza di Stati (trattato internazionale, es. Kyoto).

 

La norma codificata non soppianta quella non scritta, anche perché visto che la codificazione avviene tramite un trattato, questo è vincolante solo per i firmatari.

Ne segue che la norma consuetudinaria continua a vigere per gli Stati non parte del Trattato.

 

Poi esistono Stati che si chiamano Stati Obiettori Persistenti, cioè nazioni che da sempre si sono opposti a regole consuetudinarie.

È il caso di zone in cui paesi continuavano a pescare anche se non era il loro territorio. La CIG doveva decidere su baie con imboccatura inferiore a 10 milia e aveva affermato che non vi era una regola consuetudinaria e che la Norvegia si era sempre opposta ai tentativi di imporre questa regola sulla sua costa.

La dottrina ha però dimostrato che una regola consuetudinaria si applica anche agli Stati che si oppongono.

Altro problema: se uno Stato si sussegue ad un altro dopo la formazione di una regola consuetudinaria, questa regola consuetudinaria si applica anche al nuovo Stato? Il problema è morto perché questi nuovi Stati nati dal processo di decolonizzazione hanno affermato che le norme nate in periodo precedenti fossero importate a una cultura giuridica imperialista.

In linea generale il diritto internazionale pretende che i nuovi Stati rispettino le regole consuetudinarie, anche se è sempre necessario valutare se una norma è stata superata dal comportamento degli Stati.

Esistono anche delle consuetudini locali o particolari che si affermano solo tra un ridotto numero di Stati: no opinio iuris generalizzata.

 

2) ELEMENTO SOGGETTIVO:

Occorre che il comportamento sia accettato come diritto. È il convincimento psicologico degli Stati secondo cui un comportamento è una regola internazionale rispettata da tutti.

Nel caso delle piattaforma continentale del Mare del Nord la sentenza afferma che gli Stati devono essere convinti dell’esistenza di una norma e devono avere il sentimento di conformarsi e ciò che equivale a una regola.

 

 

LEZIONE 4.

DIRITTO DEI TRATATI (regolato dalla Convenzione di Vienna ’69)

 

È un diritto particolare la cui fonte sono i trattati: accordo, patto, convenzione o carta e statuto istituzionali delle organizzazioni internazionali, oppure scambio di note.

L’accordo è l’incontro di volontà di due o più Stati che s’incontrano per regolare una determinata sfera e produrre norme.

Possono contenere diverse note, in particolare:

  • Norme materiali: norme sostanziali, cioè che regolano direttamente un rapporto, imponendo obblighi e diritti in maniera netta. (es. norma che regola la concorrenza).
  • Norme strumentali o formali: istituiscono fonti che creano ulteriori regole. Sono degli strumenti. (es. norma che crea l’istituzione del Consiglio)

 

I trattati sono disciplinati in grande parte da norme consuetudinarie, a tal proposito è dedicata la Convenzione di Vienna del ’69, entrata in vigore nelli’80, sul trattato che ha codificato norme consuetudinarie.

La Convenzione di Vienna è stata stipulata nell’ambito delle UN.

Accanto a questa è stata stipulata una convenzione sulla successione degli Stati nei trattati. Questo accordo è stato firmato sempre a Vienna nel ’78. L’accordo invece preso per regolare i trattati tra Stati e organizzazioni internazionali nell’86 non è ancora in vigore. Questa convenzione però ripete il contenuto della Convenzione del’69.

 

LA CONVENZIONE DI VIENNA ’69:

Codificazione della consuetudine in materia di trattati.

Norme di sviluppo progressivo diventate consuetudinarie.

L’art. 4 prevede che le norme previste nella convenzione sono norme consuetudinarie, se qualche aspetto non è regolato dalle norme consuetudinarie, trova risposta nelle norme patrizie contenute nel Trattato che entreranno in vigore solo dopo la ratifica dell’accordo solo per i membri dell’UN.

 

Scopo:

1.- limitare la possibilità degli stati di liberarsi facilmente dagli impegni assunti con la stipulazione di trattati.

2.- carattere sussidiario della Convenzione che si applicherà solo se il trattato in questione non dispone altrimenti.

 

Definizione di “Tratatto”:

Art. 2: “è un accordo internazionale concluso in forma scritta fra Stati e disciplinato dal diritto internazionale.”

Gli accordi conclusi in forma orale, pur mantenendo valenza giuridica, non sono disciplinati dalla Convenzione.

La convenzione si applica ai trattati conclusi dopo l’entrata in vigore della Convenzione.

La norma evidenzia che la convenzione è una codificazione delle norme generali e che quindi sono applicabili a tutti gli Stati, anche i non membri delle UN. Sottolinea l’importanza del trattato nell’aggiornare e ricambiare la normativa internazionale.

 

Come si distinguono norme consuetudinarie da quelle patrizie?

Sono gli stessi stati o le Corti o la Dottrina a deciderlo a seconda del caso.

 

ITER

Qual è l’iter per l’adozione di un trattato:

1.- NEGOZIAZIONE: trovare un accordo sulla norma.

 

2.- STIPULAZIONE: mettere per iscritto le regole di comportamento per le quali gli Stati si sono messe d’accordo. Il testo dell’accordo può essere o scritto o essere rappresentato dallo scambio di note diplomatiche o risultare da un verbale proveniente da un organismo internazionale. Il procedimento più seguito è quello solenne, seguito da secoli: Sono negoziati nelle conferenze intergovernative che sono regolate (possono anche darsi un regolamento).

Sin dalle monarchie i patti erano negoziati da rappresentanti di Stato chiamati Plenipotenziari (pieni di poteri per negoziare). Il testo doveva essere approvato all’unanimità e firmato dopo di che doveva essere ratificato dal sovrano.

Anche oggi c’è la firma dei rappresentati e poi la ratifica.

Una volta che i sovrani avevano ratificato, tutti dovevano venire a conoscenza, era quindi usato scambiarsi le ratifiche.

 

3.- FIRMA dei rappresentanti plenipotenziari, sono Capi di Stato o di Governo, ministri degli esteri, capi delle missioni diplomatiche o delle delegazioni nazionali all’interno di organizzazioni internazionali.

Conferenze intergovernative. Prima c’era la regola dell’unanimità, ora invece può bastare la maggioranza.

L’art. 9 della Convenzione di Vienna disciplina questa materia: l’adozione di un trattato avviene o per un consenso collettivo o se gli stati lo decidono anche attraverso una maggioranza dei 2/3 o diversa.

Possono esserci anche sistemi misti, nel senso che le decisioni di fondo devono essere prese all’unanimità, uno si può passare a una decisione di maggioranza se non è proprio possibile raggiungere il consenso totale.

Con la firma il testo è autenticato. Viene così predisposto in forma definitiva.

 

4.- RATIFICA: la competenza a ratificare dipende dalle norme costituzionale di ogni Stato. Normalmente avviene da parte del Capo di Stato che spesso concorre con gli organi del potere esecutivo e anche legislativo, soprattutto per trattati di natura politica e di modifica di leggi. (anche referendum)

Art. 87 della Costituzione Italiana: il Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali, previa all’occorrenza l’autorizzazione delle Camere.

L’art. 80 della Costituzione prevede quando è necessario l’intervento delle Camere: è necessaria e va data con legge quando si tratta di trattati di natura politica, che prevedono regolamenti giudiziari, comportano differenze del territorio o oneri finanziari o modificazioni di leggi.

Legge di autorizzazione alla ratifica.

Art. 89 della Costituzione: prevede che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumano la responsabilità. Si ritiene che la ratifica rientra tra gli atti che il Presidente della Repubblica non può rifiutare di sottoscrivere, una volta che è intervenuta la decisione governativa. È un atto formale. Può però chiedere che la questione sia rielaborata.

 

La Convenzione di Vienna disciplina l’iter di formazione dei trattati:

1.- Negoziazione: la redazione del testo del trattato avviene attraverso i negoziati, cioè incontri nel corso dei quali si discute il testo del trattato. Possono prendere parte alle conferenze diplomatiche i rappresentanti degli Stati. Tali rappresentanti devono essere plenipotenziari, cioè possessori di un documento che attribuisce al rappresentante i pieni poteri rilasciati dall’autorità statale.

Capi di Stato, di governo e ministri degli esteri non sono tenuti a esibire pieni poteri.

2.- Adozione o Stipulazione (mettere per iscritto le regole): i negoziati si concludono con l’adozione del testo che può avvenire con:

  • consenso di tutti,
  • maggioranza di 2/3 o altra.
  • metodo del consensus: nessuno si oppone all’adozione.
  • Sistemi misti, a seconda dell’importanza della decisione.

3.- Autenticazione: firma del trattato. L’autenticazione può avvenire:

  • seconda la procedura prevista dal trattato stesso.
  • per mezzo della firma, della firma ad referendum o della parafatura (opposizione delle iniziali).

4.- Ratifica: solo con la ratifica lo Stato manifesta la volontà ad obbligarsi (procedura solenne). Se il trattato è “aperto” anche stati non firmatari possono ratificarlo.

5.- Entrata in Vigore: il trattato sarà pienamente operativo e efficace solo quando avrà raggiungere un numero minimo di ratifiche. (es. Kyoto).

 

Fare delle eccezioni: facoltà di eccezione avocata a sé nell’ambito di un negozio giuridico.

 

LE RISERVE AI TRATTATI.

Diritto Internazionale Classico: la possibilità di opporre delle riserve doveva essere tassativamente concordata nella fase di negoziazione e si richiedeva che tutti gli Stati la accettassero.

 

Parere CIG 1951: anche in assenza di previsioni esplicite l’opposizione di riserve era possibile anche in fase di ratifica, purché compatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato. Si dà comunque la possibilità agli stati di contestarla.

Definizione: la riserva è una dichiarazione unilaterale fatta da uno Stato, attraverso la quale cerca di escludere o modificare l’effetto giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione allo Stato medesimo.

 

Uno stato nel momento in cui aderisce a un trattato può formulare una riserva a meno che:

  • la riserva non sia proibita dal trattato.
  • il trattato elenchi una serie di riserve possibili che non includono quella in questione.
  • la riserva non sia incompatibile coi fini del trattato.

Art. 19: diritto sovrano di ciascuno Stato di formulare delle riserve.

Art. 20: la riserva deve venire accettata dagli altri Stati (esplicitamente o implicitamente) perché non è possibile imporre obblighi a uno stato che non ha prestato il suo consenso. In caso di obiezione lo Stato deve manifestare l’intenzione contraria.

 

Effetti giuridici della riserva: la riserva produrrà effetti per lo Stato autore di questa e solo per gli Stati che l’hanno accettata.

Nei casi di obiezione il trattato avrà effetto per i due Stati tranne che per la clausola di riserva.

 

L’INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI:

Regola del diritto generale.

Interpretazione in buona fede e del significato letterale del testo: materia oggettiva.

Si deve tenere conto però sia del contesto che di ulteriori accordi che hanno voluto precisare il significato di un termine.

La prassi applicativa è un mezzo primario d’interpretazione e la prassi successiva deve essere concordante, comune e costante.

 

CAUSE DI INVALIDITA’:

1.- violazione di norme del diritto interno sulla competenza a stipulare. (di importanza fondamentale)

2.- vizi del consenso: vizi della volontà (volontà dello Stato formatasi non liberamente): l’errore (lo stato supponeva l’esistenza di una situazione diversa che la ho ha spinto a vincolarsi. Deve essere stata la buona fede); dolo (quando uno stato viene indotto a concludere un trattato dal comportamento fraudolento di un altro Stato); violenza o corruzione esercitata sul rappresentante dello Stato o sullo Stato stesso (forme di pressione).

3.- contrarietà a norme imperative del diritto internazionale generale: il trattato è nullo. Quando il contenuto del trattato è contrario a certi principi fondamentali di ordine pubblico consacrati in norme imperative e non derogabili (jus cogens) (es. è vietato usare o minacciare l’uso della forza nelle relazioni tra stati; autodeterminazione dei popoli).

 

ESTINZIONE O SOSPENSIONE DEI TRATTATI:

Inadempimento: violazione sostanziale; può riguardare anche i rapporti fra soli 2 stati.

Impossibilità sopravvenuta: scomparsa di un oggetto indispensabile per l’esecuzione del trattato. Se l’impossibilità è temporanea ci sarà una sospensione.

Mutamento fondamentale delle circostanze: causa più comune e tipica.

 

RESPONSABILITA’ INTERNAZIONALE:

La responsabilità internazionale è l’insieme delle conseguenze giuridiche che si originano da un comportamento adottato da uno Stato:

in violazione di un obbligo internazionale,

in violazione di un diritto soggettivo di uno o più stati.

 

ONU: la Commissione del Diritto Internazionale da tempo dedica la sua attenzione ai lavori di codificazione: progetto: elaborazione di progetti di trattati.

 

L’atto illecito si compone di 2 elementi:

1.- Soggettivo: comportamento giuridicamente attribuibile allo Stato.

2.- Oggettivo: violazione di un obbligo del diritto internazionale (norma patrizia o consuetudinaria).

 

Secondo la Commissione il danno (pregiudizio) e la colpa (negligenza) non sono elementi necessari per l’illecito. Esiste illecito anche senza danno e colpa. La responsabilità esiste però anche per fatti leciti che creano danno.

 

IL COMPORTAMENTO DEGLI ORGANI DELLO STATO:

1.- ELEMENTO SOGGETTIVO:

Comportamenti: devono essere attribuiti a organi dello Stato, non semplici privati, a meno che in occasione di un illecito compiuto da un privato lo Stato abbia violato un obbligo di vigilanza, di prevenzione e di protezione.

Sono coinvolti tutti gli organi dello Stato, non solo quelli con funzioni internazionali. Gli stati sono responsabili anche di atti presi dai seguenti organi:

  • Enti pubblici territoriali diversi da lui (stati federali).
  • Agenti di fatto: individui il cui mandato è ratificato dallo Stato.
  • (nel 1957) comportamento ultra vires di suoi organi, se l’eccesso di competenza non è manifesto (contro dottrina).
  • Atti di un movimento insurrezionale che poi diventa governo.
  • Comportamenti di persone che siano organi di un altro Stato, solo se hanno agito in conformità ad istruzioni da lui impartite.
  • Atto compiuto da un altro Stato quando lo stato lo ha aiutato.

 

2.- ELEMENTO OGGETTIVO:

a) Delitto: è la forma ordinaria dell’illecito (omissivo, commissivo, di condotta).

b) Crimine: violazione di un obbligo internazionale così essenziale per la salvaguardia di interessi fondamentali della comunità internazionale.

  • Violazione del mantenimento della pace e sicurezza.
  • Violazione della salvaguardia del diritto di autodeterminazione dei popoli.
  • Violazione della salvaguardia dell’essere umano.
  • Violazione della salvaguardia e preservazione dell’ambiente.

 

FATTO ILLECITO:

= violazione del comportamento di uno Stato perché va contro una norma del diritto internazionale.

 

1.- Elemento soggettivo: si verifica quando vi è un comportamento attribuibile allo Stato. Il soggetto che compie l’illecito è un organo dello Stato.

2.- Elemento oggettivo: è la violazione vera e propria. È una violazione antigiuridica di una norma patrizia o consuetudinaria. L’elemento oggettivo è il comportamento contrario.

 

Elemento Soggettivo:

Le regole che si pongono per l’identificazione dell’elemento soggettivo: gli organi sotto giudizio sono gli organi giudiziari, amministrativi, ma anche legislativi e le istituzioni autonome. Queste istituzioni devono agire come agenti dello Stato. Anche i privati però agiscono come agenti dello Stato, i volontari o i militanti, basta che il loro comportamento sia ratificato dallo Stato, allora questo comportamento è attribuito allo Stato.

Gli organi dello Stato se eccedono nei loro poteri, questi comportamenti sono da considerarsi responsabilità pubblica.

All’ONU c’è una commissione che studia i problemi di diritto internazionali e una materia è la responsabilità degli Stati. Ha elaborato dei progetti di trattati anche sulla responsabilità statale per quel che riguarda l’illecito internazionale.

 

È un comportamento attribuibile o meno a uno Stato? à progetto.

Soluzione che si pone nell’ottica dello sviluppo progressivo del diritto internazionale (à trattati codificatori con aggiunta di nuove norma poste in ottica progressiva che si chiamano “norme di sviluppo progressivo” e cercano soluzioni avanzata che i compilatori del trattato ritengono siano le soluzioni del futuro).

 

Nel progetto la responsabilità viene attribuita allo Stato anche quando eccede del suo potere, andando contro a quello che dice la dottrina secondo cui nel momento che un potere venga eccesso, il comportamento è attribuito a un privato e l’unica colpa dello Stato è quello di mancata vigilanza.

Per altri casi, in caso specialmente di insurrezione, in cui un gruppo insurrezionale ha compiuti degli atti: nel caso in cui l’insurrezione non abbia successo l’atto non è attribuito allo Stato, se invece ha successo si ritiene che quello Stato sarà responsabile di quegli atti (dottrina).

In generale quando ci sono attività di privati che potrebbero essere attribuiti allo Stato, nella dottrina si ritiene che se lo Stato non ha posto in essere atti preventivi o non ha punito gli atti lo Stato ne è responsabile per mancata diligenza.

Responsabilità di uno Stato per il comportamento illecito di un altro Stato. Es. caso di aggressione di uno Stato nei confronti di un altro; se un terzo stato lo aiuta e il primo è considerato responsabile, lo è anche quello che lo ha aiutato.

A tale proposito la dottrina ha fatto distinzioni: uno stato esercita su un altro stato un potere di controllo o coercizione. In questo caso lo Stato occupato è ritenuto responsabile dei fatti illeciti del responsabile. La dottrina è in disaccordo perché ritiene che lo stato occupato sia non responsabile perché è costretto a quel comportamento: la dottrina ritiene che ci sia responsabilità indiretta o addirittura non ci sia responsabilità.

 

Elemento Oggettivo:

Un fatto illecito può assumere diverse configurazioni:

fatto omissivo: lo Stato no ha fatto ciò che doveva fare.

Fatto commissivo: lo stato ha tenuto un comportamento illecito.

Illeciti di condotta: lo stato avrebbe dovuto tenere un comportamento per perseguire un risultato. La scelta della condotta da seguire è una sua scelta, ma non ha raggiunto l’obiettivo.

 

Differenza tra illeciti semplici (un solo illecito) o complessi (più azioni che hanno portato all’illecito).

 

Aspetto rilevante è relativo alla colpa e al dolo.

Per colpa si intende la negligenza, cioè l’amissione di azioni che potevano evitare l’illecito. Il dolo invece è la volontà nel commettere l’atto illecito. Nella dottrina internazionale non c’è bisogno della colpa, basta che l’atto sia antigiuridico, violi cioè una norma (à elemento soggettivo + à elemento oggettivo).

 

Fonte: http://www.glocaltrento.com/int_affairs/ia_documents/05c_Riasunti_DIP_1.doc

Sito web: http://www.glocaltrento.com/int_affairs/ia_main.html

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Diritto internazionale riassunto

 

DIRITTO INTERNAZIONALE (base –seconda parte).

 

LA SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI.

 

L’evoluzione del Diritto Internazionale.

Una controversia internazionale è una divergenza d’opinioni e d’interessi esistente tra Stati.

Gli stati sono sovrani, quindi non sono soggetti al potere sovrano di nessun altro ente.

Nel Diritto Internazionale classico la soluzione “naturale” per le controversie fra gli stati era la guerra.

Oggi il Diritto Internazionale vieta il ricorso alla forza armata e impone la risoluzione delle controversie con messi pacifici: mezzi diplomatici e mezzi giuridici.

 

Mezzi Diplomatici (la soluzione è sempre l’accordo):

  • Negoziato: incontri e discussioni tra i rappresentanti delle parti per raggiungere un accordo comune. È d’obbligo la buona fede nella negoziazione.
  • Presentazione di Buoni Uffici: l’accordo tra le parti è raggiunto grazie a un terzo soggetto che fa da pacificatore presentando i buoni uffici: facilita i contatti tra le parti e le induce al negoziato.
  • Mediazione: il mediatore è un soggetto terzo che partecipa attivamente al negoziato, avanzando anche proposte formali o informali di soluzione.
  • Inchiesta: tutte le volte che è necessario accertare circostanze di fatto si fa ricorso all’inchiesta. Causa d’inchiesta (diritto internazionale umanitario) che ha sede presso il Comitato Internazionale della Croce Rossa (accertamento imparziale dei fatti controversi).
  • Conciliazione: la commissione di consiglio si assume il compito la soluzione della controversia. È chiamata in causa dalle parti.

 

Mezzi Giuridici:

Consiste nell’affidare la soluzione della controversi ad un organo che applichi il diritto internazionale. Non esistono organi precostituiti.

Organi giudicanti ad hoc: accordo tra gli stati chiamato Compromesso Arbitrale.

Con la Carta dell’ONU del 45 si forma la Corte Internazionale di Giustizia (25 giudici).

à Art. 94: “Ciascun membro dell’ONU si impegna a conformarsi alla decisione della CIG in ogni controversia di cui esso sia parte”.

 

L’ONU NELLA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI:

Esistono controversie che se non sono risolte possono generare una situazione di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

L’art. 33 della Carta prevede che le parti abbiano l’obbligo di risolverla pacificamente.

L’art. 34 prevede che il Consiglio possa fare indagini su qualsiasi controversia che possa mettere a rischio il mantenimento della pace. Agisce di propria iniziativa.

 

Ogni membro (o no) può sottoporre qualsiasi controversia agli organi dell’ONU.

Si cerca sempre di raggiungere una soluzione ad opera delle parti delle controversia, però se questo non è possibile il Consiglio entra nel merito.

 

Altra caratteristica della Carta:

Art. 2 par. 4: divieto di minaccia o dell’uso della forza armata. Le corrisponde una norma consuetudinaria.

 

Art. 51: eccezione: legittima difesa, uno Stato può fare legittimo ricorso alla forza armata per difendersi di un attacco armato in atto contro lui, mentre il Consiglio di Sicurezza organizza un’azione coercitiva.

Questione: attacco armato imminente? No.

Si vuole che lo sia perché l’art. 51 rinvierebbe a un diritto internazionale di autodifesa.

 

Uso della forza in caso di intervento umanitario: requisiti:

  • autorizzazione dell’ONU, e
  • motivazione umanitaria assolutamente evidente.

 

Il divieto all’uso della forza è limitato alla forza armata non a pressioni di natura economica o politica. Nessuna norma limita (neppure consuetudinaria) pressioni non armate.

 

L’AZIONE DELL’ONU PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE.

Settore del mantenimento della pace in crisi, perché gli stati rinunciano mal volentieri alla prerogativa della loro sovranità.

 

Compiti dell’ONU in situazioni di conflitto:

  • Mantenimento della pace: invio di forze armate sotto la guida ONU.
  • Consolidamento della pace: attività grazie alle quali è possibile riprendere la vita nei territori.
  • Imposizione della pace (guerra del golfo ’90): invio di esercito per ripristinare la legalità. Investitura formale dal Consiglio verso la NATO.

 

L’azione dell’ONU si sviluppa anche in altre direzioni: istituzioni di tribunali ad hoc per giudicare gravi crimini.

 

Rapporto tra ONU e organismi regionali (NATO):

  • sostegno diplomatico.
  • supporto operativo.
  • rispetto del primato del ruolo dell’ONU

Le organizzazioni regionali non dovrebbero attivarsi senza un’esplicita richiesta ONU.

 

à Problema: Terrorismo internazionale è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale? Quale reazione è legittima al riguardo?

 

[…]

 

I CRIMINI INTERNAZIONALI DELL’INDIVIDUO E LA GIURISDIZIONE PENALE INTERNAZIONALE.

 

L’individuo nel diritto internazionale è destinatario di diritti, ma anche di obblighi, e per questo motivo può andare incontro anche a pene.

Lo stesso Stato può reprimere il crimine o consentirlo, comunque l’individuo ne è responsabile indipendentemente dell’atteggiamento dello stato.

Vengono così stabiliti due livelli di repressione per i crimini internazionali, cioè di giurisdizione del crimine, uno interno e un altro internazionale.

Es.: l’uccisione di un comandante prigioniero di guerra può essere incriminata sia a livello internazionale che nello Stato a cui il comandante appartiene.

 

Tribunale di Norimberga:

Da cosa deriva questa responsabilità? Le norme nascono da trattati che gli Stati concludono. Il primo tribunale costituito nel 1945 a seguito di un trattato tra Francia, UK, URSS e USA è chiamato di Norimberga (vi è l’esigenza d’istituire una giurisdizione penale internazionale –tribunale “ad hoc”-) per condannare i crimini commessi dai tedeschi membri del partito nazista. Tale accordo conteneva una Carta del Tribunale Militare Internazionale. Il tribunale era composto da giudici designati da questi stati.

Competenza relativa a tre tipi di crimini:

  1. Contro la pace.
  2. Di guerra: tutte le violazioni di norme e consuetudini di guerra.
  3. Contro l’umanità.

 

La materia di crimini di guerra era stata adottata fin dal 1907 sui messi e metodi di guerra. Sono previsti codici penali, regolamenti delle forze armate e uso di determinate armi.

Tratatti tra gli stati con norme sulla guerra.

La Carta del 45 afferma che questi crimini commessi da militari tedeschi erano soggetto a una giurisdizione internazionale.

I crimini contro la pace sono commessi dai politici che decido no di iniziare una guerra non consentita dal diritto internazionale. La guerra è considerata un male perché le sue conseguenze riguardano il mondo intero perciò è considerata il più grande crimine internazionale.

 

Gli imputati a Norimberga si sono difesi dicendo che al momento di aver commesso i crimini non esistevano norme di diritto internazionale che li reprimevano; il tribunale affermò che queste norme già esistevano, facendo riferimento al Trattato del 1928 Patto di Parigi, di rinuncia alla guerra, vietando guerra di aggressione. Il tribunale chiamo in causa anche norme consuetudinarie.

 

I crimini contro l’umanità sono tutte le persecuzioni politiche, razionali o religiose, l’uccisione, lo sterminio, la riduzione in schiavitù. Possono essere commessi sia in guerra che in pace, contro cittadini o stranieri.

Crimini contro gli individui per la loro appartenenza a qualche specifico gruppo. Ispirata alla pratica del genocidio.

 

Il genocidio: Nel 1948 è stata stipolata a New York la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” dove le parti del trattato si impegnano a reprimere questo crimine. Il genocidio viene definito come un atto che distrugge un gruppo razziale, politico, con l’uccisione di membri del gruppo o con il trasferimento forzato dei bambini, o imponendo loro condizioni di vita impossibili.

Attualmente pendono molti casi davanti alla Corte, perpetuati da uno Stato o da un individuo.

 

Es. Bosnia Erzegovina, che nel 1993 ha presentato una domanda contro la Jugoslavia accusandola di aver violato gli obblighi contro il genocidio. È stata presntata alla CIG. La Jugoslavia ha presentato una domanda convenzionale accusando la Bosnia dello stesso crimine.

 

Esistono anche tribunali misti.

 

Gli imputati del Tribunale di Norimberga si sono difesi dicendo che rispondevano a ordine del governo, ma secondo la Carta ciò non li esonerava da responsabilità personale, costituiva solo un’attenuante della pena.

 

Diritto a un equo processo.

Il processo doveva concludersi con una sentenza motivata e poteva combinare sia una pena che la morte. Il tribunale ha subito molte critiche perché ritenuto un tribunale dei vincitori. La Carta però conteneva una difesa a queste critiche, dicendo che non era arbitrario. Si previene anche la difesa di chi incolpa lo Stato essere il mandante degli ordini. Il Tribunale dice che i crimini contro l’umanità sono commessi dagli individui e non dagli stati e le norme sono applicate sugli individui. “Chi commette crimini non può ottenere l’immunità perché ha agito sulla base dell’autorità dello Stato”.

 

Conclusione: 12 condanne a morte, 3 ergastoli, reclusioni.

 

Tribunale di Tokio:

Esiste anche il Tribunale militare per l’Estremo Oriente costituito nel 1950, con un proclama delle forze alleate in Giappone, Tribunale di Tokio; c’è una Carta dove sono indicate le competenze. Composto da 11 giudici di Stati diversi e la sua competenza sono crimini contro la pace, la guerra e l’umanità.

7 condanne a morte, ergastolo, reclusioni.

 

Dopo l’istituzione di questi tribunali per anni non si è fatto nulla e i progressi sono stati lenti.

Dalla fine degli anni ’40 nell’ONU si cerca di studiare un codice dei crimini contro l’umanità. Nel 1998 nell’ambito ONU si è riusciti a elaborare il testo dello Statuto della Corte Penale Internazionale e nel luglio a Roma è stato aperto alle firme (non ancora in vigore).

Ha sede all’Aja.

 

Tribunale della Ex Jugoslavia:

Misure per reprimere i vari crimini della Ex Jugoslavia, e di fronte a quest’emergenza nel ’93 il Consiglio delle UN con una risoluzione ha istituito il Tribunale Internazionale per il giudizio delle persone responsabili dei crimini commessi in ex Jugoslavia dal ’91. Il tribunale ha sede all’Aja.

Anche in questo statuto vengono stabilite le figure di crimini di competenza:

  1. Crimini di guerra: gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949.
  2. Crimine di genocidio.
  3. Crimine contro l’umanità.

 

Non c’è la categoria dei crimini contro la pace perché la situazione in ex Jugoslavia rappresenta un conflitto complesso e risultava difficile individuare i responsabili della guerra.

Nello Statuto c’è un elenco dei crimini (anche lo stupro). Sono dettagliate le norme (più protezione alle vittime, più protezione ai testimoni) che riguardano l’equo processo: tutela dei diritti dell’imputato e condannato: diritto al giudizio di apello + no pena di morte. (innovazione molto importante, diritto tutelato come fondamentale).

Lo statuto è accompagnato dalle regole di procedura e prova che sono molto dettagliate e disciplinano lo svolgimento del processo.

 

Prima sentenza, caso Tadic: condannato per crimini di guerra e contro l’umanità.

 

Tribunale del Ruanda:

L’altro tribunale è quello del Ruanda con una risoluzione del 1994 del Consiglio di Sicurezza. Repressione di crimini per genocidio più violazione di alte diritti fondamentali in Ruanda e territori vicini. Per ora già sono stati condannati individui.

Lo statuto è uguale a quello dell’ex Jugoslavia.

 

La giustizia internazionale è un problema delicato. Una potenza forte come gli USA non ha ratificato il trattato sulla Corte Penale Internazionale, anzi hanno richiesto l’immunità per le loro forze armate.

L’istituzione dei tribunali può rappresentare un detonante a commettere i crimini, nonostante siano soggetti ad accuse fondate.

Intorno ai tribunali internazionali si muovono anche NGO’s che si muovono in modo capillare sul territorio, tanto che in ex Jugoslavia e Ruanda hanno fatto dei rapporti (No peace without justice) ad es. in Kosovo, individuando persone che hanno commesso crimini: come ausiliari dei tribunali. Partecipano ai processi come “amicus curiae”, testimoniando. In pià diffondono nel mondo le notizie sui gravi crimini commessi.

 

 

LEGITTIMA DIFESA.

La reazione regolata dal diritto non può arrivare in tempo e diritti fondamentali, anche quello alla vita, vengono messi in pericolo.

Il diritto riconosce che gli strumenti giuridici non sono capaci, tenta quindi di porre delle regole alla reazione.

Rispetto al danno, la reazione deve essere proporzionale.

Questo vale anche nel diritto internazionale, solo che il conflitto non è tra individui ma tra Stati. Dal diritto internazionale viene riconosciuto il Diritto alla propria identità e all’indipendenza politica.

Questo diritto di legittima difesa è permesso perché vi è il divieto di usare la forza contro un altro stato. È una precondizione alla legittima difesa.

 

Divieto dell’uso della forza nei rapporti internazionali.

Se fosse lecito attaccare un’altra nazione, non avrebbe senso che la legittima difesa venisse regolata.

Norma consuetudinaria + art. 2 par. 4 Carta UN à divieto uso della forza nelle relazioni internazionali.

 

Fino alla WWI la tesi era che uno stato poteva liberamente ricorrere alla forza per proseguire i suoi fini politici.

Alto Medioevo: idea di una guerra giusta à moralmente giustificabile (non giuridicamente)

 

Nel ‘900 con la carneficina della WWI si inizia a tentare di mettere un limite all’uso della forza. Con la Società delle Nazioni si stabilì che al nascere di una controversia fra stati, questi avrebbero dovuto rivolgersi al Consiglio della Società o un giudice extra parte. Dopo aver attenuto il parere, lo Stato deve aspettare 3 mesi prima di esercitare qualsiasi azione. Ciò non funziona, anche perché pochi stati non fanno parte.

 

Nel 1928 il patto Briand-Kellog pone un divieto teoricamente assoluto dell’uso della forza, tranne che legittima difesa (eccezione dell’uso della forza in risposta alla violazione del divieto).

Il problema di questo patto è che no sono poste sanzioni.

 

Con la Carta delle Nazioni Unite, art. 2 par 4 c’è divieto dell’uso  della forza, più un esproprio degli stati dell’uso della forza attraverso il Consiglio di Sicurezza, che rappresenta il monopolista della forza, tranne che per la legittima difesa.

 

Consiglio di sicurezza:

  • Voto di maggioranza con 9 su 15.
  • Con potere di veto dei 5 stati permanenti su questioni non procedurali (lo decide il Consiglio stesso –doppio veto- con potere di veto).
  • Il problema dell’astensione no è ben risolto, perché il regolamento prevede il concorso dei 5 membri permanenti. Nella realtà sembra che un’astensione di uno dei 5 membri sembra non precludere la decisione. Si è formata una consuetudine che va contro le regole patrizie.

Un paese = un voto à Assemblea Generale.

 

Come si pensava si potesse espropriare uno stato dall’uso della forza nel 1945?

Si pensava che il Consiglio avesse a disposizione delle truppe militari utilizzabili per risolvere le crisi. L’azione del Consiglio però è graduata à cap. 7 carta UN.

Contiene le norme che regolano l’uso della forza del Consiglio: gli stati hanno l’obbligo giuridico di seguire il Consiglio.

Art. 39: si accetta l’esistenza di una minaccia alla pace.

Art. 40: misure provvisorie (à cessate il fuoco)

Art. 41: misure per evitare l’uso della forza (es. embargo, blocco navale…)

Art. 42: Il Consiglio può adottare vere misure di coercizione (art. 43 e segg. Articoli considerati obsolescenti).

Art. 51: eccezione della legittima difesa: agire in proprio con misure coercitive da parte degli stati stessi.

Il ruolo del Co9nsiglio è ex post alla difesa del singolo stato.

 

Questi articoli vengono utilizzati, non necessariamente in ordine.

Sicuramente passa dal 39 perché tutti i poteri si attivano con un riconoscimento della violazione della pace, poi se la situazione è urgente si passa subito all’attacco.

 

Eccezione: con la I Guerra del Golfo ’91, il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri a ricorrere alla forza attraverso gli eserciti di stati o organizzazioni come NATO, per agire al posto del Consiglio (l’autorizzazione concessa dovrebbe avere dei termini).

 

Caschi blu: sistema per sopperire ancora alla mancanza del Consiglio. Peace Keeping Operation: operazioni di mantenimento della pace, non previste dalla Carta. Uso della forza solo per legittima difesa.

 

Un’altra eccezione prevista dall’art. 51 permette l’uso della forza: uno stato può agire in legittima difesa fino a quando non interviene il Consiglio.

Diritto di legittima difesa: corrisponde a rispondere a un attacco, non andare oltre, tipo cambiare il governo nel paese che ha attaccato. (remember 1° Guerra del Golfo).

 

Art. 51:

Armed Attack: contro l’indipendenza politica e l’integrità territoriale (qualsiasi attacco armato che violi i confini).

Contro l’indipendenza politica farebbe riferimento a forma d’attacco che costituiscono un rapido attacco al territorio, es. ambasciate, in zona strategiche.

 

Occurs: quando “avviene”? Si ritiene che l’attacco armato debba essere in corso.

à problema della legittima difesa preventiva.

Tesi: tipologia di armamenti tanto distruttivi che nel momento dell’attacco perirò (tesi usata da USA e Israele): non è riconosciuta dalla teoria.

 

Limiti impliciti alla legittima difesa:

  • Proporzionalità: la difesa deve essere proporzionale all’attacco.
  • Immediatezza: reazione immediata, altrimenti sarebbe una punizione. (remember USA-Afghanistan, 6 mesi dopo il 11/settembre).
  • Necessità: la difesa deve essere necessaria, non si può agire per “fargliela pagare” perché sarà compito del Consiglio.

 

Fonte: http://www.glocaltrento.com/int_affairs/ia_documents/05c_DIRITTO_INTERNAZIONALE_base2.doc

Sito web: http://www.glocaltrento.com/int_affairs/ia_main.html

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

 

 

 

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