Arthur Schopenhauer

 

 

 

Arthur Schopenhauer

 

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Filosofia

 

Schopenhauer (1788 – 1861)            

       

Il mondo come volontà e rappresentazione (1819)

 

  1. Fonti: confluiscono diverse esperienze di cui da una sintesi originale:
    1. Platone: teorie idee e perfezione mondo idee rispetto a imperfezione mondo;
    2. Kant: gnoseologia, realtà frutto costruzione da parte intelletto del soggetto;
    3. Illuminismo: materialismo; ironia Voltaire; critica e demistificazione;
    4. Romanticismo: riprende molti aspetti fondamentali, ma diverge per altri:
      1. Temi comuni: infinito, irrazionalismo, importanza arte e  musica, principio assoluto di cui realtà e manifestazione;
      2. Differenza fondamentale: taglio pessimistico mentre nel romanticismo il principio assoluto è positivo;
      3. Idealismo: fortemente polemico nei confronti di Hegel per il suo panlogismo, conservatorismo;
    5. Cultura orientale: Primo a utilizzare motivi filosofia orientale; immagini e metafore;
  2. Il mondo come rappresentazione: dualismo ontologico e superamento del velo di Maya come problemi di partenza;
    1. Fenomeno e cosa in sé: punto di partenza filosofia S. è la distinzione kantiana:
      1. Kant: fenomeno è la sola realtà che sia dato conoscere, noumeno o casa in sé è un concetto limite che definisce il confine delle possibilità conoscitive umane. Il mondo dei fenomeni è l’insieme degli oggetti che vengono organizzati secondo forme a priori;
      2. Schopenhauer: il fenomeno è un velo illusorio che nasconde agli uomini l’autentica realtà rappresentata dalla cosa in sé, quello che nel buddismo è detto “velo di Maya”.
    2. Il principio di rappresentazione: assunto come verità evidente: "il mondo è la mia rappresentazione", quella che consideriamo realtà ha un'esistenza solo soggettiva, solo dentro la coscienza;
      1. Rappresentazione: entro la rappresentazione esistono il soggetto rappresentante e l’oggetto rappresentato e sono interdipendenti;
      2. Falsi sia materialismo che idealismo che eliminano uno dei termini della relazione;
    3. Le forme a priori e il mondo della rappresentazione: la mente possiede una struttura a priori attraverso la quale ordina la realtà;
      1. Le forme a priori: spazio, tempo e causalità a cui sono tutte riconducibili le altre categorie e che costituisce l'essenza della realtà in quanto è reale solo ciò che produce o subisce effetti wirklichkeit dal verbo wirken agire = realtà;
      2. L'apparenza: organizzando la realtà le strutture a priori la deformano, l'esistenza è come un sogno del soggetto: "la vida es sueno";
      3. La cosa in sé: al di là dell'apparenza creata dalle strutture a priori del soggetto esiste la vera realtà, inaccessibile alla conoscenza e coscienza dell'uomo.
  3. Il mondo come volontà: Kant esclude la possibilità di accedere alla cosa in sé, S. ritiene di aver individuato la strada per giungere al noumeno.
    1. L'uomo non è solo intelletto, conoscenza e rappresentazione, ma anche corpo, istinto;
    2. Wille zum Leben: l'essenza che sta alla base del nostro io è impulso cieco, inconscio, irresistibile la "volontà di vivere";
    3. Il mondo fenomenico non è altro che la manifestazione nel tempo e nello spazio della volontà di vivere. La volontà di vivere è l'essenza di tutte le cose e pervade interamente la natura nella totalità delle sue parti  e articolazioni anche se tale consapevolezza diviene consapevole solo nell'uomo. Prima del mondo come rappresentazione sta la cosa in sé di cui quel mondo è una manifestazione: "Wille zum Leben"
  4. Caratteri della volontà: infinita e irrazionale costituisce il fondamento negativo del tutto
    1. Trascendenza volontà: al di là del principio di rappresentazione, spazio, tempo e causalità, è una forza inconscia concepita da S. secondo il principio dell'infinito, quindi priva di qualsiasi forma di ordine e senso:
    2. Unica eterna e indistruttibile: perché al di sopra di spazio e tempo non cade nel principium individuationis;
    3. Irrazionale: al di sopra dell'intelletto e della causalità, cieca, priva di senso e scopo, che vuole perpetuamente perpetuare se stessa;
    4. Pessimismo cosmico: tutto ciò che esiste vive solo per vivere, senza altro scopo e pretendere che esista un senso ultimo ponendo un dio a fondamento dell'essere nel mondo non è che un tentativo di smascherare questa dolorosa verità.
    5. La volontà come assoluto negativo: anche per S. il finito è manifestazione dell'infinito, ma tale fondamento assoluto che si manifesta nel tempo e nello spazio è irrazionalità pura; capovolgimento simmetrico dell'impostazione panlogistica hegeliana, solo l'infinito è reale, ma per S. tale infinito è privo di senso.
  5. Oggettivazione della volontà nel mondo della rappresentazione: la volontà si manifesta attraverso una serie di gradi:
    1. Le idee: la prima fasi del costituirsi del mondo fenomenico a partire dalla volontà è quella delle idee, archetipi del mondo come le idee platoniche, tutte le cose ne sono copie;
    2. Individui: idee si moltiplicano negli individui attraverso le forme di S. T. e causalità;
    3. Il mondo naturale è poi strutturato secondo gradi crescenti di affermazione della volontà di vivere: dal mondo inorganico a quello organico, all'animale e all'uomo.
  6. Il pessimismo: la sofferenza universale e il pessimismo cosmico, contro ogni tentativo illusorio di giustificazione religiosa dell'esistenza, sono la sola verità sul mondo.
    1. La vita come dolore: vivere è volere, desiderio, desiderio è mancanza e assenza, mancanza è dolore. Lo stato di desiderio è continuo nell'uomo e l'appagamento non è mai definitivo, la dinamica infinita del desiderio sempre ricomincia;
      1. Il piacere negativo: il dolore è costitutivo della dinamica del desiderio che costituisce l'essenza dell'uomo, perciò è originario e primario, il piacere è solo ma cessazione del dolore, non ha una sua realtà positiva, è quindi subordinato al dolore e secondario rispetto ad esso. Leopardi e Verri: stato di rilassamento che segue alla cessazione del dolore: venendo meno il desiderio, viene meno il piacere;
      2. La noia: terza situazione esistenziale è la noia che subentra quanto la dinamica del desiderio si ferma: la vita è un pendolo che oscilla tra sofferenza e noia passando per il breve e illusorio intervallo del piacere.
    2. La sofferenza universale: la volontà di vivere si manifesta in tutto ciò che esiste la cui ragion ultima d'essere è il volere per il volere, pertanto tutto soffre, la sofferenza dell'uomo è più alta solo perché nell'uomo vi è più consapevolezza;
      1. Pessimismo cosmico: radicale forma di pessimismo che coinvolge la totalità dell'essere; in quanto il male non risiede in un aspetto secondario dell'esistenza, ma nello stesso fondamento assoluto da cui l'esistenza prende origine;
      2. La lotta perpetua: ogni essere tende ad affermare infinitamente se stesso su tutti gli altri, col risultato che in tutti i suoi gradi l'esistenza è la lotta di tutte le cose contro tutte le altre, armonia della natura e meraviglia del creato sono menzogne che nascondono il divorarsi di ogni essere con ogni altro. L'esistenza è il trionfo dell'irrazionalità e della sofferenza.
      3. L'illusione dell'amore: che il senso della vita dell'individuo sia solo perpetuare la specie è evidente nell'amore. Proprio dove l'individuo crede di affermare se stesso è solo uno strumento della natura per la perpetuazione di un'esistenza fine a se stessa.

 

Autore : Gianfranco Marini

Fonte: http://anki.altervista.org/appunti/riassunti/schopenhauer_sintesi.doc

 

 


 

Arthur Schopenhauer

Arthur Schopenhauer (1788-1860)

1813 Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (tesi di laurea. Si occupa del principio di causalità e del suo ambito di validità)
1818 Il mondo come volontà e rappresentazione
Dall’820 all’831 tiene corsi all’università di Berlino, in diretta “concorrenza” per orari con Hegel. Le aule di Sch. erano quasi vuote, segno che la filosofia che rispondeva alle esigenze di quell’epoca era quella di Hegel e non la sua. In effetti il pensiero di Schopenhauer verrà apprezzato successivamente.

Temi conduttori della sua riflessione:
-pessimismo sulla vera natura della condizione umana , ovvero rifiuto dell’ottimismo ottocentesco
-rifiuto dell’idealismo
-inevitabilità del dolore, poiché esso scaturisce dalla stessa natura umana
-recupera la metafisica come parte centrale della riflessione filosofica. Dopo Kant non sembrava più possibile, perché “ciò che sta al di là della fisica” (oggetto della metafisica) è il nuomeno, l’inconoscibile.
-religiosità indiana
-l’arte è fonte di rigenerazione (in linea con il romanticismo)

Sch., come Hegel, ha come inevitabile punto di riferimento la filosofia di Kant. La soluzione che egli indica per il dualismo è tuttavia diversa da quella di H.
Hegel in conclusione afferma che fenomeno e nuomeno sono una medesima cosa e che il dualismo è solo un momento dell’esistenza dello Spirito, il quale è l’unica realtà che esiste e con cui tutto coincide.
Per Sch. il dualismo invece non si risolve affatto ma, al contrario, è la struttura propria della realtà. Egli non risolve il dualismo, al contrario lo analizza per capirne il significato vero. Per far ciò abbandona la strada indicata da Kant, ovvero l’uso critico della ragione, e recupera lo strumento proprio della metafisica: l’intuizione (almeno in questo è vicino al suo “rivale” Hegel). Questo gli permette di “fare il salto” al di là del limite, di conoscere quello che non è conoscibile con la ragione. In tal modo riesce a “vedere dall’interno il nuomeno”, riesce cioè a calarsi nel livello profondo e puro dell’essere, quello che resta sempre e inevitabilmente nascosto dietro il limite invalicabile dei sensi.
Questo limite da Sch viene chiamato “velo di Maja”, riprendendo un’immagine della mitologia greca. (Maja era la madre del dio Dioniso). L’immagine poetica è in realtà caricata di un forte significato negativo (connotata negativamente), perché tutto ciò che è sensazione, quindi l’intero nostro mondo (mondo fenomenico), è presentato come un inganno.

Un inganno creato da cosa, per chi e affinché faccia cosa?
un inganno creato dalla Volontà, per le Volontà individuali, perché continuino a soddisfare i propri bisogni
Ovvero: un inganno creato dalla Volontà, per l’uomo, affinché continui a soffrire

Le due risposte si equivalgono.
La Volontà è ciò che è all’origine di tutto ciò di cui ci troviamo circondati nella nostra esistenza, ma essa non ha nulla in comune con il mondo che vediamo, poiché la sua natura è completamente diversa (non c’è quell’uguaglianza di struttura che c’è in Hegel tra Spirito e mondo. In Sch. Volontà e mondo sono completamente diversi. Dei due, come si vedrà, solo il mondo ha un ordine razionale e una struttura, mentre la Volontà è l’opposto di tutto ciò).
Le Volontà individuali sono le “creazioni” della volontà, quasi dei personaggi che essa inventa e nei quali riesce poi a instillare la convinzione di esistere realmente, di avere realmente desideri, affetti, gioie, dolori. Tra questi “personaggi inventati” gli uomini sono certamente quelli più riusciti.

Perché la Volontà vuole ciò? Non per cattiveria o per bontà, poiché queste categorie “umane” (che son proprie del mondo sensibile) per essa non hanno senso. Semplicemente questo è il suo modo di esistere.
La Volontà, l’essere vero, ciò su cui ogni apparenza poggia, non è qualcosa di stabile, ma è un flusso, uno slancio, un Volere appunto. L’essere, il noumeno, è questa forza cieca, priva di ragione, si scopo, di significato. È un violento slancio che mira semplicemente a continuare ad esistere. Il mondo come noi lo vediamo è il complesso gioco che ha creato per continuare ad esistere.
Essendo essa Volontà, per continuare ad esistere come può fare? Usando un linguaggio improprio ma che aiuta: come può fare questo slancio a “riprodursi”? Essendo un “agire”, un “tendere a”, per riprodurre se stesso deve produrre dell’azione, del “tendere a”. Il modo in cui ha dato forma al mondo risponde a questa esigenza.
Le realtà presenti nel mondo, prime tra tutte gli animali e l’uomo, sono dei nuclei di bisogni e di desideri. In esse un desiderio si sussegue all’altro in un’alternanza senza fine. Bisogno di fare un movimento, di alleviare un fastidio, di trovare un affetto, soddisfare un’aspirazione…tutto ciò che spinge l’uomo ad agire un bisogno, un desiderio di ottenere qualcosa o di eliminare qualcosa che si ha e che provoca noia. Anche le virtù e i sentimenti più nobili e romantici sono ricondotti a questo gioco, egualmente strumento con cui la Volontà riesce a riprodurre, perpetuare la propria esistenza, a portare avanti il proprio flusso di “volere”.

-COME LA VOLONTA SI RIFRANGE NEL MONDO-
La Volontà è Una, mentre il mondo è molteplice. Per passare dall’uno al molteplice, al plurale, c’è un livello intermedio, che è stato indicato già da Platone: è il livello delle idee, che sono dei modelli, degli archetipi, dai quali poi discenderà l’infinitudine degli individui del mondo sensibile. Il mondo delle idee è insensibile e privo di fisicità, si colloca quindi già in una dimensione metafisica, oltre l’inganno del velo di Maja e la sofferenza del mondo, legata alla molteplicità. Sollevarsi oltre il molteplice fino alla semplicità delle idee significherebbe staccarsi dalla dimensione della sofferenza.

-L’UOMO E IL MONDO-
L’uomo è l’unico essere dotato di ragione, dunque della capacità di conoscere. Tuttavia egli non comprende quale è la vera natura della sua esistenza e del mondo. Egli si ferma a ciò che gli mostrano i sensi, ovvero un mondo retto da leggi razionali, in cui tutto esiste nello spazio ed è ordinato nel tempo. Le cose gli appaiono avvenire secondo regole causali (ogni cosa accade perché un’altra cosa l’ha causata) e, all’interno della causalità trova spazio anche l’agire umano. Esso anzi ha un significato proprio, al punto che si può parlare di bene e di male (la religione cristiana fa parte di questa “convinzione” ovviamente). Spazio, tempo e causalità Sch. le riprende da Kant, dove erano forme a priori. Qui sono le “forme”, i principi che strutturano il mondo sensibile. Essi non hanno senso in riferimento alla Volontà (non esistono “nella” Volontà).
Il credere nelle leggi fisiche o nelle leggi morali è parte dell’illusione creata dalla Volontà, del suo gioco, perché questa fiducia nell’esistenza effettiva delle cose che vediamo ci spinge ad impegnarci nella realizzazione dei nostri “desideri di questo mondo”, nobili o vili che siano (dal mangiare un buon cibo al dare se stessi per un ideale politico o religioso).
Il mondo sensibile non è altro che il velo di Maja; il mondo è l’inganno, l’apparenza messa inscena dalla Volontà e a cui ha dato la convinzione di essere qualcosa di vero.

-LA SOFFERENZA UMANA-
L’uomo (volontà individuale) si illude di avere una volontà propria. Questo lo spinge a cercare di realizzare i desideri/bisogni, che crede propri. In realtà essi sono fatti sorgere in lui dalla Volontà, perché in tal modo essa continua ad esistere.
Il tentativo dell’uomo di agire per realizzare i propri bisogni trova continui ostacoli. Questo è all’origine della sofferenza umana, che deriva quindi dal fatto stesso di esistere come volontà individuale. L’uomo non può esistere in altro modo che come essere che soffre. (Come si vedrà, l’unico modo per evitare la sofferenza sarà “evitare l’esistenza”, ovvero cessare di essere una volontà individuale).

-COME PORRE RIMEDIO ALLA SOFFERENZA-
Per porre rimedio alla sofferenza tre sono le vie indicate da Sch.
Nessuna di esse in realtà richiede che l’uomo squarci consapevolmente il velo di Maja. Il vedere quale è la vera natura della realtà e dell’uomo non è effettivamente un sollievo, ma al contrario getterebbe l’uomo nella disperazione più totale, perché gli mostrerebbe il nulla su cui si regge l’intera sua esistenza. Ciò che egli crede abbia valore di colpo gli si mostrerebbe per ciò che effettivamente è: un’apparenza e non un qualcosa dotato di “essere”. Questo è il nichilismo di Schopenhauer.
Le vie che possono fornire sollievo per la condizione d’esistenza umana sono altre: l’arte, la morale e l’ascesi.

ARTE (sospensione momentanea della sofferenza)
L’arte non utilizza la ragione, ma un’altra facoltà propria dell’uomo, il “genio”. Questa facoltà non procede con i nessi propri della logica, ma è capace degli slanci propri dell’intuizione. Essa riesce quindi ad innalzarsi oltre il livello del fenomenico (a cui invece la ragione è legata) per arrivare alla semplicità degli archetipi, alle idee. L’arte riesce a rendere manifeste le idee all’uomo: all’artista che produce l’opera d’arte, ma anche a colui che la contempla. Nel tempo in cui un uomo ammira un oggetto artistico, egli è sottratto al molteplice fenomenico ed alla sofferenza che da esso deriva. Tuttavia, quando distoglierà lo sguardo dal quadro egli tornerà nella quotidiana normalità del suo dolore.
Un ruolo particolare ha la musica, considerata capace di rappresentare all’uomo il puro slancio della Volontà.

MORALE (attenuamento della sofferenza)
La morale, ovvero il farsi guidare nelle proprie azioni da dei rigidi precetti ispirati al valore del rispetto reciproco,  pone un freno a ciò da cui la sofferenza deriva, ovvero alle passioni ed agli istinti. Infatti proprio il cercar di dare continuamente seguito ai desideri è all’origine della sofferenza. La morale è il contrario di questa continua affermazione del sé e, pertanto, diminuisce la sofferenza.

ASCESI (annullamento della sofferenza e dell’uomo)
Poiché la sofferenza è tutt’uno con la natura umana, l’unico modo per eliminarla è negare la stessa esistenza umana. L’ascesi, con i suoi esercizi ed il suo cammino di graduale distacco dal sé, permette di realizzare proprio questo. L’approdo ultimo sarà un nulla in cui l’individuo si discioglie, cessando di essere un io, un nucleo di consapevolezza. Questo perdere se stessi annullandosi ha tuttavia una propria positività, poiché appare come una pacificazione, come un superare la dimensione dell’individualità e del soffrire, per rifugiarsi nell’assenza di individualizzazione, nel nulla che è pace e totalità piena. Una condizione molto simile a quella descritta come nirvana.

 

Fonte: http://www.webpulse.it/webpulse/scuola/filosofia/schopenhauer.doc
Autore: non indicato nel documento

 

Schopenhauer
La sua filosofia parte dalla distinzione tra fenomeno e noumeno.
Secondo lui tutto ciò che x noi è il fenomeno è sbagliato perché questa è solo una rappresentazione fittizia di ciò che noi filtriamo attraverso le forme a priori che guidano il nostro intelletto seguendo il pensiero di kant.
Invece ciò che rimane sotto queste rappresentazioni è il noumeno ed è questo la vera realtà delle cose.
L’uomo dice S. è un animale che a differenza di una testa alata o di un angelo non è solamente rappresentazione quindi oltre ad avere una parte esteriore ha anche una parte interiore. Questa parte interiore ogni volta che l’uomo prova gioia o prova dolore lo fa comprendere che è qualcosa in quanto VUOLE sempre qualcosa.
Questa volontà è insita in noi e non è una volontà che è fine a qualcosa ma la sua è una volontà continua, è un desiderio di desiderare sempre. Una volta che si desidera una cosa e una volta questa sia raggiunta c’è sempre un’altra cosa che si vuole e così fino all’infinito.
La stessa struttura dei nostri apparati sono una dimostrazione di queste nostre volontà di vivere. Infatti il nostro apparato digerente rappresenta la nostra volontà di nutrirsi, quindi di vivere, lo stesso vale per il nostro apparato sessuale che è la volontà di riprodurre, e quindi di continuare a vivere. Per questo motivo noi non ci troviamo in un mondo meraviglioso basato sul bene, noi ci troviamo in un mondo bruttissimo dove ogni essere vive tramite la morte di un altro, e quindi tutto è basato sulla lotta continua tra specie. Ogni organismo quindi è la tomba di tantissimi altri.
Tutti quindi sentono in natura maggiore o minore la propria volontà di vivere, che invece nell’uomo è sentita maggiormente perché egli percepisce meglio di tutti gli animali la propria volontà.
La nostra vita è un continuo dolore, e per quelle poche volte che si prova piacere o godimento dopo una sensazione dolorosa, questo è momentaneo. La stesso piacere non esisterebbe se non ci fosse il dolore, infatti il piacere di bere esiste solo se c’è la sete, e così via.
Schopenhauer dice che la nostra vita può essere paragonata ad un pendolo che si trova ad oscillare tra uno stato
di dolore o di noia, mentre nella posizione di equilibrio vi è il piacere che è molto più veloce delle altre due posizioni.
La noia subentra quando si smette di desiderare e quando ci si rende conto che per ogni cosa che si desidera ci sarebbe sempre una volta raggiunta qualcosa altro da desiderare e quindi che non si sarà mai contenti.
L’illusione dell’amore: Il fine dell’amore che sembra nobilitare l’uomo alla fine non è altro che un odo per prendere in giro l’uomo, perché lo scopo finale dell’amore è la riproduzione ovvero la perpetuazione della specie, quindi sotto ogni corteggiamento si nasconde una decisione precisa volta verso l’accoppiamento. E’ un errore quindi dire il contrario.
Rifiuti
Dell’ottimismo cosmico:
il mondo non è,come tutti i filosofi laccati ottimisti fanno credere, un posto buono, o il migliore dei mondi possibile, ma al contrario è un inferno continuo dovuto proprio all’esistenza delle malattie, e della miseria che colpisce moltissime persone. Quindi il nostro è un inferno e questa spiega il motivo perché dante è stato così bravo nel descriverlo perché gli bastava guardarlo attorno a sé, mentre invece gli è stato difficile descrivere il purgatorio e tanto meno il paradiso.
Dell’ottimismo sociale
L’uomo non è di natura buono, come gli ottimisti vogliono far capire. Lui è l’unico animale così cattivo che prova piacere quando un altro uomo soffre.
Dice che in ogni uomo si nasconde una bestia pronta ad uscire e le stesse leggi non sono poste per la natura politica dell’uomo ma bensì per tutelarsi dall’aggressività umana che porterebbe al caos totale. Quindi l’uomo è l’animale mechant come ha definito gobineau.
Dell’ottimismo storico
La storia non è una scienza e gli storici nello studio della storia finiscono per perdere di vista l’uomo dicendo, facendo intendere che per ogni periodo l’uomo cambia ma questo non è vero perché l’uomo alla fine è sempre lo stesso sia che possa essere vissuto ieri o 5000 anni fa.
Le vie per la liberazione dal dolore…
Schopenhauer condanna il suicidio perché dice che è un modo molto nel quale non si ha eliminato la volontà, ma semplicemente la vita che è una caratteristica di un essere umano, e sotto la voglia del suicidio c’è un rifiuto a vivere una vita come è quella che si stava seguendo, quindi una volta che l’individuo si suicida la volontà rinasce come il sole in altri organismi che non cesseranno mai di volere.
La liberazione dai dolori:
L’arte:
L’arte perché è conoscenza libera e disinteressata può essere intesa come l’unica cosa in grado di liberare momentaneamente l’uomo dal suo dolore.
Lo stesso per la musica che non producendo mimeticamente le idee a differenza dell’arte riesce comunque a liberarci dal dolore perché ci mette in contatto con le radici della vita e in queso momento che cessa il nostro bisogno.
La pietà
Questa è un modo mediante il quale l’uomo riesce a eliminare la sua natura di fare male all’uomo eliminando anche la sua aggressività, e quindi è un modo attraverso il quale ci si sente bene.
L’ascesi
Utilizza alcuni scritti buddisti e indiani per riuscire ad esprimere ciò che è difficilissimo da raggiungere, ovvero il nirvana che si ottiene soltanto attraverso l’annullamento della volontà di vivere arrivando a percepire il nulla, ovvero il nirvana dove si ha la cessazione della volontà umana e dove si percepisce che tutto ciò che noi reputiamo importante nel mondo in realtà non lo è, dissolvendo tutte le nozioni del mondo che abbiamo appreso.

 

Autore: non indicato nel documento

http://www.manfredoniascuole.it/filosofia/Schopenhauer.doc

 

SCHOPENHAUER
Schopenhauer nasce in Polonia in una famiglia molto benestante: non ha una tradizione culturale, ma commerciale che egli descrive nella sua biografia. Vive per due anni in Francia per essere educato all’attività mercantile provocandogli grande sofferenza. Grazie alla madre entra in contatto con Meyer, conoscitore della cultura indiana, e grazie a lui inizia a leggere i testi sacri della tradizione induista e buddista. Fu allievo di Fichte da cui poi resterà deluso. Era colpito dalla filosofia di Platone (duplicità del reale) e da quella Kantiana (ricerca del Noumeno). Ma soprattutto apprezza la duplice realtà esposta nella filosofia orientale (Velo di Maya): al di là di ciò che si coglie con i sensi c’è la realtà vera. Il mondo è apparente (fenomeno) ma ha anche una realtà che non possiamo vedere. Riprende anche Berkeley dicendo che il soggetto conferisce l’esistenza all’oggetto in base a se stesso, come è peraltro citato nella rivoluzione copernicana di Kant.

1818: pubblica “Il mondo come volontà e rappresentazione” , ma non riscuote molto successo.

Realtà: dipende dal soggetto. È un continuo fluire di immagini che si organizzano tramite le forme di spazio e tempo in un’unica categoria: la causalità. Tutto è riconducibile ad un rapporto di causa effetto, che in sostanza, è anche l’essenza profonda della materia, è il noumeno. La realtà materiale è quindi dominata dal determinismo, ovvero dalla causa-effetto.
Nel mondo però non c’è soltanto la realtà inorganica, ma esiste anche la vita. La vita è il movimento del reale che si può conoscere nella sua essenza togliendo il “velo di Maya”. La realtà è la rappresentazione personale che si può superare con l’analisi di se stesso.

Analizzando la propria vita ci si coglie come fenomeno (realtà materiale), ma anche come una forza intrinseca che muove i gesti, ovvero la volontà umana. Quindi è la volontà che ci muove. Noi compiamo i gesti come risposta alla volontà istintiva di vivere. Istintivamente si sente la necessità di sopravvivere in relazione alla volontà interiore. La realtà vivente è dominata da questo istinto primordiale che non è razionale, ma è dimostrato dal non suicidarsi e dalla reazione al pericolo per sfuggire alla morte.

Volontà: ci spinge inconsapevolmente a desiderare qualcosa

  • è una forza che non si può dominare
  • è realtà inconscia ed eterna, propria dell’esistenza del mondo
  • è unica in quanto presente in tutti gli esseri viventi
  • incessante perché emerge sempre attraverso i continui desideri
  • universale
  • sinonimo di desiderio, indicando perciò una mancanza di qualcosa, e quindi sinonimo, al tempo stesso, di sofferenza per qualcosa che non si possiede.

La vita umana è perciò dolorosa in quanto si vive in un perenne stato di sofferenza. Il dare soddisfazione ai propri desideri ingenera la noia e quindi conseguentemente sofferenza.

 

Soluzioni a questa condizione di vita

  • apparenti e false
    • soddisfazione del desiderio, come ad esempio l’amore: la soddisfazione del desiderio sessuale conduce al rapporto sessuale che si conclude con la procreazione; tutto ciò è negativo in quanto si fa ricominciare il processo della volontà.
    • suicidio: esaltazione della volontà; per vivere bene, infatti, bisogna soffocarla e non esaltarla.
  • palliative (temporanee)
  • compassione: atteggiamento che ci porta a sentire una dimensione di condivisione con chi sta soffrendo o è felice.
  • arte: ci porta ad una contemplazione estranea e temporanea. È più profonda della compassione e ci permette di staccarsi più a fondo dal nostro vivere.
  • vera soluzione
  • ascesi: è una strada difficile riservata a pochi. L’uomo raggiunge il Nirvana (il nulla) tramite uno stato di totale atarassia, non volontà, liberandosi totalmente da qualsiasi desiderio personale. Si parla di Noluntas, ovvero non volontà.

Questa realtà di sofferenza che genera la noia, lo avvicina soprattutto agli ideali leopardiani per la mancanza di uno prospettiva escatologica e per una concezione della realtà come dolorosa e sofferente.

 

http://anki.altervista.org/appunti/riassunti/filosofia_terzo_anno.doc

Autore: non indicato nel documento

 

Schopenhauer, genio e follia

 

 

 

 

Le meccaniche che muovono e strutturano la follia sembrano definire nel contempo il sottosuolo dell’esperienza artistica e filosofica.
Gli stretti legami tra follia, esperienza estetica, estasi, entusiasmo, provar-stupore, aver vertigini, riemergono e vengono attentamente considerati nelle osservazioni che si dipanano nei capitoli centrali del terzo libro del Mondo come volontà e rappresentazione.

 

Arthur Schopenhauer: breve riassunto sul suo pensiero

 “Il Velo di Maya”
Schopenhauer  distingue tra il fenomeno e la cosa in sé come fa Kant. Mentre per Kant il fenomeno è la realtà e la cosa in sé è un concetto limite, per Schopenhauer il fenomeno è una semplice illusione, mentre la cosa in sé è la realtà che si nasconde dietro l’illusione del fenomeno. Il fenomeno è detto quindi “Velo di Maya”. Il fenomeno è una rappresentazione che esiste soltanto dietro la coscienza. La rappresentazione ha due aspetti: il soggetto rappresentante e il soggetto rappresentato. Il soggetto e l’oggetto esistono soltanto dentro la rappresentazione.
Anche Schopenhauer, come Kant, ritiene che nella nostra mente ci siano tre forme a priori e che sono soltanto tre: spazio, tempo e casualità. La casualità assume forme diverse manifestandosi in quattro modi:

  1. come principio del divenire (che regola i rapporti tra gli oggetti                    naturali);
  2. come principio della conoscenza (che regola i rapporti tra premesse e conseguenze);
  3. come principio dell’essere (che regola i rapporti spaziotemporali e quelli aritmetico geometrici;
  4. come principio dell’agire (che regola i rapporti fra un’azione e i suoi motivi).

Essendo la rappresentazione un’illusione ingannevole se ne deduce che la vita è sogno cioè una rete di inganni. Ma al di là del sogno esiste la vera realtà su cui l’uomo deve interrogarsi.

 

La via di accesso alla cosa in sé

Se noi fossimo soltanto conoscenza e rappresentazione, non potremmo mai uscire dalla rappresentazione puramente esteriore di noi stessi e delle cose. Ma, poiché noi siamo anche corpo, allora, noi viviamo con noi stessi anche dal nostro interno cioè godendo e soffrendo.E’ questa esperienza interna che permette all’uomo di afferrare la cosa in sé. Infatti ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che la cosa in sé del nostro essere è la volontà di vivere. Infatti noi siamo vita e volontà di vivere e il nostro corpo manifesta all’esterno questo nostro desiderio interiore. Pertanto il mondo fenomenico è il modo attraverso cui si rende visibile la volontà di vivere. Da quanto detto si capisce il significato del titolo del capolavoro di Schopenhauer “Il mondo come volontà e rappresentazione”. La volontà di vivere non è soltanto la cosa in sé dell’uomo ma è la cosa in sé di tutte le cose, è la cosa in sé dell’intero universo.

 

Caratteri della volontà di vivere

La parola “volontà” per Schopenhauer non significa volontà cosciente, ma energia o impulso senza alcun comportamento razionale. La volontà è oltre lo spazio e il tempo quindi è unica, perché non è soggetta al principio di individuazione che invece è presente in tutti gli altri enti, che perciò sono molteplici. La volontà è anche eterna, appunto perché è fuori dal tempo. Infine, essendo fuori dal mondo, non ha causa e non ha scopo ed è un impulso inconsapevole. Essa è l’unico assoluto e Dio non esiste. Dapprima la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, senza spazio e senza tempo, che Schopenhauer chiama idee, considerati gli archetipi del mondo. In una seconda fase la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale. In questo mondo e nell’uomo la volontà si presenta in gradi diversi e nell’uomo si manifesta nei suoi gradi massimi: la maggiore consapevolezza però implica un maggiore dolore.

 

Il pessimismo

Se l’essere è la manifestazione di una volontà infinita allora la vita è dolore. Infatti volere significa desiderare e il desiderare significa stare in una tensione dovuta la fatto che non si ha qualche cosa che si vorrebbe avere. Ottenendo quello che si vuole, si ha un piacere parziale, perché poi si desidera un'altra cosa e cosi all’infinito. Inoltre anche quel minimo appagamento che si ottiene, conduce presto alla saturazione e quindi alla noia. Per tanto la vita è un continuo oscillare tra il dolore e la noia. Tutto quello che si ottiene , anche un minimo piacere, quando si raggiunge una tale cosa non è altro che la cessazione momentanea del dolore. Tutto nel mondo soffre, perché in tutto c’è la volontà di vivere. Il male non è soltanto nel mondo, ma nel principio stesso da cui il mondo dipende, cioè la volontà. E questa volontà, unica nella sua essenza si auto lacera nel mondo in una guerra continua del tutto contro tutto e di tutti contro tutti. Per tanto in questa vicenda cosmica l’individuo è soltanto uno strumento per la continuazione della specie e non ha in sé alcun valore. Attraverso l’amore, la volontà pensa solo alla continuazione della specie e per questo che l’atto sessuale è accompagnato da un particolare piacere. È dovuto solo a questo che la donna prima è piena di attrattive e poi da anziana le perde. L’amore procreativo è una vergogna perché mette al mondo individui destinati a soffrire

Le vie di liberazione del dolore

La vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione della volontà di vivere. Schopenhauer elenca così le varie tappe della liberazione , che sono: l’arte, la morale e l’ascesi.
L’arteper Schopenhauer è la conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, cioè ai modelli eterni delle cose. Nell’arte infatti questo “mio amore personale”, come quello tra Renzo e Lucia ne I promessi sposi o tra Petrarca e Laura, diventa con l’arte l’amore a livello universale in quanto l’arte ne evidenzia l’essenza immutabile valida per tutti. Quindi il soggetto che contempla le idee, cioè gli aspetti universali della realtà, non è più l’individuo soggetto alla volontà, ma il puro soggetto del conoscere cioè il puro occhio del mondo. In tal modo l’individuo risulta sottratto alla catena dei bisogni e dai desideri quotidiani con un appagamento perfetto. In tal modo si supera sia la volontà, sia il dolore sia il tempo. Tuttavia la funzione liberatrice dell’arte e solo temporanea e quindi non è una via per uscire dalla vita ma è soltanto un conforto per la vita.
La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. Quindi la morale nasce da un sentimento di pietà attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Quindi tramite questa pietà noi sperimentiamo l’unità metafisica di tutti gli esseri. La morale si compone di due virtù cardinali: la giustizia e la carità (Agape). La giustizia consiste nel non fare il male e nel riconoscere agli altri ciò che noi riconosciamo a noi stessi. La carità si identifica con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Al suo massimo livello, la pietà consiste nel fare propria la sofferenza di tutti gli esseri e deve assumere su di sé il dolore cosmico. La morale tuttavia rimane pur sempre all’interno della vita e quindi presuppone un qualche attaccamento ad essa. Pertanto Schopenhauer non ha raggiunto il suo traguardo di liberazione totale della volontà di vivere perché l’amore per il prossimo tipico della morale presuppone questa volontà.
L’ascesi è l’esperienza per la quale l’individuo cessando di volere la vita e dunque la volontà stessa, vuole annullare il proprio desiderio di esistere e di volere. Il primo passo dell’ascesi è la castità perfetta che libera dall’impulso alla generazione. Le altre manifestazioni dell’ascesi (la rinuncia dei piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio, la penitenza corporale) tendono a sciogliere la volontà di vivere dalle proprie catene. Anche se la volontà fosse interamente vinta in un solo individuo essa morirebbe tutta, perché è una e una soltanto. La soppressione della volontà di vivere è l’unico atto di libertà che sia possibile all’uomo. Quando egli riconosce la volontà come cosa in sé, si sottrae nello stesso tempo alla sua tirannia. La coscienza del dolore come essenza del mondo è un quietivo del volere, nel senso che lo annulla e fa in modo che l’uomo diventi libero. Quando l’uomo diventa libero entra in quello stato che i cristiani chiamano di grazia. Mentre nei mistici cristiani l’ascesi si conclude con l’unione con Dio, invece in Schopenhauer si conclude con l’accesso al Nirvana buddista. Il nirvana è l’esperienza del nulla, che non è il niente ma è un nulla relativo al mondo, cioè la negazione del mondo stesso pur rimanendo qualche cosa da parte nostra.

Genialità-Follia

Nell’approfondire i caratteri del genio, del suo distanziarsi dall’uomo volgare (der gewöhnliche Mench),si renderà pressoché necessario il riferimento ai fenomeni propri della follia.
Anzitutto la contemplazione del genio si costruisce facendo astrazione dal principio di ragione, in tutte le sue forme: la genialità è appunto l’attitudine a mantenersi nel luogo dell’intuizione pura, luogo in cui avviene la perdita, la rinuncia del Sé. Risulta pertanto inseparabile da un oblio completo della propria personalità e di tutte le relazioni che sostiene (e la sostengono) nel mondo. Nell’intuizione estetica non siamo più consapevoli di noi stessi, ma solo degli oggetti intuiti. Essa è anche esperienza di un annullamento (sia pure temporaneo) della propria volontà, e quindi del dolore. Nella contemplazione dell’idea il genio infrange la sua servitù (der Dienst) alla volontà, non è più lo strumento che le procura i mezzi per soddisfarla. La voce della volontà individuale tace, il genio non è altro che il più alto grado dell’oggettità, ossia la direzione oggettiva dello spirito, in opposizione alla direzione soggettiva, che fa capo alla propria persona, alla propria volontà.
Di particolare interesse sono per noi le ricadute della posizione im-personale del genio nella vita pratica, nella vita di tutti i giorni. Non più servo della volontà individuale, teso interamente alla conquista dell’idea, egli guarda alla vita con occhi del tutto diversi da quelli dell’uomo comune, non interessandosi tanto di considerare e organizzare la sua via nella vita, quanto piuttosto di contemplare la vita stessa, in ciò che vi è di permanente, di essenziale, di incausato. La conoscenza, mentre per l’uomo volgare è la lanterna che illumina la via (la sua via individuale nella vita), per l’uomo di genio è invece il sole che illumina il mondo. La considerazione delle molteplici relazioni che la sua individualità intrattiene con gli oggetti del mondo non trova posto nell’attività contemplativa del genio; ponendosi altrove rispetto al campo d’applicazione del principio di ragione, la genialità non potrà che risultare deficitaria per quanto riguarda la prudenza (die Klügheit) e la saggezza pratica, con tutti i correlati che tale deficienza immancabilmente produce nello svolgersi della vita quotidiana. Già qui Schopenhauer sta costruendo la strada che porterà all’analogia conclusiva tra la genialità e la follia.
Da questo punto in poi Schopenhauer procede a grandi passi sino al parallelo finale genialità-follia, conclusivo del trentaseiesimo capitolo: tutto ciò che viene detto del genio è già nutrito dall’intenzione finale di chiarire la genialità nella follia.
A questo riguardo è interessante che venga ‘ricordata’ la ripugnanza del genio nei confronti della logica e la sua scarsa attitudine alla discussione. È proprio la conversazione che separa la genialità dal modo comune di vivere, di conoscere, di dialogare: il genio ha tendenza al monologo. Ad orecchie educate al principio di ragione il dis-correre del genio, che sembra non vedere il suo interlocutore (assorto com’è nella contemplazione dell’idea) e si mostra del tutto incurante di ogni rispetto nei confronti della coerenza logica, non può che assumere i caratteri del delirio, di un discorso non solo e non tanto incomprensibile, quanto piuttosto non-comunicante.
Infine il genio può mostrare tante di quelle debolezze che rasentano veramente la follia (der Wahnsinn). Che genio e follia abbiano un lato in cui si toccano, anzi si confondono, è un’osservazione che venne fatta più d’una volta.
Il grande muro di citazioni letterarie, posto in limine dell’esplorazione della follia, raccoglie affermazioni dal Platone del Fedro, da Cicerone, da Pope, affermazioni che concordano tutte nel ritenere che senza un briciolo di follia non vi può essere autentica genialità (le citazioni letterarie, per quanto moltiplicate all’infinito, non possono certo costituire prova esaustiva della continuità genio-follia; e questo è presente agli occhi dello stesso Schopenhauer, che poco oltre si sforzerà d’indagare sulla natura della follia in ben altri termini).
La conclusione a cui si arriva è quasi obbligata: sembrerebbe che ogni superiorità intellettuale oltrepassante la media comune debba venir considerata come un’anormalità predisponente alla follia.
La riflessione viene bruscamente interrotta per far spazio ad un breve esame preliminare sulla follia in se stessa. Preliminarmente si osserva come la razionalità scientifica non sia di fatto ancora giunta ad un’autentica e sicura comprensione della natura della follia e non è quindi in grado di produrre il concetto della differenza tra follia e salute mentale.
È una realtà incontestabile che i folli (die Wahnsinningen) siano anche in grado di ragionare e che dunque in loro l’attività dell’intelletto e della ragione non è del tutto spenta. Sono in grado di capire e di farsi capire. Non sono nemmeno del tutto estranei all’ordine impartito dal principio di ragione, se è vero che hanno generalmente una percezione abbastanza esatta di quanto avviene intorno a loro, e afferrano la connessione delle cause e degli effetti. In breve: la follia sembra far capo a una mancanza della memoria. Non si può comunque parlare di una paralisi dell’intera facoltà mnemonica, in quanto i folli riescono spesso a ricordare scene del proprio passato e talora anche a rappresentarsele con estrema vivezza.
Ciò che accade in loro è che il filo della memoria viene spezzato, la continuità della sua concatenazione soppressa, e ogni richiamo regolare coerente del passato è reso impossibile.
Lo spazio della memoria è dunque costellato di vuoti e la follia giunge a realizzarsi proprio nel riempire questi vuoti, nel colmarli con finzioni.
Non è un caso infatti che l’incespicante e frammentata memoria del folle inneschi un processo al termine del quale vi è una profonda trasformazione dell’identità personale:

il vero e il falso si confondono (vermischen) in modo costantemente crescente nella sua (del folle) memoria. Il presente immediato viene certo percepito con esattezza, ma è falsato da relazioni fittizie con un passato chimerico; i pazzi confondono se stessi e gli altri per persone che non esistono se non nel loro passato fantastico

La follia è dunque, attraverso la memoria, disturbo della personalità. Ecco il processo: in primo luogo si pensi al’come’ di questi vuoti all’interno del tessuto mnemonico. La meccanica che li produce viene ripercorsa per sommi capi e risiede tutta nel tentativo di porre in parentesi un dolore, un’afflizione insopportabile, che non ci concede tregua. È una sorta di meccanismo di rimozione quello che segna il passaggio dal dolore alla follia. Riguardo le modalità di costruzione di queste finzioni, il testo schopenhaueriano,  pare taccia. Forse la meccanica che regola la produzione dei ‘riempimenti’ è la stessa che guida la vita inconscia.
Se il proprio passato viene controllato, costruito, da una memoria assolutamente obbediente al principio di ragione, il risultato sarà la percezione presente di un ‘io’ stabile, che si prolunga con coerenza dal passato e che altrettanto coerentemente si affaccia verso il futuro. Qualora invece il tessuto mnemonico sia colmo di buchi, e la continuità interrotta interamente colmata da finzioni prodotte al di fuori dell’io, allora non vi è più possibilità di rinvenire alcuna continuità, alcuna coerenza. La percezione che avviene ora, nel presente, viene a trovarsi in un luogo disancorato dal principio di ragione, un luogo nel quale la nozione stessa di ’io’ risulta assente. Non sorprende così che la percezione dell’individualità sfumi. E non solo la percezione della propria, ma anche di quella altrui: i pazzi confondono se stessi e gli altri per persone che non esistono.
La questione della follia non sembra risolversi esclusivamente in una questione di connessioni e relazioni mancate tra un’esatta percezione del presente e di alcuni elementi frammentari del passato. Nell’momento in cui il folle, percependo qualcosa, si richiama al tessuto mnemonico che abita in lui, in quel momento la natura estatica, impersonale, di questo tessuto lo avvolge, lo fa suo, parla attraverso di lui, lo ispira. Da qui, ogni relazione spaziale, temporale e causale proiettata sullo sfondo di un tessuto mnemonico lacerato, non più controllato dall’io, si annulla e la figura assume il senso che la struttura gli conferisce, non quello che io, in forza del principio di ragione, gli potrei conferire. Insomma, è il delirare della percezione.
Il parallelismo tra genialità e follia non dev’essere per altro inteso in senso assoluto, quasi si trattasse di una totale coincidenza.
Ad ogni modo è innegabile che vi sia per Schopenhauer un punto di contatto tra genialità e follia.
La considerazione del fatto che gli uomini non sono soltanto capaci di produrre le opere d’arte, ma sono anche in grado di fruirle, porta inevitabilmente al riconoscimento che l’attitudine propria del genio, attitudine a svincolarsi dal principio di ragione, sia pure in una misura diversa dev’essere propria di tutti gli uomini, senza di che sarebbero incapaci di gustare le opere d’arte, né più né meno di quello che non siano a produrle
Come in ognuno di noi alberga la dis-posizione alla genialità, allo stesso modo nessuno di noi può ritenersi del tutto al riparo dalla follia. Per quanto messa a tacere dall’attività della conoscenza razionale, essa è elemento costitutivo dell’essere dell’uomo. Al pari della genialità, si presenta come la dis-posizione che apre all’uomo la possibilità di una conoscenza vera, svincolata dal principio di ragione, tesa all’intuizione dell’idea
In tal senso l’arte è tutt’uno con la filosofia, è già ricerca filosofica.

 la filosofia si distingue da essa unicamente per il modo d’espressione. All’artista come al filosofo occorrono due qualità: a) genialità, cioè conoscenza capace di trascendere il principio di ragione o conoscenza delle idee; b) la capacità di ripetere attraverso una tecnica trasmissibile, che può essere acquistata mediante esercizio, le idee intuite in una certa sostanza (questa sostanza per il filosofo sono i concetti, come per lo scultore il marmo, per il pittore i colori, ecc.)

La genialità risulta così il fondamento, la condicio sine qua la produzione e la fruizione estetica, così come la stessa ricerca filosofica, non potrebbero nemmeno essere.
Se la genialità e la follia avvengono nel medesimo luogo (o quanto meno individuano nel loro confondersi un territorio comune), allora è inevitabile riconoscere anche alla fatica filosofica un fondamento nella follia. Il linguaggio filosofico insomma, che prende vita nella sostanza dei concetti, attinge la propria origine nella concezione intuitiva del mondo, nella genialità-follia, che costituisce dunque il suo autentico fondamento, il suo Grund.

 

Autore : Di Tuoro Gaetano

fonte: http://skuola.tiscali.it/sezioni/tesine/11273-tesina.doc

 

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