Dizionario meteo significato dei termini usati in meteorologia
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Dizionario meteo significato dei termini usati in meteorologia
Dizionario Meteo
PROCESSI ADIABATICI
  Tra le parole 'difficili' che si incontrano leggendo un manuale di  meteorologia vi è sicuramente l'aggettivo 'adiabatico', anche se il termine  descrive un concetto abbastanza semplice. Le trasformazioni adiabatiche, nel  linguaggio della termodinamica, sono quelle durante le quali “il sistema” non scambia calore con  l'esterno, l'energia termica, non viene, cioè, né ceduta, né assorbita. Se  seguiamo lo spostamento di una massa d'aria troveremo che molto spesso nei moti  atmosferici questa condizione viene soddisfatta, almeno con un sufficiente  grado di approssimazione. 
  L'aria secca, infatti, risulta essere quasi del tutto trasparente  alla radiazione solare; gli strati d'aria lontani dal suolo si riscaldano  pochissimo durante il giorno e si raffreddano in modo trascurabile durante la  notte, anche perché l'aria è un pessimo conduttore del calore. Una massa d'aria  che subisce uno spostamento verticale, ad esempio perché costretta a salire o  scendere lungo un rilievo, viene a trovarsi in regioni con diversa pressione  atmosferica; come avviene per tutti i gas, il processo di espansione o di  compressione è accompagnato da raffreddamento o da riscaldamento. La  trasformazione può essere considerata adiabatica per via della bassa capacità  dell'aria di trasmettere il calore per conduzione agli strati vicini. Si  calcola facilmente che durante la salita l'aria si raffredda di circa 1 grado  per ogni 100 metri  di dislivello e, per le ragioni esposte, questa variazione di temperatura rispetto  all'altezza è detta “gradiente adiabatico  dell'aria secca”. Si tratta di una quantità importante perché  nell'atmosfera il gradiente adiabatico rappresenta in pratica la massima  variazione possibile di temperatura che si può osservare con una variazione di  quota (ed è anche un valore facile da ricordare!). 
  Le trasformazioni che subisce l'aria umida sono in generale più  complesse specialmente a causa dei processi di condensazione e di evaporazione  del vapore acqueo. Durante la condensazione si libera calore, mentre con  l'evaporazione il calore viene assorbito. La variazione di temperatura che si  misura in presenza di condensazione del vapore è dunque inferiore che nell'aria  secca. A seconda della quantità di umidità che condensa la variazione di  temperatura con la quota è dell'ordine di circa 0.5-0.6 gradi per ogni cento  metri, quindi anche della metà rispetto all'aria secca.
  ALTE E BASSE  PRESSIONI DINAMICHE
  L'origine dei sistemi che caratterizzano la circolazione generale  dell'atmosfera va ricercata nell'interazione tra processi dinamici e radiativi.  Il riscaldamento medio dell'atmosfera nell'arco dell'anno varia infatti molto  con la latitudine, con un massimo all'equatore ed un minimo ai poli. 
  Si viene quindi a creare un netto surplus di energia nella zona  equatoriale e un deficit nelle regioni polari. 
  Ma, a differenza di quanto venne teorizzato agli inizi dello  studio dell'atmosfera, la circolazione generale non è un semplice scambio nel  quale l'aria equatoriale riscaldata, sale e fluisce verso i poli e,  raffreddata, ridiscende e torna all'equatore. In realtà, in ogni emisfero  esistono ben tre celle convettive di questo tipo che assicurano il mantenimento  dell'equilibrio energetico tra i poli e l'equatore. 
  Si possono infatti distinguere una circolazione intertropicale  (tra l'equatore e i 30" di latitudine), una circolazione delle medie ed  una delle alte latitudini. 
  Nella cella che occupa la zona subtropicale l'aria calda sale in  quota all'equatore, si muove in direzione dei poli, per poi ridiscendere al  suolo in prossimità dei 30" di latitudine. Questi moti discendenti  generano, nella fascia intorno ai 30", estese aree di alta pressione,  dette alte pressioni subtropicali, che sugli oceani hanno la loro maggiore  intensità. Una di queste alte pressioni è il famoso anticiclone delle Azzorre,  così importante nel determinare il tempo sul continente europeo. Dalle cellule  anticicloniche subtropicali soffiano, al suolo, gli alisei (venti nord orientali  nel nostro emisfero e che spirano verso le basse pressioni equatoriali). 
  Inoltre la scarsità di precipitazioni che accompagna gli  anticicloni subtropicali è la causa delle condizioni desertiche delle aree  costiere occidentali da essi coperte in entrambi gli emisferi. Passando a  considerare la circolazione alla medie ed alte latitudini, si può osservare la  presenza di un'altra cella convettiva originata dall'alta pressione di origine  termica che occupa in modo permanente le aree polari. La circolazione legata a  tale cella dà luogo a correnti ascendenti intorno ai 60" di latitudine,  ove infatti è presente una fascia di basse pressioni, una delle quali è il  ciclone dell'Islanda. 
  Infine, a latitudini comprese tra i 30" ed i 60", la  circolazione che completa quella delle celle sopra descritte vede correnti che  al suolo si dirigono dalle alte pressioni localizzate intorno ai 30" verso  le basse pressioni delle medio-alte latitudini (circa 60"), mentre in  quota i venti soffiano nella direzione opposta.
  ANTICICLONE  DELLE AZZORRE
  Il sottile guscio di aria che circonda il nostro pianeta,  l'atmosfera, gioca il ruolo fondamentale di "nastro trasportatore"  dell'energia che proviene dal Sole. Il riscaldamento diseguale della superficie  terrestre è la causa primaria dei moti atmosferici, che sono il risultato degli  effetti combinati sulle masse d'aria dei moti convettivi (a grande e a piccola  scala), e della rotazione terrestre. 
  La circolazione che in senso verticale trasporta aria più calda e  meno densa dall'equatore verso i poli può essere schematizzata mediante quelle  che vengono chiamate celle convettive di Hadley: Si formano così delle zone  caratterizzate da correnti ascensionali, associate al suolo ad aree di basse  pressioni (zona equatoriale e zona attorno al 60" di latitudine) e  discensionali, associate alle alte pressioni (zone polari e tropicali). Per  effetto della rotazione terrestre, il moto delle masse d'aria avviene attorno a  centri di alta pressione (in senso orario nell'emisfero Nord) o di bassa  pressione (in senso antiorario, emisfero Nord). 
  Il diverso comportamento termico, nelle varie stagioni, delle  regioni continentali rispetto agli oceani, fa sì che la posizione delle aree di  alta e di bassa pressione vari durante l'anno. Ciononostante alcune di queste  aree subiscono spostamenti relativamente piccoli e vengono chiamate aree  cicloniche (basse pressioni) e anticicloniche (alte pressioni) permanenti o  semi-permanenti. 
  Una di queste è proprio l'Anticiclone delle Azzorre, che prende il  suo nome per via del fatto che il centro di alta pressione attorno al quale  avviene la circolazione si trova, soprattutto d'inverno, in corrispondenza  delle isole Azzorre, nell'Oceano Atlantico. Questo anticiclone appartiene al  gruppo degli anticicloni subtropicali e il suo comportamento influenza  grandemente tutta l'area mediterranea (non solo, chiaramente). La sua posizione  invernale, a latitudini relativamente basse, "permette" a un gran  numero di perturbazioni, in genere atlantiche, di accedere al Mediterraneo. 
  In estate, oltre che a spostarsi più a Nord, espandendosi tende  invece a ricoprire e quindi a "proteggere" il Mediterraneo dalle  perturbazioni, garantendo in genere tempo caldo e soleggiato. 
  La diversa posizione dell'anticiclone delle Azzorre è conseguenza  del fatto che nella stagione fredda la differenza termica Equatore-Polo è molto  più marcata di quanto non sia in estate.
  ANTICICLONI  TERMICI
  Esistono due tipi di anticicloni termici: quelli stagionali e  quelli a ciclo diurno. Per quanto riguarda questi ultimi il loro sviluppo  avviene sulle zone superficiali che rimangono più fredde rispetto ad altre. Ad  esempio, rispetto alla superficie marina, la terra ferma si raffredda più  velocemente durante la notte, per cui l'aria al di sopra di essa rimane più  fredda e quindi più densa e compatta che non quella sul mare. Per questo motivo  sulle zone costiere interne si ha un'area di alta pressione (anticiclonica)  rispetto al mare; tale dislivello barico genera la brezza di terra: venti dalla  costa verso il mare. Anche le brezze di valle si sviluppano per lo stesso  motivo: di notte le catene montuose si raffreddano di più che non le pianure  adiacenti per cui la pressione è relativamente più alta in prossimità delle  cime; si attiva così una circolazione d'aria dal monte verso le pianure  attraverso le valli. 
  Gli anticicloni termici possono anche persistere per lunghi  periodi di tempo e non solo per una notte. In questo caso si parla di  anticicloni termici stagionali. E' bene sottolineare che la stagione in cui  l'alta pressione si stabilizza sulle zone continentali, ossia all'interno di  vaste distese di terra, è quella invernale. E' il caso dell'anticlone  Euro-Asiatico, la cui propaggine che viene a "farci visita" è da noi  conosciuta come Anticiclone Russo o Siberiano. Non esistono quindi anticicloni  termici continentali in estate. In effetti questa affermazione è coerente con  quanto sopra esposto riguardo al meccanismo che genera l'area di alta  pressione: d'inverno le zone continentali si raffreddano notevolmente,  soprattutto quelle a latitudini elevate determinando un raffreddamento dell'aria  nei bassi strati e quindi alta pressione. E' immediato quindi osservare che in  estate le aree anticicloniche di origine termica si formeranno sui mari, i  quali rimangono più freddi della terra ferma. A questo proposito, spesso  sentiamo parlare dell'Anticiclone delle Azzorre e del suo espandersi sul  Mediterraneo con la conseguenza di ottenere alta pressione in prossimità della  nostra Penisola e quindi giornate di bel tempo. E' tuttavia improprio parlare  di spostamento dell'anticiclone sui nostri mari durante il periodo estivo: la  causa principale dell'innalzamento della pressione sul Mediterraneo è quella di  origine termica descritta.
  AURORA POLARE
  L'aurora polare è uno dei più bei fenomeni che si possono  osservare nell'alta atmosfera; normalmente è visibile al di sopra del  settantacinquesimo grado di latitudine ma, a volte, seppur molto raramente,  compare anche alle medie latitudini. 
  Questo fenomeno si manifesta contemporaneamente nei due emisferi e  prende il nome di "Aurora Boreale" nell'emisfero Nord e di  "Aurora Australe" nell'emisfero Sud. 
  L'aurora boreale è più evidente nelle regioni artiche europee, si  verifica tutto l'anno, ma si può osservare solo con un cielo notturno buio e  terso; è più bella nei mesi autunnali, benchè visibile fino al mese di marzo,  mentre in estate "scompare" nelle notti chiare: alle isole Svalbard,  per esempio, si può ammirarla dal 25 di ottobre al 16 febbraio, mentre a Capo  Nord ciò è possibile solo dal 25 novembre al 17 gennaio. 
  Questo fenomeno, che in molte culture veniva associato ad una  danza di spiriti, solitamente si manifesta tra i 100 ed i 200 km di altezza, ma a  volte raggiunge anche i 1000   km, ed appare come una tenda mossa dal vento oppure come  una serie di punti splendenti irradiati da un unico centro; è dovuto al cosiddetto  vento solare, una sorta di corrente proveniente dal Sole, le cui particelle  (ioni), arrivando in prossimità della Terra, vengono costrette a deviare verso  i poli seguendo le linee di forza del campo magnetico terrestre. Quando  penetrano nella ionosfera, queste particelle interagiscono con i gas rarefatti  e ionizzati presenti i quali, eccitandosi, emettono i loro spettri  caratteristici: l'ossigeno d'alta quota (sopra i 200 km) emette luce rossa,  mentre quello più basso (fino a 100   km) luce verde, il colore più comune; l'azoto invece è  fonte di luce blu e violetta. 
  L'immagine dell'aurora è sempre in movimento a causa della  variabilità dell'interazione tra il vento di particelle cariche e il campo  magnetico terrestre, variando in tal modo da giorno a giorno e anche durante la  singola giornata.
  AVVEZIONI
  In atmosfera esistono masse d'aria con caratteristiche fisiche  molto diverse: temperatura, contenuto di vapore acqueo, densità. Ora, se ad  esempio consideriamo l'arrivo di un fronte freddo in una detreminata area, alla  massa d'aria preesistente se ne sostituirà una caratterizzata da una  temperatura inferiore; potremo così parlare di avvezione fredda. Allo stesso  modo parleremo di avvezione calda nel caso in cui l'aria in arrivo abbia una  temperatura superiore a quella preesistente. Un'avvezione, calda o fredda che  sia, porta in generale un cambiamento del tempo, poiché porta a contatto masse  d'aria di natura differente. Proprio per questo motivo, per un meteorologo,  l'individuazione delle avvezioni è di fondamentale importanza. 
  Un semplice metodo pratico per distinguere un'avvezione calda da  una fredda è quello di porsi con le spalle al vento e di osservare il movimento  delle nuvole: se esse provengono da sinistra si avrà avvezione calda, specie se  il vento proviene dai quadranti meridionali, viceversa se le correnti aeree  provengono da destra si avrà avvezione fredda. 
  Da un punto di vista più rigoroso l'individuazione delle avvezioni  può essere effettuata tramite una mappa in quota (solitamente quella a 850 hPa,  dove risultano maggiormente distinguibili le diverse masse d'aria, non essendo  direttamente a contatto con il suolo), esaminando la disposizione delle  isoterme e delle isoipse. Come è noto, le isoterme sono linee che uniscono tra  loro punti alla stessa temperatura; esse individuano quindi masse d'aria con  caratteristiche termiche differenti. La distribuzione delle isoipse (che hanno  pressoché lo stesso significato delle isobare disegnate su una carta al suolo)  dà informazioni sull'intensità e la direzione del vento, in quanto il vento in  quota risulta avere pressoché la loro direzione. Quindi se, ad esempio, isoipse  e isoterme sono parallele tra loro, significa che il vento trasporta una massa  d'aria con determinate caratteristiche termiche, verso aria dello stesso tipo,  il che da un punto di vista meteorologico risulta di scarsa importanza. Al  contrario nelle zone dove tra isoipse e isoterme si forma un angolo diverso da  zero, il vento porta a scontrarsi tra loro masse d'aria con temperature diverse.  Quanto maggiore risulta l'angolo o l'addensamento di isoterme, tanto più  intensa risulterà l'avvezione. 
  In particolare se le isoipse tagliano le isoterme dai valori più  alti a quelli più bassi, si verificherà un'avvezione fredda con un conseguente  abbassamento della temperatura; viceversa se le isoipse tagliano le isoterme da  valori più alti a valori più bassi, si sarà in presenza di un'avvezione calda,  con relativo rialzo della temperatura. 
  Il termine avvezione non è, in generale, riservato alle sole avvezioni  di tipo termico ma si riferisce a tutti quei moti che trasportano grandezze  fisiche significative tra zone con differenti valori della grandezza in esame;  parleremo allora di avvezioni positive nel caso in cui in aree caratterizzate  da certi valori della nostra grandezza giungano masse d'aria con livelli  superiori della stessa, viceversa parleremo di avvezioni negative.
  ARCOBALENO
  Fin dall'antichità l'arcobaleno è sempre stato considerato un  fenomeno atmosferico affascinante e legato alle divinità. Per la filosofia  buddista, l'arcobaleno è la scala con la quale Buddha ridiscende dal cielo;  nella mitologia greca, l'arcobaleno è rappresentato da Iride vestita di  iridescenti gocce di rugiada. Anche in Cina l'arcobaleno assume un significato:  l'insieme dei suoi colori rappresenta l'unione del yin e dello yang, l'armonia  dell'universo e della sua fecondità. Secondo San Martino i sette colori sono i  simboli delle virtù intellettuali; mentre, per i cristiani, simboleggia  l'alleanza tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale. 
  Che cosa è in realtà l'arcobaleno? È l'insieme di sette archi  concentrici, di diverso colore (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco,  viola), che hanno origine dall'interazione dei raggi solari con le gocce di  pioggia. 
  Già Aristotele aveva tentato di spiegare matematicamente la  formazione dell'arcobaleno, ma è solo con Descarte (Cartesio, 1637) che si  hanno i primi trattati matematici corretti su questo fenomeno. Dopo un  temporale, è possibile vedere apparire un arcobaleno in una porzione del cielo,  mentre il sole splende in un'altra. Tuttavia, questo accade solo se  l'osservatore ha il sole alle spalle e il centro dell'arco circolare è nella  direzione opposta all'astro. Ci sono, infatti, tre effetti ottici che  determinano la formazione dell'arcobaleno: rifrazione, riflessione e  dispersione. I raggi solari, che attraversano la goccia di pioggia, supposta  sferica, sono rifratti (deviano la loro traiettoria) al suo interno e sono,  pertanto, separati in altri raggi, associati ai diversi colori. Se all'interno  il raggio rifratto forma un angolo maggiore di quello critico (48°) con la  normale alla superficie interna, che il raggio raggiunge, allora il raggio è  riflesso e nuovamente rifratto quando esce dalla goccia. Da ogni goccia, tuttavia,  esce un solo raggio (raggio di Descarte) con un angolo caratteristico,  corrispondente ad un determinato colore, che varia dai 40 (viola) ai 42 gradi  (rosso). Questo raggio è il più significativo perché, tra tutti i raggi  incidenti sulla goccia, è quello che ha il più piccolo angolo di deviazione. La  concentrazione di raggi vicino alla minima deviazione e la forma sferica delle  gocce sono la spiegazione della forma arcuata dell'arcobaleno. 
  In particolari condizioni atmosferiche, è possibile osservare due  arcobaleni vicini di diversa intensità luminosa e, a volte, se si è  particolarmente fortunati, si può scorgere anche un terzo. Quello più luminoso  è detto arcobaleno primario e ha i colori che cambiano dal rosso, all'esterno  dell'arco, al violetto, al suo interno. La posizione dei colori è determinata  dall'angolo dei raggi uscenti dalle gocce. L'arcobaleno secondario, così come  gli altri, se esistono, si crea per una duplice riflessione dei raggi rifratti  all'interno delle gocce. Per questo arcobaleno, la disposizione dei colori è  invertita. La parte interna di un arcobaleno primario risulta molto più  luminosa di quella esterna. La spiegazione sta sempre nell'ampiezza degli  angoli dei raggi uscenti. Alcuni raggi emergono dalla goccia con angoli più piccoli  rispetto a quello del raggio di Descarte. In questo modo ci sarà un  sovrapposizione di colori che daranno luce bianca. 
  In conclusione, l'arcobaleno, essendo generato dall'interazione  dei raggi del sole con la pioggia, potrà essere osservato prevalentemente in  estate, perché c'è più possibilità di avere contemporaneamente sole e pioggia,  ma non sarà identico a due persone diverse perché cambia il loro punto di vista  rispetto agli angoli di rifrazione e di riflessione dei raggi.
  BREZZE MARINE
  In primavera e in estate, in giornate di cielo sereno e con poca  ventilazione, capita spesso di assistere, sulle zone costiere, all'insorgere di  un vento che arriva dal mare. Tale vento viene definito brezza di mare. Esso si  genera a causa della differenza di pressione che si instaura tra la terraferma  e la superficie marina. Infatti, nelle giornate in questione, il suolo si  scalda molto di più che non l'acqua. Questo, sulla terraferma, determina una  risalita di aria calda e quindi un abbassamento di pressione, mentre sul mare  la pressione non subisce variazioni, per cui risulterà maggiore. Questo  dislivello barico sospinge verso la costa l'aria più fredda e più umida che sta  sulla superficie marina. 
  In effetti le manifestazioni di brezza, sono accompagnate da un abbassamento  di temperatura e da un aumento di umidità sulla terraferma. Inizialmente il  fenomeno riguarda le zone costiere ma, con il passare del tempo, il vento si  propaga anche nell'entroterra e può penetrarvi anche per 30-50 Km. Sul mare l'estensione  è minore. 
  La brezza incomincia a manifestarsi intorno alle 9-10 del mattino  e raggiunge la sua intensità massima nel pomeriggio con una velocità di 6-12  nodi; dopo il tramonto, si affievolisce per poi estinguersi in serata. Questo  vento soffia dalla superficie fino ad una altezza massima di 400-600 metri. 
  A quote superiori l'aria si muove in direzione opposta a quella  della brezza (secondo il meccanismo delle celle convettive); questo è il motivo  per cui in caso di debole nuvolosità si osservano le nubi spostarsi verso il  mare aperto. 
  Il fenomeno descritto non si manifesta nei mesi più freddi essendo  debole il riscaldamento del suolo, ma anche in estate, in giornate con venti  che si spingono dalla costa verso il mare aventi intensità superiori ai 7-8  nodi, la brezza viene a mancare. Al contrario se soffiano venti dal mare verso  la terra legati alla circolazione generale dell'atmosfera, la brezza risulterà  particolarmente intensa e potrà raggiungere i 10-20 nodi. 
  Naturalmente esiste anche una brezza di terra: durante le notti  serene il suolo si raffredda di più che non il mare ed anche in questo caso tra  le due zone si genera un dislivello di pressione. Questa volta la pressione più  alta è sulla terraferma, per cui aria dall'entroterra soffierà verso il mare. 
  L'intensità della brezza terrestre è circa la metà di quella di  mare. Tra giorno e notte l'avvicendarsi dei due tipi di brezza è caratterizzato  da qualche ora di momentanea calma di vento. 
  Infine ricordiamo che esistono brezze di lago e brezze tra monte e  valle generate dallo stesso meccanismo.
BREZZE DI VALLE, DI MONTE E DI PENDIO
  Ad iniziare dalla primavera ma ancora più spesso in estate non è  raro in sede di previsioni sentir parlare di venti a regime di brezza e più  semplicemente di brezze lungo le valli. Cosa ci si deve quindi aspettare per il  domani se ci troviamo in montagna oppure la montagna sarà la meta di una nostra  gita? Innanzitutto accogliamo questa previsione come un buon segno perché le  brezze sono tipiche delle giornate assolate, del bel tempo, quando sono lontane  le perturbazioni e con esse i venti che con diversa direzione e velocità  accompagnano il loro passaggio. Ed il motivo è semplice: il meccanismo con cui  si instaurano le brezze vede come condizione necessaria, anche se non sufficiente,  la presenza del sole. 
  Dopo l'alba infatti il suolo raggiunto dai raggi solari inizia a  riscaldarsi e l'aria a contatto con esso, riscaldandosi a sua volta, come ogni  gas tende a dilatarsi. Ed è in questo comportamento generale che si inserisce  la morfologia del terreno influenzando i moti dell'aria in tutto il sistema  costituito da una vallata, dai suoi pendii e dalla pianura antistante il suo  imbocco. 
  L'aria che sovrasta la pianura infatti può espandersi liberamente  mentre quella all'interno della valle è "soffocata" lateralmente dai  suoi versanti e tende quindi ad espandersi verso l'alto risalendo i pendii  laterali. Ne deriva quindi una differenza di pressione atmosferica, con valori  più elevati sulla pianura, differenza di pressione che quindi richiama aria  verso la valle: è questa la cosiddetta "brezza di valle" che la  risale dal suo imbocco fino alla testata. A questo flusso lungo la direttrice  principale del fondovalle si somma un meccanismo di risalita dell'aria ancora  più localizzato. Infatti all'interno delle vallate le prime ad essere raggiunte  dai raggi solari dopo l'alba sono le creste, i pendii in quota e di conseguenza  qui l'aria inizia prima il suo riscaldamento diurno espandendosi verso l'alto e  richiamando altra aria dal fondovalle. 
  Queste brezze, chiamate anche "brezze di pendio" e che  raggiungono il loro massimo nelle prime ore del pomeriggio, sono venti  generalmente di debole intensità ma a loro si devono sia i banchi di nebbia che  si formano nel mattino lungo i pendii, dovuti alla condensazione del vapore  acqueo contenuto nell'aria più umida in sollevamento dal fondovallle, sia la  formazione di nubi cumuliformi che anche nelle giornate di deciso bel tempo  estivo fanno da cappello alle cime. 
  Si tratta come detto di moti d'aria ascensionali che vengono  sfruttati anche dagli appassionati del volo a vela per compiere le loro  evoluzioni con deltaplani, parapendii ed alianti. 
  Le correnti d'aria, le brezze fin qui descritte cessano la loro  azione nella sera per poi invertire il loro senso al tramontare del sole.  Infatti quando cessa l'insolazione l'aria a contatto con i versanti in quota si  raffredda velocemente e, diventata più pesante, tende a scivolare verso il  basso, dalle creste verso il fondovalle e qui va ad alimentare un deflusso dalla  testata della valle verso il suo sbocco: si instaurano quindi le "brezze  di monte" che raggiungono il loro massimo poco prima dell'alba, momento  coincidente con il massimo raffreddamento notturno.
CELLA DI  HADLEY
  Tutti gli appassionati di meteorologia hanno sicuramente sentito  nominare il signor Hadley e ciò che ha fatto per la conoscenza dei processi che  avvengono nell'atmosfera. Questo illustre scienziato inglese del 18° secolo,  ricercando quale possa essere l'origine dei venti alisei (quei venti costanti  che soffiano entro la fascia intertropicale convergendo dai due emisferi in  prossimità dell'equatore), ha ideato un modello che riesce a spiegare questi  movimenti, allora misteriosi, delle masse d'aria. 
  Questo suo modello si basa sul semplice concetto di trasporto di  calore da una superficie calda ad una più fredda attraverso un fluido: nel caso  in questione il fluido è costituito dall'atmosfera, la fonte di calore è il  sole, la superficie calda è la fascia equatoriale mentre quelle fredde sono le  calotte polari. 
  Per tentare di bilanciare il divario termico tra le diverse  latitudini l'aria equatoriale, sottraendo calore al suolo surriscaldato dal  sole, sale in quota (fino a circa 16   km di altitudine) per poi dirigersi nei due emisferi  verso i rispettivi poli dove ridiscende fino al suolo; dai poli, per chiudere  il ciclo, l'aria al suolo è costretta a convergere nuovamente verso l'equatore:  ecco spiegata l'origine degli alisei. 
  Attraverso questo modello non si spiega, invece, il motivo per cui  questo genere di circolazione avvenga solamente nella fascia intertropicale;  infatti manca un elemento fondamentale: la rotazione terrestre. Il moto di  rotazione della Terra genera la deviazione delle masse d'aria in moto:  nell'emisfero nord l'aria viene deviata verso destra mentre nell'altro emisfero  la deviazione avviene verso sinistra. A causa di ciò l'aria che viene  riscaldata all'equatore e sale in quota non si dirige più in linea retta verso  i poli ma devia verso oriente raggiungendo, al massimo, i 30° di latitudine per  poi discendere al suolo e convergere verso l'equatore chiudendo il ciclo.  Questa circolazione atmosferica prende il nome di CELLA (o cellula) DI HADLEY e  risulta di fondamentale importanza nell'ambito della circolazione generale  atmosferica, nonché nella comprensione delle varie tipologie di clima e habitat  della zona torrida: dal quello caldo umido con foreste pluviali dell'equatore,  a quello arido con immensi deserti dei tropici. 
  CICLONE
  In meteorologia il ciclone è quella figura barica (cioè  riguardante la pressione) caratterizzata da isobare chiuse concentriche, aventi  un minimo nel centro ed in cui le masse d'aria si muovano in senso antiorario  rispetto al centro nell'emisfero settentrionale, in senso orario nell'emisfero  meridionale. 
  Questo è ciò che hanno in comune tutti i cicloni, i quali però si  possono dividere in varie categorie a seconda della grandezza, durata e genesi  che li caratterizza. Distinguiamo perciò i cicloni in permanenti,  extratropicali o mobili, termici, orografici e tropicali. I cicloni permanenti  sono determinati dalla circolazione generale dell'atmosfera, e non sono altro  che una fascia permanente di bassa pressione intorno ai 60° di latitudine: a  questi appartengono ad esempio il Ciclone d'Islanda o il Ciclone delle  Aleutine. I cicloni extratropicali, o mobili, sono quelle depressioni mobili  associate allo sviluppo di sistemi frontali: rappresentano il tipo di  depressione più comune alle medie latitudini, hanno un diametro medio di 500-2000 Km, ed un ciclo di  vita che va dai 3 ai 15 giorni. Sia i cicloni permanenti che quelli  extratropicali sono caratterizzati da aria più fredda di quella circostante, e  si estendono fino alla troposfera. 
  I cicloni termici si originano per il forte riscaldamento di  alcune aree rispetto a quelle circostanti: ad esempio le depressioni che nelle  giornate si formano sulla terraferma rispetto al mare, oppure sui rilievi  rispetto alle zone di pianura. Sono responsabili delle brezze marine e montane.  Questi cicloni sono costituiti da aria più calda di quella circostante e la  circolazione ciclonica si interrompe tra i 2000 ed i 4000 m di quota, per esser  qui sostituita da circolazione anticiclonica. 
  I cicloni orografici sono le aree di bassa pressione che si  generano sottovento ad una catena montuosa investita perpendicolarmente da  forti correnti d'aria. 
  Più spazio dedichiamo ai cicloni tropicali, quelli forse più  conosciuti, e sicuramente più temuti, per i loro devastanti effetti: hanno  diametro che va dai 300 ai 1500   Km, un ciclo di vita tra i 3 ed i 15 giorni, sono  accompagnati da piogge torrenziali e, nella fascia tra 30 e 60 Km dal loro centro, da  venti che soffiano a 150-200   Km orari. Il nome con cui vengono indicati cambia a  seconda dell'aria geografica in cui si originano o su cui si abbattono: Tifone  nel Pacifico Occidentale, Uragano nel Nord America, Ciclone nell'Oceano  Indiano, Willy-Willy in Australia. La loro immensa energia è dovuta alle grandi  quantità di calore rilasciate nell'atmosfera dalla condensazione di enormi  quantità di vapor acqueo, il quale viene sottratto agli oceani della fascia  tropicale dall'intenso riscaldamento solare. Infatti, quando la superficie  dell'oceano supera i 25°C,  l'aria degli strati più bassi, surriscaldata dall'acqua, diviene più leggera di  quella circostante ed è sospinta verso l'alto, condensando così sotto forma di  nubi l'elevato contenuto in vapore. Si forma così un muro di nubi, mentre la  grande quantità d'aria pompata verso l'alto fa sì che si generi una profonda  depressione, la quale richiama aria calda ed umida dalle zone circostanti. 
  Queste nuove masse d'aria, costrette a sollevarsi in prossimità  del muro di nubi, contribuiscono ad alimentare il ciclone, mentre la rotazione  terrestre imprime a tutto il sistema il classico moto rotatorio. 
  Parte dell'aria risucchiata nell'occhio del ciclone ricade verso  la zona centrale e, riscaldandosi per compressione nel moto di discesa,  dissolve le nubi in formazione: ecco perché nel centro del ciclone una zona di  15-30 Km  di diametro, appunto l'occhio del ciclone, risulta sgombra da nubi e  caratterizzata da venti poco intensi. I cicloni tropicali si sviluppano tra i  5° ed i 20° di latitudine, dove il riscaldamento delle acque oceaniche è  maggiore, ma non nelle zone prossime alla fascia equatoriale: qui difatti sono  trascurabili gli effetti della rotazione terrestre, e viene perciò a mancare la  spinta necessaria ad imprimere alle masse d'aria il caratteristico moto  rotatorio attorno al centro di bassa pressione.
  CICLONI  EXTRATROPICALI
  Tutti conoscono bene la differenza di insolazione che passa tra  equatore e poli. La differenza di temperatura tra aree equatoriali e calotte  polari determina la formazioni di tre grandi blocchi di aria omogenea: due  sulle calotte polari , freddi e poveri in umidità e uno tra i due tropici caldo  e ricco di vapore acqueo. L'atmosfera non è altro che un enorme macchina  termica che provvede al trasporto di calore dall'Equatore verso i Poli. Come  ciò avvenga e le conseguenze di tutto questo sono in fondo abbastanza  singolari. 
  La linea di demarcazione, al suolo, tra aria tropicale e polare  viene detta fronte polare. Ora il fronte, in realtà non è una rigida ed  immobile barriera, ma a causa delle forzate e improvvise deviazioni di percorso  introdotte dalle catene montuose, o dall'alternarsi di oceani e continenti,  risulterà piuttosto una linea percorsa da ampie ondulazioni prodotte da spinte  alternate dell'aria tropicale verso nord-est e dell'aria polare verso  sud-ovest. Avremo, così, che sul lato destro della cresta dove l'aria calda sale  verso latitudini maggiori si creerà un fronte caldo, mentre a sinistra dove è  invece l'aria fredda a premere avremo un fronte freddo. 
  Le ondulazioni, una volta innescatesi, tendono a divenire man mano  più ampie, e ai vertici delle lingue calde, l'aria comincerà ad invorticarsi in  senso antiorario e ad innalzarsi costretta dall'aria fredda più densa: si  creerà, in tal modo, un vortice depressionario. A tali depressioni che si  muovono alle medie latitudini, nella fascia delle correnti occidentali, viene dato  il nome di cicloni extratropicali, o anche di depressioni mobili, per  distinguerli dalle depressioni stazionarie della fascia equatoriale o del  circolo polare. Le depressioni originate dalle ondulazioni del fronte polare si  presentano quasi sempre in gruppi da 3 a 5 membri, in cui ogni ciclone della  famiglia scorre a latitudini sempre più basse di quello che lo precede.  L'ultimo della serie è seguito da un anticiclone (al vertice della lingua  d'aria fredda si produrrà, specularmente a quanto avviene per l'aria calda,  un'alta pressione), anch'esso mobile, detto di chiusura, al quale è associata  una consistente irruzione di aria fredda verso le basse latitudini. 
  I cicloni extratropicali che interessano l'Europa si originano in  aree abbastanza precise, ove il contrasto termico dell'aria tropicale che sale  e di quella polare in discesa è più marcato. Normalmente tali zone, dette  ciclogenetiche (cioè di formazione dei cicloni), si identificano con l'Isola di  Terranova, le coste meridionali della Groenlandia e le zone circostanti  l'Islanda. Tuttavia ha grande influenza sull'origine e sul successivo moto  delle famiglie di cicloni extratropicali la posizione relativa delle aree  depressionarie fisse del nord Atlantico e dell'Anticiclone delle Azzorre. Il  maltempo sull'Italia non è portato solo da questo tipo di perturbazioni; anzi,  molto spesso sono depressioni che si originano all'interno del Mediterraneo a  portare la pioggia sulla nostra penisola, ed anche in abbondanza. 
  Il Mediterraneo è una culla ideale per la formazioni di  depressioni mobili e sistemi frontali del tutto simili a quelli che nascono in  seno al fronte polare. Infatti, mediamente le acque superficiali del  Mediterraneo superano di circa 4°C  quelle dell'oceano alla stessa latitudine: avviene così che le irruzioni di  aria fredda, più probabili in autunno e primavera, producano quel contrasto  termico sufficiente all'innescarsi di un ciclone. Tipiche a tale riguardo sono  le depressioni che si sviluppano in prossimità delle Isole Baleari e lungo le  coste del Nord africa. Un'altro esempio caratteristico delle depressioni che  interessano l'Italia sono i cicloni di origine orografica: vale a dire quelle  aree di bassa pressione che si generano sottovento alle catene montuose quando  queste vengono investite perpendicolarmente da veloci correnti. Il riferimento  è ovviamente alla depressione che si crea sul Mar Ligure quando le Alpi  centro-occidentali sono interessate da forti correnti di maestrale. Questo tipo  di configurazione barica è particolarmente significativo, in quanto determina  piogge,anche molto abbondanti, sulle regioni dell'alto e medio Tirreno.
  CICLONI  TERMICI
  Uno dei possibili meccanismi in grado di generare un'area di bassa  pressione in una porzione di atmosfera è il diverso riscaldamento della superficie  terrestre da parte dei raggi solari. La zona equatoriale, ad esempio, è  caratterizzata dalla costante presenza di basse pressioni che formano una sorta  di cintura attorno al globo resa visibile, attraverso le immagini dei satelliti  meteorologici, dalle imponenti nubi cumuliformi che vi si sviluppano  quotidianamente; infatti la cosiddetta Zona Torrida, compresa tra i due  tropici, risulta essere l'area maggiormente riscaldata della Terra e le  depressioni che si formano al suo interno sono dovute proprio all'eccesso di  energia termica capace, fra l'altro, di innescare poderosi moti ascensionali  dell'aria che sono strettamente legati alla circolazione generale  dell'atmosfera. 
  Ma per quale motivo questo meccanismo provoca un abbassamento  della pressione? La spiegazione è piuttosto semplice. 
  La pressione atmosferica in un qualsiasi punto della superficie  terrestre è prodotta dal peso della colonna di aria sovrastante; se in quel  punto l'aria viene scaldata si verifica un calo della sua densità: in pratica, a  parità di volume occupato, l'aria pesa di meno. Nello stesso tempo, a causa del  fatto che tra due fluidi mescolati quello più leggero tende ad occupare i  livelli superiori e viceversa, si genera un moto ascensionale dell'aria la  quale, raggiunta la sommità, diverge spostandosi definitivamente da quella  verticale. Facendo i conti l'aria che sfugge dall'alto va a sottrarsi  all'intera colonna sottostante; risultato: sopra quel punto meno quantità  d'aria, meno peso e quindi pressione inferiore rispetto alle zone adiacenti.  Una caratteristica peculiare di queste strutture bariche è che, a differenza  dei cicloni di origine dinamica (come quelli che interessano normalmente  l'Italia), ai livelli superiori si genera un'area anticiclonica: infatti, come  si è detto, sopra la colonna l'aria diverge proprio come all'interno delle alte  pressioni. 
  Le dimensioni tipiche di tali strutture vanno dalle centinaia alle  migliaia di chilometri; di conseguenza si comportano come tutte le aree  cicloniche con i movimenti dell'aria a spirale attorno al centro. Per tale  motivo vengono chiamati CICLONI e, siccome sono generati dal riscaldamento  solare, si definiscono TERMICI. Monsoni e brezze sono fenomeni a scale  differenti causati da questo stesso meccanismo: nella stagione calda (per i  monsoni estivi) o durante le ore più calde del giorno (per le brezze diurne) la  terraferma o la cima dei monti si scalda maggiormente rispetto al mare o al  fondovalle; di conseguenza, su queste aree, si crea una bassa pressione in  grado di risucchiare aria dal mare o dalla valle. 
  Nel caso del monsone estivo la grande quantità d'aria umida  richiamata dall'oceano provoca la famosa stagione delle piogge; si hanno esempi  eclatanti nel sud-est asiatico. In maniera inversa si riscontrano i medesimi  meccanismi durante la stagione fredda per i monsoni e nella notte per le  brezze, quando il mare o il fondovalle risultano più caldi della terraferma o  la cima dei monti.
CIELO: PERCHÈ È AZZURRO?
  Fin da bambini abbiamo imparato ad osservare il colore del cielo  ed a rappresentarlo sui nostri scarabocchi attraverso tinte che vanno  dall'azzurro chiaro al blu scuro, comunque sempre nelle varie tonalità del  colore blu. 
  Ci siamo mai chiesti il motivo per cui durante il giorno il cielo,  quando è sereno, assume quella colorazione mentre di notte è nero e si possono  vedere tutte le stelle? E poi perché al tramonto e all'alba il sole ci appare  di colore arancione-rosso? Sembrerà strano ma entrambe le questioni vengono  spiegate attraverso il medesimo fenomeno della fisica ottica: l'interazione dei  raggi solari con tutte le particelle che compongono l'atmosfera. 
  I raggi che ci arrivano dal sole sono di colore bianco: il bianco  non è altro che la combinazione di tutti i colori, quindi si può dire che dal  sole ci arrivano tutti i colori "mescolati" nello stesso raggio di  luce. Questa miscela di colori arriva compatta fino al limite esterno  dell'atmosfera; una volta penetrata al suo interno subisce deviazioni ed  attenuazioni più o meno pronunciate a seconda dello spessore dello strato  atmosferico attraversato e della concentrazione dei vari costituenti dell'aria  (tipo una pallina all'interno di un flipper). 
  La fisica ci spiega che, tra le varie componenti del raggio di  luce, quella di colore azzurro-blu subisce, nell'urto con le particelle  atmosferiche, deviazioni maggiori rispetto alle altre componenti scorporandosi  dal raggio solare e sparpagliandosi per tutto il cielo. I vari raggi  azzurri/blu vengono poi riflessi in ogni direzione e la parte che raggiunge i  nostri occhi ci fa apparire il cielo di colore azzurro mentre il resto dei  raggi prosegue quasi indisturbato in linea retta. L'effetto di sparpagliamento  dei raggi azzurri è talmente intenso da non consentire la visione delle stelle  mentre di notte, come si sa, tutto il firmamento è visibile proprio a causa del  fatto che mancano i raggi solari da sparpagliare; se non ci fosse l'atmosfera  avremmo la possibilità di vedere tutto il cielo stellato e nero anche di giorno  con il disco bianco intenso del sole in mezzo, proprio come capita sulla Luna.  Durante un tramonto o un'alba i raggi solari devono attraversare uno strato di  spessore molto maggiore per giungere a noi rispetto a quando il sole si trova  alto nel cielo; durante questo tragitto, quindi, non è solo la componente  azzurra/blu a subire deviazioni ed attenuazioni ma anche molte altre lasciando  nel raggio principale solo le tonalità dal giallo all'arancione fino al rosso:  per tale motivo il sole assume queste colorazioni e, se si fa caso, anche  quando la Luna  si trova vicina all'orizzonte si presenta allo stesso modo proprio perché i  raggi solari che essa riflette subiscono lo stesso processo fisico.
CIRCOLAZIONE  GENERALE DELL'ATMOSFERA
  L'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre rispetto al piano  dell'orbita apparente che il Sole compie intorno alla Terra in un anno, fa sì  che le zone equatoriali ricevano durante l'anno una quantità di calore dal Sole  superiore a quella riemessa verso lo spazio. 
  Al contrario ai Poli il bilancio tra calore ricevuto e calore  perso è negativo. Sulla base di queste indicazioni, si potrebbe arrivare a  concludere che la temperatura media all'Equatore è in continuo aumento, mentre  ai Poli è in graduale diminuzione. Invece tutto ciò non accade: la temperatura  media all'Equatore o ai Poli non presenta una netta tendenza all'aumento o al  calo (negli ultimi 50 anni si è in realtà misurato un rialzo della temperatura  media del nostro pianeta di qualche frazione di grado, ma lo si tende a  collegare all'effetto serra). Questo significa che deve esistere un metodo per  ridistribuire il calore che la   Terra riceve dal Sole. 
  Gli oceani e l'atmosfera sono i due mezzi tramite i quali il  calore viene trasportato dalle zone equatoriali a quelle polari. Vediamo in  questo paragrafo il contributo dell'atmosfera. Il primo modello che cercò di  spiegare come avviene tale trasporto è noto come circolazione di Hadley, dal  nome del fisico che per primo lo introdusse nel 1735. In tale modello si  fa l'ipotesi di poter trascurare la rotazione terrestre, che, come vedremo più avanti,  comporta in realtà sostanziali variazioni al modello di Hadley. 
  Il calore assorbito dalla Terra intorno all'Equatore scalda le  masse d'aria soprastanti, le quali, dilatandosi, diventano meno dense, più  leggere e salgono verso le alte quote della troposfera. Questa risalita d'aria  genera alle basse quote una zona di bassa pressione, mentre in quota l'apporto  di aria dagli strati sottostanti crea una zona di alta pressione. Ai Poli  invece il bilancio termico negativo genera un raffreddamento dell'aria che, più  densa, si porta dagli strati superiori, dove si crea una zona di bassa  pressione, verso il suolo, dove al contrario si genera un'alta pressione.  Quindi al suolo masse d'aria fredda vengono spinte dall'alta pressione polare  verso la bassa pressione equatoriale, mentre in quota aria calda viene spinta  dalle alte pressioni equatoriali verso le basse pressioni polari. Questo  modello teorico è sì in grado di spiegare la ridistribuzione del calore, ma non  rispecchia ciò che accade nella realtà, dove non si osserva una circolazione  delle masse d'aria tra i Poli e l'Equatore lungo i meridiani, come descritto.  La rotazione terrestre ha infatti l'effetto di deviare verso destra le masse  d'aria in movimento nell'Emisfero Boreale e verso sinistra quelle nell'Emisfero  Australe (in fisica questa spinta verso destra o sinistra prende il nome di  forza di Coriolis). 
  La deviazione delle masse d'aria dà all'atmosfera terrestre una  dinamica differente da quella prevista da Hadley, dinamica che va sotto il nome  di circolazione generale dell'atmosfera. Così le masse d'aria, dopo essere  salite in quota all'Equatore, non riescono ad arrivare fino ai Poli: intorno ai  30° di latitudine riscendono verso il suolo, dando origine a una fascia di alte  pressioni subtropicali, in corrispondenza delle quali si trovano i deserti più  estesi del pianeta. Intorno ai 60° gradi di latitudine si trova invece una  fascia di basse pressioni, dove l'aria sale fino alle quote superiori, per poi  raggiungere i Poli. A questa fascia di basse pressioni appartiene ad esempio il  Ciclone d'Islanda, che è tra i principali responsabili delle condizioni  meteorologiche sull'Europa. Questo modello, che rispetto al quello di Hadley  trova effettivamente riscontro nelle osservazioni, non va però inteso come immobile:  quella descritta è solo una situazione media. Non è infatti raro che il Ciclone  d'Islanda si spinga con profonde saccature fino alle latitudini del  Mediterraneo o che l'Anticiclone delle Azzorre raggiunga le isole britanniche.
IL CLIMA NON È  IL TEMPO!
  Quante volte i mass media (quotidiani, giornali, telegiornali,  ...) propongono servizi sul tempo che ci sarà domani o sul clima che c'è stato  oggi, trattando i due argomenti nello stesso modo!! Ma è solo una grande  confusione. Infatti, clima e tempo non sono la stessa cosa. Il clima  rappresenta la media di condizioni meteorologiche giornaliere (temperatura,  pioggia, umidità, periodi di siccità,….), che sono avvenute su un'ampia area  geografica nell'arco di un periodo piuttosto lungo (20 - 30 anni); invece, il  tempo è la condizione meteorologica che si può osservare quotidianamente su  un'area limitata e la media del tempo osservato giornalmente per un lungo  periodo è appunto il clima. 
  Ad esempio, le statistiche dicono che, nelle estati degli ultimi  20 anni, in Italia, in media le temperature massime generalmente si sono  aggirate intorno ai 28,5 °C.  Allora, si potrà dire che il clima sulla nostra penisola, durante il periodo  estivo, sarà caldo e soleggiato. 
  Questo, però, non significa che ogni anno tutti i giorni d'estate  saranno soleggiati e sempre con la temperatura ottenuta dalla media; se così  fosse , ci troveremmo lo stesso tempo tutti i giorni. E questo, come è noto,  non accade. Quindi, non c'è da stupirsi se il tempo di una giornata d'estate,  su una località, sarà piovoso con temperature basse, perché il clima è solo una  media di "tempi": tempi che comprendono giornate di pioggia e  giornate di sole, giornate calde e giornate fredde. La media, poi, si  avvicinerà più ad un tipo di giornata in base al numero di giorni con quelle  particolari caratteristiche, durante il periodo considerato. 
  CONDENSAZIONE
  Le nubi del cielo così come le nebbie e le brine devono la loro  origine al fenomeno della condensazione. Una massa d'aria può condensare per  due motivi: o per immissione di vapore acqueo o per raffreddamento. Quasi tutti  i giorni abbiamo davanti ai nostri occhi esempi di condensazione di entrambi i  tipi. 
  La formazione della nuvolosità è uno di questi. Le nubi si formano  sostanzialmente per sollevamento di masse di aria che può verificarsi per  diversi motivi; in ogni caso il sollevamento comporta un raffreddamento  dell'aria ed è questo che provoca la condensazione. Infatti, man mano che la  temperatura dell'aria in ascesa diminuisce, è minore anche la quantità di  vapore che può essere contenuta nella massa d'aria fino a che non vengono  raggiunte le condizioni di saturazione: il vapore acqueo presente è il massimo  che la massa d'aria può contenere. 
  Se la temperatura si abbassa ancora, il vapore incomincia a condensare  ed inizia così la formazione della nube. Anche la nebbia per irraggiamento si  forma a causa del raffreddamento degli strati di aria prossimi al suolo;  infatti, durante la notte, il suolo perde calore per irraggiamento  raffreddandosi. Il conseguente abbassamento di temperatura dell'aria innesca il  processo di condensazione descritto sopra. 
  È possibile, inoltre, che si formino nebbie per sollevamento delle  masse d'aria lungo pendii, oppure quando una massa d'aria calda si sposta su  una superficie più fredda. In ogni caso è sempre il raffreddamento dell'aria e  la conseguente saturazione a provocare il fenomeno. Per lo stesso motivo si  forma la rugiada: si tratta di condensazione dell'acqua sopra la vegetazione  che riveste il suolo, soprattutto nelle notti serene, quando il raffreddamento  è maggiore. Quando il suolo si raffredda molto fino a temperature al di sotto  di quella di congelamento dell'acqua si può avere la formazione di cristalli di  ghiaccio sopra le superfici ossia la brina. 
  Come accennato, anche l'immissione di vapore può provocare la  condensazione, senza, quindi, che la temperatura dell'aria diminuisca. Un  esempio di ciò sono le nebbioline che si possono osservare su terreni molto  umidi, ad esempio dopo giorni di pioggia: il suolo fornisce vapore in grande  quantità agli strati d'aria adiacenti ad esso, al punto che l'elevato contenuto  di acqua allo stato gassoso produce saturazione. Anche masse d'aria su distese  d'acqua, in particolari condizioni, possono arricchirsi di vapore e condensare. 
  FORZA DI  CORIOLIS 
  Per tutti gli appassionati è un passaggio obbligato: quando la  curiosità per i fenomeni atmosferici ci porta a leggere un manuale di  meteorologia ecco comparire il nome di questo signore (da leggere alla  francese, con l'accento sulla i finale) e la sua forza misteriosa. La forza di  Coriolis è necessaria per descrivere i fenomeni fisici in un sistema che ruota,  nel nostro caso, la Terra;  insieme alla forza centrifuga essa è una di quelle forze (talora chiamate  'apparenti') che si originano nei sistemi di riferimento soggetti a rotazione o  a variazioni di velocità, come la giostra o l'automobile. Il motivo per cui la  forza di Coriolis ci è assai meno familiare della forza centrifuga, che  sperimentiamo tutti i giorni, è solo che essa è troppo debole per essere  avvertita dal nostro corpo mentre corriamo a andiamo in automobile. 
  Qualitativamente, si può intuire l'origine di questa forza con il  seguente esperimento mentale: stiamo osservando dallo spazio un proiettile  sparato dal polo Nord verso l'equatore, e immaginiamo di osservare la rotazione  terrestre, che sotto di noi avviene in senso antiorario. Poiché il proiettile  non è vincolato alla superficie esso giungerà, per noi senza sorpresa, a destra  del bersaglio verso cui era stato lanciato; invece, per chi è rimasto a terra,  è come se un filo invisibile avesse a poco a poco curvato la sua traiettoria.  Se ripetessimo l'esperimento in maniera simmetrica nell'altro emisfero,  guardando dal polo Sud, troveremmo che il colpo ha mancato il bersaglio perché  deviato a sinistra. Nella pratica noi descriviamo i fenomeni atmosferici con un  sistema di riferimento solidale con il pianeta, non da un punto fisso dello  spazio, ed ecco spiegato perché è comodo introdurre la forza di Coriolis, un  filo invisibile che modifica il moto dei proiettili, ma anche delle masse  d'aria. Si può dimostrare matematicamente che la forza di Coriolis cambia segno  nei due emisferi, che la sua intensità è direttamente proporzionale alla  velocità dei corpi, ed infine che essa vale zero all'equatore, per diventare  massima ai poli. 
  I moti delle masse d'aria sono profondamente influenzati dalla  forza di Coriolis, specie alle medie ed alte latitudini: cicloni e depressioni  extra-tropicali esistono perché la forza deviante tende continuamente a  bilanciare la forza di gradiente (dovuta alle differenze di pressione): dove la  forza deviante è più intensa, vicino ai poli, si formano le depressioni più  profonde. Di più, gran parte della dinamica dell'atmosfera, può essere  interpretata come un continuo gioco di equilibrio tra le forze di pressione e  la forza di Coriolis: quando questo equilibrio viene meno nascono i moti  verticali, quindi le perturbazioni e tutto quello che ne consegue (per questi  argomenti vedere i capitoli sul vento geostrofico, sulla forza di gradiente) 
  Concludiamo con una curiosità: la forza di Coriolis non influenza  solo le traiettorie delle masse d'aria; alle alte latitudini l'azione continua  della forza deviante fa sì che le ruote dei treni consumino di più la rotaia di  destra. 
  CUMULONEMBI
  I cumulonembi sono le nubi a maggior sviluppo verticale: alle  nostre latitudini riescono ad estendersi da quote relativamente basse (1000 metri) fino ai  limiti della troposfera a 10-12   km. Si formano per rapida condensazione del vapore  acqueo contenuto nell'atmosfera; tale condensazione è provocata dal  raffreddamento che una massa d'aria subisce quando è costretta a salire a quote  superiori. 
  Il meccanismo che innesca la nascita di un cumulonembo è quindi il  sollevamento di una massa d'aria umida, che espandendosi durante la salita si  raffredda, portando alla condensazione del vapore. Il sollevamento dell'aria, a  sua volta, può essere indotto o dalla presenza di un pendio (raffreddamento di  tipo orografico) o dall'incuneamento di masse d'aria fredda pesante sotto aria  più calda e leggera (raffreddamento di tipo frontale) o dal riscaldamento di  una massa d'aria a contatto con il terreno scaldato dal sole nelle ore centrali  di una giornata primaverile o estiva. 
  La condensazione a cui è soggetto il vapore acqueo durante la  salita genera calore che riscalda la massa d'aria interessata, facilitandone  così la stessa salita. I moti ascendenti possono essere così intensi (fino  anche a 15-20 m/s) che bastano 10-20 minuti perché un cumulonembo si formi.  Nubi così imponenti sono sempre associate a fenomeni temporaleschi, che in  genere sviluppano energie enormi e danno luogo a piogge intense. 
  Fortunatamente si tratta nella maggior parte dei casi di nubi  dalla vita molto breve, anche poche decine di minuti; il loro rapido  dissolvimento è legato alla veloce diminuzione del numero di goccioline e di  cristalli di ghiaccio che le formano, sia per effetto della precipitazione vera  e propria, sia per effetto dell'evaporazione facilitata dalle veloci correnti  d'aria discendenti che soffiano all'interno nella nube durante la fase di  pioggia. Non tutta la pioggia che cade da un cumulonembo riesce a raggiungere  il terreno: le gocce che abbandonano la base della nube sono anch'esse soggette  a evaporazione e si è stimato che solo il 50% dell'effettiva quantità di gocce  di pioggia che si sono formate all'interno della nube riesce ad arrivare al  suolo. 
  L'evaporazione delle gocce di pioggia durante la caduta causa un  raffreddamento dell'aria al di sotto della base della nube; si formano così  masse d'aria più fredda e pesante che precipitano al suolo dando luogo a venti  freddi e violenti che anticipano e accompagnano un qualunque temporale. In  molti casi queste correnti fredde di caduta si incuneano sotto aria più calda  presente nei bassi strati, la sollevano e possono dare origine a una nuova  cella temporalesca. 
  Un'altra caratteristica dei cumulonembi è la loro forma: quando si  formano isolati in una calda giornata primaverile o estiva, si può riconoscere  una struttura a "enorme cavolfiore" che si gonfia ora da una parte  ora dall'altra anche a vista d'occhio. Una volta raggiunto il pieno sviluppo,  quando la sua cima è arrivata fino al limite della troposfera, la parte alta si  allarga spinta da veloci correnti divergenti che danno alla nube la tipica  forma a incudine. Per finire ricordiamo che la grandine è un fenomeno  solitamente associato alla presenza di cumulonembi, il che li rende i corpi  nuvolosi più "pericolosi" alle nostre latitudini. 
DIVERGENZA -  COME SI SVILUPPANO I CICLONI EXTRATROPICALI
  Il maltempo che, soprattutto nelle stagioni intermedie ed in  quella invernale, colpisce vaste aree alle nostre latitudini è apportato dai  cosiddetti "cicloni extratropicali" (o depressioni mobili). 
  La causa diretta dello sviluppo di questi sistemi, a volte forieri  di piogge intense per molti giorni consecutivi anche sull'Italia, è la parziale  fuoriuscita orizzontale d'aria ("divergenza") in corrispondenza dei  rami sudoccidentali della corrente a getto polare, una sorta di velocissimo  fiume d'aria che scorre, con ampie ondulazioni, da ovest verso est, lungo la  linea di confine tra l'aria fredda polare e quella calda subtropicale, al  limite della tropopausa, intorno ai 10 km di quota. 
  La divergenza nell'alta atmosfera, genera a sua volta una  diminuzione della pressione al suolo ed un risucchio di aria verso l'alto per  colmare il vuoto lasciato dalla fuoriuscita. Le masse d'aria che convergono  orizzontalmente verso la depressione al suolo per sostituire quelle che si  sollevano, nel nostro emisfero vengono deviate verso destra dalla forza di  Coriolis, e di conseguenza acquistano una rotazione antioraria intorno al  centro di bassa pressione. Tale moto rotatorio ciclonico favorisce le invasioni  di aria calda verso le zone occupate da aria fredda (fronte caldo) e le  irruzioni di aria fredda verso le regioni occupate da aria più calda (fronte  freddo). 
  Nascono così i cicloni extratropicali, le tipiche depressioni  mobili che accompagnano i fronti.
  FORZA  D'ATTRITO
  L'osservazione di fenomeni d'attrito che avvengono fra superfici  diverse che scorrono una sull'altra è un'esperienza decisamente comune. Si può  anche facilmente dedurre come l'attrito aumenti in funzione della rugosità  delle due superfici e della velocità reciproca. Astraendo, a partire da queste  semplici osservazioni, potremo concludere che esiste una forza, che chiameremo  appunto forza d'attrito, che si oppone al movimento e che risulta tanto più  intensa quanto più rugose siano le superfici e quanto maggiore sia la velocità  relativa. 
  Meno ovvio è che anche l'aria, così impalpabile, sia, in  prossimità della superficie terrestre, influenzata dall'attrito prodotto dai  rilievi, dai boschi, dalle città o da un qualunque tipo d'ostacolo financo ad  arrivare all'erba o alle onde del mare. Sui continenti il coefficiente  d'attrito è circa il doppio che sui mari e varia fortemente secondo la  tipologia di suolo. Inoltre, anche gli stessi strati d'aria, caratterizzati da  densità diverse, o per l'origine delle masse d'aria o per la diminuzione della  densità all'aumento della quota, scorrendo uno sull'altro producono attrito e  contribuiscono a propagare lo stesso dal terreno verso gli strati superiori  dell'atmosfera. Ovviamente, man mano che la quota aumenta, la forza d'attrito  va diminuendo e oltre i 1500   metri dal suolo risulta così piccola da essere  praticamente trascurabile. 
  Sui mari il suo effetto si annulla già oltre i 500 metri. 
  Ma qual'è l'effetto principale dell'attrito sui moti delle masse  d'aria? In primo luogo esso agisce sull'intensità del vento, riducendola e  determinando inoltre un'attenuazione dell'azione della forza di Coriolis,  essendo la deviazione da questa indotta proporzionale alla velocità; perciò il  vento tenderà anche a scostarsi dall'andamento parallelo alle isobare, caratteristico  dell'atmosfera a quote elevate (vedi forza di gradiente), e a deviare sempre  più verso sinistra formando con le stesse un angolo acuto. Nello strato più  prossimo al terreno, la forza d'attrito è di gran lunga superiore alla forza di  gradiente e a quella deviante. Con venti deboli o moderati la deviazione è di  10-15° sul mare, mentre sulla terraferma è, di norma, di 30° ma può superare i  45° in atmosfera molto stabile, come nelle notti serene e poco ventilate. 
  L'attrito, come già osservato, diminuisce via via che ci si  allontana dal suolo, ciò ha come conseguenza che il vento tenderà ad  intensificarsi con la quota e anche a ruotare verso destra per riportarsi, ad  un'altezza sufficiente, parallelo alle isobare. Tutto ciò è confermato da  alcune comuni osservazioni: la punta degli alberi è scossa più che le fronde,  il fumo di una ciminiera s'inclina e si allontana più rapidamente di quanto non  succeda al fumo di un basso comignolo.
  FORZA  CENTRIFUGA
  Tutti i giorni abbiamo a che fare con una forza apparente che  influenza molte delle nostre azioni: la forza centrifuga. Questa è la forza a  cui ogni corpo è sottoposto quando è messo in rotazione, spingendolo verso  l'esterno. Se non esistesse questa forza, come si spigherebbe il fatto che il  bucato aderisce la cestello della lavatrice quando è in funzione? Oppure,  perché se siamo in macchina e svoltiamo a destra, il nostro corpo tende ad  andare a sinistra? Anche in atmosfera questa forza è importante ed è massima  all'equatore e nulla ai poli. Quando le isobare sono curve, oltre alla forza di  gradiente e alla forza di Coriolis, le particelle d'aria, in moto circolare  intorno alla Terra, subiscono anche l'effetto della forza centrifuga. 
  La forza centrifuga ha l'effetto di diminuire l'intensità del  vento tra due isobare non rettilinee, se si è in condizione ciclonica (bassa  pressione); ha la tendenza ad aumentarla se si è in condizione anticiclonica  (alta pressione). Questo accade perché, quando la curvatura è ciclonica, la  forza centrifuga si oppone alla forza barica diretta verso il centro di bassa  pressione, perciò la velocità impressa alla massa d'aria dalla forza totale è  meno intensa del caso in cui le isobare sono rettilinee e sulle quali non può  agire la forza in questione. Quando la curvatura è anticiclonica, la forza  centrifuga si somma all'azione della forza barica opposta al centro di alta  pressione: la velocità impressa alla massa d'aria dall'azione delle due forze  risulta maggiore. 
  FRONTI FREDDI  E FRONTI CALDI
  Ascoltando le previsioni del tempo trasmesse dalla radio o dalla  televisione, chissà quante volte abbiamo sentito addossare la colpa del  maltempo all'arrivo di un fronte freddo o di un fronte caldo. 
  In effetti i sistemi frontali, che vediamo spesso rappresentati  sulle carte meteorologiche con delle linee blu o rosse, hanno una grande  importanza nel determinare le condizioni del tempo. Il fronte è infatti una  superficie di separazione tra due masse d'aria aventi caratteristiche termiche  diverse, cioè una più fredda ed una più calda. 
  La classificazione dei fronti si basa sul loro movimento: si dice  fronte caldo quello che delimita l'invasione di una massa d'aria calda su zone  già occupate da aria fredda in arretramento; viceversa, il fronte freddo segna  il confine dell'aria più fredda che avanza sostituendosi a quella più calda. 
  In prossimità di un fronte si può sempre osservare lo sviluppo di  nuvolosità. 
  Nel caso di un fronte caldo, l'aria che sopraggiunge, essendo più  leggera, scorre sopra alla massa d'aria fredda. Con la salita dell'aria si ha  la condensazione dell'umidità presente e la conseguente formazione di nubi,  perlopiù di tipo stratificato. L'area interessata da precipitazioni, in genere  costituite da piogge non forti ma continue, si può estendere per 300-400 chilometri.  L'arrivo di un fronte caldo è anticipato dalla presenza dei cirri, le tipiche  nubi a forma di filamento, che preannunciano il peggioramento, anche se il  fronte è ancora distante magari 800 o 1000 chilometri! 
  Ad un fronte freddo sono invece spesso associate manifestazioni  temporalesche. L'aria fredda che avanza solleva in modo più rapido e violento  l'aria calda; in questo caso la zona coinvolta è più localizzata; si ha  formazione di nubi cumuliformi, molto sviluppate in altezza, che danno origine  ad elevata turbolenza e talvolta a violente precipitazioni, come rovesci o  addirittura grandine.
  GEOPOTENZIALE
  "Geopotenziale" è sicuramente un termine da addetti ai  lavori ma in realtà non è difficile per chi naviga nei siti internet dedicati  alla meteorologia imbattersi in rappresentazioni grafiche di questa misteriosa  grandezza o meglio di quella che si chiama "altezza geopotenziale".  Ma andiamo per ordine: come ogni altra cosa dotata di massa anche il gas aria è  soggetto alla forza di gravità che lo trattiene alla terra per cui ogni qual  volta dell'aria si solleva allontanandosi dal centro del pianeta viene spesa  dell'energia per vincere questa attrazione, viene compiuto quello che i fisici  definiscono un lavoro. Ebbene si definisce il geopotenziale come il lavoro  necessario per spostare verso l'alto una massa di aria unitaria. Posto per  convenzione che il geopotenziale sia nullo al livello del mare, il  geopotenziale ad una certa altezza z altro non è che il lavoro, l'energia spesa  per innalzare dal livello del mare fino a z una massa unitaria di aria. 
  L'altezza geopotenziale è una grandezza strettamente correlata al  geopotenziale perché ottenuta dividendo quest'ultimo semplicemente per una  costante ossia il valore dell'accelerazione di gravità media al livello del  mare. La sua introduzione non vuole essere un giochino matematico  insignificante ma trova la sua ragione d'essere nel fatto che la forza di  gravità è quasi una costante nello strato di atmosfera di interesse per motivi  meteorologici per cui si può dimostrare che l'altezza geopotenziale è  numericamente pressoché identica all'altezza geometrica. Quindi rappresentare  graficamente con delle isolinee (linee di ugual valore) l'andamento  dell'altezza geopotenziale di una superficie dell'atmosfera a pressione  costante (sono comuni le rappresentazioni della 850, della 700 e della 500 hPa)  altro non è che rappresentare come la stessa superficie si distribuisca in  termini di altezza, di quota sopra le nostre teste. Se al di sopra di Roma  l'altezza geopotenziale della 850 hPa è pari a 1550 significa che per trovare  un valore di pressione di 850 hPa dobbiamo salire sulla verticale di Roma fino  a 1550 metri  di quota. 
  Un'altra informazione molto immediata possiamo trarre dalla  rappresentazione dell'altezza geopotenziale (indicata quasi sempre  semplicemente come geopotenziale) sulle superfici a pressione costante. Infatti  senza entrare troppo nel dettaglio si può dimostrare che qualche centinaio di  metri al di sopra del suolo l'aria si muove approssimativamente lungo le  suddette isolinee di geopotenziale (chiamate anche isoipse) lasciando alla  propria destra valori più elevati e alla propria sinistra valori più bassi di  geopotenziale. L'aria in quota si muove quindi in senso antiorario intorno ad  un minimo di geopotenziale e nel senso delle lancette di un orologio intorno ad  un suo massimo. Se vogliamo quindi avere una indicazione di come si muovono le  masse d'aria in quota andiamo pure a ricercare nelle tante carte ormai  disponibili in rete, quelle che rappresentano l'andamento del geopotenziale  sulla superficie a 500 hPa !
  LA FORZA DI GRADIENTE
  Forse non è scontato, ovvio per tutti ma anche l'impalpabile gas  aria è soggetto a delle forze, quelle forze che del resto rendono l'atmosfera  un involucro della terra estremamente dinamico, sempre in moto continuo. A  questo gioco alla fune partecipano non solo la forza di gravità con cui la  terra mantiene a sé la nostra preziosa aria ma anche altri tipi di forza meno  conosciuti come gli attriti, la forza di Coriolis e quella di gradiente. Lasciando  ad altre voci del glossario l'approfondimento delle prime forze citate,  vogliamo qui chiarire cosa si intende per forza di gradiente o, forse più  correttamente, "forza di gradiente della pressione". 
  Gradiente innanzitutto: è in realtà un termine non specifico della  meteorologia ma coniato dai matematici e che viene tirato in causa in svariati  ambiti e quindi anche dai meteorologi quando si sta trattando una grandezza che  varia, cambia di valore nello spazio. Nel nostro caso specifico questa  grandezza è la pressione esercitata su ogni punto dell'atmosfera dal peso della  colonna d'aria sovrastante. Ora, il gradiente  x è un qualcosa che con il suo valore numerico  ci dà delle indicazioni di come e di quanto varia x movendoci nello spazio. Si  parla quindi anche di gradienti verticali, orizzontali, lungo la tal direzione  non solo della pressione ma anche della temperatura. 
  La pressione atmosferica non solo diminuisce con la quota ma varia  anche al suolo o più in generale lungo un qualsiasi piano orizzontale e in  questo quadro si inserisce la forza di gradiente che "spinge" l'aria  dai punti in cui la pressione è maggiore a quelli in cui è minore. Il gradiente  di pressione ci fornisce una indicazione quantitativa di quanto velocemente  vari la pressione e quindi in ultima analisi di quanto intensa sia questa  spinta verso i luoghi dove la pressione è più bassa. Naturalmente a forti  sbalzi di pressione corrispondono spinte più decise e quindi movimenti d'aria,  alias venti, più intensi. 
  Possiamo quindi concludere che i venti sospingono l'aria dalle  alte alle basse pressioni e sono tanto più intensi quanto maggiore è il salto  di pressione che incontrano nel loro cammino ? 
  Non proprio, non è così semplice, infatti bisogna tener conto  degli altri partner nel suddetto tiro alla fune, in primis della forza di  Coriolis, e nel tira e molla che ne consegue risulta in realtà che i venti  tendono a muoversi, soprattutto sui mari, lungo traiettorie non molto dissimili  dalle linee di uguale pressione, le cosiddette "isobare". A tutto ciò  si aggiungono l'effetto degli attriti con il suolo e l'orografia, la posizione  di valli e montagne. Ne consegue che sulla terraferma i venti hanno direzioni  molto meno regolari e che a forti gradienti di pressione (individuabili sulle  mappe da aree con le isobare molto fitte, vicine tra di loro) non  necessariamente si legano dei venti particolarmente intensi. 
  Un esempio per tutti: quando dell'aria viene sospinta verso una  catena montuosa non è detto che riesca a scavalcarla ma potrebbe anche solo aggirarla;  in ogni caso però se si analizza la pressione un suo massimo è presente sul  lato sopravvento della catena (quello dove va accumulandosi l'aria), un minimo  su quello sottovento. Il salto di pressione, e quindi il suo gradiente, è  marcato tra i due versanti delle montagne ma se l'aria in arrivo non è  abbastanza energica per scavalcare i rilievi, i venti risultano deboli. Nel  caso in cui avviene lo scavalcamento i venti di discesa sul lato sottovento  risultano invece anche forti e sono diretti trasversalmente alle isobare.  Morale della favola: un esame solo superficiale di una mappa con l'andamento  della pressione al suolo, senza una conoscenza approfondita della morfologia  del territorio, spesso può portare a conclusioni errate sulla direzione ed intensità  dei venti. 
  GRADIENTE  TERMICO
  Un'esperienza comune a molti è la diminuzione della temperatura  dell'aria all'aumentare della quota, ciò accade normalmente, in quanto con  l'altezza aumenta la distanza dal suolo, fonte diretta di riscaldamento dell'atmosfera  e inoltre l'aria risulta più rarefatta alle quote elevate. La variazione di  temperatura DT in rapporto alla differenza di quota Dz viene detto gradiente  termico. Il gradiente medio registrato in condizioni normali, nei bassi strati  atmosferici, è di circa 0.6-0.65 gradi ogni 100 metri. La variazione  reale della temperatura con la quota, in un determinato strato atmosferico, può  ovviamente differire rispetto a questo valore medio, in base alle  caratteristiche fisiche dell'aria considerata e dell'ambiente circostante.  Pensiamo, infatti, di misurare la temperatura dell'aria in una giornata  particolarmente assolata in prossimità di una strada asfaltata, facilmente ci  potremmo accorgere che la diminuzione della temperatura potrà essere di qualche  grado in alcuni metri d'altezza e quindi superare decisamente il valore del  gradiente medio, viceversa, misurando la temperatura, in un prato, durante una  notte di cielo sereno e senza vento scopriremmo che la temperatura invece di  diminuire addirittura aumenta, siamo in presenza cioè di quello che i  meteorologi chiamano inversione termica, fenomeno di grande rilevanza ad  esempio per la formazione di nebbie. 
  Ora per meglio capire l'importanza dell'individuazione del  gradiente termico nello studio della bassa atmosfera saliamo a bordo di una  particella d'aria: consideriamo, cioè, una certa massa d'aria e supponiamo che  questa sia più calda dell'aria circostante, sarà dunque più leggera e tenderà a  salire verso l'alto, così facendo man mano troverà valori di pressione in  continua diminuzione e, di conseguenza, potrà espandersi e quindi raffreddarsi.  Al contrario, una massa d'aria più fredda e dunque più pesante, scendendo  troverà pressione più alta e, di conseguenza, si comprimerà aumentando la sua  temperatura. Tutto questo senza che ci sia uno scambio diretto tra le masse  d'aria con caratteristiche diverse. Siamo in presenza cioè di un fenomeno detto  adiabatico (vale a dire senza scambi di calore). 
  A questo punto, per determinare la variazione di temperatura della  nostra massa d'aria è necessario conoscere il suo contenuto d'umidità. Per  semplicità esaminiamo due casi estremi: se siamo in presenza d'aria  particolarmente secca allora la diminuzione riscontrabile ogni 100 metri sarà intorno ai  0.98 gradi. Questo valore ha una particolare importanza in meteorologia e  prende il nome di gradiente adiabatico secco. Se al contrario siamo in presenza  di una massa d'aria particolarmente umida e vicina alla condensazione allora la  variazione che dovremmo attenderci sarà inferiore e prossima ai 0.5 gradi ogni 100 metri. 
  Questi due valori sono molto importanti in quanto costituiscono  una specie di valori guida per determinare le condizioni di stabilità o  d'instabilità in cui si trova l'atmosfera in una certa zona. Nell'atmosfera reale,  infatti, il modo in cui la temperatura varia con la quota dipenderà da  molteplici fattori, e il gradiente potrà così assumere valori che variano  sensibilmente sia nel tempo che nello spazio e che non coincidono esattamente  con i due precedentemente identificati per una singola massa d'aria. Quindi se  il gradiente reale risulta inferiore a 0.5 °C ogni 100 metri, i moti  verticali di una qualsiasi massa d'aria saranno decisamente soppressi in quanto  muovendosi verso l'alto, questa verrebbe a incontrare aria già più calda;  saremo così in presenza d'aria stabile. Se al contrario, il gradiente fosse  superiore a 0.98°C/100 m, una massa d'aria spostandosi verso l'alto  risulterebbe sempre più calda dell'aria circostante e quindi potrebbe portarsi  sempre più in su almeno fino a quando il gradiente reale continui a mantenersi  su valori elevati; in questo caso saremo in presenza di aria fortemente  instabile, condizioni ideali per lo sviluppo di nubi a forte sviluppo verticale  che potrebbero originare anche forti temporali. 
  È allora evidente quanto sia importante determinare il profilo  termico in una determinata zona e questo viene fatto tramite l'utilizzo di  particolari sonde, poste a bordo di palloni che forniscono una serie di dati,  tra cui misure di temperatura, in funzione della quota di misurazione. A  partire da queste informazioni è dunque possibile stabilire il gradiente  verticale di temperatura caratteristico di ogni strato atmosferico, più o meno  esteso verticalmente, che viene a trovarsi grosso modo sulla verticale del  luogo di lancio.
  COME VARIA LA PRESSIONE CON LA QUOTA
  L'atmosfera presenta caratteristiche differenti di temperatura, di  densità e di composizione man mano che si procede dal suolo fino ai livelli più  alti. 
  Si possono pertanto riconoscere e delimitare diversi strati  succedentisi verso l'alto, ora prendendo come base di delimitazione le  variazioni altimetriche della temperatura ora i mutamenti nella composizione  chimica o il verificarsi di determinati fenomeni fisici. Tuttavia, le  suddivisioni verticali compiute considerando diversi elementi non sono sempre  tra loro concordanti e alcuni di essi, come la pressione e la densità  dell'aria, non consentono alcuna suddivisione, in quanto non presentano alcuna  discontinuità con l'altezza. 
  La pressione, come è noto, diminuisce con l'aumentare della quota.  Ciò si verifica poiché la massa dei gas atmosferici è attratta dalla terra e si  concentra in prossimità di essa. Gli strati più densi si trovano dunque a  contatto con il terreno e man mano che si procede verso l'alto l'altezza della  colonna d'aria sovrastante, e quindi il suo peso, diventa minore, e i gas  presenti negli strati superiori dell'atmosfera sempre più rarefatti. 
  La diminuzione con l'altezza non è quindi proporzionale alla  quota; la pressione dapprima decresce rapidamente e poi sempre più lentamente.  Ad esempio, in prossimità del livello del mare tale decrescita è pari a circa 1  hPa ogni 8.3 m,  mentre in montagna, intorno ai 1500 metri, il gradiente verticale (cioè la  rapidità della diminuzione con la quota) è già pari a 1 hPa ogni 10 m; oppure, intorno ai 1500 metri di quota la  pressione è mediamente pari a 850 hPa, a 3000 m è circa di 700 hPa, a 5000 m di 500 hpa e al  limite della troposfera, cioè intorno ai 12000 m è di circa 200 hPa. 
  Il gradiente verticale della pressione dipende strettamente dalle  caratteristiche termiche dello strato d'aria considerato: la pressione decresce  con la quota tanto più rapidamente quanto più bassa è la temperatura dell'aria. 
  Ne consegue che lo spessore di uno strato d'aria è tanto più  ristretto quanto più l'aria è fredda ed è tanto più alto quanto più l'aria è  calda. Infatti, in un anticiclone freddo del tipo di quelli che si formano sui  continenti durante l'inverno (ad esempio l'Anticiclone Siberiano), la diminuzione  della pressione con la quota è talmente rapida che a poche migliaia di metri  l'alta pressione viene sostituita da una depressione. Per lo stesso motivo,  depressioni calde di origine termica scompaiono presto in quota, a causa della  lenta diminuzione della pressione con l'altitudine. 
  GRANDINE
  Alle nostre latitudini, dopo la tromba d'aria, il temporale è  senza dubbio il fenomeno meteorologico più violento. 
  Le precipitazioni provocate dai temporali sono in genere molto  abbondanti e talvolta alla pioggia si unisce la grandine (granelli di ghiaccio  con diametro superiore a 5   millimetri). Ma come si formano i chicchi di grandine?  All'interno del cumulonembo, nello strato di nube in cui la temperatura è  compresa fra 0°C  e -10°C,  coesistono cristallini di ghiaccio e goccioline d'acqua sopraffuse, cioè  rimaste allo stato liquido malgrado la temperatura negativa. In queste  condizioni particolari i cristalli di ghiaccio tendono ad accrescersi per  processi di sublimazione (passaggio dallo stato di vapor acqueo a quello di  ghiaccio) a spese delle goccioline di acqua che tendono invece ad evaporare.  Questi piccolissimi granuli di ghiaccio, mantenuti all'interno della nube  temporalesca da imponenti correnti ascendenti, collidono con le goccioline  sopraffuse accrescendo ulteriormente le proprie dimensioni. 
  Se i moti convettivi sono deboli, i granuli di ghiaccio, una volta  raggiunto l'apice della nube, dove le correnti ascendenti divergono,  precipiteranno verso il suolo attraversando strati d'aria con temperatura relativamente  elevata e raggiungeranno il terreno sotto forma di pioggia; se invece le  correnti ascendenti sono intense, le particelle resteranno a lungo nella nube e  gli intensi moti vorticosi in essa presenti, per molte volte ancora, li  trasporteranno in alto, poi in basso e ancora verso l'alto, consentendo, ad  ogni ciclo, la formazione di un nuovo rivestimento di ghiaccio. 
  Quando i chicchi di grandine saranno diventati tanto pesanti da  non poter essere più sorretti dalle correnti ascendenti, precipiteranno  violentemente verso il suolo con le conseguenze che tutti conoscono. 
  Come è possibile risalire all'età di una pianta contando gli  anelli del tronco, è possibile risalire al numero di cicli che il granello è  riuscito ad effettuare all'interno della nube contando i gusci concentrici di  cui è formato. Se ne possono trovare anche più di una ventina. In questa  caratteristica "stratificazione a cipolla" si alternano strati di  ghiaccio opaco (biancastro) a strati di ghiaccio trasparente; questi ultimi si  formano nella zona della nube in cui sono presenti i moti ascendenti, dove cioè  la quantità di goccioline sopraffuse è elevata, mentre gli strati biancastri,  cioè ricchi di bolle d'aria, si formano nella regione in cui il chicco cade,  cioè dove il contenuto d'acqua è meno abbondante. 
HEATINDEX -  L'INDICE DI CALORE PER MISURARE L'AFA
  La sgradevole sensazione di afa è causata dalla presenza  simultanea di valori elevati di temperatura ed umidità dell'aria. Infatti in  tali condizioni il corpo ha difficoltà a refrigerasi, nonostante la sudorazione  e la vasodilatazione. 
  Se l'afa è intensa il corpo rischia di perdere, per sudorazione,  quasi tutto il contenuto in acqua dei tessuti, ossia si disidrata, cosicché la  temperatura corporea, non più controllata dalla sudorazione, inizia a salire  fino a superare, talvolta, i 42° C, limite oltre il quale avviene il decesso  per colpo di calore. 
  Il rischio maggiore è per gli anziani, perché, avendo nei tessuti  un minore quantità di acqua, si disidratano più facilmente. 
  Vi è un apposito indice per misurare l'intensità dell'afa.: la  temperatura apparente (o indice di calore ), la quale indica la temperatura  effettiva da noi avvertita in presenza di afa. Si rischia il colpo di calore  quando tale indice supera 42° C. Ad esempio, se il termometro segna 32° C e  l'igrometro misura un'umidità del 60% , la temperatura apparente è 36°C. Invece con una  temperatura di 38° C ma un'umidità relativa appena del 10% si avverte una  temperatura di 33° C. 
  Ma dove rifugiarsi quando il caldo e l'afa incominciano a farsi  opprimenti? In questi casi, più che il mare, è consigliabile un comodo  soggiorno in montagna: in altura difatti l'aria è più fresca, dato che la  temperatura cala di circa un grado ogni 150 metri di altitudine,  ed inoltre è anche molto più secca, venendo a mancare quel meccanismo di  accumulo di umidità nei bassi strati tipico delle zone pianeggianti 
  IDROMETEORE
  Dal greco hýdor 'acqua' e metéoros 'che sta in alto, nel cielo'.  Con questo termine si indicano in meteorologia tutti quei fenomeni di  condensazione e di precipitazione dell'umidità atmosferica sotto forma di  particelle di acqua liquide o solide. La pioggia, la grandine, la neve, sono  dette idrometeore di precipitazione, mentre per le nebbie e le nubi si parla di  idrometeore di condensazione. 
  Quando si verificano determinate condizioni di temperatura e  pressione, dette condizioni di saturazione, il vapor d'acqua può condensare  attorno alle microscopiche particelle solide presenti in sospensione nell'aria  (gli aerosoli), formando inizialmente goccioline o piccolissimi cristalli di  ghiaccio (così si formano le nubi). Se permangono tali condizioni, si ha poi il  processo di accrescimento: in questo caso le goccioline o i minuti cristalli di  ghiaccio possono aumentare di dimensione e infine precipitare al suolo. In  questo modo al suolo può giungere pioggia oppure, quando la temperatura dello  strato di aria vicina alla superficie è sufficientemente bassa, neve. 
  La formazione della grandine è associata tipicamente alle  imponenti nubi temporalesche, caratterizzate da forti correnti ascensionali.  Gocce di pioggia ghiacciata vengono più volte trasportate velocemente verso  l'alto: ad ogni sollevamento il "chicco" di grandine aumenta di  dimensioni, fino a quando non precipita definitivamente al suolo. La nebbia è  una sospensione, negli strati dell'atmosfera vicini al suolo, di minutissime  goccioline d'acqua, del tutto simili a quelle che costituiscono le nubi. Può  avere diverse cause, prima fra queste il raffreddamento notturno della  superficie terrestre in presenza di aria umida e scarsamente ventilata: vengono  così raggiunte le condizioni di saturazione e l'umidità condensa in goccioline. 
  Rugiada, brina e galaverna sono associate tutte alla condensazione  (e sublimazione) dell'umidità dell'aria su corpi e superfici al suolo più  freddi dell'aria stessa. Mentre le prime due sono fenomeni tipicamente  notturni, dovuti al raffreddamento della superficie terrestre in notti serene,  la terza consiste nella solidificazione di gocce di nebbia (o di nube bassa). 
  INSTABILITÀ
  Durante la stagione primaverile, seguendo le previsioni  meteorologiche in televisione o leggendo i bollettini meteo su riviste e  quotidiani, sovente capita di sentir parlare di instabilità pomeridiana: ma  cos'è questa famigerata instabilità? E perché puntualmente torna a far capolino  con la primavera, dopo un apparente "letargo invernale"? 
  Per instabilità si intende, in meteorologia, il fenomeno per cui  masse d'aria a quote differenti tendono a rimescolarsi: solitamente aria più  calda rispetto a quella circostante tende a sollevarsi, lasciando così spazio  ad aria più fredda in discesa dagli strati superiori. Perché possa verificarsi  questo fenomeno è però necessaria una certa differenza di temperatura tra gli  strati d'aria più bassi e quelli più alti. Quanto più è calda l'aria negli  strati inferiori rispetto a quella in quota, tanto maggiore sarà l'instabilità  che si crea. Perché dunque questo fenomeno torna a presentarsi con frequenza  solo a partire dalla stagione primaverile? Perché proprio con la primavera le  masse d'aria fredda in arrivo dall'Atlantico scorrono su un suolo maggiormente  riscaldato rispetto al periodo invernale: l'aria si scalda così dal basso,  dando quindi luogo al fenomeno dell'instabilità, proprio come in una pentola,  dove l'acqua a contatto con il fondo della pentola si scalda e sale. 
  Ma è così importante questa instabilità? Per rispondere basta  segnalare che questo fenomeno è una delle principali cause di formazione di  nubi e rovesci in primavera ed estate.
  INSTABILITÀ  ATMOSFERICA E I SUOI INDICATORI
  Una massa d'aria si dice instabile quando al suo interno si creano  correnti ascensionali o convettive. La presenza di queste correnti è uno degli  elementi più importanti per la formazione di nubi cumuliformi (cumuli e cumulonembi),  alle quali possono essere associate piogge anche di forte intensità. Per un  meteorologo quindi individuare una condizione di instabilità permette di  prevedere lo sviluppo di nubi cumuliformi ed eventualmente il verificarsi di  temporali o rovesci. 
  Per farlo, il meteorologo ha a disposizione alcuni indici  fisico-matematici, elaborati dai centri meteorologici mondiali che riescono a  quantificare il grado di instabilità di una massa d'aria partendo dalle sue  caratteristiche fisiche (temperatura, umidità,…) e dalle condizioni  meteorologiche (venti, pressione atmosferica, andamento della temperatura  dell'aria con l'altezza,…). 
  In realtà ci sono anche altri sintomi tipici dell'aria instabile  che chiunque può utilizzare per riconoscere il grado di stabilità o instabilità  dell'aria. 
Sono, ad esempio, sintomi di instabilità questi fattori:
- presenza di nubi cumuliformi;
 - vento in intensificazione nelle ore più calde della giornata;
 - brezze molto attive sin dal primo mattino;
 - il fumo in uscita dai camini o dalle ciminiere ha aspetto serpeggiante.
 
Al contrario sono sintomi di stabilità:
- presenza di nubi stratiformi;
 - venti deboli e brezze quasi assenti;
 - il fumo in uscita dai camini forma una lunga scia orizzontale;
 - le città sono ricoperte da un sottile strato di caligine.
 
Oltre a questi fattori, il contributo del riscaldamento solare aumenta il livello di instabilità e può diventare l'elemento determinante per lo sviluppo di nubi torreggianti e di temporali: nelle ore pomeridiane e serali di una calda giornata primaverile o estiva, il suolo si scalda molto e trasmette il calore agli strati d'aria a diretto contatto. Questi si scaldano, si dilatano e iniziano a salire nell'atmosfera; se la temperatura della bolla d'aria in risalita rimane più alta di quella degli strati di atmosfera che sta attraversando, l'ascesa continua e si può arrivare con facilità alla formazione di nubi temporalesche. Ecco perché un altro fattore determinante per l'individuazione del grado di instabilità dell'atmosfera è l'andamento della temperatura con l'altezza. In vari aeroporti italiani e mondiali ogni giorno per più volte al giorno vengono lanciati palloni sonda in grado di misurare la temperatura dell'aria a vari livelli fornendo così ai meteorologi un elemento in più per prevedere i soliti "imprevedibili" temporali.
  ISOBARE
  Tra le varie mappe di cui il meteorologo si serve per la  descrizione del tempo, riveste particolare importanza quella che riproduce  l'andamento della pressione atmosferica al livello del mare sull'area di  interesse. 
  Tale andamento viene descritto attraverso le isobare, le quali non  sono altro che linee che uniscono tutti i punti che, sull'area geografica  prescelta, hanno la stessa pressione. Nel tracciare le isobare, possono  prendere forma delle strutture in cui, le isobare stesse, racchiudono delle  aree i cui punti si trovano tutti alla stessa pressione. Se le isobare assumono  una conformazione quasi concentrica con un minimo di pressione nella parte  centrale siamo in presenza di un ciclone o depressione; se, al contrario, le  isobare assumono, sempre nella parte centrale, il valore massimo, avremo una  struttura che si chiama anticiclone. 
  Assieme ai cicloni si muovono i sistemi frontali che rivestono  particolare importanza per il tempo alle medioalte latitudini.
  ISOIPSE
  In meteorologia è frequente sentire frasi del tipo "La  situazione a 850 hpa…" oppure "Osservando la temperatura a 500 hpa…".  Ma cosa sono questi 850 o 500 hpa? Se le stesse frasi fossero tramutate in  "La situazione a 1500   metri di quota…" e "Osservando la temperatura  a 5500 metri…" tutto filerebbe liscio. Ecco, senza addentrarci troppo  nella questione, è sufficiente sapere che alle espressioni tipo 850, 700, 500 hpa  si possono associare effettivamente delle quote, delle altitudini. In realtà,  per essere più precisi, l'hpa è un'unità di misura della pressione; ma con  l'espressione "a 850 hpa" si intende "alla quota a cui la  pressione atmosferica vale 850 hpa". 
  Nelle mappe meteorologiche tale quota è rappresentata tramite una  grandezza detta altezza di geopotenziale: essa è per definizione la quota alla  quale la pressione atmosferica è pari a un determinato valore. Le linee che  uniscono i punti in cui tale altezza di geopotenziale, assume lo stesso valore  vengono dette isoipse. Si tratta di linee chiuse a ciascuna delle quali è  associato un numero: tale valore rappresenta la quota alla quale ci si  riferisce, espressa solitamente in metri o decametri. Ad esempio se in una  "carta a 850 hpa" (cioè in una mappa nella quale il valore dei  parametri rappresentati quali temperatura, venti, umidità è quello che essi  assumono "alla quota di 850 hpa"), su una isoipsa si legge il valore  1500, significa che in tutte le località attraversate da quella linea la  pressione di 850 hpa è raggiunta a un'altitudine di 1500. Se invece si legge un  valore dell'ordine delle centinaia, ad esempio 150, significa che l'unità di  misura utilizzata è il decametro: 150 decametri = 1500 metri. 
  Analogamente a quanto accade per le isobare al suolo, il valore  delle isoipse non è importante in senso assoluto, ma in senso relativo. Nella  ragnatela delle isoipse diventa così possibile individuare massimi e minimi,  normalmente indicati con le lettere A e B oppure H e L (High, Low), proprio  come nelle "carte al suolo" si individuano le zone di alta e bassa  pressione racchiuse dalle isobare. Si può anche dimostrare che in quota l'aria  si muove approssimativamente lungo le isoipse, lasciando alla propria destra  valori più elevati e alla propria sinistra valori più bassi dell'altezza di geopotenziale.  La rappresentazione delle isoipse nelle carte è quindi di fondamentale  importanza per l'individuazione del movimento delle masse d'aria alle varie  quote. In definitiva le isoipse in quota possono essere interpretate, a grandi  linee, come le isobare al suolo.
  ISOTERME
  Le previsioni del tempo trasmesse in televisione o riportate sui  giornali hanno reso comuni alcuni termini scientifici utilizzati in  meteorologia. Ad esempio, chi non ha mai sentito parlare di "campo barico  al suolo", o non ha mai visto quelle linee a volte anche molto sinuose  chiamate isobare? Probabilmente solo poche persone. A non molti, al contrario,  sono note quelle linee che uniscono i punti dove viene rilevata la stessa  temperatura e che prendono il nome di "isoterme". Anche se meno  conosciute, per un meteorologo non sono meno importanti delle isobare. Infatti,  grazie ad esse è possibile riconoscere la posizione delle masse d'aria calde e  fredde presenti al suolo ed in quota e, in base alla direzione e all'intensità  dei venti, anche ricostruirne la traiettoria e la velocità di spostamento. Le  isoterme, laddove risultano particolarmente ravvicinate tra loro, indicano  chiaramente la posizione della principale causa di maltempo: il fronte, cioè la  linea ideale che delimita al suolo l'irruzione di aria fredda verso zone prima  occupate da aria più calda (fronte freddo), oppure l'invasione di aria più  calda verso regioni precedentemente occupate da aria più fredda (fronte caldo).  Il fronte più facilmente individuabile osservando attentamente le isoterme è  quello freddo e ad esso sono associate le nubi cumuliformi, cioè a forte  sviluppo verticale, come i cumolonembi, responsabili dei fenomeni più violenti  come i rovesci e i temporali che proprio in questa stagione iniziano a  diventare intensi anche al Nord. 
  In conclusione, grazie alle isoterme, possiamo prevedere non solo  l'arrivo di aria calda o fredda sulle nostre regioni, ma anche il tipo di  fenomeni associati a tale evento e la loro l'intensità. 
  MAESTRALE
  Uno dei venti più intensi e rafficosi che interessano i bacini  della nostra penisola è sicuramente il Maestrale; nome questo, usato da noi  italiani per identificare il Mistral, un vento che ha origine nel Sud della  Francia. 
  La caratteristica essenziale che un vento deve possedere per  essere chiamato Maestrale, è la sua direzione di provenienza. Il Maestrale  infatti proviene da Nord-ovest e porta sui nostri mari aria fredda proveniente  da più alte latitudini. 
  La genesi di questo vento si ha quando correnti di aria polare o  artica irrompono nel Mediterraneo occidentale dalle coste della Provenza. In  queste circostanze le masse d'aria provenienti da Nord, scavalcano il Massiccio  Centrale francese ed i Pirenei, incanalandosi poi lungo la valle del Rodano,  dove vengono molto accelerate dalla rapida discesa sui versanti sottovento.  Nella maggior parte dei casi, questa accelerazione consente ai venti di Mistral  di giungere ancora irruenti fino alle coste di Corsica e Sardegna. 
  Il Maestrale nasce come vento "freddo" e ricco di  umidità, che acquisisce sui mari del Nord; nello scontro con gli ostacoli  orografici Francesi, perde molto vapore acqueo come Stau sopra vento, per poi  arrivare sul Mediterraneo come vento relativamente secco. Nel transitare sopra  queste acque, si carica di nuovo di umidità e si riscalda, risultando così,  alla fine di questo processo, molto instabile. Questa instabilità favorisce,  all'interno delle masse d'aria, lo sviluppo di moti convettivi, i quali tendono  a trasportare verso l'alto, oltre al calore, il vapore acqueo. Questo fa sì che  il Maestrale dia luogo al formarsi di isolate nubi cumuliformi, talvolta ad  elevato sviluppo verticale così da diventare cumulonembi temporaleschi. 
  I moti convettivi appena menzionati hanno anche un altro effetto  sul Maestrale; infatti le correnti discendenti ad essi associate spingono verso  il basso i venti degli strati superiori, meccanismo questo che fa in modo che  il Maestrale sia un vento molto rafficoso. Per quel che riguarda l'intensità  del Maestrale, essa è solitamente soggetta ad una variazione diurna indotta sia  dalle brezze diurne, sia dai moti convettivi. 
  A causa della opposta direzione di provenienza infatti, le brezze  di mare tendono a moderare la velocità del vento sulle coste Francesi mentre  tendono ad incrementarla sulle coste della Sardegna. Per ciò che riguarda la  presenza di moti convettivi diurni, lo stesso meccanismo sopra descritto, oltre  a causare molte raffiche, incrementa la velocità del vento stesso.
  MEDIE IN  CLIMATOLOGIA
  "…le temperature di oggi sono state al di sopra delle medie  di questo periodo…", "…è stato un inverno particolarmente secco: la  quantità totale di pioggia caduta è stata nettamente sotto la media…".  Questi e altri commenti simili sono oramai entrati nel gergo popolare e tutti  quanti sappiamo, più o meno, che cosa si intende con "al di sopra" o  "al di sotto" rispetto alla media; in effetti dire "in  media" è come dire "solitamente" oppure "con molta  probabilità" o anche "nella maggior parte dei casi". La  climatologia risponde all'esigenza di conoscere com'è "solitamente"  il tempo in una determinata zona del globo terrestre attraverso l'analisi  statistica dei parametri meteorologici come la temperatura, la quantità di  precipitazioni, l'intensità del vento, ecc. Ad esempio il calcolo dei valori  medi di tali parametri è molto utile per avere un indice al quale riferirsi  ogniqualvolta si voglia confrontare una determinata situazione con la  "normalità" descritta, appunto, da questi valori rappresentativi. 
  Vi sono differenti definizioni di media di una serie di valori;  quella più semplice, e più conosciuta, è la media aritmetica data dalla somma  dei valori diviso il loro numero. Non sempre, però, questo tipo di media è  adatto a rappresentare una serie di dati: infatti essa funziona bene quando la  distribuzione di frequenza di questi dati è simmetrica (a "campana" o  gaussiana) attorno a un certo valore che, oltre a rappresentare il valore più  probabile, è ottenuto appunto dalla media aritmetica di tutto l'insieme di  valori. La temperatura, ad esempio, è rappresentata efficacemente nelle sue  medie aritmetiche decadali, mensili, stagionali o annuali che costituiscono,  quindi, la situazione termica normale per la specifica località. 
  Se, però, la distribuzione di frequenza non risulta simmetrica la  media aritmetica non è più indicativa ma è meglio adoperare altri valori di  riferimento: uno tra questi è la mediana definita come il valore centrale di  una serie di dati ordinati in ordine crescente. La mediana divide esattamente  in due parti equiprobabili l'intero campione di dati, ossia: il parametro in  questione ha il 50% di probabilità di assumere valori al di sotto o al di sopra  della mediana; perciò possiamo vederla come una "via di mezzo"  alternativa che, comunque, si identifica con la media aritmetica in caso di  distribuzione simmetrica. La quantità di pioggia giornaliera, per esempio, ha  una distribuzione di frequenza che decresce molto velocemente man mano che i  valori aumentano: infatti tutti possiamo immaginare come sia molto più  frequente l'accumulo di piccole quantità di precipitazione rispetto a grosse  quantità in un giorno. Anche l'intensità del vento segue un andamento simile  come distribuzione, quindi i suoi valori normali sono meglio descritti dalla  mediana piuttosto che dalla media aritmetica.
  MOTI CONVETTIVI
  L'aria si muove perché la superficie terrestre viene riscaldata in  modo diseguale. Al variare della temperatura, varia la densità dell'aria e  quindi la pressione atmosferica, si formano quindi delle forze che tendono a  ripristinare l'equilibrio barico, mettendo in moto l'aria. Come nella realtà  ciò avvenga è piuttosto complesso, perché molte sono le variabili che entrano  in gioco, ma in termini ideali la cosa è piuttosto semplice. Prendendo a  prestito il classico esempio della pentola d'acqua posta su un fornello, avremo  che l'acqua immediatamente sopra la fonte di calore si riscalda e dilatandosi  diviene più leggera e si porta verso l'alto, determinando una parziale  diminuzione di pressione sul fondo della colonna centrale e un aumento di  pressione in superficie. Si è, in tal modo, creata una disomogeneità barica tra  la colonna centrale, sopra il fornello, e le pareti laterali (fredde), nascono  così delle forze che tendono a ripristinare l'equilibrio alterato, mettendo in  moto l'acqua: dal centro verso le pareti, in superficie, e dalle pareti verso  il centro, sul fondo. Avremo così, quella che, in termini tecnici, assume il  nome di cella convettiva. 
  Il sistema appena descritto vale pari pari anche in atmosfera ogni  qual volta il sistema di circolazione sia di dimensioni relativamente limitate  (a partire dalle decine di metri fino alle decine di chilometri come nel caso  delle brezze). In termini generici, i moti delienati caratterizzano anche la  circolazione generale dell'atmosfera terrestre, determinata dalla differente  insolazione tra polo ed equatore. Su grandi scale però altri fattori,  conseguenza della rotazione terrestre e della diseguale distribuzione di mari e  terre emerse, divengono importanti, determinando così, ad esempio, la  formazione della fascia dei grandi anticicloni perenni, come l'Anticiclone  delle Azzorre, ma anche di venti superficiali caratteristici come gli alisei. 
  Le aree più favorevoli all'instaurarsi di celle convettive a  piccola o media scala sono quelle ove il suolo presenta grande varietà per  copertura e per natura (brezze mare-terra), o dove il terreno risulti  particolarmente accidentato (brezze valle-monte), infatti, la variabilità di  pendenza crea una disomogeneità di riscaldamento in conseguenza della diversa  esposizione del suolo ai raggi solari. 
  Comunque, i moti che si instaurano a piccola scala, come tra città  e periferia rurale o anche tra un campo e il bosco vicino, sono certamente i  più frequenti e quelli che rivestono particolare interesse anche sotto un punto  di vista meteorologico. Le correnti ascensionali dei moti convettivi a piccola  scala, chiamate tecnicamente termiche, possono spingersi fino ad altezze, anche  ragguardevoli, e sono abilmente sfruttate da uccelli o dai volovelisti per  mantenersi in quota a lungo. In prossimità del suolo, le termiche, sono  visualizzate da un curioso effetto di tremolio dell'aria. Analogamente il  "ballo" a cui è sottoposto una aereo durante le ore più calde dei  giorni estivi è dovuto, appunto, alla presenza di correnti ascensionali,  intervallate, nello spazio di poche centinaia di metri, a correnti discendenti  e facenti parte di più celle convettive. 
  I moti convettivi a piccola scala svolgono un ruolo della massima  importanza negli avvenimenti meteorologici, in quanto, in presenza di aria  umida, i rapidi moti ascensionali danno luogo alla formazione di nubi a grande  sviluppo verticale che portano a piogge a carattere violento (rovesci,  temporali…), eventi caratteristici dei pomeriggi estivi.
NUBI  STRATIFORMI E CUMULIFORMI
  Ogni volta che osserviamo un cielo nuvoloso ci rendiamo conto  della grandissima varietà di forme, a volte bizzarre e affascinanti, che  possono assumere le nubi: anche alle nuvole, così come alle piante o ai  minerali possiamo dare un nome. In meteorologia la classificazione più  fondamentale è quella che fa riferimento allo sviluppo verticale della  nuvolosità; distinguiamo infatti le nubi stratiformi dalle nubi cosiddette  cumuliformi. Le prime, come suggerisce il nome, risultano sviluppate  prevalentemente lungo la direzione orizzontale, talora nella forma di sottili  veli ad alta quota, come pure in quella di bassi e densi cuscini estesi per  centinaia di chilometri. I cumuli invece hanno di norma uno sviluppo verticale  almeno dello stesso ordine di grandezza di quello orizzontale; sono cumuli sia  gli innocui batuffoli tipici di un tranquillo pomeriggio estivo, sia le  minacciose nubi temporalesche che producono i temporali più violenti. 
  La classificazione descritta ha un preciso significato che rimanda  alla genesi della nube: la nube stratiforme è il risultato della condensazione  del vapore in condizione di correnti ascendenti deboli o addirittura in aria  completamente ferma (pensiamo, ad esempio alle nebbie), mentre i cumuli si  formano in corrispondenza di masse d'aria umida che salgono piuttosto  rapidamente. 
  Anche il tipo di precipitazione di norma è diverso a seconda che  si origini da una nube stratiforme o da una nube a sviluppo verticale; dagli  strati si hanno di solito piogge deboli o moderate; invece dai cumuli (in  particolare dai cumulonembi) cadono le piogge più violente, o la grandine. 
  Solo in questo tipo di nube, infatti, i moti verticali sono  abbastanza intensi da mantenere 'a galla' le gocce di pioggia più grosse e  pesanti.
PIOGGE FORTI E PIOGGE ABBONDANTI
  Ieri ha piovuto o domani pioverà……sì va bene, ma quanto ha piovuto  o quanto pioverà? Nei resoconti delle osservazioni meteorologiche la quantità  di pioggia caduta viene espressa in millimetri ed ogni singolo millimetro  equivale ad un litro di acqua piovana caduta su un metro quadrato di terreno. 
  Ci si può trovare quindi di fronte a lunghe serie storiche di  millimetri caduti il tal giorno tra l'ora x e l'ora y ma le quantità di pioggia  registrate potrebbero essere cadute con diverse modalità. Infatti tot millimetri  sono dati dall'intensità della pioggia moltiplicata per la durata della pioggia  stessa: una pioggerellina debole ma continua potrebbe quindi lasciare al suolo  lo stesso quantitativo di acqua di uno scroscio di pioggia breve ma intenso.  Sotto questa luce poniamo quindi l'attenzione a cosa si intende in sede di  cronache o di previsioni parlando di piogge forti o piogge abbondanti: entrambe  indicano precipitazioni in grado di fornire grosse quantità di pioggia ma le  prime con episodi anche brevi ma intensi, le seconde con piogge deboli ma  prolungate nel tempo. Le piogge forti si verificano in genere nei rovesci o  temporali provocati dalle nubi cumuliformi con un vasto sviluppo lungo la  verticale mentre le piogge abbondanti accompagnano in genere le nubi  stratiformi che si estendono orizzontalmente anche per centinaia di chilometri  favorendo fasi piovose prolungate. 
  Naturalmente non è escluso che piogge abbondanti e quindi  prolungate possano essere anche di moderata o forte intensità anche per alcune  ore: si tratta fortunatamente di un evento raro perchè in tal caso si ha quasi  la certezza che l'area interessata corre seri rischi di alluvione !
  PRESSIONE  ATMOSFERICA
  Per capire che cosa è la pressione atmosferica si pensi alla  colonna d'aria che si estende da una certa zona sulla superficie terrestre fino  alla cima dell'atmosfera. Il peso di questa colonna d'aria è proprio quello che  determina la pressione al suolo. Per misurare questa variabile atmosferica  viene utilizzato l'hpa (hPa). Un hPa equivale ad un millibar (mb), unità di  misura utilizzata fino a qualche tempo fa. Al livello del mare, la pressione  può oscillare tra i 950 hPa e i 1050 hPa. Man mano che si sale di quota si  assiste ad una sua diminuzione e questo avviene perché più si sale verso l'alto,  minore è lo spessore della colonna d'aria tra la quota raggiunta e la cima  dell'atmosfera. Sarà, quindi, minore il suo peso a quella quota. 
  Ma come mai la pressione varia durante il giorno? Il motivo  principale risiede nella variazione della temperatura della colonna d'aria.  Infatti un suo riscaldamento rende l'aria meno densa e quindi più leggera.  Questo è il motivo per cui, solitamente, durante le ore più calde del giorno,  in seguito al riscaldamento del suolo e di conseguenza dell'aria negli strati più  bassi, si ha un minimo di pressione. Di notte invece la colonna d'aria si  raffredda e quindi si ha un aumento del suo peso, ossia della pressione.  Naturalmente la pressione può cambiare anche per il movimento delle masse  d'aria: nella stessa colonna può entrare o uscire aria per cui se quella che  entra è maggiore di quella che esce assisteremo ad un aumento di pressione,  viceversa si avrà una sua diminuzione. L'oscillazione diurna descritta sopra è  quindi valida in linea di massima, bisogna, cioè, tenere conto anche della  variazione del contenuto d'aria nella colonna che stiamo considerando. 
  Perché di solito alle basse pressioni si associano nubi e piogge?  Nel caso di basse pressioni generate da riscaldamento per soleggiamento ciò è  dovuto all'ascesa dell'aria calda. Durante questo processo si ha il suo  raffreddamento e quindi la sua condensazione, di seguito si ha la formazione di  nuvolosità ed eventualmente piogge. Per le basse pressioni associate alle  perturbazioni, la nuvolosità è spiegabile con considerazioni di dinamica  atmosferica. Le zone di alta pressione, invece, tengono lontane le nubi: queste  zone sono caratterizzate da aria fredda che scende verso il suolo e che va in  contro a compressione. Questo scongiura la condensazione e favorisce cielo sereno.
  PRIMAVERA
  La primavera, che per gli studiosi di meteorologia si colloca tra  il 1° marzo e il 31 maggio, rappresenta senza dubbio una stagione molto attesa  da tutti, poiché si manifesta attraverso una molteplicità di fattori che  influenzano in maniera positiva la nostra psiche, visto che hanno come fulcro  il risveglio di tutta la natura dopo il "recupero di energie"  invernale. Molti di questi fattori sono legati alla situazione particolare del  clima che diviene sempre più gradevole man mano che la stagione progredisce  verso l'estate.
  I più evidenti fattori meteorologici sono:
  - la progressiva risalita (in media) della temperatura dell'aria  che, finalmente, spezza la morsa del freddo invernale; 
  - un più frequente passaggio di sistemi nuvolosi carichi di piogge che possono  risultare anche copiose su molte delle nostre regioni, soprattutto al Centro nord.  La primavera, così come l'autunno, rappresenta il passaggio tra le due stagioni  estreme dell'anno: come tale si deve addossare anche tutti i "traumi"  derivanti dal vivace rimescolamento fra aria calda che tenta di instaurarsi di  nuovo da noi, dopo essere "migrata" altrove per svernare, e le  insistenti e "nostalgiche" irruzioni di aria ancora piuttosto fredda  dal nord (che sovente vengono chiamate "colpi di coda dell'inverno",  specialmente se avvengono tra aprile e maggio); questo contrasto dà luogo,  appunto, ad un maggior numero medio di perturbazioni in transito sul nostro 
  Paese rispetto alla precedente stagione;
  - la sempre maggiore riattivazione dei moti convettivi dell'aria: infatti  l'atmosfera si comporta come un immenso "pentolone" pieno di aria  che, riscaldata dal basso (il suolo riscaldato dai raggi solari), sale sul  punto dove è riscaldata per poi ridiscendere ai bordi. Questi moti sono resi  evidenti dalla sempre più frequente presenza di nubi cumuliformi nelle ore  centrali del giorno che possono generare anche temporali (detti "di  calore") e dalle brezze lungo litorali e valli. 
La nostra primavera in cifre (i valori riportati sono le medie  climatiche): 
  Le TEMPERATURE MINIME notturne oscillano tra i seguenti valori: 
  · da +3°C  all'inizio di marzo a +14°C  alla fine di maggio AL NORD 
  · da +4°C  all'inizio di marzo a +13°C  alla fine di maggio AL CENTRO 
  · da +6°C  all'inizio di marzo a +15°C  alla fine di maggio AL SUD 
  Le TEMPERATURE MASSIME diurne registrate mediamente dall'inizio di  marzo alla fine di maggio oscillano tra i seguenti valori: 
  · da +13°C  all'inizio di marzo a +24°C  alla fine di maggio AL NORD 
  · da +14°C  all'inizio di marzo a +25°C  alla fine di maggio AL CENTRO 
  · da +13°C  all'inizio di marzo a +24°C  alla fine di maggio AL SUD 
  La QUANTITA' DI PIOGGIA cumulata mediamente dall'inizio di marzo alla fine di  maggio oscilla tra i seguenti valori: 
  · AL NORD da 150 mm  in pianura a 500 mm  in molte aree alpine con una media di 26 giorni di pioggia dei quali da 5 a 10 possono essere di  temporale, specie su pianura e prealpi. 
  · AL CENTRO da 150 mm  in prossimità delle coste a 300   mm nelle aree interne con punte di 400 mm in alcune zone  appenniniche per un totale medio di 28 giorni piovosi dei quali da 2 a 7 possono essere di  temporale, soprattutto lungo il versante tirrenico. 
  · AL SUD da 100 mm  su Puglia e buona parte della Sicilia a 300 mm nelle altre regioni con punte di 400 mm in alcune zone interne  montuose per un totale medio di 24 giorni piovosi dei quali da 1 a 5 possono essere di  temporale.
  PROMONTORI E  SACCATURE
  Fra gli strumenti necessari e utilizzati dal meteorologo per la  previsione, ci sono le carte isobariche, che rappresentano, alle diverse quote,  le linee isobariche, cioè quelle linee continue che uniscono tutti i punti con  la medesima pressione atmosferica. La forma e i valori di queste isobare  determinano le zone di bassa (ciclone o depressione) o alta (anticiclone)  pressione. Le prime sono rappresentate da isobare ellittiche e circolari,  caratterizzate da valori di pressione che diminuiscono dalla periferia al  centro; le isobare dell'alta pressione hanno forme chiuse irregolari e i loro  valori crescono dalla periferia verso il centro. Talvolta, una zona di alta  pressione si espande fino ad incunearsi tra due depressioni. Se l'espansione  avviene da sud verso nord, le linee isobariche si dispongono a forma di U  rovesciata. Questa configurazione si definisce promontorio. Nel caso in cui  l'espansione è da est verso ovest, allora, si parla di cuneo. In entrambe le  situazioni, il cielo è generalmente sereno o poco nuvoloso, l'atmosfera è  limpida e la visibilità è ottima; purtroppo, è una situazione instabile perché  questi fenomeni sono di breve durata. 
  Se, invece, la depressione si insacca fra due zone anticicloniche,  allora, si parla di saccatura. Le isobare, in questo caso, hanno forma di V o  di U. Quando è presente una saccatura sono violenti i rovesci e i temporali. 
  Associate alle saccature, sono le gocce di aria fredda. Queste si  formano perché le saccature si allungano a tal punto che la loro parte  terminale assume la forma sempre più simile ad una goccia finché si stacca  (cut-off). Quando una zona è dominata da una goccia di aria fredda, saranno  presenti rovesci e temporali isolati. 
RADAR  METEOROLOGICO
  Da tempo la televisione ci ha reso familiari le immagini dei  satelliti meteorologici, spesso animate, che mostrano l'avvicendarsi di nubi e  cieli azzurri così come li vedrebbe un osservatore posto su una navetta  spaziale. Per quanto utili, queste immagini mostrano solo la quantità di  nuvolosità: anche per l'occhio dell'esperto talvolta è difficile distinguere  quali fra le tante nubi che mostra il satellite siano in grado di dare una precipitazione,  e se sì, in che quantità. Lo strumento che risolve questo problema esiste e si  chiama radar meteorologico. Il radar meteorologico invia un sottile fascio di  radiazione elettromagnetica di lunghezza d'onda opportuna (3-10 cm) lungo tutte le direzioni  ed è in grado di raccogliere e interpretare il segnale di ritorno traducendolo  in un dato di intensità di precipitazione (pioggia o neve). Per ragioni di  ordine fisico, solo le gocce di pioggia riflettono questa radiazione  all'indietro verso il rilevatore (secondo un processo fisico noto come  'dispersione'). 
  È importante capire che il radar non 'vede' quindi le nubi, perché  queste sono composte da goccioline molto più piccole delle gocce di pioggia, e  del resto a rilevare la nuvolosità, come detto, ci pensano già i satelliti. Non  solo, il segnale del radar, una volta che sia stato opportunamente decifrato,  consente di stabilire con buona precisione il luogo in cui è in atto la  precipitazione e soprattutto con quale intensità. 
  Le applicazioni di un tale strumento sono evidentemente notevoli,  sia per la previsione del tempo nell'arco di poche ore, per la possibilità di  seguire il movimento dei nuclei di precipitazione e prevederne lo spostamento  (si pensi anche al campo della protezione civile per quanto riguarda i fenomeni  più violenti), sia come utilissimo aiuto per una migliore comprensione degli  eventi meteorologici, ad esempio con l'opportunità di indagare l'influenza  locale della topografia.
  ROVESCI
  In primavera è frequente che la pioggia cada sotto forma di  rovescio. Ma cosa si intende per rovescio? Per rispondere facciamo un passo  indietro e diamo una definizione del tipo di pioggia in base alla quantità di  acqua caduta e alla durata dell'episodio piovoso. 
  In meteorologia la pioggia si misura solitamente in millimetri: 10 mm di pioggia equivalgono  a 10 litri  d'acqua caduti su una superficie di 1m2. Fino a 2 mm in un'ora si parla di  pioggia debole; tra 2 e 6 mm/h la pioggia diventa moderata; oltre i 6 mm/h si  definisce forte, e se si passano i 10 mm/h si può anche parlare di rovescio; se  poi si superassero i 30 mm/h ci troveremmo nel bel mezzo di un nubifragio! Le  conseguenze che un episodio piovoso può portare dipendono però non solo dalla  quantità d'acqua caduta in un'ora, ma anche dalla durata del fenomeno stesso,  ed il rovescio per sua natura è un fenomeno che raramente dura più di un'ora. 
  La sua breve durata è dovuta principalmente alle cause che portano  alla formazione di un rovescio: è l'instabilità atmosferica, che si genera  nelle ore centrali della giornata, a generare quelle imponenti nubi in grado di  dar luogo poi a rovesci e temporali. Proprio per questo legame con  l'instabilità atmosferica i rovesci sono più frequenti in prossimità dei  rilievi, lungo i pendii rivolti al sole, laddove il suolo si scalda più che  nelle zone pianeggianti. 
  SATELLITI  METEOROLOGICI
  I satelliti meteorologici o, meglio le immagini inviateci dallo  spazio da questi satelliti, sono forse lo strumento che più affascina i non  addetti ai lavori che si avvicinano al mondo delle previsioni tant'è che spesso  i satelliti sono considerati in modo sbrigativo la chiave "magica" in  possesso dei meteorologi che apre loro le porte ad una previsione indovinata.  Ma cosa c'è di vero dietro questa opinione diffusa ? E' così importante questo  "terzo" occhio dallo spazio che ha mosso i primi passi negli anni 60  (più esattamente l'1 Aprile del 1960 quando fu lanciato dagli Usa il primo di  dieci satelliti denominati Tiros)? 
  Per dare una risposta cominciamo dal dire senza eccessi di carattere  tecnico cosa sono e come operano i satelliti meteorologici. Distinguiamo  innanzitutto due tipi di satelliti, quelli "geostazionari" e quelli  "polari". I primi mantengono una posizione fissa rispetto alla terra  perché ruotano sul piano equatoriale con la stessa velocità angolare di  rotazione del nostro pianeta. Il Meteosat, le cui immagini diffuse in molti  bollettini meteo televisivi ci sono ormai familiari, si trova immobile ai  nostri occhi sulla verticale uscente dai 0 gradi di latitudine e 0 di longitudine  ad una distanza dalla terra di 35786 chilometri dalla superficie terrestre. Il  compito di questi satelliti è quello di osservare una porzione di terra che va  dai 60° nord ai 60° sud e un sistema di 5 satelliti equispaziati consente di  coprire tutta la fascia compresa tra le suddette latitudini. I satelliti polari  invece si muovono rispetto ad un osservatore sulla terra, che li vede spostarsi  con una traiettoria simile ad un otto, ma il loro moto si ripete esattamente  ogni 24 ore per cui ogni giorno alla stessa ora il satellite  "sorvolerà" una particolare porzione della terra. Il loro compito,  complementare a quello dei satelliti geostazionari, è quello di osservare le  alte latitudini della terra, quelle oltre i 60° gradi. 
  Ma cosa vuol dire osservare la terra ? Vuol dire acquisire con la  strumentazione a bordo del satellite immagini nel campo del visibile (come in  una foto), dell'infrarosso e in quella, dal significato meno immediato, del  vapore acqueo. Queste immagini a loro volta permettono di dedurre in modo  diretto o indiretto molti dati: dall'analisi dei sistemi nuvolosi e del loro  moto, a stime del vento in quota, alla temperatura dei mari e delle terre  emerse, all'estensione delle nevi e dei ghiacciai....ecc. Quindi una sola  immagine da satellite, grazie alla sua posizione privilegiata, fornisce più  dati di qualsiasi rete di osservazione a terra. 
  Ma torniamo quindi ai quesiti di partenza. Fino ad ora abbiamo  parlato di osservazioni ossia dell'analisi di cosa sta accadendo nell'atmosfera  nel momento in cui il satellite "butta l'occhio" verso la terra e non  di cosa accadrà sempre in atmosfera nel futuro. Tutta mal riposta quindi questa  fama di strumento magico per la previsione del nostro tempo di domani ? Non  proprio perché la conoscenza di cosa accade ora in atmosfera è di fondamentale  importanza per stimare cosa accadrà domani e quindi per prevedere. I modelli  fisico-matematici, dal nome un po' altisonante, i cui output giornalieri sono  il vero strumento di lavoro quotidiano per i meteorologi impegnati a sfornare  previsioni, in realtà non possono prescindere nelle loro elaborazioni dalla  conoscenza della situazione iniziale dell'atmosfera. Il tempo di domani è  infatti figlio del tempo di oggi e quanto più è accurata la conoscenza  dell'oggi tanto più accurate saranno le previsioni per domani. Ed è qui che i  satelliti giocano un ruolo determinante nella buona riuscita di una previsione:  infatti aiutano a conoscere l'oggi dell'atmosfera sia coprendo in termini di  acquisizione dati aree come quelle oceaniche o desertiche dove le osservazioni  al suolo sono scarse, sia integrando la rete di osservazioni eseguite con i  palloni sonda e quindi aumentando la mole di dati a disposizione in quota.  Qualche cenno finale ai nostri Meteosat: attualmente sono attivi il 4°, il 5°  ed il 6° di una serie iniziata con il primo lancio datato 23 Novembre del 1977.  Il loro compito, oltre che di telecomunicazione dei dati meteorologici stessi  tra i vari utenti a terra, è quello di fornire immagini ogni 30 minuti nel visibile  con una risoluzione spaziale sulla superficie terrestre di 2,5 per 2,5 chilometri e  nell'infrarosso con una risoluzione di 5 per 5 chilometri. 
  Il futuro è invece costituito dagli MSG (Meteosat Second  Generation) che forniranno un maggior numero di immagini, con una risoluzione  migliore e con maggiore frequenza, ogni 15 minuti. Il primo lancio è fissato  per l'Ottobre del 2000 ed il programma prevede l'invio di MSG-2 ed MSG-3 nel  2002 e nel 2003. 
TEMPERATURA DI RUGIADA
  Nella grande mole di informazioni di cui il meteorologo abbisogna  per prevedere al meglio il tempo, non poca importanza riveste la misura della  temperatura del punto di rugiada. Da questo dato, infatti, si possono ricavare  molte informazioni riguardo alle "condizioni di vivibilità" di un dato  luogo. 
  Si definisce infatti "Temperatura del punto di rugiada",  la temperatura alla quale una massa d'aria umida diventerebbe satura se venisse  ulteriormente raffreddata senza subire variazioni di pressione o di contenuto  di vapore acqueo. 
  È così evidente che, se si continua a raffreddare un volume d'aria  a pressione costante, si dovrà arrivare ad una temperatura oltre la quale,  qualsiasi raffreddamento successivo determinerà una condensazione. Un esempio  pratico di ciò sta nel fatto che, se il punto di rugiada è maggiore di 0°,  allora si ha una condensazione liquida (nebbia, rugiada), se invece tale valore  si trova al di sotto dello zero si ha la formazione di ghiaccio (brina). 
  Questa considerazione, che potrebbe sembrare banale, riveste  particolare importanza per l'agricoltura, dal momento che una brinata può a  volte significare la distruzione del lavoro di un anno. Si capisce quindi  quanto possa essere importante un'accurata previsione della temperatura di  rugiada stessa. Un altro interessante uso che si fa della temperatura di  rugiada è quello di servirsene per calcolare l'indice di calore di una  determinata zona. Per fare questo si va a confrontare la temperatura massima  registrata con la temperatura di rugiada e, a seconda del valore ottenuto, si può  stabilire quale effettivamente sia la temperatura avvertita dal corpo umano.  Per dare un'idea, si consideri che un indice di calore inferiore a 27° C, è  considerato confortevole, mentre tra 27° e 32° vi è un moderato disagio.
TEMPORALI: UNA  SEMPLICE CLASSIFICAZIONE
  Cronaca di una giornata estiva: il mattino presto il cielo si  presenta sereno, bastano però poche ore e compaiono i primi cumuli sui monti,  sui pendii che per primi sono stati illuminati dal sole. Il resto della  giornata trascorre senza che succeda nulla di particolare, e solo ogni tanto il  sole viene oscurato da un cumulo di passaggio. Poi all'improvviso scoppia un  temporale di breve durata e la notte che segue è serena e tranquilla. Eventi di  questo tipo vengono denominati 'temporali di calore', sono innescati dal  riscaldamento diurno e il loro raggio d'azione è molto limitato: una vallata  alpina, parte di una provincia, talora solamente alcuni quartieri di una città.  A pochi chilometri di distanza il cielo può essere del tutto sereno e talora si  avverte solo un aumento di intensità ed un cambio di direzione del vento. 
  Il temporale di calore si sviluppa nelle zone continentali in  condizioni di debole circolazione atmosferica, anche con pressione  relativamente elevata, e la sua origine va ricercata nella formazione di una  colonna di aria instabile per cause puramente locali. Non deve sorprendere che  anche per la meteorologia moderna il temporale di calore risulta, quantomeno  nella previsione classica a ventiquattro ore, una presenza davvero scomoda. 
  Per nostra fortuna, la maggior parte degli episodi temporaleschi  ha un'origine dinamica, e questi possono essere previsti dal meteorologo grazie  ai modelli numerici in uso. Il temporale di origine dinamica si sviluppa entro  una porzione dell'atmosfera che risulta essere instabile anche su lunghezze  dell'ordine di centinaia di chilometri. Vi sono i temporali che si sviluppano  lungo le superfici frontali (fronte freddo specialmente) e i temporali che  nascono dopo il passaggio del fronte freddo in regioni di elevata instabilità  dell'aria, a patto che vi sia aria molto fredda in quota e condizioni  favorevoli ai moti verticali. Nella realtà l'innesco del singolo temporale può  ancora essere condizionato dai fattori locali, specie dall'orografia, ma i forti  moti convettivi vengono attivati da cause dinamiche 'esterne' che sono, in  generale, le stesse che concorrono allo sviluppo della nuvolosità e delle  piogge non temporalesche. Avremo dunque temporali su diverse località, e magari  più episodi consecutivi. 
  Non è difficile imparare a classificare il tipo di temporale a cui  abbiamo assistito: se l'evento è generato da un fronte freddo il barometro  segnalerà prima un calo, poi un sensibile aumento della pressione, diversamente  la lancetta del barometro si sarà mossa di poco; se il temporale si sviluppa  entro un nucleo di aria fredda non mancheremo di osservare la brusca discesa  della temperatura soprattutto durante la precipitazione, ma che perdura anche  nelle ore successive, mentre il temporale di calore ha un effetto  'rinfrescante' di breve durata, spesso limitato solo al momento dei rovesci.  Più in generale, ovviamente, i temporali che osserviamo all'interno di un  periodo di tempo perturbato, che sono preceduti da piogge o che sono seguite da  altre ore di maltempo, senza necessariamente un cambio della massa d'aria,  hanno sempre un'origine dinamica.
  TERMICHE
  Con questo termine i meteorologi indicano i moti ascendenti  dell'aria che si sviluppano, come suggerisce il nome stesso, a causa del  riscaldamento di una superficie; se, per qualsiasi motivo una certa porzione di  aria diviene più calda dell'aria circostante, essa può iniziare a sollevarsi  dando luogo alla termica. Quando si parla di 'termiche' la colonna d'aria  ascendente ha di norma un piccolo diametro, dell'ordine delle centinaia di  metri, non bisogna confondere, quindi, i moti veloci ma a piccola scala  caratteristici delle termiche con le grandi aree dove l'aria sale lentamente  associate ai fronti e alla formazione delle zone di bassa pressione. 
  Le termiche originano là dove i suoli sono particolarmente caldi,  ad esempio le superfici più aride, oppure le colline e le dorsali montuose  esposte al sole. Il suolo di un pendio di montagna si scalda rapidamente e in  poco tempo la temperatura dell'aria a contatto diviene molto più alta di quella  che si trova alla stessa quota intorno alla montagna. 
  Una volta formata, l'evoluzione della termica dipende più fattori  e il suo andamento può venire alterato dai venti che soffiano alle quote più  alte, oppure dagli ostacoli e dalle discontinuità fisiche presenti sulla  superficie. 
  In condizioni di bel tempo asciutto le bolle di aria calda che si  sollevano dal terreno si innalzano solamente per 1-2 km; i moti di questo tipo  contribuiscono a rimescolare lo strato d'aria della bassa troposfera, anche per  questo noto come strato limite turbolento. 
  Se l'aria è abbastanza umida la bolla d'aria, giunta alla fine  della salita, può dare luogo a dei piccoli cumuli e in tal caso la termica  diviene facilmente individuabile, i volovelisti possono dirigersi sotto le nubi  sicuri di trovare le desiderate correnti ascensionali (alcuni metri al secondo,  come ordine di grandezza). Con venti molto forti le termiche non riescono ad  organizzarsi, ma se il vento medio ha un'intensità medio bassa, 5-10 nodi, le  celle convettive sono trasportate dal vento; dalla stessa collina, per esempio,  si staccano più termiche e si formano magari file di cumuli allineati (la  strada dei cumuli); oppure si può osservare un campo di grano che viene piegato  a intervalli regolari dalla corrente discendente presente a lato della termica,  ogni volta che una di queste passa sopra la coltivazione. 
  Quando la spinta ascensionale si esaurisce, l'aria diverge  lateralmente, inizia a scendere e l'eventuale nube si dissolve. Le zone  circostanti la termica sono quindi pericolose per chi pratica il volo a vela  proprio perché qui l'aria si muove dall'alto verso il basso (l'aria che scende  va a rimpiazzare quella che si è sollevata chiudendo la circolazione nella  cella convettiva). 
  Se l'atmosfera è instabile (ad esempio aria calda e umida nei  bassi strati, aria fredda in quota) la termica può evolvere fino a dare luogo  ai cumulonembi, cioè le nubi responsabili dei temporali. 
  TROMBE D'ARIA
  Le trombe d'aria rappresentano il fenomeno meteorologico più  violento che si può verificare nell'area mediterranea. Si tratta in pratica di  un vortice ruotante in senso ciclonico (cioè antiorario) che ha origine e  discende dalla base di un cumulonembo; spesso infatti le trombe d'aria si  manifestano in concomitanza di temporali piuttosto violenti. Il tipico aspetto  di una tromba d'aria è quello di una colonna nuvolosa, a forma di imbuto, che  si protende fino al suolo, ove si allarga a forma di proboscide raggiungendo un  diametro di 50-150 metri.  Al centro del vortice la pressione raggiunge valori molto bassi; ed è proprio  il dislivello barico tra il centro e la periferia del vortice, che è di circa  20-30 hPa, a risucchiare l'aria verso l'interno e a costringerla a girare  intorno al centro di bassa pressione, con velocità prossime ai 100-150 km/h. 
  Una tromba d'aria di solito ha un ciclo vitale che non supera i 30  minuti, nei quali percorre qualche decina di chilometri; i danni che provoca  lungo il suo percorso non sono tanto causati dal dall'effetto del vento sugli  ostacoli incontrati, quanto dalla forza d'urto dell'aria che viene risucchiata  dalle zone circostanti verso il minimo al centro del vortice stesso. Le  violenti correnti ascendenti all'interno del vortice proiettano inoltre verso  l'alto gli oggetti ed i detriti risucchiati. 
  Condizioni favorevoli all'innesco di una tromba d'aria sono quelle  caratterizzate da un'elevata instabilità atmosferica che si sviluppa per  esempio quando uno strato di aria fredda viene a trovarsi sovrapposto ad una  massa d'aria molto calda e umida che staziona in prossimità del suolo. Quando  l'equilibrio tra le due differenti masse d'aria si rompe, l'aria più calda  viene bruscamente aspirata verso l'alto, richiamando aria dalle zone  circostanti. Situazioni come quella appena descritta possono verificarsi in  Valpadana nel periodo estivo, quando un flusso di aria fresca dal Nordeuropa va  a sovrastare l'aria calda ed umida stagnate al suolo dopo un lungo periodo di  bel tempo. 
  In Italia le zone maggiormente colpite dal fenomeno delle trombe  d'aria sono le aree pedemontane alpine, il Friuli, il Ponente Ligure, le coste  dall'alta Toscana e del Lazio e la   Sicilia orientale. 
  La probabilità un dato luogo sia investito da una tromba d'aria è  però molto bassa, sia per la rarità del fenomeno che per la ristretta area da  esso interessata.
  VENTO
  In meteorologia il vento è sicuramente uno dei fenomeni più  importanti assieme alla temperatura, alla pressione atmosferica ed all'umidità  dell'aria. Ma cos'è il vento? E' lo spostamento di una massa d'aria da una zona  dove la pressione atmosferica è maggiore ad una dove è minore. E' ovvio che la  velocità di spostamento e quindi la velocità del vento sarà tanto più elevata  quanto più rapida sarà la variazione orizzontale della pressione atmosferica,  variazione detta "gradiente barico". Ma il "gradiente  barico" fornisce solamente un'indicazione sulla velocità del vento. In  realtà, il vento non si muove, come si potrebbe pensare, dalle alte verso le  basse pressioni: non appena la massa d'aria si muove verso la bassa pressione,  interviene la "forza di Coriolis" che è presente a causa della  rotazione terrestre. Tale forza tende a deviare i venti verso destra  nell'emisfero Nord, verso sinistra nell'emisfero Sud. Ciò fa sì che alle nostre  latitudini i venti vengano deviati fino a portarsi in direzione parallela a  quella delle isobare, inoltre la forza di Coriolis devia i venti facendo in  modo che si lascino la bassa pressione sulla sinistra (legge di Buys-Ballot).  E' altresì importante ricordare che questa forza modifica solamente la  direzione del vento e non la sua intensità. 
  Particolare importanza riveste anche il modo in cui si misura  l'intensità del vento. Nel sistema internazionale la misura dell'intensità del  vento è espressa in metri al secondo. Nella navigazione aerea, in quella  marittima e nei bollettini meteorologici la misura si effettua in nodi. Un nodo  è l'equivalente di un miglio nautico all'ora, ovvero 1852 metri all'ora. Nei  paesi di lingua inglese vi è inoltre una misura effettuata in miglia per ora,  dove un miglio terrestre equivale a 1620 metri. Tutte queste misurazioni però, si  effettuano tramite appositi strumenti; ma come fare in mancanza di tali  supporti tecnici? Per ovviare al problema si è studiato un modo per stimare  l'intensità del vento mediante gli effetti che esso ha sugli alberi, sul fumo o  sulle superfici marine, codificandoli nella "Scala Beaufort". In tale  scala, ad esempio, un vento di forza 3 si riconosce dal fatto che origina  piccole onde le cui creste iniziano a rompersi sul mare, mentre agita le foglie  ed i ramoscelli degli alberi a terra. 
  Un'altra caratteristica che occorre specificare è la direzione di  provenienza del vento, ciò è stato fatto tramite la "rosa dei venti".  Si definiscono così la   Tramontana proveniente dal Nord, il Grecale da Nord-est, il  Levante da Est, lo Scirocco da Sud-est, il Mezzogiorno che spira da Sud, il  Libeccio da Sud-ovest, il Ponente da Ovest, infine il Maestrale da Nord-ovest. 
  VARIAZIONE  DIURNA DELL'INTENSITA' DEL VENTO
  L'intensità del vento al suolo è il risultato dell'azione  combinata di diversi fattori. Entrano in gioco infatti variazioni molto rapide  indotte dall'attrito con il suolo, ma anche variazioni più persistenti, legate  alle differenze di pressione su vaste aree in corrispondenza del moto di  cicloni ed anticicloni. Agiscono inoltre anche le circolazioni di brezza. Nel  caso poi di moti convettivi o di venti forti, diventa importante l'effetto di  rimescolamento degli strati superiori, in cui l'aria si muove più velocemente,  con i bassi strati dell'atmosfera. 
  Se per semplicità consideriamo il caso di cielo sereno o poco  nuvoloso e ipotizziamo variazioni modeste della pressione atmosferica al suolo  (cioè variazioni inferiori a 1 hPa ogni 3 ore), l'intensità del vento sulla  terraferma, lontano dal mare e dai rilievi, segue un tipico andamento diurno  molto simile a quello della temperatura, con un massimo nel primo pomeriggio ed  un minimo all'alba. In prossimità di coste o di catene montuose si ha in  aggiunta un altro massimo secondario nelle tarde ore notturne. 
  Il massimo diurno è determinato in parte dalle circolazioni locali  di brezza ed in parte dal trascinamento al suolo dei venti più intensi degli  strati superiori per azione delle correnti discendenti dei moti convettivi. 
  Il massimo secondario notturno è invece rilevabile solo nelle  località dove agisce la brezza notturna, cioè appunto quelle sulle coste o in  zone pedemontane. 
  Il vento raggiunge in genere la minima intensità all'alba, quando  il rafforzamento delle inversioni termiche da irraggiamento notturno ostacola  sia le brezze che il rimescolamento con gli strati superiori. 
  Durante l'inverno poi le brezze ed i moti convettivi risultano  poco attivi sulla terraferma, di conseguenza i massimi diurni sono appena  pronunciati.
  VENTO  GEOSTROFICO
  Il vento geostrofico è un particolare vento che si applica per le  latitudini superiori ai 15° nord e sud. Questo vento si verifica perché le  forze di Coriolis e di gradiente, alle quali sono sottoposte le masse d'aria,  si equilibrano. Analizziamo meglio cosa succede. Le masse d'aria hanno la  tendenza a spostarsi da una zona di alta ad una di bassa pressione perché sono  sottoposta all'azione di una forza che viene chiamata forza del gradiente di  pressione o forza di gradiente. Questo spostamento genera il vento. Tuttavia,  se le masse fossero sottoposte solo a questa forza, sarebbero costrette a  muoversi perpendicolarmente alle isobare (linee che congiungono i punti con lo  stesso valore di pressione). In realtà, esiste un'altra forza (forza di Coriolis),  legata alla rotazione terrestre, in grado di deviare le masse d'aria verso est  (emisfero boreale) o verso ovest (emisfero australe) e diretta  perpendicolarmente allo spostamento. Quando le forze di Coriolis e di gradiente  si equilibrano, il vento geostrofico, essendo perpendicolare alla forza di  Coriolis, si dispone parallelamente alle isobare. Più queste sono vicine, come  nelle depressioni, più il vento è forte; al contrario, se le isobare sono  distanziate, l'intensità del vento è debole. 
  Supponiamo, però, che le isobare presentino una curvatura. In  questo caso, non sono più sufficienti le due forze sopra spiegate, ma è  necessario l'intervento di un'altra forza per raggiungere l'equilibrio: la  forza centrifuga. Questa è la stessa forza a cui noi, ad esempio, siamo  sottoposti quando andiamo in macchina e curviamo: la macchina gira a destra e  noi siamo spinti a sinistra. Tornando al vento, se questa forza centrifuga  agisce in senso opposto a quella di gradiente, per raggiungere l'equilibrio, è  sufficiente una forza di Coriolis più piccola rispetto al caso in cui le  isobare sono rettilinee e parallele. Questo caso si ha in presenza di una  curvatura ciclonica delle isobare. 
  Se, invece, la forza centrifuga si somma a quella di gradiente,  necessariamente la forza di Coriolis dovrà essere maggiore rispetto al caso di  isobare rettilinee e parallele. 
  Tuttavia, più ci si avvicina al suolo, più la situazione si  complica. Infatti, al suolo, le condizioni di equilibrio cambiano per  l'influenza della forza di attrito. Poiché questa forza varia a secondo del  tipo di superficie che il vento incontra, l'intensità e la direzione vengono  modificate. Pertanto, nei bassi strati dell'atmosfera, le forza che entrano in  gioco sono quattro: forza di gradiente, forza di Coriolis, forza centrifuga,  forza d'attrito. 
  VENTO  ISALLOBARICO
  Uomini fasciati in spessi impermeabili gialli e costretti a  camminare ingobbiti sotto un cielo plumbeo sferzato da violente raffiche di  vento; tegole e vasi che piombano sul manto stradale dalle vicine abitazioni;  pali della luce contorti, piegati, se non divelti dalla loro naturale sede...  sono alcune delle immagini che alla vigilia del capodanno del 2000 le tv di  tutto il mondo hanno rovesciato nelle nostre case, e non avrebbero dovuto  stupirci neanche più di tanto se non fosse stato che quella situazione tipica  di un ciclone tropicale era in realtà ambientata nella molto più  "temperata" ed europea Francia Settentrionale. 
  Ma cosa è successo allora in quei giorni che precedevano il nuovo  millennio? 
  Le mappe del campo barico relative a quei giorni mostrano una  profonda depressione, con minimo di circa 960 hPa, che dal Nord America si  spostò velocemente sull'Europa: in tali condizioni la pressione diminuiva  repentinamente davanti alla depressione, per poi risalire altrettanto  velocemente dopo il suo passaggio. Come si può ben capire queste non sono certo  le condizioni richieste per poter ritenere valida l'approssimazione di vento  geostrofico (la legge di Buys-Ballot, che ipotizza che il vento assuma una  direzione parallela alle isobare, richiede difatti come ipotesi fondamentale  che il campo barico risulti pressochè stabile in brevi periodi di tempo: tutto  il contrario di ciò che abbiamo appena descritto!), ed in queste occasioni le  masse d'aria tendono decisamente a muoversi dalle zone dove la pressione  aumenta a quelle in cui diminuisce: dove tale movimento si somma a quello  ipotizzato dall'approssimazione geostrofica, si possono avere venti molto più  intensi di quelli che ci si aspetterebbe in condizioni normali. Ed il vento  isallobarico è appunto quel vento che tende a soffiare dalle regioni in cui si  hanno repentini rialzi di pressione a regioni adiacenti in cui accade l'esatto  contrario. 
  VENTO NELLO  STRATO SUPERFICIALE
  Negli strati atmosferici più prossimi al suolo si riscontra un  diverso comportamento del vento rispetto alle quote superiori. Nei primi 50-150 metri, infatti,  l'aria non si può muovere liberamente; l'interazione con svariati tipi di  ostacoli genera una forza di attrito che si oppone al moto tanto da rendere  poco efficaci le due principali forze motrici dell'atmosfera: la forza dovuta  al gradiente di pressione (che spinge l'aria dalle alte alle basse pressioni) e  la forza deviante o di Coriolis (che, nell'emisfero nord, devia l'aria verso  destra rispetto al moto nella direzione parallela alle isobare). 
  L'attenuazione della prima delle due forze si traduce in una  progressiva diminuzione dell'intensità del vento man mano che ci si avvicina al  suolo, e questo a causa del sempre maggiore attrito; di fatto la variazione  verticale della velocità del vento non è proporzionale alla quota ma segue una  legge logaritmica, ossia il tasso di aumento con la quota tende a dimezzarsi  raddoppiando la quota stessa. La rapidità di aumento di velocità con la quota  dipende anche dalle dimensioni degli ostacoli al suolo: più il suolo è  accidentato più rapida è la variazione verticale della velocità del vento. A  tale scopo, nei calcoli, si utilizza un parametro chiamato "rugosità del  suolo" che tiene conto proprio del tipo di ostacoli presenti a terra e  assume un valore pari a circa 1/30 dell'altezza media degli ostacoli vicini: da  0,1 millimetri  del mare aperto e calmo a 1   metro del centro di grandi città o foreste. 
  L'attenuazione della seconda forza si evidenzia nel fatto che la  direzione del vento risulta non più parallela alle isobare ma deviata in senso  antiorario rispetto al vento nella libera atmosfera. Con venti deboli o  moderati la deviazione è di 10-15° sul mare e 30-45° sulla terraferma ma con venti  forti o atmosfera instabile l'angolo di deviazione si riduce notevolmente. La  direzione che il vento assume in questi primi 50-150 metri di troposfera,  a differenza dell'intensità, non subisce variazioni verticali, cosa che invece  succede all'interno dello strato atmosferico immediatamente sovrastante.
  CIRCOLAZIONE  DI WALKER 
  Il diseguale riscaldamento di zone diverse del nostro pianeta dà  luogo allo spostamento di grosse masse d'aria, in modo tale che il calore  ricevuto dal sole tenda a distribuirsi in maniera omogenea nell'atmosfera.  All'interno di queste grandi strutture che regolano la circolazione atmosferica  a livello planetario si inseriscono poi quei fenomeni che caratterizzano il  tempo su scala più ridotta (cicloni mobili, fronti freddi e caldi, etc. ). Se  la più importante ed estesa delle grandi strutture a livello planetario è la Circolazione di  Hadley, che divide ciascun emisfero in tre grandi fasce (dall'equatore ai 30°  di latitudine, dai 30° ai 60° di latitudine, dai 60° di latitudine al Polo),  grande importanza ha anche la   Circolazione di Walker, che divide la fascia equatoriale in  tre grandi celle convettive con direttrice ovest-est. 
  Tali grandi celle convettive sono situate una sull'Oceano  Pacifico, una sull'Oceano Atlantico, ed una sull'Oceano Indiano. In ciascuna di  queste celle l'aria sale nel ramo occidentale, ove le acque oceaniche sono più  calde, per poi ridiscendere lungo il ramo orientale. Nell'ascesa sul lato  occidentale le masse d'aria raggiungono anche i 12 km di altezza, con conseguente  sviluppo di molte nubi temporalesche ed abbondanti precipitazioni; le intense  correnti ascensionali si trovano sulla verticale di Indonesia ed Australia,  dell'Amazzonia, e dell'Africa Centrale. L'aria che invece discende sul lato  orientale della cella risulta particolarmente secca, anche a causa del fenomeno  di subsidenza: è in queste zone, tra l'altro, che si trovano alcune delle  maggiori aree desertiche del pianeta. La cella sull'Oceano Pacifico risulta più  estesa delle altre due, in quanto è maggiore il gradiente termico tra il suo  ramo occidentale e quello orientale. L'enorme quantità di energia, necessaria  ad alimentare le tre celle di Walker, è fornita dalle grandi quantità di calore  liberate nel processo di condensazione in atto nei rami ascendenti. 
  Variazioni alla Circolazione di Walker si osservano in  concomitanza con episodi di Niño, fenomeno che comporta tra l'altro una  diminuzione della differenza di temperatura tra le acque superficiali del  Pacifico Occidentale e del Pacifico Orientale.
Fonte: http://www.aviotablist.it/varie/dizionario%20meteo.doc
Sito web: http://www.aviotablist.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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