Filosofia riassunti

 

 

 

Filosofia riassunti

 

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Φιλοσοφία

 

Qualche considerazione tanto per iniziare

 

  • Una mentalità diffusa, che tende a valutare  le attività dell’uomo in base al criterio dell’utilità, dell’operatività…in forza di una visione delle cose pragmatica, determinata dal culto del denaro, del successo, dell’efficienza finisce spesso per produrre un giudizio genericamente negativo nei confronti della filosofia , concepita come  amore per il sapere fine a se stesso.
  • Questa valutazione della filosofia non appartiene però solo al nostro mondo. Anche nell’antichità, infatti, possiamo trovare qualche atteggiamento di diffidenza nei confronti dell’esercizio del pensiero che sembra perdere di vista la dimensione terrena e concreta delle cose.

 

Platone  e Aristotele  ci raccontano due aneddoti su Talete :

Di Talete si racconta che, mentre osservava le stelle e guardava all’insù, cadesse in un pozzo e fosse preso in giro da una serva tracia, spiritosa e aggraziata, la quale disse che lui si appassionava a conoscere le cose del cielo, ma gli sfuggivano quelle davanti a lui e proprio ai suoi piedi”

“..dato che lo rimproveravano a causa della sua povertà, quasi che la filosofia sia inutile, dicono che lui, essendosi reso conto, in base all’osservazione degli astri,che ci sarebbe stato un raccolto abbondante di olive, ancora durante l’inverno mise insieme una piccola somma di denaro e distribuì anticipi pere tutti i frantoi di Mileto e Chio…E quando giunse il momento del raccolto, e ci fu una grande domanda , simultanea e improvvisa di frantoi, li diede in affitto alle condizioni da lui volute, e guadagnato molto denaro dimostrò che è facile per i filosofi essere ricchi, se lo vogliono, ma che non è questo l’oggetto dei loro sforzi”

  • Non dimentichiamo poi l’idea , presente nel mondo moderno come in quello antico ( anche se in modo meno incisivo) del filosofo come uomo isolato, bizzarro, che conduce una vita anomala e , spesso, fatta oggetto di valutazioni caricaturali

 

>Diogene Laerzio ci racconta quanto segue della fine del filosofo Eraclito

“..alla fine divenne misantropo ( μισέω  ἄνθρωπος) e s’appartò dall’umano consorzio e trascorreva la vita sui monti, cibandosi di erbe .Per questo tenore di vita fu colpito da idropisia e fece ritorno in città..Eraclito chiese ai medici se fosse possibile espellere l’acqua vuotando gli intestini e, poiché, quelli risposero negativamente, egli si pose al sole e ordinò ai suoi servi di spalmarlo con lo sterco dei buoi, e in mezzo ai tormenti si spense il giorno dopo e fu sepolto nella piazza”

 

Definizione di filosofia

Filosofia deriva dal greco φιλέω   σοφἱα ed indica l’amore per la sapienza.  Questa parola ha un carattere doppio, giacché contiene la tensione verso un oggetto e l’oggetto cui la tensione fa riferimento. Questa doppiezza permane nello statuto stesso della filosofia ed indica, nello stesso tempo, una condizione di sapere e una continua disposizione alla ricerca.

 

 

Filosofia come ricerca   Filosofia come Scienza

Secondo una tradizione, che risale ad Eraclide Pontico (IV sec.a.C.), il primo ad usare questo termine fu Pitagora (VI-V sec.a.C.) che parlava di sé come filosofo, in altre parole come amante del sapere, con un’accezione poi ripresa da Platone che distingueva tra “filodossi” e “filosofi” (amanti dell’opinione e amanti del vero sapere).

 

 δόξα 
  • ὲπιστήμη
  • γνῶσις
  • λόγος   
  • ἀρμονία    
  • κόσμος
  • διάνοια
  • φύσις
  • μετά τά φυσικά
  • μαιευτικά τέχνη

 

 

 

ALCUNE QUESTIONI

 

  • Cosa lega l’uomo alla filosofia?
  • C’è collegamento tra filosofia e felicità?
  • La doppia natura della filosofia
  • La filosofia come ricerca della verità o come anestesia rispetto alla verità?

 

 

A Cosa lega l’uomo alla filosofia?

 In un’opera giovanile, il Protreptico, Aristotele scrive: ”.Se si deve filosofare, si deve filosofare, e se non si deve filosofare, si deve filosofare: in ogni caso dunque si deve filosofare.Se, infatti, la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo tenuti a cercare come mai la filosofia non esiste, e cercando facciamo filosofia, dal momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia”.
Non è possibile rinunciare in modo totale alla riflessione filosofica: anche nel caso in cui si dovessero rifiutare la riflessione e, con essa, la ricerca o anche il semplice interesse per la verità,   sarebbe inevitabile una sorta di giustificazione, quindi l’assunzione d’atteggiamento speculativo. Sempre Aristotele, nel libro I della Metafisica, collega la nascita della filosofia allo stupore che l’uomo prova nei confronti della realtà che lo circonda. Scrive: “..gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto…Chi è nell’incertezza e nella meraviglia crede di essere nell’ignoranza (perciò anche chi ha propensione per le leggende è, in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose); e quindi se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all’ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico…E’ chiaro allora che noi ci dedichiamo a tale indagine senza mirare ad alcun bisogno che ad essa sia estraneo, ma, come noi chiamiamo libero, un uomo che vive per sé e non per un altro, così anche consideriamo tale scienza come la sola che sia libera, giacché essa soltanto esiste di per sé.”
La dedizione alla filosofia è sintomo di una vita libera. Per Aristotele la libertà consiste nell’agire  indipendente dai bisogni o dalla realizzazione di fini materiali. In questo senso la ricerca filosofica si presenta come l’attività per eccellenza dell’uomo libero: si tratta di quell’attività teoretica che viene ,in modo particolare elogiata nell’Ethica Nicomachea, come ciò che rende l’uomo simile agli dei. “..se ..l’attività dell’intelletto, essendo contemplativa, sembra eccellere per dignità e non mirare a nessun altro fine al di fuori di se stessa…allora questa sarà la felicità perfetta per l’uomo, se avrà la durata intera della vita…Se dunque in confronto alla natura dell’uomo l’intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme ad essa  sarà divina in confronto alla vita umana.” (Eth.Nic. X,7)

B C’è collegamento tra filosofia e felicità?

L’esercizio della filosofia  viene da  alcuni inteso come parte integrante dell’esperienza esistenziale dell’uomo: la pratica della filosofia arricchisce la vita, dà consapevolezza e consente  di vivere con profondità.  Nella Lettera  a Meneceo,  Epicuro (IV-III sc.a.C) invita il suo interlocutore a dedicarsi all’esercizio della filosofia  sicuro del fatto che  si tratta di un’attività che arricchisce l’uomo in tutte le fasi della sua vita.
“Non indugi il giovane a filosofare, né il vecchio se ne stanchi. Nessuno mai è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell’anima. Chi dice che l’età per filosofare non è ancora giunta o è già trascorsa, è come se dicesse  che non è ancora giunta o è già trascorsa l’età per la felicità. Devono filosofare sia il giovane sia il vecchio; questo perché , invecchiando, possa godere di una giovinezza di beni, pere il grato ricordo del passato; quello perché possa insieme esser giovane e vecchio per la mancanza di timore del futuro. Bisogna dunque esercitarsi in ciò che produce la felicità: se abbiamo questa possediamo tutto; se non la abbiamo, cerchiamo di far tutto per possederla”.

 

C  La doppia natura della filosofia

Nel pensiero platonico la filosofia è spesso collegata all’amore. Si tratta di un collegamento fondato sull’immagine della doppia natura di Amore e della Filosofia. La filosofia nasce da un desiderio di verità che consiste nell’aspirazione all’unità con ciò da cui si è stati separati. Da questo punto di vista l’esercizio della ricerca filosofica può essere paragonato ad un viaggio attraverso il quale   la coscienza  si avvicina progressivamente alla meta senza mai raggiungerla pienamente. Potrebbe risultare facile un parallelo con il viaggio dell’Ulisse omerico il quale, dopo mille avventure, giunge a casa, torna al luogo da cui è stato separato per tanto tempo
( filosofia come nostalgia  νόστος  ἀλγία). Ma forse un parallelo più convincente può essere condotto con  l’atteggiamento dell’Ulisse dantesco che non trova pace nello stare a casa e che  destina la sua esistenza all’instancabile ricerca, fino all’estremo sacrificio. Uno studioso italiano, Vittorio Mathieu, ci spiega  in che cosa consiste questa doppia valenza della filosofia: “La parola filosofia si compone di due parti, la prima delle quali indica un’aspirazione , un tendere verso qualcosa che non si possiede ancora compiutamente, mentre la seconda indica il termine a cui tale aspirazione si dirige: sapienza…Nel primo caso si darà importanza , nel valutare l’attività filosofica, all’impegno personale di ricerca del filosofo e al suo atteggiamento di fronte alla vita; nel secondo, piuttosto, al contenuto della dottrina professata, indipendentemente dal modo di giungervi…( da Vitt. Mathieu)

D La filosofia come ricerca della verità o come anestesia rispetto alla verità?

Nietzsche (1844-1900)  lega la filosofia (tradizionalmente intesa come ricerca di verità attraverso l’individuazione del senso del mondo) ad una specie di anestesia  della coscienza. Per paura di soffrire di fronte all’esperienza della verità l’uomo costruisce un mondo fittizio al quale affida il compito di dare senso alla vita e di renderne così accettabili i vari aspetti.       
“La storia della filosofia è una furia segreta contro i presupposti della vita, contro i sentimenti di valore della vita, contro il prender partito a a favore della vita. I filosofi non hanno mai esitato ad affermare un mondo purchè esso contraddicesse questo mondo presente, purchè offrisse appiglio per parlar male di questo mondo E’ stata questa finora la grande scuola della denigrazione..”( Framm. Postumi 1884)
“La verità non è pertanto qualcosa che esiste e che sia da trovare, da scoprire, ma è qualcosa che è da creare e che dà il nome ad un processo, anzi ad una volontà di soggiogamento che di per sé non ha mai fine: introdurre la verità come un processo ad infinitum, un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa che sia in sé fisso e determinato. E’ una parola per la volontà di potenza” ( Framm.Postumi 1887)

 

Testi

 

  1. ”Di Talete si racconta che, mentre osservava le stelle e guardava all’insù, cadesse in un pozzo e fosse preso in giro da una serva tracia, spiritosa e aggraziata, la quale disse che lui si appassionava a conoscere le cose del cielo, ma gli sfuggivano quelle davanti a lui e proprio ai suoi piedi” (da Platone)

 

  1. “..dato che lo rimproveravano a causa della sua povertà, quasi che la filosofia sia inutile, dicono che lui, essendosi reso conto, in base all’osservazione degli astri,che ci sarebbe stato un raccolto abbondante di olive, ancora durante l’inverno mise insieme una piccola somma di denaro e distribuì anticipi pere tutti i frantoi di Mileto e Chio…E quando giunse il momento del raccolto, e ci fu una grande domanda , simultanea e improvvisa di frantoi, li diede in affitto alle condizioni da lui volute, e guadagnato molto denaro dimostrò che è facile per i filosofi essere ricchi, se lo vogliono, ma che non è questo l’oggetto dei loro sforzi” (da Aristotele)
  1. “..alla fine divenne misantropo ( μισέω  ἄντρωπος) e s’appartò dall’umano consorzio e trascorreva la vita sui monti, cibandosi di erbe .Per questo tenore di vita fu colpito da idropisia e fece ritorno in città..Eraclito chiese ai medici se fosse possibile espellere l’acqua vuotando gli intestini e, poiché, quelli risposero negativamente, egli si pose al sole e ordinò ai suoi servi di spalmarlo con lo sterco dei buoi, e in mezzo ai tormenti si spense il giorno dopo e fu sepolto nella piazza” (da Diogene Laerzio)

 

  1. ”.Se si deve filosofare, si deve filosofare, e se non si deve filosofare, si deve filosofare: in ogni caso dunque si deve filosofare.Se, infatti, la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo tenuti a cercare come mai la filosofia non esiste, e cercando facciamo filosofia, dal momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia”.(da Aristotele)
  1.  “..gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto…Chi è nell’incertezza e nella meraviglia crede di essere nell’ignoranza (perciò anche chi ha propensione per le leggende è, in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose); e quindi se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all’ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico…E’ chiaro allora che noi ci dedichiamo a tale indagine senza mirare ad alcun bisogno che ad essa sia estraneo, ma, come noi chiamiamo libero, un uomo che vive per sé e non per un altro, così anche consideriamo tale scienza come la sola che sia libera, giacché essa soltanto esiste di per sé.” (da Aristotele)

 

  1. “..se ..l’attività dell’intelletto, essendo contemplativa, sembra eccellere per dignità e non mirare a nessun altro fine al di fuori di se stessa…allora questa sarà la felicità perfetta per l’uomo, se avrà la durata intera della vita…Se dunque in confronto alla natura dell’uomo l’intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme ad essa  sarà divina in confronto alla vita umana.” (da Aristotele)
  • “Non indugi il giovane a filosofare, né il vecchio se ne stanchi. Nessuno mai è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell’anima. Chi dice che l’età per filosofare non è ancora giunta o è già trascorsa, è come se dicesse  che non è ancora giunta o è già trascorsa l’età per la felicità. Devono filosofare sia il giovane sia il vecchio; questo perché , invecchiando, possa godere di una giovinezza di beni, pere il grato ricordo del passato; quello perché possa insieme esser giovane e vecchio per la mancanza di timore del futuro. Bisogna dunque esercitarsi in ciò che produce la felicità: se abbiamo questa possediamo tutto; se non la abbiamo, cerchiamo di far tutto per possederla”.(da Epicureo)

 

  1. “La storia della filosofia è una furia segreta contro i presupposti della vita, contro i sentimenti di valore della vita, contro il prender partito a a favore della vita. I filosofi non hanno mai esitato ad affermare un mondo purché esso contraddicesse questo mondo presente, purché offrisse appiglio per parlar male di questo mondo E’ stata questa finora la grande scuola della denigrazione..”(da Nietzsche)

 

  1. “La verità non è pertanto qualcosa che esiste e che sia da trovare, da scoprire, ma è qualcosa che è da creare e che dà il nome ad un processo, anzi ad una volontà di soggiogamento che di per sé non ha mai fine: introdurre la verità come un processo ad infinitum, un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa che sia in sé fisso e determinato. E’ una parola per la volontà di potenza” (da Nietzsche)
  1. “La parola filosofia si compone di due parti, la prima delle quali indica un’aspirazione, un tendere verso qualcosa che non si possiede ancora compiutamente, mentre la seconda indica il termine a cui tale aspirazione si dirige: sapienza…Nel primo caso si darà importanza , nel valutare l’attività filosofica, all’impegno personale di ricerca del filosofo e al suo atteggiamento di fronte alla vita; nel secondo, piuttosto, al contenuto della dottrina professata, indipendentemente dal modo di giungervi…(da Vitt.Mathieu)

 

Il tema della storia

 

 

"C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. " (W Benjamin)

 

Alcune riflessioni iniziali:

  • La conoscenza del passato ha un peso decisivo nella nostra vita. La scrittrice inglese V.Woolf ci ricorda che quando il presente ci risulta piatto e stagnante, andare al passato diventa una sorta di scelta obbligata e che, proprio nel momento in cui procediamo in questo viaggio, viviamo più intensamente il nostro presente.

 

  • La storia fa parte, dice il filosofo Herder, della formazione dell’umanità. Nel titolo di un suo famoso scritto emerge una chiara connessione tra filosofia della storia ed educazione dell’umanità: il conoscere il passato contiene l’indicazione dei compiti che ogni generazione sembra avere.
  • Attraverso la comprensione storica l’uomo prende coscienza della storicità della sua condizione e per questo vede aprirsi davanti la possibilità di modificare la realtà. Da questo punto di vista la storia apre all’esperienza della libertà

 

IL MITO

Come la filosofia , anche la storia nasce  come distacco dal mito
Nel mondo arcaico il mito rappresenta un modo di guardare al passato al fine di scoprire l’origine della comunità e di legittimare i valori, i modi di vivere, le istituzioni che la caratterizzano. Il mito è una narrazione di eventi, non collocabili in un dato momento della storia e cerca di dare spiegazione della condizione esistenziale dell’uomo per quanto riguarda l’origine del mondo, il rapporto con la divinità, il rapporto con la natura…

 

La Teogonia di Esiodo

  • Nella Θεογονία (1022 versi) Esiodo, che vive a cavallo tra VIII e VII secolo a.C., narra della nascita degli dei: essi provengono da una realtà antecedente, il Caos (il termine indica un “vuoto spalancarsi”- τό χάος    χαίνω      ἐν ἀτρύτω χάει

 

  • Nella parte iniziale del poema (1-115) troviamo un lungo inno alle Muse incontrate da Esiodo stesso sul monte Elicona. Il poeta riceve il ramo d’oro grazie al quale emerge il suo ruolo privilegiato di cantore della verità
  • Gli studiosi notano delle affinità con altre produzioni culturali legate al mondo omerico o al vicino Oriente (es. il mesopotamico Enuma Elis)

 

  • Nell’altra opera di Esiodo, Ἔργα καὶ ἡμέραι  troviamo un’idea della storia come progressiva decadenza  attraverso la comparsa in successione di razze che a partire da quella aurea (vissuta senza pene e fatiche) arrivano fino alla nostra segnata da intelligenza ma anche da violenza e forte conflittualità

 

DAL   μῦθος    λόγος

Per molto tempo gli studiosi hanno visto in questo passaggio da una forma narrativa (fantastica?) di descrizione della realtà ad un’altra, astratta, rigorosa, impersonale (scientifica?) una sorta di maturazione della conoscenza dell’uomo nella direzione di un sapere oggettivo ed universale.

 

                                                     Racconto di eventi relativi a
                                                     origine universo-divinità-relazioni tra uomini     
MITO                                                                     

                                                      Legittimazione di modi di vivere
e di una organizzazione sociale

                                                              filosofia
LOGOS è razionalità
Scienza

 

Aristotele ha dato il via a questo tipo di interpretazione: a suo parere mentre gli arcaici teologizzavano, gli scienziati di Mileto ritenevano che “ i soli principi di tutte le cose fossero quelli di natura materiale.
Studi più recenti fanno invece vedere che:

                                                                                non è lineare e totale

Il passaggio dal mito al logos

                                                                               è problematico e complesso

 

LA STORIOGRAFIA ANTICA

L’ambiente in cui si affermano le prime forme di storiografia greca sono le colonie dell’Asia Minore, grazie al contatto con popolazioni del Vicino Oriente.In questo ambito culturale si afferma una nuova concezione razionale del mondo, un terreno fertile su cui si sviluppa il naturalismo ionico                                                                                                                                                                            la prima storiogra
(un motivo di riflessione: la pluralità culturale favorisce lo sviluppo della visione laico-razionale della realtà; la molteplicità, infatti, delle narrazioni mitiche consente di svelare il carattere soggettivo delle stesse. Scuola del sospetto ante litteram?)

 

Le prime forme della storiografia nel mondo arcaico

I primi storici greci sono solitamente indicati con il nome di logografi Si tratta di un termine che Tucidide userà in tono sarcastico: i λογογράφοι  sono gli “scrittori di storielle. Va ricordato anche  che , sempre nell’uso dello stesso termine, nell’Atene classica si indicava lo scrittore  professionista, impiegato in ambito giudiziario che , dietro compenso, confezionava un discorso mettendo assieme vari argomenti  e ,tra questi, una reinvenzione del passato

Al di là di questa “condanna” senza dubbio legata alle convinzioni di Tucidide, possiamo delineare, parlando dei logografi, il quadro della produzione  storiografica precedente Erodono e caratterizzata da una certa  varietà nella narrazione storica

 

Genealogia

γένος   λόγος

Fondazione di città

κτίσεις

Storia locale

ὦρος

Periegesi

περιήγησις

 

Ecateo di Mileto

  • A cavallo tra VI e V sec. A.C.- coinvolto nella rivolta ionica contro i Persiani dal 499 al 494 a.C.) Abbiamo informazioni sulla sua vita ed attività da Erodono che lo presenta come prima figura rilevante della storiografia greca
  • Della sua opera Γενεηλογίαι  in 4 libri abbiamo 35 frammenti. Questo materiale colloca l’opera nel passaggio dal μῦθος al λόγος perché presenta caratteri contrapposti:

 

  • L’opera sembra essere una rilettura dell’antichissimo patrimonio mitico-genealogico
  • Si abbandona l’espressione verbale elevata per orientarsi verso un lessico comune
  • Ecateo manifesta l’intenzione di narrare gli eventi prendendo le distanze da qualsiasi fantasticheria. A questo proposito il fr.1 a è indicativo:

“Ecateo di Mileto dice così: scrivo queste cose,nel modo in cui mi sembrano essere vere: i racconti dei Greci infatti sono molti e ridicoli, come mi appaiono

  • Di fronte ai miti Ecateo assume infatti un atteggiamento eziologico. Il mito viene studiato attraverso le cause che lo hanno generato ( sono presenti d’altra parte frequentemente, nessi sintattici quali    τούτου ἕνεκεν    διὸ καὶ   

 

Un motivo di riflessione

Alle sue origini la scrittura storica risponde già a due esigenze:

  • da un lato il bisogno di dare stabilità a ceti o comunità attraverso la legittimazione fornita dal passato;
  •  dall’altro la conoscenza storica si pone anche come apertura ad una visione più razionale, più consapevole del passato, visione che apre all’uomo la prospettiva della trasformazione della realtà

 

LE  TEORIE  DELLA CICLICITA’ DELLA STORIA

Ricorrente nella cultura greca arcaica la visione ciclica del divenire. L’andamento ciclico che caratterizza il mondo naturale coinvolge anche quello storico. Empedocle vede lo svolgimento della storia del cosmo secondo un’alternanza di Amore e Odio (unità e separazione degli elementi). Gli Stoici (in età ellenistica) vedranno un ciclo vitale dell’universo che si chiude con una conflagrazione generale dalla quale tutto rinascerà secondo una ferrea necessità

LE PRIME TEORIE DEL PROGRESSO

Già nel mito di Protagora cominciamo a vedere un segno di con concezione progressiva della storia; ma solo con Democrito giunge a maturazione una visione evolutiva della vita sulla terra fino all’emergere dell’umanità. Centralità del progresso tecnico legato all’uso consapevole della mente coordinata con la mano

 

LA NASCITA DELLA SCIENZA STORICA NEL MONDO GRECO

 

ERODOTO

TUCIDIDE

 

Originario di Alicarnasso –vive tra il 484 e il 430 a.C
Autore delle STORIE

Vive tra il 460 e il 404 a.C.
Autore della STORIA DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO

 

  • Narra i grandi conflitti tra Greci e Persiani
  • Raccoglie una grande quantità di documenti e dati relativi a popoli coinvolti nella vicenda
  • Tende a svelare , attraverso un’interpretazione coerente, i fenomeni umani o naturali che stanno dietro a numerose leggende o narrazioni mitiche
  • Riconosce l’importanza della τύχη cioè della sorte amministrata dal capriccio divino
  • Dà rilievo soprattutto alla dimensione politica del problema
  • Sottolinea l’importanza di ricostruire il passato attraverso il controllo critico della ragione
  • Riconosce l’importanza dellaτύχη

anche se l’impostazione è razionalistica: al fattore divino subentra quello umano

Con Erodono e soprattutto con Tucidide la scienza storica riceve un’ organizzazione precisa nei suoi elementi costitutivi:

  • OGGETTO DELLA STORIA
  • SCOPO DELLA STORIA
  • METODO DELLA STORIA

 

Alcuni fattori vanno segnalati per comprendere come la riflessione storica degli antichi apra questioni che poi risulteranno rilevanti nella evoluzione della scienza storica nel mondo europeo successivo:
 

 


  • la centralità del fattore politico/militare nella valutazione degli eventi storici
  • esiste una “natura umana “ che rimane persistente nello svolgimento storico?
  • È possibile parlare di causalità storica? E si tratta di una causalità diversa o simile a quella delle scienze della natura?
  • Cosa comporta la conoscenza della storia?

 

LA RIFLESSIONE SULLA STORIA NELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE

Un tema essenziale dell’indagine filosofia è la riflessione sul significato della storia umana. Questo interesse poggia su alcuni motivi di interesse e questioni aperte :

    • Sono state prodotte diverse concezioni della storia coerenti con precise visioni dell’uomo e della sua condizione
    • Il tema della libertà dell’uomo e del peso della responsabilità nella costruzione del suo destino
    • Che caratteristiche ha la “scientificità “ della scienza storica?

 

  • Concetto di filosofia della storia: risulta legato all’idea che i processi storici costituiscano una totalità di eventi riconducibili ad un principio , ad una legge generale, ad un fine Se teniamo conto della direzione degli eventi storici possiamo elencare , per comodità di comprensione, quattro concezioni ricorrenti nella cultura occidentale ( concezioni che , almeno in parte , già ritroviamo nell’antica Grecia):
    • La storia come decadenza
    • La storia come ciclo
    • La storia come progresso (X)
    • La storia priva di senso

 

(X) in questo caso idea del progresso storico si presenta secondo varie forme tra loro alternative: possiamo trovare l’allusione alla presenza determinante di un’autorità provvidenziale che guida gli uomini alla salvezza, o l’idea del progressivo dominio dell’uomo attraverso l’affermazione della civiltà. Oppure possiamo trovare l’idea di un progresso oggettivo contrapposta all’idea di un progresso che nasce dalla realizzazione del progetto dell’uomo

 

  • La questione della natura umana come dato che permane inalterabile all’interno della storia. Da questo punto di vista emerge un’interessante dialettica tra storia e natura, tra libertà e determinismo. Una contrapposizione , questa, che si è riproposta frequentemente nella cultura occidentale, da Machiavelli a Hobbes ( per quanto riguarda l’ambito della riflessione filosofico-politica) da Verga, a Zola o Hardy (per quanto riguarda la creazione letteraria).

 

Machiavelli

Hobbes

Verga

Zola

Hardy

Il Principe

Il Leviatano

Rosso Malpelo

L’Assommoir

Tess d’Auberville

 

  • Quando parliamo di “scientificità della storia” intendiamo parlare di una oggettività della narrazione storica? E’possibile la storia oggettiva? O forse è bene chiedere allo storico l’onesta intellettuale che consiste nell’evidenziare apertamente la propria prospettiva interpretativa, le proprie convinzioni e, soprattutto, le fonti, gli argomenti che stanno alla base della sua trattazione?

 

TESTI

 

TUCIDIDE (storia della Guerra del Peloponneso libro primo)

21Gli argomenti invece e gli indizi da me addotti assicurano la possibilità d'interpretare i fatti storici, quali io stesso ho passato in rassegna, con una certezza che non si discosta essenzialmente dal vero. Per questo, non ci si affidi
piuttosto ai poeti, che nell'esaltazione del canto ampliano ogni particolare e lo fanno prezioso; insicure anche le opere dei logografi, composte più a diletto dell'ascolto, che a severa indagine della verità.  Poiché si tratta di un campo di
ricerca in cui la verifica è estremamente ardua: l'antichità stessa di questi casi ne ha velato i contorni di un favoloso, mitico alone. Si converrà che il prodotto delle mie ricerche, elaborato dall'analisi degli elementi di prova più sicuri e perspicui, raggiunge la sufficienza, se si considera la distanza di tempo che ci separa dagli eventi discussi.   Questa guerra, sebbene di norma gli uomini valutino più grave il conflitto in cui sono di volta in volta impegnati, per poi, rivolgere, appena l'attuale è spento, la loro ammirazione ai fatti d'armi più antichi, risulterà sempre, a chi esamini la realtà con dati concreti, la più importante di tutte.

 

MACHIAVELLI
Dal Principe cap XXV

        1. - E' non mi è incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo, potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne’nostri tempi, per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dí, fuora d'ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro.
       2. - Nondimanco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi. Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell'altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, benché sieno cosí fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso.

 

MARX

Dal Manifesto del Partito Comunista 

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi. La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato

 

NIETZSCHE

 

Dalla Cons, Inattuale “ Sull’utilità e danno della storia”

 

"Chi non sa sedersi sulla soglia dell'attimo, dimenticando tutto il passato, chi non sa stare ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria non saprà mai cos'è la felicità, e peggio ancora non farà mai qualcosa che rende felici gli altri." 

 

BENJAMIN

Dalle Tesi di Filosofia della Storia

"C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. "

 

 

Occidente e lavoro: il lavoro nel mondo classico e biblico

Esame della concezione del lavoro nell’ambito della tradizione occidentale, nel tentativo di rintracciare entro lo spirito classico e in quello giudaico-cristiano delle indicazioni che ci consentono di ragionare intorno al “lavoro” come modalità principale dell’”abitare” dell’uomo nel mondo. La relazione presenta ,per questo motivo, un carattere particolare : invece di condurre un percorso ab origine per poi seguire , attraverso le varie tappe, l’evoluzione delle idee che , intorno al lavoro maturano via via nella storia dell’Occidente , si tratta di procedere in senso inverso, per condurre una ricognizione che , partendo dalla concezione medievale del lavoro (nella quale sono già evidenti le ambivalenze del giudizio), ci porta a riflettere su di un originario interrogarsi dell’uomo intorno al suo “fare nel mondo”.

-Il lavoro nel mondo medievale, con tutte le ambivalenze contenute nel giudizio intorno ad esso
-Il giudizio sul lavoro come vita operativa in contrapposizione all’attività teoretico-scientifica , presente nella cultura greca.
-Il giudizio sul lavoro nel mondo biblico, con particolare attenzione alla sensibilità dell’ebraismo che tanta parte ha nel delineare un senso del lavoro per l’uomo occidentale.

La concezione medievale del lavoro

 

Nell’Alto Medio Evo notiamo un certo silenzio nei confronti del lavoro e dei lavoratori, silenzio che già può risultare indicativo di una certa mentalità. Qualche notizia intorno alla concezione del lavoro , tra V e VIII secolo la troviamo nell’ambito delle regole monastiche e nella letteratura agiografica : spesso emerge , anche se non necessariamente in modo esplicito, un quesito: “ Un monaco può – deve svolgere un lavoro manuale?”.
Le fonti agiografiche esaltano, spesso, il valore della vita contemplativa. Un esempio può essere tratto dalla biografia di Gregorio Magno ,il quale si lamenta , in alcune sue lettere, di essere stato strappato alla vita contemplativa per essere gettato nella vita attiva e di aver dovuto abbandonare Rachele per Lia , Maria per Marta.

Più avanti la riflessione sul lavoro la si ricava da un altro tipo di documentazione, quale quella dei testi giuridici..., mentre sempre più sovente la riflessione intorno al lavoro è condotta in relazione all’idea della società tripartita.
Al di là ,comunque, delle fonti cui si può fare riferimento, notiamo che la mentalità comune medievale si presenta oscillante tra due atteggiamenti:

 

Disprezzo del lavoro                                                         Valorizzazione del lavoro

 

Il disprezzo del lavoro, inteso come segno di debolezza e di infermità , si lega indubbiamente al peso che la mentalità barbarica ha avuto sulla mentalità generale: a questo proposito appare indicativo un passo tratto dalla Germania di Tacito ,in cui questo disprezzo del lavoro ,accanto all’esaltazione della guerra, emerge in tutta evidenza.
“Nec arare terram aut exspectare annum tam facile persuaseris quam vocare hostem et vulnera mereri. Pigrum quin  immo et iners videtur, sudore acquirere quod possis sanguine parare. Quotiens bella non ineunt, non multum in venatibus, plus per otium transigunt, dediti somno ciboque, fortissimus quisque ac bellicosissimus nihil agens..” ( Germania XIV-XV)
Da questa citazione possiamo ricavare tutto il disprezzo per il lavoro tipico della società guerriera, anche se non manca , nelle mitologie germaniche, qualche cenno di opposta convinzione , quando si fa riferimento al prestigio sociale degli artigiani metallurgici sacri del mondo germanico.
Inoltre , salvo alcune eccezioni, la stessa legislazione  barbarica ci appare indicativa del disprezzo per il lavoro: una scala dei valori sociali e dei loro fondamenti ideologici colloca i lavoratori all’ultimo posto.
Un esempio:
presso la legislazione dei Burgundi troviamo la seguente tabella per quanto concerne la pena relativa all’omicidio:

aratores-porcarii-birbicarii –alii servi   30 soldi
carpentarii                                                 40 soldi
fabri ferraii                                               50 soldi
aurifices                                                     150 soldi

Un’ambivalenza simile emerge dal mondo cristiano medievale ; va tenuto presente per prima cosa un fatto : che  la regressione tecnica che ha accompagnato la quasi totale scomparsa del lavoro specializzato ha determinato l’identificazione tout court del lavoro con il lavoro manuale e ,in particolare modo, con il lavoro rurale.
A questo proposito  l’idea della società tripartita sembra confermare questo disprezzo : Adalberone di Laon, nel  sec.XI , rivolgendosi a Roberto il Pio , re di Francia, ricorda che l’ordine sociale è stato dato da Dio, e che , soprattutto, per coloro che sono i suoi ministri non  è decoroso svolgere nessun tipo di lavoro. Il lavoro viene dunque identificato con la condizione servile, mentre alcune associazioni di idee ( laborantes-rustici-illitterati..) producono addirittura una condanna morale del lavoratore stesso.
Un’altra fonte utile per comprendere la concezione del lavoro nel Medioevo può essere lo studio che M.Mollat ha condotto intorno all’evoluzione semantica della parola “ pauper”: questo termine  indica in un primo momento il debole  in contrasto con il potente, poi indica  colui che nella povertà assume, in un certo senso, l’”imago Christi”, infine colui che  , nell’ordine sociale, si pone come l’escluso,l’emarginato. Se colleghiamo la condizione del laborator al pauper possono emerger spunti interessanti : il lavoratore è il debole, che china la testa  e che assume il peso della colpa che grava sull’umanità; poi il lavoratore è visto come l’umile che rivive umilmente  il lavoro  divino della creazione di qualcosa; infine il lavoro è potenza dell’uomo sul mondo , per cui chi ne è escluso perde   la dignità sociale e , in un certo senso, umana.

Isole di valorizzazione del lavoro

Nei secoli dell’Alto Medio Evo, accanto all’eclissi dei valori del lavoro nei sistemi di valore sociale , culturale e spirituale, emergono segni di una qualche valorizzazione del lavoro . un primo esempio può venire dal lavoro dei chierici e specialmente del monaco. Si parlava ,precedentemente, del quesito relativo al lavoro per i monaci : il Concilio di Orleans del 511 raccomanda il lavoro manuale ai vescovi , ai preti e lo impone ai monaci. Il lavoro dei monaci dunque  viene considerato
positivamente, soprattutto se pensiamo al fatto che il monaco, esemplare per l’umanità tutta , finisce per nobilitarlo; questo , anche se va tenuto presente un fatto di non secondaria importanza: il lavoro del monaco presenta dei caratteri speciali, che quindi solo in piccola parte possono essere ricondotti al lavoro del lavoratore qualunque. Per prima cosa  la letteratura agiografica ci conferma  che i monaci si dedicavano al lavoro manuale, ma ci fa capire che non di rado l’attività svolta (magari di costruzione di macchine..) era più affine alla vita contemplativa nel senso di una  disponibilità di un sapere quasi magico-sovrannaturale. Inoltre ricordiamo che il senso di questo lavoro monastico è penitenziale. Proprio perché il lavoro manuale  è legato alla caduta, alla maledizione divina e alla penitenza, i monaci , penitenti per vocazione, devono dare, in ciò, un chiaro  esempio di mortificazione.

 

La concezione del lavoro nella cultura greca

Tradizionalmente il classicismo si compiace di immaginare  gli antichi Greci come  gente che “vive di rendita” ,  che spende  cioè la propria vita  nel culto della bellezza e  dell’esaltazione della  personalità.( Accanto a questa immagine va però tenuto conto del fatto che lo sviluppo della vita economica nell’antica Grecia va  collegato con un impulso al guadagno presente  presso  gli stessi Greci!).
Un’antica narrazione di carattere mitico dice che la protervia umana ha  spezzato l’incanto dell’età dell’oro , con il suo  desiderio di  determinare il  proprio destino, portando  l’umanità all’età del ferro . caratterizzata dal lavoro, come evidente segno di decadenza . Gli dei stessi indirizzano gli uomini alle varie attività (es: Demetra-agricoltura / Hermes-mercatura / Atena-arti donnesche..).

Esame del ciclo omerico

La società omerica è una società guerriera-cavalleresca che prende sprezzantemente le distanze dal lavoro: il bene più alto dell’eroe omerico sta nel possesso della τιμή , cioè della pubblica stima. Infatti sempre l’uomo omerico dà grande importanza all’opinione pubblica  αἰδώς  Tutto ciò con qualche eccezione : infatti l’eroe omerico combatte anche per il bottino , oltre che per l’onore, cerca  il riscatto dei  suoi prigionieri, mentre  figure di re ,in tempo di pace, non disdegnano di occuparsi della mietitura.
Nell’Odissea ,in particolare, lo spirito commerciale trova una maggiore attenzione da parte dell’autore : la stessa pirateria non appare  riprovevole ( Menelao confessa candidamente di aver accumulato ricchezze con questo tipo di attività). Sempre nell’Odissea    emerge , da qualche parte, una certa sensibilità nei confronti del basso popolo e ,in alcuni casi, degli schiavi. Ma la sproporzione tra l’eroe e l’uomo in condizione servile resta molte evidente – “ Giove toglie metà del suo valore all’uomo su cui piomba il dì servile”.
Il giudizio negativo sul lavoro  indica  un legame forte tra lavoro e condizione servile.  Ma cosa  accade, quali idee emergono quando il lavoro, diventando esperienza  viva, viene pensato  come
professione libera ? Evidentemente il giudizio muta in un atteggiamento completamente diverso: è il caso di Esiodo , che nella vita  era un libero contadino e che , nell’ambito della letteratura greca, viene spesso considerato come il poeta che per primo sviluppa con forza il senso della propria individualità. Accanto alla Teogonia (1022 versi, dedicati alla narrazione delle vicende dell’universo a partire dalla condizione del Caos originario) , va ricordata l’altra grande opera : “Le opere e i Giorni” (828 versi), e , in essa narrato, il mito di Pandora che spiega la ragione della necessità per cui l’uomo deve lavorare per vivere , oltre che della presenza dei mali nel mondo. L’uomo deve lavorare per avere l’abbondanza ; questo dovere non va inteso come una condanna : a
differenza degli animali l’uomo deve evitare l’inganno e la violenza, vivere di onesto lavoro e rispettare i dettami della natura. Il lavoro è premio a se stesso , e solo grazie ad esso  la vita dell’uomo assume senso.  Esemplari sono alcune parole, probabilmente indirizzate al fratello che si crede troppo in alto per potersi dedicare ad un lavoro manuale : “Nessun lavoro è vergogna. Poltrire è vergogna”.
Siamo a questo punto di fronte a due concezioni di vita  opposte, anche va aggiunto che la posizione di Esiodo resta un caso isolato (è difficile trovare un altro che leghi il lavoro  al senso della vita!).
Infatti ,in generale , la cultura greca segna una netta separazione tra lavoro e vita emotiva
A questo proposito vale la pena di ricordare  l’uso del termine  πόνος  che indica , nello stesso tempo, l’uomo gravato dalla fatica nel senso fisico del termine, ma anche colui che ha la coscienza pesante e che dunque è “cattivo”.

 

L’egemonia culturale dell’aristocrazia produce un disprezzo generale nei confronti del lavoro , disprezzo che trova riscontro in Teognide che scrive:

“Mai non sarà che stia dritta la testa d’un servo,
ma sempre obliqua, il collo torto sempre sarà”

 

“La ricchezza ha corrotto le stirpi”
Teognidelega la sua tematica etico-politica alla questione della degenerazione dei costumi e al rimpianto dei valori tradizionali; egli contrappone  i κακοἱ  valutati su di un piano sociale agli   ἀγαθοί che risultano segnati da un modello di vita aristocratico, dunque poco incline agli interessi materiali e all’attività lavorativa

Interessante è anche l’atteggiamento di Pindaro quando usa  il termine πόνος  per indicare la fatica dell’atleta nel corso delle gare –Teniamo presente che lo stesso termine indica anche la fatica nel lavoro dei campi : la differenza di qualità sta nella meta che ci si prefigge. La fatica legata al lavoro produttivo è spregevole perché non gratuita , e indicativa di uno stato di dipendenza dell'uomo dalle cose, mentre l’attività dell’atleta si carica di senso ludico e  denota uno spirito libero e una vita dedicata a coltivare la  personalità nel segno della bellezza .
Il disprezzo per il lavoro non è presente in Grecia  solo nell’ambiente aristocratico (pensiamo a Sparta dove agli Spartiati è preclusa qualsiasi attività, anche di tipo artigianale) ,ma anche in ambiente democratico. E’ forte infatti l’idea secondo la quale l’attività lavorativa compromette l’inserimento dell’individuo nella vita della comunità, poiché chi è impegnato nella  conquista del sostentamento quotidiano non si può dedicare al perfezionamento della propria umanità e non è in grado, dunque, di  dare un apporto positivo alla vita della  comunità stessa.Platone , che pure  ammette la legittimità del “guadagnarsi da vivere” teme le facili degenerazioni cui il lavoro può portare , nel senso della brama di guadagno, e per questo nella Repubblica i guardiani dello Stato non hanno nulla a che fare con l’attività economica.
Aristotele , da parte sua, non condanna la proprietà privata , anzi la vede come fonte di soddisfazione personale, soprattutto in quanto permette la    ὲλευθερία , cioè la liberalità. Aristotele distingue tra due attività economiche: l’una , buona, che mira  a procacciare i mezzi di sostentamento per l’uomo libero. L’altra, cattiva, punta al guadagno in sé e scivola nell’esosità.
L’ozio, d’altra parte, non è il dolce far niente, ma lo spazio nel quale il cittadino può vivere in un’ottica superiore; il frutto supremo di questo ozio è l’attività teoretico-scientifica (il termine greco per "ozio” è)
C’è comunque un’ottica superiore nella quale pienamente si dà la migliore condizione per l’uomo e non si tratta certamente del lavoro. A questo proposito Aristotele è molto chiaro: nell’Etica Nicomachea egli si chiede cosa sia il vero bene per l’uomo e lo trova nella felicità, che si presenta nella forma dell'’autosufficienza, della gratuità e del vero piacere e che consiste nello svolgere la funzione specifica dell’uomo, che la vita secondo la ragione. Nel libro X dell’Etica Nicomachea la felicità è legata alla pratica della più alta delle virtù dianoetiche, e cioè alla sapienza.
Aristotele lega dunque la nobiltà della condizione umana alla vita teoretica, ed esprime in questo una concezione del lavoro come attività nettamente subalterna.

Ricapitolando: nel mondo greco due sono le considerazioni fondamentali intorno al lavoro:

-i Greci riconoscono il valore sociale del lavoro e la sua necessità
-il lavoro dell’uomo rimanda a qualcosa di più alto del lavoro prestato (cioè all’attività svolta da libero cittadino nella comunità umana).

 

Ἔργα καί ἡμέραι
Notizie sulla vita di Esiodo –vive tra il secolo VIII e il secolo VII- il padre, fallita la sua attività commerciale, abbandona Cuma ,colonia greca sulle coste dell’Asia Minore, per stabilirsi ad Ascra, dove vive poi il poeta- si ha notizia di una lite con il fratello Perse per questioni di eredità, lite che diventa una delle occasioni del poema stesso.

Ἔργα καί ἡμέραι – 828 versi – il proemio è dedicato alle Muse che sono esortate a celebrare Zeus che garantisce la giustizia nel mondo – Il poeta si rivolge al fratello Perse , ricordando che esistono due Eris (cioè due tipi di contese): una buona che genera volontà di emulazione e una cattiva che produce litigio e odio . Perse che tenta di corrompere i giudici per averla vinta sul poeta segue la strada sbagliata dell’ingiustizia e del sopruso, e abbandona quella giusta del duro lavoro come unico legittimo sostentamento dell’uomo.
Nei versi seguenti (42-105) segue la narrazione del mito di Prometeo e di Pandora (già in parte trattato nella Teogonia)
-furto del fuoco che permette agli uomini di procurarsi i mezzi di sostentamento
-invio di Pandora come punizione degli dei per gli uomini
-Pandora accolta dallo sciocco Epimeteo
-Pandora apre il vaso dei mali con le funeste conseguenze , tra le quali “l’aspra fatica”
Nel suo insieme il mito sembra voler dar ragione della necessità per l’uomo di lavorare per vivere, oltre che della presenza dei mali nel mondo.
Segue poi un altro mito (versi 106-201), quelle delle età o delle razze umane: all’originaria stirpe dell’oro , seguirono quelle dell’argento, del bronzo, degli eroi e , infine, l’attuale del ferro.Questa
narrazione non va intesa semplicemente come legata ad un’idea di decadenza lineare del mondo; infatti ogni razza contiene in se , accentuati in modo diverso, elementi negativi e positivi. Inoltre la perdita dell’innocenza primitiva comporta l’acquisizione di una consapevolezza che rende capaci di scegliere : il racconto dell’usignolo e dello sparviero (versi 202-211) ci fa vedere che presso gli animali la forza è l’unica legge: ma per gli uomini il comando è quello di seguire la strada della giustizia. La δίχη proviene da Zeus che ne è il dispensatore , e che ci ricorda che seguire la δίχη si accompagna necessariamente al lavoro come unico mezzo lecito per procurarsi da vivere: l’uomo deve lavorare se vuole abbondanza- l’ozio è vergogna e chi ruba è punito dagli dei. Notiamo dunque che il filo conduttore del poema presenta un forte carattere etico che lo distingue
dalla Teogonia. L’opera in questione solo apparentemente si pone come una sorta di manuale destinato a chi coltiva i campi: in realtà lo scopo è quello di dare un fondamento etico alla necessità e virtù del lavoro, secondo il vivere retto che è un aderire con la propria vita al disegno di giustizia fondato da Zeus.

 

 

La concezione del lavoro nel mondo biblico

 

La posizione della Bibbia ci consente di comprendere l’origine di questa duplicità nel giudizio sul lavoro della cultura occidentale.
L’Antico Testamento insiste su due grandi convinzioni:

  • Il lavoro è degno dell’uomo visto che Dio stesso opera e lavora . Nella Genesi Dio lavora e si compiace del proprio operato - “Dio disse :< Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto>. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona.” ( Gen. 1,9-10) - Il lavoro è dunque buono in sé , anche se il peccato ha turbato l’armonia dell’universo, introducendo l’elemento della sofferenza e della fatica. “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai” (Gen. 3,19). Il peccato segna la rottura dell’unità dell’uomo con il creato, al punto che lo stare dell’uomo nel mondo diventa un esser-gettato nel mondo come esiliato e straniero. Adamo si vergogna dopo aver commesso il peccato. “Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse :< Dove sei?> Rispose.< Ho udito il tuo passo nel giardino :ho avuto paura ,perché sono nudo, e mi sono nascosto.>” (Gen.3,9-10). L’esperienza dell’esistere nasce come vergogna , in un sentire problematicamente il proprio essere. Scrive Lèvinas in “Dell’Evasione”: <La vergogna appare ogni volta che non riusciamo a far dimenticare la nostra nudità. Essa è in rapporto con tutto ciò che si vorrebbe nascondere e a cui non si può sfuggire.....Ciò che appare nella vergogna è precisamente il fatto di essere incatenati a sé, l’impossibilità radicale di fuggire da se stessi per nascondersi a sé, l’irremissibile presenza dell’io a se stesso......E’ dunque la nostra intimità , cioè la nostra presenza a noi stessi, che è vergognosa. Essa non rivela il nostro nulla, ma la totalità della nostra esistenza...la vergogna è, in fin dei conti, un’esistenza che cerca per sé delle scuse. Ciò che la vergogna svela è l’essere che si svela”.

 

La problematicità del nostro essere emerge in modo chiaro in un celebre versetto della Genesi, 3-22:23Il Signore Dio disse allora:< Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre>.Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto”. L’uomo, dunque, partecipe della divinità, per quanto concerne la coscienza, ma legato irrimediabilmente alla fragilità e alla mortalità dal punto di vista del suo essere.

Emerge una successione di esperienze di frattura legata al peccato: la prima è quella della perdita dell’unità originaria con la natura , la seconda è la dolorosa scoperta del proprio essere come luogo di vergogna, la terza è quella della contraddizione irrisolvibile tra coscienza ed essere.
Il lavoro rappresenta un dovere morale che Dio ha dato all’uomo da integrare con la preghiera e la
contemplazione. In Gen.2,15..leggiamo “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden , perché lo coltivasse e lo custodisse.” E poco dopo , in Gen.2.19 “Allora il Signor Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche, e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati : in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome”. Il lavoro può diventare una specie di occasione per recuperare l’unità attraverso la cura del mondo.

 

 

La concezione del lavoro nella cultura ebraica

 

La Bibbia si forma attraverso una progressiva stratificazione di testi, tra i quali si nota un’influenza proveniente da più culture. In particolare il mito della Genesi risulta fortemente collegato alla civiltà mesopotamica (v. cattività babilonese).
A Babilonia ogni anno viene letto pubblicamente il poema “ ENUMA ELIAH (“Quando nell’Alto”) che riassume la cosmogonia mesopotamica :
-Marduk capo dei nuovi dei lotta con la divinità malvagia Tianath e vince facendo a pezzi l’avversario
-Con i pezzi del corpo dell’avversario sconfitto, Marduk costruisce l’universo
-La materia si presenta con una connotazione negativa
-Chi si occuperà del funzionamento della Materia?
-Viene creato l’uomo, con lo sterco degli dei, per svolgere questa funzione
-L’uomo è un servo, per il quale il lavoro è il segno inequivocabile della fragilità e dell’umiliazione

Il racconto della Genesi può essere letto come il controcanto di questa cosmogonia : il protagonista è Dio. Di cui Israele ha già fatto esperienza nell’Esodo (la Genesi viene prodotta dopo l’Esodo, quindi dopo che gli Ebrei ha conosciuto Dio come liberatore). Al posto di Marduk c’è Ihwh ,il Dio padre, e non padrone, liberatore che dona la terra all’uomo. Ciò che Dio dona è buono in sé: Dio dà una forma possente alla materia con la parola (dabar –parola –azione . La parola è manifestazione dell’essere, così come lo è l’azione). Se la creazione è manifestazione di Dio, e Dio è buono, allora la
creazione è buona. Quindi la Terra è un dono per l’uomo, che deve abitarla e curarla per se stesso in rapporto a Dio. Il nostro abitare la Terra deve essere un continuo accogliere il dono di Dio.
In quest’ottica , il lavoro diventa:

  • collaborazione con Dio, nella gratitudine per il dono ricevuto
  • responsabilità (l’uomo è custode del mondo)
  • libertà per l’uomo
  • sua dignità

L’uomo è interlocutore di Dio. La Genesi ci ha fatto vedere che Dio dà all’uomo il compito di dare nomi agli enti, cioè di fare presa sull’essere. Ora, il lavoro è precetto e obbedienza a Dio in questo
senso: è un gradire il suo dono dando a quest’ultimo la sua identità: tutto diventa riconoscibile, compreso l’uomo stesso, che nel lavoro, appunto, riconosce se stesso .
Ecco dunque che il fine del lavoro non è legato all’utilità, al dominio, all’imposizione sul mondo. Il lavoro è un riconoscere la gratuità del dono di Dio, che ha creato come crea un artista, per sovrabbondanza interiore.
Se questo riconoscere la gratuità dell’atto creativo di Dio si dà, nell’uomo adulto, in forma di lavoro, per il bambino si dà come gioco. ( Teniamo presente che nella cultura ebraica grande è il rispetto per il gioco. Secondo la legge ebraica, il bambino non può giocare fino a quando non compie il rito di passaggio all’età adulta).
Il gioco è l’esperienza irrinunciabile per l’uomo nell’aurora della sua esistenza, perché è la prima grande esperienza della gratuità dell’agire. L’esperienza del gioco si pone come condizione forte perché poi si possa accedere al lavoro senza tradire la fondamentale gratuità del dono di Dio.

 

 

Il tema dell’amore:

 

῍Ερος   κὰι  Παιδέια  -  ῎Ερος κὰι  Θάνατος

 

Le due coppie di termini poste accanto al titolo della relazione indicano le due prospettive  nelle quali tenteremo di vedere l’esperienza dell’amore. E non si tratta semplicemente di studiare modi diversi di concepire questo sentimento dell’uomo: l’amore come elevazione spirituale e l’amore come dissoluzione dell’io alludono  a precise modalità della condizione dell’esistere

  • Scrive il filosofo tedesco Th.W.Adorno,

 

“Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza ricevere in cambio la forza”

  • Scrive il poeta latino Catullo

 

“Odi et amo.
Quare id faciam.fortasse requiris.

 

Nescio, sed fieri sentio et excrucior

  • Scrive la poetessa greca Saffo:

 

…῍Ερος δ’ετìναξε’ μοι φρὲνας ,
ῶς ῍ανεμος κατ’ὸρος δρὺσιν ᾿εμπὲτον…..

Il tema dell’amore si presenta a noi, in queste parole, come carico di significati e di motivi di riflessione e discussione:

  • Che tipo di sentimento è quello dell’amore?
  • C’è in esso una gratuità tutta speciale o va collegato con la tendenza che ogni io ha all’affermazione di sé?
  • E’ l’amore un cedimento totale alle passioni? E’ l’abdicazione della ragione che perde il suo controllo sulle azioni?
  • L’esperienza dell’amore è un’esperienza che eleva l’uomo e gli consente di accedere ad un mondo di alta e profonda interiorità
  • Esiste una chiara differenza tra amore e amicizia?
  • Se l’amore è una tipica esperienza di vita dell’uomo allora può essere messo in relazione con le altre (tipiche) attività dello spirito?

 

L’amore e l’amicizia sono sentimenti naturali, legati all’animalità che ci caratterizza, ma vengono anche elaborati dalla società e dalla cultura, in modo che finiscono per assumere forme diverse nelle varie epoche storiche Un esempio può venire dal confronto tra la sensibilità romantica, per la quale l’amore è esperienza nobile e capace di elevare spiritualmente l’anima e la visione psicanalitica che vede la dimensione crudamente biologica dello stesso evento.

 

L’AMORE  NELLA FILOSOFIA GRECA

 

  • Il concetto di Amore entra nella Filosofia Arcaica attraverso la riflessione cosmologica: Empedocle parla di Amore e Odio come forze opposte di unità e separazione che si alternano nel dominare i quattro elementi che costituiscono il cosmo. In questa accezione Amore va inteso come forza  attiva che agisce a livello cosmico
  • Con Platone questa connotazione naturalistica lascia il posto ad una nuova accezione di carattere etico/psicologico:

“Di tutte le forme di delirio divino questa è la più alta
e colui il quale, possedendola, s’innamori di quei che son belli,
si chiama appunto amante”

Platone dedica al tema dell’amore il Simposio; in questo scritto mette l’accento sulla doppia natura che appartiene ad esso, come del resto all’uomo in generale ed al filosofo in particolare.

 

IL FILOSOFO AMANTE PERFETTO !

 

Il mito della nascita di Eros ci parla della sua origine dalle nozze di Poros e Penia (ricchezza/espediente e povertà). Come la madre Eros è povero, mancante, come il padre è astuto ed instancabile nel cercare di trovare e posseder ciò che è oggetto del suo desiderio.

 

῍Ερος                 Φιλοσὸφια

In questa accezione l’amore diviene esperienza che eleva spiritualmente.
Il discorso di Diotima, sacerdotessa, indica le tappe che  prevedono la paideia attraverso l’esperienza dell’amore                    

 

L’amore fisico non va condannato! Esso deve essere il punto di partenza di un processo di elevazione che partendo dall’amore per i bei corpi giunge all’amore per la bellezza spirituale e razionale.

 

IL FILOSOFO DESIDERA MORIRE !

 

Con questa espressione  non si intende affatto esaltare un qualsiasi forma di auto annientamento. Si intende dire che  per colui che cerca la verità è opportuno elevarsi rispetto al mondo terreno della materia e del divenire. Solo così l’unione con la verità sarà possibile

Nel mito dell’androgino l’amore è visto come desiderio di unità perduta. L’amore nasce da una perdita che si vuole colmare. La parti separate, descritte nel mito, tendono a lasciarsi morire

“…Dopo che la natura umana fu divisa in due parti, ogni metà per
desiderio dell'altra tentava di entrare in congiunzione e cingendosi
con le braccia e stringendosi l'un l'altra, se ne morivano di fame
e di torpore per non volere fare nulla l'una separatamente dall'altra.
E quando moriva una delle parti e ne restava una sola, quella che
sopravviveva ne cercava un'altra e vi si abbracciava, sia
che capitasse nella metà di una donna intera, che ora chiamiamo
donna, sia in quella di un uomo. E così raggiungevano la morte.”

“ Perché se ad essi, proprio nel momento che giacciono insieme si accostasse Efesto (28) con i propri strumenti e domandasse: "Cos'è dunque, uomini, che volete che vi succeda l'uno dall'altro?", e, trovandosi essi
in difficoltà, chiedesse ancora: "Forse agognate questo, di
congiungervi indissolubilmente l'uno con l'altro in una sola cosa, così
da non lasciarvi tra di voi né di giorno né di notte? Perché se
bramate questo, sono pronto a fondervi insieme e a comporvi in
una sola natura fino al punto che da due diventiate uno solo, e
finché restate in vita, vivrete in comune l'un l'altro come un
essere solo, e quando poi sopraggiunga la morte, là, nel profondo
dell'Ade, siate ancora uno soltanto, invece di due, essendo insieme
anche da morti. Ma considerate bene se è proprio questo che
amate e se può bastarvi, quando lo abbiate ottenuto".

 

 

L’AMORE CRISTIANO :
SPOSSESSAMENTO DELL’IO
ACCOGLIENZA DELL’ALTRO
1Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
2E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
3E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
4La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 7Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
13Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

(San Paolo Prima Lettera ai Corinzi)

L’amore cristiano (αγαπη) indica un capovolgimento della prospettiva antica- L’amore cristiano è un darsi nello spossessamento del sé- E’ un andare- E’ essenzialmente pietà ed accoglienza nei confronti di chi è più debole

 

Il filosofo tedesco Max Scheler nel saggio :” Il risentimento nell’edificazione delle morali” scrive:

“Tutti i pensatori, i poeti, i moralisti antichi sono su questo punto unanimi: l’amore è aspirazione, tendenza dell’”inferiore” al “superiore”, del “meno pefetto “ al “più perfetto”. ….Se si confronta ora questa concezione con quella cristiana risulta qualcosa che si potrebbe chiamare il moro di ritorno dell’amore…..l’amore si deve dimostrare proprio con il fatto che il nobile si china e discende verso il non nobile, il sano verso il malato, il ricco verso il povero..il santo verso il cattivo e il volgare, il Messia verso i pubblicani e i peccatori…nella convinzione autenticamente religiosa di ottenere, nel compimento attuale di questo “piegarsi”, nel “lasciarsi andare”, nel “perdersi”, il massimo: la somiglianza con Dio”

 

LA PAIDEIA

 

Nec certam sedem, nec propriam facies, nec munus ullum peculiare tibi dedimus, o Adam, ut quam sedem, quam facies, quae munera tute optaveris, ea, pro voto, pro tua sententia, habeas et possideas…”
(Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate)

 

Non ti diedi né volto, né luogo che ti sia proprio, né alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possiedi da solo..

 

 formazione dell’uomo e rinnovamento della società

 

“ Pertanto neppure per quel che concerne la virtù è sufficiente il conoscere, ma bisogna cercare di possederla e di praticarla, o, se per qualche altra via diventiamo uomini dabbene, battere questa via”

                                                                                                                                                         (ARISTOTELE)

 

  • Ogni modello culturale è caratterizzato da particolari forme di trasmissione dei saperi e dei valori alle nuove generazioni
  • C’è un evidente legame tra questo universo di ideali e modalità della trasmissione del sapere e l’immagine dell’uomo che si intende realizzare, entro un ben definito modello di società
  • La famiglia e la scuola sono generalmente le istituzioni che si occupano di queste attività
  • L’educazione può avere un carattere per così dire confermativo/conservativo oppure un carattere innovativo/progettuale. Mentre nel primo caso l’idea di fondo è quella di un’educazione che mira a confermare un certo modello di mondo attraverso la trasmissione dei suoi valori portanti, nel secondo si coglie un’ansia di rinnovamento del mondo stesso proprio attraverso la creazione di un “uomo nuovo”

 

 


Erasmo da Rotterdam       Comenio              Rousseau

           sec. XVI                                    sec.XVII                             sec.XVIII

 

Nel mondo della polis, (V sec.) si attua una profonda trasformazione storica

  • Sviluppo di industrie e commerci
  • Estensione della democrazia partecipativa
  • Crisi di potere delle grandi famiglie aristocratiche
  • Aspirazione all’attività politica da parte dei ceti emergenti
  • Crisi generalizzata dei valori tradizionali e degli antichi modelli educativi

 

                                                                       Di qui:

si sviluppa un acceso dibattito sul tema dell’educazione
che vede la presenza di molti significativi intellettuali e filosofi del tempo,
consapevoli dell’importanza e dell’urgenza della questione

Il dibattito di cui parliamo gioca su interrogativi che rimangono poi centrali nella riflessione teorica e nella sensibilità intellettuale del mondo occidentale:
 

 


  1. che valore ha la cultura tradizionale per i giovani?
  2. che cosa può e deve essere insegnato?
  3. con quale metodo?
  4. si può insegnare la virtù?
  5. chi deve essere centrale: la famiglia o la pubblica istituzione?

 

rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr

Il termine                              viene tradotto con “educazione”. In realtà l’universo semantico del termine in questione è decisamente più ampio: in esso si fa riferimento, accanto all’idea di educazione del fanciullo e di istruzione scolastica, alla formazione ideale della persona umana, coinvolgente l’intera esistenza. Si tratta cioè di produrre le condizioni di una vita degna di essere vissuta, una vita nella quale la ricchezza delle facoltà dell’uomo trova pieno ed armonico sviluppo.

Questa armonia trova conferma nell’espressione:                                                                           
 

 


Perfezione fisica e morale-
idea di una dignità umana
che si realizza compiutamente
nel mondo terreno
e che vede l’uomo stesso responsabile della sua vita

 

L’educazione trova dunque il suo senso più profondo nella natura dinamica dell’uomo stesso:
l’uomo diviene se stesso, conquista la sua umanità ed in questo si gioca la sua natura.

 

Concezione aristocratica dell’educazione

 

Solo chi è nobile può apprendere la virtù. In questa concezione solo un’elite ristretta può ambire alla buona formazione spirituale
Emerge il concetto di                         da intendersi come l’eccellenza di ciò che si è.
Da notare che in questa visione l’uomo viene pensato secondo una modalità di staticità In questo modo l’educazione si limita confermare e sviluppare ciò che è già presente, il dato di partenza

Pieno valore ha soltanto colui il cui pregio glorioso
è innato.
Chi possiede soltanto ciò che apprese, vacillante ombra d’uomo,
mai non s’avanza con saldo piede,
ma mille altre cose,
con animo immaturo
non fa che assaggiare

PINDARO

Concezione sofistica dell’educazione

 

  • I Sofisti sono critici nei confronti della visione aristocratica dell’educazione e vedono invece la virtù come qualcosa che si può apprendere e coltivare
  • Accanto a ciò, segnalano, per primi, l’importanza della definizione di un metodo nella pratica educativa
  • Una valutazione del ruolo dei Sofisti nella formazione dei giovani: Platone, nel ”Sofista”, elenca difetti ma riconosce la validità dell’educazione che libera la mente dai pregiudizi

Concezione socratica dell’educazione

  • In un passo del Teeteto platonico Socrate spiega al suo interlocutore Teeteto cosa vuol dire “far partorire le anime”. Socrate ricorda che sua madre faceva l’ostetrica e paragona la propria funzione di maestro a quella professione: La verità è dentro ciascun uomo; il maestro deve farla uscire attraverso l’arte della dialettica
  • Concetto di maieutica.
  • Collegamento tra educazione alla virtù e fiducia nella verità

 

Concezione platonica dell’educazione

  • La filosofia di Platone contiene un chiaro progetto etico-politico
  • Teoria della
  • Descrizione dello stato perfetto come modello a cui i politici debbono ispirarsi
  • L’educazione dei cittadini è condizione essenziale per un reale rinnovamento spirituale della città
  • L’educazione è pertanto parte dell’agire delle istituzioni pubbliche
  • L’educazione forma infatti il cittadino

Concezione aristotelica dell’educazione

  • Nell’etica Nicomachea la virtù non è legata alla conoscenza, quanto all’esercizio ed all’abitudine
  • L’educazione ha a che fare con l’attività desiderativa dell’anima, dove hanno sede appetiti e passioni, ed ha lo scopo di indurre l’uomo ad agire rettamente contenendo i propri impulsi
  • Centralità delle leggi: la costrizione è decisiva là dove chi è riottoso alla virtù non è in grado di migliorare

 

ἠ πολιτεία:

 l’uomo sociale, la comunità, le leggi e la giustizia

 

 

LE MEDESIME PERSONE DA NOI SI CURANO NELLO STESSO TEMPO DEI LORO INTERESSI PRIVATI E DELLE QUESTIONI PUBBLICHE: GLI ALTRI POI CHE SI DEDICANO AD ATTIVITA’ PARTICOLARI SONO PERFETTI CONOSCITORI DEI PROBLEMI POLITICI; POICHE’ IL CITTADINO CHE DI ESSI ASSOLUTAMENTE NON SI CURI SIAMO I SOLI A COSIDERARLO NON GIA’ UN UOMO PACIFICO, MA ADDIRUTTURA INUTILE

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Tucidide

  

 


  • Considerazioni preliminari: un gioco ha le sue regole che devono essere condivise da tutti coloro che vi partecipano: la stessa vita nella classe, come quella di un qualsiasi gruppo, si regge su delle regole.Ci interessa la politica?

     

  • Cosa significa “rispettare le regole”?
  • Quale ruolo svolgono?
  • Sono necessarie?
  • Da dove derivano?
  • Dobbiamo considerarle oggettive o soggettive?

 

La riflessione intorno alle regole ed alla loro funzione nella vita comunitaria non può essere disgiunta dalla riflessione intorno alla libertà: si tratta di comprendere come sia possibile per l’uomo vivere nelle regole e, nello stesso tempo, godere pienamente e concretamente della propria libertà.
La nascita della comunità politica, la sua funzione relativamente alla vita dell’uomo,e la relazione tra la libertà personale e la giustizia sono temi che nella riflessione dell’antica cultura greca hanno ispirato vari ambiti della produzione culturale del tempo, dalla filosofia alla letteratura.

  • Regno della libertà e regno della necessità: Concetto di θέμις

 

La distinzione tra questi due piani della realtà è alla base della riflessione sulla politica.
Platone, nel Mito di Protagora, ci fa vedere che la costituzione della comunità è per l’uomo motivo di salvezza: l’uscita da una condizione puramente naturale permette alla specie umana di sopravvivere, trovando quella forza che solo collettivamente diventa garanzia di vita.Può essere interessante un confronto che ci porta nell’Inghilterra del secolo XVII dove il filosofo Th.Hobbes ci spiega che la libertà assoluta di cui l’uomo gode allo stato di natura non lo preserva certamente da una condizione definita come “miserevole”, segnata dalla precarietà , dall’instabilità e dalla paura.. Anche in questo caso la ragione naturale indica all’uomo , come via di salvezza, la costituzione della vita comunitaria, fondata su delle regole

 

  • νόμος  ἀρμονία  κόσμος  δίκη  ὔβρις

 

Nel Critone, Socrate incontra le Leggi che gli ricordano l’importanza del rispetto loro dovuto da chi vive all’interno di una comunità. Le Leggi generano, allevano ed educano l’uomo. Senza la loro presenza non c’è possibilità di armonia e di ordine nell’universo umano, che finisce per allontanarsi dal modello dell’ordine naturale delle cose
Nel testo in questione le Leggi spiegano poi che verrà cacciato dalla città colui che non rispettar l’ordine e che pertanto offende la giustizia con attraverso comportamenti tracotanti

 

  • Platone : la politica come progetto etico: « Gli uomini, quando parlano generalmente, s’intendono » (la possibilità della costituzione di un’armonia tra gli uomini è legata alla possibilità di costituire un comune terreno del conoscere e dell’agire
    • Socrate e Platone legano la loro ricerca filosofica al piano di rifondazione etico-politica di Atene.
    • Platone, nella Lettera Settima, ricorda la sua giovanile propensione per l’attività politica, poi troncata dalla tragica morte del maestro.
    • Platone è filosofo delle idee o filosofo della città?
    • Che peso ha l’utopia nella vita degli uomini e nell’ambito dell’agire politico?

 

Il progetto politico di Platone: la δίχη e le sue degenerazioni

  • L’origine dello stato
  • L’ordine dello Stato
  • Le degenerazioni dello Stato:

 

aristocrazia / timocrazia / oligarchia / democrazia / tirannide

 

Aristotele : la politica come gestione della realtà.Per Aristotele l’uomo è animale sociale per cui lo stato nasce come realizzazione di questa sua naturale disposizione . Non solo: le gerarchie che caratterizzano la comunità politica e sociale sono naturali. Per questo motivo non possono essere messe in discussione. Da queste considerazioni emergono alcuni motivi di discussione:

 


  • Discutere delle regole della convivenza significa , per alcuni,anche chiedersi se l’uomo è naturalmente adatto alla convivenza stessa.
  • Esiste una natura umana?
  • E’ possibile parlarne?
  • Spesso , modelli teorici , in ambito politico, risultano fondati su di una visione antropologica: cosa significa tutto ciò?
  • Un legame stretto tra antropologia e politica non rischia di produrre pericolose rigidità?

 

6.La riflessione sulla politica ci conduce ad Antigone, il cui dramma si lega al conflitto tra legge  della città e legge degli dei.

 Il tragico si consuma nella lacerazione tra due ordini: quello della città e    quello della coscienza.In questa contraddizione insolubile risultano particolarmente efficaci le parole del coro che parla dell’uomo come essere straordinario per la potenza della sua conoscenza e della sua capacità creativa, ma nello steso tempo fragile per quanto concerne l’esperienza del limite invalicabile costituito dalla morte. Questo ci pone davanti all’insufficienza della vita terrena e alla prospettiva di una risoluzione dei contrasti dell’animo umano in un ordine superiore delle cose

 

 

 

http://digilander.libero.it/domani_ti_sego/file%20word/filo%20ginn.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

 

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