La circolazione di merci, servizi e capitali

 

 

 

La circolazione di merci, servizi e capitali

 

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La circolazione di merci, servizi e capitali

1. Teorie e metodi nell’analisi della mobilità spaziale di beni, persone e informazione
Quando l’analisi geografica riguarda l’organizzazione territoriale nel suo complesso i campi tematici attraverso cui la ricerca si snoda andrebbero ordinati secondo questa sequenza: movimenti, reti, nodi, gerarchie, superfici. Se però l’oggetto particolare di studio è la mobilità, intesa come circolazione di beni, persone e informazioni, i campi tematici da affrontare dovrebbero seguire la seguente successione: flussi, itinerari, reti di itinerari, nodi, gerarchie di nodi, aree di gravitazione, in quanto, come sostengono Taaffe e Gauthier, in quest’ambito di studio il geografo dovrebbe analizzare: i collegamenti e i flussi accolti nella rete di comunicazione; i centri e i nodi collegati attraverso la rete; l’insieme delle aree di gravitazione e delle relazioni gerarchiche associate alla rete. Sorge a questo punto il problema della scala dimensionale a cui far riferimento ogniqualvolta si debbano condurre ricerche sulla circolazione di beni, persone e informazione. In linea generale se ne individuano tre: quella intra-urbana, quella inter-urbana o regionale, quella interregionale. Rientrano così nel primo ambito i numerosissimi studi aventi per oggetto il fenomeno della circolazione in rapporto all’organizzazione della città, quasi sempre supportati da strumenti cartografici la cui scala oscilla generalmente tra 1:2000 e 1:10000. Nel secondo gruppo rientrano invece le analisi rivolte alle relazioni esistenti tra i centri abitati che compongono una certa regione, spesso sostenute da elaborazioni cartografiche realizzate ad una scala compresa tra 1:50000 e 1:500000 . Le ricerche rientranti nell’ultima categoria fanno infine riferimento a reti molto estese, attraverso le quali si esprimono rapporti di complementarietà e di competizione fra le varie regioni. Sempre in tema di “interazione spaziale” Sergio Conti afferma che la distanza è la variabile indipendente nella costruzione di una scienza delle relazioni spaziali; non si tratta tuttavia della distanza puramente fisica di uno spazio, ma di un concetto ben più complesso misurabile in termini di costo, tempo, opportunità e interazione sociale. Infatti l’interazione spaziale costituisce il modo più semplice di concettualizzare le relazioni che si instaurano fra località diverse, nel senso che la mancata disponibilità di un prodotto che si intende acquistare, obbligherà a spostarsi per appropriarsene; e così, la presenza di due o più località specializzate e tra loro integrate nella produzione di un determinato bene, costituirà la condizione di base per stabilire un’interazione biunivoca fra di esse. Si giunge allora al concetto di distanza funzionale, al posto del più banale concetto di distanza fisica, ogniqualvolta la relazione che si instaura fra località diverse non è lineare come nell’accezione di distanza fisica, bensì relativa alle funzioni che queste svolgono. Infine, se un’elevata intensità di interazioni costituisce un obiettivo essenziale per il buon funzionamento di un sistema economico, il significato di distanza non è separabile dall’esigenza di ridurre il costo dei flussi di beni, servizi e persone: ne deriva pertanto che la massimizzazione delle interazioni e la contestuale minimizzazione del loro costo totale, costituiscono gli obiettivi che il sistema formato dai diversi luoghi posti sullo spazio terrestre dovrebbe perseguire.Sulla base dei diversi concetti di distanza, si possono rappresentare le diverse alternative nello spazio, supponendo che quest’ultimo sia percorso da linee derivanti dall’unione di punti indicanti la stessa distanza fisica (ne sono esempi le linee isometriche pure, che danno origine ad un cerchio dove il raggio indica la distanza lineare, oppure le linee isochilometriche, isoferrometriche, isoidrometriche, indicanti le stesse distanze stradali, ferroviarie, idroviarie) oppure la stessa distanza espressa in termini di uguale costo di trasporto a seconda delle diverse forme di trasporto presenti sul territorio (linee isocosto), oppure ancora lo stesso tempo di trasferimento nello spazio (linee isocrone). All’aumentare della distanza queste linee tendono ad allontanarsi dal punto dato.Anche la velocità, intesa come distanza percorsa in una determinata unità di tempo, può dare origine a svariate configurazioni. Si parla infatti di velocità reale quando si fa riferimento all’effettiva distanza coperta da un mezzo di comunicazione in una convenzionale unità di tempo: essa registra quindi valori che saranno massimi durante la marcia del mezzo, minimi durante le fasi di avvio e di rallentamento e nulli durante le fermate. La velocità commerciale, detta anche velocità utile, è costituita dal rapporto fra la lunghezza del viaggio e il tempo impiegato a coprirla: indica pertanto una velocità media lorda, in quanto comprende le fermate, le soste, i rallentamenti e le riprese. Infine la velocità media di marcia corrisponde sempre al rapporto  fra la lunghezza del viaggio e il tempo impiegato a coprirla escludendo però le soste. La velocità costituisce uno dei connotati essenziali per la differenziazione del servizio offerto dai diversi modi di trasporto; è comunque da osservare che non sempre per l’utente il fattore velocità assume un’importanza determinante nella scelta del mezzo di trasporto: infatti, se tale fattore può essere determinante nel trasferimento di informazioni e nel trasporto di persone, può esserlo in misura minore nel caso di trasporti di merci, dove il fattore velocità assume rilevanza solo per il trasporto di merci deperibili, oppure di merci di alto valore unitario. Sia che si tratti di movimenti di beni, servizi e informazioni, oppure di spostamenti di persone, il modo più consueto di introdurre i processi di interazione spaziale è quello di ricorrere alla sistemazione proposta da Ullman e basata sull’esistenza di tre condizioni (complementarietà, trasferibilità e opportunità) ritenute come presupposti necessari per il verificarsi dell’interazione. La complementarietà  è la condizione per cui, se la domanda di un determinato bene, servizio o informazione non può essere soddisfatta localmente ci si rivolge ad altre località in grado di disporne, le quali risultano quindi complementari alla prima. Queste ultime, a loro volta importerebbero dalla prima quei beni, servizi o informazioni che non riescono a produrre direttamente. La  trasferibilità si realizza nel caso in cui i costi di trasferimento ripagano l’utilità espressa in termini economici. L’opportunità dell’interazione è infine riferita a quei fattori di vantaggio che possono incentivare il trasferimento di beni, persone, servizi e informazione da un luogo all’altro, scelti fra diverse alternative virtualmente complementari.L’analisi della circolazione spaziale dei beni, anche se limitatamente al rapporto città – campagna e ad un sistema chiuso, ha forse il suo più remoto precursore nella figura di von Thunen. La sua opera Lo Stato Isolato propone un modello della differenziazione dell’uso del territorio periurbano dove la città, se da un lato fornisce beni e risorse all’intorno, dall’altro vi preleva le risorse. In tale contesto la misura del valore dei beni scambiati in città è determinata dal prezzo che essi assumono nella città stessa; tuttavia, al processo di formazione del prezzo concorre la spesa del trasporto che a sua volta viene fatta dipendere dalla distanza esistente tra il luogo di produzione dei beni e il centro. In sostanza la variabile indipendente del modello è costituita dalla distanza. Secondo von Thunen in uno spazio fisicamente uniforme, la rendita di posizione è definita da: R = q (p-c) – qtd , dove R indica la rendita monetaria dell’unità di superficie in un determinato punto; q indica il rendimento della stessa unità di superficie; p indica il prezzo di mercato per unità di prodotto; c indica il costo unitario di produzione; t indica il costo di trasporto riferito ad ogni unità; d indica la distanza del punto considerato rispetto alla città mercato. Dal modello scaturisce una mobilità spaziale di beni agricoli dalla periferia verso il centro, con flussi via via più robusti e più variegati nella stessa direzione: infatti, mentre la corona circolare più esterna sarà interessata soltanto dal movimento del bene coltivato in quella zona, nella corona intermedia transiteranno due beni e in quella più centrale tre beni.A partire dalla seconda metà degli anni ’60 il modello di von Thunen è servito ad ispirare l’impostazione dei cosiddetti modelli globali concentrici di utilizzazione del suolo urbano, che trovano la loro giustificazione nell’ipotizzare che la domanda del suolo urbano tende a decrescere man mano che ci si allontana dal centro verso la periferia. La teorizzazione  sulla mobilità spaziale dei beni è giunta a risultati significativi nel 1909, anno in cui Alfred Weber ha pubblicato il suo saggio sulla localizzazione industriale, costruzione teorica in cui il luogo ottimale di ubicazione dell’impresa industriale viene a coincidere con il luogo in cui si riesce a minimizzare il costo totale trasportazionale (ossia la somma dei costi di trasporto per trasferire le materie prime dai luoghi di approvvigionamento al luogo di trasformazione e dei costi di trasporto per il collocamento dei prodotti finiti sul mercato di sbocco). Sul piano della distribuzione delle risorse, secondo il modello weberiano, lo spazio può presentare materie prime ubicate (ad esempio le risorse minerarie), oppure materie prime ubiquitarie (ad esempio l’acqua, le pietre, la sabbia) oppure in parte ubicate e in parte ubiquitarie: tali materie possono essere inoltre perdenti peso (se il loro peso si ritrova solo parzialmente nel prodotto finito) e nette (se il loro peso entra invece interamente nel peso del prodotto). Nella sua formulazione più semplice il modello weberiano considera un solo luogo di approvvigionamento delle fonti ed un solo luogo di consumo. Sulla base di questa ipotesi possono valere i seguenti casi:

  • se l’impresa industriale impiega nel processo produttivo solo materie prime ubiquitarie (ossia distribuite uniformemente nello spazio e quindi tali da poter esser usate dall’impresa senza che essa debba accollarsi alcun onere per il trasporto), allora l’ubicazione più conveniente è quella più vicina possibile al mercato di consumo, in quanto l’impresa industriale sopporta solo i costi di trasporto del prodotto da destinare al consumo finale;
  • se l’impresa industriale impiega nel processo produttivo solo materiali puri (ossia tali da partecipare interamente al peso del prodotto) ed ubicati (ossia disponibili solo in alcuni luoghi dello spazio considerato) allora la scelta del luogo di insediamento dell’impresa risulta indifferente in uno qualunque dei punti compresi sul segmento di retta che congiunge il luogo di approvvigionamento al luogo di consumo del prodotto finito;
  • se infine l’impresa utilizza materie prime pure, ma in parte ubicate e in parte ubiquitarie, poiché il costo di trasporto di queste ultime risulta nullo in ogni punto, il costo di trasporto delle materie tende ad aumentare in maniera meno che proporzionale all’aumentare della distanza dal luogo di approvvigionamento delle fonti al mercato di consumo del prodotto finito. In termini di mobilità, venendo il luogo ottimale a coincidere con il mercato di consumo, si ha una mobilità nulla per il prodotto finito ed una mobilità massima per le materie prime.

In una successiva fase di elaborazione del modello, Weber passa da due a tre luoghi, distinguendo un luogo di approvvigionamento di   materie prime, un luogo di approvvigionamento di energia e un luogo di sbocco dei prodotti finiti. Volendo stabilire il luogo ottimale in cui insediare l’impresa, si deve ancora individuare il punto di minimo costo totale trasportazionale, ma in questa fase attraverso la costruzione geometrica del triangolo localizzatore. Il luogo ottimale verrà ad ubicarsi all’interno del triangolo e più esattamente:

  • nel baricentro geometrico se il costo del trasporto delle materie prime risulta equivalente al costo di trasporto della fonte di energia e a loro volta ognuno di essi risulta equivalente al costo di trasporto del prodotto; e tutto ciò se e solo se le materie prime non registrano alcuna perdita del loro peso durante il processo di trasformazione;
  • in un punto diverso dal baricentro geometrico, ma tendente ad avvicinarsi ai luoghi di approvvigionamento, nel caso in cui il peso delle materie prime risulti maggiore di quello dei prodotti finiti;
  • in un punto diverso dal baricentro geometrico ma tendente ad avvicinarsi al mercato di sbocco nel caso in cui il ciclo produttivo dovesse addirittura aggiungere peso alle materie prime impiegate nel processo.

Qualora il baricentro localizzativo non dovesse coincidere con quello geometrico, per la sua determinazione risulta necessario il ricorso alla costruzione di un triangolo sussidiario, il cosiddetto triangolo dei pesi, con lati proporzionali ai pesi delle tre componenti (materie prime, fonte di energia, prodotto finito) del modello e angoli supplementari dei tre angoli al centro del triangolo localizzatore. Se poi i luoghi di approvvigionamento delle materie aumentassero a tre, si dovrebbe allora ricorrere ad un poligono localizzatore, il cui baricentro localizzativo potrà essere determinato, oltre che sulla base di un preliminare poligono dei pesi anche con un metodo basato sull’uso del modello meccanico di Varignon, dove la forza di attrazione di ogni vertice e le distanze sono simulate da pesi e da cavi che scorrono su pulegge; ne deriva allora che il punto in  cui la giunzione dei cavi resta in equilibrio rappresenta sicuramente il punto di ubicazione ottimale.
Se finora la costruzione della teoria weberiana è stata condotta facendo riferimento ad un modello economico per punti, in una successiva fase di perfezionamento si suppone che l’ubicazione ottimale dell’impresa industriale non coincida con un punto, bensì con alcuni intorni o meglio ancora con aree. A tal riguardo Weber ricorre all’uso delle isòtime, che risultano linee perfettamente circolari e congiungenti i punti di ugual costo di trasporto da o verso ognuno dei punti considerati: esse però, se da un lato variano in maniera direttamente proporzionale al variare della distanza, dall’altro possono variare anche in rapporto al peso della materia o del prodotto trasportato.
Nel 1933 un altro passo viene compiuto con la teoria delle località centrali avanzata dal geografo-economista Christaller per spiegare, sulla base della consueta variabile, la distanza, i meccanismi di ramificazione dei centri abitati collegati in reti e specializzati nella produzione e nell'offerta di servizi di diverso rango. Il ragionamento di Christaller si avvia con l'esame di un solo bene o servizio centrale (ossia non banale), il cui prezzo viene messo in relazione, oltre che con la quantità domandata, anche con la distanza che intercorre tra il luogo in cui è ubicato il produttore e il luogo in cui risiede il consumatore finale. Più esattamente la variabile prezzo viene intesa come “prezzo effettivo al consumatore”, nel senso cioè di prezzo di mercato aumentato dell'eventuale costo di trasporto che il consumatore deve sostenere per accedere al punto di offerta. In considerazione di queste premesse, possono valere i seguenti assiomi:

  • i costi di trasporto per accedere al servizio sono sopportati dal consumatore, sono indipendenti dalla direzione e sono proporzionali alla distanza;
  • per ogni bene o servizio si stabilisce un prezzo sul mercato (ossia vale il regime di concorrenza perfetta).

Sulla base delle suddette premesse può essere formulato il seguente teorema: quanto più il consumatore vive distante dal luogo di offerta, tanto maggiore è il prezzo effettivo che egli paga. Tale enunciato può tuttavia essere esposto anche nella maniera seguente: il prezzo effettivo pagato dal consumatore è direttamente proporzionale alla distanza tra il luogo di residenza del consumatore e quello dell'offerente. Vale pertanto una funzione del tipo: pe = pm + kt , che sta ad indicare una relazione di tipo lineare (retta crescente) tra prezzo effettivo, prezzo di mercato, distanza e costo unitario di trasporto. Più in particolare, il prezzo effettivo costituisce la variabile dipendente, la distanza k rappresenta la variabile indipendente, mentre il prezzo di mercato e il costo unitario di trasporto sono costanti o parametri. Poiché sulla base della notissima legge microeconomica si conosce che all'aumentare del prezzo la quantità domandata dal consumatore tende a diminuire, può allora valere anche il seguente altro enunciato: per ogni consumatore, la quantità domandata decresce all'aumentare della distanza dal punto di offerta. L'area teorica di domanda di un bene o di un servizio centrale verrà a coincidere con un cerchio, che costituisce il limite di un cono di domanda, derivante dalla rotazione per 360° della curva di domanda. L'offerta di un bene o di un servizio centrale potrà pertanto essere ubicata in corrispondenza della località centrale (situata al centro della base del cono) se e solo se il volume della domanda risulta almeno uguale alla soglia di quel bene o servizio (quantità minima da produrre o commerciare, al di sotto della quale il produttore o l'esercente registra una perdita): in altre parole, ciò equivale ad affermare che la portata (ossia la quantità massima di beni o servizi che l'area di mercato è in grado di assorbire) deve essere tale da soddisfare almeno la soglia. Inoltre, poiché il modello parte dall'assunto che tutti i consumatori residenti nello spazio devono essere serviti, lo spazio deve risultare occupato da coni di domanda i cui cerchi di base (regioni complementari) dovranno necessariamente sovrapporsi. Comunque, sotto l'assunzione che i consumatori si rivolgono al più vicino luogo centrale, a causa dell'aver considerato la distanza come unica variabile del prezzo effettivo del bene o servizio, le aree di sovrapposizione risulteranno divise in due parti da segmenti che vengono a trasformare i cerchi in esagoni. In definitiva, nelle condizioni di concorrenza postulate, i luoghi centrali offriranno beni centrali identici, a prezzi identici, a regioni complementari esagonali di ampiezza altrettanto identica. Tale disposizione è infatti l'unica capace di assicurare che sia resa minima la somma degli spostamenti dei consumatori verso le località centrali. Qualora facendo riferimento a più beni o servizi offerti contemporaneamente si volesse ottimizzare il mercato (principio di mercato), tali beni o servizi dovranno essere offerti in un punto il più vicino possibile ai luoghi della domanda. Si devono allora distinguere i beni e i servizi in base alla soglia richiesta, stabilendo ad esempio che il primo bene o servizio analizzato sia di ordine più elevato del secondo, il secondo del terzo, e così via. In altre parole, il centro che offre il bene o servizio ordinato come (n) offrirà anche tutti i beni e servizi ordinati come (n – 1), (n – 2), (n – 3), … , [n – ( n – 1)].  Fatta questa premessa, volendo decentrare l'offerta dei beni e servizi di rango inferiore in modo da rispettare l’equidistribuzione spaziale dei centri stessi, il centro di rango (n – 1) si localizzerà esattamente in corrispondenza del baricentro di un triangolo avente come vertici i tre centri del precedente reticolo di ordine superiore (nel nostro esempio pari a “n”). Ne deriva pertanto che il nuovo centro di rango (n – 1) viene a spartire i suoi beni e servizi di rango (n – 1) in un'area appartenente a tre regioni di rango (n), offrendo cioè 1/3 dei suoi beni e servizi di rango (n – 1) ad ognuna di esse. Infine, se per ogni località centrale di rango (n - 1) si costruisce la corrispondente area di mercato di rango (n – 1), si osserva che per ogni area di mercato di rango (n) vi sono tre aree di mercato di rango (n – 1). Seguendo il principio di mercato, la ramificazione delle località centrali, opportunamente classificate dal rango superiore a quello inferiore avverrebbe secondo una successione, dove al 1° rango corrisponderebbe una sola località centrale, al 2° rango 2 località centrali, al 3° rango 6 località centrali, al 4° rango 18 località centrali e così via in progressione geometrica di ragione 3. Anche il numero delle aree di mercato si ramificherebbe al variare del rango, secondo una successione di tipo 1, 3, 9, 27, 81, … , in progressione costantemente perfetta, la cui ragione rappresenta il coefficiente di ramificazione K=3.Per concludere, la teoria christalleriana in verità viene a sottintendere anche svariate forme di mobilità spaziale riguardanti beni, servizi e persone, in quanto i centri e le aree di rango via via più elevato continuano a mantenere una sorta di esclusiva nell'offerta di alcuni beni e servizi, che quelle di livello inferiore non sono in grado di produrre: tale condizione obbliga pertanto le famiglie e le imprese appartenenti a località ed aree di rango inferiore a doversi spostare verso quelle di livello superiore, o comunque a dipenderne, sostenendo costi di trasporto aggiuntivi per ottenere in loco tali beni e servizi prodotti altrove.A titolo di semplificazione in tutti i modelli esaminati finora i costi di trasporto sono stati ipotizzati proporzionali alla distanza. Nella realtà, invece, evidenziano una componente fissa di carico (OT) e di scarico (VZ), nonché la tendenza a crescere in maniera men che proporzionale all'aumentare della distanza. In linea del tutto generale si può comunque supporre che il costo di trasferimento dei beni e delle persone sia minimo per i trasporti su strada nel caso di brevi distanze, per i trasporti su ferrovia nel caso di medie distanze, per i trasporti a mezzo vie d'acqua nel caso di lunghe distanze. Inoltre, se finora le curve indicanti l’andamento dei costi di trasporto sono state ipotizzate come continue, nella realtà essi assumono un andamento a gradinata, a causa del sistema tariffario, che spesso prevede scaglioni fissi per determinate classi di distanze. Nello studio dell’andamento delle suddette curve andrebbero poi considerati a parte quei casi in cui si verificano rotture di carico, ossia interruzioni dovute al cambiamento della modalità di trasporto che a loro volta fanno sorgere ulteriori costi fissi. La presenza di rotture di carico in determinati punti intermedi del tragitto da percorrere favorisce poi la localizzazione di particolari strutture (porti, autoporti, centri doganali) destinate a ridurre i tempi e ad agevolare le operazioni di trasferimento dei beni  o delle persone da un mezzo di trasporto ad un altro.Volendo ora considerare la logica della localizzazione delle reti viarie e delle linee di comunicazione, può essere utile cogliere le differenti fasi del ciclo di sviluppo delle reti ferroviarie. A tal riguardo secondo Cox tale processo evolutivo si sarebbe manifestato attraverso quattro momenti successivi: connessione localizzata, integrazione, intensificazione, selezione. Il processo di costruzione delle ferrovie, durante la prima fase (connessione localizzata) sarebbe caratterizzato dalla prevalenza di tratti brevi, di segmenti isolati, e tutto ciò soprattutto quando i capitali impiegati sono offerti da privati. Con l’avvio della successiva fase di integrazione si osserva la costruzione di linee destinate ad allacciare reti fino ad allora isolate, oppure destinate a sostituire i canali navigabili. Se la fase di intensificazione risulta caratterizzata da un processo tendente a trasformare la rete, fino a quel momento ramificata, in rete a circuito completo e corredata anche di linee locali secondarie, durante la fase di selezione si assiste invece al progressivo abbandono di molte ramificazioni secondarie e quindi ad un riassetto tendente a privilegiare i circuiti. Si osserva inoltre che le località già sviluppate sono anche quelle destinate a godere maggiormente dei benefici dell’innovazione: in tali centri i livelli di interazione tenderanno ad evolversi ulteriormente. A questo riguardo può essere richiamato il modello di Taaffe e Gound, secondo il quale attraverso il potenziarsi delle reti, certe vie di comunicazione si sviluppano più di altre. Si possono così individuare sei fasi: anzitutto si assiste al sorgere di una serie di piccoli porti costieri reciprocamente collegati; in un secondo momento due strade principali allacciano i due scali con l’entroterra; si sviluppano altri piccoli centri ubicati lungo le linee di allacciamento; durante la fase quattro si osserva il rafforzarsi del vantaggio competitivo dei due porti principali e dei centri interni, tanto da arrivare nelle ultime due fasi ad una interconnessione sempre più intensa.La forma localizzativa di una qualunque via di comunicazione è comunque da mettere in relazione con i costi fissi di costruzione e con quelli variabili di movimento: non a caso le strade e le ferrovie non seguono sempre il percorso più breve. Perciò i mezzi per i quali il rapporto costi fissi - costi variabili è alto tendono a privilegiare le vie  che minimizzano i costi fissi, mentre i mezzi per i quali il rapporto è basso tendono ad orientarsi verso la minimizzazione dei costi variabili. In altre parole la deviazione sarà tanto maggiore quanto maggiore risulta l’incidenza dei costi fissi. Inoltre, qualora si dovesse scegliere tra la costruzione di una rete viaria ramificata ed una a forma di circuito, se da un lato la prima consente di minimizzare i costi fissi di costruzione (in quanto si riduce la lunghezza totale della rete ), la seconda permette invece di rendere minimi i costi di movimento (poiché le località risultano collegate in via diretta). Queste osservazioni mettono in luce che la scelta tra una configurazione e l’altra dipende dal rapporto tra costi fissi e costi variabili. Infine, qualora nella costruzione di una rete viaria si dovesse tenere conto non solo del fattore economico, ma anche di quello politico, la scelta fra più vie alternative potrebbe anche non coincidere con la logica di ragionamento adottata finora.Lo spazio geografico è stato in buona parte modellato per effetto delle vie di comunicazione, che rappresentano contestualmente la causa e l’effetto dell’integrazione spaziale. Si può notare che una fabbrica o un’impresa commerciale, pur potendo essere rappresentate su una carta topografica con una simbologia puntiforme, di fatto svolgono la loro attività in modo da influenzare porzioni più ampie dello spazio regionale. Si può così riaffermare che all’aumentare delle capacità economiche di un’unità produttiva aumenta pure la porzione di spazio ove si concretizza la sua influenza, e pertanto con l’aumentare dei flussi di persone, beni e informazioni dovrà anche aumentare il grado di sviluppo dei collegamenti. La struttura topologica più elementare si individua nel concetto di grafo nullo, un insieme costituito da un solo punto privo di spigoli, oppure da più punti ma comunque privi di spigoli. Se consideriamo poi uno spazio al cui interno agiscono soltanto due unità produttive assai lontane tra loro, ma del tutto autosufficienti, ci troviamo allora di fronte a due economie chiuse ed isolate. Il grafo nullo è quindi in grado di riassumere le caratteristiche di autosufficienza e di isolamento che lo ipotizza come luogo geometrico indipendente. Si supponga poi che per un certo motivo a ciascuna delle due unità produttive non convenga più produrre tutti i beni necessari al proprio fabbisogno. In tal caso i responsabili delle due aziende potrebbero accordarsi su una ripartizione degli indirizzi produttivi. Si passa così da una fase economica di auto consumo ad una fase basata sullo scambio, rappresentabile con una seconda struttura topologica, il grafo lineare. Ad uno stadio più evoluto di organizzazione economico – territoriale si perviene ad una struttura più complessa: quella del grafo ad albero, che evidenzia un grafo connesso ma privo di circuiti. Tale struttura è caratterizzata da vari vertici collegati fra loro in modo elementare: quelli posti alla periferia hanno un solo spigolo, quelli all’interno ne hanno almeno due, per cui per passare da un vertice ad un altro dello stesso grado di perifericità è necessario risalire almeno uno spigolo. Pertanto in un grafo ad albero, come nel grafo lineare, sono sempre presenti (n) vertici ed (n-1) spigoli. Così indicando con n il numero dei vertici e con S il numero degli spigoli, può valere la seguente relazione algebrica: S = n - 1 . La struttura del grafo ad albero evidenzia una certa configurazione gerarchica delle comunicazioni: infatti i vertici ubicati alla periferia svolgono soltanto funzioni di dipendenza. Il grafo ad albero sottintende quindi una fase economica evoluta ma non ancora del tutto sviluppata; dal momento che evidenzia l’esistenza di squilibri territoriali, per il contrapporsi di aree forti (situate in corrispondenza della radice) ad aree deboli (situate alla periferia). In altre parole tale struttura topologica simula assai bene un sistema economico-territoriale che, se da un lato appare dominato dalla presenza di un centro produttore, dall’altro risulta anche aggravato da una periferia consumatrice, legata a tale centro da intense ma svantaggiose relazioni biunivoche. La struttura topologica ad albero si presenta altrettanto valida per la rappresentazione grafica dei fenomeni di polarizzazione territoriale, basati su rapporti biunivoci di dominanza e di dipendenza.La forma più progredita di grafo è invece costituita dal cosiddetto grafo a circuiti, corrispondente ad un grafo ad albero dove i vertici periferici sono a loro volta parzialmente o interamente collegati: in quest’ultimo caso il grafo si dice grafo completo e il suo numero massimo di spigoli  può essere indicato con S = ½ n (n-1) . Il numero ciclomatico indica il numero dei circuiti ed è dato da R = S – n + m , dove S e n indicano rispettivamente il numero degli spigoli e il numero dei vertici, mentre m indica il numero dei sub-grafi. Si osserva che all’aumentare del numero dei circuiti aumenta il grado di connettività del grafo. Assai importante è poi il concetto di grafo planare, indicante un grafo i cui spigoli godono della proprietà di incontrarsi soltanto nei vertici del grafo stesso. Qualora questa proprietà non dovesse verificarsi, e cioè gli spigoli venissero ad intersecarsi in punti non coincidenti con i vertici del grafo, si parla allora di grafo non planare, in  quanto gli spigoli non appartengono allo stesso piano. I grafi planari sono rappresentativi di reti di comunicazione senza incroci involontari.L’analisi dei grafi offre numerose informazioni sulla struttura di una rete, ad esempio sul grado di connettività e di accessibilità evidenziato dalla rete, oppure sui flussi che la percorrono. La connettività  può essere misurata attraverso l’impiego del numero ciclomatico. Misurazioni ancor più significative si ottengono però con l’impiego dell’indice gamma (γ) e dell’indice alfa (α). Nel primo caso si mette a rapporto il numero di spigoli esistenti in un grafo planare con il numero massimo di spigoli che lo stesso grafo potrebbe avere. Poiché il numero massimo di spigoli è dato da S (max) = 3 (n-2), ne deriva che γ = S/ [3(n-2)] . Mettendo invece a rapporto il numero ciclomatico con il numero massimo di circuiti possibili R (max) =   ½ n (n-1), ne consegue cheα =(S – n +m) / [1/2 (n-1) (n-2)] . Nel caso invece di grafi planari R (max) sarà pari alla differenza tra il suddetto numero massimo possibile di spigoli e il numero minimo possibile di spigoli S (min) = (n-1) . Ne deriva allora che R (max)=  S (max) – S (min) e che α = (S – n +m) / (2n -5) .L’accessibilità, ossia la raggiungibilità di una rete considerata nel suo insieme, può invece essere analizzata attraverso la costruzione della cosiddetta matrice di accessibilità, ossia una matrice intestata ai vari nodi, sia in riga che in colonna, riferendo le intestazioni delle righe ai nodi di provenienza e le intestazioni delle colonne ai nodi di destinazione. Nel caso di matrice costruita attraverso l’impiego di un linguaggio binario nei punti di intersezione fra ogni linea e ogni colonna si avrà 0 o 1 a seconda che esista o meno un collegamento diretto fra i due nodi. Anche per l’analisi dei flussi interagenti fra i nodi di origine e quelli di destinazione, si può far ricorso alla costruzione di una matrice, ai cui termini vengono però associati i valori assoluti corrispondenti a ciascun flusso. Una simile matrice viene denominata matrice origine /destinazione (O/D). In tal caso i grafi orientati che derivano da tale matrice possono essere individuati attraverso un doppio ordinamento gerarchico.Com’è noto la popolazione dà luogo ad importantissime forme di mobilità, spesso indicate con il termine di migrazioni: tali movimenti, causati da fattori d'ordine economico, culturale, politico ecc., sono a loro volta riconducibili soprattutto ai divari esistenti tra le possibilità di vita offerte dall'area di origine e quelle dell'area di destinazione. A seconda della distanza che intercorre tra queste due aree, si vengono pertanto a distinguere migrazioni di “ breve" o di "lungo" raggio, mentre a seconda che tali spostamenti si manifestino o meno all'interno di uno stesso Stato si distinguono le migrazioni "interne" da quelle "internazionali".Generalmente il fenomeno della mobilità territoriale della popolazione viene misurato attraverso gli spostamenti di residenza, che possono dar luogo a due tipi differenti di rilevazione. Un primo modo consiste nel cosiddetto rilevamento continuo, effettuato mediante i dati anagrafici relativi a iscrizioni e cancellazioni, i cui totali permettono di individuare la consistenza dei flussi in entrata e in uscita. Un secondo modo, assai criticabile, è costituito invece dal cosiddetto rilevamento censuario, effettuato appunto in occasione dei censimenti: con questa tecnica, attraverso il confronto, scheda per scheda, del luogo di nascita con quello di residenza alla data del censimento, è possibile misurare la mobilità avvenuta in epoche passate, senza però riuscire ad individuare i momenti precisi ed eventuali trasferimenti intermedi.Come osserva la Gentileschi, il flusso in entrata relativo a una circoscrizione, ad esempio un comune, viene misurato rapportando il numero degli iscritti, solitamente nell'anno, a 1000 abitanti residenti nel comune (tasso di immigrazione): il flusso in uscita si misura facendo altrettanto con il numero dei cancellati (tasso di emigrazione). La differenza tra i due tassi dà il tasso migratorio, o tasso di immigrazione netta, sempre su 1000 abitanti. Esso esprime il guadagno o la perdita migratoria che si è verificata nel corso dell'anno.La mobilità globale della popolazione, che assume valori sempre positivi, può essere misurata in diverse maniere: in termini assoluti, considerando il totale degli iscritti e dei cancellati, soprattutto ai fini di utili comparazioni spazio-temporali, in termini relativi e cioè come incidenza del totale degli immigrati e dei cancellati su 1000 residenti. La mobilità netta della popolazione, assoluta o relativa si riferisce invece al saldo degli iscritti e cancellati: i valori che ne scaturiscono (positivi o negativi) indicano pertanto se l'area cosiddetta è "forte", ossia è maggiore l'attrazione che esercita verso l'esterno rispetto a quella che subisce, oppure è  "debole", ossia è maggiore l'attrazione che subisce rispetto a quella che esercita. Un altro modo di misurare la mobilità netta M è anche quello di mettere a rapporto lo scarto fra iscritti e cancellati (I – E) con la loro somma (I + E). Vale cioè la seguente relazione:  M = (I – E) / (I + E) che, anche in questo caso, permette di misurare il grado di attrattività o di repulsività di un'area, con valori oscillanti nell'intervallo (-1, 1) e che indicheranno una capacità attrattiva tanto maggiore quanto più tenderanno ad avvicinarsi al valore 1, nonché una repulsività tanto maggiore quanto più tenderanno ad avvicinarsi al valore –1.Considerando la mobilità geografica di persone per cause economiche, va anzitutto osservato che tale fenomeno deriva spesso dall'esistenza di profondi squilibri territoriali nel rapporto "popolazione/risorse", talvolta colmati con il ricorso a migrazioni giornaliere (pendolarismo) o stagionali, e con il ricorso a migrazioni interne a lungo raggio, o addirittura internazionali.Dal lato della domanda di lavoro, il pendolarismo si manifesta con un movimento spaziale  causato dalla ricerca di un maggior benessere. Soprattutto i giovani sentono come costrittivo il luogo di abitazione e tendono ad “inurbarsi” con una frequenza tanto maggiore quanto più i servizi delle strutture culturali e per il tempo libero sono scarse nelle aree rurali e concentrate nelle città. Tendono invece a diventare aree di pendolarismo stabile quelle aree urbanizzate, in cui la pendolarità costituisce una risposta fisiologica alle decisioni di mobilità professionale e residenziale. A tal riguardo, gli studiosi del territorio e del fenomeno urbano hanno avuto modo di osservare che il cosiddetto DUS (daily urban system) è destinato ad ampliarsi nel tempo, sia per effetto dell'aumento di velocità registrato dai trasporti pubblici e privati sia per effetto dei processi di espansione urbana e di specializzazione negli usi dello spazio. Non a caso all'inizio dell'800 i diametri delle città maggiori si limitavano a pochi chilometri, mentre oggi si estendono per molte decine di chilometri. Inoltre, sempre ai nostri giorni, soprattutto per effetto dei collegamenti più veloci fra le città maggiori, si individuano "conurbazioni" o anche "megalopoli", dove i centri sono occupati dalle attività terziarie e immersi in un complesso tessuto "rururbano" a forte intensità di traffico, che spinge ad un continuo rafforzamento della rete di comunicazione e ad ulteriori espansioni della domanda di mobilità.Strettamente connesso al fenomeno del pendolarismo è quello della mobilità urbana ed extraurbana, la cui domanda viene determinata principalmente dall'andamento e dalla distribuzione della popolazione, dei redditi e delle attività produttive, nonché dal grado di efficienza delle vie di comunicazione, dal loro costo di utilizzo, dagli stili di vita, ecc. Ad esempio, con riferimento al fattore demografico, il ridimensionamento e l'invecchiamento della popolazione sembrerebbero condurre verso una minor domanda di mobilità ed un maggiore utilizzo del mezzo pubblico. Al contrario, il contrarsi della consistenza numerica di appartenenti ai nuclei famigliari e il sempre più diffuso status di single possono considerarsi come fattori tendenti a favorire una più elevata domanda di mobilità, soprattutto verso il mezzo privato. Considerando poi il fattore reddito, i parametri a cui fare riferimento possono essere costituiti da reddito pro-capite e dalla propensione a spendere per i trasporti, per cui, se la prospettiva è quella di un incremento del reddito pro-capite, l'effetto dovrebbe essere quello di un aumento della domanda di mobilità, orientata però verso il mezzo privato.L’analisi dei fattori che influenzano la domanda di mobilità è utile per la definizione di efficaci politiche dell’offerta di trasporto. E poiché la prospettiva è quella di un ulteriore sviluppo della domanda di mobilità, si pone allora il problema dell'orientamento di tale domanda verso modalità e tecnologie, da un lato capaci di disincentivare l'uso dei mezzi privati, senza dubbio i più inquinanti, e dall'altro in grado di rendere più appetibile il ricorso a quelli di uso collettivo. A tale proposito, va sottolineato che spesso le reti infrastrutturali dei trasporti su rotaia e su strada, risultano caratterizzate, soprattutto in termini di funzionalità e di potenzialità, da forti squilibri quasi sempre derivanti da scelte fatte in passato.In certi casi gli squilibri esistenti nel rapporto "popolazione-risorse" possono dar luogo, soprattutto in determinati ambienti rurali, al cosiddetto seminomadismo pastorale, in connessione con il calendario agricolo e con la possibilità di utilizzare zone pascolive  a diversa latitudine. Si tratta comunque di una forma di mobilità stagionale che coinvolge soltanto il pastore e i suoi animali, dal momento che la famiglia vive permanentemente nella sede consueta. L'uomo, come accade ad esempio in alcune zone del Medio Atlante, cerca di ovviare ai condizionamenti imposti da un'agricoltura caratterizzata da rese peraltro troppo basse: così, la coltivazione dei campi, pur continuando a svolgere la funzione di attività di base, viene integrata dalla transumanza, praticata attraverso lo sfruttamento di aree pascolive situate a diverse altitudini in relazione alle condizioni imposte dal clima nelle diverse stagioni. In altri casi, invece, lo squilibrio fra risorse e popolazione può essere attenuato, se non risolto, attraverso l'avvio di migrazioni interne. Ne sono stati un esempio, durante gli anni 60 e 70, i flussi diretti verso il nord ovest italiano e provenienti dalle regioni nord orientali e da quelle dell'Italia meridionale, ambito territoriale quest'ultimo assoggettato anche all'attrazione del capoluogo nazionale. Da ricordare però, che anche in questo caso il fenomeno migratorio, anziché interessare tutte le componenti di una popolazione, tende ad agire soprattutto nei confronti delle classi di età compresa tra i 15 e i 40 anni, con effetti indotti sulle fasce dei figli, e qui in particolar modo sulla classe di età 0-10. In conseguenza di ciò, il tasso di natalità, soprattutto nelle aree più colpite, si può alterare in maniera così intensa da non garantire neppure il ricambio naturale della popolazione.Importanti da considerare sono le migrazioni internazionali, e cioè quelle dirette verso i "paesi nuovi" colonizzati dagli europei a partire dal sedicesimo secolo, oppure quelle più recenti, che a decorrere dal secolo scorso si sono indirizzate verso i "paesi industriali", o anche quelle alimentate dai paesi dell'Europa dell'est o del terzo mondo e che di recente stanno interessando i "paesi ad economia avanzata" o infine il brain drain, e cioè quel fenomeno migratorio internazionale che interessa individui che hanno un titolo di studio elevato oppure alta od altissima specializzazione. Uno dei temi che fin dal secolo scorso ha suscitato le polemiche più accese sulle migrazioni internazionali è costituito dall'individuazione della misura del rapporto in cui il fenomeno si viene a risolvere in un impoverimento delle regioni di partenza e in un arricchimento di quelle di arrivo. E poiché i lavoratori migranti costituiscono un capitale umano, di cui si può calcolare il costo capitalizzando le spese sostenute per il loro mantenimento fino al momento dell’emigrazione permanente, “nei paesi di emigrazione l'emigrante equivale a un'esportazione di capitale, specie se parte da giovane, nel momento cioè in cui raggiunge il massimo delle sue capacità lavorative”. L'emigrante stesso è veicolo di innovazioni oltre che portatore di risparmi e nelle aree di arrivo la presenza degli immigrati costituisce certamente un apporto positivo alla produzione e all'accumulazione di capitale, tanto più che essi rappresentano una forza-lavoro flessibile, che può essere chiamata o respinta a seconda delle necessità. Inoltre, gli immigrati "ringiovaniscono" la popolazione locale e consentono il mantenimento di tipi di lavoro che altrimenti scomparirebbero.Tra le diverse teorie sulla mobilità delle persone, assume una posizione di rilievo la teoria della transizione della mobilità proposta da Zelinsky nel 1971. Questo studioso parte dalla premessa che la storia recente evidenzia fenomeni di mobilità delle persone caratterizzati da andamenti regolari e capaci di incidere nella formazione dei processi di modernizzazione. Esso si basa sull’affermazione che una comunità, attraversando il processo di modernizzazione, sperimenti il passaggio da bassi ad alti livelli di mobilità. In corrispondenza dei vari stadi della transizione demografica, le forme di mobilità cambiano, adattandosi al mutare delle attività produttive (transizione occupativa), dei modelli insediativi (transizione rurale-urbana) e dei livelli d’istruzione (transizione educativa). Ognuno di questi tre stadi viene poi messo in relazione con due o tre forme di mobilità, scomponibili ciascuna in un massimo di cinque fasi (pre-industriale, di transizione iniziale, di transizione declinante, industriale avanzata, post- industriale). Ne deriva allora che in un sistema socio–economico di tipo pre-industriale la mobilità è assai contenuta, con forme chiuse a breve raggio (campagna – città). Con l’inizio della transizione la popolazione risulta caratterizzata da una forte mobilità, sia verso la città, sia con la messa in moto di intense ondate emigratorie verso l’estero. Il declino della transizione risulta caratterizzato invece da un’attenuazione dei processi di emigrazione verso l’estero e di quelli di inurbamento. Durante la fase industriale avanzata si assiste ad un ridimensionamento dell’emigrazione internazionale ed ad un aumento della mobilità interna di tipo interurbano e infraurbano (con intensificazione del pendolarismo). Infine nella fase post-industriale Zelinsky prevede il riassorbimento di una parte delle migrazioni internazionali e dei movimenti interni, in virtù del parallelo intensificarsi di nuove forme di distribuzione commerciale (ad es. le consegne a domicilio) e di accesso alle reti telematiche.  Il turismo può essere definito come lo spostamento dal luogo di abituale residenza in uno o più luoghi di temporaneo soggiorno, al fine di soddisfare determinati bisogni di diporto, con conseguente trasferimento di redditi a puro scopo di consumo. Come sottolinea l’Innocenti, nell'ambito di tale fenomeno è inoltre possibile individuare tre aspetti o momenti fondamentali: il momento attivo, il momento della circolazione, il momento passivo. Se da un lato il momento attivo riguarderebbe l'istante in cui il singolo potenziale turista decide di partire dal luogo di abituale residenza, sulla base di un impulso di carattere psicologico, portando con sé una quota del proprio reddito, dall'altro quello passivo andrebbe riferito all'istante in cui il soggetto di cui sopra, ormai divenuto turista, si rivolge all'attrezzatura ricettiva della meta prescelta, che perciò deve organizzarsi per sopportare tale "pressione", cioè per consentire il pernottamento. Tra questi due momenti si inserisce allora quello della circolazione, consistente nel vero e proprio trasferimento dal luogo di residenza al luogo di ricezione e viceversa. Da questi concetti scaturisce, in maniera assai significativa, come l'aspetto della mobilità venga a costituire una delle condizioni fondamentali, se non addirittura il connotato più importante, almeno sotto il profilo spaziale, del fenomeno turistico. La mobilità turistica, può inoltre manifestarsi attraverso forme di breve durata e a breve raggio (ne è un esempio la mobilità di fine settimana), oppure di durata medio-lunga e ad ampio raggio. Come osserva la Gentileschi, nel primo caso, data la breve durata del soggiorno, raramente si superano i 50-80 km e le destinazioni sono perlopiù rurali, in campagna, in montagna o al mare. Sono gli spazi delle residenze secondarie, che orlano a breve distanza le zone urbanizzate, possibilmente in corrispondenza di ambienti naturali gradevoli. Al contrario gli spostamenti per vacanze più lunghe vengono spesso organizzati in funzione di mete lontane, che costituiscono un'alternativa rilassante non solo in quanto si contrappongono all'ambiente quotidiano di vita e di lavoro, ma anche perché ne sono completamente separate, offrono un clima diverso, aggiungono l'attrattiva dell'esotismo o semplicemente sono alla moda.Uno dei primi modelli apparsi negli anni 70 è stato ideato da Mariot, che propone tre diversi percorsi capaci di collegare un luogo di residenza abituale (origine) ad un centro turistico (destinazione), e cioè un percorso di accesso, un percorso di ritorno ed un percorso ricreativo. In tal caso, i percorsi di accesso e di ritorno che in alcuni casi potrebbero anche coincidere, offrono un collegamento diretto tra i due luoghi. Gli utenti, in alternativa, possono optare per un percorso ricreativo, che permette di effettuare tappe allo scopo di visitare luoghi intermedi, ricorrendo così all'uso di strutture turistiche lungo il percorso anche se l'area utilizzata non costituisce il punto di arrivo principale del viaggio. Modelli assai significativi possono essere predisposti sulla base dei dati relativi ai flussi di traffico aeroportuali non di linea.Nel 1984 il geografo Lundgren ha elaborato un modello di tipo gerarchico, capace di identificare sia le funzioni turistiche svolte da un determinato luogo, sia i flussi che ne derivano. In questo schema teorico la prima destinazione è rappresentata dalle aree metropolitane, ben integrate nelle reti di trasporto internazionali e capaci di scambiarsi considerevoli flussi di turisti. La seconda destinazione è rappresentata dalle periferie delle aree metropolitane, che vedono prevalere gli afflussi sui deflussi. La terza destinazione è rappresentata dalle aree rurali periferiche, che disponendo di spazi estesi risultano aree privilegiate da parte dei turisti. La quarta destinazione è rappresentata da particolari ambienti naturali, caratterizzati da basse densità di popolazione locale.Se i  trasporti offrono il supporto fondamentale per il trasferimento di beni e persone, i sistemi di telecomunicazione costituiscono invece il mezzo per eccellenza nella trasmissione di informazioni, la cui importanza va al di là del semplice supporto fisico al trasferimento dell'informazione, in quanto le telecomunicazioni costituiscono il fulcro della riorganizzazione economico-spaziale di numerosi comparti del secondario e del terziario, nonché della società nel suo insieme, dal momento che diventano essenziali per comprendere l'organizzazione geografica ed economica di grandi imprese industriali, a cominciare dai loro centri di ricerca, per arrivare alle reti di vendita e passando per le diverse fasi di produzione più o meno decentrate. Le telecomunicazioni modificano anche l'organizzazione inter-industriale e sono indispensabili per comprendere come, tecniche quali la gestione delle scorte just-in-time o sistemi di progettazione assistiti dal calcolatore, si concretizzino in termini di vincoli alla localizzazione territoriale e all'organizzazione di interi cicli produttivi. Nonostante il rapido diffondersi delle telecomunicazioni le informazioni non arrivano ovunque nella stessa quantità o qualità: ne deriva così che gli operatori economici collocati all'interno di una rete di comunicazioni di gruppo vengono a godere di una posizione di vantaggio, in quanto il flusso di informazioni  tra gli appartenenti ad uno stesso gruppo sociale o imprenditoriale è in genere più intenso di quello generato da gruppi diversi. Inoltre, secondo Hägerstrand, l'esperienza dimostrerebbe che il raggio delle connessioni della rete delle comunicazioni varia molto da azienda ad azienda, nel senso che se alcune restano chiuse a livello locale, altre evidenziano  interazioni a livello regionale e talvolta anche sul piano nazionale e transnazionale. Da tutto ciò deriva che gli operatori che agiscono ad una scala territoriale più ampia, sono al tempo stesso in relazione con altri che agiscono a scale territoriali via via di rango inferiore, formando così canali attraverso i quali le informazioni finiscono col diffondersi a tutti i livelli. Anche gli stessi flussi finanziari (transazioni bancarie, operazioni sui mercati azionari) si avvalgono ormai dello strumento telematico in maniera sempre più frequente, se non addirittura esclusiva, come nell'esempio offerto dalla riorganizzazione telematica del mercato di borsa nei vari paesi ad economia avanzata. Altri servizi quali le assicurazioni, la distribuzione all'ingrosso e al dettaglio, le compagnie aeree e le agenzie di viaggi, i servizi di assistenza sanitaria, vedono trasformate dalle telecomunicazioni tanto la natura del loro servizio, quanto il processo per produrlo e il suo sistema di distribuzione. L'organizzazione del lavoro in questi tipi di attività si sta modificando sensibilmente, sia in termini di composizione della forza lavoro che della loro organizzazione sul territorio. Infine, anche le forme di distribuzione e le regole di accesso a questi servizi subiscono una modificazione profonda: l'accessibilità di questi servizi non dipende più dalla semplice localizzazione, ma dai diversi sistemi di telecomunicazione e teledistribuzione che operano al loro interno e fra questi ed i loro utilizzatori. Come noto da molti studiosi, l’introduzione di nuove tecnologie di comunicazione insieme a quelle dei trasporti, ha modificato la relazione spazio-tempo, creando al tempo stesso le basi per la formazione della società post-industriale o dell'informazione. A tale riguardo, secondo Bakis, il concetto di distanza verrebbe in qualche modo negato, così come tenderebbe a ridursi la dimensione temporale, in quanto il mondo sembra essersi rimpicciolito in modo impressionante: è più rapido contattare telefonicamente o raggiungere in aereo un punto qualsiasi del globo di quanto non fosse il secolo scorso il collegamento tra una qualsiasi città e i villaggi di campagne circostanti. L'analisi dei flussi di comunicazione permette di conoscere e di interpretare l'organizzazione territoriale della vita di relazione. E in tale ambito, uno strumento capace di sintetizzare tutte queste relazioni sociali ed economiche è offerto dall'intensità e dall'orientamento del traffico telefonico. Più in generale, l'analisi dei flussi di telecomunicazione potrebbero condurre ad individuare importanti connotati socio-economici delle aree oggetto di studio, nonché l'organizzazione spaziale delle loro interrelazioni. Tra le fonti quantitative utilizzabili nello studio dei flussi di informazione si può ricordare anzitutto quella relativa al numero ed ubicazione degli abbonati, desumibili solitamente dagli elenchi ufficiali. Questi dati però, oltre ad essere approssimati in difetto non permettono di individuare veri e propri fenomeni di dinamica spaziale quali sono i flussi di informazione, ma piuttosto aspetti di centralità o di perifericità. A risultati un po' più precisi si giunge attraverso l’elaborazione di dati riguardanti l'ammontare delle bollette, oppure il numero e forma dei circuiti telefonici installati in una certa area: nel primo caso si giunge a disporre di un dato di flusso, ma purtroppo parziale, in quanto le somme fatturate sulle bollette sono in relazione con i luoghi d'origine dei flussi, e non con quelli di destinazione; nel secondo caso invece, se da un lato si possono cogliere aspetti interessanti della vita di relazione a scala regionale, dall'altro non sempre risulta possibile misurare l'effettivo grado di intensità delle relazioni tra un centro ed un altro, in quanto, l'esistenza di un numero più o meno elevato di circuiti non indica necessariamente l'importanza del traffico tra una piccola città e il suo capoluogo, ma può corrispondere a comunicazioni che transitano attraverso il capoluogo per dirigersi verso un'altra area metropolitana.Nell’analisi del rapporto che intercorre tra lo sviluppo delle telecomunicazioni e l'organizzazione del territorio, secondo Bonavero si possono individuare tre livelli di analisi, e, sulla base del loro crescente grado di concettualizzazione e complessità, possono essere rispettivamente definibili come empirico-descrittivo,  interpretativo settoriale, teorico e interpretativo globale. Secondo il livello empirico-descrittivo le telecomunicazioni, considerate come indicatori di squilibri tecnologici ed economici del territorio, vengono studiate sulla base di una pluralità di variabili, tendenti a privilegiare la dotazione infrastrutturale, l'entità e le caratteristiche dell'utenza, oppure l'intensità dei flussi fruitori delle reti di telecomunicazione. Con il livello interpretativo settoriale si tende invece a privilegiare l'interpretazione dei processi di trasformazione di alcuni subsistemi costitutivi dei sistemi territoriali e legati allo sviluppo delle telecomunicazioni. Tali subsistemi possono essere costituiti da veri e propri sistemi, quale il sistema di imprese, un sistema urbano, un sistema regionale, un sistema di trasporti, ma a loro volta ipotizzabili come elementi di un sistema di rango superiore.Il livello di maggior complessità è quello teorico e interpretativo globale, tendente a privilegiare, attraverso l'uso di un linguaggio nomotetico, l'interpretazione dei rapporti fra i processi di diffusione delle tecnologie di telecomunicazione e processi di trasformazione dell'organizzazione territoriale complessivamente intesa. Secondo tale filone d’indagine si cerca d’integrare fra loro le ipotesi interpretative dei singoli subsistemi dell’organizzazione territoriale ed avanzate nel precedente livello d’analisi.
2. La circolazione di merci, servizi e capitali
Durante il XX secolo il volume degli scambi ha registrato un aumento assai notevole, in relazione al combinarsi di molteplici fattori. Tra questi va ricordato anzitutto l’ Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT), siglato a Ginevra nel 1947 e voluto dagli Stati Uniti per affermare il principio liberista in materia di commercio internazionale. Tale accordo aveva come basi di fondo la non discriminazione commerciale e la multilateralità. Con l’Uruguay Round nel 1993, l’ultimo patto entrato in vigore con il coinvolgimento di 122 paesi, si è avuta la trasformazione dello stesso GATT in Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), dotata di maggiori poteri di controllo e di gestione delle controversie tra gli aderenti. Se da un lato la costituzione del WTO sembra favorire ed accelerare il processo di mondializzazione dell’economia, dall’altro non manca la tendenza ad una crescente diffusione dei cosiddetti accordi commerciali regionali, destinati invece a favorire le relazioni commerciali in ambiti geografici più circoscritti. Se poi vengono messe in atto politiche economiche comuni con cessione all’organismo sopranazionale di quote di potere decisionale dei singoli membri, si hanno allora vere e proprie unioni economiche. Considerando l’orientamento dei flussi commerciali si possono osservare trasformazioni particolarmente significative: infatti fino al 1973 gli scambi hanno ruotato essenzialmente attorno al gruppo dei paesi industrializzati, mentre negli anni della crisi petrolifera è cresciuto il rilievo dei paesi in via di sviluppo; esaurita la fase degli shock petroliferi, la crescita della quota dei paesi industriali è stata molto sostenuta. Il commercio internazionale, a partire dalla seconda guerra mondiale, è venuto ad assumere una struttura tripolare, al cui interno l’Europa Occidentale, l’America anglosassone (USA e Canada) e l’Asia orientale sono diventati i poli dominanti degli scambi mondiali. In sintesi i principali mutamenti d’ordine geografico intervenuti nelle correnti commerciali riguardano soprattutto:

  • la crescita del commercio intra-area;
  • la crescita di alcune direttrici di traffici aventi come baricentro l’Oceano Pacifico;
  • la performance eccezionale messa in luce dai cosiddetti Quattro Dragoni Asiatici (Hong-Kong, Corea del Sud, Taiwan, Singapore);
  • la marginalizzazione del Terzo Mondo africano, latino americano, medio orientale;
  • i contraddittori risultati dell’apertura agli scambi nei confronti dei paesi dell’ Est europeo.

Infine, sotto il profilo della loro struttura merceologica, gli scambi internazionali evidenziano queste altre tendenze di trasformazione:

  • l’intensificazione delle correnti alimentate dai prodotti finiti, a scapito di quelle costituite da materie prime;
  • il declino dello scambio di beni tradizionali a favore di quelli ad elevato contenuto innovativo;
  • la crescente smaterializzazione dei flussi di commercio: infatti, se da un lato è aumentata la componente intangibile dei prodotti (ad es. quando si compra un prodotto si tende ad acquistare anche i servizi di assistenza), dall’altro sono aumentati anche gli scambi di servizi veri e propri;
  • la crescita del baratto (countertrade), soprattutto con i paesi dell’est europeo e con quelli in via di sviluppo;
  • la crescita degli scambi interni alle imprese multinazionali e transnazionali.

Nel corso del ‘900 i paesi sviluppati hanno registrato profonde trasformazioni nella struttura dei loro consumi alimentari: infatti, l’esplosione dell’urbanesimo e la crescita della capacità d’acquisto da parte della popolazione, hanno fatto gradualmente scomparire i sistemi agricoli rivolti all’autoconsumo, innescando contemporaneamente un processo tendente a trasformarli in sistemi orientati sulla specializzazione delle colture. Anche le componenti della dieta alimentare si sono diversificate e arricchite, attraverso la diminuzione dei consumi di cereali ed il parallelo incremento della domanda di carne e di prodotti nuovi. Al contrario nei paesi in via di sviluppo, se da un lato sono aumentati i consumi di cereali, dall’altro quelli di carne non sono affatto cresciuti. Queste modificazioni nella domanda di prodotti agricoli trovano un riscontro nella struttura del commercio a livello mondiale, caratterizzato da flussi di prodotti agricoli destinati ai paesi industrializzati dell’Europa e dell’America settentrionale, e comprendenti prodotti tropicali, carne e cereali. Le correnti commerciali in direzione opposta, e cioè dai paesi sviluppati (soprattutto USA e Canada) verso quelli sottosviluppati, sono invece costituiti quasi essenzialmente da cereali. Anche ai nostri giorni, comunque, i cereali primari (grano, riso, miglio) e i cereali secondari (mais e orzo) costituiscono da soli circa i due terzi dell’intero commercio mondiale di prodotti agricoli, dominato dai paesi del nord America.
Assai diversa dalla geografia commerciale dei cereali è quella relativa al petrolio; infatti l’offerta, anziché riguardare paesi sviluppati, risulta alimentata in netta prevalenza da economie terzomondiali. Come osserva Conti il comparto petrolifero è quello che meglio illustra la formazione di un sistema di quasi monopolio, dominato nel dopoguerra da sette grandi imprese, chiamate sette sorelle: Texaco, Exxon, Socal, Gulf, Mobil, Shell e British Petroleum. A eccezione della Texaco, che limitava il suo intervento all’estrazione e alla raffinazione, il ciclo produttivo di queste imprese prevedeva sia l’estrazione che la trasformazione e la distribuzione dei prodotti petroliferi. Nei primi decenni del dopoguerra le sette sorelle concessero poco o nulla del proprio mercato a nuovi operatori economici, grazie anche ad una politica di prezzi bassi che nessun concorrente poteva reggere. Fra gli anni ’60 e ’70 la situazione cambiò sensibilmente, anche perché se da un lato molte imprese statali entrarono in lizza per negoziare accordi di fornitura del petrolio, dall’altro tra i paesi produttori era cominciato ad affermarsi il principio della sovranità degli stati e del capitale nazionale sulle proprie riserve. In conseguenza di ciò, a partire dal 1973, grazie al contenimento programmato della produzione, l’OPEC (organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, comprendente 13 dei maggiori produttori mondiali di greggio) è riuscita ad imporre una politica di prezzi alti, ignorando le grandi compagnie che avevano fino ad allora dominato l’estrazione e la commercializzazione del greggio. Di conseguenza gli elevati prezzi del petrolio costrinsero i paesi importatori a ridurre i consumi e a rivolgersi ad altre fonti di approvvigionamento. In quelle condizioni i produttori OPEC persero posizioni.L’insieme dei paesi sottosviluppati, assorbe circa un quarto del valore del commercio mondiale, ma tale quota per oltre la metà risulta alimentata dagli scambi originati dai paesi dell’Asia orientale e da quelli esportatori di petrolio. I commerci sud-sud risultano comunque poco sviluppati anche per la scarsa disponibilità di tecnologia nei paesi del terzo e quarto mondo, fattore questo che svolge una funzione di freno non solo per lo sviluppo interno di tali economie, ma anche per il rafforzarsi del grado di complementarietà  economica tra i vari paesi di quel contesto geografico. Nonostante non manchi la possibilità di poter sviluppare la propria economia interna e le relazioni commerciali con l’estero, sta di fatto che la maggior parte di tali paesi ha visto peggiorare durante l’ultimo ventennio la propria posizione, avvalorando così la cosiddetta teoria dello scambio ineguale, la cui spiegazione trova le sue basi nelle diverse ragioni o rapporti di scambio che generalmente intercorrono tra economie diverse. Riguardo a tale teoria, si supponga una situazione in cui alcuni paesi risultino specializzati nella produzione di beni primari e altri siano invece specializzati nella produzione di manufatti industriali. In tali condizioni secondo la legge dei vantaggi comparati proposta dagli economisti della scuola classica, se i paesi del primo gruppo hanno la possibilità di instaurare relazioni commerciali, con quelli del secondo gruppo, ognuno di essi avrebbe interesse a specializzarsi nella produzione in cui risulta più avvantaggiato rispetto alla produzione di altri beni.Le formulazioni della scuola classica, nella prima metà del XX secolo sono state riproposte dalla cosiddetta teoria neoclassica del commercio internazionale, la quale ha tentato di dimostrare ancora una volta i benefici conseguenti al libero scambio. Tale impostazione teorica si viene però a scontrare con la realtà delle cose: in primo luogo perché il commercio internazionale di beni fra economie diverse, anziché produrre benefici reciproci, ha favorito il formarsi di un divario sempre più ampio fra paesi avanzati e paesi appartenenti all’area del terzo e quarto mondo; in secondo luogo perché questi ultimi, relativamente sempre più poveri, si sono dovuti sottoporre ad esportazioni crescenti allo scopo di importare la stessa quantità di beni industriali provenienti dai paesi ad economia avanzata; in terzo luogo, poiché il vantaggio relativo che sta alla base della teoria classica del commercio internazionale non è un dato fisso, il vantaggio derivante dallo scambio non si viene a dividere equamente tra i vari partners, ma tende a remunerare in misura crescente i fattori produttivi di cui dispongono i paesi ad economia avanzata. Non a caso, allo scopo di intervenire contro le sperequazioni messe in moto dal libero scambio internazionale, è sorto il cosiddetto Fire Trade (commercio equo e solidale) consistente nell’acquisto di prodotti del sud del mondo da parte di imprese commerciali e cooperative di vendita costituitesi nel nord del mondo. Come abbiamo osservato nel capitolo precedente, le attività di servizio risultano influenzate da fenomeni di soglia (e cioè dal livello minimo della domanda a cui corrisponde un altrettanto minimo ambito territoriale) e di portata ( e cioè dal livello massimo della domanda). Dalle premesse di ispirazione christalleriana deriva un modello territoriale di distribuzione gerarchica delle attività di servizio, dove le aree di mercato dipendono dalla struttura delle economie di scala, dalle economie di agglomerazione e dalla propensione degli utenti a spostarsi. In una situazione del genere, ad aree di mercato più estese vengono a corrispondere livelli gerarchici di servizi via via crescenti ed inoltre le località di rango più elevato devono offrire non soltanto i servizi di rango più elevato rispetto a quelli offerti dai centri di rango inferiore, ma essere caratterizzate dalla capacità di fornire tutti i servizi presenti nelle località di rango inferiore. Un simile modello comportamentale risulta troppo rigido e meccanicistico. Si è quindi arrivati ad elaborare un nuovo approccio metodologico tendente a superare i limiti mostrati dai precedenti modelli. Ciò è stato recepito anche dal Nuovo Atlante SOMEA, elaborato attraverso l’impiego del modello di interazione spaziale ideato da Wilson, che presenta il vantaggio di individuare l’eventuale gerarchia di servizi partendo dalle soluzioni del modello stesso, anzichè definire a priori le categorie dei servizi come avveniva nei modelli di ispirazione christalleriana. I dati di ingresso sono costituiti anzitutto dalle informazioni a livello comunale offerte dagli ultimi censimenti Istat. Un’altra fonte è costituita dalle indagini campionarie sulle modalità di spostamento della popolazione per motivi di acquisto di beni e servizi. L’input è infine integrato da rilevazioni riguardanti i collegamenti stradali e il costo di trasporto tra i punti del territorio nazionale. L’Atlante SOMEA individua le aree di influenza, con le rispettive polarità, nonché le relazioni che intercorrono tra i vari comuni: l’individuazione delle aree di influenza è stata effettuata assegnando ciascun comune al polo con cui registra la più elevata probabilità di interazione. Nell’individuazione delle diverse categorie di servizi alle imprese, la metodologia seguita nel modello SOMEA si articola in tre fasi logiche: quella della selezione e del raggruppamento dei servizi; quella finalizzata alla determinazione dei comuni-polo; quella riguardante la costruzione della matrice comuni-polo/servizi . L’Atlante, oltre al concetto generale di polo (da intendersi come il comune capace di esercitare una funzione di attrazione nei confronti dei comuni circostanti), prende anche in considerazione i seguenti casi particolari:

  • polo di integrazione, ossia quel comune che denota anche un flusso uscente piuttosto elevato verso un altro polo;
  • polo marginale, ossia quel comune che esercita una funzione di attrazione nei confronti dei centri circostanti, solo per effetto della sua localizzazione in un area caratterizzata da un offerta debole dei servizi;
  • autopolo, ossia quel comune che presenta un sostanziale equilibrio tra flussi entranti e flussi uscenti, per cui non determina alcuna area di influenza.

Con riferimento agli anni 80, epoca di realizzazione dell’Atlante, se da un lato la distribuzione regionale dei servizi di terzo livello mostrava un'incidenza particolarmente elevata nelle regioni centro-settentrionali (Piemonte, Lombardia, Liguria e Lazio), nonché in Campania e in Puglia, dall'altro, per quanto riguarda i servizi di quarto livello, soltanto Piemonte, Lombardia e Lazio registravano quozienti di localizzazione superiori all'unità, e quindi al di sopra del livello nazionale. Osservando invece la quota di "poli" presenti in ciascuna regione, man mano che si passava dai servizi del primo a quelli del terzo livello, soltanto alcune regioni settentrionali (Piemonte, Lombardia, Liguria, Valle d'Aosta, Emilia) e due soltanto nell'Italia centrale (Lazio e Marche) evidenziavano una crescita della loro percentuale di poli sul totale. Le regioni meridionali, invece, mettevano in luce la presenza di una certa debolezza della rete urbana, confermata anche dalle modeste percentuali di comuni in grado di offrire servizi di quarto livello.
I movimenti internazionali di capitali, registrati nella bilancia in conto capitale, possono riguardare trasferimenti finanziari effettuati da privati, dallo stato, oppure da imprese. A tal riguardo, come osserva Conti, i governi giocano ovviamente un ruolo centrale anche nella maggiore o minore apertura dei mercati nazionali ai capitali stranieri e la liberalizzazione dei movimenti di capitale è cresciuta continuamente, sia per l'impulso ricevuto dagli accordi GATT derivati dal già citato Uruguay Round del 1993, sia per la politica di deregolamentazione nel movimento di capitali intrapresa dall'unione europea. Queste tendenze, insieme all’informatizzazione delle varie piazze finanziarie, hanno contribuito alla mondializzazione delle transazioni di capitali che caratterizza gli anni 90. Tale processo non è tuttavia privo di rischi, sia di tipo inflazionistico, sia di instabilità economica mondiale. Come sottolinea ancora il Conti, i flussi di capitale negli ultimi due decenni si sono così in parte modificati. Quelli principali si svolgono sempre tra paesi sviluppati ma con maggiore equilibrio fra gli Stati Uniti (dove si sono diretti molti investimenti giapponesi ed europei) e gli altri due poli centrali (Europa centrorientale e Asia orientale). Si sono invece molto ridotti i flussi verso il terzo mondo. Dal 1990 è invece cresciuto il flusso finanziario verso l'Europa orientale (Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia) e la Russia, sotto forma di investimenti diretti e di aiuti al processo di transizione verso l'economia di mercato. La crescente importanza delle attività finanziarie nell'economia mondiale ha prodotto anche un ampliamento delle reti internazionali delle maggiori banche del mondo che hanno aumentato la loro presenza e il loro potere finanziario aprendo filiali in molti paesi, oppure controllando la proprietà di altre banche estere, o anche associandosi con altre potenti banche di diversa nazionalità. In conclusione, il flusso internazionale dei capitali risulta dominato dagli Stati Uniti, dal Giappone e dall'Europa occidentale, con il supporto di tutta una serie di piazze minori, alcune sorte come nuovi centri finanziari, altri in virtù di un processo di ricentralizzazione del sistema finanziario in poche grandi piazze, frutto della concentrazione di grandi quote di capitali in pochi centri. Tra i centri finanziari mondiali esiste quindi una gerarchia, che deriva dalle loro funzioni, dall'entità del flusso di capitale controllato e dal potere decisionale di cui dispongono. Al primo livello della scala gerarchica si collocano solo tre centri finanziari, che servono da riferimento per tutto il movimento internazionale dei capitali e che controllano i flussi più importanti: si tratta di New York, Londra e Tokyo. Ad un secondo livello si collocano alcune piazze finanziarie internazionali che hanno però minore importanza delle prime, sia come flussi di capitale sia come riferimento internazionale: si tratta di Parigi, Francoforte, Zurigo, Amsterdam, Vienna, Bruxelles, Milano, Los Angeles, San Francisco, Chicago, Toronto, San Paolo, Hong Kong, Singapore e Sydney. In questi due primi livelli di poli finanziari il legame con le attività industriali avanzate, tecnologico-innovative, culturali e politiche è molto stretto e pertanto la presenza di una gamma diversificata di funzioni urbane superiori permette di evitare il condizionamento diretto delle fluttuazioni finanziarie internazionali. Al terzo livello si ritrovano alcuni centri internazionali localizzati in piccolissimi Stati, con la funzione di transito e rifugio di risorse finanziarie che vengono attratte dalle agevolazioni fiscali accordate (i cosiddetti "paradisi fiscali" o centri off-shore), per poi essere ridistribuite quasi esclusivamente sul mercato internazionale; si tratta delle Bahamas, di Bahrein, Panama, Lussemburgo, principato di Monaco e altri minori. Questi centri, sviluppatisi internazionalmente senza avere alle spalle una solida struttura metropolitana, sono i più vulnerabili e disposti a fluttuazioni economiche finanziarie. All'ultimo livello della gerarchia si collocano infine le piazze finanziarie di importanza nazionale, che nei paesi sottosviluppati sono spesso controllate da istituti finanziari stranieri e le nuove piazze dell'Europa orientale (Mosca, Budapest, Praga e Varsavia), dove si stanno costituendo o ricostituendo i mercati finanziari.
3. Forme e reti di trasporto
I flussi di merci, nonché quelli riguardanti i movimenti di persone, risultano condizionati nel loro sviluppo da diversi fattori ed in modo particolare dalla disponibilità di idonee infrastrutture di trasporto, le quali, a loro volta, come si è visto attraverso la teoria dei grafi, tendono però a potenziarsi soltanto in conseguenza del manifestarsi di una crescita dei movimenti spaziali di beni e persone. Le vie di comunicazione sono pertanto legate al fenomeno della mobilità, da rapporti di interdipendenza e cioè da legami biunivoci di causa-effetto, che a livello mondiale danno origine al sistema della circolazione internazionale, capace non soltanto di saldare tra loro, in una catena senza fine, mari, continenti e spazi, ma anche di introdurre elementi discontinui di efficienza, a seconda del grado di aggiornamento tecnologico delle infrastrutture e dei mezzi di trasporto, della loro adeguatezza rispetto al contesto geografico, dei metodi di gestione. Oggi, se questi elementi risultano di minor incidenza nella circolazione marittima e in quell'aerea, che costituiscono il livello più uniforme, sono assai più evidenti nella circolazione terrestre, a causa della maggiore diversificazione, individuabile per tipo di vie (strade, fiumi, canali, ferrovie, condotte), per raggio d'azione (locale, regionale, nazionale, continentale), per funzione (commerciale, di viaggio, turistica, migratoria, energetica) e per tariffazione. Inoltre, se i sistemi di circolazione ad ampio raggio (ossia marittimi ed aerei) rappresentano una componente essenziale nel raggiungimento di equilibri economici internazionali e talvolta mondiali, quelli terrestri sembrano invece essere legati ad un ambito geografico prevalentemente di tipo nazionale o comunque più ridimensionato nel caso di interazione a livello internazionale. Se da un lato è difficile non tener conto che in ogni epoca "produrre è muovere", dall'altro non si può neanche ignorare che ciascuna civiltà materiale ha organizzato i propri sistemi di trasporto servendosi delle tecniche a disposizione del proprio tempo e della propria cultura. Sin dall'antichità non mancano esempi di vere e proprie reti organiche di comunicazione terrestre, come quella realizzata dai romani, sia per controllare meglio i territori conquistati sia per svilupparli economicamente. Ancora oggi, oltre alle maggiori possibilità di sfruttamento e di controllo strategico del territorio, le cause che inducono alla creazione e al potenziamento di infrastrutture di trasporto, riguardano soprattutto il raggiungimento di collegamenti più rapidi, con una conseguente razionalizzazione nell'utilizzo delle risorse e nel funzionamento dei sistemi produttivi locali. A partire dall'età moderna i momenti di forte sviluppo dell'economia vengono a coincidere con la crescita delle comunicazioni, con l'introduzione di nuovi mezzi di trasporto e con il miglioramento di quelli già in funzione. Così, se l'epoca delle scoperte e delle conquiste coloniali è caratterizzata da un considerevole miglioramento delle strutture destinate ai trasporti marittimi, a partire dal 1700 si assiste invece all’affermarsi su scala mondiale dell'economia mercantile, sia per il reperimento delle materie prime in maniera più agevole e al tempo stesso a costi relativamente bassi, sia per la conoscenza di nuovi prodotti agricoli, in parte coltivabili anche in Europa, sia per l'aprirsi di nuovi mercati di sbocco. Con la rivoluzione industriale crescono ulteriormente i commerci e la nuova fase economica è accompagnata e sospinta dalla macchina a vapore che, oltre a sostituire la vela della navigazione marittima, determina la nascita della ferrovia, destinata ad evidenziare i processi di "colonizzazione interna" avvenuti in alcuni grandi paesi quali gli Stati Uniti. Durante la prima fase della rivoluzione industriale, l'infrastruttura che caratterizza l'evoluzione economica non è tanto la ferrovia, quanto canali e fiumi navigabili, capaci di trasportare materie prime a costi più bassi. Si comprende allora come in Europa le foci fluviali della fronte atlantica e le città ubicate lungo tali vie d'acqua siano diventati importanti nodi dell'organizzazione territoriale, almeno fino agli anni 30 del secolo scorso. A partire da tale momento l'importanza delle vie d'acqua interne viene meno, in quanto, allo scopo di ridurre gli elevati costi di trasporto, prevale la tendenza ad insediare le industrie nei pressi delle miniere. Durante la seconda fase della rivoluzione industriale il treno si viene a sostituire rapidamente alla chiatta, e di conseguenza i nodi ferroviari e i terminali ferroviari marittimi finiscono col trasformarsi in veri e propri poli di sviluppo. Soltanto a partire dai primi decenni del 1900 le ferrovie incominciano a risentire dell'influenza concorrenziale esercitata dagli autoveicoli, dall'aereo e dai condotti (gasdotti e oleodotti), la cui crescita, accompagnata dal miglioramento tecnico di collegamenti marittimi, ferroviari e fluviali, ha determinato, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, una rivoluzione dei trasporti tale da coinvolgere il sistema economico mondiale, in quanto legata ad interventi innovativi capaci di permettere una forte riduzione dei costi di trasporto, nonostante gli altrettanto forti incrementi di velocità raggiunti dalle diverse forme di trasporto. Più in particolare, durante quest'ultimo periodo, se in un primo tempo le innovazioni tecnologiche hanno continuato, come in precedenza, ad essere indirizzate al superamento dei condizionamenti naturali negativi (ad esempio il perfezionamento nella costruzione di navi rompighiaccio), successivamente le innovazioni hanno avuto come principale obiettivo la riduzione dei costi. La velocità dei mezzi ha avuto significativi miglioramenti per gli aerei di linea (che oggi possono volare anche a 2500 km/h, mentre nel 1950 arrivavano a 500 km/h), per le automobili e, più recentemente, anche per i treni (che sono giunti a superare i 300 km/h contro i 120 km/h del 1950), per i quali in Europa occidentale e in Giappone si sta ampliando la rete ad alta velocità che collegherà i principali nodi del traffico ferroviario. Non meno significativi, sempre sotto l'aspetto tecnico, sono stati l'incremento delle portate dei mezzi di trasporto e la tendenza alla loro specializzazione. Nel trasporto marittimo ad esempio si è assistito a una corsa al gigantismo delle navi con l'incremento della portata dalle 30.000 t di stazza massima nel 1948 alle 500.000 della fine degli anni 70, e alla costruzione di navi per trasporti di merci specifiche (petroliere, mineraliere, bananiere ecc). Anche gli altri mezzi di trasporto hanno seguito questa tendenza: gli aerei possono trasportare 100 t di merci, gli autocarri 40, i battelli fluviali 5000 e le ferrovie 24.000.Sotto il profilo tecnologico-organizzativo l'innovazione più importante riguarda l'unitizzazione dei carichi, consistente nell'impiego di imballaggi di misure standardizzate come il container, modulo di carico che ha reso possibile l'integrazione fra i mezzi di trasporto, dal momento che il container, rispetto alle altre forme di imballaggio, presenta il notevole vantaggio di poter essere agevolmente trasferito su treno, nave, autocarro, aereo, con costi e tempi assai contenuti. L'unitizzazione ha interessato soprattutto le merci sfuse solide, originando a sua volta una concentrazione dei traffici propri in corrispondenza dei luoghi in cui sono localizzate le strutture di sollevamento e trasferimento dei containers da un mezzo all'altro: ne sono esempi i porti, gli aeroporti o gli interporti. Si può anzi affermare che il commercio internazionale dei prodotti finiti risulta ormai affidato esclusivamente al container, che richiede navi specializzate, treni e autotreni appositamente concepiti e sistemi informatici assai avanzati. L'organizzazione spaziale generata da questo tipo di relazioni economiche, che riguardano prodotti ad alto valore aggiunto, è basata su un'integrazione molto stretta tra rotte marittime e itinerari ferroviari e, in certa misura con itinerari autostradali e con la navigazione interna. Il risultato più avanzato di tutto ciò è costituito dall'integrazione tra rotte marittime e landbridge (ferrovie appositamente attrezzate nel trasferimento veloce dei contenitori da un versante all'altro di uno stesso continente). A tal riguardo, si è soliti distinguere il landbridge vero e proprio (riguardante il collegamento di rotte marittime appartenenti ad oceani diversi) dal mini-landbridge (riguardante il collegamento di uno o più rotte marittime appartenenti ad un solo oceano). L'espressione più rilevante del primo caso è senza dubbio costituita dal trasporto marittimo di contenitori dai porti dell'Europa occidentale (soprattutto Rotterdam) ai porti della megalopoli statunitense (soprattutto New York), da dove treni veloci si trasferiscono sull'opposto versante pacifico, per poi riprendere la via marittima fino a raggiungere l'estremo oriente e il sud est asiatico. Si tratta pertanto di una rotta mista, mare-terra-mare alternativo alla rotta tutto mare attraverso il canale di Panama, la cui  convenienza diventa assoluta qualora situazioni conflittuali nei Caraibi non permettesse l'utilizzo del canale. Nel caso del mini-landbridge ci si trova di fronte ad un modello spaziale mare ßà terra che trova la sua espressione concreta più significativa nei collegamenti tra Rotterdam e i porti del versante pacifico degli Stati Uniti. Un altro importante landbridge è anche quello supportato dalla linea ferroviaria transiberiana, capace di offrire una via alternativa alle rotte marittime passanti per Suez e Gibilterra. L'intermodalità non va confusa con il trasporto combinato, consistente nella flessibilità di adattamento di un mezzo di trasporto ad un altro. Una delle forme più diffuse di trasporto combinato è offerta dal roll-on-roll-off, capace di permettere il trasferimento diretto di un mezzo di trasporto (ad esempio un articolato, oppure solo il rimorchio) su un altro, per poi scaricarlo a destinazione: rispetto al trasferimento del container, il roll-on-roll-off, se da un lato permette di conseguire risparmi di tempo, dall'altro comporta costi superiori, a causa dei maggiori spazi occupati. Le innovazioni a cui si è fatto finora riferimento, se da un lato hanno contribuito ad innalzare notevolmente il livello di qualificazione degli addetti occupati nel ramo dei trasporti, dall'altro hanno anche causato un forte calo del fabbisogno di manodopera a causa del notevole grado di automazione raggiunto durante le operazioni di carico di scarico. Sempre in tema di rivoluzione dei trasporti non vanno infine dimenticati gli effetti derivanti dalla costruzione di tunnel sottomarini, alcuni limitati al disimpegno del traffico urbano o metropolitano, come nel caso di Rotterdam, ed altri finalizzati invece a ridurre, se non ad eliminare le condizioni di isolamento periferico, come nel caso del tunnel della Manica, che, aperto nel maggio del 1994, consente il transito giornaliero di 35 treni veloci in ognuna delle due direzioni, allacciando così nove terminali britannici a 20 terminali continentali.Nei Paesi ad economia avanzata, durante il ventesimo secolo, parallelamente al diffondersi dell'automobile e dell'autocarro, si sono notevolmente sviluppati i trasporti su strada di merci e persone, soprattutto in conseguenza del vantaggio di effettuare trasferimenti "da porta a porta", senza "rotture di carico" e in modo capillare. Va comunque ribadito che sotto il profilo dei costi la strada risulta conveniente soltanto per  distanze brevi e medie, e ciò a causa dei notevoli condizionamenti di portata presentati dall'automezzo stradale rispetto ai mezzi non stradali. La centralità della strada è comunque indiscutibile nella maggior parte dei sistemi di trasporto terrestre, dal momento che circa i tre quarti dell'intero movimento mondiale di merci sono a carico del trasporto stradale. Prendendo in rassegna le principali potenze stradali, emerge ancor oggi il ruolo guida evidenziato dagli Stati Uniti, sia in termini di rete viaria, sia in termini di motorizzazione. Se negli Stati Uniti risulta concentrato il 40% dei veicoli commerciali e il 55% della dotazione autostradale del mondo, l'Europa occidentale ospita il secondo sistema autostradale continentale, mentre nel resto del mondo esistono fitte reti autostradali soltanto in Giappone, Corea, Repubblica sudafricana, Australia. Al di fuori di queste aree di intensa motorizzazione le strade di grande scorrimento (cioè con capacità di almeno 1000 veicoli all'ora) si riducono all'essenziale. La qualità stradale è divenuta una questione di investimenti e di manutenzione, a loro volta strettamente correlati al livello raggiunto dall'organizzazione statale, per cui se tale livello è tale da rispecchiare i parametri che stanno alla base di un'economia avanzata, caratterizzata da forti intensità di scambi commerciali, anche le infrastrutture stradali non potranno che essere di elevato livello. Si comprende allora come la qualità dei collegamenti stradali costituisca un importante indicatore del grado di sviluppo o di arretratezza di un paese o di un'area. La crescita mondiale del traffico merci su strada ha raggiunto livelli sorprendenti almeno secondo le stime, che tra l'inizio degli anni 50 e la metà degli anni 90 è passata da 100 a 5 mila miliardi di tonnellate per chilometro. Tale dato, pur essendo ancora assai inferiore di quello relativo al trasporto marittimo mondiale nasconde comunque il vero ruolo del trasporto su strada, conveniente soprattutto per distanze medio-brevi nel cui ambito assorbe circa i tre quarti del movimento mondiale originato da merci con in testa gli Stati Uniti, seguiti dal blocco dei paesi dell'unione europea, nonché da Cina, Russia, Brasile, Giappone e India.Pur rappresentando un potente strumento di conquista del territorio e di affermazione dell'economia industriale, la ferrovia è nata sotto il duplice segno della libertà dell'impresa privata e dello Stato nazionale ottocentesco, causando di conseguenza situazioni di eterogeneità territoriale delle reti, soprattutto per ciò che riguardava l'armamento fisso. Anche l’elettrificazione delle reti ha determinato la divisione dell'Europa in compartimenti ferroviari, a causa di scelte tecniche ed economiche orientate verso l'adozione di sistemi di alimentazione incompatibili fra loro (corrente continua a 3000 V in Belgio, Spagna, Italia, ex-Cecoslovacchia e Polonia; corrente continua a 1500 V in Olanda, Francia sud-occidentale e Inghilterra meridionale; corrente alternata monofase a 25kV in Irlanda, Francia nord-orientale, Portogallo, Danimarca, area ex sovietica e resto del Regno Unito). In conseguenza di questa situazione un ipotetico collegamento ferroviario fra Lisbona e Mosca avrebbe dovuto prevedere sei cambi di motrice, con sosta obbligata nelle stazioni. Se le differenziazioni negli scaricamenti e nei sistemi di elettrificazione possano aver causato ostacoli ai processi di integrazione degli spazi continentali, quelli riguardanti la containerizzazione li hanno invece favoriti, soprattutto nell'America del Nord, dove il sistema ferroviario risulta quasi privo di condizionamenti fisici. Al contrario in Europa, dove i collegamenti risultano frequentemente vincolati da notevoli dislivelli altimetrici, il container non è stato imposto dalle ferrovie, eredi di una rete di disegno ottocentesco, bensì dal rapido adattamento dell’autotrasporto ai contenitori. E poiché il maggior problema riguarda la dimensione delle gallerie, in gran parte costruite alcuni decenni prima dell’affermarsi dell’unitizzazione, non tutte le linee ferroviarie hanno potuto finora beneficiare di questa innovazione. Infatti, soltanto laddove la rete ferroviaria risulta efficiente ed è in grado di sostituire l'autotrasporto, tutto il sistema dei trasporti ne può trarre beneficio. Ai nostri giorni il sistema ferroviario mondiale, anche se per cause che variano da area ad area, nella maggior parte dei casi è caratterizzato da processi di profonda ristrutturazione. La rete mondiale, che ha raggiunto la sua massima estensione nel 1940, è successivamente diminuita, ma soltanto fin dagli inizi degli anni 80, e cioè quando la ripresa di interesse per il trasporto ferroviario da parte dei più importanti paesi asiatici ed africani a in parte compensato i parziali smantellamenti avvenuti in Europa e nell'America settentrionale. La vera debolezza del sistema ferroviario sovietico, divenuta drammaticamente alla luce dopo il 1991, sta nella sua impostazione neocoloniale, avvertibile soprattutto nella rete asiatica, largamente vincolata agli approvvigionamenti in prodotti primari destinati alla Russia europea. Nell'Asia russa, la rete ferroviaria è ancora dominata dalle linee est-ovest, mentre mancano allacciamenti in direzione nord-sud capaci di superare le imponenti barriere montuose disposte in direzione longitudinale. La Transiberiana, lunga 9300 km, e quasi interamente costruita con l'utilizzo di manodopera carceraria, è stata completata a binario singolo nel 1903, e cioè quando fu inaugurata la linea "Londra-Pechino", capace di offrire viaggi della durata di 15 giorni. Nel 1937 la Transiberiana è stata raddoppiata quasi del tutto e nel 1962 elettrificata fino al lago Bajkal.Il sistema ferroviario cinese, che vede la sua origine soltanto a partire dal 1894, e cioè in conseguenza dell'espansione coloniale europea, si è formato con una struttura discontinua e irrazionale, con percorsi scelti in base ad esigenze del capitale straniero che lo finanziava. Solo dopo il 1990 sono stati ripresi i progetti di estensione geografica della rete sia verso le regioni montuose del centro e del sud della Repubblica cinese, sia in corrispondenza dei corridori strategici che da Pechino si diramano verso Hong Kong. Passando ora a considerare brevemente il sistema ferroviario dell'Europa occidentale, va anzitutto osservato che le reti nazionali più estese si individuano in Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Svezia e Spagna. In quasi tutti i Paesi, se da un lato il traffico merci ha incominciato a manifestare i segni di un certo declino, legato al fatto che la maggior parte delle linee non sono idonee, per i limiti imposti dalle gallerie, al movimento containerizzato, dall'altro il traffico passeggeri è aumentato senza interruzioni, ma in misura insufficiente ad evitare la crescente congestione del traffico su strada. Va osservato che a partire dagli anni 80, soprattutto a scala europea, si sta manifestando un rinnovato interesse per il rilancio del mezzo ferroviario, sia attraverso il miglioramento delle condizioni del materiale impiegato, sia attraverso l'incremento della velocità. In particolare, il servizio ferroviario sulle lunghe distanze sta avvenendo ad imitazione del modello francese, dove le linee TGV hanno permesso di raggiungere velocità di circa il doppio di quelle medie registrate in Europa occidentale e abbastanza vicine a quelle dei treni superveloci giapponesi.
Anche se da un lato il fiume costituisce l'unica via di comunicazione che non è costruita e che non richiede energia, dall'altro è anche quella che subisce più pesantemente i condizionamenti imposti dalla natura: tracciati poco rettilinei, discontinuità imposte dall’orografia o dalla stagionalità e a cui non sempre si può ovviare con la costruzione di opere pubbliche molto costose, quali i dragaggi, la canalizzazione, la costruzione di dighe, di chiuse e di darsene. La lentezza è comunque compensata dalle quantità trasportabili: nonostante i possenti convogli utilizzati lungo il Reno o il Mississipi non siano in grado di superare i 15-30 km/h nei tratti canalizzati, la loro capacità di trasporto è superiore a quelle di un treno merci completo (oltre 600 t) e permette di sostenere costi decisamente inferiori. La diffusione del trasporto fluviale deve soddisfare numerose pre-condizioni geofisiche in genere presenti soltanto nelle grandi pianure. Anche i grandi fiumi della zona intertropicale (Rio delle amazzoni, Congo), soltanto a prima vista sembrano aver dato vita a vere società fluviali, in cui i collegamenti sono permanenti, grazie all'abbondanza delle portate, oppure (come nel caso del Senegal, Niger, Nilo, Gange) diventano possibili proprio durante la stagione delle grandi piogge estive, e cioè nel periodo in cui le piste stradali si rendono impraticabili. Nella realtà delle cose, invece, queste grandi vie d'acqua mal si adattano a lavori di canalizzazione, a causa degli ostacoli naturali che spesso ne rendono discontinuo il corso e soprattutto per l'eccessiva entità delle portate. Nelle regioni temperate e continentali fredde, dove le precipitazioni sono meno abbondanti, la regolarità della portata dipende essenzialmente dall'ampiezza del bacino drenante o anche, in modo combinato, da fattori geologici, morfologici e climatici. Non a caso, il più lungo fiume del mondo, il Mississippi, alla foce, non ha che la metà della portata del Congo, e tutto ciò nonostante i rispettivi bacini siano di dimensioni comparabili. I sistemi di trasporto fluviale oggi più dinamici sono quelli complementari ai grandi porti marittimi, i quali possono sfruttare i vantaggi derivanti dalla loro ubicazione in prossimità di estuari, e cioè nei punti di saldatura della fronte oceanica e di quella fluviale. Questo duplice vantaggio assume un rilievo del tutto particolare in Europa la cui fronte marittima più importante è a settentrione lungo la Northern Range, tra Le Havre ed Amburgo, tratto costiero capace di concentrare i due terzi del traffico oceanico europeo, con un movimento di eccezionale intensità e altamente redditizio, trattandosi non soltanto di petrolio e di cereali ma anche e soprattutto di movimenti internazionali di semilavorati e prodotti finiti. La fronte marittima meridionale dell'Europa risulta invece specializzata nel rifornimento petrolifero del continente, alimentato dai paesi dell'Africa mediterranea e del medio oriente destinate ai porti di Marsiglia, Genova, Augusta, Venezia, Odessa, Costanza, ecc, che fungono da gangli di ridistribuzione verso i grandi centri di consumo situati all'interno del continente. Una parte di questo traffico, costituito soprattutto da carbone, nafta, petrolio, prodotti siderurgici, è raccolta dalla rete fluviale e dai canali in grado di collegare i porti settentrionali ai grandi bacini urbano-industriali dell'Europa centrale mentre in senso inverso, oltre  alle vie del Danubio e del Rodano, assumono un ruolo fondamentale nelle reti degli oleodotti francesi, italiani e balcanici.
A livello mondiale è possibile individuare tre importanti sistemi di navigazione interna e cioè il sistema nord-americano, il sistema russo siberiano e quello europeo nord-occidentale. Il sistema nord americano fondato sui maggiori fiumi del continente (Mississippi e San Lorenzo), nonché su una fitta rete di canali che li collega attraverso la  regione dei grandi laghi, ma aggirando la barriera  orografica dei Monti  Appalachi, è stato concepito nelle sue linee fondamentali prima dell'avvento della ferrovia durante il secolo scorso, ma a più riprese rafforzato da opere grandiose a cominciare dalla St. Lawrence Seaway (1959) che consente alla navigazione oceanica (fino a 20.000 t di stazza) di superare un dislivello complessivo di 183 m attraverso un sistema di chiuse, e di percorrere 3330 km di via canalizzata fino a raggiungere il Lago Superiore e le regioni situate nel cuore del continente nord americano, di cui costituisce infatti la quarta fronte marittima con Montreal nel ruolo di maggiore porto interno del mondo. Il porto di Chicago, distante dal mare oltre 1000 km in linea d'aria, costituisce per movimento commerciale uno dei principali porti degli Stati Uniti la cui rete di navigazione interna, è in acque profonde almeno 3 m. Nonostante i rigori invernali ne blocchino il traffico interno per almeno due mesi l'anno si stima che il movimento complessivo della St. Lawrence Seaway giunga a superare i 300 milioni di tonnellate all'anno.Il sistema russo siberiano valutabile intorno ai 145.000 km di acque interne navigabili, si incentra principalmente sui grandi fiumi del Bassopiano sarmatico e della Siberia, con andamento in prevalenza longitudinale. La maggior parte della rete moderna è stata impostata partire dagli anni 30 di questo secolo grazie all'apertura dei canali Baltico-Mar Baltico, Moscova-Volga e Volga-Don, capaci di permettere il transito in acque profonde ad imbarcazioni di 2000 t di stazza. Il sistema europeo nord-occidentale è infine il più complesso e il meno uniforme, essendo stato concepito non soltanto in epoche successive, ma anche per necessità differenti. Le prospettive per la navigazione interna si rivelano poco soddisfacenti rispetto ad una ventina di anni fa. Infatti, durante gli anni 70, soprattutto nell'Europa orientale, si è assistito ad una ripresa d'interesse, con opere di indigamento del Danubio nel difficile tratto compreso fra le Porte di Ferro e Belgrado, interventi che avevano da un lato ridotto da 100 a 15 h il tempo di risalita dal Mar Nero a Vienna e dall'altro permesso di acquisire una discreta quota di movimento containerizzato. Sempre in quegli anni la Francia aveva provveduto ad adeguare le dimensioni dei canali allo standard europeo delle 1350 t mentre la collaborazione franco-tedesca aveva permesso l'apertura della congiunzione mediterranea- Mar del Nord attraverso Rodano e Reno. In Finlandia, la riapertura del canale Saimaa aveva reso possibile un'intensificazione degli scambi fra l'Unione sovietica e l'Occidente. A partire dagli anni 80 si è assistito invece ad un declino piuttosto generalizzato: infatti nei paesi meglio canalizzati d'Europa si è verificata una stasi o anche forti riduzioni del traffico interno complessivo, come in Francia e in Germania.La complessità materiale delle società industriali e urbanizzate ha dato origine a numerose tecniche di trasporto, un tempo ritenute “ausiliare”, ma oggi difficilmente sostituibili, a cui sono legati gli approvvigionamenti di energia, di acqua e in alcuni casi di materie prime solide. Si tratta di reti che utilizzano in modo autonomo supporti progettati per le particolari esigenze di trasporto che pongono: tubature e condutture in trincea sotterranea o a vista per il trasporto di combustibili (oleodotti e gasdotti); tralicci e condutture sotterranee e sottomarine per il trasporto dell’energia elettrica; reti di acquedotti per l’acqua potabile; teleferiche e funivie per il trasporto di persone e materiali su brevi distanze a forte dislivello, ecc.Il trasporto per condotta, che viene utilizzato per prodotti liquidi, per gas e per solidi polverizzati in sospensione liquida, se da un lato è il meno costoso in termini di gestione dello spazio, dall’altro deve però garantire il proprio ammortamento attraverso la movimentazione di grandi quantità in modo regolare nel tempo e su itinerari fissi. La metà delle installazioni è situata nell’America settentrionale, che vanta il sorgere dei primi oleodotti; seguono, sempre per densità di impianti, l’area ex-sovietica e l’Europa occidentale. Attualmente le condotte nord- americane non sono più utilizzate per il trasporto del greggio, ma solo per i prodotti petroliferi raffinati. La rete degli oleodotti dell’area ex-sovietica è stata realizzata per la duplice necessità di soddisfare il consumo interno e di valorizzare le esportazioni. Ancor più veloce è stato lo sviluppo della produzione di gas naturale che ha permesso all’ex Unione Sovietica di diventare il maggiore produttore-esportatore. La rete dei gasdotti si è sviluppata fino a raggiunger un estensione più che doppia di quella degli oleodotti. Negli anni ‘80 la ristrutturazione del mercato petrolifero mondiale e l’arrivo del gas sovietico hanno modificato la distribuzione territoriale delle condotte europee: infatti la rete dei gasdotti europei si è trovata inserita in un sistema extracontinentale. In linea generale il trasporto di idrocarburi in condotte è entrato in crisi nei paesi non autosufficienti, per i quali è in crescita la dipendenza dal mercato petrolifero internazionale, e quindi dai trasporti marittimi. È questo il caso degli USA, primo consumatore mondiale di petrolio e secondo importatore, che dal 1989 vedono crescere in modo preoccupante la loro dipendenza energetica. Il trasporto combinato “condotta-nave-condotta” è invece importante nel bacino del mediterraneo. Infatti in tale area, se da un lato, in conseguenza delle guerre medio-orientali, sono stati chiusi i terminali nei porti israeliani e libanesi, dall’altro hanno acquisito rilievo quelli libici e l’oleodotto SUMED (Suez – Alessandria), che risolve il problema dell’intransitabilità del canale di Suez da parte delle petroliere di grande stazza. Almeno per il momento il gas naturale, al contrario del petrolio, è quindi caratterizzato da una circolazione prevalentemente continentale, o tutt’al più limitata a brevi bracci di mare, come ad esempio i trasferimenti dall’Algeria alla Sicilia. Solo in un futuro alquanto incerto, lunghe tratte marine dovrebbero invece collegare fra loro la Malaysia, l’Indonesia e le Filippine.Se da un lato il traffico sulle vie d’acque interne risulta in declino un po’ ovunque, dall’altro il trasporto marittimo, sollecitato dalle trasformazioni subite in termini di specializzazioni, sia con riferimento ai mezzi navali che alle strutture portuali, ha fatto sì che oceani, spazi marini e regioni costiere costituiscano ormai l’insieme spaziale maggiormente interessato dal trasporto a lunga distanza. Ne è conseguito un elevato affollamento dei mari “chiusi”, con particolare riguardo al Mare del Nord, al mar Baltico, al Mediterraneo, al mar Nero e al mar della Cina, i cui livelli di inquinamento ambientale sono divenuti allarmanti. Nelle relazioni marittime internazionali e intercontinentali altri nodi nevralgici, caratterizzati da elevatissimi tassi di frequentazione, si individuano in corrispondenza degli stretti e dei canali inter-oceanici, di cui Suez e Panama rappresentano i due casi importanti di riduzione delle distanze via mare. In generale la lentezza continua a rimanere il maggior limite della via di comunicazione marittima rispetto alle altre, anche se il ciclo del trasporto via mare si è notevolmente velocizzato in virtù delle numerose innovazioni tecniche, ribadendo così che sulle lunghe distanze nessun’altra modalità di trasporto è per il momento in grado di sostituirsi a quella marittima. Inoltre la trama degli spostamenti non interessa più soltanto i bisogni energetici dei paesi industrializzati, in quanto essa si è venuta ad intrecciare con i movimenti dei minerali e della materie prime alimentari, dei semilavorati che convergono verso i luoghi di assemblaggio, dei prodotti finiti che si dirigono verso i mercati di consumo, e perfino dei rifiuti che le economie ricche smaltiscono nel terzo mondo. Durante il periodo compreso fra la prima metà degli anni ‘50 e la prima metà degli anni ‘90 il volume del traffico si è così modificato otto volte. Inoltre, sempre dagli anni ‘50, grazie alla razionalizzazione imposta dal container, il valore del traffico è aumentato in misura superiore alle corrispondenti quantità trasportate. La geografia degli scambi marittimi è radicalmente mutata con l’indebolirsi della bipolarità Stati Uniti–Europa ed il parallelo rafforzarsi dei rapporti tra Asia ed Europa. Ancor più in particolare, il Giappone costituisce ormai il maggior polo della vita marittima mondiale. Le relazioni marittime si sono fatte inoltre più intense sulle distanze medio-brevi, mentre quelle intercontinentali sono meno praticate. L’intero settore del trasporto marittimo mostra anche possibilità di adattamento nel breve periodo, che consistono nella variazione del sistema delle rotte e del livello dei noli, sulla base della legge della domanda e dell’offerta e delle quotazioni di mercato. Per questa ragione i due terzi del traffico mondiale si svolgono ormai nella forma di navigazione tramping, e cioè con l’impiego di navi da carico noleggiate a viaggio o a tempo, al di fuori di itinerari o orari stabiliti.  Le linee regolari sono invece riservate alle cosiddette merci ricche, e cioè  ai prodotti industriali in container. Alla fine degli anni ‘70 la diminuzione dei consumi petroliferi da parte dei grandi paesi importatori, dovuta al risparmio energetico e alla crescita dell’impiego di fonti alternative, ha determinato un eccesso di offerta di greggio, con conseguente crollo dei noli in questo ramo dei trasporti marittimi. Tale fatto ha pertanto causato la rapida obsolescenza delle grandi petroliere di stazza superiore alle 300000 t , giudicate troppo rischiose dal punto di vista ambientale e troppo costose sotto il profilo assicurativo, con la conseguenza di un ridimensionamento della flotta petrolifera. È inoltre da osservare che, se fino agli anni 50 vi era stata una buona corrispondenza tra bandiera delle navi mercantili e nazionalità dell’armatore e degli ufficiali di equipaggio, in seguito si è assistito, soprattutto da parte dell’armamento statunitense e greco, all’utilizzazione massiccia delle bandiere ombra (cioè bandiere di uno stato diverso da quello di appartenenza), meno sicure nelle aree a rischio politico-militare, ma più economiche per la possibilità di aggirare gli obblighi di legge imposti dai registri navali nazionali. Nell’epoca dominata dal container tende ad affermarsi il cosiddetto portless port, ossia il “porto senza porto”, semplice punto in cui avvengono i passaggi intermodali, caratterizzato quindi da un elevato grado di accessibilità in acque profonde per i grandi tonnellaggi, e pertanto da banchine e da grandi piazzali dotati di ingenti attrezzature e scarsa manodopera. Il portless port costituisce anche il punto di arrivo di una lunga trasformazione tecnica degli scali, secondo un processo temporale scomponibile in tre fasi. Infatti, già negli anni ‘60 la corsa al gigantismo navale aveva reso obsoleti i vecchi scali, per cui l’accosto delle super petroliere era stato reso possibile dalla creazione di terminali galleggianti sistemati al largo. Alla costruzione di nuove aree portuali si è invece accompagnato lo sviluppo delle ZIP (Zone Industriali Portuali), sorte durante gli anni ‘60 e ‘70 per lo sviluppo litoraneo dell’industria pesante, destinate però a spostarsi verso i paesi terzomondiali. Il parziale fallimento delle ZIP ha accelerato una terza fase di trasformazioni, incentrata da un lato sulla riconversione delle aree industriali portuali in aree di stoccaggio, e dall’altro sulla creazione di nuove banchine dal disegno aperto e lineare, adatto alla movimentazione dei contenitori tramite gigantesche gru di banchina. Parallelamente a quanto si è verificato per gli altri comparti dell’economia, anche quello portuale si è mondializzato, conseguentemente a processi di ristrutturazione delle rotte, della portata e della qualità dei flussi mercantili.Se si escludono alcuni condizionamenti di tipo climatico (nebbie, venti), nonché quelli legati alla portata e al costo del servizio, la mobilità per mezzo di aerei offre il grande vantaggio di poter raggiungere elevate velocità senza ostacoli naturali sul percorso da compiere. Ne consegue che questa forma di trasporto si rivela vantaggiosa nel caso di distanze medio-lunghe, di merci pregiate o deperibili e di passeggeri, nonché in quelle regioni in cui il collegamento di territori isolati e difficilmente accessibili risulterebbe impossibile con l’impiego di altri mezzi. Come osserva il Conti il trasporto passeggeri rappresenta oggi circa i tre quarti del traffico di linea. Il trasporto merci, invece, effettuato tramite aerei cargo, se ancora in un vicino passato riguardava quasi esclusivamente materiale postale, oggi comprende anche pezzi di ricambio dei prodotti dell’industria manifatturiera, beni di consumo di lusso, merci deperibili e animali pregiati. Nel traffico aereo la quota relativa alle merci, seppure ancora inferiore a quella passeggeri, sta tuttavia crescendo più rapidamente della seconda, incentivata dal parallelo aumento del commercio mondiale e dalle sempre maggiori esigenze di tempestività. Un punto debole dell’intero sistema del trasporto aereo è costituito dalle circa duecento compagnie operanti su scala internazionale, alcune di piccolissime dimensioni, altre di dimensioni colossali. Come può esser facile immaginare, l’attività del trasporto aereo si svolge soprattutto nell’emisfero terrestre settentrionale, dove del resto si concentra il 90% della popolazione e delle attività industriali: le aree a traffico più intenso sono distribuite nel Nord America, in Europa ed in estremo Oriente. Soprattutto la terza area negli ultimi decenni ha registrato una crescita particolarmente rapida. Considerando ora la struttura del sistema aeroportuale italiano, vi è anzitutto da osservare la presenza di squilibri, derivanti soprattutto da un’eccessiva proliferazione di scali, sorti durante gli anni ‘50 e ‘60. L’esistenza di una quarantina di scali civili aperti al traffico regolare origina infatti una rete eccessivamente fitta e con inevitabili sovrapposizioni. Con riguardo alle rotte, sempre con riferimento all’Italia, esse sono classificabili in interne, europee, ed intercontinentali. Quelle del primo tipo sono gestite soprattutto dalla compagnia Alitalia, i cui ambiti di competenza sono rivolti a voli di raggio corto o corto- medio. I dati statistici manifestano come il traffico aereo nazionale sia caratterizzato da una bipolarità convergente sugli aeroporti di Roma e Milano. Considerando ora le rotte europee, dominate in maniera preponderante dall’Alitalia, soltanto una decina di aeroporti partecipa a questo tipo di collegamenti, ponendo però l’aeroporto di Linate come il più internazionale nel contesto europeo. Se infine si passa alla scala intercontinentale, la binodalità di Milano e Roma diventa assoluta (100% delle rotte).
5. Informazione e territorio
Come è noto i messaggi interpersonali, che possono esser costituiti da suoni, parole, testi, immagini, si sono via via inseriti negli usi quotidiani. L’insieme di questi strumenti di comunicazione è articolato in aree, separate da confini definiti dagli usi sociali, dalle istituzioni e dalle leggi. Una prima area è costituita dall'editoria in senso lato. Più in particolare, se la sotto-area editoriale soprattutto della carta stampata è generalmente circoscritta ad un ambito regionale o nazionale, la sotto-area legata alla diffusione dei prodotti dell’industria cinematografica e musicale è invece caratterizzata da una circolazione a raggio internazionale. Una seconda area può essere poi individuata nelle reti postali, telegrafiche e telefoniche, soggette ad un regime di monopolio o di quasi monopolio. I confini di ogni rete coincidono in genere con i confini dello Stato, anche se non mancano convenzioni capaci di permettere a loro volta i collegamenti tra le diverse reti nazionali. Una terza rete è costituita invece dall’area delle trasmissioni radiofoniche e televisive. In questo caso i principi che stanno alla base dell’organizzazione di tale forma di informazione sono diversi, in quanto le reti ottengono dallo stato il diritto ad emettere ad una certa frequenza, sulla quale inviano i messaggi che saranno captati dal pubblico nei suoi apparecchi. Con il diffondersi del mezzo televisivo, se da un lato vengono abbattute le barriere che un tempo differenziavano i sessi, le diverse fasce di età e le classi sociali, dall’altro tutto ciò non deve indurre a credere che il formarsi di una città-mondo conduca alla formazione di una società pacifica ed amichevole, in quanto con la parità informativa i gruppi discriminati sono spinti a reclamare l’eguaglianza e a rivendicare la propria identità. Un’ultima area originata da flussi di informazione è quella costituita dalle cosiddette reti telematiche, la cui architettura è costituita da canali di trasmissione, da nodi di accesso e di commutazione. I canali di trasmissione possono essere materiali (cavi telefonici, cavi coassiali, fibre ottiche) oppure immateriali (come i ponti radio). Attraverso la connessione realizzata tra le varie centrali di commutazione si è giunti poi alla costituzione di vere e proprie autostrade telematiche, capaci di movimentare quantità di informazioni enormi e tanto più sviluppate quanto più è progredita la regione che le ospita.Se da un lato il quotidiano a grande tiratura nasce in Inghilterra e negli Stati Uniti intorno alla metà del secolo scorso, il periodico d'informazione divulgativa tende a diffondersi quasi contemporaneamente alla radio, e cioè intorno agli anni 20 del nostro secolo. Come hanno messo in luce alcuni studiosi, i flussi dell'informazione tendono in genere a diramarsi dal centro verso la periferia, a differenza di quelli relativi al denaro, alle merci e alle persone, che invece mostrano in prevalenza una direzione opposta, e cioè dalla periferia verso il centro. Se si restringe poi il campo di osservazione al comparto della carta stampata, si osserva che la scala città-campagna, per esempio, l'ampiezza dei rapporti che intercorrono tra il centro urbano, ove si edita il giornale, e il suo intorno, dove il giornale viene letto, può essere misurata in relazione alla capacità di diffusione del giornale medesimo. Anche alla scala regionale un posto di rilievo spetta all'influenza culturale testimoniata dalla stampa, che viene così ad assumere il ruolo di indicatore preferenziale. E poiché l'organizzazione spaziale della distribuzione della stampa sembra essere legata anche alla gerarchia dei centri, la tiratura dei giornali può essere utilizzata per cogliere la posizione dei centri maggiori all'interno di un sistema di località analizzato in termini christalleriani. Se si condivide poi l'ipotesi di ritenere come “località centrale” il luogo in cui viene pubblicato un quotidiano, diventa allora possibile attribuire il carattere di "polo metropolitano" al centro ove la pubblicazione di quotidiani e di periodici d’informazione generale registra una capacità di diffusione territoriale tale da superare la scala regionale. E poiché l'abitudine alla lettura dei giornali è legata a diversi fattori, quali l'età, il sesso, il livello d'istruzione, la classe di reddito e la condizione professionale, la diffusione dell'editoria giornalistica si presenta come un fenomeno nettamente differenziato dal punto di vista territoriale, tanto che uno studio relativo al rapporto tra quotidiani e società in provincia di Bergamo, ha messo in luce che ad un indice di lettura pari a 100 in città corrisponde in provincia un valore medio inferiore a 30. Anche con riguardo alla situazione generale italiana, se da un lato la lettura del quotidiano costituisce un'abitudine più diffusa al Nord che non al Sud, dall'altro la produzione di stampa periodica appare segnata da profondi divari territoriali. Sempre alla stessa epoca, la maggior quota di stampa periodica a grande tiratura risultava nelle mani di pochi editori in grado di controllare i tre quarti circa della produzione nazionale. Un siffatto tipo di struttura è comunque individuabile in quasi tutti i Paesi del mondo, dal momento che la direzione dei più importanti mass-media risulta localizzata nella località centrale o in poche località centrali di rango più elevato. Non va comunque dimenticato che la stampa e la televisione, oltre ad informare, riescono anche ad orientare culturalmente la popolazione, influenzando talvolta anche la condotta governativa e quella degli operatori economici. A questo riguardo i Paesi più potenti, nell'imporre le loro decisioni politiche a scala mondiale, quasi sempre si avvalgono dell'azione svolta dalle cosiddette agenzie di stampa.La diffusione dell'informazione televisiva vede i suoi inizi negli Stati Uniti a partire dai primi anni dell'ultimo dopoguerra, ed una decina di anni dopo in molti Paesi europei. L'industria televisiva pubblicitaria risulta concentrata negli Stati Uniti, capaci da soli di assorbire 21 delle prime 25 imprese specializzate in questo genere di servizi. Gli altri due poli mondiali sono invece costituiti dal Giappone (Toyota, Nissan) e dall'Europa (Nestlè), entrambi in fase di fortissima crescita. Va comunque precisato che il sistema televisivo statunitense è impostato secondo un modello ad integrazione verticale, dal momento che esiste una netta distinzione tra emittenti locali ed emittenti nazionali. Al contrario, nella maggior parte dei Paesi europei, e soprattutto in Italia, questa distinzione non esiste, in quanto ogni emittente è dettagliante e vende direttamente al pubblico, sia esso locale o nazionale, originando così un modello ad integrazione orizzontale in cui la Rai e la Mediaset hanno dato vita ad un regime di quasi duopolio.Considerando ancor più in particolare il caso italiano va infatti osservato che a partire dagli inizi degli anni 80, con il consolidarsi di networks privati e della situazione duopolistica, l'emittenza pubblica da un lato e quella commerciale mono-proprietaria dall'altro hanno assorbito la quasi totalità dell'ascolto. Limitando infine il discorso ai soli notiziari televisivi, uno studio rilevava che questa forma di informazione risultava quella preferita da circa il 40% della collettività, con punte massime in Toscana e minime in Campania, mostrando comunque indici elevati nel Centro-Nord-Est, intermedi nel Nord-Ovest, minimi nel Mezzogiorno. A partire dall'ultimo dopoguerra la crescente diversificazione delle strutture produttive e il forte aumento della mobilità di beni e persone hanno causato un parallelo aumento della domanda di informazioni, disimpegnate soprattutto dal telefono, il mezzo capace di offrire una capillare rete interattiva, sia a livello di imprese, sia a livello delle famiglie. Più in particolare, con l'entrata in funzione delle centrali elettroniche, che sostituiscono quelle elettromeccaniche, nonché per effetto del collegamento planetario costituito da un sistema di satelliti artificiali, e ancora per l'impiego delle fibre ottiche, le reti telefoniche sono state messe in grado di centuplicare la velocità di trasmissione, favorendo al tempo stesso la nascita di un sistema di comunicazioni e di trasmissione di informazioni, capace di collegare qualunque utente con archivi e banche dati. La rete telefonica mondiale presenta maglie geografiche molto diseguali: il 34% della rete si addensa negli Stati Uniti e nel Canada, l'11% in Giappone, il 34% nell'Europa occidentale. Nei Paesi sviluppati vi sono 35 volte più telefoni in rapporto alla popolazione che nel Terzo Mondo: è un divario che esaspera e tende a perpetuare le situazioni di arretratezza. L'entità dei flussi di comunicazioni telefoniche è stata presa in considerazione da taluni studiosi come indicatore sintetico dell'intensità delle relazioni che possono intercorrere fra diverse località o aree. Sulla base di tale indagine è scaturito anzitutto che i flussi prevalenti in entrata di primo ordine (il maggiore in ordine di grandezza,misurata in erlang) si indirizzano tutti verso i distretti di Milano e di Roma. Con riguardo ai flussi prevalenti in entrata di secondo ordine si osserva una situazione simmetrica alla precedente. I flussi prevalenti di terzo ordine si ripartiscono infine nella maniera seguente: mentre da un lato Torino attrae i flussi di cinque distretti e Genova quelli di due distretti, dall'altro Bologna, Firenze e Napoli attraggono i flussi originati rispettivamente da Firenze, Bologna e Bari. Infine per quanto riguarda i flussi di traffico per la trasmissione di dati, emerge la centralità del polo milanese.Nel 1969 il governo degli Stati Uniti finanziò Darpanet: una rete di computer per collegare i centri di ricerca privati e universitari impegnati in programmi militari e spaziali. Agli inizi degli anni 80 venne costituita una seconda rete, Milnet, per consentire comunicazioni non soggette a segreto militare fra università e scienziati. Darpa e Milnet furono interconnesse a formare Darpa Internet, successivamente integrata da altre reti più aperte, che nel loro complesso hanno finito per essere denominate col generico termine "Internet" (rete delle reti), soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni 80, quando la NFS (National Foundation Science) creò cinque grandi centri dotati di supercomputer capaci di collegare scienziati e ricercatori. Da allora, le altre innumerevoli reti si vennero a collegare con questi enormi elaboratori ultraveloci, con un ritmo di crescita pari al 10-15% ogni mese. Internet collega tra loro università, biblioteche, centri di ricerca, imprese, singoli professionisti, offrendo loro servizi quali la posta elettronica, le liste di discussione su specifiche tematiche, la consultazione dei cataloghi di biblioteche, la possibilità di accedere a determinati database, software, riviste e libri elettronici, nonché di utilizzare le risorse di calcolo offerte da un elaboratore lontano anche migliaia di chilometri. Gruppi composti anche da migliaia di utenti che abbiano un interesse in comune possono partecipare collettivamente alla discussione di un argomento: anziché inviare una copia del proprio messaggio a ciascuno degli interlocutori, l'utente indirizza il proprio messaggio a un list-server, che ridistribuisce automaticamente il testo a tutti gli interessati. Internet, a partire dagli anni 90, si presenta come “rete mondiale”; infatti la sua diffusione in 160 Paesi le ha permesso di diventare strumento di confronto, di dialogo e di scambio. Seguendo un modello quasi generale a tutti i Paesi utilizzatori di questo servizio informatico, anche in Italia Internet ha fatto il suo ingresso come via di accesso ai grandi centri di ricerca americani, quando, nel 1988, l'Università di Pisa realizzò un collegamento via satellite con la NASA per una ricerca in comune. Nell'anno successivo si è provveduto alla costituzione del Gruppo Armonizzazione Reti della Ricerca (GARR), istituito per coordinare le politiche di sviluppo di reti scientifiche in Italia, facendole confluire su una sola infrastruttura nazionale. Trattandosi di un’iniziativa finanziata pubblicamente, la rete GARR poteva essere però utilizzata solo per attività connesse alla didattica universitaria, allo sviluppo di programmi di ricerca e alla diffusione di informazioni di natura scientifica. Allo sblocco della situazione si è giunti nel 1994, anno in cui il colosso europeo delle telecomunicazioni UNISOURCE ha stabilito a Milano la sua prima sede, favorendo così lo sviluppo e la rapidità dei collegamenti internazionali. Nonostante il servizio Internet in Italia sia ancora nella fase di decollo, il suo sviluppo è stato sorprendente, sia in termini di host, sia in termini di utenti.Nonostante la crescente terziarizzazione dell’economia e del lavoro, nelle economie avanzate il modo di produrre fordiano, basato sulla centralità delle catene di montaggio, ha resistito fino agli anni 70 – 80 e solo in tempi più recenti si sono fatti strada nuovi paradigmi produttivi. In questa nuova realtà, se da un lato le aziende si delocalizzano, sfruttando le reti già esistenti e la nascita di nuove infrastrutture, dall’altro prendono piede nuove forme di prestazioni lavorative, un tempo definite atipiche e oggi invece sempre più tipiche. Tra queste, il telelavoro, è quella che colpisce l’immaginario collettivo, dal momento che l’uso di nuove tecnologie offre la possibilità di lavorare senza spostarsi dalla propria residenza e di conseguenza svincola dal condizionamento dei mezzi di trasporto, permettendo al tempo stesso una riduzione dell’inquinamento ed un miglior utilizzo degli spazi urbani. Pur non essendo ancora giunti ad una definizione univoca di telelavoro, secondo la concezione francese questa nuova tecnica produttiva riguarderebbe tutte le attività terziarie caratterizzate da servizi informativi effettuati a distanza attraverso l’uso dei più avanzati mezzi di telecomunicazione. Tale concezione permette di considerare il telelavoro quale elemento strategico per l’attenuazione di parte degli squilibri esistenti sul territorio, sia a scala locale che nazionale. Attraverso tale via, il telelavoro, ridimensionando i fenomeni di pendolarismo, permetterebbe anzitutto il decentramento produttivo ed insediativi, con una conseguente ridistribuzione territoriale più equilibrata, sia delle imprese che delle residenze. In secondo luogo favorirebbe i processi di rivitalizzazione delle aree marginali e dei quartieri metropolitani in stato di degrado, riducendone al tempo stesso il traffico e l’inquinamento. Questa nuova tecnica di organizzazione del lavoro offrirebbe maggiori opportunità lavorative nei riguardi di particolari figure sociali. Il telelavoro, infine, dovrebbe anche costituire un fattore di competizione per un più facile inserimento degli operatori economici nei mercati esteri: infatti l’annullamento del fattore distanza e l’accesso in tempo reale all’informazione permette di tessere legami telecomunicativi anche con paesi esteri all’intero di una mondializzazione dell’economia. Le opportunità offerte dal telelavoro sono pertanto consistenti, ma per il momento, almeno a larga scala, restano su un piano più potenziale che reale. È comunque certo che il lavoro a distanza non rappresenta più un possibile scenario futuro, ma incomincia ad essere studiato e sperimentato da parte di grandi imprese statunitensi ed europee, e in misura marginale anche in Italia. Sebbene affascinante la concezione del lavoro a distanza presenta alcuni limiti che ne frenano il diffondersi nella vita sociale e in quella d’impresa. Sulla base di un’indagine condotta su un campione di telelavoratori statunitensi e inglesi, è risultato che il vincolo principale si individua nell’atteggiamento culturale, poco incline al modificare l’ubicazione del luogo di lavoro: in altre parole, la movimentazione dalla propria residenza al posto di lavoro è diventata una routine consolidatasi fin dal periodo dell’industrializzazione. Accanto a questo atteggiamento abitudinario, si evidenziano poi altri vincoli, come ad esempio quelli legati ad un eccessivo isolamento, alla maggiore difficoltà di aggiornamento professionale e al consumo di spazi domestici. Per quanto riguarda invece le aziende, i principali ostacoli all’introduzione del telelavoro possono essere ricercati  nella difficoltà di elaborare ed applicare nuovi modelli di gestione in sintonia con il nuovo modo di impiego delle risorse umane, in conseguenza della mancanza di un adeguato controllo sui telelavoratori. Infine, come ulteriore vincolo, vanno considerate le resistenze di tipo sindacale, sia per la difficoltà di valutazione della qualità dei telelavoratori, sia per la rigidità e l’arretratezza della regolamentazione del lavoro.
Un’altra nuova forma tecnica di diffusione spaziale offerta dalla telematica è costituita dall’istruzione a distanza, soprattutto quella superiore, il cui decollo è ancora in una fase del tutto sperimentale. Anche per questo servizio innovativo, se da un lato si può ipotizzare un suo carattere di compensazione nel riequilibrio delle condizioni di sviluppo locali, dall’altro non si può disconoscere che la convenienza di attuazione può agire soltanto nel rispetto di determinate soglie dimensionali, per cui tale servizio dovrebbe tendere ad affermarsi soltanto laddove più maturo si presenta l’ambiente economico ed organizzativo destinato ad accoglierlo. Con riferimento all’esperienza italiana l’iniziativa di maggiore rilievo è forse quella avviata dal Cud (Consorzio per l’Università a Distanza): la sua iniziativa ha come elemento portante la cosiddetta unità didattica, operante sotto il controllo di un tutor e in collaborazione con il docente. Il materiale didattico è composto per una parte da dispense, per un’altra da software didattico da utilizzare su p.c. e successivamente in rete, per una terza parte da altre forme di registrazione utilizzanti supporti magnetici. Tra gli effetti di natura territoriale conseguenti ad un possibile diffondersi dello studio a distanza, Bozzetti ne individua alcuni. Un primo riflesso riguarda l’ampliamento spaziale dell’offerta di istruzione superiore, che potrebbe così raggiungere un livello di capillarizzazione, consentendo al tempo stesso di sfruttare i vantaggi delle economie di scala derivanti dallo sfruttamento delle competenze e delle strutture dei centri universitari già esistenti. Lo studio a distanza non abbisogna poi di apposite delibere legislative, essendo inquadrabile nella normativa già esistente. Infine questa nuova forma di istruzione, per poter raggiungere la soglia di economicità funzionale, non abbisogna di una consistente domanda di formazione. Tra i numerosi esempi di istruzione a distanza offerti dai paesi esteri vi è quello realizzato dall’Università di Hagen, la cui progettazione e realizzazione parte dal presupposto che questa nuova forma di istruzione debba essere intesa come un sorta di banca – dati per gli studenti. Un ulteriore momento organizzativo è costituito dai subcentri, destinati a sostituire i colloqui e l’attività tutoriale esistente presso un’università organizzata in senso tradizionale. Un terzo ed ultimo momento organizzativo è costituito dall’esistenza di una rete dei flussi di informazione diretta tra studenti e professori.
Le nuove tecnologie dell’informazione hanno introdotto innovazioni di ampia portata, i cui effetti hanno riguardato ogni settore economico e quindi anche il comparto dei trasporti, interessato da profonde trasformazioni di carattere organizzativo, tutte mirate ad un aumento della produttività e della qualità dei servizi offerti. I grandi piani di sviluppo delle nuove forme di telecomunicazione si sono però scontrati con la portata dei capitali da investire per realizzarli e pertanto si è cercato finora di attuare una politica a breve termine e più ridimensionata nei costi, tendente a concentrare l’innovazione telematica in spazi limitati, attraverso la costituzione dei cosiddetti teleporti. Il teleporto si articola in una base terrestre di ricezione – trasmissione via satellite (la cosiddetta testa di rete) e di una rete di distribuzione locale in fibra ottica, capace di distribuire tempestivamente un elevato numero di informazioni. Gli obiettivi che i promotori dei teleporti si propongono si possono ricondurre a tre: l’affermazione di nuove strategie industriali ed urbane, lo sviluppo di collegamenti a lunga distanza, la promozione di nuove applicazioni telematiche. Da queste premesse scaturisce che il successo di un teleporto risulta strettamente legato all’utilizzo di tecnologie avanzate in campo telematico e all’intensificazione delle sue relazioni di interdipendenza con il contesto urbano a cui è legato. L’automazione telematica, oltre a produrre alcuni radicali effetti positivi, in termini di riduzione dei tempi di sosta dei mezzi di trasporto potrebbe anche condurre a situazioni di maggiore libertà localizzativa, dal momento che molti scambi di informazione possono realizzarsi attraverso applicazioni informatiche. Il punto centrale è che il centro marittimo rimanga titolare delle funzioni direzionali delle attività produttive che ad esso fanno capo. Al contrario la fuga incontrollata al di fuori della regione portuale comporta una caduta dei livelli occupazionali della regione stessa.

 

Fonte: http://davidebenza.altervista.org/triennale/Geografia.zip

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