Economia degli intermediari finanziari

 

 

 

Economia degli intermediari finanziari

 

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Appunti economia degli intermediari finanziari

Appunti e contenuti del corso
Si tratta in particolare del sistema finanziario nelle sue componenti essenziali:

  • istituzioni finanziarie,
  • mercati finanziari (primario, secondario, monetario, dei derivati, dei capitali etc.),
  • strumenti finanziari.

Tratta di imprese la cui caratteristica è l’intermediazione finanziaria e di prodotti che tali imprese ed altri operatori, che operano nel sistema, usano ed emettono, che hanno caratteristiche tecniche, formali e funzionali. Tra l’intermediazione bancaria, immobiliare ed assicurativa, in questo corso, ha peso prevalente la prima.
Esistono diversi approcci: approccio macroeconomico al sistema finanziario, approccio giuridico, profili contrattuali, approccio aziendale (comportamenti, logiche di equilibrio, politiche, strategia etc. mediante gli strumenti propri dell’economia aziendale: è l’approccio prevalente in Italia). Nello studio degli intermediari finanziari sono molto utili gli strumenti quantitativi formalizzati, piuttosto che quelli giuridici etc. (ad esempio, è importantissimo il risk management, dove gli strumenti matematici e statistici sono di grande importanza).
Scaletta dei contenuti:

  • analisi del sistema finanziario
  • finalità
  • morfologia
  • teoria dell’intermediazione creditizia e finanziaria
  • politica monetaria
  • la vigilanza
  • ordinamento creditizio ed immobiliare (TU bancario e finanziario)
  • funzioni economiche degli intermediari (fnz monetaria)
  • equilibri economici (redditività, rischio, patrimoniali etc.) che sostengono la gestione degli intermediari anche attraverso la gestione del bilancio (SP e CC)
  • politiche funzionali (cenni)
  • tecniche di gestione finanziaria dei rischi (approfonditamente) e nuove tecniche di asset ability management, tecniche di capitale a rischio, quantificazione e misurazione del rischio (risk management).
  • compagnie assicurative
  • strumenti derivati: obbligazioni strutturate (senza pretesa di esaustività)
  • strategic management, policy, competition etc. (problematiche gestionali strategiche)

Introduzione
Il campo di analisi fondamentale del corso è il sistema finanziario.
Perché è importante? Migliora la gestione di entrate ed uscite di un Paese. Non fa parte della produttività reale, ma la sostiene. Il business finanziario in America è maggiore del business reale. Gli speculatori (“nell’economia di carta”) si oppongono agli imprenditori (“nell’economia delle cose”).
Il sistema finanziario è un attore importante della globalizzazione, in quanto il denaro è il fattore produttivo più rapidamente in spostamento.
Il sistema finanziario oggi ha sostituito la carta con l’informazione, grazie all’informatica. Può far fallire le imprese, delocalizzare le produzioni…la disciplina del mercato finanziario ha un impatto pesante sulle economie di imprese e di Paesi interi (crollo dei prezzi delle azioni, o deficit nelle bilance dei pagamenti). Può generare disoccupazione e recessione. I mercati finanziari si dice siano miopi: guardano soltanto all’utile del breve periodo (gli utili/dividendi sono valutati trimestralmente). Questo chiama in causa l’etica, infatti ultimamente sono nate le finanze/banche etiche; ciò non significa che finanzino esclusivamente le imprese che devolvono gli utili in beneficenza.
Gli scandali finanziari di “Parmalat, Cirio e Giacomelli in Italia ed Emron negli USA, ed il tracollo dello Stato in Argentina” (bancarotte fraudolente) sono problemi finanziari all’ordine del giorno. In questi dissesti sono spesso rimasti “impelagati” i risparmiatori. Sussiste dunque un problema di tutela. I controlli su questi comportamenti non funzionano. Il sistema finanziario deve avere una funzione di controllo del prestito: deve segnalare che l’impresa debitrice è una buona impresa, meritevole di credito. Questi controlli spesso falliscono mettendo a repentaglio il risparmio, che è, come vedremo, una variabile fondamentale (è la materia prima) del sistema finanziario. Il Parlamento italiano ha introdotto per questo una normativa con 2 scopi:

  • riformare il sistema di vigilanza
  • tutelare il risparmio

Si tratta della legge sulla “tutela del risparmio”, sebbene per ora non sia ancora stato fatto nulla di concreto: sono state elaborate decine di versioni della normativa, ma non si è mai giunti ad una versione definitiva, che comprenda un meccanismo sanzionatorio efficace. C’è oggi una crisi di sfiducia nel sistema finanziario, che ha fermato quel settore del mercato finanziario che era costituito dalle obbligazioni emesse dalle imprese private: i corporate bonds. Concetti: crisi finanziarie, bolle speculative, crisi della borsa, crisi bancarie…
Il sistema finanziario pare aumentare il rischio delle crisi, che, vista la globalizzazione, si propagano rapidamente: parliamo “dell’effetto contagio: se tutto va bene va benissimo, se tutto va male va malissimo”. È un “effetto leva”. Se va in crisi una piccola impresa, quell’impresa chiude e finisce tutto lì, se va in crisi una piccola banca può generare un impatto negativo su tutto il sistema.
Il mercato dei cambi è una parte del sistema finanziario. Oggi siamo di fronte ad un’eccessiva valutazione dell’euro che rischia di penalizzare le esportazioni. Parleremo molto poco del mercato dei cambi in questa sede. In realtà non esistono ragioni per le quali l’euro sia forte: è il dollaro ad essere anormalmente debole, perché l’offerta di dollari è > della domanda di dollari (ricordiamo gli squilibri nelle bilance dei pagamenti ed in quella commerciale dal corso di macroeconomia). Il buco mostruoso è nel rapporto import-export: non è un problema di scarsa competitività, visto che l’economia americana è in crescita, mentre il resto del mondo è in recessione. Questo diverso tasso di crescita genera lo squilibrio americano, che viene in grandissima parte compensato/finanziato da un saldo nei movimenti di capitali largamente positivo. I capitali affluiscono in America dai paesi esteri, che investono in dollari in America e detengono dollari come riserve valutarie. Uno dei rischi di cui si discute è che questi grandi creditori (es.: Cina) comincino a vendere/disinvestire dollari, diversificando le proprie riserve valutarie.
Basilea 2: è un elemento normativo che si teme possa avere effetti negativi sull’accesso al credito soprattutto per le piccole e medie imprese.
C’è una critica rivolta nei confronti del presidente della Banca Centrale d’Italia di fare del protezionismo.


Lezione 2 Appunti di questa lezione di Berio Roberto
Bajan-Zingales, 2003 “difendere il capitalismo dai capitalisti”.
Il capitalismo può essere considerato come una pianta da difendere dalle erbacce che rappresentano gli interessi precostituiti. Sostenitori dell’economia di mercato. I mercati ingrossano i portafogli della gente ma ne conquistano poco cuore e mente. L’imprenditore è colui che rischia il proprio capitale. Il sistema finanziario dà un supporto insostituibile al benessere economico, poiché svolge funzioni imprescindibili:

  • funzione monetaria: produce e gestisce la moneta e i pagamenti (moneta emessa e creata dal mondo di carta, non da quello reale; attività finanziarie);
  • funzione creditizia;
  • mobilita e favorisce (valorizza) il risparmio: trasferimento temporale e intergenerazionale del risparmio (avere una pensione, assicurazioni etc.).

Ci sono poi derivati delle assicurazioni: strumenti per coprire il rischio. Essi possono anche essere strumenti speculativi, oltre che di copertura:

  • derivato climatico (imprese il cui reddito deriva dal clima): coprono da un rischio del divario della temperatura rispetto ad un indice (parametro di riferimento);
  • derivato immobiliare.

Il sistema finanziario garantisce investimenti nel settore produttivo. Il PIL deriva dall’attività finanziaria produttiva e dall’investimento, quindi è decisivo per la crescita economica: se non funziona il sistema finanziario la produttività si impoverisce, declina.
Il problema dell’Italia non è la distribuzione ma la produzione che non cresce. Ciò si spiega in 2 modi: in chiave dinamica ed in chiave statica. Nel Sud Italia la finanza agevolata non ha comunque risolto il problema della produttività, perché mancano le basi produttive.
Il sistema finanziario è una condizione necessaria ma non sufficiente: ci vogliono condizioni minime di tipo reale. Quando la produttività aumenta, l’intervento del sistema finanziario è utilissimo per aiutare la crescita economica.
Il sistema finanziario ottimizza l’allocazione delle risorse e massimizza l’efficienza marginale del capitale.
Il sistema finanziario, inoltre, sceglie i migliori investimenti (chiave statica), guida anche il tasso di interesse.
La redditività degli investimenti guida, infatti, il tasso di interesse, che guida a sua volta l’allocazione del credito. L’impresa meno redditizia viene esclusa. Secondo la teoria della mano invisibile di Smith, se ognuno pensa al proprio interesse si giunge ad un beneficio generale.
Problema di accesso al credito
Gli investimenti molto redditizi possono essere esclusi per mancanza di sufficiente informazione. Il sistema finanziario è efficiente se svolge bene tutte le sue funzioni, ma può essere inefficiente: deve lasciare la porta aperta a tutti. In Italia non è così…Ci sono gli insiders (Cirio, Parmalat), che nascondono le notizie e riescono a stare dentro al sistema pur non essendo redditizi, ma solo potenti. In Italia il sistema finanziario è inefficiente per quanto riguarda l’accesso al credito: alloca il credito sulla base delle garanzie e della conoscenza delle persone, escludendo la possibile entrata degli outsiders, che magari avrebbero in mente ottimi investimenti, ma sono tagliati fuori in quanto non in grado di fornire garanzie. Un altro aspetto negativo è il fatto che, se un’impresa non va bene, il sistema finanziario italiano la lascia fallire oppure la acquisisce, ma falliscono soltanto le imprese piccole, quelle grandi sono difese ad oltranza. La disciplina di mercato prevede l’espulsione dell’impresa improduttiva. In chiave dinamica, il sistema finanziario ha lo scopo di sostenere l’innovazione, garantire il ricambio, allocare il credito in chiave prospettica, ragionando per il futuro. In America ci sono degli intermediari finanziari che sovvenzionano le idee innovative: adventure capitalists. In Italia non esistono. Uno dei temi chiave è la diversificazione del rischio, che aiuta anche il finanziamento delle imprese emergenti.

Lezione del 10/03/05 Le funzioni e le utilità del sistema finanziario.
Faremo ricorso alle teorie che si sono succedute. La metodologia di analisi è particolare: è la c.d. metodologia dei flussi dei fondi: sono strumenti concettuali e metodi di analisi che aiutano a capire meglio, in modo più sistematico e strutturato, i perché del sistema finanziario. Studieremo le tecnologie finanziarie e le diverse soluzioni tecnologiche e istituzionali, con cui si può risolvere il problema finanziario. La banca, ad esempio, così come la borsa, sono considerate tecnologie, laddove intese come risposta alle necessità. Parleremo inoltre delle caratteristiche di fondo del sistema finanziario italiano, ed anche dei modelli finanziari più diffusi, soprattutto focalizzandoci sul binomio “banca-mercati”, ovvero “banca-intermediari creditizi”. Parleremo dei comportamenti finanziari delle famiglie e delle imprese, non letti teoricamente, ma nel loro risvolto concreto-operativo. Infine, tratteremo le “teorie dell’intermediazione creditizia”.
1° aspetto: il problema finanziario; metodologia dei flussi dei fondi
Perché abbiamo bisogno del sistema finanziario? Qual è il mercato dove opera il business della finanza?
Ricordiamo che oggi anche le borse sono SPA con finalità di lucro e non sono più gestite da enti pubblici: il mercato stesso è un’impresa. Quali sono i bisogni degli operatori finanziari? L’approccio che utilizzeremo è “aziendalista”.
La metodologia dei flussi ha per scopo lo studio delle transazioni finanziarie, la loro creazione ed il loro trasferimento. Altri sistemi di analisi, tra cui la contabilità nazionale, hanno lo scopo di analizzare e misurare l’economia reale (PIL, risparmio, consumo etc.). La metodologia dei flussi, invece, aiuta a capire la dinamica dell’economia “di carta”.
Facciamo alcune ipotesi di partenza:

  • la definizione del sistema economico: avremo come oggetto di studio il sistema-Paese;
  • la divisione di questo sistema economico in macrosettori, o macrocategorie di operatori che si differenziano e sono individuabili a seconda dei comportamenti finanziari.
  • Strumento di analisi è la contabilità che non sarà economica, bensì finanziaria: questo strumento di rilevazione si chiama “conto delle fonti e degli impieghi dei fondi”. È uno strumento che analizza i comportamenti finanziari degli operatori, basandosi sugli strumenti di base:
    • Il conto economico
    • Lo stato patrimoniale

CE


Costi
Utile o risparmio

Ricavi

SP


Attività reali
Attività finanziarie

∑S (risparmio/utile)
Passività finanziarie

A destra abbiamo le fonti dei fondi, a sinistra gli impieghi dei fondi (questa è una particolare tipologia di bilancio, perché il punto di vista è quello finanziario). Naturalmente abbiamo fonti ed impieghi correnti (fornitori, stipendi etc.).
Facciamo qualche precisazione metodologica nell’identificazione di queste categorie di macrovariabili. Il metodo ha una caratterizzazione particolare: mentre l’attività reale compare in un solo bilancio (cioè nel conto di un solo operatore: non c’è contropartita), l’attività finanziaria compare anche necessariamente e simmetricamente nello stato patrimoniale di un altro operatore, naturalmente come passività finanziaria.
A differenza della contabilità generale, nelle AR, non ci sono solo gli investimenti, gli immobilizzi e gli impianti; ∑S  non rappresenta le fonti a titolo proprietario, quali passività di capitale e non di debito. Le azioni sono considerate come “debito”, anche se tecnicamente non lo sono: sono assimilate perché l’azione emessa da un’impresa appare come attività finanziaria nel bilancio dell’acquirente; quindi non si tratta di attività reale e accumulo di risparmio, bensì esprime un trasferimento di risorse finanziarie. Al contrario, per quanto riguarda le attività reali, ad esempio, un macchinario non esprime nessun trasferimento ed appare in un bilancio soltanto.
La moneta, pur essendo tangibile ed avendo una veste reale, è attività e passività finanziaria: è contemporaneamente presente “nelle mie tasche” e nelle passività di bilancio della Banca Centrale (l’emittente di debito, è un debito convenzionale, perché non è più convertibile in oro come una volta), mentre per l’impresa che paga lo stipendio è un costo e per chi lo riceve è un ricavo.
Se ho bisogno di soldi per un investimento, essi derivano dalle fonti: o aumento i ricavi o riduco i costi, oppure mi indebito: aumentano le passività finanziarie. Nel caso di un’azienda, per non indebitarsi, essa potrebbe emettere azioni, mentre una famiglia si indebita e basta, oppure, se nessuno gli concede credito, è costretta a ridurre le attività reali (es.: vende la macchina) o ridurre le attività finanziarie (es.: vende dei titoli).
La fonte di fondi, quindi, non deriva solo dalle fonti naturali, è anche la riduzione degli impieghi dei fondi (PF), così come, al contrario, si possono aumentare gli impieghi dei fondi mediante un aumento di AR, AF. Una riduzione di una fonte ∑S rappresenta un impiego.
Illustrato lo strumento dei conti, introduciamo delle grandezze (o variabili o indicatori) che ci aiutano a capire i problemi finanziari sinteticamente. Le variabili chiave sono due:

  • S = risparmio: esprime il saldo della gestione corrente; si spera sempre che sia positivo (di conseguenza si ha un settore in surplus economico, in cui la gestione corrente è fonte di fondi), ma se è negativo si è in perdita (e la gestione corrente assorbe risorse finanziarie e rappresenta un impiego).
  • La risorsa tipica è la differenza tra S e investimento in attività reali: si chiama SALDO FINANZIARIO; in formula: S - ∆AR. Il saldo finanziario esprime la posizione finanziaria netta dell’operatore, cioè “dice” se l’operatore assorbe o genera fondi.

Un saldo finanziario positivo esprime una posizione di surplus finanziario (ultimate lander: un prestatore finale dei fondi). In ultima analisi la sua funzione è quella di prestare fondi, perché ne ha in eccesso. Il risparmio che genera internamente è superiore all’investimento in attività reali, quelle più direttamente inerenti all’attività produttiva.
Un operatore che ha, al contrario, un saldo finanziario negativo, ovvero è inferiore al fabbisogno di attività reali, è un settore in deficit finanziario: si presenta nell’economia come “prenditore finale di fondi”: ultimate borrower.
I macrosettori dell’economia sono facili da individuare proprio perché hanno diversi comportamenti dal punto di vista finanziario.
La famiglia
                                           
AR        ∑S
 



              AF         PF             (PF potrebbe non esistere)

Tipicamente le famiglie, come aggregato, hanno risparmio positivo, quindi sono settori le cui attività fin. sono > delle passività fin. Le attività finanziarie esistono sempre: “almeno la moneta per comprarsi il panino”. Le famiglie sono operatori del sistema economico specializzate non nell’attività produttiva o nella gestione del capitale, bensì nella percezione e nel consumo di redditi (sono aziende di erogazione/unità di consumo prevalentemente). Nel loro SP le famiglie hanno la casa, la macchina etc. (immobili e beni di consumo durevoli): non sono consumi, ma investimenti che vanno ammortizzati.


Le imprese
                           ∑S
 



      AR                PF

Nel caso delle imprese, invece, la situazione è: poco risparmio e molte attività reali, al limite nessuna attività finanziaria (che non caratterizza l’attività dell’impresa, quindi per semplificare la eliminiamo). Il saldo finanziario negativo va sostenuto con passività finanziarie (azioni e obbligazioni), che sono strumenti di debito con cui si raccolgono soldi.
Poiché ragioniamo in termini di aggregati di settore e non di singola impresa, questa è la situazione tipica: altrimenti, se il risparmio non fosse positivo, ci troveremmo di fronte ad un paradossale caso di un intero settore produttivo in perdita.
Gli investimenti sono tantissimi, perché le imprese sono specializzate nell’effettuazione degli investimenti, così come le famiglie sono specializzate nel consumo.
Se un’impresa non è in deficit finanziario, ma è in surplus finanziario, non è valutata sempre positivamente:

  • potrebbe non investire a sufficienza: invece che comprare materie prime tiene soldi in cassa, o, addirittura, si sta ritirando dal mercato;
  • oppure, se come investimenti è nella media del settore, ci saranno utili alti, ma il problema quale potrà essere?

La sostenibilità nel tempo: “è possibile nei mercati odierni che ci siano imprese che hanno 50-60% di ROE costante?” La teoria economica ci dice che, finché gli utili sono alti, entreranno altre imprese nel mercato, sino a spazzare via ogni margine di profitto. Sebbene i mercati non siano perfettamente concorrenziali, sono comunque molto competitivi. L’utile non si azzererà, ma livelli di utile straordinari non sono sostenibili nel lungo periodo.
Lo Stato
 



        S

        AR                 PF

        AF

Lo Stato svolge attività produttiva, quindi è più assimilabile ad un’impresa, piuttosto che ad una famiglia: i risparmi non sono sufficienti. Dal punto di vista fisiologico, lo Stato è un settore in deficit finanziario come le imprese: investe molto. Nell’osservazione empirica dei fenomeni troviamo patologie gravi: le spese correnti sono maggiori delle entrate correnti. Lo Stato usa le risorse per sostenere una posizione di equilibrio economico: distrugge il risparmio altrui, facendosi finanziarie, per coprire perdite, esattamente come un’impresa. Tendenzialmente, però, non fallisce: ha una posizione di potere coercitivo e normativo che gli rende possibile ciò che non è possibile per i privati: sostenere una posizione costante di deficit. Lo Stato è un ultimate borrower in stato patologico.
Oggi in Italia, rispetto al deficit pubblico esploso negli anni ’70, la situazione è molto migliorata: si dice che l’avanzo primario, come indice di miglioramento della situazione finanziaria sia positivo: c’è un surplus primario. L’avanzo primario è l’avanzo prima degli interessi passivi, con l’esclusione dei pagamenti degli interessi per debito pubblico.
Gli interessi passivi sul debito, quindi, sono spese che non derivano da una “mala-gestione” di questo periodo, ma dalle “mala-gestioni” precedenti: sono un’eredità del passato.
X = D (Offerta = domanda)
Q + V = E + C + G + I
S – I = E – V (Risparmio – Investimenti = Esportazioni – Importazioni)
“S – I” è il saldo finanziario dell’economia nazionale, rispetto al mondo: siamo passati in economia aperta.
Il 4° operatore, dopo Stato, famiglie, imprese è il resto del mondo.

  • Quando il nostro Paese è in surplus, le esportazioni sono > delle importazioni: la bilancia delle partite correnti (scambio di beni e servizi) è positiva. Questo significa che, dal punto di vista finanziario, il resto del mondo è in deficit finanziario. Il nostro Paese è un ultimate lander ed il resto del mondo è ultimate borrower.
  • Attualmente in Italia avviene l’opposto: il nostro Paese investe più di quel che risparmia, ha un saldo negativo, mentre il resto del mondo ha un saldo finanziario positivo. Il resto del mondo ci finanzia.

La caratteristica dell’ultima formula, sopra espressa, è la frequenza della rotazione degli squilibri: uno Stato non può sempre essere in surplus o in deficit. Nel lungo periodo deve bilanciare. Il collegamento tra economia di carta ed economia delle cose è evidente: la finanza è complementare all’economia reale. L’economia reale genera posizioni di surplus o deficit finanziario che la finanza va a compensare. Lo squilibrio tra risparmio ed attività reale è esattamente = allo squilibrio tra attività e passività: “il bilancio bilancia”… Il limite principale dell’approccio sinora espresso è la eccessività della semplificazione: ragionando per macrosettori, abbiamo diviso l’economia solo in 4:

  • Famiglie
  • Imprese
  • Stato
  • Resto del mondo.

Lezione pomeridiana Il problema a cui la finanza risponde è: “COME TRASFERIRE LE RISORSE?
“Come trasferire i saldi finanziari positivi delle famiglie verso i saldi finanziari negativi delle imprese? Come si compensano le divergenti posizioni finanziarie di famiglie ed imprese? Come si passa dai centri di generazione/accumulazione del risparmio ai centri di effettuazione degli investimenti?”
La finanza deve rispondere ai tipici o naturali bisogni finanziari degli operatori, in particolare le famiglie hanno eccedenze di surplus, mentre le imprese hanno necessità di investimenti.
Rispetto alle diverse esigenze dei macro-operatori di trasferimento dei surplus, il sistema finanziario ha diverse soluzioni. Seguiremo un itinerario storico-evolutivo delle diverse forme-tecnologie del sistema finanziario.

  • Nel primo di questi modelli non c’è finanza: siamo nello stadio dell’economia di sussistenza, di auto-consumo o di baratto, agli albori dello sviluppo economico. La produttività è bassa: Y è appena sufficiente a soddisfare le esigenze primarie. Non esistono investimenti, accumulazione e surplus economici.
  • Nel secondo stadio (quello della tesaurizzazione) c’è la rivoluzione agricola: si coltiva con fertilizzanti, trattori etc. La produzione aumenta sino ad eccedere le esigenze di consumo: si manifesta il surplus. Il surplus viene tesaurizzato: investito in attività reale: si è costretti ad investire tutto il risparmio in beni durevoli o immobili. Anche in questo stadio non c’è finanza: non c’è trasferimento di risorse. Non ci sono attività e passività finanziarie. A differenza di prima, lo sviluppo economico ha fatto un grande salto. In questo caso non è possibile una disuguaglianza tra S e AR, le due grandezze coincidono sempre: il saldo finanziario è uguale per tutti: si è in una situazione di indifferenziazione dei saldi finanziari. Questo implica che la famiglia che risparmia tanto non sa dove lasciare i propri soldi. Dopo un certo livello vi sarà un disincentivo al risparmio: meglio un viaggio all’estero (consumo) piuttosto che acquistare “la ennesima lavatrice”.
  • Le due soluzioni, che dal punto di vista ideologico sono opposte, dal punto di vista del modello finanziario si eguagliano:
    • Vetero-capitalismo (quello della prima rivoluzione industriale inglese): l’effettuazione del risparmio era accentuata nel settore delle imprese. Il saldo finanziario era 0 per famiglie ed imprese, ma le imprese disponevano di più risparmio.
    • Socialismo o economia pianificata: al posto delle imprese abbiamo lo Stato, ma non cambia niente: “le famiglie muoiono sempre di fame”…hanno risparmi ed investimenti bassi, in altre parole.

Vi è una mancata differenziazione (de-specializzazione nei comportamenti finanziari) delle posizioni finanziarie da un lato (famiglie), e dall’altro (Stato) un accentramento dell’attività di investimento.
Il settore che fa gli investimenti è anche quello che li finanzia. Un solo soggetto di potere comanda.
La valutazione nell’efficienza di questa tecnologia è quindi estremamente negativa: non risponde ai bisogni degli operatori e non garantisce trasferimento di risorse.

  • Arriva la finanza (il sistema finanziario, ma non ancora gli intermediari o imprese finanziarie): è la situazione in cui le imprese (che devono fare gli investimenti) e le famiglie (che si specializzano nell’attività di creazione del risparmio) riescono a incontrarsi tramite la creazione di strumenti finanziari, che permettono e rappresentano contrattualmente uno scambio di denaro a titolo creditizio (ovviamente non a titolo gratuito): azione, obbligazione, prestito in generale. Per quanto riguarda la finanza, abbiamo 3 stadi fondamentali:

a. La finanza interna: il finanziamento viene fatto mediante i propri risparmi ed utili.
b1. La finanza esterna diretta
b2: le divergenze tra famiglie ed imprese (nella finanza esterna diretta)
c. La finanza esterna indiretta
b1. La finanza esterna diretta
Il collegamento tra settori in surplus e quelli in deficit è un collegamento diretto. C’è un rapporto diretto tra creditore e debitore: ultimate lander e ultimate borrower. Lo scambio di risorse avviene attraverso “un’innovazione finanziaria tecnologica” chiamata obbligazione o azione. Questa tecnologia ha caratteristiche opposte a quelle precedenti: esiste una specializzazione quanto a posizioni o comportamenti finanziari. I bilanci ed i saldi finanziari sono diversi e tipici. Si ha decentramento nell’attività di investimento (opposto all’accentramento precedente). Il segreto dello sviluppo economico è nell’attività di investimento: è la scelta decisiva sulle sorti di una nazione. In questo modello, per effettuare investimenti, è necessario che due soggetti siano d’accordo: impresa e famiglia, che sono, tuttavia, liberi di raggiungere o meno il consenso. Si dice che il “controllo sull’investimento” lo faccia la famiglia.
Il decentramento della scelta di investimento porta alle seguenti conseguenze:

  • Probabilmente l’investimento è più efficiente: visto che bisogna essere concordi in 2, la scelta degli investimenti è più severa e rigorosa; c’è un miglioramento nell’efficienza allocativa delle risorse.
  • Il patto del decentramento delle scelte economiche a livello politico: è un sistema di democrazia economico, a differenza dei precedenti sistemi economici totalitari.
  • È un sistema che garantisce un soddisfacimento delle esigenze. “Tutti sono contenti”, grazie al trasferimento effettuato dalla finanza.
  • È un sistema complesso da realizzare, quindi perviene a decisioni in maniera più lenta.

b2. Divergenze tra famiglie ed imprese (nella finanza esterna diretta)
Il problema di fondo è la diversità di esigenze tra il settore in surplus ed il settore in deficit. Dal punto di vista delle esigenze finanziarie, imprese e famiglie sono molto distanti. Le caratteristiche delle obbligazioni che le famiglie sono disposte a comprare, sono estremamente diverse o addirittura opposte rispetto alle caratteristiche delle obbligazioni che le imprese vorrebbero vendere. Negoziare non è semplice.

Il problema di fondo è la diversità di esigenze tra il settore in surplus ed il settore in deficit. Dal punto di vista delle esigenze finanziarie, imprese e famiglie sono molto distanti. Le caratteristiche delle obbligazioni che le famiglie sono disposte a comprare, sono estremamente diverse o addirittura opposte rispetto alle caratteristiche delle obbligazioni che le imprese vorrebbero vendere. Negoziare non è semplice.

  • La diversità di esigenze è data innanzitutto dal punto di vista del rischio e della sicurezza: le famiglie vogliono investire i propri risparmi in attività finanziarie sicure, non sono speculatori né imprenditori. Hanno esigenze transattive o precauzionali. Al contrario è naturale che le imprese non possano far altro che offrire alle famiglie il rischio massimo: il rischio d’impresa.
  • Dal punto di vista del rendimento, le famiglie vorrebbero il rendimento più alto possibile, mentre per le imprese il rendimento delle obbligazioni è un costo.
  • Dal punto di vista della liquidità (della durata o scadenza), le famiglie vogliono impiegare i loro risparmi a breve (potendo accedere al proprio risparmio in caso di esigenze), mentre le imprese finanziano investimenti a lungo termine.
  • Anche sotto il profilo dell’ammontare, le famiglie generano piccole quote parcellizzate e frammentate di risparmio, mentre le imprese sono poche e vogliono finanziarsi per grandi importi: non vogliono trattare con 10.000.000 di famiglie con un risparmio di un euro, bensì con 1 famiglia che ha un risparmio di 10.000.000€.
  • Ulteriori diversità di preferenze riguardano la valuta: l’impresa potrebbe cercare finanziamenti in valuta estera, ma non è detto che le famiglie vogliano sopportare il rischio di cambio. Anche il tasso di interesse può essere scelto diversamente, tra fisso e variabile.
  • L’ultimo problema riguarda l’accessibilità geografica/localizzazione: è un problema banale di contatto fisico. La famiglia dovrebbe prendere il treno, andare in città, incontrare l’imprenditore, perdendo tempo etc.

Per tutti questi problemi, la finanza esterna diretta è molto difficile. Si può cercare di intervenire per alleviare alcuni problemi. Citiamo le più significative innovazioni per superare i problemi della finanza esterna diretta:

  • gli agenti/broker/mediatori: si pongono in mezzo alle imprese/famiglie e possono fornire servizi logistici o informativi sul rischio (essi consigliano ma non si accollano il rischio), sulla necessità, sull’ammontare, etc.
  • i mercati secondari: agiscono sui problemi di scadenza e liquidità;
    • il mercato primario è il mercato di emissione degli strumenti finanziari.

Il mercato secondario non è detto che ci sia ed è quel mercato dove si scambiano strumenti finanziari già emessi. Può garantire la liquidità allo strumento finanziario e quindi alla famiglia che lo detiene: anche un titolo a lunghissima scadenza, se c’è un efficiente mercato secondario, non riscontra problemi di liquidità. Il rischio, tuttavia, resta sempre sulle famiglie.

 

Tra imprese e famiglie vi è un operatore che entra in contatto con le famiglie, emette un proprio debito e allo stesso tempo acquista la passività dell’impresa: questo operatore si chiama intermediario creditizio. Il più importante di tutti si chiama banca. Non è un mediatore, bensì un intermediario: spezza il flusso in due parti. Il trasferimento diventa indiretto e passa attraverso l’intermediario: una nuova categoria di impresa. In questo stadio, oltre ai principi di de-specializzazione e di decentramento decisionale ancora più spiccati (addirittura devono essere d’accordo 3 soggetti: banca, famiglie, imprese), si aggiunge un terzo principio che è la trasformazione dei flussi: si hanno due scambi diversi.
Dal punto di vista dell’efficienza del sistema, non è poi molto diverso dal quello precedente. Grazie all’aiuto della banca, è più facile che il trasferimento finanziario si realizzi, ma non è possibile sostenere in assoluto che l’ultimo stadio (la finanza esterna indiretta) sia il più efficiente in quanto a funzionalità: è semplicemente più realizzabile.
Per quanto riguarda l’efficienza nello svolgere le funzioni è tuttora aperto un dibattito tra sostenitori di banca e mercati.
La funzione dell’intermediario creditizio è la trasformazione dei flussi, soddisfando specularmente e contemporaneamente sia imprese sia famiglie. Come abbiamo già visto, trattando la finanza diretta, imprese e famiglie necessitano di strumenti finanziari diversi. La banca trasforma i titoli risolvendo molti dei problemi di cui sopra:

  • Dal punto di vista del rischio, non si ha timore che la banca fallisca.
  • Dal punto di vista della liquidità, le imprese possono aver generato azioni, mutui trentennali, etc. mentre il deposito è a vista, in tempo reale.
  • Dal punto di vista dell’ammontare, i tanti piccolissimi depositi (pulling di risorse) generano i grossi prestiti di cui necessitano le imprese.
  • Per quanto riguarda l’accessibilità e la localizzazione, le banche sono presenti ovunque coi loro sportelli in modo capillare; sebbene la struttura sia molto costosa, garantisce grande facilità di accesso.

In questo modo, trasformando i flussi, le banche riescono ad offrire un prodotto su misura per famiglie ed imprese.
Ripetiamo che la funzione produttiva della banca è proprio questa trasformazione del flusso: raccolgono risparmio e lo prestano a caratteristiche diverse. La parte fondamentale non è soltanto il passaggio, bensì la trasformazione!
La banca si accolla il rischio dell’impresa, senza trasferirlo e ciò ha indubbiamente un costo. Ecco qual è il costo della funzione produttiva della banca. Il problema è che questo costo dovrebbe essere minore del costo della finanza diretta.
Vedi slide. Lo “spread” è la differenza tra costi effettivi dell’impresa e costi di transazione e di rischio: è il costo della tecnologia finanziaria per la collettività. È stato dimostrato che sia più conveniente la finanza indiretta, perché è possibile avere uno spread inferiore a carico della collettività.
Ovviamente la funzione di trasformazione dei flussi costa alla banca. Lo spread tra il rendimento sui depositi e i prestiti alle imprese viene incamerato dalla banca a titolo di copertura dei costi di trasformazione ed a titolo di utile.
Nonostante via sia un operatore aggiuntivo, esso migliora il guadagno di tutti. Come fa la banca a contenere i costi dell’intermediazione e della funzione di intermediazione, generando uno spread basso? Perché il finanziamento all’impresa fatto dalla banca è nettamente meno costoso di quello fatto direttamente dal settore in surplus?

  • La banca è un operatore specializzato nella finanza e nel trasferimento. Rispetto al finanziatore famiglia (canale diretto) il finanziatore indiretto (la banca) gode di “economie di scala: la banca è grande, la famiglia è piccola. I costi fissi incidono diversamente su un milione di euro o su 100 milioni.
  • Altro fattore: la diversificazione è collegata alla dimensione. Se la famiglia ha 100 euro da investire non può diversificare l’investimento, diversificando di conseguenza anche il rischio e riducendolo. Il rischio che prende la banca è ridotto, in quanto diversificato. Trasformando i singoli contratti di prestito ed i singoli contratti di debito, a livello di totale attivo e totale passivo, non ci può essere squilibrio eccessivo. È vero che un deposito (a breve) finanzia un mutuo (a lungo), ma non è possibile che il passivo sia tutto a lungo termine, mentre tutto l’attivo sia a breve, c’è per forza un equilibrio, grazie alla diversificazione.
  • Inoltre la banca sa investire in maniera più appropriata, la famiglia non ha competenze in merito: non dispone di “know-how” specifico.
  • La banca ha potere contrattuale, potendo quindi negoziare tassi di interessi o clausole più favorevoli, o chiedere garanzie, riducendo ulteriormente il rischio. Anche il potere di informazione riduce il rischio.
  • La banca, infine, svolge la funzione monetaria: è un altro grandissimo punto di vantaggio nella funzione creditizia e nell’assunzione del rischio, rispetto alla famiglia.

Applicando il metodo del conto delle fonti e degli impieghi dei fondi alla banca, scopriamo che la dominanza delle attività e delle passività finanziarie è assai superiore alle attività reali: il saldo finanziario non è particolarmente rilevante: non siamo di fronte ad un operatore con un surplus “normale”. Emette passività finanziarie per “finanziarie” attività finanziarie. L’attività finanziaria non compensa l’attività reale. Così facendo compensa tutti gli squilibri finanziari (surplus e deficit). In poche parole, la banca opera più nel mondo della carta che in quello dei beni e servizi reali.
Mercati ed agenti non risolvono il rischio, la banca quantomeno lo riduce.

Lezione del 11/03/05 Morfologia e struttura della finanza
Come abbiamo visto ieri, la banca fa della finanza il proprio business.
Oggi analizziamo la morfologia e la struttura dei sistemi finanziari. Indicatori importanti:

  • attività finanziarie totali / PIL = indice di intensità finanziaria
  • attività finanziarie detenute da intermediari / attività finanziari totali = grado di intermediazione
  • attività finanziarie detenute da banche / attività finanziarie detenute da intermediari = grado di importanza relativa delle banche.

Questi indicatori manifestano un tipico percorso temporale. Con l’aumentare dello sviluppo dei sistemi finanziari:

  • intensità finanziaria ↑: quanto maggiori sono i surplus ed i deficit, maggiore è il peso del sistema finanziario: il grado di intensità finanziaria dipende in maniera diretta dal livello di dissociazione dei saldi finali. L’intensità finanziaria di un paese, così come anche la morfologia del sistema finanziario (finanza diretta, indiretta, etc.) dipendono da alcune variabili determinanti, tra cui le seguenti variabili (alla base della scelta delle tecnologie di trasferimento; main Stream = grandi tendenze):
    1. modello di sviluppo economico
    2. politiche di distribuzione dei redditi
    3. strategie di finanza pubblica
  • grado di intermediazione ↑
  • grado di importanza delle banche ↓: via via che il sistema finanziario si sviluppa appaiono sul mercato nuovi intermediari finanziari, quindi il grado di importanza delle banche scende.

Riferimenti storici (modelli di sviluppo economico)
L’Inghilterra è stata il primo paese il cui sviluppo fu sostenuto dall’autofinanziamento; la Germania, invece, fu finanziata dalle banche. Oggi i Paesi in via di sviluppo sono finanziati principalmente dai Governi.
Nei trend epocali (= tendenze storiche di lungo periodo) cosa è successo alle economie moderne? Si sono attuate le politiche di distribuzione dei redditi a sfavore del fattore capitale ed in favore del fattore lavoro. C’è stata una tendenziale riduzione degli utili in favore del lavoro (sindacati, scioperi etc.), che ha spostato la distribuzione dei redditi. Questo fenomeno a cosa ha portato? Ad un aumento di dissociazione dei saldi.
Questo spostamento evidentemente ha portato ad un aumento dei deficit finanziari delle imprese ed ad uno speculare aumento del surplus finanziario delle famiglie.
Un’altra caratteristica tipica è il “Welfare state”: lo Stato ha sempre assunto ruoli più invasivi in termini di assistenza, infrastrutture e quant’altro. Questo ha portato ad un aumento del deficit finanziario della pubblica amministrazione, delle spese sia correnti sia di capitali (ad esempio, in Italia è dagli anni ’70 che lo Stato ha ampliato i propri servizi): anche questo è un fenomeno di dissociazione dei saldi finanziari, cioè l’aumento del grado di intensità finanziario del Paese. Naturalmente bisogna ribadire che avere un’elevata dissociazione significa avere grande bisogno di finanza e l’efficienza del sistema finanziario diventa critica. D’altra parte, se siamo partiti dalla rivoluzione industriale inglese, partendo dagli anni ’90 ad oggi, cosa è successo? Un fenomeno opposto! Una parziale correzione di rotta: il saldo finanziario delle famiglie va diminuendo, mentre il deficit del settore pubblico e delle imprese sono migliorati: c’è una minore dissociazione, una tendenza alla convergenza.
Il caso italiano
Ma facciamo un passo indietro per analizzare l’Italia. In questo quadro di tendenze epocali, in parte corrette, di dissociazione tra deficit e surplus, l’Italia come si colloca? Dagli anni ’60 abbiamo avuto il boom economico: prima eravamo un paese povero, contadino, in via di sviluppo. Durante il boom che caratteristiche ha assunto il sistema finanziario? Vi è stato un accentuato orientamento all’intermediazione:

  • via finanziaria allo sviluppo”: le imprese ricorrono al debito bancario piuttosto che all’emissione di titoli
  • circuiti di doppia intermediazione: separazione tra banche a breve ed a lungo (lo stesso sistema normativo prevedeva questa diversità di circuito);
  • crowding out” dei mercati azionari: i mercati diretti non esistevano; la borsa non esisteva;
  • elevata regolamentazione del settore dell’intermediazione: i flussi finanziari erano diretti e governati dalla politica => instabilità, fragilità della struttura finanziaria dei debitori e scarsa efficienza dovuta a sovraccarichi.

Cause di sottosviluppo della finanza in Italia a partire dagli anni ’60:

  • Ricordiamo, ad esempio, che il debito era fiscalmente agevolato, mentre l’emissione di azioni no: gli interessi passivi erano deducibili. L’incentivo al debito rispetto ai mezzi propri favoriva la finanza indiretta rispetto a quella diretta, così come il sottosviluppo dei mercati diretti (dovuto all’assenza di regolamentazione): vi era deregulation sulle attività di borsa. Es.: insider trading, OPA (offerte pubbliche d’acquisto).
  • Un'altra causa di sottosviluppo della finanza diretta era l’assenza di investitori istituzionali, cioè fondi pensione, fondi comuni, assicurazioni, etc.
  • Ulteriore causa: i comportamenti delle imprese. Le loro preferenze erano rappresentate in buona parte da piccole e medie imprese a produzione famigliare, piuttosto che da grandi corporation con azionariato frammentato. È ovvio aspettarsi un sistema finanziario orientato alla banca, piuttosto che un orientamento al mercato: la piccola-media impresa non desidera emettere azioni. Un’impresa molto indebitata genera rischi alti, mentre un sistema a finanza interna magari cresce meno ed è meno flessibile, ma è più stabile.

Nel momento in cui arriva la grande recessione degli anni ’70, gli shock petroliferi fanno crollare il sistema.

  • Il precedente modello si rivelò adatto a gestire lo sviluppo, ma non la crisi finanziaria e la stagflazione. Si ridussero i saldi finanziari, vi fu un riequilibrio ed un certo spostamento dalla finanza diretta a quella indiretta.

Arriviamo alla situazione odierna. Stranamente il nostro Paese oggi ha intensità finanziaria relativa tra le più basse nel mondo. Perché questo è negativo? Perché se la finanza è piccola il business è piccolo. Perché accade questo?
Il risparmio non è più così elevato, ma è in linea con quello degli altri paesi.
Le ragioni del sottofinanziamento del nostro Paese sono:

  • principalmente quelle relative (non ai saldi finanziari, bensì) alla morfologia del sistema finanziario: siamo passati da un sistema finanziario dominato dai canali indiretti ad uno dominato da quelli diretti, non per colpa delle imprese ma dell’altro grande settore in deficit finanziario, lo Stato, che è in grande debito. Lo Stato ha iniziato a finanziarsi direttamente presso le famiglie con i titoli di Stato. A livello quantitativo hanno iniziato a prevalere quindi i circuiti diretti.
  • le pensioni: mentre negli USA e negli altri Paesi avanzati si fa ricorso alla previdenza privata, in Italia è lo Stato ad occuparsene (è l’unico Paese avanzato in cui accade). La più grande differenza tra il sistema finanziario italiano e quelli esteri è che mancano i più grandi investitori: i fondi pensione.
  • Altra causa è il credito al consumo: le nostre famiglie sono molto meno indebitate che nei paesi esteri.

Negli ultimi tempi, il nostro sistema finanziario è cambiato, migliorando rispetto a 15 anni fa, quando avevamo un sistema finanziario più simile a quello africano piuttosto che a quello americano.
Altri sistemi finanziari del mondo
Quali sono i grandi fenomeni o tendenze di cambiamento? 3:

    1. L’innovazione finanziaria.
    2. La globalizzazione: i mercati finanziari sono sempre più integrati di qualsiasi altro mercato, in un unico mercato mondiale, visto che i soldi circolano più rapidamente di persone, beni e servizi.
    3. La crescita di peso/influenza/efficienza della finanza diretta e di influenza decisionale degli investitori istituzionali, degli analisti finanziari.

Le imprese oggi, dal punto di vista strategico, non sono più autonome: la strategia in larga parte non viene decisa dal general manager, bensì in accordo con coloro i quali investono nell’impresa e con gli analisti finanziari.
Il “pay out ratio” deve piacere agli analisti: ad esempio, un’impresa con utili alti può comunque vedere scendere il prezzo delle proprie azioni perché essi ritengono che la quota di dividendi non siano adeguata (è il caso di Banca Intesa).

 


Banking economies (Bank Oriented)

    • Si sono sviluppate in Germania e in Giappone:
    • sono le economie in cui lo sviluppo economico è stato finanziato dalle banche.
    • Le imprese sono molto indebitate presso le banche e non raccolgono soldi dalla borsa.
    • Le relazioni tra banca ed impresa sono solide e di lungo periodo. In Germania, addirittura, esiste la haus bank: la banca ha quote di capitale della stessa impresa.
    • La proprietà delle imprese è concentrata. Esistono azionisti di riferimento che rappresentano il nocciolo duro: famiglie, imprenditori, banche.

Market economies (Market Oriented)

  • Le market economies sono tipiche dei Paesi anglosassoni:
  • Il loro sviluppo è stato finanziato dai mercati,
  • Le banche sono meno potenti, non entrano nel capitale delle imprese.
  • Le imprese hanno poco bisogno della banca, perché si finanziano mediante l’emissione di azioni ed obbligazioni.
  • L’impresa è meno indebitata e più capitalizzata. La proprietà è frazionata, quindi più mobile.

Il dibattito su quale sia il modello migliore è acceso.
I pro ed i contro nella banking economy:

  • la banca ha più informazioni,
  • può garantire legami stabili (relationship banking, relationship finance), un rapporto personalizzato.
  • Viceversa le stesse caratteristiche distintive sono considerate come svantaggi: es. il fatto di essere meno imparziale ed oggettiva nella valutazione del credito e dell’impresa la porta ad allocare meno bene il credito.
  • È più conservatrice, cerca di difendere lo status quo: blocca gli outsider per proteggere gli insider (le proprie imprese). Questo blocca le nuove imprese che potrebbero svilupparsi e magari essere più efficienti. Il sistema finanziario è orientato alle relazioni: è un sistema esclusivo che protegge l’élite delle poche imprese che contano.
  • Vi è meno propensione al rischio.
  • La banking economy è meno democratica e meno trasparente.
  • Le informazioni che arrivano al settore in surplus (famiglie) sono meno necessarie e quindi minori: nella banking economy ci pensa la banca.
  • Il modello di capitalismo “bank oriented” è poco aperto alla concorrenza, come in Italia.

Il caso italiano
L’Italia ha una posizione anomala, perché è sicuramente una banking economy, però non esistono le haus bank. Il modello normativo ed operativo è stato quello della banca della market economy. È una prima grande incoerenza tra modelli normativi e prassi operative. Ora che il nostro sistema si sta orientando verso la market economy, abbiamo la haus bank, con le nuove normative. Un certo shift (spostamento) dalla banking economy alla market economy è un fenomeno globale del mondo avanzato, persino in Germania. L’Italia invece continua ad essere banca-dipendente, secondo alcuni. Secondo altri l’impresa italiana, a differenza di quella tedesca, non riesce a sganciarsi dalla banca perché è piccola e non in grado di sostenere buoni rating (punteggi delle azioni).

Lezione del 17/03/05 Analisi dei dati forniti sulla fotocopia.
Famiglie
Dal ’97 al 2000 cosa osservo? Come sono cambiati i comportamenti delle famiglie italiane? Si registra una significativa diminuzione del circolante. I titoli hanno avuto un andamento variabile, tendenzialmente in diminuzione. Un giudizio di sintesi: il comportamento delle famiglie, per quanto riguarda il risparmio finanziario e l’impiego del suo saldo (il surplus che è fatto per definizione di attività finanziarie), è stato: ridurre circolante, depositi (prodotto a minimo rischio) e titoli, aumentare azioni, fondi pensione e assicurazioni. Le altre attività sono riserve tecniche di assicurazione, fondi pensione e alte partite minori. Cosa suggerisce questo? Il sistema finanziario da questo punto di vista sta regredendo? Polizze e azioni sono a rischio, quindi il rischio c’è, c’è un trend alla maggiore diversificazione (non c’è una polarizzazione tra pochissime azioni e moltissimi titoli di stato, come in passato). Tendenzialmente questa maggiore assunzione di rischio aumenta la combinazione redditività-rischio: le azioni che crescono molto in modo evidente spostano tale soglia. Quando c’è molta possibilità di diversificazione, c’è maggiore cultura finanziaria. Questo corrisponde anche ad un sistema finanziario più ricco di proposte. Confrontiamo il paese delle famiglie italiane con quelle delle famiglie dei Paesi-partner (peer-groups), con tenori di vita simile: tedeschi, francesi, inglesi, americani etc.
Il confronto ci dice che in Italia l’investimento in circolante e depositi rispetto alla Germania è inferiore. Siamo più moderni e propensi al rischio. Per quanto riguarda i titoli, nonostante la quota sia scesa, è tuttavia altissima, se confrontata con l’estero.

  • Come già anticipato, una caratteristica fondamentale è che in Italia non esistono fondi pensione: le famiglie stanno dimostrando di prendere il rischio, ma non comprano i fondi pensione perché non esistono.
  • Altra caratteristica fondamentale che ricordiamo mancare è il credito al consumo.
  • Terza caratteristica: abbiamo il 3° debito pubblico del mondo. I dati forniti tuttavia riguardano medie, e non la distribuzione della ricchezza: la diversificazione tra poveri e ricchi.

Le imprese
Analizziamo la composizione delle fonti dei fondi. La variabile caratteristica del settore in deficit (le imprese) è la passività. Con quali fonti si finanziano i deficit finanziari? Non sono presenti gli utili/riserve reinvestiti. Le azioni sono mezzi propri, e sono aumentate molto, mentre sono diminuiti significativamente i prestiti. A differenza delle famiglie, c’è polarizzazione: azione e prestiti corrispondono all’81%. Diminuiscono i debiti commerciali. C’è un processo quasi opposto alla diversificazione delle famiglie: c’è concentrazione, accompagnata da un po’ di re-distribuzione di quote.
Le attività marginali diminuiscono. Assistiamo, in sintesi, ad una tendenza delle imprese a rivolgersi di più al mercato (azioni) e meno al mercato finanziario (prestiti bancari). Le imprese cercano di finanziarsi con titoli a breve per investire. Titoli, azioni, prestiti e debiti commerciali sono le 4 variabili fondamentali. Il fatto di spostarsi dai debiti alle azioni, riduce l’indice del leverage. Attenzione: sebbene siano passività finanziarie, le azioni non sono debiti, quindi stiamo assistendo ad un processo di capitalizzazione e ad una riduzione dell’indicatore di indebitamento: questo porta ad una maggiore stabilità. Il secondo fenomeno è una minore ricchezza delle fonti di finanziamento. Il Regno Unito si riscatta, come gli USA e la Francia, per quanto riguarda le azioni. Il comportamento dei titoli è molto chiaro: quasi nulli Italia e Germania, USA e GB molto alti.
Il credito al consumo
Esso sta assumendo una crescente importanza nella gestione finanziaria delle famiglie.
Due elementi di distinzione in negativo del sistema finanziario italiano sono (tratti di un sistema sottosviluppato):

  • non avere fondi pensione
  • poco credito al consumo

I mutui ipotecari sono debito a fronte di un investimento positivo nel tempo (es.: indebitamento per l’acquisto di una casa). Quel che pone più dubbi è l’indebitamento della famiglia per comprare beni di consumo corrente: sono spese che non rappresentano un investimento per l’aumento del reddito futuro. Ma allora ci si chiede: come si farà a rimborsare il debito? Quando un’impresa si indebita, usa i soldi per l’attività produttiva e per aumentare gli utili, che rimborseranno il debito iniziale. Ma per la famiglia che va in vacanza non è così, dal punto di vista della capacità di rimborso. Nella teoria economica, il credito al consumo, infatti, è sempre stato circondato da molti dubbi. La famiglia, per definizione, si indebita perché è in difficoltà finanziaria, sintomo di un comportamento patologico, non economicamente razionale. Nella cultura rurale, cattolica, tradizionale e contadina, il credito al consumo era condannato: il risparmio era una virtù. Questa cultura è stata sostituita dal consumismo a tutti i costi. Oggi ha una legittimazione socio-culturale. Ma dal punto di vista dell’analisi economica, in realtà il credito al consumo è fisiologico e non patologico: è uno strumento necessario ed indispensabile per migliorare la gestione finanziaria della famiglia. Modigliani e Friedman (vedi le loro teorie dagli appunti di micro, macro, etc.) giustificano tale consumo, in un’ottica dinamica e multiperiodale. A differenza delle imprese, però, che possono avere cicli vitali molto diversi, la famiglia ha un ciclo vitale più tipico e generalizzato/diffuso: all’inizio guadagna meno di quello che spende, mentre più avanti nel tempo guadagna di più di quel che spende. Le esigenze di consumo sono tendenzialmente stabili. Il reddito delle famiglie, invece, tendenzialmente cresce: si fa carriera, si raggiungono scatti di anzianità, etc. Ma se mi indebito all’inizio, allora, potrò rimborsare il debito successivamente. È un fenomeno fisiologico, come anticipato: indebitarmi all’inizio mi consente di alzare il tenore di vita che col reddito corrente non potrei permettermi. Il benessere è superiore. In effetti, sul piano empirico, il credito al consumo è diffuso soprattutto tra le classi agiate, quindi non è nemmeno più vero che siano sempre le fasce povere ad indebitarsi.
La Corporate Governance
Scordiamoci il debito e concentriamoci sui mezzi propri: il capitale azionario è passività finanziaria ma non debito.
La struttura della proprietà e dell’azionariato in Italia. Le caratteristiche sono 2: una c’è ancora e l’altra non più:

  • i proprietari/azionisti sono le famiglie: universo di piccole e medie imprese (ma anche le grandi stanno sotto alle famiglie: FIAT, Agnelli)
  • Le imprese si caratterizzano per una proprietà pubblica: con il processo di privatizzazione tale impresa è venuta meno. Si dice che uno dei grandi vincoli alla crescita delle nostre imprese sia stato proprio il regime di monopolio delle imprese pubbliche grandi, mentre le private sono piccole o non se la passano bene (Parmalat).

Nei sistemi avanzati la proprietà delle imprese non è dello Stato (eccetto esercito) né delle famiglie: la proprietà è diffusa (public company nelle market economies) oppure ha dentro grandi imprenditori (banche/gruppi) come noccioli duri (Giappone e Germania: banking economies). Una conseguenza dell’anomalia italiana è che le nostre imprese (pubbliche o private) non vanno in borsa, perché non si vuole lasciare l’opportunità della scalabilità: se la maggioranza è blindata non ha senso essere quotati: se gli assetti proprietari non sono mobili, poche persone vi investiranno.
Il flottante (quote di azioni che effettivamente fanno mercato e sono vendute) rappresenta una quota marginale.
Argomento nuovo: teorie dell’intermediazione finanziaria
La prima teoria è quella di Gurley e Shaw. L’avevamo vista trattando “l’arrivo dell’intermediario finanziario”. Qualche considerazione introduttiva…i filoni teorici sono almeno 3:

  • la finanza di impresa: la corporate finance
  • la finanza del mercato dei capitali: la finance (ci torneremo pesantemente trattando azioni, obbligazioni e loro selezioni nella composizione del portafoglio ottimale)
  • Teoria dell’intermediazione finanziaria: sono le teorie che spiegano l’esistenza degli intermediari finanziari

Ipotesi neoclassiche
Lo studio della finanza è assente ed irrilevante nell’approccio neoclassico: nelle teorie dell’equilibrio dei marginalisti, tutta l’attenzione è volta allo studio dell’equilibrio micro e macroeconomico reale. La moneta è considerata un puro mezzo di scambio, un velo (vedi appunti di monetaria): è qualcosa che permette lo scambio di beni e servizi e basta; è neutrale. Le teorie della concorrenza perfetta si basano su ipotesi di razionalità degli operatori, perfetta e simmetrica distribuzione delle informazioni, frazionabilità illimitata di beni e servizi, assenza di costi di transazione.
Queste ipotesi sono la esatta negazione di quelle che abbiamo visto essere le ragioni dei flussi finanziari! L’intermediazione creditizia è proprio il modo per rispondere ai problemi che i monetaristi hanno ipotizzato non esistere, allo scopo di capire l’economia reale: i monetaristi ovviamente non negavano l’esistenza delle banche, ma “semplificavano” per capire meglio i fenomeni reali.
Altro giudizio, un po’ più valoriale, è quello di sostenere che, se l’intermediazione finanziaria è figlia delle imperfezioni del sistema, rimosse nelle ipotesi teoriche (nella misura in cui tali imperfezioni sono destinate a ridursi, vista la crescente efficienza dei mercati) ad un certo punto gli intermediari finanziari dovranno sparire. L’intermediazione, in questa ottica, è vista come un accidente storico-congiunturale. Questa ipotesi è gravemente sbagliata: gli intermediari sono più importanti oggi di ieri, sebbene il mercato sia in fase di aumento dell’efficienza. L’evidenza empirica nega tale teoria: o gli intermediari non derivano solo da imperfezioni rimovibili col miglioramento dei mercati, oppure è vero che gli intermediari derivano da vischiosità, frizioni ed imperfezioni dei mercati, ma non è possibile eliminarli. Probabilmente la seconda è la spiegazione più corretta.

Lezione pomeridiana
Le teorie successive a quella monetarista, affrontano i mercati finanziari in maniera positiva.

  1. Gruppo delle teorie keynesiane: Keynes, a cui si rifanno Gurley e Shaw, vede l’importanza della politica monetaria in quanto fattore attivo di riequilibrio dell’economia.
  2. Altre visioni:
    • sono quella marxista di Hitferting, che sottolinea molto il rapporto tra capitale finanziario e industriale, mettendo l’accento sull’influsso che ha il capitale finanziario nel controllare quello industriale; la finanza opera come grande trust, grande concentrazione economica in grado di influenzare anche la politica. Questa scuola ha avuto, infatti, più successo politico che economico.
    • Viceversa c’è un autore che ha avuto molto più successo: Schumpeter. Analizza anch’egli il rapporto che si instaura tra credito e sviluppo economico, sottolineando molto il carattere dell’innovazione; per innovare e cambiare bisogna spesso distruggere l’esistente: è la “distruzione creatrice, termine da egli stesso coniato. La possibilità di diventare innovatore è legata alla possibilità di diventare debitore. Il creditore (la banca) ha una funzione di anticipazione dei redditi futuri dell’investimento: non ha solo il compito di trasferire il potere di acquisto, ma anche il compito di creare nuovo potere d’acquisto, finanziando l’imprenditore e la creazione di ricchezza che l’imprenditore realizzerà.
  1. Gruppo delle teorie istituzionali, moderne. Siamo molto lontani dai neoclassici. Le teorie istituzionali raggruppano le visioni più recenti dell’intermediazione creditizia: ciò che le accomuna è un’impronta socio-organizzativa più che economica: si fa attenzione agli aspetti comportamentali, alle istituzioni, alla razionalità dell’individuo, si introducono i comportamenti opportunistici. A questa si riallacciano molte teorie:

Sono le due principali applicazioni della scuola neo-istituzionale alla finanza (si aggiungono alla teoria importantissima di Gurley e Shaw).

 teorie dei costi di transazione di Williamson
  • teorie delle asimmetrie informative
  • teoria dei costi di agenzia
  • teorie dei giochi

La teoria dei costi di transazione
Alla luce di questi “problemi”, visti come strutturali e non contingenti, il confronto di efficienza tra mercati ed organizzazioni, tra circuiti diretti ed indiretti, diventa un confronto tra diverse tecnologie finanziarie sulla base di una valutazione dei costi di transazione e dei costi organizzativi. Se sia meglio un circuito diretto o indiretto dipende da come questi meccanismi aiutano a risolvere i problemi riguardanti i costi di agenzia, di transazione, dei comportamenti opportunistici etc. Williamson interpreta il meccanismo di scambio alla luce dei costi di transazione: se è necessario comprare un componente produttivo, tale acquisto può essere regolato da un meccanismo di mercato oppure è possibile uno scambio internalizzato: si compra il produttore e non il prodotto. Il meccanismo istituzionale “mercato” è alternativo per garantire lo scambio di beni e servizi in maniera più efficiente e sicura. È anche una questione di fiducia nei confronti del fornitore. La chiave interpretativa di Williamson dell’applicazione del mercato si applica bene anche alla finanza. I mercati finanziari e gli intermediari sono due diversi meccanismi di gestione dello scambio finanziario. In ogni scambio sussistono rischi e lo scambio stesso può non essere ottimale o subottimizzante. Qual è, allora, il miglior meccanismo per ridurre i rischi ed assicurare un buono scambio? Meglio l’organizzazione o il mercato? Meglio la borsa e il circuito diretto o l’intermediario creditizio ed il circuito indiretto?
La teoria dei costi di transazione sostiene che lo scambio finanziario sia costoso, perché bisogna sostenere costi per ricercare le controparti (la famiglia deve cercare l’impresa e viceversa), costi di produzione del contratto, costi di valutazione del rischio, costi di controllo (ex post: il creditore deve controllare il debitore), costi di produzione etc.
Si pone l’enfasi su questi costi, individuandoli e classificandoli; si vede la finanza come un modo per ridurli; si indica e sottolinea che l’intermediario creditizio ha dei vantaggi in tale riduzione: se il credito è svolto dalla banca piuttosto che dal risparmiatore, i costi sono minori (considerate le economie di scala, i know-how, etc.).
Le asimmetrie informative
L’altra teoria su cui ci soffermiamo maggiormente, ha molti punti in comune con la precedente, ma mette l’accento sul fatto che il mercato si può paralizzare nel caso in cui questi costi siano eccessivi, cioè nel caso in cui le asimmetrie informative siano eccessive, sino ad avere il “market failure”: fallimento del mercato.
La teoria della asimmetrie informative è di portata generale: viene elaborata con riferimento all’economia reale: è la teoria di Hackerloff (si scriverà così?) “dei bidoni e delle auto usate”: riguarda sfruttamento di conoscenze diverse tra i soggetti che compiono lo scambio. Vediamo i diversi tipi di equilibri:

  • info perfetta e simmetrica ó separate equilibrium: entrambi hanno informazioni, sia il venditore sia l’acquirente sono soddisfatti; teoria neoclassica: l’incontro tra D e O genera il P ottimale.
  • info imperfetta e simmetrica ó valore medio atteso: l’informazione è la stima media del campione del sistema: lo scambio avverrà al P medio ponderato. Il comportamento è razionale: siccome può andare di fortuna o sfortuna si compra ad un valore medio; entrambi hanno le stesse informazioni.
  • asimmetria informativa ó market failure (bad used cars ordre: out good cars): il venditore sa benissimo le caratteristiche del prodotto, mentre il compratore ha a disposizione il valore medio atteso. Il problema è che il venditore, sapendo che il compratore offrirà il prezzo medio, non venderà più i prodotti buoni, ma quelli medi, di conseguenza il compratore sapendolo offrirà la metà della metà, e la qualità scenderà ancora, e così via.

Nel caso del finanziamento dei settori in deficit, evidentemente il settore che investe (imprese) ha molte più informazioni su quel che farà dei propri soldi rispetto al creditore (banche). Nel caso del credito siamo in PIENO in una situazione di asimmetria informativa, dove il soggetto svantaggiato è il creditore: rischia e, allo stesso tempo, dispone di minore informazioni. Per loro natura le informazioni si verificano ex ante ed ex post (prima o dopo la conclusione del contratto).

    • Nel caso delle asimmetrie ex ante il rischio è la selezione avversa: il rischio è che, siccome ha meno informazioni, lo svantaggiato informativo scelga male: scelga i debitori peggiori, che nascondono le informazioni (hidden information). Ad esempio: se si fissa un premio assicurativo per la polizza malattia o per il furto, il rischio è di trovarmi con gli assicurati peggiori, cioè quelli che sanno che sono molto esposti al rischio di furto o sono già malati, ma senza dire che hanno alti rischi. Quelli che ritengono di essere poco esposti ai rischi non si assicurano. Come si può ridurre questo rischio?
  • Facendo lo screening: il creditore affina le sue capacità di selezione
  • Anche il debitore può contribuire, se è un buon debitore (altrimenti avrebbe interesse a fare il furbo) comunicando al creditore l’informazione e facendo il signalling: certificazione delle attività di revisione, agenzie di rating, bilanci, rischiando mezzi propri, condividendo il rischio, dando garanzie etc.
  • Per le asimmetrie ex post, invece, il rischio è diverso da quello della selezione (che c’è già stata), bensì il moral azard: l’avvantaggiato informativo compie hidden action: “fa il furbo”. Ad esempio, se sono assicurato, faccio gli autoscontri. Allora cosa fa la società assicurativa?
    • Pone la franchigia: “una quota del danno te lo piglio tu”
    • oppure usa meccanismi contrattuali come il bonus-malus.
    • Fa il monitoring: controlli per evitare azioni che danneggiano lo svantaggiato informativo (il creditore).
  • Un altro meccanismo con lo scopo di ridurre i rischi, è la fiducia: tra le due parti si instaura una relazione di fiducia che sostituisce, in quanto tale, tutti questi marchingegni sopra citati, anche perché ridurre i rischi in quei modi costa (ci riallacciamo alla teoria dei costi di transazione). La fiducia “è un meccanismo gratuito” di riduzione delle asimmetrie informative (moral azard e avverse selection). Quando le banche stressano molto la customer relationship (approcci al cliente), cercando relazioni ricche e stabili, lavorano proprio sul rafforzamento del legame fiduciario. Tale politica, se ben condotta, può ridurre i rischi delle asimmetrie informative in modo efficiente: la fiducia ha un valore economico! Fukuyama ha scritto “trust” = fiducia.

Nell’economia italiana la fiducia è fortissima nella famiglia e nel clan: lì si sviluppa l’impresa famigliare e di villaggio.
Concludendo, siccome l’asimmetria ci sarà sempre, i mercati finanziari sono necessari.
Il ruolo, secondo queste visioni, è quello di ridurre le asimmetrie informative rispetto ai canali diretti: la banca è molto più efficiente nel fare lo screening ed il monitoring (ma allo stesso tempo garantisce riservatezza):

  • durata e orientamento temporale di lungo della relazione (customer relationship)
  • dimensioni adeguate rispetto ai fabbisogni finanziari dell’impresa (Hausbank)
  • partecipazione al capitale di rischio (banca mista): i rappresentanti della banca entrano nel consiglio di amministrazione

Verso: separatezza e dialettica tra finanziato e finanziatore (arm’s lenght).
La teoria evoluzionista
Una volta giustificata l’esistenza degli intermediari con le asimmetrie informative, si potrebbe sostenere che esistano il canale diretto (superiore) e indiretto (inferiore): le tendenze verso lo sviluppo e l’efficienza, la migliore distribuzione dell’informazione e la riduzione dei costi di transazione condurranno il sistema finanziario allo stadio evolutivo superiore, con la scomparsa degli intermediari.
La teoria evoluzionista si scontra però contro la realtà fattuale, infatti l’evoluzione di lungo periodo non determina una sparizione delle banche, ma una loro trasformazione: porta a complementarità e non concorrenza tra banche e mercati; si accompagna ad un aumento di titoli posseduti non direttamente dalle unità in surplus, ma tramite gli investitori istituzionali.

Lezione di venerdì 18 Marzo 2005
Chiudiamo con le teorie dell’intermediazione creditizia. Ci siamo soffermati sulle asimmetrie informative. La banca è in posizione privilegiata per ridurre i rischi delle asimmetrie. Una delle cause dell’aumentato del peso dei mercati è proprio la maggior informazione circolante, quindi la riduzione dell’asimmetria, in parte anche grazie alla regolamentazione. Secondo la teoria dell’insider trading l’informazione è accessibile solo ad alcuni soggetti facenti parte del sistema.
L’informazione nei mercati finanziari:

  • pubblica: riguarda tutti gli operatori: es. mercati dei capitali
  • privata: riguarda solo alcuni operatori.

Le fonti:

  • enti pubblici (banche centrali, istituti di statistica, ecc.)
  • venditori professionali di informazioni di base (giornali, reti di informazioni come Reuters, banche dati, data provider)
  • soggetti interessati (ad es. le imprese attraverso il bilancio, gli incontri con gli analisti, la comunicazione finanziaria)
  • società di rating (informazione diffusa gratuitamente a tutti gli interessati e servizio pagato dall’emittente i titoli)
  • banche (l’informazione è incorporata nel rapporto di finanziamento: signalling)

Trattiamo ora il delegated monitoring
È stato teorizzata da Diamond, che recupera molti principi dalla teoria dell’agenzia. La teoria dell’agenzia spiega i rapporti tra mandante (principal) e mandatario (agent). In una situazione di asimmetria informativa e di obiettivi diversi c’è il problema di assicurare che l’agente non faccia il suo interesse ma quello del mandante. Questa teoria viene applicata al rapporto debitore/creditore e ai rapporti tra proprietà e management: gli azionisti delegano ai manager la gestione, ma c’è il rischio che essi facciano i propri interessi. Stessa cosa dicasi tra manager e dipendenti.
Con la teoria dell’agenzia applicata alla banca, Diamond spiega il rapporto creditizio tra risparmiatore e banca: il risparmiatore è in una posizione di mandante e delega alla banca lo screening, il monitoring, il prestito e la gestione del rischio (anche perché, come avevamo già visto, la banca è più efficiente nello svolgimento di tali operazioni, perciò ne riduce i costi).
Si pone il problema dell’asimmetria informativa. Diamond sostiene che il risparmiatore non riesca a controllare la banca, ovviamente, ma conta invece sugli strumenti di incentivo e sanzione: il c.d. “enforcement”. La chiave è il carattere di passività nominalistica che ha il deposito: l’incentivo che la banca ha a comportarsi correttamente è intrinseco nelle caratteristiche tecniche del deposito. Il deposito ha valore fisso e nominalistico; la banca è in posizione di “residual claimant (titolare di diritti residuali)” nei confronti dei prestiti. Il fatto che la banca debba rimborsare i depositi al loro valore nominale, qualunque sia il rendimento, la spinge a prestare in maniera efficiente. Ad esempio, se un risparmiatore cede parte del proprio surplus ad un fondo azionario, se il fondo investe male il risparmiatore ci perde. Dando gli stessi soldi alla banca, se la banca fa cattivi investimenti, essa non può deprezzare il deposito.
Non è solo la regolamentazione che progredisce, ma anche la tecnologia, che ha come scopo rendere accessibile a basso costo l’informazione (internet), ed ha un impatto molto grande sul livello dell’asimmetria informativa.
Efficienza del sistema finanziario

  • Efficienza di completezza (full instance efficiency): presenta una gamma ampia e diversificata di strumenti finanziari; essa dipende fondamentalmente dall’innovazione finanziaria (l’ampiezza della gamma dei prodotti); un sistema è completo quando è in grado di innovare. La securitization, i derivati, etc. danno la possibilità di coprire rischi che prima non si riuscivano a coprire: il sistema è più completo.
  • Efficienza valutativa o fondamentale: (è molto legata a quella informativa) si intende il fatto che il mercato è intelligente e sa fare i calcoli. Scontando il cash flow, fissa il prezzo dell’azione: traduce l’informazione disponibile in una proiezione di flussi di cassa, dopo di che li sconta fino a giungere al valore attuale. In poche parole, si valuta il livello futuro dei P dei titoli e li si attualizza. Naturalmente, per essere efficiente valutativamente bisogna essere efficienti informativamente. Ma si potrebbero comunque avere tutte le informazioni senza valutarle bene. L’efficienza informativa è una condizione necessaria per l’efficienza valutativa. L’importanza dei mercati oggi è decisiva, più dei manager di impresa: se un manager decide di un’operazione che i mercati non desiderano, egli potrebbe essere costretto a comportarsi come vogliono i mercati. Se i mercati non valutano correttamente il valore delle azioni potrebbe sfumare una buona operazione.
  • Efficienza operativa (o in senso statico o X efficiency): minimizza il costo di produzione medio unitario.
  • Efficienza allocativa (o in senso dinamico): tipica della finanza; è uno dei grandi compiti del sistema finanziario: allocare al meglio le risorse in surplus, che affluiscono ai progetti che presentano la massima redditività attesa. Si raggiunge il punto di uguaglianza tra la produttività marginale di tutti gli I di capitale possibili. Così come alla base dell’efficienza operativa c’è un sistema competitivo, alla base dell’efficienza allocativa c’è l’orientamento al profitto degli azionisti. L’efficienza allocativa impedisce le crisi bancarie. Un altro aspetto nodale/critico è l’ampiezza degli investimenti considerati: in questo senso la banca locale che vuole prestare solo nella sua provincia probabilmente è allocativamente meno efficiente della banca nazionale.
  • Efficienza informativa: si intende la capacità dei P dei titoli (cioè del valore delle attività finanziarie) di riflettere istantaneamente, pienamente e correttamente le informazioni disponibili. Quando cambia il set informativo cambia immediatamente il Prezzo. Essere efficiente rispetto a tante informazioni è chiaramente meglio che essere efficiente rispetto a poche informazioni. Quando un mercato è efficiente, sia rispetto a tante sia rispetto a poche informazioni, nessun operatore è in grado di battere il mercato: non esistono per definizione titoli sopra o sottovalutati: non esistono profitti. Analizziamo ora il fenomeno dell’arbitraggio

Se per caso il P dell’azione si discostasse dal suo vero valore, non riflettendo tutte le informazioni disponibili, gli operatori se ne accorgerebbero e acquisterebbero il titolo se sottovalutato e lo venderebbero se sopravvalutato, facendo il c.d. “arbitraggio”. Le correnti arbitraggistiche riportano lo squilibrio al livello di equilibrio dei prezzi. Da ciò cogliamo 2 implicazioni:

    • Capiamo il valore positivo della speculazione (sinonimo di arbitraggio): porta ad un equilibrio fisiologico e funzionale.
    • Democrazia del mercato: l’efficienza informativa è tanto maggiore quanto maggiore è il numero degli operatori che elaborano le informazioni in modo autonomo. Il giudizio che si forma (il P del titolo) probabilmente è più efficiente, proprio perché c’è una situazione di molteplicità di centri decisionali.

Questo chiama in gioco il problema della democrazia economica: un mondo con tanti centri decisionali è migliore di uno con un solo centro. Una delle critiche è che in realtà la molteplicità di centri decisionali non c’è, spesso sono grandi investitori che danno il là ai mercati, facendo partire il comportamento imitativo “c.d. di gregge”: spesso il mercato è deciso dal capo mandria: se si sbaglia “è un macello”. Un sistema efficiente sotto i profili indicati è anche stabile.


Quando parliamo di efficienza informativa ne parliamo:

  • in forma debole: i P dei titoli rispecchiano le informazioni relative a P e quantità passate. Non ci sono altre informazioni. Se il mercato è efficiente, il singolo operatore non può fare meglio del mercato sfruttando i P passati per individuare quelli futuri: tutti prevedono P futuri coi P passati. L’analisi tecnica dei chartisti (chart=grafici) richiede soltanto le informazioni sul passato. Il comportamento è estrapolativo. Fare profitto così non è possibile perché le previsioni sono realizzabili da tutti. I test sull’efficienza debole considerano l’indice di borsa svolgono un’analisi tecnica sino a definire i rendimenti degli I dell’indice di mercato. Se chi opera con analisi tecnica ottiene rendimenti superiori, il mercato non è efficiente in forma debole: chi fa l’analisi tecnica batte il mercato. Normalmente i test dicono che il mercato è efficiente in forma debole: è difficilissimo battere il mercato in forma debole.
  • In forma semiforte: i P dei titoli incorporano tutta l’informazione pubblica disponibile, non soltanto prezzi e quantità, articoli di giornali, conferenze, andamento del settore. Se si adotta questo set informativo, si svolge un’analisi fondamentale, perché si basa sui fondamenti dei P dei titoli. Se un mercato è efficiente in forma semiforte, colui che opera con analisi fondamentale non riesce ad avere rendimenti superiori a quelli del mercato, perché il mercato incorpora tutte le informazioni. I test dimostrano che nemmeno i fondamentalisti riescono a battere il mercato, che è efficiente anche in forma semiforte. La gestione attiva non batte quella passiva: magari ha un piccolo rendimento superiore, ma compensato dai costi per commissioni.
  • In forma forte: i Prezzi incorporano anche informazioni private. Si distingue:
    • Quasi forte: il mercato incorpora nei P le informazioni destinate agli investitori istituzionali (PA). Se il grande investitore riesce a battere il mercato, allora il mercato è inefficiente nella forma quasi forte.
    • Super forte: il mercato incorpora le voci interne alle imprese (quelle dei manager); quelle notizie riservate che non sono state dette a nessuno, nemmeno agli investitori o alla banca: è il caso dell’insider trading, che in Italia è un reato: il manager che ha informazioni particolari sulla propria impresa, specula su di esse. Se il manager consegue un profitto che il mercato non consegue, questa è inefficienza in forma super forte. Tutti i mercati sono evidentemente inefficienti in forma super forte, sebbene sia illegale.

    Lezione del 24/03/2005
    La stabilità è strettamente connessa all’efficienza. Chiudiamo il discorso sull’efficienza, ricordando teorie relativamente recenti di matrice psico-socio-cognitiva, che vanno sotto il nome della “behavioral finance”. Queste teorie analizzano i comportamenti di gruppi e persone allo scopo di interpretare i comportamenti e l’efficienza dei mercati finanziari, arrivando alla conclusione che non sono poi così efficienti, soprattutto dal punto di vista valutativo e, di conseguenza, anche allocativo. Queste teorie quindi sottolineano le dosi di inefficienza dei mercati e delle loro difficoltà, a causa dell’irrazionalità decisionale (Simon: “l’uomo è solo intenzionalmente razionale” come ricordiamo dal corso di EGI).
    Il funzionamento concreto dei mercati non è spiegato solo dalle teorie economiche, ma anche concretamente da teorie psicologiche. Queste teorie ci aiutano a capire perché i mercati divergono dalle condizioni di efficienza.
    Le bolle speculative sono situazioni di prolungata e sistematica sopra o sottovalutazione dei titoli, che, se il mercato fosse efficiente, dovrebbero essere assorbite dagli arbitraggi. L’inefficienza valutativa e le bolle speculative dipendono:

    1. da un eccessivo ottimismo (euforia) o eccessivo pessimismo: l’irrazionalità.
    2. dall’eccessiva rilevanza attribuita all’andamento di breve periodo. Spesso si ignora la legge del ritorno alla media e ci si basa soltanto su prezzi recenti (generando errate previsioni), mentre nel lungo le escursioni eccessive vengono riassorbite.
    3. dall’effetto dei media, che amplificano i crolli.
    4. dal fenomeno imitativo o “effetto gregge”, perché prescinde da valutazioni obiettive e personali. È evidente che possa diventare un “effetto valanga”. Diventano rilevanti da un lato la psicologia individuale e dall’altra l’influenza di carattere sociale; di conseguenza, la previsione dei comportamenti degli altri operatori.
    5. da conflitti di interesse (un effetto patologico meno irrazionale valutativamente): molti degli opinion makers hanno convenienza a dire che le cose vanno bene anche quando vanno male (chi opera sul mercato dei titoli vende di più se la borsa sale): c’è una tendenziale sopravvalutazione del mercato, visto che spesso questi operatori sono anche offerenti di servizi finanziari nei confronti delle imprese (danno il rating alle stesse imprese che hanno come clienti).
    6. dalla teoria dei giochi: essa sostiene che convenga accodarsi al comportamento sbagliato, quello che porta all’equilibrio sub-ottimale, cioè seguire la bolla. Quando la bolla scoppierà, l’operatore potrà dire: “ma tanto perdono tutti”. Pensiamo alla bolla di internet: gli operatori sapevano benissimo che le aziende di internet erano sopravvalutate. Ma se tutti compravano, il P dei titoli dipendeva dal comportamento della maggioranza.

    Esiti delle crisi
    Uno degli esiti dell’inefficienza è la crisi. È un fenomeno tipico ed importante perché la crisi finanziaria è connaturata con l’attività finanziaria: è un fenomeno patologico. Altro motivo è che la crisi finanziaria ha effetti più devastanti persino di quella industriale, perché si propaga a tutto il sistema e quindi si propaga anche al mondo produttivo, per ovvi nessi tra economia di carta ed economia delle cose. Una crisi di un’impresa può restare un fenomeno circoscritto, ma, se fallisce una banca, il rischio è che si verifichi una propagazione a tutto il sistema finanziario e ovviamente crolla anche l’economia reale: è “l’effetto contagio”, una fragilità intrinseca ed inevitabile del sistema finanziario. Se non accade è per l’intervento di una serie di meccanismi prevalentemente pubblici che limitano le crisi. I pubblici poteri cercano di evitare questo fenomeno, che altrimenti si realizzerebbe naturalmente.
    Il modello di Fischer
    La bolla speculativa delle “dot com” è un fenomeno recente che spieghiamo con strumenti concettuali vecchi degli anni ’30: il modello di Fischer spiega, infatti, la dinamica della bolla. Una situazione di eccessivo ottimismo gonfia la bolla:

    • l’attività economica aumenta e molti si indebitano per speculare sui titoli,
    • aumentando la domanda di attività finanziarie, aumenta il debito, perché l’economia corre più della finanza.
    • I prezzi aumentano perché Y sale. Aumenta anche il costo delle garanzie.

    A questo punto un fenomeno anche accidentale (es.: un capo mandria che anticipa il ciclo, cercando di anticipare la svolta), quale un’inversione di percezione e valutazione, può propagarsi rapidamente mediante l’effetto gregge e la bolla scoppia:

    • Crolla la domanda di attività finanziarie,
    • crollano i prezzi
    • si rovesciano le aspettative,
    • ma i debiti restano, e si è costretti a svendere le attività per rimborsarli. Ciò riduce ulteriormente il prezzo delle attività e deprime l’attività economica, che riduce ulteriormente i profitti e quindi la capacità di rimborsare il debito: si innesca un ciclo vizioso, definito “deflazione da debito, perché P e debito si riducono a velocità diverse: i Prezzi scendono velocemente mentre i debiti restano ai tassi che c’erano durante la bolla.

    La teoria di Minski
    Minski ha elaborato un’altra teoria che riconduce le crisi finanziarie all’equilibrio e alle posizioni finanziarie degli operatori in generale. Egli analizza, dal punto di vista dell’esposizione alla crisi, 3 situazioni:

        • l’operatore è in posizione coperta (hedge financing): non è esposto al rischio finanziario, ma soltanto al rischio operativo. Le entrate di cassa eccedono sempre le uscite di cassa. Si auto-finanzia. La sua esposizione è indiretta.
        • Gli operatori sono in posizione speculativa: tipicamente nel breve periodo, le entrate di cassa sono inferiori alle uscite di cassa. La posizione si ri-equilibria nel lungo, perché le entrate di cassa eccedono le uscite (ad esempio perché ha investito all’inizio). Un operatore di questo tipo è in squilibrio finanziario: va in crisi finanziaria se non riesce a ri-finanziare lo squilibrio di breve periodo. C’è un problema di accesso al credito, nonché di tasso di interesse: se c’è uno shock di tasso di interesse il valore attuale dei flussi futuri diminuisce e, siccome nel futuro ci sono più flussi in entrata che in uscita, il valore attuale dei flussi in entrata si riduce di più del valore attuale dei flussi in uscita: i flussi non sono simmetrici. I flussi positivi nel lungo si deprezzano molto e vanno in squilibrio economico (nel caso di crisi finanziaria: aumento di tassi di interesse), generando una minusvalenza sulle attività maggiore della minusvalenza sulle passività. Questo non deriva dall’economia reale, ma da un problema a cui si è esposti essendo in squilibrio finanziario. Se si abbassano i tassi di interesse naturalmente l’operatore speculativo, al contrario, guadagna.
        • L’operatore “ultra-speculativo” non riesce nemmeno a pagare gli interessi sul debito: i flussi in entrata sono inferiori addirittura agli interessi sul debito, tanto il debito è grande.

    L’instabilità deriva dalla percentuale di operatori in queste 3 categorie. Maggiore è il numero di operatori in posizione ultra speculativa più fragile è il sistema finanziario. Spesso i sistemi economici partono in posizione coperta, poi quando l’economia tira facilmente passano nelle posizioni ultra speculative. Va considerato anche che vi è un importante comparto del sistema economico in cui tutti gli operatori sistematicamente sono in posizione speculative, strutturalmente ed inevitabilmente. Le banche sono strutturalmente in posizione speculativa: nel breve sono in squilibrio finanziario, perché i depositi sono tutti a vista mentre di attività a vista ce ne sono molto meno. I flussi in entrata ed in uscita nel breve sono in fortissimo squilibrio. Le banche iniettano grandi dosi di potenziale instabilità ma tolgono l’instabilità dagli operatori finali, aiutando molto la gestione finanziaria di famiglie, imprese e Stato, perché si accollano il rischio.
    Fattori di rischio:

    1. la strutturale posizione speculativa, dal punto di vista finanziario, che le banche hanno tipicamente.
    2. i nessi di carattere sistemico: le banche sono collegate tra loro da un sistema; sebbene tra l’altro concorrenti fanno parte di un unico sistema e sono avvinte da legami di solidarietà. Quando una banca va in crisi è molto facile che la sua difficoltà si propaghi a tutto il sistema, anche perché esistono nessi di rapporto di debito-credito, rapporti di sistema di pagamento. Tutti pagamenti transitano attraverso il sistema bancario: una banca paga un’altra banca…se una banca fallisce, anche l’altra va in crisi. Siccome le banche sono in posizione speculativa, se si formano le code agli sportelli in una banca, allora anche in tutte le altre banche ci sarà un massiccio e generalizzato ritiro dei depositi. Le banche non hanno entrate di cassa sufficienti a coprire le uscite di breve.
    3. le asimmetrie informative: i depositanti non sanno distinguere tra banche insolventi e banche sane, quindi c’è una corsa agli sportelli per panico dei depositanti. Questo si è verificato in Argentina recentemente: la sfiducia si generalizza anche per asimmetria informativa.

    Nuovo argomento: la politica monetaria e le altre politiche che condizionano i fattori esogeni
    Parliamo dell’effetto che hanno i poteri pubblici sull’operato degli intermediari creditizi. Le due grandi aree di influenza dei poteri pubblici sul sistema finanziario sono:

    • la politica monetaria: investe tutti i settori, ma soprattutto influenza il sistema finanziario, perché lavora su variabili monetarie.
    • la vigilanza: tutte le norme amministrative che riguardano la regolamentazione specifica del settore finanziario.

    Quando si studia l’economia di un’azienda di credito ed i principi di gestione dell’intermediario creditizio e si analizza il comportamento del sistema finanziario si deve tenere conto di una serie di fattori di contesto che condizionano l’operato di questi soggetti e che sono esogeni, cioè non possono essere influenzati. Parliamo delle condizioni di contesto, prima di parlare di fattori endogeni. Cominciamo dalla politica monetaria. La politica monetaria a cosa serve? Dal punto di vista dei poteri pubblici, è uno strumento di controllo e di influenza del mercato reale: PIL, ricchezza, investimenti etc. Oltre alla politica monetaria quali altre forme di politica economica ci sono? Gli strumenti concorrenziali - alternativi nel fare la politica economica sono quelli per la gestione delle produzioni reali. Come si chiama l’intervento dello Stato per governare direttamente il mix produttivo? Risposta: “politica industriale”. Un’altra politica rilevante è quella fiscale: la gestione del bilancio pubblico. Altra ancora: la politica dei cambi (estero). Ultima è la politica dei redditi: l’intervento dello Stato nella negoziazione dei patti sociali (scala mobile, sindacati, etc.). Nel quadro europeo, che cosa ne è della politica economia italiana?

    • La politica monetaria: non c’è più. La Banca d’Italia non fa più politica monetaria.
    • La politica del cambio: non c’è più nell’area euro, ovviamente, ma nemmeno più nell’area extra euro, perché la politica dell’euro è decisa dal consiglio europeo e dalla BCE.
    • La politica fiscale: c’è ancora, ma ha dei vincoli pesanti da rispettare (come il patto di stabilità, modificato in questi giorni: limite di deficit di 3% del PIL da manovrare). Avremmo bisogno oggi di una politica fiscale espansiva, ma non possiamo attuarla perché siamo già vicini al 3% e questo patto ci paralizza. Resta la possibilità di cambiare la composizione delle entrate e delle spese, ma per l’effetto netto, che è quello veramente recessivo o espansivo, non c’è possibilità di influenza.
    • Cosa resta? (su queste che restano c’è possibilità maggiore di influenza)
      • La politica dei redditi: c’è il guardiano della banca centrale europea, che dà una serie di consigli, ma non ha potere di intervento diretto (i contratti coi sindacati sono nazionali)
      • La politica industriale

    Se guardiamo alla storia della politica economica in Italia, vediamo che la leva del cambio è stata lo strumento fondamentale (dall’inizio degli squilibri degli anni ’70, di cui avevamo già parlato: bassa competitività delle merci, costi del lavoro, deficit e inflazione alti) attraverso il quale siamo riusciti a gestire la situazione di disallineamento (per recuperare la competitività delle merci). Ma oggi l’Europa unita ci ha tolto questa possibilità. Tutta la concorrenza si gioca sul piano delle due politiche che restano: mediante le riforme. Oggi per competere nella politica economica e per aiutare il sistema paese sono necessarie leve di politica economica, sull’effettiva competitività del tessuto produttivo.

    Lezione pomeridiana
    Il patto di stabilità e di crescita, approvato dal Consiglio Europeo di Amsterdam nel giugno 1997, mira a garantire che, anche dopo l’introduzione dell’euro, gli Stati membri dell’UEM mantengano la disciplina ed i bilanci vicini al pareggio.
    Il trattato è stato escogitato in un momento di crescita dell’Europa, con rosee prospettive, nel momento in cui si creava l’UE. Poi l’Europa è entrata in situazione di stagnazione e si è scatenato il dibattito sull’eccessiva rigorosità del patto, in una fase di congiuntura negativa quale quella attuale. Inoltre, quando il limite del 3%  del rapporto deficit/PIL è stato sfondato Francia e Germania essi non sono stati sanzionati, mentre gli “staterelli” sì. Pochi giorni fa, dopo un lunghissimo dibattito, la riforma è andata incontro alle rivendicazioni dei governi nazionali ed ha flessibilizzato il patto.
    I Governi dei Paesi piccoli “più virtuosi” erano contrari ad una revisione del patto, ma i “grandi viziosi” hanno vinto. Ad oggi è possibile superare il 3% del deficit. Le attenuanti sono, ad esempio, le spese per solidarietà nazionale, ricerca e sviluppo, investimenti pubblici, calamità naturali, recessioni gravi, etc. L’altro parametro è il 60% del debito pubblico (è un vincolo meno importante, anche perché l’Italia è a più del 100%).
    Torniamo alla politica monetaria. Quella europea è molto rigorosa: la leva del cambio non viene utilizzata, anzi in questo momento l’euro è rivalutato. Vista la tendenza a non intervenire, l’euro si è apprezzato, il che corrisponde ad una situazione recessiva. La politica monetaria europea ha un’intonazione restrittiva piuttosto che espansiva. Anche questo, come il patto di stabilità, è oggetto di grandi dibattiti. Le economie nazionali invocano una economia più espansiva. La politica monetaria era stata anch’essa pensata in un momento in cui l’economia cresceva, mentre ora la congiuntura di stagnazione vorrebbe una politica monetaria espansiva. La politica monetaria è una grande variabile esogena di contesto. Viene azionata dai pubblici poteri ed è componente essenziale della politica economica. Gli effetti della politica monetaria investono l’economia reale, agendo sulla moneta e sugli aggregati monetari (tassi di interesse). Ne consegue che si hanno impatti indiretti sull’economia reale e impatti diretti ed immediati sul sistema finanziario. Tant’è che una delle funzioni fondamentali delle banche è quella di essere meccanismo di trasmissione della politica monetaria: si dice che il sistema bancario sia “la cinghia di trasmissione della politica monetaria”. In ciò il sistema bancario è alleato della BC. Tra le banche commerciali e la BC esistono rapporti storici molto collegati. Tutti gli intermediari creditizi si interpongono tra la banca centrale ed il settore produttivo, diffondendo gli impulsi della BC all’economia reale: è così che le variabili monetarie influenzano le variabili reali. Dedichiamo ora l’attenzione alla concreta attuazione della politica monetaria, con specifico riferimento all’Europa. Dal ’99, con l’unificazione dell’euro, ovviamente, la politica monetaria non può che essere unica (la vigilanza, invece, può essere accentrata o restare decentrata su base nazionale: attualmente è nazionale, infatti).
    Il quadro istituzionale
    L’organismo che fa la politica monetaria europea si chiama “sistema europeo delle banche centrali”.
    SEBC = BCE + BCN
    Svolge le proprie attività ai sensi del Trattato istitutivo della CE e dello Stato del SEBC e della BCE. Il SEBC è governato dagli organi decisionali della BCE. Gli istituti sono 2:

    • consiglio direttivo della BCE: organo decisionale per la politica monetaria;
    • comitato esecutivo della BCE: responsabile dell’attuazione delle decisioni e degli indirizzi decisi dal consiglio.

    Il Governatore della BCE oggi è Trichet (francese). Il primo è stato Deusenberg.
    Le caratteristiche ed i principi sulla base dei quali opera il sistema europeo:

    • accentramento decisionale: garantire unicità della politica monetaria nell’area UEM e coordinamento tra BCN;
    • decentramento operativo: “è una questione pratica (siccome c’erano già sono controllate, ma non morte)”.

    Altri principi (vedi lucidi):

    • Indipendenza: divieto di finanziamento del settore pubblico da parte della BC; mandato di 8 anni non rinnovabile (per non essere influenzabili o ricattabili). L’organo di politica monetaria deve essere indipendente dai Governi (l’esecutivo). È forse responsabile di fronte al Parlamento europeo, ma certamente è indipendente dai Governi.
    • Responsabilità: annuncio di un obiettivo quantitativo con riferimento al quale i cittadini possono valutare i risultati ottenuti dal SEBC. È una sorta di meritocrazia.
    • Trasparenza: Conferenza stampa del presidente BC dopo la prima riunione mensile del Consiglio direttivo; bollettino mensile con approfondita valutazione della situazione economica europea; pubblicazione settimanale del bilancio dell’Eurosistema; rapporti trimestrali e annuali sulle attività del SEBC. Una delle critiche è che questo organismo “parla troppo”. Questo allo scopo di riuscire ad influenzare le aspettative.

    I compiti del SEBC:

    • stabilità dei prezzi: è l’obiettivo principale (la lotta a π): art. 105 del Trattato di Maastricht
    • definizione e attuazione della politica monetaria della comunità
    • svolgimento delle operazioni sui cambi nei cfr. delle valute dei Paesi non aderenti
    • detenzione e gestione delle risorse ufficiali in valuta estera degli Stati membri
    • promozione del regolare funzionamento del sistema dei pagamenti
    • promuovere lo sviluppo dell’economia reale (occupazione)

    Il trattato di Maastricht (vedi lucidi).
    La FED (BC USA) ha una politica volta sia alla stabilità dei prezzi, sia allo sviluppo dell’economia. In Europa, invece, lo sviluppo è subordinato alla stabilità: non è allo stesso livello come negli USA. Ecco perché i Governi accusano la BCE di essere troppo restrittiva. La BCE e la FED, quindi, hanno 2 mandati differenti: la prima è più restrittiva, per Statuto (Maastricht). La BCE, dal canto suo, afferma che sia l’economia reale a doversi sviluppare senza l’incentivo di un’espansione monetaria e che non sia una questione monetaria la bassa competitività delle imprese europee.
    Altra critica: sul Trattato “non c’è scritto 2% o 3%”, non si specifica la quantità della restrizione.
    Strumenti per controllare la base monetaria:

    • rifinanziamento delle aziende di credito
    • operazioni di mercato aperto
    • controllo del tasso ufficiale di sconto e

    delle operazioni di rifinanziamento

    • coefficiente di riserva obbligatoria
    • controllo diretto mediante vincoli ammini-

    strativi (tassi bancari, composizione impieghi,
    dimensione delle attività e passività in valuta..)
    La strategia di politica monetaria
    Adempie a 2 compiti fondamentali:

    • imporre una chiara struttura al processo di definizione della politica monetaria, garantendo che il consiglio del direttivo abbia le informazioni e le analisi necessarie per prendere le decisioni più efficaci;
    • essere veicolo di comunicazione con l’opinione pubblica. La politica monetaria è efficace quando è credibile:
      • deve segnalare l’obiettivo
      • deve convincere che sarà raggiunto

    Altro compito fondamentale è la definizione quantitativa dell’obiettivo primario della politica monetaria unica: la stabilità dei prezzi. Due pilastri per raggiungere tale obiettivo:

      • un ruolo di primo piano per la moneta, come segnalato dall’annuncio di un valore di riferimento, per la crescita di un aggregato monetario ampio:
        • l’inflazione è un fenomeno monetario: la moneta è un’ancora nominale naturale
        • l’Euro sistema è responsabile in primis degli impulsi di origine monetaria all’inflazione
        • il Consiglio direttivo ha annunciato per la crescita monetaria un valore di riferimento
      • una valutazione di ampio respiro delle prospettive per i prezzi dell’intera area dell’euro, riguardante sia il loro andamento sia i rischi per la loro stabilità.

    Le statistiche degli aggregati monetari non sono sufficienti a fornire una sintesi esauriente di tutte le informazioni sull’economia necessarie per la definizione di una politica monetaria orientata al mantenimento della stabilità dei Prezzi. Ci si avvale allora di una serie di indicatori economici descrittori e anticipatori dell’andamento dei Prezzi: salari, tassi di cambio, prezzi dei titoli e curva dei rendimenti, indicatori di politica fiscale, indici di prezzo e costo, misure varie dell’attività economica reale, inchieste, etc.
    IAPC = indice armonizzato dei prezzi al consumo. L’inflazione è la variazione annuale di questo indice.  Nota: la deflazione non è considerata un obiettivo coerente. La politica monetaria europea si ispira ai comportamenti della Bundesbank: una BC che aveva l’obiettivo della stabilità della moneta. La Banca d’Italia aveva un comportamento opposto, meno rigoroso, più espansivo. Il passaggio all’euro, di conseguenza, è stato molto critico per l’Italia.
    L’obiettivo monetario (M3)
    Il valore di riferimento deriva dalla relazione tra moneta, prezzi, PIL e velocità di circolazione della moneta:
    M x V = PIL x p
    M = Q x p / V
    Dove: 0 < p < + 2%                       M3 = +4,5% annuo
    +2% < PIL < +2,5%
    -1 < V < -0,5%
    La visione monetarista dell’inflazione: data una certa crescita potenziale, se c’è troppa moneta non c’è un effetto di aumento della crescita, ma soltanto un effetto inflativo. La crescita dipende dall’economia reale, non dalla moneta.
    M3 predice abbastanza bene l’andamento dell’IAPC.

    Lezione di venerdì 25/03/2005; ore 8:00 AM

    • Le banche partecipano alle operazioni di mercato aperto.
    • La base monetaria è direttamente gestita e creata dalla BC.
    • Le passività della BC sono immediatamente convertibili.
    • La base monetaria (M1) è il primo aggregato monetario.
    • Più si passa da M1 ad M3 (l’obiettivo monetario) meno la BC ha potere di controllo.
    • Una banca in difficoltà viene finanziata dal credito in ultima istanza se, temporaneamente, non è sufficientemente liquida (l’importante è che non sia insolvente).
    • Il tasso di riferimento ufficiale ha sostituito il vecchio tasso ufficiale di sconto: oggi è al 2%. Normalmente si sta un punto sopra per i prestiti ed un punto sotto per gli interessi sui depositi. Il tasso di rifinanziamento principale è il tasso-guida, intorno a cui stanno due tassi che delimitano il “corridoio” (tra l’1 ed il 3%). Il mercato interbancario (e di conseguenza il tasso interbancario) è molto efficiente e di brevissima scadenza (spesso overnight). Il tasso interbancario, per ovvie ragioni di arbitraggio, deve stare nel corridoio: se fosse più alto o più basso ci sarebbero speculazioni.
    • La riserva obbligatoria è il deposito che le banche devono detenere presso la BC. È regolato per legge: per provvedimento amministrativo. Le funzioni di questo regime sono cambiate nel tempo:
      • una volta erano funzione di tutela della stabilità.
      • In seguito questo obiettivo è venuto meno, perché vi sono meccanismi più efficienti per la gestione delle banche ed anche perché la riserva obbligatoria è un vincolo, quindi ha un costo.
      • Il coefficiente di riserva obbligatoria è diventato uno strumento di economia monetaria: se si ritira moneta l’economia rallenta (perché le banche possono prestare meno denaro) e viceversa. Come strumento di politica monetaria è molto rigido: le variazioni del regime di riserva non possono essere frequenti. Questo regime ha quindi 2 finalità:
    • creare fabbisogno di M per le banche, per metterle in una situazione di tensione sulla liquidità;
    • stabilizzare i tassi di interesse del mercato monetario.

    La seconda funzione avviene solo se il regime di riserva obbligatoria prevede la mobilizzazione del deposito. Sulla base delle riserve giornaliere dell’aggregato soggetto a riserva (depositi, titoli di debito, titoli di mercato monetario) si decide l’aliquota di riserva: ad esempio, se la maggior parte sono di durata < 2 anni l’aliquota è il 2%. Si ha una remunerazione di mercato se l’aliquota di riserva è pari al valore del tasso di rifinanziamento principale delle operazioni effettuate dal SEBC nel periodo di mantenimento (la riserva in eccesso a quella dovuta non è remunerata): il mese.
    La mobilizzazione, a differenza del passato, è totale: si può anche scendere a 0.
    Dal fatto che ci sia la mobilizzazione consegue la stabilizzazione dei tassi del mercato monetario. Se i tassi hanno andamenti anomali il fenomeno dell’arbitraggio li riconduce all’equilibrio.

    • Se il tasso interbancario viene ritenuto troppo basso, le banche nazionali impiegano le loro riserve, riportando il tasso sul valore di equilibrio. Le banche in questo caso hanno interesse ad indebitarsi, per far salire il tasso. La banca deposita sul conto di riserva obbligatoria, rimpinguando il deposito presso la banca centrale, indebitandosi a tassi bassi. Aumenta la domanda di fondi sull’interbancario ed il tasso quindi si alza.
    • Se il tasso è alto, le banche hanno interesse a mobilizzare il deposito di riserva: la banca preleva il conto di riserva investendo sul mercato interbancario prendendosi tassi alti; facendo così porta i tassi a scendere, aumentando l’offerta di fondi, e riportando il tutto verso la situazione di equilibrio.

    Le profezie sono auto-avverantesi, le aspettative si auto-realizzano. Chiuso l’argomento della politica monetaria.
    La vigilanza: la regolamentazione e l’intervento dei pubblici poteri
    Parliamo dell’autority del settore bancario. In Italia tradizionalmente l’organo di politica monetaria ha coinciso con l’organo di vigilanza. La vigilanza resta nelle mani della Banca d’Italia, a differenza della politica monetaria, che si è spostata sulla BCE. Esistono altresì organi di vigilanza quali la Consob, l’Isvap (assicurazioni), la Covip (fondi pensione), l’antitrust. Il dibattito è triplice:

    • la vigilanza deve essere accentrata o decentrata? (Europea o nazionale?)
    • se la vigilanza è europea, va assicurata dallo stesso organo che fa la politica monetaria o da un’autority separata?
    • Se la vigilanza è separata, l’organo di vigilanza è unico per tutto il settore finanziario o ve ne sono molteplici? (si fa l’esempio della recente FSA, Financial service autority inglese che è unico su tutti i settori, secondo la teoria che sostiene che il mercato finanziario sia integrato).

    Le ragioni della vigilanza: è necessaria una regolamentazione speciale perché:

    • esistono caratteristiche che legittimano tale situazione: il sistema è particolarmente esposto all’instabilità ed alla crisi finanziaria: le banche sono strutturalmente instabili, come avevamo già visto (parlando di Minski).
    • la crisi, anche se localizzata, nel sistema finanziario si propaga rapidissimamente: c’è integrazione dei mercati di borsa.
    • una crisi finanziaria genera effetti devastanti: panico, ritorno al baratto, crisi del credito e dei finanziamenti, corse agli sportelli.
    • svolgono la funzione monetaria: possono emettere moneta;
    • raccolgono risparmio inconsapevole: i piccoli risparmiatori non sono finanziariamente preparati e sono avversi al rischio, ma sono convinti che la banca non sia rischiosa. Il piccolo risparmiatore non ha strumenti sufficienti per diversificare e valutare il rischio, inoltre se perde quel poco di risparmio che ha perde tutto.
    • hanno il privilegio del monopolio
    • godono del credito di ultima istanza: la BC è disposta ad aiutarle

    Quali sono gli obiettivi della vigilanza?

    • la stabilità delle singole istituzioni e del sistema: evitare crisi finanziarie
    • efficienza allocativa e tecnico-operativa degli intermediari
    • la tutela del risparmiatore: il contraente debole
    • la correttezza dei comportamenti degli intermediari
    • la trasparenza informativa

    Con riferimento ai rischi di instabilità è evidente che sia maturata la convinzione che i mercati da soli (senza l’aiuto della regolamentazione dei pubblici poteri) non possano arrivare a condizioni di efficienza. C’è unanimità nel sostenere che lo statalismo sia positivo. Si dice che illaissez faire”/liberismo puro in questo campo fallisce (market failure).
    Oltre alla regolamentazione e la vigilanza esistono i sistemi di garanzia dei depositi (FITD: fondi interbancario di tutela dei depositi). Sebbene necessaria, esistono rischi e costi della regolamentazione:

    • l’elusione delle norme:
      • rende inefficaci le norme
      • comporta costi di elusione: si dice che il principale strumento di innovazione finanziaria sia il tentativo di aggirare le norme.
    • Il free-riding o moral azard: il comportamento opportunistico. Ci si avvantaggia in modo surrettizio della regolamentazione: si prende molto rischio, perché, male che vada, c’è la protezione regolamentativa.

    C’è il principio del “too big to fail”: le imprese grandi non vengono lasciate fallire, sono intoccabili.

    • Rischio di riduzione della competitività dei mercati: ha l’effetto di ridurre indirettamente la concorrenza. Stabilità e concorrenza sono in natura contraddittorie.
    • La complessità dei segmenti intermediari diversi genera rischi di alterazione del gioco competitivo in maniera non equa. Vi è una difficoltà a disciplinare in modo uniforme attività uguali svolte da soggetti diversi.

    Impostazioni della vigilanza:

    • vigilanza per funzioni: è una cosa che in realtà non si realizza; a seconda del tipo di attività si ha un regulator diverso, qualunque sia l’intermediario.
    • vigilanza per finalità: stabilità, trasparenza, efficienza etc. sono tutti obiettivi della vigilanza. Nella situazione italiana abbiamo un ibrido tra “finanza per soggetti e per finalità”: Consob ó trasparenza e correttezza; Banca d’Italia ó stabilità; a questo principio di finalità si sovrappone la finanza per soggetti, la Banca d’Italia gestisce persino la concorrenza tra banche.

    In Italia è nata una riforma delle autority, in seguito agli scandali Parmalat, allo scopo della tutela del risparmio. Alla fine la riforma non è ancora stata approvata. Uno dei contenuti e dei progetti di riforma fondamentali che poi si sono arenati è stato quello di razionalizzare la finanza, ridimensionando il ruolo della Banca d’Italia, aumentando l’orientamento verso la finanza per finalità. Addirittura si era pensato di sopprimere totalmente Isvap e Covip, eliminando la “finanza per soggetti”. Questo significava una riduzione del potere della Banca d’Italia. Questa riforma avrebbe significato togliere troppo potere ad essa. Siamo l’unico Paese in cui l’antitrust è affidato alla Banca centrale. Questo per evitare che le banche italiane possano essere assorbito dal mercato delle banche straniere. Un altro fattore fondamentale è che il governatore della Banca d’Italia è nominato a vita: è un’anomalia istituzionale.


    Lezione di Venerdì 2005-03-31
    Parliamo di attualità: Banco di Bilbao (Banca Spagnola) e ADN (Olandese), BNL e AntonVeneta (italiane). Questi colossi vogliono comprare le banche italiane, lanciando un’OPA o un OPS (5 azioni di BNL contro una di Bilbao, questo implica che Bilbao è 5 volte più grande). Ai sensi della normativa sulle OPA, quando un’impresa supera il 30% di possesso azionario deve lanciare l’OPA: deve dichiararsi disposta ad acquisire la maggioranza, a tutela delle minoranze. È un’offerta pubblico di acquisto: viene dichiarato il prezzo ed a quel prezzo si deve essere disposti a rilevare il 51%. C’è dibattito su quest’operazione. Aspetto legale e normativo: oltre alla Consob (come per le imprese) è necessaria (per le banche) anche l’autorizzazione della Banca d’Italia (ha 15 gg. per autorizzare l’OPA). Prima di una decisione formale, in realtà, la banca acquirente stessa deve comunicare in via informale l’intenzione di procedere all’OPA. Questa comunicazione deve restare riservata, ma nel caso di Banco Bilbao, ai sensi della normativa spagnola, la Banca che ha intenzione di lanciare l’OPA, divulga pubblicamente i termini dell’offerta. Un’ulteriore particolarità da segnalare a livello normativo: c’è stata un po’ di tensione tra l’autority italiana e la commissione europea, perché, mentre la Banca d’Italia potrebbe avere un atteggiamento protezionistico di difesa del mercato italiano delle banche, la commissione europea è per la liberalizzazione del mercato: quest’ultima sostiene che la BI non debba usare l’autorizzazione come strumento di politica protezionistica; la competenza è dell’antitrust europea.
    Nella sostanza, naturalmente, il punto di contesa diverte sull’opportunità o meno di difendere l’italianità ed il carattere nazionale del sistema bancario, per il ruolo strategico che esso ricoprea. Il fatto che BNL e Banca AntonVeneta siano gestite in maniera più efficiente e la scalabilità (libertà di contendibilità degli assetti azionari) richiamano una serie di considerazioni per quanto riguarda il nostro corso: sia per gli aspetti normativi, sia sul piano della vantaggiosità o meno del libero mercato. Mergers and Acquisitions aumentano il grado di concentrazione. Si sta molto ristringendo la cerchia dei grandi “players”. Oggi anche le fusioni si fanno a livello transnazionale, sino a formarsi dei grandi players europei. Avere un sistema bancario con centro decisionale in Italia o all’estero, tuttavia, non è ininfluente. Bay National è stata comprata da Santander: prima operazione che dà l’avvio alla concentrazione europea.

    Riprendiamo il discorso sulla vigilanza.
    L’altra volta abbiamo visto l’organizzazione delle autority di vigilanza, oggi vediamo gli strumenti della vigilanza.
    La vigilanza regolamentare ha il potere di regolamentare con norme cogenti l’attività delle istituzioni finanziarie degli intermediari. Questo importantissimo aspetto della vigilanza vede diversi filoni/approcci/orientamenti:

        • vigilanza regolamentare, si divide in:
    • Strutturale: i controlli di tipo strutturale vogliono intervenire e regolamentare direttamente la struttura del mercato: il numero degli operatori, le dimensioni, le barriere d’accesso e uscita, il grado di differenziazione del prodotto, secondo il filone dell’industrial organization. Tutt’oggi, nonostante la deregulation, sopravvive sotto 3 forme:
    • Autorizzazione a costituire una banca: condizione di accesso al mercato
    • Condizioni di determinate operazioni, che alterano la struttura del mercato: esempio, fusioni e acquisizioni (mergers and acquisitions), come le OPA, apertura di nuovi sportelli etc.
    • Vincoli all’operatività: esistono limiti particolari che rivedremo in seguito.

    La logica strutturale è quella di intervenire sul paradigma dell’industrial organization “struttura-condotta-performance”: la performance di un settore dipende dal grado di competitività, dalla condotta e dal comportamento concorrenziale. Il livello di competitività dipende, a sua volta, dalla struttura del settore.
    Es.: il monopolio ha livello di competitività bassa ed efficienza bassa, viceversa la concorrenza perfetta. L’aumento di concentrazione del settore riduce la concorrenza, ma aumenta l’efficienza mediante le economie di scala: l’effetto è ambiguo. La banca d’Italia ha pesantemente utilizzato questo paradigma, in passato, per limitare l’entrata sul mercato ed il numero degli operatori, così da contenere le spinte competitive ed avere un mercato più stabile (sebbene meno efficiente). Questa leva è stata rimossa: la prima direttiva CEE impedisce l’utilizzo discrezionale dell’autorizzazione all’attività bancaria.
    Una considerazione interessante che riguarda il paradigma SCP è sulla passata frammentazione del sistema italiano, che era poco competitivo e poco efficiente; col cambiamento della vigilanza, ora abbiamo una situazione in cui il sistema è molto meno frammentario e più concentrato (ci sono players in posizioni dominanti), ma ciò non ha portato ad una riduzione della competitività e la performance è aumentata anch’essa. Ma il fenomeno è complesso, quindi l’interpretazione semplicistica e deterministica della logica SCP è molto errata: c’erano pochi utili quando il mercato era facile e ci sono molti utili ora che il mercato è competitivo e difficile.

    • Prudenziale: talvolta è vista in opposizione alla strutturale. È una filosofia di vigilanza. Non plasma direttamente la struttura del mercato, ma pone regole minime: ognuno fa quello che vuole, purché siano fatti salvi i paletti uguali per tutti; “è permesso tutto salvo ciò che è vietato”. “L’esempio classico qui è quello calcistico: il campionato italiano ha una logica strutturale: l’arbitro è la BI ed è anche l’allenatore, e decide tutto, un po’ come la Juve. Nella Champion’s League, le regole sono uguali per tutti, e c’è il modello prudenziale: l’arbitro lascia giocare tutti, la Juve infatti perde.”.

    I paletti prudenziali sono fondamentalmente due:

    • Il livello di capitalizzazione (i ratio patrimoniali): Basilea II è la normativa che regolamenta i coefficienti di capitale: l’autorità di vigilanza impone alle banche di operare con un livello minimo di capitale proprio, che è la riserva o scorta a garanzia dei creditori e della solvibilità della banca, come di ogni impresa. Il livello deve essere adeguato e varia in funzione del rischio.
    • Il fondo interbancario di tutela dei depositi (extrema ratio)
    • Fair play regulation: ad esempio, regola i conflitti di interessi;

    Molte di queste norme si trovano nel Testo Unico (TU) della finanza.


        • Vigilanza informativa: la BI chiede in modo sistematico e periodico (mensilmente) determinate informazioni (le c.d. “segnalazioni di vigilanza”) di tipo statistico e contabile alle banche. Questa grande quantità di informazioni diventa utile anche per le banche stesse che non erano precedentemente costrette ad analizzarle.
        • Vigilanza ispettiva: gli ispettori effettuano sopralluoghi presso le banche; ogni due o 3 anni le passano al setaccio, avendo accesso a tutte le informazioni. Effettuano segnalazioni allo scopo di rimuovere anomalie. Queste ispezioni sono cambiate molto nel tempo: all’inizio avevano per finalità principale la valutazione del rischio e della correttezza contabile, adesso si sono molto ampliate e coprono di fatto tutta l’organizzazione della banca. Si vagliano i sistemi informativi, le politiche di gestione, i piani strategici, etc. Questo è un segno del cambiamento nelle logiche di vigilanza della Banca d’Italia, che sempre più si interessa alla sana e prudente gestione, a tutti i livelli. Esempio: durante l’ultima ispezione presso la Carige, la Banca d’Italia ha avanzato due richiami che riguardavano le società assicurate da parte della capogruppo (controllo e solvibilità); ha rilevato, inoltre, una terza anomalia: l’età media del management, ovvero “i dirigenti erano troppo vecchi”. Tempo fa sarebbe stato impensabile un richiamo del genere.
        • Vigilanza per la risoluzione dei casi di crisi: strumenti ex ante ed ex post, a seconda che la crisi abbia portato o meno all’insolvenza; qui esistono procedure di tipo fallimentare come l’amministrazione straordinaria o la coatta amministrativa (ricorda da diritto bancario).
        • Vigilanza anticrimine: disposizioni anti-riciclaggio di denaro sporco
        • La vigilanza di trasparenza e correttezza:
    • assicurare la trasparenza nei rapporti tra intermediario e clientela nelle operazioni di deposito e impiego
    • tutelare i clienti da conflitti di interesse
    • garantire trasparenza e correttezza nelle operazioni coi titoli
    • migliorare l’informativa contabile destinata al pubblico, attraverso regole uniformi per i bilanci bancari

    Per quanto riguarda l’evoluzione della vigilanza nel cambiamento del mondo oggi, ci sono 3 parole d’ordine per descrivere il trend:

    • tecnologia
    • globalizzazione
    • privatizzazione
    • Ne aggiungiamo una: la deregulation: la liberalizzazione normativa.

    La stabilità è la priorità indiscussa, ma le autorità di vigilanza perseguono in modo più esplicito anche altri obiettivi:

    • la concorrenza (antitrust)
    • l’efficienza
    • la sana e prudente gestione:
      • è riferita al grado di avversione al rischio dei soggetti vigilati
      • regole che scoraggiano a scaricare sui depositanti larga parte dei costi di eventuali fallimenti
      • necessità che gli intermediari operino ispirandosi a criteri di efficienza funzionale e correttezza nello svolgimento degli affari

    L’evoluzione della vigilanza negli strumenti: in passato prevalevano i controlli discrezionali e soggettivi (l’arbitro decideva che doveva vincere la Juve; mi sa che il prof. è interista o giù di lì J) mentre oggi l’enfasi è posta sui controlli prudenziali piuttosto che strutturali: non vogliono essere una trappola esogena che vincola la gestione, ma soltanto un suggerimento al miglioramento dei processi gestionali.
    L’esempio migliore è il primo pilastro di Basilea II: esso riflette l’alleanza tra una logica pubblicistico-normativa e la logica gestionale. Fissa livelli minimi di condotta, ma se i processi di misurazione del rischio della banca sono validi, l’autorità li accetta ed adotta. Per quanto riguarda la vigilanza sul mercato, l’esempio è il terzo pilastro di Basilea II, che sostiene che le banche debbano divulgare informazioni ai mercati cosicché questi possano valutare se il ratio patrimoniale è adeguato. La vigilanza, quindi, usa la valutazione del mercato. La moderna vigilanza ha un diffuso carattere “market friendly: adotta logiche di mercato piuttosto che amministrative. Deve essere il più possibile allineata coi criteri manageriali. Un impulso molto rilevante verso quest’orientamento è l’UE (una volta era la CEE): essa emette direttive con valore vincolante, da essere recepite dagli ordinamenti nazionali.
    I principi della normativa comunitaria:

    • libertà di prestazione di servizi: in tutti i Paesi comunitari direttamente dalla sede di origine dell’intermediario
    • libertà di stabilimento: possibilità di creare succursali in ogni Paese secondo le regole del Paese originario
    • mutuo riconoscimento: delle singole normative nazionali da parte degli altri paesi della comunità
    • armonizzazione minima: dei principali aspetti delle regolamentazioni nazionali

    L’Italia si è presentata in Europa con regolamentazioni molto più restrittive rispetto a quelle di altri Paesi. Ma la Banca straniera, per operare in Italia, adotta il proprio ordinamento (purché rispetti i requisiti minimi). Questo ha scatenato una concorrenza degli orientamenti giuridici nel segno di una crescente liberalizzazione: la banca che aveva ordinamento più liberale andava ad operare in altri ordinamenti, potendo adottare comportamenti che le banche del paese ospitante non erano in grado di tenere, facendo quindi concorrenza grazie a maggiori margini di manovra. Morale della favola: dovunque si è dovuto de-regolamentare, ma soprattutto in Italia, dove l’orientamento più restrittivo penalizzava le banche nazionali.


    Lezione del 2005-04-01 Non c’è 14 e 15 Aprile, 21 22 Aprile: 3 lezioni + compitino
    Partiamo dalla vecchia legge bancaria del 1936: è la legge che ha regolamentato la banca fino agli anni ’90.
    Questa norma (molto dirigistica, vincolante e amministrativa) aveva l’ossessione per la stabilità. Il suo antefatto storico è la grande depressione mondiale del ’29: lo Stato ha salvato il sistema industriale in crisi e poi ha regolamentato il sistema finanziario cercando di rafforzarne la stabilità. Si basava su:

    • Separazione tra banca e imprese: poneva fine al modello della banca mista e vi sostituiva quello della commercial bank, la banca pura con credito a breve.
    • Specializzazione dell’attività bancaria:
      • Specializzazione operativa: divisione tra credito ordinario e speciale (sebbene gli istituti di credito speciale fossero controllati da banche). In questo modo si intendeva limitare la concorrenza.
      • Specializzazione geografica: ogni banca aveva una sua area di competenza territoriale, che variava a seconda delle dimensioni. Una piccola cassa rurale artigiana, ad esempio, non poteva operare al di fuori della provincia.
      • Specializzazione istituzionale: esistono diverse categorie di banche con vocazioni diverse, tra cui:
      • le casse di risparmio e le casse rurali,
      • gli istituti di credito,
      • le banche di interesse nazionale,
      • le banche popolari cooperative
      • e le banche di credito ordinario.
      • Non si potevano fare factoring, leasing, credito al consumo.
    • La vigilanza strutturale: la legge conferiva amplissimi poteri all’organo amministrativo di vigilanza.

    Ne esce un quadro fortemente pubblicistico e dirigistico. Le finalità di carattere generale prevalgono su quelle aziendali. La legge affermava che “La raccolta di risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico”. L’ordinamento sezionale del credito è speciale, ispirato al diritto amministrativo non a quello privato.
    Nel 1981 la Banca d’Italia avvia un dibattito (Libro Bianco) sulla natura di impresa della banca, anche se pubblica. Solo nel 1989, con sentenza della Corte Costituzionale, il principio è accolto nella nostra giurisprudenza.
    Il decreto Amato pone limiti alla discussione della quota di maggioranza pubblica nel 1990. Conseguenze:

    • deterioramento istituzionale:
      • sviluppo abnorme ed ipertrofico della banca d’Italia,
      • eccesso di potere pubblico,
      • impoverimento del ruolo delle banche e del tessuto imprenditoriale,
      • inesistenza della competizione e dell’autonomia strategica.
    • deterioramento funzionale: il sistema finanziario è fortemente diretto dai pubblici poteri. La Banca d’Italia può canalizzare la finanza, garantendosi il controllo del credito, ma lasciando morire la borsa, priva di regolamentazione. È interesse che la borsa non si sviluppi. Il sistema finanziario è fortemente dipendente dalle banche ed orientato al debito: atrofia dei circuiti dei mercati. Si chiama “la via finanziaria allo sviluppo. È ciò che ha finanziato il boom degli anni ’60.

    Negli anni di crisi (’70) si impennano i tassi di interesse: ecco che inizia il lungo percorso di cambiamento del quadro normativo. Oltre alla crisi economica, un altro motivo di modifica è l’Europa. Nel 1977 esce la prima direttiva CEE che liberalizza l’accesso all’attività bancaria: l’autorizzazione deve essere data sulla base di criteri oggettivi e non discrezionali. Questa direttiva toglie alla banca d’Italia un importante strumento di controllo strutturale, ma viene percepita in Italia 8 anni dopo. Nell’86 vengono introdotti i coefficienti patrimoniali ed il fondo di garanzia dei depositi (due grandi strumenti di garanzia), spostandoci dalla vigilanza strutturale alla prudenziale. Ci sono una serie di tappe dall’85 al ’90 di liberalizzazione, come ad esempio (nel ’90) la libera apertura degli sportelli.
    La svolta è il decreto Amato: un decreto che ha un’ampiezza più estesa: Amato si riferiva alle banche di quegli anni come ad una “foresta pietrificata”. La legge Amato-Carli (l. 218 del ’90) fa fondamentalmente 3 cose:

    • trasforma in società per azioni le banche pubbliche: gli enti morali, le fondazioni (sono enti non profit che gestiscono un patrimonio finanziario ed erogazioni sul territorio), le casse di risparmio e gli istituti devono diventare soggetti al diritto privato. L’ente pubblico resta come azionista della SPA ma non può scendere sotto il 51%, salvo casi eccezionali. Quindi Amato non privatizza il sistema (anzi adesso viene detto per legge che la proprietà è pubblica) ma solo la forma giuridica!
    • Si liberalizza l’operatività delle banche, consentendo di fare il para-bancario e la diversificazione: factoring, leasing, credito al consumo, attività vicine a quella bancaria. Ma con una condizione: ciò deve avvenire nella forma organizzativa del gruppo, non nella forma dell’impresa multi-divisionale/universale. Queste attività non possono essere svolte direttamente ma solo attraverso società controllate. Le autorità monetarie vietavano la banca universale e consentivano solo il gruppo polifunzionale.
    • Attraverso lo strumento dell’incentivazione e dello sgravio fiscale, il decreto Amato dà il via al processo di fusioni ed acquisizioni: la concentrazione del sistema. Le banche erano troppo piccole e fondendosi avrebbero potuto ottenere risultati migliori. Il ruolo discrezionale di regista della banca d’Italia non è cambiato: “moral suasion” (consenso).

    Dopo arriveranno i decreti Dini, Ciampi e Tremonti (che liberano le fondazioni dal controllo delle banche).
    Si fanno leggi su: “insider trading, OPA, SIM”, etc. Nell’89 arriva la seconda direttiva CEE (fondamentale, con un ambito di applicazione molto più ampio, che viene recepita nel ’92 e nel settembre ’93) che introduceva i principi di:

    • mutuo riconoscimento (tra paesi)
    • armonizzazione minima: pochi paletti prudenziali che tutte le banche europee devono rispettare, senza le quali non c’è autorizzazione (vigilanza prudenziale)

    Nel ’94 arriva il TU bancario, che rappresenta tutt’oggi il quadro di riferimento, che recepisce una serie di leggi varate precedentemente + la seconda direttiva CEE.
    Siccome la seconda normativa CEE era comunque più liberale di quanto non avvenisse in Italia, nonostante il decreto Amato, essa fa compiere l’ultimo passo di liberalizzazione alla nostra normativa.
    La seconda normativa CEE dà una nozione di ente creditizio (dice cosa è una banca): “è l’ente che raccoglie il risparmio ed esercita il credito” affermando anche che “per svolgere tale attività è necessaria l’autorizzazione, in quanto attività riservata per legge”. Poi aggiunge una lista di attività possibilmente svolgibili ed ammesse al mutuo riconoscimento, nonché i paletti prudenziali minimi: il coefficiente di solvibilità ed il rapporto banca-impresa (la banca non può acquisire posizioni di controllo nelle imprese e non più del 15%).
    I due punti su cui la normativa CEE è più liberale del nostro sistema sono:

    • il rapporto banca-impresa: prima del recepimento della 2a direttiva, le banche italiane non potevano acquisire azioni delle imprese, oggi possono fino al 15%. Questa deregulation riapre in Italia il campo alla banca mista, dopo 60 anni. È un nuovo modello di banca, che non è più specializzata, ma può svolgere svariate attività.
    • Le forme organizzative: il dibattito tra gruppo polifunzionale e banca universale. Tra essi non si pone vincolo di scelta, che rientra nell’autonomia imprenditoriale.

    La banca Carige, per esempio, ha smantellato le diverse società che controllava internalizzandole, mentre la soluzione prevalente nei grandi gruppi bancari era quella di mantenere società separate.
    I controlli non sono più strutturali ma prudenziali, quindi meno invasivi. Per quanto riguarda l’accesso, recepisce i criteri delle direttive CEE; l’autorizzazione viene data sulla base di requisiti oggettivi, che sono i seguenti:

    • forma giuridica di SPA
    • capitale versato minimo di 12,5 Miliardi per le SPA e 2 per le banche di credito cooperativo
    • presentazione di un programma sull’attività (atto costitutivo e statuto)
    • onorabilità e professionalità degli amministratori e dei partecipanti al capitale (superiori al 2%).
    • Le partecipazioni superiori al 5% devono essere autorizzate dalla Banca d’Italia. Nel caso in cui l’azionista sia un’impresa, non possono superare il 15%.

    L’organo decisionale è il CICR, l’organo esecutivo è la Banca d’Italia (vedi appunti di diritto bancario).
    I controlli strutturali (autorizzazione ad OPA, apertura sportelli etc.), non sono del tutto spariti. Esistono anche i vincoli all’operatività di tipo amministrativo, fissati dall’organo di vigilanza:

        • operatività a medio e lungo termine (limiti a trasformazione delle scadenze):
    • evitare che istituti che si finanziano prevalentemente con depositi a vista e si impegnino a medio-lungo
        • concentrazione dei rischi (norme sui grandi rischi, definiti come “posizioni superiori al 10% del patrimonio di vigilanza”). Limite:
    • globale: l’ammontare complessivo dei grandi rischi deve essere contenuto entro il limite di 8 volte il patrimonio di vigilanza
    • individuale: ciascun grande rischio singolarmente considerato non può eccedere il 25% del patrimonio di vigilanza
        • partecipazioni detenibili:
    • (vedi lucidi, quadro per le partecipazioni in imprese finanziarie e non finanziarie): via via che si passa dalla banca ordinaria alla abilitata alla specializzata, i vincoli sono inferiori.
    • I vincoli sono diversi a seconda che si tratti del capitale della partecipata (15%) o del patrimonio di vigilanza:

    Ultima battuta del giorno sull’antitrust: l’anomalia consiste nel fatto che sia in mano alla Banca d’Italia. Qual è l’oggetto d’intervento dell’antitrust? La concorrenza. L’autority di antitrust interviene per sanzionare 3 fattispecie:

    • intesa restrittiva della concorrenza (es.: accordi su prezzi e tassi, prezzi di cartello)
    • abuso di posizione dominante
    • operazioni di concentrazione (mergers and acquisitions): si interviene non tanto per garantire la sana e prudente gestione, quanto piuttosto per garantire la concorrenzialità del mercato e evitare posizioni dominanti.

Lezione del 21/04/05 Intermediazione mobiliare e normativa dei mercati.
Vedremo prima l’evoluzione specifica della normativa a presidio dell’attività mobiliare e dell’intermediazione dei titoli svolta da banche ed altri intermediari, successivamente anche gli aspetti che caratterizzano la vigilanza e la normativa sui mercati. Il punto chiave è il TU della finanza. Il percorso legislativo è il seguente:


ANNO

Legge

Cosa fa la legge:

1913
1974
1983

 

 

272
216
281

 

 

  • ordinamento delle borse di commercio
  • Istituzione della Consob
  • Istituzione dei fondi comuni aperti: si introduce il concetto di sollecitazione del pubblico risparmio e lo si regolamenta attraverso l’obbligo del prospetto informativo, per spiegare bene al risparmiatore le caratteristiche di rischio del titolo.

1991

1

Introduzione delle SIM e riorganizzazione dei mercati. La legge SIM (*) introduce e regolamenta gli intermediari mobiliari, istituisce la figura del promotore finanziario e regolamenta l’attività in titoli, intendendo le due grandi branchie.

1991
1992
1996
1998-20-2

157
149
415
Testo Unico

  • Disciplina dell’insider trading
  • Disciplina OPV
  • Recepimento direttiva “Eurosim”
  • Testo Unico intermediazione finanziaria

Definizione di attività di intermediazione mobiliare:

  • Due grandi branchie: negoziazione per conto proprio - negoziazione per conto terzi (soprattutto questa)
  • collocamento e distribuzione valori mobiliari
  • gestione di patrimoni (gestioni individuali che vanno distinte da quelle in monte o collettive, cioè i fondi comuni)
  • raccolta ordini acquisto e vendita
  • consulenza (su compravendita titoli)
  • sollecitazione pubblico risparmio

La Legge SIM (*):

    • elenca i soggetti abilitati a svolgere l’intermediazione finanziaria:
  • creazione di un nuovo intermediario ad hoc che rappresenta il solo nel mercato a poter svolgere le 6 attività: la SIM
  • categorie residuali: gli agenti di cambio per la sola negoziazione (ad esaurimento) e le società fiduciarie per la sola gestione dei patrimoni
  • le banche non possono negoziare per conto proprio o terzi valori quotati in mercati ufficiali fatta eccezione per i titoli di Stato: non possono essere controparte diretta
  • i fondi comuni che sono specializzati e sono esclusi dalla legge SIM.
    • svolge una riforma dei mercati:
  • modalità di negoziazione:
    • obbligo di concentrazione degli scambi: tutti i titoli devono affluire in borsa; una banca non può vendere direttamente dal proprio portafoglio al cliente il titolo.
    • Asta continua
    • Mercato telematico nazionale
  • sistema di liquidazione:
    • regolamento a contanti
    • meccanismi di trasferimento dei titoli
    • cassa di compensazione e garanzia
  • creazione di nuovi mercati (derivati e locali)
  • sistema dei controlli (Consiglio di Borsa)
    • detta norme di comportamento e regole per lo svolgimento delle attività, intervenendo sulle modalità di svolgimento (tendenzialmente con i soliti obiettivi di trasparenza informativa e tutela del cliente, nonché del controllo delle situazioni di conflitto di interesse). Ad esempio, detta norme generali di comportamento: “condotta diligente e professionale” e di cura degli interessi del cliente, contratti in forma scritta, acquisizione di informazioni sui clienti, esecuzione rapida delle istruzioni dei clienti, etc. Esistono anche regole più specifiche per le singole attività, l’esempio tipico è la gestione dei patrimoni dei clienti.
    • Un’altra serie di obblighi riguarda la separatezza contabile organizzativa, sempre allo scopo di evitare situazioni di conflitto di interesse. La legge impone che alcune attività tra quelle che abbiamo elencato (le attività in titoli sono quelle più soggette a tale rischio) siano separate contabilmente e organizzativamente. L’attività di intermediazione mobiliare per conto proprio deve essere separata dalle attività per conto del cliente. Per esempio, l’attività di gestione dei patrimoni deve essere separata dall’attività di collocamento: se la banca ha il collocamento delle obbligazioni FIAT per conto di FIAT, e nello stesso tempo gestisce i patrimoni dei clienti, la tentazione di piazzare i titoli FIAT nella gestione clienti è molto alta. La banca può essere la stessa, ma le due linee di attività hanno responsabili separati.

La direttiva EuroSIM (1996) per l’integrazione europea dei mercati

    • Essa lavora sempre con gli stessi principi della normativa europea, cioè il principio del passaporto unico: lo stesso principio della licenza bancaria unica, che abbiamo visto applicato alle banche, dettato dalla seconda direttiva CEE. Stessa linea di principi viene seguita sulle SIM europee, quindi si definisce la SIM, la si regolamenta (armonizzazione minima), dopo di che “va in giro per l’Europa”:
    • viene introdotta la figura dell’impresa di investimento che, autorizzata nel proprio paese, dal 1° gennaio 1997, può svolgere attività in qualsiasi Paese dell’UE, con le norme del paese di origine (home country control).
    • La direttiva rimuove il divieto di ammissione diretta delle banche alla negoziazione dei titoli: oggi le banche possono svolgere tutte le attività mobiliari, compresa la negoziazione diretta, non solo sui titoli di Stato.
    • Limita il principio di concentrazione (fissato dalla legge SIM) degli scambi nei mercati regolamentati.
    • Le negoziazioni non avvengono più soltanto nell’unica borsa ufficiale, ma possono avvenire anche da altre parti, tipicamente i mercati regolamentati e non ufficiali o mercati elettronici: è la c.d. privatizzazione dei mercati.

L’ultima direttiva, nella nuova versione, addirittura, consente l’internalizzazione degli ordini o negoziazione allo sportello: le singole banche negoziano direttamente con il cliente senza passare dalla borsa elettronica, incrociando ad esempio, ordini di acquisto e vendita. Questo sarà possibile in futuro con la nuova direttiva SIM. La prima versione privatizzava i mercati di borsa: essi non sono più organi pubblici ma privati (SPA) gestiti da azionisti privati, con scopo tendenzialmente di profitto.
Il TUF
La direttiva EuroSIM viene recepita dal TUF, che ha la stessa funzione del testo unico bancario, cioè unire gli assetti normativi organicamente e completamente. Nel recepire tutta la normativa precedente, compresa la direttiva EuroSIM, aggiunge ulteriori perfezioni normative, tra cui, in particolare, la grande innovazione in vigore dal 1° luglio ’98: l’introduzione della figura del gestore unico: è la SGR o società di gestione del risparmio. Tutti i gruppi bancari hanno oggi una propria SGR. La caratteristica fondamentale di questo gestore unico è di poter svolgere la gestione sia su base patrimoniale individuale, sia su base collettiva, cioè i fondi comuni. Le quote del fondo comune e la società di gestione sono soggetti giuridicamente diversi e con patrimoni separati. Il filone normativo dei fondi comuni (legge dell’83 che istituiva il fondo comune) converge e confluisce, quindi, nel filone normativo SIM-EuroSIM.
Più in particolare il TUF:

  • definisce gli organismi di investimento collettivo del risparmio:
    1. gli organismi di investimento collettivo del risparmio sono OICR, costituiti da fondi comuni di investimento (azioni), sia aperti sia chiusi, e dalle SICAV.
    2. Definisce il concetto di gestione collettiva del risparmio (novità).
  • Introduce e definisce il concetto di gestione collettiva del risparmio che è l’attività della SGR, attraverso:
    1. la promozione, l’istituzione e l’organizzazione dei fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti
    2. la gestione del patrimonio di OICR di propria o di altrui istituzione mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili.
  • Introduce le società di gestione del risparmio:
    1. sono le SPA con sede legale in Italia autorizzate a prestare servizio di gestione collettiva nello Stato.
  • Stabilisce i confini dell’attività delle SGR
    1. La prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio è riservata alle società di gestione del risparmio e alle SICAV.
    2. Le società di gestione del risparmio possono:
      • Prestare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi
      • Istituire e gestire fondi pensione
      • Svolgere attività connesse e strumentali stabilite dalla Banca d’Italia
  • Svolge il controllo di stabilità per le SGR:
    1. I rischi di investimento sono assunti direttamente dai risparmiatori
    2. Il patrimonio del fondo è investito seguendo il principio di diversificazione e prevalentemente in titoli quotati

Ne consegue:

  • Centralità delle norme di trasparenza informativa e correttezza nei comportamenti piuttosto che di quelle di stabilità
  • I rischi di stabilità derivano da 2 condizioni:
  • Sottrazione del patrimonio per frode o gravi irregolarità
  • Autonomia giuridica del fondo; esistenza e controlli della banca depositaria
  • Crisi di liquidità in caso di richieste di rimborsi di quote superiori alle scorte di liquidità (possibilità prevista dalla regolamentazione di interrompere i pagamenti): nella fisiologia di questi intermediari vi è il tipico rischio dell’insolvibilità e, in questi casi, si possono sospendere i rimborsi (cosa impossibile per i depositi bancari)

Il patrimonio delle OICR resta custodito dalla banca, che svolge attività (se vogliamo improprie) di controllo, per controllare che l’SGR non si appropri dei patrimoni dei clienti. La nuova direttiva sui servizi finanziari, in discussione presso l’unione europea, porta questi cambiamenti significativi, soprattutto per il principio della concentrazione che verrebbe smantellato.


Il vantaggio della concentrazione è la trasparenza della liquidità, ovvero: “se tutti gli scambi affluiscono direttamente nel mercato ufficiale il P è equo ed efficiente e l’informazione è massima”. Con la frammentazione dei mercati, probabilmente, c’è meno trasparenza e meno liquidità.
Viceversa, il vantaggio della soluzione della frammentazione sta nella concorrenza dei diversi mercati/circuiti di negoziazione (non a caso i fautori di questa seconda ipotesi sono gli anglosassoni). Per contenere i rischi della soluzione della frammentazione e dello smantellamento della concentrazione, la direttiva interviene proprio sugli obblighi informativi e di trasparenza sia prima di negoziare sia dopo la negoziazione: dispone obblighi pre e post trade.
Le SGR sono solite prelevare due tipi di commissione (a remunerazione del proprio patrimonio, dal fondo comune):

  • remunerazione del promotore finanziario (e della rete di vendita: la SIM di distribuzione a cui esso fa capo)
  • la SGR che gestisce il patrimonio, invece, viene remunerata con:
    • commissione di gestione ordinaria annuale prefissata (che si trova ovviamente nella condizione di regolamento del fondo portato a conoscenza del sottoscrittore nel prospetto informativo)
    • commissione di performance: se il rendimento è molto alto, e supera certi benchmark prefissati, la SGR preleva una sovra-commissione. La BI ha regolamentato queste commissioni. Ad esempio, prescrive un arco temporale di un anno. Se i titoli salissero e scendessero una volta al mese, senza regolamentazione, la SGR preleverebbe commissioni di performance “6 mesi l’anno”. Con riferimento all’anno, invece, il rendimento può restare quasi costante.

Quando si parla di vigilanza dei mercati, le aree che vengono regolamentate sono le 3 seguenti:

  • Informazione: contabile, continua (influenzano i P), fornita in occasione dell’emissione di valori mobiliari
  • Mercati: definizione dell’organizzazione e della struttura dei mercati mobiliari, previsione dei soggetti che possono partecipare alla negoziazione e dei titoli che possono essere scambiati
  • Operatori: trasparenza e correttezza dei comportamenti, requisiti per l’ingresso e la permanenza nel mercato.

La Consob critica soprattutto gli operatori, che, nel vendere il titolo al cliente, non sempre si sono comportati correttamente: ad esempio, nel caso dell’Argentina/della Parmalat (nel secondo c’è anche conflitto di interesse) la banca ha venduto titoli rischiosi senza spiegarlo.
Le regole di comportamento per gli intermediari finanziari: l’intermediario e i suoi operatori:

  • debbono acquisire conoscenza degli strumenti finanziari che trattano in misura adeguata al tipo di prestazioni che offrono
  • non possono operare in conflitto di interessi, anche derivanti dall’appartenenza a gruppi e società, se non sulla base di un espresso consenso scritto dell’investitore, che deve essere del pari informato per iscritto dell’esistenza e della natura di tale conflitto
  • debbono chiedere all’investitore notizie sulla sua esperienza in materia, sulla sua situazione finanziaria, sui suoi obiettivi di investimento (l’investitore può rifiutare per iscritto di rilasciare tali informazioni)
  • debbono fornirgli informazioni adeguate, anche sui rischi dell’operazione (tutte le informazioni la cui conoscenza gli è necessaria per un consapevole investimento)
  • devono rifiutare di compiere le operazioni non adeguate “per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione” salvo contrario ordine scritto dell’investitore”.

Il profilo di rischio dell’investitore deve essere desunto dalla banca: ad esempio, se il cliente compra BOT, la banca non dovrebbe proporre un’obbligazione rischiosa, perché dovrebbe desumere un profilo di rischio molto basso. Il problema nasce sulla prima operazione, visto che nulla è desumibile. Tutto è lasciato in mano ai giuristi. Nel dubbio, Banca Intesa, ad esempio, ha deciso di non vendere più titoli senza rating.
La fase che precede la conclusione del contratto:

  • l’intermediario deve valutare l’adeguatezza del profilo di rischio dell’operazione proposta rispetto alle caratteristiche del cliente (know your customer)
  • l’I.F. deve fornire informazioni sul rischio generale dei tipi di investimento che propone (risk disclosure statement)
  • la sollecitazione al pubblico risparmio (esempio tecniche porta a porta) è soggetta a particolari obblighi di comportamento per i promotori finanziari
  • è solitamente previsto per il cliente uno ius poenitendi (diritto di recesso senza corrispettivo entro 5 giorni)
  • nel caso di vendita con tecniche di comunicazione a distanza (es.: internet) l’informazione fornita al cliente deve essere equivalente a quella delle tecniche di vendita tradizionali.

La fase di esecuzione del contratto:

  1. l’I.F. non può avvantaggiare un cliente rispetto ad altri (timely and fair allocation; es.: negoziazione secondo l’ordine temporale di ricezione degli ordini);
  2. deve eseguire l’operazione alle migliori condizioni possibili (best execution; es.: cercare il mercato che offre le migliori condizioni);
  3. non può eseguire operazioni che tornino a suo esclusivo vantaggio (es.: artificia rotazione del portafoglio per aumentare le commissioni, churning, cioè ingozzare clienti di operazioni);
  4. si deve adoperare per evitare ogni conflitto di interesse e adottare le soluzioni organizzative adeguate a ciò.

I conflitti di interesse nelle banche universali:

  • tra erogazione del credito e sottoscrizione o collocamento sul mercato retail di titoli azionari o obbligazionari
  • tra il collocamento sul mercato di prodotti di gestione del risparmio e la loro produzione in house
  • tra l’erogazione del credito alle imprese e l’acquisizione o dismissione di partecipazioni industriali
  • tra la gestione dei risparmi per conto della clientela e l’attività di sottoscrizione o collocamento dei titoli emessi dalle imprese
  • tra le attività di ricerca e quelle di sottoscrizione titoli nell’investment banking: è il conflitto che ha generato gli scandali EMRON americani; gli analisti finanziari erano dipendenti delle stesse imprese.

Dal punto di vista della società di gestione è meglio vendere pochi titoli, dal punto di vista della clientela è meglio diversificare.


Lezione del 22/04/05 ore 9:30 AM
Quali sono i controlli ed i soggetti che operano sulle società?

  • autorità di vigilanza (intermediari)
  • management: il primo che deve controllare
  • sistema dei controlli interni (intermediari)
  • collegio sindacale
  • società di revisione
  • analisti finanziari
  • società di rating
  • banche: screening e monitoring
  • “mercati” (grandi investitori istituzionali che spostano fondi; singoli investitori, attraverso la lettura dei bilanci e delle comunicazioni aziendali a mercati)

È evidente che chi investe nell’impresa o presta all’impresa (azionisti e obbligazionisti), dal piccolo al grande, dovrebbe valutare ex ante e controllare ex post il proprio investimento. Nei casi Emron, Parmalat, Cirio etc. i soggetti di cui sopra hanno tutti fallito: nessuno è stato in grado di lanciare l’allarme. Questo non significa che siano tutti cretini, ma  che non sia semplice accorgersi di situazioni di deterioramento della gestione delle imprese.
I meccanismi per risolvere i conflitti di interesse:

  1. adozione di un modello organizzativo multispecialist, con governance trasparente per le società/divisioni
  2. rapporti reciproci tra società/divisioni basati su meccanismi di mercato
  3. Chinese Walls tra informazioni critiche (procedure interne finalizzate ad assicurare che non si verifichino scambi di informazioni tra i settori dell’organizzazione aziendale che devono essere tenuti separati secondo quanto disposto dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) del T.U.F.”
    Ancora prima si rinvengono norme in tal senso nella Legge Sim, all’art. 9, co. 2, lett. b), la quale prevedeva che la Consob, d’intesa con Banca d’Italia, emani “regole di comportamento” con l’obiettivo di garantire “che nello svolgimento delle suddette attività non si abbia scambio di informazioni e responsabilità di gestione tra chi opera nelle diverse attività”. Commento su “Chinese Walls” tratto da internet)
  4. Forte etica interna, con codici di comportamento per tutto il personale e meccanismi sanzionatori efficaci
  5. Sistemi di misura e incentivazione orientati al lungo periodo e alla soddisfazione/valore creato per la clientela. Uno dei problemi chiave dei conflitti di interesse è che le banche hanno obiettivi di budget (“+ vende + guadagna”), e questi tipi di meccanismi di remunerazione vanno contro gli interessi del cliente, al quale verranno vendute tutte le “schifezze” possibili, senza verificare la congruità del prodotto con il profilo del cliente. Reputation e customer satisfaction riducono questo rischio.
  6. Maggiore apertura verso i prodotti di terzi (open finance)
  7. Diversificazione interna sui prodotti offerti

Le società di rating devono ancora essere disciplinate da una normativa europea. Nel consiglio di amministrazione sarebbero necessari amministratori indipendenti, non eletti dalla maggioranza. Anche gli analisti finanziari dovrebbero tutelare i prestatori.
È necessario lavorare sulla trasparenza informativa e sull’etica del management. La legge americana, uscita dopo lo scandalo Emron, è stata criticata per essere troppo invasiva: chiede agli amministratori di giurare che il bilancio non sia falso. Questo si basa sull’onestà delle persone, ma non è un ragionamento troppo sbagliato, perché sappiamo che, quando il clima di sfiducia supera certi limiti, diventa troppo difficile fare business.
La fase di svolgimento del rapporto (obblighi informativi):

  • obbligo di indicare un benchmark per la gestione individuale e collettiva; il parametro deve essere costruito facendo riferimento a indicatori finanziari elaborati da soggetti terzi e di comune utilizzo: bisogna dare al cliente un benchmark simile a quello in cui la gestione investe. Ciò ha due funzioni:
  • far capire in modo trasparente e chiaro la tipologia di investimenti in cui saranno investiti i fondi
  • comunicare qual è il benchmark e soprattutto l’andamento del benchmark di riferimento, così che al cliente sia più chiaro se la gestione è in positivo o meno, se il gestore ha battuto il mercato oppure no
  • imposizione di standard minimi di rendicontazione delle operazioni in valori mobiliari e in particolare delle gestioni individuali
  • obbligo per l’I.F. di avvertire il cliente quando la perdita supera il 50% del capitale iniziale

Il regolamento delle società-mercato (le aree):

  • condizioni e modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori e degli strumenti finanziari dalle negoziazioni;
  • condizioni e modalità per lo svolgimento delle negoziazioni ed eventuali obblighi degli operatori e degli emittenti;
  • modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi (pre e post trade transparence)
  • tipi di contratti ammessi alle negoziazioni e criteri per la determinazione dei quantitativi minimi negoziali.

Questo regolamento disciplina i comportamenti ammessi sul mercato, facendo riferimento agli atteggiamenti richiesti ai soggetti  che vi sono ammessi (emittenti o imprese), e, sebbene non sia obbligatorio, quasi tutti l’hanno adottato. Esso prescrive, inoltre, i comitati appositi per le nomine, sceglie gli amministratori indipendenti e gestisce i controlli interni. Sono norme che fanno riferimento alla governance allo scopo di rafforzare la trasparenza.
La regolamentazione dei mercati. Due principi di fondo (obiettivi):

  • trasparenza: condizione essenziale per l’efficienza del processo di price discovery:
    1. pre-trade: visibilità del book di negoziazione
    2. post trade: relativamente a quantità scambiate e prezzi fissati.
  • concentrazione: affinché i prezzi riflettano la totalità o una significativa parte degli scambi. Una delle cause del basso sviluppo della nostra borsa era proprio la frammentazione piuttosto che la concentrazione dei mercati.

I mercati organizzati (la regolamentazione del TUF); la Consob:

  • ha il potere di richiedere (a organizzatori, emittenti e operatori) dati, notizie e documenti sugli scambi;
  • ai fini della tutela degli investitori può stabilire le modalità, i termini e le condizioni dell’informazione al pubblico riguardanti gli scambi;
  • può sospendere e, nei casi più gravi, vietare gli scambi, quando ciò sia necessario per evitare pesanti pregiudizi alla tutela degli investitori.

Nella Borsa SPA le azioni sono in mano alle banche. Le banche sono azionisti di maggioranza del loro competitor. Questo è un grande conflitto di interessi. L’altro elemento di contraddizione degli assetti proprietari dei nostri mercati è la proprietà della BI, che è in mano alle banche: “i controllati controllano il controllore”. Ad esempio, laddove le banche estere comprassero le banche italiane ci troveremmo con una BI in mano a banche estere, e ciò potrebbe destare qualche preoccupazione. Per questo, infatti, si accusa la BI di fare protezionismo. Di fatto la BI è governata da Fazio, infatti esistono solo due istituzioni elette a vita: il Papa e Fazio (il Governatore della Banca d’Italia). J
Ancora più importante dell’italianità delle banche è il fatto che l’Italia dimostri di avere accettato le regole del mercato.
Le regole societarie:

  • Norme per la trasparenza del mercato del controllo proprietario:
  • trasparenza delle partecipazioni rilevanti nel capitale (comunicazione a Consob di partecipazioni superiori al 2% e del raggiungimento di ulteriori soglie superiori);
  • Trasparenza delle partecipazioni (superiori al 10%) detenute dalle società quotate nel capitale di società non quotate;
  • Trasparenza dei patti di sindacato (pubblicità degli accordi parasociali; ricorda da diritto del lavoro): se due azionisti hanno il 30% sono la minoranza, ma se fanno dei patti diventano la maggioranza, quindi questi patti non possono essere segreti, altrimenti mancano gli elementi minimi di informativa e trasparenza; sapere chi comanda è fondamentale (es.: all’Inter comanda Moratti che è quello che ci mette più soldi).
  • Obblighi informativi nelle società quotate:
  • informazione dovuta in occasione di offerte pubbliche (sollecitazione al pubblico risparmio), contenuta nel prospetto informativo
  • informazione contabile periodica (bilanci annuali e semestrali, informazioni trimestrali, bilanci consolidati)
  • informazione continuativa dovuta in presenza di fatti rilevanti per la vita societaria (notizie price sensitive che non sono di dominio pubblico e che vanno tempestivamente comunicate per garantire parità di accesso di informazione agli investitori)

Parliamo di emissioni in Private Placement quando gli investitori istituzionali non hanno necessità di stendere il prospetto informativo, perché in altri paesi esso non è obbligatorio (es.: in Belgio).
La normativa dell’OPA (offerta di pubblico acquisto):

  • Obbligo di preventiva comunicazione alla Consob e di pubblicazione del prospetto informativo
  • Parità di trattamento tra tutti gli azionisti
  • Possibilità che si possano svolgere più offerte tra loro concorrenziali
  • Possibilità di limitare l’offerta al 60% delle azioni difensive
  • Limitazione e regolamentazione delle azioni difensive che l’azienda scalata può detenere (ovvero: divieto delle poison pills: il management dell’azienda soggetta ad OPA, se l’OPA è aggressiva, cerca di difendersi, magari facendo acquisizioni per ingrandirsi e diventare più costoso, o cercando un cavaliere bianco, cioè un alleato; tutto ciò è vietato, salvo approvazione dell’assemblea dei soci: si vuole evitare che il management, per difendere il proprio posto di lavoro, vada contro gli interessi degli azionisti)
  • Obbligo di OPA quando si supera una quota pari al 30% delle azioni

Quando un’azienda viene scalata chi rischia più di tutti è il management (che salta), mentre gli azionisti dell’azienda scalata potrebbero avere interesse a farsi scalare se il prezzo offerto fosse buono. È, quindi, estremamente probabile che management e proprietà siano in conflitto di interessi. La normativa prende assolutamente le difese degli azionisti, perché sono di interesse pubblico.
Altro problema che la normativa sull’OPA deve affrontare è la soglia (normalmente il 30%) per tutelare gli azionisti di minoranza, che vengono danneggiati dalle operazioni con premio di maggioranza. La disparità di trattamento tra azionisti è illegale. È possibile fare accordi di acquisto tra azionisti purché al di sotto del 30%: oltre “scatta” l’OPA.
Per l’OPA è previsto un prospetto informativo: “io sono disposto a comprare fino ad un certo limite da chiunque”, si possono anche fissare soglie del genere “se io non arrivo all’80% non me ne faccio nulla”.
Esistono anche le OPA di concerto: ABN Ambro ha recentemente fatto un esposto alla Consob dichiarando di ravvisare, nei comportamenti della popolare di Lodi e di chi si oppone all’OPA, l’azione di concerto. Ha sostanzialmente asserito che diversi soggetti, in accordo, stiano tentando di superare la soglia del 30%. Se ABN Ambro riuscisse a dimostrare ciò, questi soggetti sarebbero obbligati a lanciare l’OPA.
Il problema è che se la soglia fosse troppo bassa (es.: 10%, che tutela tantissimo gli azionisti di minoranza) nessuno scalerebbe perché scalare diventerebbe troppo costoso. Questo potrebbe, paradossalmente, giocare contro gli azionisti di minoranza perché la contendibilità degli assetti proprietari si irrigidirebbe: il giusto sta nel mezzo. La prima OPA si è verificata nell’83: Banca di Verona su altre banche minori (Prospero).
Il meccanismo dell’OPA è competitivo: si fa un’asta. Esistono, infatti, OPA e contro-OPA. Sono vietati ostacoli e meccanismi ambigui a discapito delle minoranze.


Come fa il mercato ad eliminare i soggetti e le aziende inefficienti?
Non le manda in galera, visto che rispettano la legge, ma le elimina mediante le scalate: acquisendone la proprietà.
I soggetti efficienti, senza aspettare che quelli inefficienti falliscano, ne acquisiscono le proprietà. Se un’impresa non piace al mercato, infatti, dispone di azioni in ribasso, quindi è anche più facile scalarla. Il mercato funziona così: valuta le aziende e fa scendere le azioni di quelle “cattive”. Quindi le aziende con prezzi di azioni alti comprano quelle con prezzi di azioni bassi. Ritorna il problema dell’efficienza valutativa nel prezzo delle azioni. L’OPA regolamenta proprio questo momento chiave: il passaggio di proprietà. Il meccanismo di disciplina e selezione del mercato è preventivo: l’impresa sa a priori che non potrà gestire male prestiti e azioni o verrà eliminata. Questo aumenta ulteriormente l’efficienza ex ante ed ex post.
C’è un problema nel meccanismo: non tutte le imprese sono contendibili.

  1. Il meccanismo di contendibilità fallisce, infatti, per definizione, quando l’impresa è pubblica: è un caso patologico. Se un’impresa pubblica distrugge valore non viene eliminata, perché non è scalabile. Il decreto Amato prevede che le banche non possano essere pubbliche e che debbano avere la forma di SPA, cioè essere soggette alle valutazioni di mercato (sebbene inizialmente non contendibili, successivamente anche contendibili con riforme Ciampi, Dini e Tremonti).
  2. Secondo caso: la cooperativa; è possibile comprare anche il 99% delle azioni, ma il voto è per testa: “se io ho il 99% delle azioni di una cooperativa e tu hai l’1%, tu vali quanto me”. L’UE sta cercando di dichiarare illegale l’esistenza delle banche popolari con assetto cooperativo, sebbene sono molti a sostenere che sarà il mercato stesso a decretarne la morte, per mancanza di scalabilità: se non sono scalabili, non sono attrattive.
  3. Terzo caso in cui non c’è contendibilità: se esiste un nocciolo duro di controllo. Anche questo è un fenomeno fisiologico: non è possibile obbligare a vendere chi non vuole vendere. Il classico esempio di azionista non disposto a vendere è l’azienda famigliare (FIAT, Agnelli).

Il market abuse (= improprio uso del mercato) si divide sostanzialmente in 3 casi:

  1. aggiotaggio: diffusione di informazioni false per trarne vantaggio, o anche mettere in atto operazioni tali da alterare il Prezzo delle azioni. Sono azioni vietate.
  2. insider dealing: compravendite sulle azioni della società fatte dagli amministratori, ovvero i detentori di informazioni particolari. C’è obbligo di trasparenza, sebbene non siano vietate. Se tutti i manager della FIAT vendono azioni FIAT possono farlo, ma è necessario che lo rendano pubblico.
  3. insider trading: è penalmente perseguito l’uso di informazioni riservate e privilegiate: trasmettere l’informazione ad altri, utilizzarla per compiere operazioni direttamente o per interposta persona. Negli USA dal 1934 esiste il Security Act, in Italia dal 1991, in Germania dal 1994. Le banking economy sono molto più “aumma aumma”. Impatti sul modello: le banche presenti nel CDA rischiano l’incriminazione quando operano prima che un’importante informazione venga portata a conoscenza del mercato. È tuttavia difficile dimostrarlo.

Lezione pomeridiana: Basilea I e II
Basilea II è un tema di grande attualità su cui si sviluppa un grande dibattito. È un aspetto fondamentale della regolamentazione che vede una base nel regime dei ratios patrimoniali. Nonostante riguardi le banche, questa normativa viene estesa anche alle assicurazioni e ad altri intermediari finanziari.
Basilea è il comitato dei governatori delle principali banche centrali mondiali, che si riunisce presso la banca dei regolamenti nazionali, con sede, appunto, a Basilea (in Svizzera). Pubblica delle raccomandazioni che non hanno valore normativo, ma hanno una valenza derivante dalla presenza di questi c.d. regulator. Spesso le indicazioni sono “recepite” dalle singole nazioni.
Ad oggi, Basilea I è ancora in vigore, visto che Basilea II sarà introdotta nel 2007. Riguarda i coefficienti di capitale. La logica è quella che abbiamo espresso trattando la vigilanza: garantire un minimo di adeguatezza dei mezzi propri a fronte dei rischi che le banche assumono.
Gli obiettivi di Basilea I:due obiettivi fondamentali giacciono al cuore del lavoro di convergenza regolamentare. Questi sono, in primis, che il nuovo framework (struttura) dovrebbe servire a rafforzare la sanità e la stabilità del sistema internazionale delle banche; e secondariamente che il framework dovrebbe essere equo e avere un alto grado di consistenza nella sua applicazione alle banche nei diversi Paesi con un occhio di riguardo per ridurre le fonti esistenti di inequità concorrenziale  tra le banche internazionali.” Riassumendo:

  1. rafforzare la stabilità delle banche;
  2. rendere omogenee le condizioni competitive.

Le posizioni creditizie a rischio (cioè i prestiti) sono ponderate nel loro importo nominale e moltiplicate per un fattore di ponderazione (100% per le imprese private, 80% mutui, settore privato 20%, 0% titoli di Stato): così si ottengono le c.d. risk waited assets, RWA (rischio atteso ponderato). L’8% è la misura del capitale regolamentare ovvero quello obbligatorio.
Con Basilea I tutti i prestiti verso il settore privato hanno la stessa ponderazione. Si deve assolvere al vincolo di normativa di vigilanza, mettendo da parte il capitale proprio, che è definito direttamente dalla normativa “patrimonio di vigilanza”. Esso è specificamente definito:

  1. TIER I: capitale azionario e riserve palesi (è il nocciolo duro)
  2. TIER II: non può essere maggiore del TIER I (al max =): riserve occulte, riserve di rivalutazione, accantonamenti generali e fondi generali per rischi su crediti, strumenti ibridi di patrimonializzazione
  3. TIER III: prestiti subordinati a copertura dei rischi di mercato, deduzioni (avviamento, investimenti in banche e società finanziarie con oggetto di consolidamento, partecipazioni di capitale di banche e società finanziarie).

Le modifiche a Basilea I
Si sono raccolte le osservazioni degli operatori e sono stati fatti dei test, provando, con delle simulazioni, ad applicare la normativa per affinare, in base al feedback, le varie versioni del documento di Basilea. Il processo con cui si è addivenuti a questa normativa è molto complesso: siamo nella logica della vigilanza market-friendly. Il processo di creazione della normativa è stato, inoltre, il più possibile collegiato: ha tenuto conto anche degli interventi via internet, per esempio.
Quali sono le gravi lacune di Basilea I per cui si è resa subito necessaria la modifica?

  1. la ponderazione uguale per tutte le imprese (sia per una piccola o media impresa sia per le imprese con grande rischio, come le imprese di internet, sia per le imprese con grande solvibilità, quali enel, cocacola etc.)
  2. non si considerano le garanzie accessorie (salvo quelle ipotecarie)
  3. non si considera la scadenza delle operazioni
  4. non si considera il grado di diversificazione del portafoglio (il rischio di credito ha componenti specifiche e di portafoglio: il rischio complessivo deriva dai fattori specifici del singolo debitore, ma anche dalle relazioni del singolo debitore con gli altri)
  5. Il regime della prima versione di Basilea era penalizzante per le piccole e medie imprese.
  6. attenzione concentrata sul rischio di credito
  7. arbitraggio regolamentare che spinge le banche a spostarsi da prestiti più sicuri a meno sicuri (meccanismo di selezione avversa)
  8. assenza di una metodologia specifica che motivi la scelta dell’8%
  9. staticità del requisito nelle diverse fasi congiunturali (se l’economia va bene o male il requisito resta uguale)
  10. inappropriato riconoscimento dei derivati sui crediti
  11. trattamento del rischio di credito distinto per banking book, trading book e derivati con conseguente distonia metodologica nel trattamento di un unico tipo di rischio (e possibilità di arbitraggio regolamentare).

Per rispondere a queste critiche, a fronte di un contesto di economia mondiale e di un sistema finanziario sempre più rischioso per colpa della globalizzazione, arriva Basilea II. Basilea II introduce il rischio operativo e riforma il rischio di credito. In questa sede, tratteremo la regolamentazione del rischio di credito.
Il sistema di vigilanza non si allea solo con i mercati (puntando alla trasparenza), ma anche con la gestione: non vuole essere un mero vincolo di natura prudenziale, che limita la libertà d’azione dell’impresa, in nome di finalità di interesse pubblico superiori, bensì desidera dare un potente incentivo alle banche perché migliorino i loro sistemi di gestione del rischio. È una logica completamente nuova rispetto a Basilea I. I 3 Pilastri di Basilea II, infatti, sono:

  1. requisiti patrimoniali minimi: livelli minimi di capitale, cioè il capital ratio:
    1. migliorare l’aderenza tra rischi e capitale
    2. inserire nuove categorie di rischio
  2. la supervisione prudenziale: l’azione di vigilanza condotta dall’autority:
    • intervenire sui contenuti minimi di capitale
    • incentivare una gestione attiva del capitale
    • poter valutare strumenti gestionali e di controllo
  1. il controllo e la disciplina del mercato, che si attua attraverso la trasparenza informativa.

L’innovazione di Basilea II rispetto a Basilea I è triplice:

  1. riforma i ratios del rischio di credito: la riforma del 1° pilastro di Basilea I.
  2. si introduce la logica dei 3 pilastri, in particolare il secondo ed il terzo che prima non esistevano.
  3. si introduce il rischio operativo: si disciplina questa nuova categoria di rischio che prima era ignorata.

“IL NBCA: profondità di impatti: modificherà procedure e organizzazioni interne, muterà i..tassi di trasferimento…implicherà profonde ristrutturazioni e ri-orientamenti nell’industria finanziaria mondiale. Il NBCA ridisegna il patto sulla base del binomio stabilità ed effciienza delle banche. Un patto non più basato su una meccanicistica dotazione di risorse patrimoniali e su una contrapposta separatezza tra regulators e banche. Un patto che, invece, adotta la gestione del rischio come il terreno vero della convergenza delle spinte gestionali, degli affinamenti metodologici, dei requisiti minimi da raggiungere e da migliorare tra amministratori bancari e autority”. Rainer, Masera, 2001. Sul terreno della gestione del rischio convergono sia la vigilanza sia gli sforzi interni di gestione (metodologie, strumenti e processi).
NB: Il tema è il risk management: la gestione del rischio. Tale funzione è cresciuta in maniera sproporzionata. È una nuova e critica funzione della banca.
La riforma del primo pilastro
Il primo pilastro interviene, innanzitutto, sul sistema di ponderazione. La percentuale del 100% indiscriminato per le imprese private non era ragionevole. Sono ora possibili 3 modi per calcolare il requisito di capitale ai fini del 1°pilastro:

  1. standardized: le ponderazioni sono date da Basilea II e sono fisse e rigide in funzione del rating pubblico.
  2. foundation approach       internal ratings based approach (sono più precisi e raffinati di quelli standard
  3. advanced apporach         e sono premiati abbassando il coefficiente di capitale, a parità di rischio)

Basilea vuole stimolare le banche ad adottare metodi avanzati. Le grandi banche ovviamente sono costrette ad usare i metodi avanzati.
1. Metodo standard
Per esempio, se sto facendo prestito ad un’impresa tripla A, l’esposizione è 100, ma la risk waited asset è 20.
Il problema italiano è che il 90% delle imprese sono piccole o medie e senza rating, quindi il loro tasso sarà il 100%. Nel metodo S&P (Standard & Poor), le imprese hanno 2 segmenti:

  • arch corporate:
    • grandi imprese
    • piccole e medie imprese: fatturato minore di 50 milioni di euro annui: hanno un regime differenziato che è loro più favorevole nei sistemi interni piuttosto che in quelli standard
  • imprese retail (dettaglio): i prestiti al consumo o micro imprese: fatturato inferiore a 5 milioni di euro ed esposizione inferiore a 1 milione di euro. Queste imprese hanno un ulteriore sconto secco (anche rispetto ai sistemi interni e rispetto alle altre imprese senza rating): la loro ponderazione non è il 100% ma il 75%.

Le agenzie di rating tengono conto dei cambiamenti della congiuntura, cioè delle aspettative per il futuro.
I rating sotto la tripla B sono considerati speculative grade (cioè a livello speculativo, quindi rischiosi) e, ad esempio, le società di fondi pensioni non possono investirvi (gli altri sono investment grade).
2. e 3. I metodi interni: foundation ed advanced
Nei metodi interni, il rating è dato dalle imprese stesse. Alla fine del processo valutativo di istruttoria, si dà un punteggio e, in base ad esso, si stima una probabilità di default. L’autorità di vigilanza verifica soltanto che il sistema sia statisticamente accettabile.

    • Nel metodo foundation, la banca esprime solo la probabilità di default, mentre gli altri parametri li fissa Basilea.

Le variabili chiave sono:

  • Probability of default: importo nominale a rischio, o probabilità di fallimento
  • Maturity: la scadenza
  • Exposure at default: esposizione al fallimento
  • Loss given at default: quota del prestito che si perde effettivamente in caso di default. Esistono, tuttavia, garanzie e procedure concorsuali a tutela del creditore, quindi non è detto che la perdita sia totale. Nel metodo standard la loss given default è 55% (ovvero 45% va perso).
  • Expected loss: la perdita attesa (o probabile) è = all’exposure at default che moltiplica la Probability of default che moltiplica la loss given default. In formula: EL = EAD x PD x LGD
    • Nel metodo advanced:
  • il sistema interno dà tutti i parametri,
  • che vengono immessi in una funzione matematica (un algoritmo complicatissimo),
  • che genera il coefficiente di ponderazione.
  • Applicando questo coefficiente all’importo nominale (cioè il prestito) si ottiene la risk waited asset.
  • Su questo rischio si applica sempre l’8%.

Ciò che cambia rispetto a Basilea I non è l’8%, ma i passaggi precedenti: la ponderazione che genera il risk waited asset. Per calcolarlo, quindi, non si prende il 100% come con Basilea I (né una percentuale del metodo standard, bensì un peso che varierà secondo una funzione continua che verrà alimentata con dati in input prodotti dal sistema interno). È una funzione molto più discriminante e sensibile al rischio. Quando l’impresa è molto solida, il capitale richiesto, secondo l’approccio foundation, è molto basso ed inferiore all’8% attuale, perché attualmente è calcolato sul 100%. È chiaro che, applicando l’approccio interno, si discriminano molto di più le imprese, comportandosi in modo più liberale nei cfr. delle imprese solide (gli si darà molto credito con poche garanzie), mentre nei cfr. delle imprese rischiose la banca farà l’opposto (gli darà poco credito e chiederà molte garanzie, oppure praticherà tassi di interesse molto alti).
Il capitale regolamentare obbligatorio è un fattore produttivo tra i più costosi per la banca. È per questo maggior costo, indotto dalla regolamentazione, che si dovranno praticare tassi di interesse alti alle imprese rischiose.
Riassumendo: Basilea I calcolava l’8% sull’intero capitale (100%) di tutte le imprese. Basilea II, invece, ha due metodi: uno standard e uno advanced, che si basa su tutti i parametri di cui sopra.
Motivi per i quali Basilea II favorisce le piccole imprese:

 

  • le imprese piccole e medie singolarmente possono essere più rischiose, ma beneficiano di un effetto diversificazione, effetto non considerato nella prima visione di Basilea.
  • Le piccole e medie imprese sono meno legate alla congiuntura.

È evidente che, se una piccola o media impresa ha rating bassi (è molto rischiosa), anche con tutti gli sconti possibili, risulterà più costosa per la banca (ovvero il coefficiente patrimoniale risulterà più elevato) e la banca chiuderà il rubinetto del credito o alzerà il tasso. Ma tra la piccola impresa doppia A ed una grande impresa doppia A, la prima è favorita. Ma se la piccola fosse doppia B (quindi con rating più scarso), sarebbe comunque meno agevolata.
Ultima osservazione per oggi: per accettare i metodi interni di rating è richiesto alla banca il rispetto di alcuni requisiti:

    • il sistema deve fornire una valutazione distinta tra quella riferita al prenditore e quella concernente le caratteristiche dell’operazione
    • la banca deve possedere un minimo di 6-9 classi di rating per i crediti vivi e un minimo di 2 per quelli anomali
    • l’assegnazione di un rating a ciascun prenditore dovrà avvenire prima dell’erogazione del credito
    • ogni singola attribuzione di rating deve essere sottoposta a revisione indipendente o all’approvazione di personale o di unità che non siano in posizione tale da poter trarre beneficio da eventuali malversazioni o condizionamenti
    • il processo di revisione indipendente cui è sottoposto un prenditore deve essere documentato. I mutuatari dovrebbero essere sottoposti almeno annualmente a ulteriori valutazioni o revisioni da parte di unità indipendenti. Le banche dovranno prevedere un nuovo rating in presenza di informazioni nuove
    • tutti gli aspetti rilevanti del rating e della procedura di valutazione della PD devono essere approvati dal CDA e dall’alta direzione
    • il management deve assicurare una documentazione precisa su supporto cartaceo e in formato elettronico del processo di valutazione, dei criteri utilizzati e dei risultati
    • deve esistere una unità di controllo del rischio di credito indipendente, responsabile della progettazione, dell’applicazione e dell’operatività del sistema di rating
    • le banche devono raccogliere i dati sulle decisioni relative al rating, sulle serie storiche di valutazione dei debitori e sulle probabilità di insolvenza associate alle classi di rating e alle migrazioni, per accertare la capacità revisionale del sistema
    • i rating interni attribuiti e l’informazione quantitativa da essi derivata devono costituire parte integrante delle procedure di misurazione e gestione del rischio di credito e devono essere esplicitamente connessi alla valutazione interna effettuata dalla banca dell’adeguatezza patrimoniale.

Il rating interno deve essere raccordato agli altri sistemi gestionali: i meccanismi di pricing (cioè decisione in merito alla concessione del credito), di budget (obiettivi), autonomia (scalettatura) e misurazione della redditività. L’intento è chiaro: se il sistema di rating è buono, si deve usare come supporto alle decisioni. Se non lo è, e le decisioni sono prese con altri criteri, allora significa che il sistema è montato solo a fini regolamentari (per mettere da parte un po’ meno capitale, cioè a fini elusivi di vigilanza). Conclusione: “Se la vigilanza si accorge che il sistema di rating non è sfruttato ai fini gestionali, essa capirà che quel metodo non è valido, quindi non lo accetterà”. Si tratta dei “qualifying criterium”.

Lezione del 28/04/05
Riassunto della lezione precedente
Metodo dei rating interni: ponderazioni per il portafoglio corporate (LGD=50%): il requisito patrimoniale cresce meno che proporzionalmente in rapporto alla probabilità di default, perché la varianza di quest’ultima (perdite inattese) è relativamente più alta per i prestiti. L’algoritmo di Basilea, a fronte dei dati inseriti, ci esprime il “Risk Waited Asset”: la ponderazione per l’esposizione o peso per asset. A questo è applicato l’8% per trovare il requisito patrimoniale.
Basilea vuole incentivare le banche ad usare il metodo interno, per risparmiare capitale. I requisiti per la validazione del rating interno sono di tipo statistico e gestionale.
Tipicamente il pricing, la gestione dei mezzi propri, le autonomie dei poteri decisionali e le analisi di redditività impattano sui sistemi gestionali e sui sistemi operativi, perché il nuovo metodo di quantificare il rischio deve essere utilizzato anche nei processi decisionali e nei meccanismi organizzativi (qualifying criterium). Ad esempio, per quanto riguarda il pricing (ovvero la creazione del tasso di interesse che l’impresa deve pagare), il tasso attivo deve coprire il costo della provvista + i costi operativi (personale e sistemi informativi per valutare l’impresa) + il rischio calcolato secondo i metodi interni di risk management di Basilea II.
Le critiche a Basilea II

  • Una delle critiche principali, la penalizzazione delle piccole e medie imprese, è già stata smontata. Con Basilea 2, a parità di rischio, le piccole e medie imprese sono favorite, per tenere conto dell’effetto diversificazione. Sono penalizzate, ma è ovvio, solo se sono molto rischiose. Le simulazioni svolte hanno dimostrato che le banche con un portafoglio composto da piccole e medie imprese vengono favorite da Basilea II, perché devono accantonare un ammontare inferiore di equity.
  • porterebbe a procedure automatiche di scoring. In effetti, il ricorso a sistemi automatici è piuttosto frequente, e ciò comporterebbe la trascuratezza di tutti gli aspetti qualitativi del credito. Per esempio, c’è la paura di un’eccessiva enfasi sui ratios di bilancio. In questo caso la piccola o media impresa è penalizzata: ci sono fattori qualitativi che pesano di più: per esempio un progetto imprenditoriale innovativo non pesa in bilancio. Se questa critica è vera (ed in parte lo è) va rivolta non a Basilea II, ma alle prassi gestionali delle banche: Basilea II non consiglia di utilizzare metodi automatici, ma chiede di tenere conto di tutti i dati, lasciando totale autonomia gestionale ed imprenditoriale per quanto riguarda la fase di rating assignement. Basilea dà indicazioni cogenti e vincolanti solo per quanto riguarda la fase di rating quantification, cioè i requisiti di solidità statistica. Le banche, normalmente, adottano sistemi in cui le aree informative che alimentano il processo di rating assignement riguardano: le analisi di bilancio, l’analisi della centrale dei rischi dei dati, la posizione debitoria di tutto il sistema bancario, i dati andamentali dell’impresa, se già cliente (comportamenti di rimborso etc.), e dati qualitativi e di settore.
  • La critica più plausibile a Basilea II è quella che riguarda la prociclicità: Basilea II è un sistema prociclico, ovvero gonfia e sgonfia bolle. In ultima analisi, questo accade perché “Basilea II è intelligente”. Basilea I non era prociclico perché era stupido. Quando l’economia va in recessione => il rischio aumenta => i rating peggiorano => il requisito di capitale aumenta => la banca restringe il credito o alza il tasso di interesse e la recessione si aggrava. Viceversa nel caso espansivo: il credito della banca aumenta, diventa meno caro perché i rating migliorano e ciò fa gonfiare la bolla. Basilea I non aveva questo problema, perché il rischio era sempre ponderato al 100% in qualsiasi situazione congiunturale.
  • Inclusione nel capitale sia delle perdite attese sia delle perdite inattese
  • Mancata considerazione del leasing
  • Bassa inclinazione della curva ponderazioni-rating nell’approccio standard
  • Dipendenza dai rating esterni nell’approccio standard
  • Ipotesi sulle asset correlation

Il secondo pilastro di Basilea II

    • Principio 1: “Le banche dovrebbero avere un processo per valutare la propria adeguatezza del capitale di rischio in relazione al loro profilo di rischio e una strategia per mantenere i loro livelli di capitale”.
    • Principio 2: “I supervisori dovrebbero visionare e valutare le stime e le strategie sull’adeguatezza del capitale interno delle banche, così come la loro la loro capacità di monitorare e assicurare la loro corrispondenza con i capital ratios regolamentari. I supervisori dovrebbero prendere azioni di revisione appropriate se non sono soddisfatti del risultato di questo processo”.
    • Principio 3: “I controllori dovrebbero aspettarsi che le banche operino oltre i ratios di capitale regolamentare minimi e dovrebbero avere la capacità di richiedere alle banche di trattenere il capitale in eccesso del minimo”.
    • Principio 4: “I controllori dovrebbero cercare di intervenire ad uno stadio precoce per evitare che il capitale scenda al di sotto dei livelli minimi richiesti per sopportare le caratteristiche di rischio di una particolare banca e dovrebbero richiedere azioni rapide di rimedio se il capitale non è mantenuto o reintegrato”.

Basilea II introduce il 2° ed il 3° pilastro: la logica è la vigilanza prudenziale. Non basta mettere da parte i soldi. È necessario che i processi di valutazione del rischio delle banche siano sostanziali ed effettivi. Se questo non accade, l’autorità di vigilanza alza il requisito di capitale. Basilea II obbliga a pubblicare informazioni sul sistema di rating, il rischio gestito e la classificazione delle imprese di portafoglio, in maniera che sia il mercato a valutare tali informazioni, variando, di conseguenza, il prezzo delle azioni.

 

Le 3 innovazioni di Basilea II (come avevamo già visto):

  1. la logica di credito
  2. i tre pilastri
  3. il rischio operativo (lo approfondiamo qui di seguito):
    • rischio di perdita diretta o indiretta derivante da persone, sistema o processi interni inadeguati o fallimentari, oppure eventi esterni (terremoti, atti di vandalismo, furti). Questo include il rischio legale”.
    • I rischi reputazionali e strategici (che sono i più grandi) sono (per il momento) esclusi dall’ambito di applicazione del requisito patrimoniale:
      • Basic indicator: % fissa (del 12%) del margine di intermediazione (o utile lordo), grossolano.
      • Standardized approach
      • Internal measurement (standard e advanced)

                            Il rischio di capitale viene calcolato secondo questi 3 diversi metodi.
Basilea schiude il mondo del risk management: fa entrare in banca la gestione del rischio per renderla più solida e razionale, mediante metodi più avanzati ed efficaci, perché il rischio è alto (e per dare lavoro ai laureati in statistica e matematica).
Le funzioni degli intermediari
Le componenti del sistema finanziario sono: mercati, prodotti, intermediari. Iniziamo dagli intermediari, con una visione alta, analizzando le coordinate fondamentali, dal punto di vista del riequilibrio delle funzioni e delle logiche di economicità.
Funzioni bancarie:

  • raccolta del risparmio         riguardano anche altri intermediari creditizi
  • esercizio del credito
  • funzione di meccanismo di trasmissione della politica monetaria (dalla BC)    riguarda solo le banche
  • funzione monetaria: ci concentreremo su quest’ultima.

La funzione monetaria ha 2 aspetti:

  1. Produzione della moneta (concorrere all’offerta di moneta): fornire alla collettività uno strumento finanziario che ha le peculiarità di svolgere funzione economica di moneta, e ci stiamo riferendo ai depositi a vista (i c/c). Ordini di pagamento, bonifici e assegni svolgono funzione di moneta scritturale, c.d. perché viene movimentata con scritture di conto, non con un passaggio fisico di banconote. Dal punto di vista giuridico, “solo la moneta legale è legale”: un creditore può rifiutare un assegno e pretendere moneta legale, mentre non può rifiutare i contanti.
  2. Tecnico: i servizi di movimentazione della moneta. Tutti quei servizi offerti dalla banca per garantire i pagamenti. È un’area di business propria della banca. Questo garantisce il sistema scritturale della circolazione della moneta.

Per capire meglio l’evoluzione della funzione monetaria delle banche, ne effettuiamo un’analisi storica.

  1. All’inizio c’erano i mercanti ed i cambia-valute. Ad un certo punto, essi hanno intrapreso l’attività di custodia di valore, quando ancora la moneta era metallica ed aveva valore intrinseco. Questa prima fase, nel rapporto tra depositante e “la banca” è la fase del c.d. deposito regolare. Anche nel codice civile (art. 1766), il contratto di deposito regolare è il contratto mediante il quale “una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e restituirla in natura”. I mercanti emettevano una ricevuta (il “certificato di deposito”), incassando una commissione. Se le monete erano perse il mercante era costretto a rimborsare con patrimonio proprio.
  2. Il primo passaggio importante è il passaggio dal deposito regolare ad irregolare. Il deposito irregolare ha per oggetto cose fungibili, non soltanto mobili, tipicamente denaro. Proprio per questa caratteristica, il depositario ha la facoltà di servirsene, ne acquista la proprietà, non le custodisce soltanto, ed è tenuto a restituirne altrettante, della stessa specie e qualità (art. 1782 c.c.). Questo passaggio è importante perché segna il nascere della funzione creditizia. Il cambiavalute inizia ad usare i soldi per prestarli perché nel suo mondo di affari viene a contatto con mercanti che hanno bisogno di soldi.
    • Sussistono cause agevolanti, permissive e determinanti del nascere della funzione creditizia. L’opportunità di investimento che si andava manifestando (la domanda di credito) era ciò che oggi chiameremmo opportunità di business. È chiaro che il mercante applicasse un tasso di interesse sui prestiti. A quel punto, invece che incassare la commissione, per incentivare la gente a depositare le proprie monete metalliche (così da poter poi prestare e fare business) iniziò a pagare anche gli interessi attivi. La condizione permissiva era l’indeterminatezza del rapporto giuridico tra depositario e depositante: essi non avevano firmato un contratto di deposito regolare, perché, se lo avessero fatto, il mercante non avrebbe potuto prestare i soldi. I soldi dei terzi venivano messi in una cassa unica. Questo fa comprendere che spesso l’innovazione, per nascere, ha bisogno di un ambiente non codificato e rigido, insomma un ambiente ambiguo e flessibile. Se tutti i comportamenti fossero prescritti e codificati, evidentemente lo spazio per l’innovazione si ridurrebbe. L’innovazione, per sua natura, rompe lo status quo.
    • Seconda condizione permissiva: il mercante si accorge che, anche se non potrebbe o non dovrebbe (legalmente), può, di fatto, prestare una parte delle monete che ha in deposito senza fallire, ovvero senza trovarsi inadempiente rispetto alla richiesta di rimborso del depositante. All’inizio comincia a prestare poco (per la preoccupazione che i soldi erano altrui), gradualmente si accorge che il fatto di prestare i soldi non è incompatibile con il mantenimento degli impegni verso i depositanti (il rimborso). Questo problema è lo stesso che hanno oggi le banche, cioè il vincolo di convertibilità: il problema chiave, soprattutto degli inizi del sistema bancario (perché oggi c’è la rete di protezione del sistema), è quello di fare prestito ma essere sempre in condizione di rimborsare a vista i propri debiti, facendo fronte alle richieste di prelievo, senza fallire. Questo problema non ce l’ha chi raccoglie a scadenza (es.: obbligazioni) ma a vista. Oggi esistono le banche perché, in passato, i mercanti hanno risolto il problema del vincolo di convertibilità, che si chiama anche fractional riserve banking, cioè fare banca con una riserva frazionale: detenere in cassa, a pronta disponibilità, soltanto una parte dei debiti.
  1. Compare la funzione monetaria: inizia a circolare nel pubblico, come sostituto della moneta metallica, il certificato di deposito dei mercanti. Inizia ad essere scambiato, perché “un pezzo di carta è più comodo di un baule di sesterzi”. Questo accade perché i mercanti si rivelano di altissima fiducia. La quantità di moneta in circolazione inizia ad essere superiore: aumenta l’offerta di moneta, che mette in circolo un potere di acquisto maggiore. Questa diffusione della ricevuta, naturalmente, aiuta moltissimo i mercanti, potenziando la loro funzione creditizia ed attenuando il vincolo di convertibilità: è sempre meno la gente che viene a prelevare monete metalliche, mentre sempre di più circolano pezzi di carta.
  2. Accentramento della funzione di emissione dell’offerta di moneta cartacea: lo Stato. Circolano ancora i biglietti di banca, che sono convertibili in biglietti di Stato, a loro volta convertibili in oro.
  3. Ultima tappa è il corso forzoso (nasce con la crisi del ’29): fine della convertibilità aurea. La moneta diventa puramente convenzionale e perde ogni riferimento al valore intrinseco o merceologico. La quantità di moneta in circolazione non è più una variabile esogena non governabile dai pubblici poteri, ma diventa una variabile discrezionale, indipendente dalle riserve auree. Prima era impossibile stampare moneta al solo scopo di rilanciare l’economia (ricorda Keynes).

In questo modo, possono nascere le reti di protezione pubblica in favore delle banche: nel caso in cui una banca non riesca a gestire il vincolo di convertibilità (che, nonostante tutto, è rimasto fino ad oggi, sebbene ridotto), sarà lo Stato a risolvere il problema, creando quantità eccezionali di moneta per salvare il sistema bancario. => La fiducia della collettività nella banca si rafforza ulteriormente. => Aumenta ancora la circolazione della moneta bancaria. => Si riduce il peso della moneta legale. => Si  riducono le richieste di prelievo.
Per questo si dice che “funzione creditizia e monetaria si autoalimentano”: si rafforzano l’una con l’altra. Una ha una funzione di aumento, l’altra ha una funzione di protezione: è un gioco vizioso.
Lo sviluppo economico è altresì aiutato: l’attività deve aumentare di pari grado all’aumento di moneta (ricorda da monetaria). Precedentemente, la Q predefinita di moneta restringeva l’economia.

Lezione pomeridiana Autogenesi dei mezzi amministrati
Vediamo meglio il collegamento tra funzione creditizia e monetaria. La funzione monetaria qualifica la banca, unico tra gli intermediari a farne uso.
Interm. creditizio                             La banca
 



100        100                                  100        100
Cassa                                         prestito   deposito
100
Prestiti
All’emissione di un assegno, nel bilancio della banca, compaiono i 100 di prestito che l’impresa ha utilizzato. Quest’assegno finisce nelle mani del fornitore, che lo deposita. La banca ha così sviluppato un’attività creditizia, senza bisogno di risorse, sulla base soltanto della legittima aspettativa che il credito ri-affluisca sotto forma di deposito. Non circola moneta legale, non c’è necessità di prelievo. Il circuito si auto-alimenta.
Questo processo si chiama “autogenesi dei mezzi amministrati: la banca genera i propri fondi intermediari da sola.
È il prestito stesso che crea il deposito. La condizione perché si crei è la diffusione e l’accettabilità della moneta bancaria piuttosto che della moneta legale e la scarsa frequenza dei casi di prelevamento. A seguito dell’introduzione del corso forzoso, questo processo è diventato abituale.
Introduciamo 2 coefficienti:
  1. l = preferenza per il contante = Bmp/dep. = Base monetaria presso il pubblico diviso depositi;
  2. r = coefficiente di riserva = Bmb/dep = quota di base monetaria detenuta dalle banche rispetto al contante.

Riscrivo la prima uguaglianza sostituendo:
BM = l x dep + r x dep.
Raccolgo:
(l x r) x Dep
Passo di là i depositi:
Dep = BM / l+r
I depositi sono un multiplo della base monetaria. In particolare, sono uguali alla quantità originaria di moneta legale manovrata dalla BCE per un coefficiente maggiore di 1, chiamato “moltiplicatore dei depositi:
                           Coeff. del moltiplicatore
DEP = BM x -------------------------------------
                                         l + r
(vedi “appunti di macroeconomia pag. 13” e appunti di “economia monetaria internazionale”)
Su ogni deposito l’istituto di emissione impone che una parte venga tenuta a riserva e non possa far parte di denaro che viene concesso a prestito. Si innesca il moltiplicatore dei depositi, per cui a fronte di un deposito iniziale qualsiasi, si ha una diminuzione del coefficiente di riserva libera (quindi si liberano risorse prima incatenate) e un aumento delle somme che l’istituto bancario può concedere a prestito (il costo del denaro diminuisce).
Questo è un processo teoricamente infinito che convergerà in un numero finito:
100 * 10% = 10 a riserva + 90 in prestiti
90 * 10% = 9 a riserva + 81 in prestiti
81 * 10% = 8,1 a riserva + etc.                       (Questa dinamica di crescita degli aggregati monetari è molto importante per lo sviluppo economico.)
Per la banca è un moltiplicatore di Business: maggiori sono i depositi, maggiore è il prodotto della banca. La banca ha interesse che “l” ed “r” siano bassi: questo accade quando le famiglie hanno molta fiducia nella moneta bancaria e richiedono meno contante (si pensi, ad esempio, al meccanismo delle carte di credito).
Equilibri e combinazioni di redditività e di rischio
Cambiamo argomento ed iniziamo a parlare dell’equilibrio gestionale delle banche. Alcune delle cose che diremo valgono per tutti gli intermediari, altre solo per la banca. Quali sono le condizioni tecniche di equilibrio (in ordine di importanza)?

  1. Equilibrio finanziario = entrate e uscite (flussi di cassa): grado di liquidità finanziaria;
  2. Equilibrio economico-reddituale = ricavi e costi (per competenza e non per cassa), ovvero componenti positive e negative di reddito: grado di redditività;

Quali sono le tipicità degli intermediari creditizi in generale nella gestione di questi equilibri?
Per quanto riguarda l’equilibrio di redditività, qual è la peculiarità della banca? Perché è più facile migliorare la redditività di una banca piuttosto che la redditività di un’impresa come la FIAT? Si può alzare la redditività imbarcando rischio. La banca fa redditività gestendo il rischio, infatti il suo prodotto tipico è il prestito; rischio e redditività sono proporzionali; se aumenta uno aumenta l’altro. A differenza delle imprese, dunque, non ha senso valutare la performance di una banca guardando solo al ROE. È necessario capire quanto rischio si cela dietro a tali utili.
Il problema è l’asimmetria nella capacità di misurazione, valutativa e temporale, di questi due aspetti così collegati.
La soluzione non è banale, perché la redditività è immediata, il rischio è differito! C’è una grande diversità tra performance di breve e di lungo. Soprattutto nel breve, è molto più facile misurare la redditività piuttosto che il rischio.

  1. Equilibrio patrimoniale = grado di solvibilità.

Per quanto riguarda la solvibilità le caratteristiche, per la banca, sono 2:

  1. essa opera con leva finanziaria molto alta e livello di capitalizzazione molto basso. Se un’impresa avesse lo stesso indice di patrimonializzazione della banca, la banca non gli farebbe mai credito, perché sarebbe troppo rischiosa. L’impresa potrebbe rispondere “non guardare la pagliuzza nel mio occhio, ma guarda la trave nel tuo”. In realtà, questa non è una patologia, ma una tipicità fisiologica dell’operare bancario, perché il debito è il business della banca, mentre non è così per l’impresa: la banca ha interesse ad indebitarsi il più possibile. Per l’impresa il debito è un costo, per la banca è un ricavo.
  2. (Ancora più importante) La banca ha la possibilità di sostenere e mantenere la posizione di debitrice grazie:
    1. alla fiducia dei depositanti: essa riposa non tanto sulla solvibilità economica quanto sulla solvibilità tecnica, cioè sulla liquidità. Quando si depositano soldi in banca non si percepisce del rischio: un depositario non ha la percezione che i propri soldi possano essere investiti in attività rischiose. Questo perché la fiducia deriva nell’accettazione della moneta bancaria, più che nella solvibilità economica della banca. Ad esempio, se deposito denaro e utilizzo questo credito per pagare i miei debiti, tutti accetteranno il mio assegno, a prescindere dalla solvibilità della banca. Questo perché, la maggior parte delle volte, il denaro circola tra le banche e non viene nemmeno prelevato.
    2. alla protezione delle autorità

Per questi 2 motivi, la banca non ha bisogno di alta capitalizzazione, sebbene la sua caratteristica di fondo sia la situazione strutturale di finanza speculativa: mismatch (ricorda Minski, prima parte del corso).
I 2 documenti che rappresentano gli equilibri sono il conto economico e lo Stato Patrimoniale. Es.: Stato Patrimoniale, Passivo: Depositi e obbligazioni fanno 50%, 14% debiti v/altre banche, estero 15%, patrimonio di vigilanza (equity) 11% => 10 euro di debito, un euro di capitale (molto basso).


IA +
IP –

interessi attivi
– interessi Passivi

MG i
RS +

risultato gest. caratt.
+ ricavi da servizi

MG int.ne
CO –

marg. intermed.
– Costi operativi

RG

risultato di gestione

+/- componenti extraordinarie

Utile netto

Vediamo il modello più diffuso di CE (è in forma scalare), quello della BI:
IA – IP = interessi attivi meno quelli passivi = MG i = margine di interesse.
È il risultato della gestione caratteristica, che è l’intermediazione creditizia (raccolta su impieghi). Rapportando questo risultato ai fondi intermediati si trova un margine unitario (per euro intermediato) che esprime lo spread. Per certi versi, potremmo vedere in questo spread, come avevamo già detto nella prima parte del corso, il costo per la collettività dell’intermediazione creditizia. Aggiungendo al MGi le RS (ricavi da servizi, composti da servizi di mediazione e consulenza, nonché tutta l’attività in titoli per conto della clientela remunerate con commissione) otteniamo il margine di intermediazione. Negli ultimi anni sta molto aumentando l’RS. Purtroppo quest’analisi è inficiata dal fatto che sono presenti anche gli utili e le perdite da negoziazione titoli in proprietà: gli utili e le perdite in conto capitale sul portafoglio, cioè i titoli posseduti dalla banca. Sono inoltre presenti anche le minus e plusvalenze da titoli. Ciò implica che sono mischiati gli utili derivanti dai servizi e quelli meramente dovuti alle valutazioni di mercato.
Sottraendo i costi operativi abbiamo il risultato di gestione. Questo è un modo per esporre l’utile della banca in modo intelligente, che ci fa capire le aree di gestione da cui proviene ed i suoi risultati intermedi.
Per quanto riguarda le valutazioni di bilancio, segnaliamo che (sfioriando appena l’argomento):

  • La banca deve specificare se il portafoglio di negoziazione, per i titoli quotati (c’è un P di mercato pubblico) la valutazione è al P di mercato oppure, a scelta, il valore minore tra il P di mercato ed il costo di acquisto.
  • Nel caso di titoli non immobilizzati, il criterio i valutazione è il costo di acquisto, che viene svalutato solo quando l’aggravamento delle condizioni di rischio è estremo.
  • Per i titoli non soggetti a trading, il principio è quello del costo storico: viene ridotto solo per svalutazioni gravi.
  • Nel caso di prestiti la cosa è più complicata, ma possiamo distinguere:
    • rettifiche dirette di valore in caso di peggioramento della qualità creditizia e degli accantonamenti
    • e rettifiche forfetarie indirette tramite fondo.

Uno dei problemi (tanto per fare discussione) è che i criteri di valutazione sono diversi da quelli della logica di Basilea. Lo IAS (che conferma il criterio civilistico) deve evitare la sottovalutazione del reddito fiscale: sostiene che si possa svalutare solo in caso di “in carrell loss”, ovvero quando il rischio o la perdita si manifestano. Basilea ragiona diversamente: la perdita è attesa, anche quando l’impresa sta benissimo: la perdita è “expected” in base al rating.
Lezione del 5 Maggio 2005 Il rischio
Dopo aver trattato la redditività, trattiamo il rischio, che, come detto più volte, è il business tipico della banca. Daremo una panoramica ampia.
In seguito, approfondiremo meglio il rischio di interesse e di mercato.
“Come gestire i rischi?” (Vedi il lucido)

  1. Alcuni si riconoscono e si evitano, ma questa non può essere una risposta generalizzata: se la banca non rischia non fa affari.
  2. (NB) Si assumono e si prezzano interamente, ovvero vengono coperti dai ricavi attraverso il pricing: una parte di ricavi alimenterà il fondo rischi (ovvero: il P deve incorporare il rischio).
  3. Si assumono e si riducono: si cerca di contenerli, ad esempio attraverso i controlli ed i meccanismi organizzativi, oppure mediante logiche di portafoglio come la diversificazione (NB).
  4. Si trasferiscono o coprono mediante la stipulazione di contratti assicurativi oppure operando sul mercato dei derivati o attraverso la securitisation.
  5. Si possono condividere in Pool. Si condivide il rischio con altri, come accade per esempio con i fidi multipli.

L’evoluzione del contesto del business ha aumentato i rischi esistenti e ne ha generati di nuovi. Il rischio strategico è molto più importante oggi di ieri, perché il mercato è instabile.
1a classificazione dei rischi. I rischi si dividono in 2 grandi categorie:

  • rischio puro: il suo verificarsi produce un danno alle economie dei soggetti esposti ai rischi stessi. È fronteggiabile mediante assicurazione. È da evitare o minimizzare (chiaramente se la copertura costa più del rischio preferisco tenerlo).
  • rischi speculativi: sono quelli che possono anche portare vantaggi: anche il rischio favorevole è definito rischio. Es: il rischio di un’azione è la perdita di valore dell’azione stessa, che, tuttavia, può anche aumentare.

Emerge così il concetto contro-intuitivo del rischio finanziario favorevole. Tuttavia, non è detto che, se un’azione aumenta, ciò dia sempre luogo a rischi favorevoli: se un’azione guadagna meno del previsto genera comunque un rischio sfavorevole.
Nozione di rischio
(NB) La c.d. variabilità del rendimento è la misura del rischio. Il prezzo è una variabile casuale. Ciò considerato, il rischio è la diversità tra rendimento ex post e rendimento ex ante, tra rendimento ottenuto/effettivo e rendimento previsto/atteso. Questi è un secondo concetto contro-intuitivo. Partendo da una definizione di rischio molto aggregata, tralasciando il rischio di impresa, collegandoci alle nozioni di equilibrio patrimoniale, finanziario e reddituale, possiamo riconoscere una…
2a classificazione dei rischi:

    • (NB) Il rischio reddituale o rischio economico: è rappresentato dalla possibilità o eventualità che il risultato economico/l’utile/il reddito/il ROE non corrisponda alle aspettative del soggetto economico. Un ROE positivo ma minore di quello atteso o di quello di settore è un rischio reddituale. Rischio reddituale non significa soltanto perdita!
    • Il rischio patrimoniale: è l’eventualità che la dimensione dei mezzi propri si discosti da quella ottimale. Anche qui ragioniamo in modo speculativo, non vedendo i rischi solo nella loro accezione estrema, bensì di variabilità di scostamento rispetto all’optimum. Siamo in una situazione di rischio patrimoniale anche quando i mezzi propri sono eccessivi: superiori al livello necessario. Certamente ciò non porta all’insolvenza, e va benissimo alle autorità di vigilanza, ma non va bene alla gestione, perché la proporzione mezzi propri/remunerazione non è ottimale. Avere pochi mezzi propri porta all’insolvenza e questo sarebbe certamente peggio che avere un ROE basso (perché sono presenti troppe equity). Ovviamente la vigilanza si occupa del rischio di insolvenza, mentre il management deve stare attento anche alla bassa redditività dovuta ad un eccesso di mezzi propri.
    • Il rischio finanziario è il rischio di liquidità o di convertibilità dei depositi (ricorda il vincolo di convertibilità). È l’asincronia o lo squilibrio tra flussi finanziari, in entrata ed in uscita, prodotti dalla gestione, che compromettono la capacità della banca di far fronte tempestivamente ed economicamente ai propri impegni di pagamento. È tipico degli intermediari finanziari, ma, nonostante ciò, non viene percepito, grazie alla fiducia della collettività nei confronti delle banche. Da cosa dipende?
    • dal verificarsi degli altri rischi
    • mismatch di scadenza: le passività sono più a breve delle attività.
    • dalla discrezionalità dei comportamenti della clientela (soprattutto nel caso delle banche). Per esempio, per tutti i crediti a vista, l’impatto sulla liquidità dipende dai comportamenti della clientela, che può prelevare molto o utilizzare molto il fido (generando ampi flussi in uscita). Anche i rimborsi anticipati dei mutui generano problemi di liquidità.
    • la fiducia nella politica monetaria: più è forte, minore è il rischio di liquidità per la banca.

Strumenti per fronteggiare il rischio di liquidità:

    • la funzione monetaria
    • riserve di liquidità di 1a (denaro in cassa) o 2a linea (i titoli sono di 2a linea perché non sono immediatamente liquidi)
    • indebitamento
    • alto grado di capitalizzazione: maggiore è l’eccesso delle attività sulle passività minori saranno le tensioni di liquidità.
    • Pianificazione dei flussi finanziari: budget di cassa; la programmazione consente di ridurre la necessità delle riserve.
    • Strumenti di gestione degli altri rischi: riducendo gli altri rischi si riduce anche il rischio di liquidità. Per esempio, la diversificazione, oltre ad essere una politica dei prestiti ed un principio di gestione dell’attività in prestito o in titoli, è anche uno strumento di gestione del rischio di liquidità.

Ora scendiamo di un livello nella classificazione dei rischi e giungiamo ad uno stadio più analitico (il rischio di liquidità può rientrare anche qui). Vediamo ora la 3a classificazione dei rischi:

  • rischio di insolvenza della controparte: è quello tipico dell’intermediario creditizio. Si può definire come l’impatto sugli equilibri e soprattutto sul reddito, conseguente all’insolvenza di chi ha stipulato un contratto con la banca. Un esempio classico è il fallimento.

Il più importante di questi rischi di insolvenza è, naturalmente, il rischio di credito, ovvero il rischio che il debitore (l’impresa) non sia in grado di rimborsare capitale ed interessi maturati. Non è detto che sia un’insolvenza totale. È palese che questo abbia un impatto sulla liquidità. In senso lato, il rischio di credito può essere definito non come rischio di insolvenza, ma come rischio di downgrading, cioè di peggioramento del merito creditizio e del rating. Il rischio c’è anche se non c’è insolvenza. Facciamo un esempio. Se un’impresa ha rimborsato il prestito, ma ha avuto un tracollo di rating, questo fatto verifica un peggioramento della qualità creditizia, perché prima si era fissato un tasso, e, successivamente, al peggiorare della situazione, il tasso è rimasto invariato. Il rischio di credito ha 2 componenti:

      • Rischio di prima linea: rischio di insolvenza o fallimento. Dipende esclusivamente dalla qualità di credito del debitore e dalla sua capacità di reddito e prescinde dalle forme tecniche e dalle condizioni contrattuali.
      • Rischio di seconda linea: probabilità che, una volta saltata l’impresa, non si recuperi il prestito. Dipende dalla garanzia (es.: ipoteca): dalle forme tecniche e dai diritti accessori. Dipendendo anche dalla garanzia, il rischio può essere diverso anche a parità di capacità di reddito.

Una volta definite queste due linee, va da sé che la gestione deve essere oculata nella differenziazione, in modo ottimizzante: il trade-off deve essere optimum. Sarà necessario chiedere garanzie forti con forti rischi di default. Bisognerà abbassare il secondo argine quando il primo è alto. A parità di qualità del debitore, sarà necessario alzare il secondo argine se l’economia è in espansione (e viceversa). Questo mette in forte discussione le politiche indiscriminatamente garantiste delle banche: è errato chiedere sempre e comunque una garanzia alta. Questa è una grave critica rivolta alle banche italiane. In un mercato concorrenziale l’eccesso di garanzia fa perdere clienti: ciò genera rischio competitivo.
Ultima considerazione sul rischio creditizio: l’importanza del capitale nelle logiche di risk management.
Il rischio creditizio, in realtà, non è dato dalla perdita attesa (cioè dal prodotto delle AD x PD x LGD). Come anticipato, il rischio è la differenza tra valore conseguito ed atteso. Questo implica che la migliore stima del costo del rischio è la expected loss (perdita media attesa), che va considerata quale costo (come se fosse certa). La si copre alzando il tasso di interesse: i ricavi devono coprire il rischio! Il tasso di interesse deve essere alzato di una quota definita “premio per il rischio (va accantonato anche se il rischio non si manifesta, non è un utile!).

 

La struttura temporale dei tassi
In realtà non esiste un solo tasso di interesse, soprattutto di mercato. Si introduce, quindi, la complessità dovuta alla struttura temporale dei tassi (ed alla qualità dell’emittente ed al suo rating). Depuriamo il tasso di riferimento dal fattore rischio (prendendo a benchmark i titoli di Stato, privi di rischio). Se si vuole studiare l’andamento dei tassi e la loro molteplicità (depurata dal rischio creditizio), si deve capire se esiste un solo tasso o più d’uno. Ma noi tutti sappiamo che i tassi sui BOT e sui CTZ e CCT non sono gli stessi, quindi deve sussistere un’altra causa. La prevalente è la scadenza o durata. Allora si parla di struttura temporale dei tassi: cerchiamo di capire come e perché variano i tassi in funzione della durata. (NB) Esistono teorie che spiegano la struttura temporale dei tassi e la curva temporale dei tassi (Vedi anche “la curva dei rendimenti” sugli appunti di macroeconomia.) per provare a prevedere i tassi di interesse futuri:

    • la prima teoria è quella delle aspettative. Se ipotizzo un titolo ad un anno con un rendimento certo del 10%, quale sarà il rendimento del titolo a 2 anni (che è l’orizzonte temporale di investimento)? Se i titoli a 2 anni rendono il 15%, ho due alternative: compro un titolo a 2 anni e ogni anno ho il 15% o compro un titolo ad un anno che mi dà il 10% e poi compro un altro titolo ad un anno che mi dà un rendimento attualmente ignoto. Dipende dalle aspettative: se io prevedo che l’anno prossimo i titoli ad un anno andranno al 40%, comprerò quello ad un anno e l’anno dopo comprerò quello al 40%. Sono in posizione di indifferenza se il tasso tra il 1° anno e il 2° è intorno alla media: guadagnare 10 adesso e 20 l’anno prossimo è come guadagnare 15% per 2 anni. Il tasso di equilibrio sui titoli a lunga è una media dei tassi a breve, quello corrente e quelli futuri attesi.
    • La teoria della preferenza per la liquidità: non è vero che sia la stessa cosa investire per 2 anni al 15% oppure il 1° a 10 e il 2° a 20: i titoli a 2 anni al 15% non li comprerebbe nessuno; la possibilità di uscire prima dall’investimento è un valore definito “compenso per la rinuncia alla liquidità”.
    • Teoria della Segmentazione e dell’habitat preferito: ogni operatore ha preferenze diverse.

Distribuzione temporale dei flussi di cassa

  • Componenti di reddito certe:
    • Cedole periodiche (trattiamo le fisse)
    • Scarto di emissione (differenza tra P di acquisto e valore di rimborso)
  • Componenti di reddito aleatorie (è evidente che il rischio sia collegato alle componenti aleatorie):
    • Guadagno o perdita in conto capitale
    • Frutti del reinvestimento delle cedole

La liquidità
La liquidità di un titolo, come quella di qualunque altro asset, è definibile come l’attitudine del titolo ad essere convertito in contante in modo tempestivo ed economico. Si divide in liquidità:

  • naturale: flussi di cassa pagati dal titolo; è una caratteristica contrattuale e prevista da cedole e rimborsi di capitale. Si forma in via prestabilita ed automatica, in conseguenza del contratto. In questo senso, naturalmente, un contratto di breve scadenza ha una liquidità maggiore rispetto ad uno di lunga scadenza, perché il rimborso arriva prima. A parità di scadenza, un titolo che paga cedole ha una liquidità maggiore di uno zero coupon, che non paga cedole.
  • artificiale: sono i flussi di liquidità generati artificialmente per iniziativa dell’investitore. Consistono fondamentalmente nella vendita del titolo, oppure nella stanziabilità (possibilità di cessione in pegno) o nel pronti contro termine (vendita e successivo riacquisto). Dipende anche da condizioni esterne al singolo titolo:
    • l’efficienza dei mercati: se non c’è un buon mercato secondario la liquidità è inferiore;
    • le situazioni congiunturali, quali una politica monetaria restrittiva o espansiva;
    • la stanziabilità, cioè la presenza di qualcuno che accetti il titolo. (I titoli di Stato sono liquidissimi).

Lezione di Giovedì 12/05/05
Riprendiamo la definizione di rischio, come differenza tra il rendimento ritratto dall’investimento nel titolo (ex post o effettivo) ed il rendimento atteso (ex ante o sperato). Il rendimento ex post potrebbe anche essere superiore al rendimento ex ante, quindi il rischio si può manifestare anche in senso positivo, come avevamo già visto.
Il rischio è la variabilità complessiva, qualunque sia la causa di tale variabilità, e, in questo senso, potrebbe essere inteso come lo scarto quadratico medio (SQM o volatilità), cioè la misura di dispersione dei valori attorno alla media.
Il problema che ci poniamo è la stima del rischio ex ante, per calcolarlo nel momento dell’acquisto di un titolo.
Una possibilità è prendere il rendimento storico di quel titolo o di titoli simili ed analizzarne la volatilità storica.
Il rischio complessivo si divide in:

  • rischio specifico: per circostanze relative al singolo emittente. Il rischio creditizio o specifico si può eliminare, senza la necessità di tecniche per analizzarlo o gestirlo, semplicemente diversificando molto il portafoglio.
  • rischio generico o di mercato: è il fattore esogeno generalizzato, espresso dalla variazione del tasso di interesse.  Non si può eliminare (si può solo coprire parzialmente coi derivati).

Parleremo della duration come indicatore di rischio, così come il TRES è un indicatore di rendimento. I due rischi sono molto differenti: hanno andamenti diversi e rispondono a fattori causali distinti. In realtà, il rischio specifico si studia con le tecniche del rischio di credito, perché è prevalentemente rischio di default o di downgrading. Queste sono le ragioni per cui ora ci mettiamo nell’ottica del singolo investitore.
Le componenti del rischio di mercato sono, fondamentalmente, 2:

  • rischio di prezzo: ∆P = variazione del Prezzo
  • rischio di re-investimento delle cedole: ∆REI: se i tassi di interesse di mercato cambiano, le cedole saranno reinvestite con tassi diversi da quelli attesi nel momento della decisione di investimento.

Se riesco a compensare le due forze, riesco ad eliminare il rischio, in gergo si dice “immunizzare” il titolo. Il 96% degli operatori bancari pensa di essere a rischio se i tassi salgono (quindi il P scende). Questo non è sempre vero, perché c’è anche l’effetto del re-investimento. I più sprovveduti pensano che, comprando il titolo indicizzato, il rischio diventi 0, ma esso massimizza il rischio di re-investimento!


Ora concentriamoci sul rischio Prezzo: la componente di rischio più visibile e “temuta”. Dipende, innanzitutto, dagli shock di tasso (variazione dei tassi): il capital gain è legato alle variazioni dei tassi: un rialzo dei tassi produce una caduta delle quotazioni dei titoli a cedola fissa, e viceversa: C0 = x = Ct/(1+it). Esempio:


Tasso di mercato

Cedola

Prezzo

Valore rimborso

10%

10

100

100

20%

10

91,6

100

A parità di variazione dei tassi di mercato, l’impatto sul prezzo del titolo, o intensità, dipende da 3 fattori causali:

    • Durata del titolo: è necessario attualizzare i titoli, scontandoli per la loro durata, per confrontarli; la legge della preferenza per la liquidità fa scendere i prezzi dei titoli a durata più lunga.
    • Direzione delle variazioni: quando i tassi salgono il prezzo scende e viceversa. Notiamo che la variazione di prezzo conseguente ad un’uguale variazione di tasso non è simmetrica, ma gioca a favore dell’investitore.

Il guadagno è % maggiore della perdita (questo è dimostrato matematicamente). A fronte di pari variazioni in ribasso dei tassi, l’aumento dei prezzi è proporzionalmente maggiore, e, a fronte di pari aumenti della variazioni in rialzo dei tassi, la variazione è sempre minore. Dal punto di vista matematico la relazione tra prezzo e rendimento è una curva convessa: la proprietà è detta “convexity ed è in funzione della distribuzione delle cedole, esprimibile per ogni titolo.

 

Fonte: http://davidebenza.altervista.org/triennale/Economia_degli_intermediari_finanziari.zip

Sito web da visitare: http://davidebenza.altervista.org/

Autore del testo: Davide Benza

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