Russell vita e opere
Russell vita e opere
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Russell vita e opere
BERTRAND RUSSELL
IL 2 FEBBRAIO 1970 muore a Plas Penryn, Monmouthshire, Galles BERTRAND  RUSSELL, uno dei massimi filosofi e matematici del XX secolo. 
Nei quasi 98 anni di vita, da grande maestro  della prosa qual era, ci ha lasciato più di 75 libri, per non parlare degli  innumerevoli articoli, saggi e trattati, molti dei quali sono stati pubblicati  più volte e hanno dato vita a una vasta produzione letteraria secondaria sulla  sua vita e sulle sue idee. Tra i prestigiosi riconoscimenti ricevuti nel corso  della sua lunga vita, va ricordato il Premio Nobel per la Letteratura nel 1950.  Bertrand Russell credeva nella ragione ed esigeva che ogni regola di condotta  prima di essere stabilita passasse al suo vaglio; fu uno strenuo difensore  della libertà di pensiero, e di quest'ultimo ebbe a dire: 
 "Gli uomini temono il pensiero più di ogni altra cosa al  mondo più della rovina e persino più della morte. Il pensiero è sovversivo e  rivoluzionario, distruttivo e terribile; il pensiero è spietato nei confronti  del privilegio, delle istituzioni e delle comode abitudini; il pensiero è  anarchico e senza legge, indifferente verso le autorità, incurante dell'ormai  collaudata saggezza dei secoli passati. Il pensiero guarda nella voragine  dell'inferno, ma non ha paura... Il pensiero è grande, acuto e libero, la luce  del mondo, e la più grande gloria dell'uomo. Se il pensiero non è bene di  molti, ma soltanto privilegio di pochi, lo dobbiamo alla paura. E' la paura che  limita gli uomini -paura che le loro amate credenze si rivelino delle  illusioni, paura che le istituzioni con cui vivono si dimostrino dannose, paura  di dimostrarsi essi stessi meno degni di rispetto di quanto avessero supposto  di essere". 
La sua vita può essere approssimativamente divisa in tre fasi: 
PRIMA FASE, dal 1872 agli anni della Prima Guerra Mondiale
E' la fase in cui scrisse importanti opere matematiche, come il SAGGIO  SUI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA (1897) o i PRINCIPIA MATHEMATICA (1910-13). Fu  questa la fase della carriera accademica, in cui l'amore per il sapere  scientifico, per la matematica, per la geometria dominava gli altri interessi.  Gli orrori della Grande Guerra determinarono un cambiamento di rotta nella vita  di Russell, e un nuovo genere di opere si sarebbe aggiunto al vecchio (non si  scordi tra l'altro che nel 1918 fu condannato a sei mesi di carcere per aver  scritto sul Tribunal, in difesa di un giovane obiettore di coscienza). 
SECONDA FASE, dal 1918 agli anni '60. 
E' la fase dell'impegno sociale (Campagna per il disarmo nucleare,  nell'ambito della quale venne stilata, il 9/7/1955, la famosa Dichiarazione  Einstein-Russell, istituzione della Bertrand Russell Peace Foundation nel 1963, a cui aderirono A. Scweitzer, L.Paulin, M.Born, Nehru e molti altri  illustri personaggi.  
Tra le opere più importanti di questa lunga fase va ricordata:  SULL'EDUCAZIONE 
LA TERZA FASE è quella dell'impegno contro i crimini di guerra e le  violazioni dei diritti umani (sostenne la causa dei prigionieri del Brasile,  della Birmania, del Congo, della Grecia) che porterà alla nascita del Tribunale  Internazionale B.Russell per i Crimini di Guerra, che condannò (seppur  simbolicamente) (1966) il governo statunitense per i crimini commessi nella  Guerra del Vietnam.  
Tra le opere di quest'ultima fase va menzionato  
CRIMINI DI GUERRA IN VIETNAM(1967) e  L'AUTOBIOGRAFIA(1967-69) in tre volumi. 
  Scheda Biografica
- 1872 - RUSSEL nasce a Trelleck (Galles) il 18 maggio da famiglia di antica nobiltà.
 - 1888 - Termina gli studi e compie un lungo viaggio negli Stati Uniti
 - 1897 - pubblica ---SAGGIO SUI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA
 - 1910-13 - pubblica ---PRINCIPIA MATHEMATICA (+ abbozzo di "Teoria della conoscenza")
 - 1903 - Russel al Trinity College dove è lettore di filosofia, ha fra i  suoi allievi un ragazzino precoce che ha già completato gli studi.  A nove  anni  già iscritto alle scuole superiori, e suo professore è proprio  Bertrand Russel, che oltre che filosofo è un grande matematico. Il ragazzino  Wiener si  laurea  in matematica, poi in filosofia e non ancora  soddisfatto anche in biologia. WIENER diventerà già nel 1930 il padre della  CIBERNETICA. Sarà lui a progettare i primi sistemi in grado di autoprogrammarsi  da soli. E' l'inizio dello sviluppo delle prime apparecchiature a feed-back. E'  lui a porre i fondamenti della teoria dell'informazione e dei servomeccanismi.  Ma è anche lui a estendere poi negli anni '50 le sue dotte considerazioni agli  organismi viventi. E 
psicologicamente lo fa meglio di qualsiasi  filosofo umanista e dei saccenti economisti e tecnocrati della rivoluzione  industriale (taylorismo - sfruttamento degli uomini alla catena di montaggio e  al cottimo).  -  1910 - Russel si era appena  staccato dal geniale giovanissimo allievo prodigio Wiener, che subito ne  incontra un altro ancora più straordinario ma anche piuttosto imbarazzante.  Perchè questo giovanissimo studente con spontanea prepotenza invade il suo  campo: cioè la filosofia. Questo ragazzo sarà un afflizione per tutta la sua  vita. 
BERTRAND RUSSEL sta prendendo i primi appunti per "Principia Matematica" e Teoria della conoscenza, ma quest'ultima opera non la finirà mai. Nell'abbozzare le prime note, visto il grande interesse, ne parla al suo giovanissimo allievo eccezionalmente dotato; e l'allievo si chiama LUDWIG WITTGENSTEIN (pochi anni prima compagno di banco di HITLER alle elementari). Dopo un animato dialogo con il suo professore (che Russel chiama lite) il giovane alla fine mette in seria discussione la validità della sua opera. Russel capisce che l'allievo è andato persino oltre la sua comprensione, o che c'è qualcosa nella sua Teoria che gli deve essere sfuggito, anzi ne è certo, perchè a certe imbarazzanti (perfino candide o provocatorie) domande del giovane, lui non è in grado di rispondere, e quel che è peggio si rende conto che quello che manca alla sua opera, il giovane lo sa benissimo, ma non lo dice. Scriverà a un amico Russel lamentandosi e giustificandosi perchè si è arenato "...Pensera' che sono un furfante se continuo a scrivere, Witt per me è ora un incubo. Ed io sono nel più nero sconforto, mi ha distrutto il piacere di scrivere. Mi dice che è tutto sbagliato questo giovane di 20 anni, che non si spiega bene, ma sento dentro di me che ha proprio ragione." (Biografia di R., Longanesi Ed.). Witt nel 1921, scriverà poi il Logischphilosophische Abhandlung (Trattato logico-filosofico) mentre il manoscritto del grande matematico e filosofo Russel rimarrà per sempre inedito e sepolto nei cassetti, mentre l'altro, quello di Witt, con lui quasi centenario, seguiterà a perseguitarlo per oltre 60 anni. L'unica soddisfazione che ebbe è che Witt era stato suo allievo. Un ottimo allievo! Un terribile allievo! - 1916 - Per la sua propaganda contro la guerra, difesa del pacifismo e dell'obiezione di coscienza, viene prima espulso dall'Università di Cambridge. Nel 1918 per le stesse ragioni fu arrestato e scontò sei mesi di prigione. Sino al 1944, rimase lontano dall'insegnamento ufficiale. Incominciò subito a pagare di persona le proprie idee.
 - 1920 - Compie un lungo viaggio in Cina e poi in Russia. In quest'ultima osserva la grande mutazione in corso dopo la rivoluzione. Nelle lettere che scrive a Morrel, appare continuamente turbato dal conflitto tra i suoi due temperamenti... tra metafisica e lo scetticismo: "Deve esistere qualcosa di più importante (in questo mondo), lo si sente, sebbene io non credo che vi sia". E' sempre più preoccupato dal conflitto tra l'esigenza pragmatica di una pianificazione socialista della priorità e l'amore idealistico della libertà. Intellettualmente si rende conto che senza la pianificazione socialista si ottiene la libertà soltanto per le classi medie e superiori: eppure, nel profondo del cuore, sente diversamente. Non gli piace "lo spirito del socialismo". Così per quanto concerne il conflitto tra valori materiali e spirituali. E scrive: "Non posso attribuire alle necessità meramente animali dell'uomo l'importanza che viene attribuita QUI da coloro i quali sono al potere". Ma poi ammette subito l'argomentazione opposta: " Senza dubbio, questo accade perchè non ho trascorso la mia esistenza nella fame e nel bisogno, come è accaduto a molti di loro".
 - 1926 - pubblica ---SULL' EDUCAZIONE, SPECIALMENTE DELL'INFANZIA opera di pedagogia
 - 1927 - Apre a Londra una scuola privata ispirata a una pedagogia estremamente spregiudicata.
 - 1929 - pubblica ---MATRIMONIO E MORALE
 - 1930 - pubblica ---LA CONQUISTA DELLA FELICITA'
 - 1936 - pubblica ---QUALE VIA PER LA PACE?
 - 1940 - La sua chiamata al City College di New York suscita un'ondata di polemiche dovute alle sue spregiudicate affermazioni in materia sessuale.
 - 1945 - pubblica ---LA STORIA DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE
 - 1949 - pubblica ---AUTORITA' E INDIVIDUO
 - 1950 - Ottiene il Nobel della letteratura.
 - 1950 - pubblica ---SAGGI IMPOPOLARI
 - 1951 - pubblica ---NUOVE SPERANZE PER UN MONDO CHE CAMBIA
 - 1944 - Torna a vivere in Inghilterra.
 
Partecipa alle manifestazioni pacifistiche più clamorose. Lotta aperta contro l'armamento atomico, contro la guerra e la demistificazione della politica delle grandi potenze.
- 1952 - Ottantenne si sposa per la quarta volta.
 - 1954 - pubblica ---ETICA E POLITICA
 - 1954 - pubblica ---ETICA E POLITICA
 - 1955 - Comunica alla stampa il testamento spirituale di Albert Einstein. In cui è contenuta una delle più gravi e inquietanti condanne della bonba atomica e della scienza che l'ha prodotta.
 - 1957 - pubblica ---PERCHE' NON SONO CRISTIANO
 - 1959 - pubblica ---LA SAGGEZZA DELL'OCCIDENTE
 - 1963 - pubblica ---LA VITTORIA DISARMATA
 - 1967 - pubblica ---CRIMINI DI GUERRA IN VIETNAM
 - 1967-69 - pubblica ---L'AUTOBIOGRAFIA in tre volumi.
 - 70 - Muore il 2 febbraio, all'età di 98 anni.
 
Fonte: http://www.liceogioia.it/EspDidattiche/Multimedia/Infinito/modulo/documenti/biografie/BERTRAND%20RUSSELL.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Parola chiave google : Russell vita e opere tipo file : doc
Russell vita e opere
Russell, tra l’atomismo logico e i Principia Matematica.
Opere.
Opera  | 
    Data  | 
  
Saggi sui fondamenti della geometria.  | 
    1897  | 
  
Esposizione critica del pensiero di Leibniz  | 
    1900  | 
  
Principi della matematica  | 
    1903  | 
  
Sulla denotazione  | 
    1905  | 
  
Principia Matematica  | 
    1910-13  | 
  
Elementi di Etica 1910  | 
    1910  | 
  
I problemi della filosofia  | 
    1912  | 
  
La nostra conoscenza del mondo  | 
    1914  | 
  
Filosofia dell’atomismo logico  | 
    1918-19  | 
  
Introduzione alla filosofia matematica  | 
    1919  | 
  
Teoria e pratica del bolscevismo  | 
    1920  | 
  
L’analisi della mente  | 
    1921  | 
  
Perché non sono cristiano  | 
    1927  | 
  
Matrimonio e morale  | 
    1927  | 
  
L’analisi della materia  | 
    1927  | 
  
Teoria e organizzazione  | 
    1932  | 
  
Educazione e ordine sociale  | 
    1932  | 
  
Storia delle idee del XIX  | 
    1934  | 
  
Il potere  | 
    1938  | 
  
Ricerca su significato e verità  | 
    1940  | 
  
Storia della filosofia occidentale  | 
    1945  | 
  
La conoscenza umana  | 
    1948  | 
  
Logica e conoscenza  | 
    1956  | 
  
Il mio sviluppo filosofico  | 
    1959  | 
  
Autobiografia  | 
    1967  | 
  
Teoria della conoscenza ( abbandonato )  | 
    1983  | 
  
Schema di ragionamento.
Ipotesi R(russell)1: il linguaggio è composto da  proposizioni.
  Specifica a:  le proposizioni sono di due generi: elementari e complesse.
Ipotesi R2: le proposizioni elementari sono  composte da nomi e predicati.
  Specifica a:  i nomi sono simboli semplici che denotano uno e un solo oggetto.
  Specifica b:  i predicati sono dei verbi e sono delle funzioni proposizionali della forma  f(x), dove la “f” sta per il predicato mentre la “x” per uno dei nomi che  possono soddisfare o meno il predicato.
  Specifica c:  solo delle proposizioni si può predicare che esse siano vere o false, ovvero  solo le proposizioni ammettono dei criteri di verità.
  Spiegazione I:  i nomi denotano un solo oggetto e per questo non sono né veri né falsi. Ci si  può legittimamente chiedere se un nome sia solo un suono oppure sia  effettivamente un simbolo che sta nel linguaggio al posto dell’oggetto, ma non  ci si può chiedere se esso sia vero o falso. 
Ipotesi R3: le proposizioni elementari denotano  fatti.
  Specifica a:  la denotazione è ciò a cui rimanda una certa espressione linguistica. 
  Specifica b:  un nome denota un oggetto, un predicato denota una qualità, una proprietà di  oggetti oppure relazioni.
  Spiegazione I:  oggetti, proprietà, relazioni sono, secondo Russell, tre generi di “entità”  distinte irriducibili le une con le altre. Sono da tenere separate le tre  componenti e confondere relazioni con proprietà o provare a riscrivere o  interpretare le proprietà con le relazioni o viceversa implicherebbe senza  dubbio fallacie ( questa è l’opinione di Russell ).
  !Spiegazione  II: abbiamo già trovato degli “atomi” logici del discorso di Russell:  oggetti, proprietà, relazioni sono entità non ulteriormente riducibili da  considerare come “semplici”. Logicamente sorgono delle difficoltà non nel  considerare “oggetti”, “proprietà” e “relazioni” come semplici ma nel considerare  la definizioni di “oggetti” come semplici. 
  !!Spiegazione  III: è evidente come nel linguaggio delle proposizioni elementari i nomi e  i predicati si comportino in modo essenzialmente diverso e di come nomi e  predicati non sono ulteriormente scomponibili all’interno della proposizione  elementare. Ma se prendiamo il predicato o il nome a prescindere dalla  proposizione elementare allora sorgono dei problemi nel stabilire ciò che è  semplice da ciò che è complesso. Prendiamo, per esempio, il nome di una città:  “Milano”. “Milano” è chiaramente un nome e si comporta come tale nel  linguaggio: in ogni proposizione sensata ( che esprima un fatto ) “Milano”  occorre come nome e non come predicato. Considerare però “Milano” come un  oggetto semplice è chiaramente una proposta un po’ azzardata: Milano è composta  da un milione e mezzo di persone, da moltissime automobili e da non so quanti  palazzi. Dall’oggetto “Milano” si tirano fuori molte cose. Russell sostiene che  ciò sia vero, ma che, in ogni caso, Milano sia da considerare come “semplice”  nel linguaggio, non che non sia a sua volta passibile di ulteriori analisi:  analisi non va confusa con definizione rigorosa e, in questo senso, un’analisi  può essere anche molto dettagliata. Egli propone di considerare Milano come un  “semplice” nel linguaggio.
  Specifica c:  una proposizione elementare o è vera o è falsa, non si danno altre possibilità.  Se una proposizione elementare esprime uno e un solo fatto allora essa sarà  vera se il fatto sussisterà, sarà falsa se il fatto non c’è. Di qualsiasi  proposizione elementare o è vera la sua affermazione e falsa la sua negazione  oppure è falsa la sua affermazione e vera la sua negazione. Chiedersi se una  proposizione ha un significato, per Russell, equivale a chiedersi se essa sia  vera o falsa. Per comprendere una proposizione bisogna conoscere i significati  delle parole: comprendere una proposizione non significa, però, sapere se essa  sia vera o falsa. 
  Ex.: “Il computer è sul  tavolo” è una proposizione elementare in quanto è costituita a) da un nome  “computer”, b) da un predicato “esser-sul tavolo”. Il nome “computer” denota un  oggetto ben preciso, il predicato denota una proprietà di quell’oggetto.  Supponendo che si conosca quale computer sia indicato dall’espressione, per  sapere se la proposizione sia vera oppure falsa non c’è altro modo di andare a  vedere nella realtà se esista o meno una certa corrispondenza tra linguaggio e  realtà di fatto. Se c’è effettivamente quel computer sul tavolo allora la frase  sarà vera, falsa altrimenti. 
Ipotesi R4: le proposizioni elementari possono  essere uniti da operatori logici.
  Specifica a:  gli operatori logici sono gli operatori verofunzionali come “e”, “o”, “non”  ecc..
  Specifica b:  le proposizioni molecolari sono ottenute mediante la composizione delle  proposizioni elementari con altre proposizioni elementari attraverso l’uso di  operatori verofunzionali.
  Specifica c:  le proposizioni complesse sono della forma “f(x) e g(x)” intendendo “f(x)” e  “g(x)” la forma pura delle proposizioni elementari. 
Inferenza: se si può predicare verità o falsità delle proposizioni elementari, se le proposizioni molecolari sono ottenute dalle proposizioni elementari, se le proposizioni elementari possono denotare o meno qualcosa allora anche le proposizioni molecolari possono essere vere o false e denotare qualcosa.
Tesi Ri: Dunque, anche le proposizioni  molecolari possono essere vere o false e denotare qualcosa.
  Specifica a:  la denotazione di un fatto spetta alle proposizioni elementari, più  proposizioni elementari denotano più fatti. Dunque, una proposizione complessa  denota più fatti, per tale ragione essa arriva a denotare le cose in modo  diverso dalle proposizioni elementari. 
  Specifica b:  intanto, per comprendere il meccanismo delle proposizioni bisogna sempre chiedersi  quando esse siano vere o false. Quando una proposizione molecolare è vera?  Abbiamo detto che essa è ottenuta per “composizione” da una o più proposizioni  elementari con un operatore logico. La verità o falsità implicherà tanto  la presenza della verità o falsità delle proposizioni atomiche quanto la  relazione di queste posta dall’operatore verofunzionale. “P” e “Q” sono due  proposizioni qualsiasi: “P e Q” è vera se e solo se sia “P” che “Q” sono  vere, l’operatore “e” implica proprio questo: che solo se entrambe le  proposizioni in relazione sono vere allora la proposizione risultante sarà  vera. Naturalmente, il discorso è diverso per operatori funzionali diversi: “P”  e “Q” sono proposizioni qualunque: “P o Q” è vera se “P” è vera e “Q” è falsa,  se “P” è falsa e “Q” è vera, oppure se entrambe sono vere. 
  Specifica c:  come vediamo, nel caso delle proposizioni complesse, la relazione tra  proposizione/denotazione è diversa che nel caso delle proposizioni elementari:  la proposizione elementare denota direttamente un fatto e non richiede alcuna  analisi per comprendere se sia vera o falsa, diverso è il discorso per le  proposizioni molecolari.
Ipotesi R5: le proposizioni esistenziali e  universali sono delle funzioni proposizionali.
  Specifica a:  le proposizioni esistenziali sono della forma “un così e così predicato”,  “Romolo è esistito” ecc..
  Specifica b:  le proposizioni universali sono della forma “tutti gli x sono y”, “tutti i  gatti miagolano” ecc..
  Specifica c:  le proposizioni esistenziali sono negazioni di proposizioni universali ( oppure  le proposizioni universali sono negazioni di quelle esistenziali ). Per tale  ragione le proposizioni universali ed esistenziali si possono riscrivere l’una  nei termini dell’altra.
  !!Specifica d:  le proposizioni contenenti un esistenziale, come quelle contenente un  universale, si comportano in modo diverso da semplici proposizioni elementari.  Ciò che non va frainteso, e Russell insiste molto su questo esattamente come  Frege, è che né l’universale né l’esistenziale debbano essere considerati come  nomi propri o come se fossero nomi propri: una delle ragioni, ormai quasi  universalmente accettate, della lenta affermazione della logica simbolica  moderna è stato proprio il fatto che per secoli non si è riusciti a considerare  questi quantificatori diversi da nomi. Per tale ragione Russell insiste spesso  nel dire che la logica “soggetto/predicato” ( ovvero il pensare equivalenti il  comportamento dei soggetti grammaticali anche quando sono simboli logici  estremamente diversi –come nomi e, per esempio, descrizioni -) sia  stata una delle cause di moltiplicazione di problemi filosofici inutili. 
  Specifica e:  Esiste un cellulare ed è rosso può essere inteso in questo modo: “Esiste(x),  Rosso(x)” cioè bisogna abituarsi a considerare esistenziali e universali non  come “nomi” ma come espressioni di “insiemi di unità” o “funzioni”. Per tale  ragione, una frase come “tutti gli uomini sono mortali”, come Russell spiega  bene nella sua analisi nei Principi della Matematica è da considerare in questo  modo: “tutti gli elementi –uomo- sono dotati della proprietà –mortale-”.  Scrivendo la frase in logica “Qx ( uomo(x), mortale(x)). Come si vede, esiste  una doppia funzione: la prima è rappresentata dal predicato ( in questo caso,  l’esser mortale ), la seconda è il quantificatore.
  Specifica f:  a questo punto bisogna andare a chiedersi quando le frasi universali ed  esistenziali siano vere o false. Una frase esistenziale è vera quando esiste  almeno un’entità che soddisfa la funzione esistenziale: “C’è un gatto sopra la  finestra” è vera se esiste almeno un gatto sopra la finestra, la frase sarebbe  vera anche qualora i gatti fossero due. Mentre una frase universale è vera se e  solo se tutte le entità determinate dal quantificatore soddisfano la  proposizione in questione: “Tutte le vacche sono nere” è falsa perché non tutte  le vacche sono effettivamente nere ( con un esempio del genere Hegel criticò  Schelling ).
Ipotesi R6: una teoria è un insieme di  proposizioni tali che alcune siano premesse, altre deduzioni delle premesse.
  Specifica a:  una teoria sarà coerente se deduce tutti i suoi teoremi a partire dalle sue  sole premesse e dalle regole della logica.
  Specifica b:  una teoria sarà incoerente se alcune delle sue deduzioni sono false, se alcune  delle sue deduzioni sono incoerenti con le regole della logica.
  Spiegazione I:  il fatto che un certo teorema di una teoria possa effettivamente essere  incoerente non implica che una teoria sia in blocco da abbandonare, ma che  quella sua parte sia da rivedere. Se per poche incoerenze una teoria fosse da  abbandonare allora non ci sarebbe molto da fare per la conoscenza: la stessa  regina delle scienze, la fisica, è stata nel tempo, vittima di molte incoerenze  e idee scorrette, non per ciò l’abbiamo abbandonata.
Inferenza: se una teoria è un insieme di proposizioni tali che alcune siano premesse, altre deduzioni delle premesse, se le deduzioni possono essere seguite in maniera illogica, se possono esistere delle premesse superflue allora qualunque teoria può essere sottoposta a analisi.
Tesi Rii: dunque qualunque teoria può essere  sottoposta ad analisi.
  Specifica a:  l’idea è semplice e intelligente: qualsiasi teoria umana nasce nella vaghezza e  non può che essere così. In questo senso, dalla vaghezza nascono sia delle  definizioni molto accurate che diverranno premesse, altre sono invece destinate  a rimanere ambigue se non del tutto errate. Tuttavia, nella fase di  elaborazione della teoria, viene conservato tutto in quanto non si è ancora del  tutto consapevoli di ciò che va emendato, ripulito o chiarito da ciò che invece  non necessita di alcun chiarimento. In questo senso, l’analisi logica 1) è  successiva alla costituzione della teoria, 2) deve eliminare le imperfezioni  della teoria.
Inferenza: se qualunque teoria può essere sottoposta ad analisi, se qualunque teoria ammette delle imperfezioni ( specifica a e inferenza precedente ) allora qualsiasi teoria può essere emendata dalle incoerenze.
Tesi Riii: dunque qualunque teoria può essere  emendata dalle incoerenze.
  Spiegazione I:  è di una certa rilevanza notare come l’emendazione della teoria da parte della  logica sopraggiunga quando il momento della costituzione della teoria è già  ampiamente superata, ovvero la chiarificazione segue alla vaghezza e la teoria  non nasce già chiara di per sé. Per “teoria” Russell senza dubbio si riferisce  soprattutto alle immagini scientifiche del mondo che, per quanto scientifiche,  ammettono errori ed incoerenze. 
Inferenza: se qualunque teoria può essere sottoposta ad analisi, se qualunque teoria ammette delle imperfezioni, se qualunque teoria può essere emendata dalle incoerenze allora ci deve essere una scienza che studi i modi di eliminare le incoerenze.
Tesi Riv: dunque ci deve essere una scienza  che studi i modi di eliminare le incoerenze.
  Specifica a:  tale scienza è, come sarà di per sé evidente, la logica.
Inferenza: se ci deve essere una scienza che studi i modi di eliminare le incoerenze, se la logica è lo studio delle regole di inferenza a prescindere dalle determinazioni particolari, allora l’analisi logica può emendare le teorie dalle loro incoerenze.
Tesi Rv: dunque, l’analisi può emendare le  teorie delle loro incoerenze.
  Specifica a:  l’analisi logica applicata alle teorie scientifiche, filosofiche, ha lo scopo  di ripulirle dalle incoerenze: come il chirurgo o l’oncologo curano i pazienti  affetti da “malattie incurabili” .
Inferenza: se una teoria è composta da proposizioni elementari e complesse, se una teoria è composta da premesse e da deduzioni, se le deduzioni possono essere fallaci allora una teoria epurata dall’analisi deve avere tutte le premesse necessarie a inferire tutte le deduzioni vere della teoria.
Tesi Rvi: dunque, una teoria epurata  dall’analisi deve avere tutte le premesse necessarie ad inferire tutte le  deduzioni vere della teoria.
  Specifica a:  in qualsiasi campo esiste un certo principio di “conservazione del valore di  verità”, in una dimostrazione, per esempio, la verità delle premesse deve  essere conservata dalle conclusioni cosicché se una deduzione è falsa o è falsa  una delle premesse ( conservazione del valore di verità della premessa ) oppure  è c’è qualche fallacia di mezzo. Negli scacchi, per esempio, esiste la legge  dell’accumulo esprimibile in questo modo: “a vantaggio si somma vantaggio e a  svantaggio si somma svantaggio”, di conseguenza se una mossa porta vantaggio  non porta svantaggio e viceversa. 
  Specifica b:  dunque, possiamo fissare dei parametri per definire se un’analisi logica è  positiva o meno:
- tutte le verità della teoria di partenza sono ottenute dalla nuova teoria ripulita.
 - la nuova teoria consente di dedurre nuovi teoremi deducibili anche dalla teoria non emendata.
 - la nuova teoria è identica alla vecchia per contenuto ma non per forma: la forma della nuova teoria è chiara e coerente rispetto al maggiore contenuto di ambiguità e vaghezza della teoria precedente .
 
Inferenza: se una teoria è composta da premesse, se esistono premesse che non portano alcuna deduzione, se l’analisi logica può epurare una teoria allora le premesse che non portano alcuna deduzione possono essere eliminate.
Tesi Rvii: dunque, le premesse che non portano  alcuna deduzione, possono essere eliminate.
  Specifica a:  come correttamente ci dice lo stesso Russell, quest’idea è la medesima che  aveva Occam, nota come “rasoio di Occam”. L’idea del filosofo medioevale era  quello di rispettare una delle leggi della natura: la natura ama il semplice,  per tale ragione è consigliabile che qualsiasi analisi che voglia dir qualcosa,  rispetti questa semplicità. Dunque, il superfluo va eliminato. 
  Specifica b:  “il superfluo va eliminato” non è una condanna di tipo estetico ma risponde ad  una precisa ragione logica: tante più sono le premesse in un discorso e tanto  più aumenta la possibilità di errore. Come diceva qualcuno: meno si dice e meno  c’è la possibilità di sbagliare. Naturalmente, col rasoio di Occam si deve  tagliare la “barba” non “il collo” dunque, in ogni caso, ciò che deve cadere  sono i simboli incompleti, le espressioni ambigue, le premesse da cui non segue  nulla.
Inferenza: se una teoria è epurata dalla logica, se la teoria risultante è chiarificata e ricostituita alla luce dell’analisi logica, se la teoria risultante avrà meno premesse , se la teoria risultante avrà solo le deduzioni coerenti e “utili”, allora la teoria risultante sarà costituita solo dalle nozioni necessarie e sufficienti per l’esplicitazione delle sue deduzioni vere.
Tesi Rviii: dunque, la teoria risultante sarà  costituita solo dalle nozioni necessarie e sufficienti per l’esplicitazione  delle sue deduzioni vere.
  Specifica a:  questo minimalismo nozionale della teoria prende un nome preciso: vocabolario  minimo.  
Filosofia.
Atomismo logico nel linguaggio.
  Brevissima  introduzione all’atomismo logico.
  La filosofia  dell’atomismo logico è soprattutto un’idea riassuntiva di un momento  filosofico/biografico di Russell. In realtà, non è né un momento di  affermazione particolare né un momento di chiarificazione assoluto, il periodo  dell’atomismo logico è periodo di passaggio, per tutti coloro che, più o meno  esplicitamente, si sono rifatti ad una concezione atomista in filosofia:  Russell, Wittghenstein, alcuni personaggi del circolo di Vienna.
  A ben vedere  “atomismo logico” è uno slogan efficace, in apparenza, tuttavia, senza aver già  una certa idea di cosa si designa con esso, non è affatto ovvio capire che tipo  di filosofia indichi: una filosofia atomista, certo, ma che cosa vuol dire?
  Una filosofia  atomista, in linea di principio, ha come concezione fondamentale l’idea che  esistano degli “atomi” plurali e distinti, gli uni dagli altri, che compongono  la realtà ( che si intende comprendere ) nella sua interezza. Una filosofia  atomista è una filosofia che rifiuta l’idea che la realtà sia una o quel che  concepisce ( per esempio il linguaggio ): non è un caso che Russell di continuo  polemizzi con quel che egli chiama “monismo neutrale”, una visione metafisica  che concepisce la realtà come unità d’essere, frammentata per divisione in una  pluralità apparente.
  Le filosofie  atomiste sono sempre state abbastanza marginali nella storia della filosofia,  la prima è certamente quella di Democrito e, successivamente, quella di  Epicuro. La filosofia di Democrito concepisce una realtà atomica inconoscibile  mediante i sensi e comprensibile solo mediante ragione: tutto era, dunque,  determinato dal solo movimento degli atomi. Per Epicuro, invece, esiste una  realtà subatomica inconoscibile dalla ragione, tuttavia la realtà non era  pienamente conoscibile dalla ragione giacché il movimento degli atomi è,  talvolta, irregolare: ammette declinazioni. La “rigidità” determinista di Democrito  porta il filosofo ad elaborare una teoria assoluta della conoscenza: la  ragione, una volta presa coscienza degli atomi, può arrivare a conoscere  precisamente passato, presente e futuro tenendo conto della realtà. Gli atomi  democritei non conoscono irregolarità, dunque, possono essere oggetto di  computazione senza possibilità di errore. Per Epicuro le cose stanno in modo  diverso proprio perché egli pone una possibilità di deviazione del moto degli  atomi dalla loro traiettoria: anche nella conoscenza esisterà sempre qualcosa  di indeterminato. E Epicuro prova la sua teoria portando un esempio “scomodo”  per la cultura greca del tempo: le meteore. Il cielo, nel mondo antico, era una  volta perfetta, eterna. Se nella terra la disarmonia era vincente rispetto  all’armonia, nel cielo l’armonia era ripristinata dall’ordine assoluto,  dall’assenza di variazione. Epicuro mostra che neanche nel cielo c’è  l’essere-assolutamente determinato perché esistono i corpi celesti irregolari,  di moto e mutamento irregolare, le meteore, per l’appunto. 
  Se la filosofia  dell’atomismo logico di Russell è una filosofia atomista, allora deve  conservare qualche cosa dell’impostazione teorica delle teorie precedenti. Ed  egli infatti mantiene l’idea che esistano delle entità separate: ma che tipo di  realtà Russell pensi è da precisare.
  “Filosofia  dell’atomismo logico” è una descrizione che contiene un aggettivo: “Logico”.  Dunque, l’analisi di Russell non si pone, quanto meno al principio, lo scopo di  individuare gli elementi ultimi della realtà, ma gli elementi ultimi del  linguaggio, realtà linguistica da pensarsi come esatta, dunque, logica. 
  Il problema  chiave, punto da tener presente, è quello della denotazione: il significato dei  termini in che modo si rapporta al linguaggio? E il linguaggio, i simboli  semplici, complessi, come riescono a denotare qualcosa, come possono i simboli  avere un significato? Questo problema è di tipo semantico e già Frege aveva  cercato di rispondere alla questione, tuttavia, Russell, evidentemente, non ne  era soddisfatto, in particolare nei riguardi della soluzione fregeana delle  descrizioni . 
  La questione è  questa: i simboli si relazionano agli oggetti e si sostituiscono ad essi nel  linguaggio, quando sono simboli capaci di denotare qualcosa ( come i nomi, gli  operatori verofunzionali come “non”, “o”, “e” non denotano alcun che, motivo  per il quale sia Russell che Wittghenstein insistono sul fatto che sia  impossibile pensare a quelli come a simboli dotati di una realtà extralinguistica:  se andassimo a cercare il significato di “o” nel mondo non otterremmo alcun che  ). Le “denotazioni” delle parole sono di ambito diverso e sono irriducibili tra  loro, questa è l’idea di Russell: un nome denota un oggetto, una funzione  proposizionale associa ad un nome una proprietà ( dunque, in senso astratto,  denota una proprietà ), una proposizione denota un fatto e una proposizione  molecolare denota un fatto complesso, una funzione proposizionale può denotare  relazioni. L’atomismo logico parte da qui: dalla presa di coscienza che  “oggetti”, “proprietà”, “relazioni” siano denotate in modo diverso perché nella realtà sono cose diverse e irriducibili le une con le altre.
  Fissiamo delle  definizioni per capire se una filosofia è atomista oppure no:
- una filosofia atomista ha come premesse atomi qualunque sia la realtà che intende analizzare,
 - un ragionamento interno ad una filosofia atomista non può negare la stessa premessa di atomismo,
 - un ragionamento di una filosofia atomista è vero se e solo se è determinato dalle sole premesse,
 
La visione di Russell rispetta tutte queste definizioni e, per ciò, è pienamente concepibile come atomista, l’ambito a cui si applica è, più che alla logica, alla semantica.
I componenti  del linguaggio.
  A questo punto  possiamo procedere nella concezione di Russell. Se l’atomismo logico è  un’impostazione corretta, deve giungere ad una visione linguistica completa, in  altre parole deve riuscire a raggiungere qualsiasi tipo di denotazione senza  cadere in contraddizione: il programma di Russell è quello di definire come il linguaggio arrivi a denotare le cose.
  Il punto di  partenza è l’analisi delle proposizioni e ne esistono di due generi:  proposizioni atomiche e proposizioni molecolari. Le proposizioni atomiche sono,  per così dire, elementari e sono della forma logica “F(x)” dove la “F” sta per  un nome e la “x” sta per un verbo. In questo senso, le componenti di una  proposizione atomica sono due e svolgono due ruoli diversi. La forma logica di  una proposizione molecolare è del tipo “F(x) e G(x)”, oppure “F(x) o G(x)” e  così via. In termini semplici: una proposizione molecolare è ottenuta da due  proposizioni atomiche riunite entrambe da un operatore verofunzionale. La  complessità di una proposizione complessa cresce tanto più è elevato il numero  di operatori verofunzionali e, dunque, di proposizioni elementari contenute in  essa.
  Per capire  l’intero linguaggio, bisogna capire il funzionamento delle proposizioni  atomiche, considerato che esse sono alla base di quelle complesse. Per capire una  proposizione bisogna sapere:
- quali sono i simboli contenuti all’interno,
 - quale è la denotazione dei simboli,
 - esprimere quale è la realtà compiuta della proposizione,
 - esprimere quando una proposizione sia vera o falsa,
 
I simboli  contenuti all’interno di una proposizione sono nomi e verbi, i nomi denotano  oggetti, i verbi denotano proprietà degli oggetti. Di per sé i nomi non hanno  alcun senso al di fuori del linguaggio, nel senso che dei nomi non si può dire  né che essi siano veri né falsi. La verità e la falsità si può predicare solo  delle proposizioni ed è una loro caratteristica. Per quanto riguarda i  predicati, abbiamo già detto che essi possono esprimere o relazioni o proprietà  e relazioni e proprietà non sono riducibili l’una all’altra e viceversa. Un  esempio di predicato relazionale è il verbo “amare”. “x ama y” è un predicato a  due posti che relazione “x” e “y”. Mentre, per quanto riguarda un esempio di  predicato che esprima proprietà: “x è rosso”. 
  Dei termini  semplici di una proposizione non si può dire che essi siano veri o falsi: per  Russell se ad un nome non è associato un oggetto nel mondo il nome non è un  nome, ma un suono privo di una funzione linguistica: Russell insiste molto su  questo concetto. Ma nemmeno di un predicato si può dire se esso sia vero o  falso: “x è rosso” è indecidibile in quanto non si può né assentire né  dissentire fintanto che alla “x” non è sostituito un nome. 
Proposizioni  elementari.
  Una proposizione  elementare è definita dalla sua forma, ma la sola forma non è sufficiente ad  esprimere alcun che di significato: essa apparterrebbe alla logica pura,  materia che studia le proposizioni più generali possibili a prescindere dalla  loro determinazione particolare. D’altra parte, la logica pura non dà alcuna  informazione intorno al mondo ma stabilisce a priori il deducibile e il non  deducibile. Per Russell la funzione della logica è, come vedremo, di estrema  importanza, perché è ciò che può far discernere ciò che è sensato da ciò che è  assurdo. 
  Le proposizioni  elementari sono determinate dai nomi e dalle funzioni proposizionali e denotano  qualcosa di più di ciò che denotano i nomi o i predicati: esse denotano un  fatto. “La penna è rossa” è un fatto ovvero è l’attribuzione di una proprietà  ad un oggetto. La proposizione elementare può essere vera o falsa e sarà vera  se essa ha un corrispettivo nella realtà, sarà falsa altrimenti. E’ importante  notare che una proposizione elementare denota le cose in modo molto diverso che  i nomi gli oggetti o i predicati le proprietà o relazioni. Ad ogni oggetto  corrisponde un nome ( in un linguaggio logico ), ma ad ogni fatto corrispondono  sempre due proposizioni: prendiamo il caso che la penna sia rossa,  possiamo esprimere questo fatto sia asserendolo sia negandolo: “la penna è  rossa” e “la penna non è rossa”, queste due proposizioni sono esprimibili a  partire dallo stesso fatto. Naturalmente, solo una delle due è vera, ma  entrambe le asserzioni sono giustificate dallo stesso fatto.
  E’ interessante  notare che il nodo cruciale dell’analisi di Russell de “La filosofia  dell’atomismo logico” ruoti attorno alla concezione della proposizione come  composto di elementi. Il paradosso sta nel fatto che sia gli elementi della  proposizione che la proposizione elementare stessa non sono di per sé degli  elementi elementari, se così si può dire: la proposizione è l’atomo del  linguaggio senza cui non avrebbe alcun senso nessuna espressione linguistica  quale che sia, contemporaneamente nemmeno i nomi o i predicati riescono a dare  un’immagine chiara di elementarità. Un nome designa quasi sempre un’entità  complessa, a sua volta scomponibile in altri modi e, dunque, si può ben  discutere se un nome rimandi ad una realtà “elementare” oppure no. L’idea di  Russell è quella di considerare “atomico” tutto ciò che svolge una funzione non  ulteriormente riducibile nel linguaggio come tale, a prescindere dal fatto che  un nome rimandi o meno ad una realtà non ulteriormente scomponibile: quando  indichiamo il nome di una piazza ( Russell si rifà a Piccadilly ) stiamo  chiaramente indicando qualcosa di molto complesso, ancora più evidente  risulterà da un nome di città ( una città è un complesso enorme di cose, di  persone eppure, nel linguaggio, è usato come se, per esempio, “Cagliari” fosse  una sola cosa ). 
  Se andiamo a  vedere, sorge immediatamente un ragionevole dubbio in questa posizione: essa  infatti non tiene conto della possibilità di formare delle proposizioni a  partire da descrizioni definite più verbo. Ciò è dovuto al fatto che per  Russell i nomi possono denotare gli oggetti in quanto sono simboli costituiti  esclusivamente da un simbolo ( sono quindi “simboli semplici” ) mentre le  descrizioni definite sono della forma “il così e così” come “il computer di  Giangi Pili” ed è quindi evidente che le descrizioni definite non sono simboli  semplici. Inoltre, per Russell una descrizione definita è semplicemente  l’espressione di unicità di un elemento in un insieme: “il computer di Giangi”  non è equivalente ad un nome che stia per esso in quanto “il computer di  Giangi” sta per “esiste uno e un solo computer che è di Giangi” e cioè “esiste  una certa entità tra altre dello stesso genere, ma solo a quella appartiene una  certa determinata proprietà”: la descrizione, insomma, deve sparire ed essere  riscritta. Russell difende l’idea ricordando che vengono utilizzati in una  frase che contenga il verbo essere una descrizione definita e un nome che  denotano la stessa cosa, la frase risultante non sarà in ogni caso un’identità  ( l’identità è la relazione che un oggetto ha con se stesso come “Il computer è  il computer” ): “Superman è il supereroe” è diverso da “Superman è Superman”  secondo Russell proprio in quanto “il supereroe” non denota un oggetto allo  stesso modo che “Superman” e, insiste, se le cose stessero in maniera diversa  la frase “Superman è il supereroe” sarebbe in tutto identica a “Superman è  Superman” . 
Proposizioni  molecolari.
  La denotazione  delle proposizioni complesse è diversa dalla denotazione delle proposizioni  elementari in quanto una proposizione elementare si riferisce ad un fatto  diversamente da come una proposizione complessa si riferisce ai suoi fatti  referenti. Una proposizione complessa, per essere compresa, deve essere  scomposta nelle relative proposizioni elementari. Per comprendere se una  proposizione di tal fatta sia vera o falsa bisogna prima di tutto chiedersi se  le proposizioni elementari che la compongono siano vere o false, in un secondo  momento vedere se le connessioni tra le varie frasi elementari siano corrette  oppure no: “Paolo è seduto su una sedia e Giovanna mangia” per sapere se questa  frase è vera prima di tutto bisogna sapere se “Paolo è seduto su una sedia” è  vera o falsa, stessa cosa dicasi per “Giovanna mangia”; prendiamo il caso in  cui sia vera la prima frase e falsa la seconda: la proposizione complessa  risulterà falsa in quanto l’operatore “e” compone frasi vere ( nell’unione )  solo se entrambe le frasi sono vere. Se al posto dell’operatore “e” ci fosse  stato “o” allora la frase sarebbe stata vera perché poneva un’alternativa e per  la sua verità sarebbe bastato che una delle due frasi fosse vera perché  l’intera frase fosse effettivamente vera.
Proposizioni  esistenziali e universali.
  Dopo aver  analizzato le proposizioni elementari e quelle complesse, Russell passa in  rassegna le proposizioni esistenziali e quelle universali. Le proposizioni  esistenziali sono della forma “esiste x” mentre quelle universali “tutti gli  x”. Russell concorda con Frege nel sostenere che tanto gli esistenziali quanto  gli universali non debbano essere analizzati in termini di “soggetto-predicato”  ma in termini di funzioni proposizionali. In altre parole in “tutti gli uomini  sono mortali” ( frase universale ) “tutti gli uomini” non è da considerare come  un nome, come il soggetto della frase, ma va considerata in modo diverso. Russell,  come Frege, insiste molto su questo punto in quanto è stato il “pregiudizio”  che ha tenuto la logica ferma per circa duemila anni, Russell, in particolare,  ribadisce di continuo che la logica “soggetto/predicato” ha determinato  incomprensioni irreversibili nella storia della filosofia: in particolare ha  fatto convincere che le attribuzioni linguistiche dovevano implicare realtà  esistenti.
  “Esiste un x” è  la negazione dell’universale “tutti gli x”: “non tutti gli x non…”.  L’esistenziale si può riscrivere nei termini dell’universale e viceversa.  “Esiste un x” e “Tutti gli x” costituiscono delle funzioni proposizionali di  secondo livello. “Una palla da basket è nel cortile” può essere riscritta  logicamente in questo modo “Ex (palla da basket (x), nel cortile (x))” in altre  parole: esiste un’entità che è una palla ed è nel cortile. Stesso ragionamento  vale per l’universale. Russell infatti afferma che una frase esistenziale vera,  se è talvolta vera ( indicando che è vero solo per alcune entità di quelle indicate,  non per tutte, per esempio, “una palla da basket è nel cortile” è vera se c’è  almeno una palla da basket che è nel cortile ) mentre una frase universale è  vera solo qualora sia vera per tutte le entità. 
  A questo punto è  interessante l’osservazione che Russell fa sulle frasi universali: esse non  sono comprensibili a partire esclusivamente da un atto di conoscenza empirica.  Per capire “tutti gli uomini sono mortali” non è possibile pensare che si possa  conoscere ogni uomo né tale operazione è mai risultata possibile. Se per capire  una frase bisogna conoscere i suoi componenti, allora una frase universale non  sarebbe mai comprensibile, nella misura in cui richiede quasi sempre una  conoscenza decisamente più vasta di quella che possiamo avere. Invece, quando  noi diciamo “tutti gli uomini sono mortali” comprendiamo benissimo cosa stiamo  dicendo e cioè che ad ogni entità “uomo” corrisponde una certa proprietà  “mortale” tale che se compare un’entità “uomo” compare la proprietà “mortale”.  Questa analisi, in ogni caso, non è passibile di sperimentazione empirica e,  secondo Russell, è dovuta alla stessa natura della logica linguistica ( e  mentale ).   
Metodologia e nozione di analisi.
  L’impostazione  logica linguistica per Russell è un discorso preliminare insostituibile in  quanto è la guida stessa nella filosofia. Una dei punti stabili della filosofia  di Russell non è stata tanto la visione che egli aveva della logica o  dell’epistemologia, egli cambiò più volte la sua opinione. Tuttavia un tema  rimase abbastanza stabile: l’impostazione metodologica di fondo e “lo spirito”  di base: da un lato la logica, dall’altro la volontà di vedere e dire le cose  con chiarezza .
  La metodologia è  elaborata dalla logica e permette di scindere le conclusioni ambigue o  direttamente errate di una teoria. Per Russell una teoria nasce  irrimediabilmente da un sostrato ambiguo che, lentamente, determina poi delle  “selezioni” di premesse chiare ma non evidenti all’interno della teoria stessa.  Per raggiungere una certa chiarezza in una teoria bisogna dunque procedere  nell’analisi logica così da poter sfrondare l’eccesso, l’errato e l’oscuro. Una  volta compiuta questa operazione, una sistematica decostruzione della teoria,  si deve procedere a distinguere le premesse e le conclusioni e procedere così a  “rimontare” la teoria fino a che la stessa non risulta emendata del tutto da  errori e imprecisioni. In fine si può anche procedere a dedurre nuove  informazioni stesse dalla teoria.
  I passi del  metodo di Russell potrebbero essere riassunti in questi: 
- scelta della teoria da analizzare,
 - decostruzione della teoria,
 - riconoscimento delle premesse essenziali,
 - emendazione da errori eventuali,
 - emendazione da ambiguità o oscurità eventuali,
 - ricostruzione della teoria emendata dall’analisi logica,
 - deduzioni eventuali,
 
Tale metodo  russelliano parte sempre da un certo sostrato ambiguo, una teoria complessa o  un abbozzo di teoria e cerca di raggiungere una chiarezza nell’intrico. Ciò è  importante da notare in quanto, spesso, oggi si assiste al fenomeno inverso: la  costituzione di idee o teorie a partire da asettiche frasi apparentemente  chiare. 
  Lo scopo  dell’analisi di Russell deve portare a quel che si chiama “vocabolario minimo”  in cui sono contenute tutte le premesse della vecchia teoria non emendata, dunque,  tutte le possibili deduzioni di quella esplicitate con maggiore rigore e  chiarezza.
  Anche in questa  idea ( o utopia ) del “vocabolario minimo” di Russell si legge l’ispirazione  atomista della sua impostazione: l’idea, cioè, che una teoria si riconducibile  esclusivamente ai suoi atomi e alle conseguenze di quelli.
Metafisica dell’atomismo logico.
  I problemi  dell’atomismo logico di Russell, paradossalmente, saltano fuori al di là del  recinto della logica e il problema non è nemmeno di piccole dimensioni nella  misura in cui riguarda, in un certo senso almeno, la denotazione: cosa è  elemento semplice per Russell, esistono effettivamente degli elementi semplici  in natura? In realtà, a queste domande non esiste una risposta definitiva,  almeno non nel Russell dell’atomismo logico.
  La proposta di  Russell è di tipo empirista ed è intimamente legata alla sua visione della  conoscenza. Per esser precisi, Russell non è dell’avviso che si possa fare a  meno, nell’analisi delle denotazioni ( o di ciò che sta sotto e sopra il  linguaggio ) di una certa analisi epistemologica, una analisi volta alla  comprensione di cosa e come noi conosciamo. In questo senso, egli sostiene in  alcuni passi, la cosa sfugge ad un punto di vista puramente scientifico in  quanto, in tale analisi, esiste sempre un certo margine di soggettività. Ciò  che noi possiamo dire di conoscere sono solo i dati di esperienza, in altri  termini, esclusivamente delle sensazioni che sono di carattere estremamente  mutevole e cangiante. Russell è estremamente preciso nel sostenere che ciò che  ci è dato conoscere effettivamente e al di là di ogni possibile dubbio è  proprio la singola percezione di un “semplice”, base di ogni nostra conoscenza.
  Un “semplice”  dato di esperienza è una data percezione di qualcosa e può essere denotata  tramite un “questo”, “quello” e altri pronomi dimostrativi che possono stare  per entità note solo a chi ne sta provando l’esperienza. In altri termini solo  “questo” e “quello” possono esser considerati quasi a pieno titolo dei nomi  logici cioè dei simboli semplici che denotano in maniera univoca qualcosa.  In quanto i semplici dati di esperienza sono concepiti in modo differente in  base al tempo e allo spazio, noi possiamo dire che questi “semplici” siano  tutto ciò che ci è dato conoscere e la scienza fisica non fa altro che dare  definizioni rigorose di questi semplici.
  Il fatto che  questi dati di esperienza siano effettivamente dei dati non ulteriormente  divisibili, non conoscibili attraverso un’analisi preliminare e causa delle  conoscenze successive è il sintomo, per Russell, del fatto che ci troviamo  effettivamente di fronte a delle conoscenze “atomiche” e che possiamo  pienamente considerare il mondo come composto di molti di questi “semplici”. 
  Russell è  consapevole che accettare i “semplici” come dati di esperienza fenomenica,  dunque relativi ad una mente singolare, implica anche accettare il fatto che  anche fenomeni notoriamente denominati come “irrealtà” facciano effettivamente  parte di ciò che noi possiamo conoscere del mondo. E’ evidente, infatti, che  accettando così disinvoltamente l’esperienza ( il dato fenomenico ) come dato  di conoscenza genuina, bisogna allora anche concedere una certa realtà a  fenomeni quali allucinazioni, confusioni percettive e così via. Ed infatti  Russell spiega che non bisogna effettivamente lasciarsi guidare esclusivamente  dalla fiducia che si nutre nella scienza fisica e prendere in considerazione  che anche molti fenomeni creduti “irreali” debbano essere considerati “di pari  dignità” a quelli considerati dalle scienze fisiche. Tuttavia, stando poi a  quanto dice nella conclusione delle lezioni sull’atomismo logico, Russell  sostiene come un progresso in filosofia sia quello di costruire i problemi  filosofici in modo che non siano più filosofici ma fisici: se le cose stanno  così, allora come si può pensare effettivamente ad una equiparazione tra  fenomeno allucinogeno e fenomeno normale giacché la fisica non prende certo in  considerazione i primi ma solo i secondi.
  Riassumendo:  Russell accetta la tesi del luogo comune  secondo cui esiste una molteplicità di fatti diversi: oggetti, proprietà,  relazioni, credenze. Tutto ciò che è denotato dalle proposizioni mantiene un  suo grado di indipendenza dalle altre cose come dirà Wittghenstein stesso: “1.21  Qualcosa può accadere o non accadere e tutto il resto rimanere uguale”, ciò che  può accadere è il fatto e, dunque, se alla sussistenza o non sussistenza di un  fatto, il resto del mondo rimane invariato, è evidente che ci troviamo di  fronte ad una indipendenza reciproca dei fatti, degli stati di cose del mondo. 
  La filosofia  dell’atomismo logico è il nome di un certo momento del pensiero di Russell nel  quale si ritrovò anche Wittghenstein. Tuttavia fu un momento di passaggio ed è  divenuto importante solo quando si stava iniziando a conoscere l’intero  panorama biografico del filosofo inglese. Come attestano le stesse lezioni  sull’atomismo logico, esso si configura più come un’ispirazione generale,  spirito che Russell mantenne soprattutto in sede di analisi logica, ma non  un’impostazione stabile di pensiero: Russell ben presto passò da  un’impostazione metafisica di stampo atomista al tanto criticato monismo  neutro.
Riferimenti.
Russell B.,  Filosofia dell’atomismo logico, Einaudi, Torino, 2003.
  Ipotesi.
  « La logica che  presenterò è atomistica, in contrapposizione alla logica monastica dei seguaci,  più o meno fedeli, di Hegel. Quando dico che la mia logica è atomistica,  intendo dire che condivido la credenza del senso comune secondo cui ci sono  molte cose separate tra loro; non ritengo che l’evidente molteplicità del mondo  consista solo di fasi e divisioni irreali di una singola Realtà indivisibile ».
  P, 4.
Problema  epistemologia.
  « Quando si  considera una qualunque teoria della conoscenza, si è più o meno legati ad una  certa inevitabile soggettività, in quanto non ci si occupa solo della domanda  intorno a che cosa è vero del mondo, ma piuttosto della domanda “che cosa posso  conoscere del mondo?” Ogni argomento deve avere inizio da qualcosa che ci  appare vero; se ci appare tale, non c’è altro da dire ».
  P, 4-5.
Lo scopo delle  lezioni sull’atomismo logico.
  « La ragione per  cui chiamo la mia teoria atomismo logico è che gli atomi a cui desidero  giungere come una sorta di residuo ultimo dell’analisi sono atomi logici e non  fisici. Alcuni di essi saranno ciò che chiamo “particolari” –cose quali piccole  macchie di colore, suoni, oggetti momentanei- e alcuni di essi saranno  predicati o relazioni, e così via. Il punto è che l’atomo a cui desidero  giungere è l’atomo dell’analisi logica, non l’atomo dell’analisi fisica ».
  P, 5.
Problema chiave  della fondazione della conoscenza.
  « Le  proposizioni precise a cui si giunge possono essere premesse logiche del  sistema che viene costruito basandosi su di esse, ma non costituiscono premesse  per la teoria della conoscenza. E’ importante comprendere la differenza tra ciò  da cui, se si possedesse già una conoscenza completa, essa sarebbe dedotte. Si  tratta di due cose molto diverse. Il genere di premessa che un logico porrà a  base di una scienza non apparterrà a quel genere di cose che sono conosciute  per prime o più facilmente: sarà invece una proposizione dotata di un grande  potenziale deduttivo, estrema cogenza ed esattezza, ma proprio per questo molto  diversa della premessa effettiva da cui la conoscenza ha avuto inizio ».
  P, 6.
Sul metodo e  sull’errore.
  « Ciò che  consideriamo come premessa in ogni genere di lavoro di analisi è ciò che appare  innegabile a noi –qui e ora-, e nel suo complesso ritengo che il metodo  adottato da Descartes sia corretto: ci si deve sforzare di dubitare, e  conservare solo ciò di cui non si può dubitare a causa della sua chiarezza e  distinzione, ma non perché in questo modo si sia sicuri di non essere indotti  in errore, poiché non esiste un metodo che ci salvaguardi dalla possibilità di  errore ».
  P, 7.
Considerazioni  preliminari.
  « …il mondo  contiene fatti, e che questi sono ciò che sono indipendentemente da ciò che  scegliamo di pensare riguardo a essi, e che ci sono anche credenze, che si  riferiscono a fatti e che a causa di tale riferimento sono vere o false ».
  P, 8.
I termini  singolari sono insufficienti a produrre proposizioni.
  « Socrate  stesso, o qualunque cosa particolare, presa di per sé, non rende nessuna  proposizione né vera né falsa ».
  P, 9.
La logica  formale e le sue proposizioni.
  « Tutte le  parole che compaiono nella formulazione di una proposizione logica appartengono  in realtà alla sintassi. Si tratta di parole che esprimono esclusivamente una  forma o una connessione, e che non menzionano nessun costituente particolare  della proposizione in cui compaiono ».
  P, 11.
Il significato.
  « Penso che la  nozione di significato sia sempre in qualche misura psicologica, e che non sia  possibile ottenere una teoria puramente psicologica, e che non sia possibile  ottenere una teoria puramente logica del significato, e perciò neanche del  simbolismo. Penso che faccia parte dell’essenza stessa della spiegazione di ciò  che si intende con simbolo prendere in considerazione fenomeni come la  conoscenza, le relazioni cognitive, e probabilmente anche l’associazione. In  ogni caso sono ragionevolmente convinto che la teoria e l’uso del simbolismo  non possano essere spiegati all’interno della logica pura senza tenere conto  delle varie relazioni cognitive che possono intercorrere tra noi e le cose ».
  P, 13.
Importanza della  distinzione della denotazione del suo simbolo corrispondente.
  « Per quanto  riguarda ciò che si intende con “significato” fornirò alcune illustrazioni. Si  dirò per esempio che la parola “Socrate” significa un certo uomo; che la parola  “mortale” significa una certa qualità; e che l’enunciato “Socrate è mortale”  significa un certo fatto. Ma questi tre generi di significato sono del tutto  distinti, e se si pensa che la parola “significato” abbia lo stesso significato  in ciascuno dei tre casi si otterranno le contraddizioni più irrisolvibili. E’  molto importante non supporre che con “significato” si indichi sempre la stessa  cosa e che per ciò ci sia un solo tipo di relazione tra il simbolo e ciò che è  simboleggiato ».
  P, 13. Corsivo mio.
Perché una  proposizione non è un nome di un fatto.
  « E’ molto  importante comprendere, per esempio, che le proposizioni non sono nomi di  fatti. Ciò è assai ovvio una volta che vi sia stato fatto notare (…). Appena vi  si pensa è del tutto evidente che una proposizione non è il nome di un fatto,  per la semplice ragione che ci sono due proposizioni che corrispondono a  ciascun fatto. Supponiamo che sia un fatto che Socrate è morto. Si avranno  allora due proposizioni: “Socrate è morto” e “Socrate non è morto”. E mentre  queste due proposizioni corrispondono allo stesso fatto, c’è solo un fatto nel  mondo che rende l’una vera e l’altra falsa. Ciò non è accidentale, e mostra  come la relazione tra una proposizione e un fatto sia del tutto differente da  quella  tra un nome e la cosa nominata ».
  P, 14.
Chiara  definizione di “nome proprio”.
  « Un nome può  solo nominare un particolare; se non lo fa, non è un nome ma un rumore ».
  P, 14.
Quando  comprendiamo una proposizione.
  « Una  proposizione è compresa quando sono comprese le parole di cui è composta, anche  se in precedenza non si è mai udita la proposizione stessa ».
  P, 21.
Distinzione tra  analisi e definizione.
  « … è molto  importante distinguere tra una definizione e un’analisi. L’analisi è possibile  solo rispetto a ciò che è complesso e dipende sempre, al suo livello più  fondamentale, da una conoscenza diretta degli oggetti che costituiscono il  significato di certi simboli semplici. E’ quasi superfluo osservare che la  definizione non riguarda cose, ma simboli ( un simbolo “semplice” è un simbolo  le cui parti non sono simboli ). Un simbolo semplice è molto diverso da una  cosa semplice. Gli oggetti che non è possibile simboleggiare in altro modo se  non per mezzo di simboli semplici possono essere chiamati “semplici”, mentre  quelli che possono essere simboleggiati da una combinazione di simboli possono  essere chiamati “complessi”. Questa è naturalmente una definizione preliminare,  e forse, in qualche modo circolare, ma a questo stadio della discussione non ha  molta importanza ».
  P, 22.
Autosufficienza  dei particolari.
  «  Autosussistenza dei particolari, di come ciascun particolare possieda il  proprio essere indipendentemente da ogni altro particolare e non dipenda da  nient’altro per la possibilità logica della sua esistenza ».
  P, 33.
Comprendere.
  « Per quanto  concerne il comprendere, dovrei dire che tale espressione è spesso usata  erroneamente. La gente parla di “comprendere l’universo” e così via. Ma,  naturalmente, la sola cosa che si può realmente comprendere ( nel senso stretto  della parola ) è un simbolo, e comprendere un simbolo significa per che cosa  sta ».
  P, 35.
Le proposizioni  molecolari.
  « Le chiamo  proposizioni molecolari perché contengono altre proposizioni che potete  chiamare i loro atomi; con proposizioni molecolari intendo proposizioni che  contengono parole come “o”, “se”, “e” e così via ».
  P, 38.
Essenza di una  proposizione.
  « Quando si  prende una proposizione atomica, o una di quelle proposizioni come quelle di  credenza, quando si prende qualunque proposizione di questo genere, c’è un solo  fatto verso cui la proposizione punta, e verso cui punta in modo vero o in modo  falso. L’essenza di una proposizione è che essa può corrispondere a un fatto in  due modi, che si possono chiamare il modo vero e il modo falso ».
  P, 39.
Definizione di  un operatore logico.
  « Non dovete  cercare nel mondo reale un oggetto che possiate chiamare “o”, e dire: “Guarda  questo. Questo è “o”. Una cosa simile non esiste, e se cercate di analizzare “p  o q” in questo modo vi troverete in difficoltà [ il significato della  disgiunzione è la sua tavola di verità ] ».
  P, 40.
Una proposizione  molecolare ha una corrispondenza diversa da quelle atomiche nel mondo.
  « Non vedo  alcuna ragione per supporre che nei fatti ci sia una complessità corrispondente  alle proposizioni molecolari, poiché, come stavo dicendo, una corrispondenza di  una proposizione molecolare con i fatti è di un genere diverso rispetto alla  corrispondenza di una proposizione atomica con un fatto ».
  P, 42.
Problemi di una  teoria che prende l’incompatibilità tra due proposizioni.
  « …questa teoria  rende l’incompatibilità un dato fondamentale e ne fa un fatto oggettivo, il che  non è molto più semplice che ammettere fatti negativi. Per ridurre “non”  all’incompatibilità bisogna avere “Che p è incompatibile con q”, perché questo  deve essere il fatto corrispondente. E’ perfettamente chiaro, quale che sia  l’interpretazione di “non”, che c’è qualche interpretazione che vi darà un  fatto. Se dico “non c’è un ippopotamo in questa stanza”, è del tutto chiaro che  c’è un modo di interpretare questa affermazione secondo il quale esiste un  fatto corrispondente, e il fatto non può essere semplicemente che ogni parte di  questa stanza è riempita di qualche cosa che non è un ippopotamo ».
  P, 45.
Una malattia incurabile è un paradosso interessante: 1) se è incurabile allora non c’è medico che la possa curare, 2) se una malattia è incurabile allora non è più una malattia giacché anche la vita è una malattia incurabile come la respirazione o così via. Una malattia che non sia curabile implica che essa sia diventata “normale” all’interno dell’organismo, o meglio, che essa sia diventata un modo di vita dell’organismo stesso. Dunque, o una malattia è curabile o non è una malattia giacché non si capisce, altrimenti, cosa sia e cosa non sia una malattia.
Il fatto che ci sia una perdita di vaghezza, in questa analisi, non implica una perdita del contenuto di verità della teoria stessa, tuttavia ne determina un irrimediabile irrigidimento. D’altra parte, la razionalizzazione russelliana è un programma analitico comprensibile e, tuttavia, è forse stato dato per scontato che esso sia necessario. Ciò che non ci stanchiamo di ribadire è che, in ogni caso, l’analisi logica sopravviene alla teoria ed è ad essa successiva.
Per avere un’idea del problema si può leggere tra i riferimenti l’articolo famoso dello stesso Russell “ON denoting” e poi leggere la scheda di Frege per vedere su cosa i due filosofi dissentano.
In realtà, se pensiamo a descrizioni molto familiari, non si può dire che le cose siano esattamente così: una volta che ad “il supereroe” associamo Superman, se qualcuno ci dice “Superman è il supereroe” noi capiamo la frase esattamente come se ci stesse dicendo “Superman è Superman”. Si possono sollevare obiezioni a questa impostazione che, va da sé, è comunque molto autorevole.
In realtà, almeno per gli scritti di questo periodo ( PM a parte ), non si può dire che siano “chiari” o “cristallini” né che siano privi di ambiguità. Piuttosto è abbastanza evidente l’incontrario.
E’ interessante notare come “luogo comune” sia una nozione estremamente ambigua e intesa in modo estremamente diversa da filosofo a filosofo e come sia stata oggetto di attacco o di difesa: è curioso perché tutti con “luogo comune” denotano una cosa assai vaga e senza poterne mai definire i contorni. E su questa nozione molti hanno insistito senza però definirla mai o dire perché essi credevano che “il luogo comune” possa essere di qualche autorità nella misura in cui non è mai afferrato da nessuno.
Conclusioni su  una teoria che escluda i fatti negativi.
« Se dico “p è  incompatibile con q”, almeno una tra p e q deve essere falsa. E’  chiaro che non sono due fatti a essere incompatibili. L’incompatibilità riguarda  le proposizioni, la p e la q, e perciò, se intendete assumere l’incompatibilità  come fatto fondamentale, per spiegare i negativi dovete assumere come fatto  fondamentale qualcosa che implica le proposizioni in quanto opposte ai fatti.  E’ del tutto chiaro che le proposizioni non sono ciò che si potrebbe definire  “reale”. Se faceste un inventario del mondo, le proposizioni non vi  rientrerebbero. I fatti vi rientrerebbero, le credenze, i desideri, gli atti di  volizione, ma non le proposizioni ».
P, 45.
Logica e fatti.
  « Secondo il  tipo di approccio realistico che adotto in tutta la metafisica, si dovrebbe  sempre essere impegnati nell’esame di qualche fatto attuale o insieme di fatti,  e mi sembra che questo valga per la logica tanto quanto per la zoologia. In  logica ci si preoccupa delle forme dei fatti, di padroneggiare i diversi generi  di fati che ci sono nel mondo, o meglio, dei diversi generi logici di  fatti ».
  P, 48.
Prima  definizione di credenza.
  « “Quale è la  forma del fatto che ha luogo quando una persona ha una credenza?” Capite subito  che la prima facile risposta a cui si giunge è naturalmente quella secondo cui  una credenza è una relazione con una proposizione ».
  P, 49.
Credenze per il  comportamentismo.
  « Quando leggete  opere di autore come James e Dewey sul tema della credenza, una cosa che vi  colpisce immediatamente è che il genere di cosa a cui pensano quando parlano di  oggetto della credenza è molto diverso dal genere di cosa a cui penso io. Essi  pensano all’oggetto della credenza sempre come a una cosa (…), la prima rozza  approssimazione che suggerirebbero sarebbe che si ha una credenza vera quando  l’oggetto esiste e una credenza falsa quando l’oggetto non esiste. (…) Essi non  sembrano aver colto il fatto che il lato oggettivo della credenza è meglio  espresso da una proposizione che da una singola parola, e questo –ritengo- ha  molto a che fare con il loro atteggiamento generale riguardo a che cosa è la  credenza. Secondo la loro concezione, l’oggetto della credenza è in generale  costituito non da relazioni tra cose, o da cose dotate di qualità, o  quant’altro, ma solo da cose singole che possono esistere o non esistere.  Questa concezione mi sembra radicalmente e assolutamente sbagliata. In primo  luogo ci sono molti giudizi che non si possono adattare a questo schema, e in  secondo luogo esso non può fornire alcuna spiegazione dei giudizi falsi, perché  quando si crede che una cosa esiste ed essa non esiste, la cosa non c’è, non è  nulla, e considerare un giudizio falso come una relazione con qualcosa che in  realtà non è nulla non è ciò costituire un’analisi corretta. Questa è  un’obbiezione all’idea che la credenza consista semplicemente in una relazione  con un oggetto ».
  P, 52.
Definizione di  monismo neutro.
  « Essa si  accompagna, naturalmente, con la teoria del monismo neutro, ovvero con la  teoria secondo cui la materia che costituisce ciò che è mentale è la stessa  materia che costituisce ciò che è fisico, proprio come l’elenco postale vi  fornisce nominativi organizzati secondo un criterio geografico e secondo un  criterio alfabetico ».
  P, 53.
La denotazione  di una proposizione nella credenza.
  « Non possiamo  dire che crediamo fatti, poiché le nostre credenze sono talvolta sbagliate.  Possiamo dire che percepiamo fatti, poiché la percezione non è soggetta a  errore. Ogniqualvolta sono soltanto fatti a essere implicati, l’errore è  impossibile. Per ciò non possiamo dire che crediamo fatti ».
  P, 56.
Analisi corretta  della credenza.
  « Per ciò la  credenza non contiene realmente una proposizione come costituente, ma solo i  costituenti della proposizione stessa. Quando avete una credenza, non potete  domandare: “Che cosa è che credi?” Non c’è risposta a questa domanda, ovvero  non c’è una cosa singola che state credendo. “Credo che oggi sia martedì”. Non  dovete supporre che “Che oggi è martedì” sia un oggetto singolo che io sto  credendo. Sarebbe un errore. Questo non è il modo giusto di analizzare  l’occorrenza, sebbene l’analsis sia conveniente da un punto di vista  linguistico, e la si possa mantenere purché si sappia che non costituisce la  verità ».
  P, 57.
I problemi del  “credere”.
  « La questione  riguarda la presenza di due verbi nel giudizio e il fatto che entrambi i verbi  devono occorrere come verbi, poiché se una cosa è un verbo non può che  occorrere come verbo. Supponete di prendere “A crede che B ami C”. “Otello  crede che Desdemona ami Cassio”. Qui si ha una credenza falsa. Si ha questo  bizzarro stato di cose per cui il verbo “ama” occorre nella proposizione e  sembra occorrere ponendo in relazione Desdemona e Cassio, mentre in effetti non  lo fa, e tuttavia occorre come verbo, cioè nel modo in cui occorrerebbe un  verbo. Intendo dire che quando A crede che B ami C, si deve avere un verbo  nella posizione in cui compare “Ama”. Non si può sostituirlo con un sostantivo.  Perciò è chiaro che il verbo subordinato ( cioè il verbo diverso da credere )  agisce come verbo, e sembra porre in relazione due termini, ma di fatto quando  il giudizio è falso, ciò non accade. Questo problema costituisce l’enigma della  natura della credenza ».
  P, 58.
Difficoltà  dell’analisi della credenza.
  « La prima è  l’impossibilità di trattare la proposizione creduta come un’entità  indipendente, che compare in modo indiviso come un’entità indipendente, che  compare in modo indiviso nell’occorrenza della credenza; l’altra è  l’impossibilità di porre il verbo subordinato sullo stesso livello dei suoi  termini come ulteriore termine oggetto della credenza. Questo è un punto sul  quale penso che la teoria del giudiziose che ho proposto alcuni anni fa fosse  un po’ troppo semplicistica, poiché allora trattavo il verbo oggetto come se si  potesse considerarlo un semplice oggetto tra i termini, come se si potesse  considerare “ama” sullo stesso livello di Desdemona e Cassio quale termine  della relazione “crede” ».
  P, 60.
L’esistenza non  è implicata nell’affermazione universale.
  « Voglio  sottolineare in particolar modo che le proposizione generali devono essere  interpretate come non implicanti l’esistenza. Per esempio, quando dico “Tutti i  greci sono uomini”, non voglio che supponiate che ciò implichi l’esistenza di  greci. Tale esistenza non deve essere considerata come implicata. La si  dovrebbe aggiungere come proposizione separata. Se volete interpretarla in quel  senso, dovrete aggiungere l’affermazione ulteriore “e ci sono dei greci” ».
  P, 63.
Cosa voglio dire  con “qualunque x”.
  « Ora, quando vi  chiedete che cosa viene realmente asserito in una proposizione generale, come  per esempio “tutti i greci sono uomini”, troverete che ciò che è asserito è la  verità di tutti i valori di ciò che chiamo una funzione proposizionale. Una  funzione proposizionale è semplicemente ogni espressione contenente un  costituente indeterminato, o diversi costituenti indeterminati, e che diventa  una proposizione appena i costituenti indeterminati vengono determinati ».
  P, 64.
Cosa si può dire  di una funzione proposizionale.
  « Una funzione  proposizionale non è nulla, ma, come la maggior parte delle cose di cui si  vuole parlare in logica, non per questo perde la sua importanza. L’unica cosa  che si può fare con una funzione proposizionale è asserire che è sempre vera, o  che è vera qualche volta, o che non è mai vera ».
  P, 65.
Indici di  funzioni proposizionali.
  « Tutte le volte  che avete parole che “un”, “alcuni”, “tutti”, “ogni”, sono sempre il segno  della presenza di una funzione proposizionale, così che queste non sono – per  così dire – entità remote o recondite, ma ovvie e familiari ».
  P, 66.
L’esistenza è un  quantificatore che si applica ad una proposizione, non a un individuo.
  « Se dico “ Le  cose che sono nel mondo esistono”, si tratta di un’affermazione perfettamente  corretta, in quanto dico qualcosa riguardo a una certa classe di cose; lo dico  nello stesso senso in cui dico “Gli uomini esistono”. Ma non devo passare a  “Questa è una cosa nel mondo, dunque essa esiste. E’ qui che la fallacia entra  in gioco, e consiste semplicemente nel trasferire a un individuo che soddisfa  una funzione proposizionale un predicato che si applica solo alla funzione  proposizionale. Potete rendervene conto in vari modi. Per esempio, talvolta  conosciamo la verità di una proposizione esistenziale senza conoscerne nessuna  esemplificazione ».
  P, 68.
Una proposizione  universale non si produce dall’insieme di particolari.
  « Non potete mai  arrivare a una proposizione generale a partire da sole proposizioni particolari.  Dovete sempre avere almeno una proposizione generale tra le vostre premesse.  Ciò mostra, credo, vali punti. Uno di questi, di carattere epistemologico, è  che se esiste, come sembra esistere, una conoscenza di proposizioni generali,  allora ci deve essere una conoscenza primitiva di proposizioni generali ( con  questo intendo una conoscenza di proposizioni generali che non sia ottenuta  tramite inferenza )… ».
  P, 70.
La forma di una  proposizione.
  « Così xRy  costituisce –so potrebbe dire- la forma pura di tutte quelle proposizioni. OCn  forma di una proposizione intendo ciò che si ottiene quando a ogni suo singolo  costituente si sostituisce una variabile ».
  P, 73.
Il dominio di  una funzione.
  « Per fornire un  esempio, voi sapete ciò che intendo con dominio di una relazione: intendo tutti  i termini che si trovano in quella relazione rispetto a qualcosa. Supponete che  io dica: “xRy implica che x appartiene al dominio di R”; questa sarebbe una  proposizione della logica ed è una proposizione che contiene solo variabili ».
  P, 74.
I costituenti di  proposizioni devono esistere.
  « Ogni  costituente deve esistere, deve essere una delle cose che ci sono nel mondo, e  perciò se Romolo stesso facesse parte delle proposizioni secondo cui è esistito  o non è esistito, entrambe non solo non potrebbero essere vere, ma neanche  dotate di significato, a meno che Romolo sia esistito. Tutto ciò ovviamente non  avviene, e la prima conclusione che si trae è che, sebbene sembri che Romolo  sia un costituente di quella proposizione, questo è in realtà un errore. Romolo  on compare nella proposizione “Romolo non è esistito” ».
  P, 78.
I nomi in frasi  esistenziali.
  « Vedete perciò  che la proposizione “Romolo è esistito” o “Romolo non è esistito” introduce una  funzione proposizionale, in quanto il nome “Romolo” non è realmente un nome, ma  una sorta di descrizione abbreviata.   Esso sta per una persona che ha fatto tali e tali cose, che ha ucciso  Remo, ha fondato Roma, e così via. Esso costituisce un’abbreviazione di quella  descrizione; se volete, è un’abbreviazione di “la persona che era chiamata  -Romolo-”. Se fosse realmente un nome, la questione dell’esistenza non potrebbe  sorgere, perché un nome deve nominare qualcosa o non è un nome, e se non c’è  una persona come Romolo, non ci può essere un nome per quella persona che non  c’è…  ».
  P, 79.
Differenze tra  nomi propri e descrizioni definite.
  « La prima cosa  da capire riguardo a una descrizione definita è che non si tratta di un nome.  Prendiamo “L’autore di Waverley”. Questa è una descrizione definita, ed è  facile vedere che non si tratta di un nome. Un nome è un simbolo semplice (  ovvero un simbolo che non ha parti che siano esse stesse simboli ), usato per  designare un certo particolare o per estensione un oggetto che non è un  particolare ma è trattato in quella circostanza come se lo fosse, o che  erroneamente si ritiene essere un particolare, come una persona ».
  P, 80-81.
Identità tra  nomi di stessa denotazione.
  « E’  immediatamente ovvio che se “c” è “Scott” stesso, “Scott è Scott” è solo una tautologia.  Ma s prendete un altro nome che sia un nome di Scott, allora se il nome è usato come nome e non come descrizione, la proposizione sarà ancora una  tautologia. Infatti il nome stesso è semplicemente un mezzo per puntare a una  cosa, e non fa parte di ciò che si asserisce, così che se una cosa ha due nomi,  che si usi l’uno o l’altro, purché si tratti realmente di nomi e non di  descrizioni in forma abbreviata, l’asserzione prodotta è la stessa ».
  P, 82.
Differenza  fondamentale tra nome e nome e nome e descrizione.
  « [L]a  proposizione “Scott è l’autore di Wareley” non è né l’una né l’altra cosa, e  perciò è diversa da qualunque proposizione della forma “Scott è c”, dove “c” è  un nome ».
  P, 83.
Due diversi usi  del nome.
  « E’ importante  comprendere che ci sono due differenti usi dei nomi o di qualunque altro  simbolo: uno quando si parla del simbolo, e l’altro quando lo si usa come  simbolo, come mezzo per parlare di qualcos’altro. Normalmente, se parlate della  vostra cena, non state parlando della parola “cena”, ma di ciò che mangerete, e  questa è una cosa del tutto diversa. In genere le parole si usano come mezzi  per indicare le cose, e quando si usano le parole in questo modo,  l’affermazione “Scott è sir Walter” è una pura tautologia, esattamente sullo stesso  piano di “Scott è Scott” ».
  P, 84.
Proposizione con  descrizioni definite.
  « Come vedete,  ciò significa che c’è un’entità c ( e possiamo anche non sapere che cosa sia )  tale che quando x è c, è vero che x ha scritto Waverley, il che  significa dire che c è la sola persona che ha scritto Waverley; e si  afferma che c’è un valore di c che rende vera questa funzione  proposizionale. Così l’intera espressione, che è una funzione proposizionale  intorno a c, è possibile rispetto a c ( nel senso spiegato  la volta scorsa ) ».
  P, 87.
Cosa è  necessario sapere per capire cosa è il mondo.
  « Se volete  comprendere l’analisi del mondo, o l’analisi dei fatti, o se volete avere  un’idea di ciò che c’è realmente nel mondo, è importante capire quanto di ciò  che c’è nel nostro modo di esprimerci possiede la natura dei simboli incompleti  ».
  P, 91.
Come bisogna  interpretare “esistere”.
  « In matematica  si parla comunemente di proposizioni di questo genere come di teoremi di  esistenza, in cui si stabilisce che c’è un oggetto di un determinato genere, e  questo oggetto, essendo matematico, è naturalmente un oggetto logico, non un  particolare, non una cosa come un leone o un unicorno, ma un oggetto come una  funzione o un numero, qualcosa che chiaramente non ha la proprietà di essere nel  tempo, ed è questo genere di senso proprio dei teoremi di esistenza come ho  fatto nelle ultime due lezioni. Io ritengo, naturalmente, che questo senso di  esistenza possa essere esteso fino a coprire gli usi più ordinari, e che di  fatto fornisca la chiave di ciò che soggiace a questi usi ordinari ».
  P, 95.
Dignità del  mondo di ciò che è presunto irreale.
  « In genere  le correlazioni di quelli che si sceglie di  chiamare oggetti “reali”. Ma ciò non significa che le immagini siano irreali.  Significa solo che non fanno parte della fisica. Naturalmente, so che questa  credenza del mondo fisico ha instaurato una specie di regno del terrore. Dovete  trattare con disprezzo qualunque cosa non si adatti al mondo fisico. Ma ciò è  davvero molto antipatico nei confronti delle cose che vi si adattano. Il mondo  fisico è una specie di aristocrazia al governo, che è in qualche modo riuscita  a far sì che ogni altra cosa sia trattata con disprezzo. Questo genere di  atteggiamento non è degno di un filosofo. Dovremmo trattare con rispetto  esattamente uguale le cos e che non si adattano al mondo della fisica, e le  immagini sono tra queste ».
  P, 96.
Il problema  delle classi di se stesse.
  « Supponiamo  dapprima che essa sia un membro di se stessa. In questo caso è una di quelle  classi che non sono membri di se stesse, cioè non è un membro di se stessa.  Supponiamo allora che non sia un membro di se stessa. In questo caso non è una  di quelle classi che non sono membri di se stesse, cioè è un membro di se  stessa. In questo caso non è una di quelle classi che non sono membri di se  stesse, cioè è un membro di se stessa. Dunque entrambe le ipotesi, che sia o  che non sia un membro di se stessa, conducono alla propria contraddizione. Se è  un membro di se stessa, non lo è, e se non lo è, lo è ».
  P, 100.
Come costruire  una teoria.
  « Si scopre che  di una certa cosa è stata posta come entità metafisica si può assumere  dogmaticamente che sia reale, e allora non si avrà nessun argomento possibile a  favore o contro la sua realtà; oppure, invece di fare ciò, si può costruire una  finzione logica che abbia le stesse proprietà formali – o piuttosto proprietà  formali formalmente analoghe a quelle della supposta entità metafisica-, e che  sia composta di entità empiricamente date; questa finzione logica può  sostituire la supposta entità metafisica e servirà a tutti gli scopi  scientifici che si possano desiderare ».
  P, 112-113.
Scienza e  filosofia.
  « …credo che la  sola differenza tra la scienza e la filosofia sia che la scienza consiste in  ciò che più o meno conosciamo, e la filosofia in ciò che non conosciamo. La  filosofia è quella parte della scienza riguardo alla quale le persone decidono  di avere opinioni, ma riguardo a cui non possiedono conoscenze. Perciò ogni  progresso nella conoscenza priva la filosofia di alcuni problemi che  precedentemente le appartenevano, e se ci’è una qualche verità o un qualche  valore nel genere di procedure della logica matematica, ne seguirà che vari  problemi che sono appartenuti alla filosofia cesseranno di appartenerle e verranno  ad appartenere alla scienza. Naturalmente nel momento in cui diventano  risolvibili, perdono di interesse per una grande parte delle menti filosofiche,  perché per molte persone che amano la filosofia il suo fascino cosciente nella  libertà speculativa, nel fatto di poter giocare con le ipotesi (…). Proprio  come ci sono in America famiglie che dal tempo dei Padri Pellegrini in avanti  sono sempre migrate verso ovest verso le foreste interne, perché non amavano la  vita civilizzata, così la filosofia ha una disposizione avventurosa e ama  dimorare in una regione in cui ci siano ancora incertezze. E’ vero che il  trasferimento  di una regione dalla  filosofia alla scienza la renderà inappetibile per un tipo di mente che è molto  utile e importante. Penso che sia vero che molte delle applicazioni della  logica matematica vadano nella direzione che ho indicato. Ciò rende le cose  aride, precise, metodiche, e in questo modo le spoglia di una certa qualità che  possedevano quando si poteva giocare con esse più liberamente. Non mi sembra  che sia mio compito scusarmi per questo, perché se è vero, è vero ».
  P, 122-123.
Russell, B., Principia Matematica, Grandi tascabili economici Newton, Roma, 1989.
Definizione  della matematica pura.
  « La matematica  pura è l’insieme di tutte le proposizioni della forma “p implica q” dove p e q  sono proposizioni che contengono una o più variabili, né p né q contenendo  costanti che non siano costanti logiche ».
  P, 23.
L’analisi e il  suo fine definiti in modo rigoroso.
  « Il metodo che  useremo è analitico, ed il problema che ci siamo posti è filosofico, nel senso,  cioè, che tenteremo di passare dal complesso al semplice, dalle cose  dimostrabili alle premesse indimostrabili ».
  P, 23.
Implicazione  formale: il mattone dei sistemi formali.
  « In matematica  diciamo sempre che se una certa affermazione p è vera per ogni ente x, o per  ogni insieme di enti x, y, z… allora per quegli enti è vera un’altra  affermazione q; non faremo questa affermazione separatamente per p o q.  Enunciamo una relazione tra le affermazioni p e q, che chiameremo implicazione  formale ».
  P, 25.
Seconda  caratterizzazione delle proposizioni matematiche.
  « La  caratteristica delle proposizioni matematiche non consiste solamente  nell’asserire implicazioni, ma anche nel fatto di contenere delle variabili ».
  P, 25.
Definizione di  costante.
  « Una costante è  qualcosa di definito in modo assoluto, nei cui riguardi non esiste ambiguità  alcuna. Quindi 1, 2, 3, e… Socrate, sono costanti; e così uomo e la  razza umana, passato, presente, futuro, considerati come insieme ».
  P, 26.
Il ruolo della  variabile.
  « Dunque, in  ogni proposizione della matematica pura, correttamente enunciata, le variabili  hanno un campo assolutamente libero: ogni ente concepibile può essere  sostituito da variabili senza con ciò intaccare la verità della proposizione ».
  P, 27.
Deduzioni  identiche e differenti simboli.
  « Se abbiamo a  che fare con più catene deduttive che differiscono solo per il significato dei  simboli, di modo che le proposizioni simbolicamente identiche possono essere  suscettibili di più interpretazioni, il procedimento matematicamente corretto  consiste nel formare la classe dei significati che si possono dare ai simboli,  e di affermare che la formula  segue  dall’ipotesi che i simboli appartengono alla formula in questione ».
  P, 27.
Definizione di  relazione.
  « Possiamo  tuttavia caratterizzare un tipo di relazioni come una classe di relazioni  definite da una proprietà definibile in termine di sole costanti logiche ».
  P, 28.
Ciò che deve  contenere la matematica pura.
  « La matematica  pura, perciò, non deve contenere cose non definibili che non siano costanti  logiche, e, di conseguenza, non deve contenere premesse, proposizioni  indimostrabili, ma solo ciò che concerne esclusivamente costanti logiche e  variabili ».
  P, 28.
Relazione tra  logica e matematica.
  « Per tutto  quello che abbiamo detto la connessione esistente tra logica e matematica è  molto stretta. Il fatto che tutte le costanti matematiche sono costanti  logiche, e che tutte le premesse della matematica riguardano la logica dà, mi  sembra, il senso preciso di ciò che i filosofi vogliono dire quando affermano  che la matematica è a priori. Il fatto è che una volta accettato l’apprato  della logica, necessariamente ne discende tutta la matematica. (…) 
  La logica è  formata dalle premesse della matematica, e da tutte le altre proposizioni che  trattano esclusivamente di costanti logiche e di variabili che non soddisfino  la definizione data di matematica. La matematica è formata da tutte le  conseguenze di queste premesse che affermano implicazioni formali contenenti  variabili, con le premesse che hanno queste stesse caratteristiche ».
  Pp, 28-29.
Scopo del  trattato.
  « Da quel che si  è finora detto, il lettore avrà capito che il presente lavoro persegue due  obiettivi: primo mostrare che tutta la matematica discende dalla logica  simbolica, e, secondo, scoprire, per quanto è possibile, quali sono i principi  della logica simbolica stessa ».
  P, 29.
Cosa è la logica  simbolica.
  « La logica  Simbolica o Formale –userò questi termini come sinonimi- è lo studio dei vari  tipi generali di deduzione. La parola simbolica denota l’argomento per una  caratteristica marginale, l’uso dei simboli matematici essendo, infatti, qui  come altrove, una semplice convenzione teoricamente irrilevante ».
  P, 30.
Cosa è una  proposizione.
  « Una  proposizione è, potremmo dire, qualcosa di vero o di falso. Per tanto  un’espressione come “x è un uomo” non è una proposizione non essendo né vera né  falsa. Se però diamo ad x un valore costante qualsiasi, questa espressione  diventa una proposizione; essa quindi è come una forma schematica valida per  ciascun membro dell’intera classe delle proposizioni ».
  P, 32.
Conseguenza  analisi implicazione.
  « La  disgiunzione, d’altra parte, è definibile nei termini di implicazione, come  subito vedremo. Discende dalla suddetta equivalenza che, date due proposizioni,  una deve implicare l’altra, che le proposizioni false implicano tutte le  proposizioni, e che le proposizioni vere sono implicate da tutte le  proposizioni ».
  P, 35.
Definizione in  matematica.
  « Il significato  matematico di definizione è notevolmente differente da quello in uso tra i  filosofi; può quindi essere utile osservare che, in senso matematico, si dice  che una nuova funzione proposizionale è definita quando si riesce a stabilire  la sua equivalenza (i. e. implicare o essere implicata da ), ad una funzione  proposizionale che viene presa come indefinibile o che è stata definita in  termini di indefinibili ».
  P, 35.
Gli assiomi.
  « Infatti tutti  gli assiomi sono principi di deduzioni; e se sono veri, le conseguenze che  discendono dall’impiego di un principio opposto non discendono realmente, così  che i ragionamenti interenti all’ipotesi della falsità sono soggetti ad errori  particolari ».
  P, 35.
I primi quattro  assiomi.
  « 1. Se p  implica q, allora p implica q; in altre parole qualsiasi cosa siano p e q, “p  implica q” è una proposizione.
  2. Se p implica  q, allora p implica p; in altri termini ogni cosa che implica qualcos’altro è  una proposizione.
  3. Se p implica  q, allora q implica q; cioè, qualsiasi cosa sia implicata da un’altra,  costituisce una proposizione.
  4. Un’ipotesi  vera in una implicazione può essere tralasciata; e la conseguenza  affermata.  ».
  P, 36.
Prodotto logico.
  « La definizione  è molto artificiosa, e mette chiaramente in evidenza la differenza tra  definizioni matematiche e definizioni filosofiche. Si formula così: se p  implica p, allora, se q implica q, pq ( il prodotto logico di p e q ) significa  che se p implica che q implica r, allora r è vera. In altre parole, se p e q  sono proposizioni, la loro affermazione congiunta equivale a dire che è vera  ogni proposizione tale che la prima implica che la seconda la implichi ».
  P, 36.
Assiomi di  deduzioni.
  « 5. Se p  implica p e q implica q, allora pq implica p. Questo principio di si chiama di semplificazione,  ed afferma semplicemente che l’asserzione congiunta di due proposizioni implica  l’affermazione della prima delle due.
  6. Se p implica  q e q implica r, allora p implica r. E’detto il sillogismo.
  7. Se q implica  q e r implica r, e se p implica che q implichi r, allora pq implica r. Questo è  il principio della importazione   ».
  8. Se p implica  p e q implica q, allora, se pq implica r, allora p implica che q implica r. E’  il principio inverso del precedente, e viene chiamato il principio di esportazione.
  9. Se p implica  q e p implica r, allora p implica qr; in altre parole una proposizione che  implica ciascuna di due proposizioni le implica ambedue insieme. E’ detto il  principio di composizione.
  10. Se p implica  p e q implica q, allora “-p implica q- implica q” implica p. E’ il principio di riduzione; è senz’altro meno autoevidente degli altri, ma praticamente  equivale a molte proposizioni che sono autoevidenti ».
  Pp, 36-37.
Definizione di  negazione.
  « Di qui  partiamo per dare la definizione di negazione: non-p equivale  all’affermazione che p implica tutte le proposizioni, i. e. che “r implica r”  implica “p implica r” qualsiasi sia r ».
  P, 38.
Funzione  proposizionale.
  « Queste  considerazioni mi conducono all’esame del concetto di tale che. I valori  che rendono una funzione proposizionale vera sono simili alle radici di  un’equazione –difatti sono questi un caso particolare di quelle- e noi possiamo  considerare tutti i valori di x tali che fx è vera ».
  P, 40.
Definizione di  uguaglianza di classe.
  « …l’uguaglianza  di a e b si definisce con l’equivalenza di “x è un a” e di “x è un b” per tutti  i valori di x ».
  P. 41.
L’esistenza di  una classe.
  « Un altro  concetto molto importante è quello di esistenza di una classe, parola  che supponiamo che non abbia lo stesso significato che ha in filosofia. Si dice  che una classe esiste quando ha almeno un termine. Una definizione formale è la  seguente: una classe a esiste quando e solo quando è vera ogni proposizione a condizione  che “x è un a” la implichi sempre, qualsiasi valore si dia a x ».
  P, 41.
Legge della  tautologia.
  « Le leggi  formali dell’addizione, moltiplicazione, tautologia e negazione sono le stesse  per le classi e le proposizioni. La legge della tautologia afferma che non si  cambia nulla quando una classe o una proposizione si aggiunge o si moltiplica  con se stessa ».
  P, 43.
La classe nulla.
  « Questa [ la  classe nulla ] può definirsi anche come la classe dei termini che appartengono  ad ogni classe, come la classe che non esiste ( nel senso sopra definito ),  come la classe che è contenuta in ogni classe, come la classe a tale che  funzione proposizionale “x è in a” risulti falsa per tutti i valori di x, o  come la classe delle x che soddisfano ogni funzione proposizionale f(x) che è  falsa per tutti i valori di x ».
  P, 43.
Definizione di  diversità.
  « La diversità  si definisce come la negazione delle identità. Se x è un termine qualsiasi, è  necessario distinguere da x la classe il unico membro è x stesso: questa si può  definire come la classe dei termini identici a x ».
  P, 43.
Definizione  formale di relazione.
  « Se R è una  relazione, esprimeremo con xRy la funzione proposizionale “x ha una relazione R  con y”. Abbiamo bisogno di una proposizione primitiva  ( cioè indimostrabile ) per avere che xRy sia  una proposizione per tutti i valori di x e di y ».
  P, 44.
Identità di  relazione.
  « Due relazioni  R, R’ si dicono uguali o equivalenti o che hanno la stessa estensione, quando  xRy implica ed è implicata da xR’y per tutti i valori di x e y ».
  P, 45.
Proposizione  primitiva di relazioni.
  « Una  proposizione primitiva per le relazioni è che ogni relazione ha una inversa, i.  e. che, se R è una relazione qualsiasi, esiste una relazione R’ tale che xRy è  equivalente a yR’x per tutti i valori di x e y ».
  P, 45.
Grammatica  filosofica.
  « Secondo me, lo  studio della grammatica può illuminare alcune questioni filosofiche molto più  di quanto i filosofi generalmente suppongono.
  Anche se non si  può ammettere senza una precisa disamina critica che una distinzione  grammaticale corrisponde ad una effettiva distinzione filosofica, tuttavia  l’una costituisce il manifestarsi prima facile dell’altra e spesso può  venire impiegata molto utilmente come fonte di una nuova scoperta. Penso tuttavia  che si debba ammettere che ogni parola, che compare in una locuzione, debba  avere qualche significato: un suono totalmente senza significato non  potrebbe venire usato nel modo più o meno regolare con cui la lingua usa le  parole. 
  La correttezza  dell’analisi filosofica che noi operiamo di una proposizione può essere quindi  controllata con l’esercizio di precisazione del significato di ogni vocabolo  della locuzione che esprime la proposizione in questione. In generale, mi  sembra che la grammatica conduca molto più vicino ad una logica corretta delle  opinioni correnti dei filosofi; nelle pagine che seguiranno, prenderemo perciò  la grammatica, se non come maestra, almeno come guida ».
  P, 64.
Le proprietà dei  termini.
  « Inoltre ogni  termine è immutabile e indistruttibile. Quel che un termine è, è; non si può  concepire che avvenga in esso alcun mutamento che non ne muti l’identità,  rendendolo così un altro termine ».
  P, 66.
Russell, La  conoscenza del mondo esterno, Longanesi, Milano, 1975. Da Emanuele Severino,  Antologia filosofica, edizione Mondo Libri, Milano, 1990.
  « Per ogni fatto  dato vi è un’asserzione che esprime il fatto. Il fatto in se stesso obiettivo e  non dipende dal nostro pensiero o dalla nostra opinione nei suoi riguardi, ma  l’affermazione è qualcosa che implica il pensiero e può essere vera o falsa.  Un’affermazione può essere positiva o negativa: possiamo asserire che “Carlo I  fu giustiziato” oppure che egli “non morì nel suo letto”. Si può dire che  un’affermazione negativa sia una negazione. Data una forma di parole che  deve essere vera o falsa, come “Carlo I morì nel suo letto”, possiamo affermare  o negare questa forma di parole; nel primo caso abbiamo u ‘asserzione positiva,  nel secondo una negativa. Chiamerò proposizione una forma di parole che  può essere vera o falsa. Perci una proposizione è la stessa riguardo a ciò che  si può affermare o negare in modo significativo. 
  Una proposizione  che esprime ciò che abbiamo chiamato un fatto, cioè che, quando asserita,  afferma che una certa cosa ha una certa qualità o che certe cose hanno una  certa relazione, sarà chiamata una proposizione “atomica”, perché, come vedremo  subito, ci sono altre proposizioni nelle a quali entrano le proposizioni  atomiche in modo analogo a quello in cui entrano gli atomi nelle molecole.
  Per quanto le  proposizioni atomiche, come i fatti, possano avere una qualsiasi tra il numero  infinito di forme, sono soltanto un tipo di proposizioni. Tutti gli altri  generi sono molto più complicati. Per conservare il parallelismo nel linguaggio  tra i fatti e le proposizioni, daremo il nome di “fattti atomici” ai quali che  abbiamo considerato fin qui. Così i fatti atomici sono quelli che determinano  se le proposizioni atomiche sono da affermare o da negare. Si può sapere  soltanto empiricamente se una proposizione atomica come “questo è rosso” oppure  “questo è prima di quello”, deve essere affermata o negata. […] Se noi  conoscessimo tutti i fatti atomici e sapessimo che non ve ne è nessuno, eccetto  quelli che abbiamo conosciuto, potremmo, in linea teorica, dedurre tutte le  verità di qualsiasi forma. […]
  “Molecolari”  sono le proposizioni che contengono congiunzioni: se, oppure, e, a meno che,  eccetera, e tali parole sono segni di una proposizione molecolare. Esaminiamo  un’asserzione come “se piove porto l’obrllo”. Questa asserzione può essere vera  o falsa, come l’asserzione di una proposizione atomica, ma è ovvio che il fatto  corrispondente, oppure la natura della corrispondenza con il fatto, deve essere  completamente differente da ciò che è nel caso di una proposizione atomica. Se  piove e si porta l’ombrello sono ciascuno separatamente oggetti di un fatto  atomico, accertabile mediante l’osservazione. Ma la connessione delle due cose  implicate nel dire che “se capita una, capiterà l’altra” è qualcosa di molto  differente da una delle due presa da sola.   Non è necessario, per la verità, che dovrebbe realmente piovere oppure  che dovrei portare veramente l’ombrello; anche se il cielo è sereno potrei  portar l’ombrello, , per il caso che il tempo mutasse. Così abbiamo fin qui una  successione di due proposizioni che non dipendono dal fatto se si devono  affermare o negare, ma solo dal fatto che sono deducibili dalla prima. Perciò  queste proposizioni hanno una forma differente da quella di una proposizione atomica.
  Simili  proposizioni sono importanti per la logica, perché da esse dipende ogni  deduzione. Se vi ho detto che, se piove, porterò l’ombrello e se vedete che  piove insistentemente, potete dedurre che porterò l’ombrello. Non vi può essere  deduzione, eccetto che dove le proposizioni sono connesse in questo modo, così  che dalla  verità o dalla falsità di una  cosa segue la verità o la falsità dell’altra. Sembra che possiamo talora  conoscere le proposizioni molecolari, come sopra nell’esempio dell’ombrello, quando  non sappiamo se le componenti atomiche sono vere o false. L’utilità pratica della deduzione si basa su ciò.
  L’altro genere  che dobbiamo considerare sono le proposizioni  generali, come “tutti gli uomini sono  mortali”, “tutti i triangoli equilateri sono equiangoli”. A queste appartengono  le proposizioni nelle quali può capitare la parola “alcuni”, come “alcuni  uomini sono filosofi”, oppure “alcuni filosofi non sono saggi”. Queste sono  negazioni di proposizioni in generale, cioè ( negli esempi sopra riportati ) di  “tutti gli uomini sono non filosofi” “tutti i filosofi sono saggi”.
  Chiameremo le  proposizioni contenenti la parola “alcuni” proposizioni generali negative,  quelle contenenti la parola “tutti” proposizioni generali positive. Queste  propoisizioni, si vedrà, cominciano ad avere l’apparenza delle proposizioni che  ci sono nei trattati di logica. Ma le loro peculiarità e complessità non sono  note ai trattati, ed i problemi ai quali danno origine sono discussi soltanto  in modo molto superficiale.
  Quando abbiamo  discusso i fatti atomici, abbiamo visto che saremmo in grado, teoricamente, di  dedurre tutte le altre verità per mezzo della logica, se conoscessimo tutti i  fatti atomici ed anche sapessimo che non ci sono altri fatti atomici oltre  quelli conosciuti. La conoscenza che non vi sono altri fatti atomici è una  conoscenza generale, positiva, è la conoscenza che “tutti i fatti atomici sono  per me conosciuti” o almeno che “tutti i fatti atomici sono in questa  collezione”, per quanto può essere data la collezione. E’ facile osservare che  le proposizioni generali come “tutti gli uomini sono mortali”, non si possono  conoscere solo mediante deduzione da fatti atomici.
  Se potessimo  conoscere ogni singolo uomo e sapessimo che è mortale, non ci consentirebbe di  sapere che tutti gli uomini sono mortali a meno che sapessimo che quelli erano  tutti gli uomini esistenti, il che è una proposizione generale. Se conoscessimo  ogni altra cosa da un capo all’altro dell’universo e sapessimo che ogni cosa  separata era un uomo non immortale, ciò non darebbe il nostro risultato, ameno  che sapessimo che “tutte le cose appartengono a questa collezione di cose che  ho esaminato”.
  Non si possono  dedurre verità così generali soltanto da verità particolari, ma se esse devono  essere conosciute devono essere evidenti per se stesse, oppure essere dedotte  da premesse delle quali c’è almeno una credenza generale. Ma tutta l’evidenza empirica è fatta di verità particolari. Perciò se in qualche modo è possibile una  conoscenza di verità generali, vi è necessariamente qualche conoscenza  di verità generali che è indipendente dalla prova empirica, cioè che non  dipende dai dati sensoriali. La conclusione di sopra, di cui avevamo un esempio  nel caso del principio induttivo, è importante, perché fornisce una  confutazione degli empiristi dei tempi pià antichi. Essi credevano che tutta la  nostra conoscenza derivasse dai sensi e dipendesse da essi. Vediamo che, se si  deve conservare questo punto di vista, si deve rifiutare di ammettere la  conoscenza di alcune proposizioni generali. E’ perfettamente possibile, da un  punto di vista logico, che sia così, ma non sembra che ciò avvenga nella  realtà, e certamente nessuno si sognerebbe di conservare un punto di vista  simile, ameno che fosse un teorico estremista. Dobbiamo pertanto ammettere che  c’è una conoscenza generale la quale non deriva dal senso e che parte di questa  conoscenza non è conseguita con la deduzione, ma è originaria.
  Si deve trovare  questa conoscenza generale nella logica. Non so se esiste una tale conoscenza  non derivata dalla logica: ma in ogni modo abbiamo una conoscenza simile nella  logica. Si ricorderà che abbiamo escluso dalla logica pura proposizioni come  “Socrate è un uomo, tutti gli uomini sono mortali, perciò Socrate è mortale”  perché “Socrate”, “uomo” e “mortale” sono termini empirici e comprensibili solo  mediante l’esperienza particolare. La proposizione corrispondente della logica  pura è: “Se qualche cosa ha una certa proprietà e qualsiasi cosa che ha questa  proprietà ha un’altra proprietà, la cosa in questione ha quest’altra  proprietà”. Questa proposizione è assolutamente generale: si applica a tutte le  cose ed a tutte le proprietà. E ciò è del tutto evidente per se stesso. Perciò  in simili proposizioni di logica pura abbiamo le proposizioni generali,  evidenti per se stesse, che ricercavamo.
  Una proposizione  come “Se Socrate era un uomo e tutti gli uomini sono mortali, Socrate è  mortale, è vera soltanto in virtù della sua forma. La sua verità, in  questa forma ipotetica, non dipende dal fatto che Socrate è effettivamente uomo  e neppure dal fatto che tutti gli uomini sono mortali: ciò è ugualmente vero  quando sostituiamo a Socrate, uomini, mortali, altri termini. La verità  generale, di cui è esempio,è puramente formale e appartiene alla logica. Quando  questa credenza generale non menziona una cosa particolare, oppure una qualità,  oppure una relazione particolare, è completamente indipendente dai fatti  accidentali del mondo esistente e la si può conoscere, teoricamente senza  nessuna esperienza di cose particolari o delle loro qualità e relazioni.
  La logica,  possiamo dire, consiste di due parti. La prima parte indaga quali proposizioni  sono e quali forme possono avere: questa parte enumera i generi differenti di  proposizioni generali e così via. La seconda parte consiste di proposizioni  veramente generali, che asseriscono la verità di tutte le proposizioni di certe  forme. Questa seconda parte affonda nella matematica pura, le cui proposizioni  risultano all’analisi essere verità formali generali.La prima parte, che  enumera semplicemente le forme, è la più difficile e la più importante  filosoficamente: il progresso recente, più di ogni altra cosa, ha reso  possibile una discussione veramente scientifica di molti problemi filosofici. 
  Il problema della  natura e della credibilità del giudizio può essere preso come esempio di un  problema la cui soluzione si basa su un inventario adeguato delle forme  logiche. Avviamo già visto che la supposta universalità della forma  soggetto-predicato ha reso impossibile una giusta analisi dell’ordine seriale e  perciò ha reso incomprensibile lo spazio e il tempo. Ma, in questo caso, era  necessario soltanto ammettere relazioni di due termini. Il caso del giudizio  richiede l’ammissione di forme più complicate. Se tutti i giudizi fossero veri,  potremmo supporre che un giudizio consiste nella comprensione di un fatto,  cioè in una relazione di una mente con il fatto. Questo punto di vista era  stato spesso sostenuto dalla povertà dell’inventario logico. Ma implica  difficoltà assolutamente insolubili nel caso dell’errore. Supponete che io  creda che Carlo I sia morto nel suo letto. Non c’è fatto oggettivo  nell’affermazione “la morte di Carlo I nel suo letto”, con cui posso avere una  relazione di apprendimento. Carlo I, la morte, il suo letto, sono oggettivi, ma  non sono posti insieme, eccetto che nel mio pensiero, come suppone la mia  credenza sbagliata. Perciò è necessario, nell’analisi di una credenza, cercare  forme logiche diverse dalla relazione di due termini. L’omissione della realtà  di questa necessitò, secondo me, ha deformato quasi tutte le opere elaborate  fin qui sulla toria della conoscenza, rendendo insolubile il problema  dell’errore e rendendo inspiegabile la differenza fra credenza e percezione.
  La logica  moderna, come spero che ora sia evidente, ha l’effetto di allargare la nostra  immaginazione astratta e di procurare un numero infinito di ipotesi possibili,  da applicare nell’analisi di ogni fatto complesso. Sotto questo aspetto è  l’esatto opposto della logica professata dalla tradizione classica. In quella  logica le ipotesi che prima facie, sembrano possibili, sono provate  apertamente impossibili e si decreta in anticipo che la realtà deve avere un  carattere speciale. Al contrario, nella logica moderna, mentre le ipotesi  ammesse come norme restano ammissibili, altre, che la logica avrebbe solo  suggerito, sono giunte al nostro inventario e sono spesso riscontrate  necessarie, se si deve raggiungere una giusta analisi dei fatti. La logica  vecchia poneva il pensiero nella schiavitù, mentre la logica nuova gli dà le  ali. Secondo me ha introdotto, nella filosofia, lo stesso progresso che Galileo  ha introdotto nella fisica, permettendo almeno di vedere quali problemi può  risolvere e quali devono essere messi in disparte perché superiori alle  capacità umane. E, dove è possibile una soluzione, la logica nuova offre un  metodo che ci permette di conseguire risultati tali da non integrare  idiosincrasie personali, ma da esigere il consenso di tutti coloro che sono  competenti per formulare un’idea ».
B. Russell, Semantica e filosofia del linguaggio, il saggiatore, Milano 1969, pp. 133-148. Tratto da: Filosofia del linguaggio, A cura di Casalegno, Raffaello Cortina Editore, 2003 pp 46-56.
Una  “descrizione” può essere di due tipi, definita o indefinita ( o ambigua ). Una  descrizione indefinita è una espressione della forma “un così e così” e una  descrizione definita è una frase della forma “il così e così”. Cominciamo dalla  prima.
  “Chi hai  incontrato?” “Ho incontrato un uomo”. “Come descrizione è molto indefinita”.  Con la nostra terminologia non ci allontaniamo quindi dall’uso corrente. Il  nostro problema è questo: che cosa asserisco in realtà quando asserisco “ho  incontrato un uomo”? Supponiamo, per il momento, che la mia asserzione sia vera  e che, di fatto, io abbia incontrato Rossi. E’ chiaro che ciò che io asserisco non è “Ho incontrato Rossi”. Potrei dire “Ho incontrato un uomo, ma non era Rossi”;  in tale caso, sebbene io menta, non mi contraddico, come invece accadrebbe se,  dicendo di aaver incontrato un uomo, realmente intendessi dire di aver  incontrato Rossi. E’ chiaro anche che la persona alla quale sto parlando può  capire ciò che dico, anche se è un estraneo e non ha mai sentito parlare di  Rossi. 
  Ma possiamo  spingerci oltre: non soltanto Rossi, ma nessun uomo relae rientra nella mia  asserzione. Questo risulta ovvio quando l’asserto è falso, perché in questo  caso non vi è ragione di supporre che rientri nella proposizione Rossi più di  chiunque altro. Anzi, l’asserto sarebbe significante, pur non potendo essere  vero, anche se non esistesse nemmeno un uomo. “Ho incontrato un uncorno” o “Ho  incontrato un serpente di mare” sono asserti perfettamente significanti, se  sappiamo che cosa significa essere un unicorno o un serpente di mare, cioè qual  è la definizione di questi mostri favolosi. Quindi è soltanto ciò che possiamo  chiamare il concetto che rientra nelle proposizioni. Nel caso di  “unicorno”, ad esempio, esiste soltanto il concetto: non esiste anche, in  qualche luogo fra le ombre, qualcosa di irreale che possa essere chiamato “un  unicorno”. Perciò, dal momnento che dire “ho incontrato un unicorno” è  significante ( sebbene sia falso ), è chiaro che questa proposizione analizzata  correttamente, non contiene come elemento costitutivo “un unicorno”, anche se  contiene il concetto “unicorno”.
  Il problema  della “irrealtà”, cui ci troviamo di fronte a questo punto, è molto importante.  Fuorviati dalla grammatica, la maggior parte di quei logici che si sono  occupati della questione l’hanno fatto secondo una erronea impostazione. Hanno  considerato la forma grammaticale una guida più sicura all’analisi di quanto in  realtà non sia. E non hanno afferrato quali siano le differenze importanti  della forma grammaticale. “Ho incontrato Rossi” e “Ho incontrato un uomo”  tradizionalmente sarebbero considerate proposizioni ella medesima forma, ma  sono in realtà di forma completamente diversa: la prima menziona una persona  reale, Rossi; la seconda, invece, comprende una funzione proposizionale e  diviene, una volta resa esplicita: “La funzione –ho incontrato x e x è umano- è talvolta vera”. ([Adottiamo] la convenzione di usare “talvolta” in  modo tale che non implichi più di una volta. ) Questa proposizione non è  ovviamente, della forma “Ho incontrato x”, il che rende conto  dell’esistenza della proposizione “Ho incontrato un unicorno”, malgrado nulla  sia di fatto “un unicorno”.
  Mancando loro  l’apparato delle funzioni proposizionali, molti logici sono stati indotti a  concludere che eesistono oggetti irreali. Argomenta Meinong, ad esempio, che si  può parlare de “la montagna d’oro”, “il quadro rotondo” e così via; che si  possono formare proposizioni vere di cui questi sono i soggetti; e che quindi  essi devono possedere un certo tipo di esistenza logica, poiché altrimenti le  proposizioni in cui ricorrono sarebbero prive di significato. In teorie del  genere manca, mi sembra, quel senso della realtà che dovrebbe essere presente  anche negli studi più altratti. La logica, direi, non deve ammettere un  unicorno più di quanto non faccia la zoologia; infatti la logica ha a che fare  col mondo reale proprio quanto la zoologia, benché ne consideri solo gli  aspetti più astratti e generali. Dire che gli unicorno hanno una lor esistenza  in araldica, o in letteratura, o nell’immaginazione, è una scappatoia pietosa e  ridicola. Ciò che esiste in araldica non è un animale, fatto di carne e di  sangue, che si muove e respira di sua iniziativa. Ciò che esiste è una figura o  una descrizione verbale. Analogamente, asserire che Amleto, ad esempio, esiste  nel suo mondo, cioè nel mondo dell’immaginazione di Shackespeare, con la stessa  verità con cui, diciamo, Napoleone è esistito nel mondo comune, significa dire  qualcosa che crea deliberatamente confusione, oppure che è confuso a un grado  difficilmente credibile. Vi è soltanto un mondo, il mondo “reale”:  l’immaginazione di Shackespeare ne ha parte, e i pensieri che egli aveva  scrivendo Amleto sono reali. Altrettanto reali sono i pensieri che  abbiamo leggendo la tragedia.Ma fa parte dell’essenza stessa della finzione  letteraria che solo i pensieri, i sentimenti ecc. di Shackespeare e dei suoi  lettori siano reali e che non vi sia, oltre a essi un Amleto oggettivo. Quando  abbiate preso in considerazione tutti i sentimenti suscitati da Napoleone negli  scrittori e nei lettori di storia non avete ancora toccato l’uomo reale; ma nel  caso di Amleto avete esaurito tutto ciò che c’è di lui. Se nessuno pensasse ad  Amleto, non rimarrebbe nulla di lui; se nessuno avesse pensato a Napoleone,  egli avrebbe fatto sì che qualcuno, presto o tardi, si sarebbe occupato di lui.  Il senso della realtà è vitale in, logica, e chiunque se ne prenda gioco  pretendendo che Amleto sia per quanto in senso differente, reale, rende un  cattivo servizio al pensiero. Un robusto senso della realtà è assolutamente  necessario per compiere un’analisi corretta delle proposizioni sugli unicorni,  le montagne d’oro, i circoli quadrati, e simili pesudo-oggetti.
  In omaggio a  tale senso della realtà, insisteremo sul fatto che, nell’analisi delle proposizioni,  non si deve ammettere niente di “irreale”. Ma, dopo tutto, si potrebbe  chiedere, se non esiste nulla di irreale, come potremmo ammettere  qualcosa di irreale? La risposta è questa: quando ci occupiamo di proposizioni,  ci occupiamo in primo luogo di simboli, che non ne hanno, cadiamo nell’errore  di ammettere cose irreali, nell’unico senso in cui questo è possibile, cioè  come oggetti descritti. Nella proposizione “Ho incontrato un unicorno”, le  quattro parole nel loro insieme costituiscono una proposizione significante e  la parola “unicorno” di per se stessa è significante, esattamente nello stesso  senso della parola “uomo”. Ma le due parole “un unicorno” non formano un gruppo  subordinato provvisto di un significato proprio. Se, quindi, attribuiamo erroneamente  un significato a queste due parole, ci troveremo alle prese con “un unicorno”,  e col problema di come possa esserci una cosa del genere in un mondo dove non  ci sono unicorni. “un unicorno” è una descrizione indefinita che no descrive  nulla. Non è una descrizione indefinita che descrive qualcosa di irreale. Una  proposizione quale “x è irreale” ha significato solo quando “x” è una  descrizione definita o indefinita; in tal caso la proposizione sarà vera se “c”  è una descrizione che non descrive nulla. Ma, sia che la descrizione “x”  descriva qualcosa sia che non descriva nulla, non è, in ogni caso, un elemento  costitutivo della proposizione in cui comprare; come nel nostro caso “un  unicorno”, non è un gruppo subordinato con un significato suo proprio. Tutto  questo risulta dal fatto che quando un “x” è una descrizione, “x è irreale” o  “x non esiste” non è nonsenso ma è sempre significante e talvolta vero.
  Possiamo ora  passare a definire in generale il significato delle proposizioni che contengono  descrizioni ambigue. Supponiamo di fare un’asserzione su “un così e così”, dove  i “così e così” sono gli oggetti che hanno una certa proprietà Φ, cioè quegli  oggetti x per i quali è vera la funzione proposizionale Φx. (Ad esempio, se  prendiamo “un uomo” come caso particolare di “un così e così”,  Φx sarà “Ho incontrato x” ). Ora la  proposizione che “un così e così” ha la proprietà Ψ non è una  proposizione della forma “Ψx”. Se lo fosse, “un così e cos’” dovrebbe essere  identico a x per un x appropriato; e sebbene, in un certo senso, ciò possa  essere vero in alcuni casi, non lo è vertamente in un caso come quello di “un  unicorno”. E’ proprio questo fatto, cioè che l’asserto che “un così e così” ha  la proprietà Ψ non è della forma Ψx, che rende possibile che “un così e così”  sia, in un certo senso chiaramente definibile, irreale. La definizione è la  seguente:
L’asserto che “un oggetto che ha la proprietà Φ anche la proprietà Ψ”
Significa:
“L’asserzione congiunta Φx e di Ψ non è sempre falsa”.
Per quel che  riguarda la logica, si tratta della stessa proposizione che si potrebbe  esprimere con “alcuni Φ sono “; ma dal punto di vista della retorica c’è una  differenza, perché nel primo caso si suggerisce l’idea della singolarità, e nel  secondo caso l’idea della pluralità. Questo, a ogni modo, non è il punto  importante., Il punto importante è che, se le proposizioni la cui formulazione  verbale riguarda “un così e così” sono analizzate correttamente, si scopre che  esse non contengono alcun costituente rappresentato da tale espressione. E  questa è la ragione per cui tali proposizioni possono essere significanti anche  quando non esiste nulla di simile a “un così e così”. 
  La definizione  di esistenza, applicata alle descrizioni ambigue, [ è la seguente ]. Noi  diciamo che “esistono uomini” oppure che “un uomo esiste” se la funzione  proposizionale “x è umano” è talvolta vera; e in generale, “un così e così”  esiste se “x è così e così” è talvolta vero. Possiamo riformulare ciò in altri  termini: la proposizione “Socrate è un uomo” è senza dubbio equivalente a Socrate è umano” ma non è proprio la stessa proposizione. La è di  “Socrate è umano” esprime identità. E’ una sfortuna per il genere umano che si  sia scelto di usare la medesima parola “è” per queste due idee completamente  diverse –una sfortuna cui pone naturalmente rimedio un linguaggio logico  simbolico. L’identità in “Scorate è un uomo” è una identità fra un oggetto  nominato ( ammettendo che “Socrate” sia un nome, con le riserve che  illustreremo più avanti ) e un oggetto descritto in modo ambiguo. Un oggetto  descritto in modo ambiguo “esisterà” quando almeno una proposizione di questo  genere è vera, cioè quando c’è almeno una proposizione vera della forma “x è  così e così”, dove “x” è un nome. E’ una caratteristica delle descrizioni  ambigue ( in contrasto con quelle definite ) che ci possa essere un numero  qualsiasi di proposizioni vere della forma indicata – Socrate è un uomo,  Platone è un uomo ecc. Così “un uomo esiste” segue da Socrate, o da Platone o  da chiunque altro. Nel caso delle descrizioni definite, invece, la forma  corrispondente di una proposizione, cioè “x è il cos’ e cos’” ( Dove “x” è un  nome ), può essere vera al massimo per un solo valore di “x”. Con questo  giungiamo alle descrizioni definite che devono essere definite in modo analogo  a quello delle descrizioni ambigue, ma alquanto più complicato.
  Veniamo ora  all’argomento principale, cioè alla definizione della parola il. Un  punto molto importante concernente la definizione di “un così e così” si  applica ugualmente a “il così e così”; la definizione richiesta è una  definizione delle proposizioni in cui ricorre tale espressione, non già una  definizione dell’espressione stessa presa isolatamente. Nel caso di “un così e  così” questo è del tutto ovvio: nessuno potrebbe pensare che “un uomo” sia un  oggetto definito, per se stesso definibile. Socrate è un uomo, Platone è un  uomo, Aristotele è un uomo, ma non possiamo inferirne che “un uomo” abbia lo  stesso significato di “Socrate”, e anche di “Platone” e anche di “Aristotele”,  perché questi tre nomi hanno significati diversi. Nondimeno, quando abbiamo  enumerato tutti gli uomini del mondo, non rimane nulla di cui si possa dire  “Questo è un uomo e non solo, ma è “l’un uomo”, l’entità quintessenziale  che è semplicemente un uomo indefinito, senza essere nessuno in particolare”.  E’ chiarissimo, naturalmente, che tutto ciò che esiste nel mondo è definito: se  si tratta di un uomo è un uomo definito e non un altro uomo. Quindi non si può  trovare al mondo un’entità quale “un uomo”, in contrapposizione ai singoli  uomini specifici. E, di conseguenza, è naturale che non si definisca “un uomo”  in quanto tale, ma che si definiscano soltanto le proposizioni in cui compare.
  Nel caso di “il  così e così” ciò è ugualmente vero, sebbene a prima vista appaia meno ovvio.  Possiamo dimostrare che così deve essere, considerando la differenza fra un nome e una descrizione definita. Prendiamo la proposizione “Scott è l’autore  di Wverley”. Abbiamo qui un nome, “Scott”, e una descrizione, “l’autore di  Waverley”, di cui si asserisce che si applicano a una stessa persona. La  differenza fra un nome e tutti gli altri simboli può essere spietata nel modo  seguente:
  Un nome è un  simbolo semplice che sta a significare qualcosa che può comparire solo come  soggetto, ciò qualcosa dello stesso tipo di ciò che [ altrove ] abbiamo  definito “individuo” o “particolare”. E un simbolo “semplice” è un simbolo che  non ha parti che siano simboli. Così “Scott” è un simbolo semplice perché,  sebbene abbia delle parti ( cioè le singole lettere ), queste parti non sono  simboli. Al contrario, “l’autore di Waverley” non è un simbolo semplice, perché  le singole parole che compongono l’espressione sono parti che sono simboli. Se,  come può darsi, tutto ciò che sembra un “individuo” è in realtà  suscettibile di una ulteriore analisi, dovremo accontentarci di quelli che si  possono chiamare “individui relativi”; questi saranno i termini che,  nell’intero contesto in esame, non vengono mai analizzati e non compaiono mai  se non come soggetti. E in tale caso dovremo accontentarci parallelamente di  “nomi relativi”. Dal punto di vista del nostro problema attuale, cioè la  definizione delle descrizioni, la questione se si abbia a che fare con nomi  assoluti o solo relativi, può essere ignorata, perché concerne livelli diversi  nella gerarchia dei “tipi”, mentre noi dobbiamo confrontare coppie come “Scott”  e “l’autore di Waverley”, che si applicano entrambi allo stesso oggetto e  quindi il problema dei tipi non lo sollevano. Per il momento possiamo pertanto  trattare i nomi come se potessero essere assoluti; nulla di ciò che diremo  dipenderà da tale assunzione, ma, grazie ad essa, potremo abbreviare un po’ il  discorso.
  Dunque dobbiamo  mettere a confronto due cose. (1) un nome, che è un simbolo semplice che  designa direttamente un individuo che è il suo significato, e che possiede  questo significato in modo autonomo, indipendentemente dal significato, di  tutte le altre parole; (2) una descrizione, formata da diverse parole, i  cui significati sono già fissati, e da cui risulta quello che deve essere  considerato il “significato” della descrizione.
  Una proposizione  che contiene una descirizione non è identica a ciò che ne risulta quando si  sostituisce un nome alla descrzione, anche se il nome denomina lo stesso  oggetto che la descrzione descrive, “Scott è l’autore di Waverley” è,  ovviamente, una proposizione diversa da “Scott è Scott”: il primo è un fatto  della storia della letteratura, il secondo un banale turismo. E se ponessimo  chiunque altro invece di Scott al posto dell’”autore di Waverley”, la nostra  proposizione diventerebbe falsa e quindi, certamente, non sarebbe pià la stessa  proposizione. Ma, si obietterà, la nostra proposizione è essenzialmente della  stessa forma di “Scott è Sir Walter” ( poniamo ) in cui si dice di due nomi che  si applicano alla stessa persona. La risposta è che, se “Scott è Sir Walter” significa  in realtà “La persona denominata –Scott- è la persona denominata –Sir Walter-,  allora i nomi vengono usati come descrizioni: cioè l’individuo, invece di  essere nominato, è descritto come la persona che ha quel nome. Questo è un modo  in cui i nomi sono spesso usati in pratica e di norma non vi è nulla nel modo  di esprimersi che mostri se essi vengono ustai in quel modo o come nomi.  Quando un nome è usato direttamente, semplicemente per indicare ciò di cui  stiamo parlando, esso non fa parte del fatto asserito, o della falsità,  nel caso la nostra asserzione sia falsa: è semplicemente parte del simbolismo  per mezzo del quale esprimiamo il nostro pensiero. Ciò che vogliamo esprimere è  qualcosa che potrebbe ( per esempio ) essere tradotta in una lingua straniera;  è qualcosa di cui le parole usate sono in veicolo, ma di cui non fanno parte.  Invece, quando costruiamo una proposizione riguardante “la persona chiamata  –Scott-“, lo tesso nome “Scott” rientra in ciò che asseriamo e non soltanto nel  linguaggio usato per formulare l’asserzione. La nostra proposizione ora sarà  diversa se vi sostituiamo “la persona chiamata –sir Walter-“. Ma fintanto che  usiamo i nomi come nomi, che diciamo “Scott” o che diciamo “Sir Walter”  non ha importanza per ciò che stiamo asserendo, proprio come non ne ha il fatto  di parlare in inglese piuttosto che in francese. Quindi, fintanto che i nomi  siano usati come nomi, “Scott è Sir Walter” è la stessa proposizione  banale che “Scott è Scott”. Ciò completa la dimostrazione del fatto che “Scott  è l’autore di Waverley” non è la stessa proposizione che si ottiene sostituendo  un nome, non importa quale, a “l’autore di Waverley”.
  Quando usiamo  una variabile, e parliamo di una funzione proposizionale, Φx diciamo, il  processo di applicare asserti generali che riguardano x a casi particolari  consiste nel sostituire un nome alla lettera “x”, assumendo che Φ sia una  funzione con individui come argomenti. Supponiamo, per esempio, che Φx sia  “sempre vera”; sia, diciamo, al “legge di identità”, x = x. Possiamo allora  sostituire a “x” un nome qualsiasi a scelta e otterremo una proposizione vera.  Assumendo per il momento che “Socrate”, “Platone”, e “Aristotele” siano nomi (  un’assunzione assai avventata ), possiamo dedurre dalla legge di identità che  Socrate è Socrate, Platone è Platone, e Aristotele è Aristotele. Ma  commetteremo una fallacia se tenteremo di inferire, senza ulteriori premesse,  che l’autore di Waverley  è l’autore di  Waverley, Questo risulta da ciò che abbiamo appena dimostrato, e cioè che se in  una proposizione sostituiamo  un nome a  “l’autore di Waverley”, la proposizione ottenuta è diversa. E cioè, applicando  il risultato al nostro caso; se “x” è un nome, “x = x” non è la stessa  proposizione che “l’autore di Waverley è l’autore di Waverley”, qualunque nome  sia “x”. Quindi, dal fatto che tutte le proposizioni della forma “x = x” sono  vere, non possiamo dedurre, senz’altro, che l’autore di Waverley è l’autore di  Waverley. Di fatto, le proposizioni della forma “il così e così è il così e  così” non sono sempre vere: è necessario che “il così e così” esista (  termine che sarà spiegato fra breve ). E’ falso che l’attuale re di Francia sia  l’attuale re di Francia, o che il circolo quadrato sia il circolo quadrato.  Quando sostituiamo una descrizione a un nome, le funzioni proposizionali  “sempre vere” possono diventare false, se la descrizione non descrive nulla. In  questo non c’è alcun mistero se ci rendiamo conto che ( come è stato dimostrato  nel capoverso precedente ) quando sostituiamo una descrizione, il risultato non  è un valore della funzione proposizionale in questione.
  Siamo ora in  grado di definire le proposizioni in cui compare una descrizione definita. La  sola cosa che distingua “il così e così” da “un così e così” è l’implicazione  di unicità. Non possiamo parlare de “l’abitante di Londra”, perché abitare a  Londra è un attributo che non è unico. Non possiamo parlare de “l’attuale re di  Francia”, perché non ne esiste alcuno,; ma possiamo parlare de “l’attuale re di  Inghilterra”. Quindi le proposizioni riguardanti “il così e così” implicano  sempre le proposizioni corrispondenti riguardanti “un così e così”, con  l’aggiunta che non esiste più di un così e così. Una proposizione come “Scott è  l’atuore di Waverley” non potrebbe essere vera se Waverley non fosse mai stato  scritto, o se fosse stato scritto da più persone; e, analogamente, non potrebbe  essere vera qualsiasi altra proposizione risultante da una funzione  proposizionale Φx mediante la sostituzione di “l’autore di Waverley” a “x”.  Possiamo dire che “l’autore di Waverley” significa “il valore di x per cui –x  scrisse Waverley- è vero”. Quindi, per esempio, la proposizione “l’autore di  Wavereley era scozzese” comporta che:
- “x scrisse Waverley” non è sempre falso.
 - “Se x e y scrissero Waverley, x e y sono identici” è sempre vero.
 - “Se x scrisse Waverley, x era scozzese” è sempre vero.
 
Queste tre proposizioni, tradotte nel linguaggio comune, asseriscono:
- almeno una persona scrisse Waverely;
 - al massimo una persona scrisse Waverley;
 - chiunque abbia scritto Waverley era scozzese;
 
Tutte e tre  queste proposizioni sono implicate da “l’autore di Waverley era scozzese”.  Inversamente, le tre proposizioni insieme ( ma non due sole di esse ) implicano  che l’autore di Waverley era scozzese. Quindi le si può considerare tutte e tre  insieme come definenti ciò che è significato dalla proposizione “l’autore di  Waverley era scozzese”.
  Possiamo semplificare  un poco queste tre proposizioni. La prima e la seconda insieme sono equivalenti  a “Esiste un termine c tale che –x scrisse Waverley- è vero quando x + c ed è  falso quando x non è c”. In altre parole: “Esiste un termine c tale che –c  scrisse Waverley- è sempre equivalente a –x è c-“. ( Due proposizioni sono  “equivalenti quando sono o ambedue vere o ambedue false ). Abbiamo qui, per  cominciare, due funzioni di x, “x scrisse Waverley” e “x è c”, e formiamo una  funzione di c “talvolta vera” cioè è vera per almeno un valore di c. (  Ovviamente non può essere vera per più di un valore di c ). Definiamo queste  due condizioni insieme come quelle che determinano il significato de “l’autore  di Waverley esiste”.
  Possiamo ora  definire “il termine che soddisfa la funzione Φx esiste”. Questa è la forma  generale di cui l’esempio che precede è un caso particolare. “L’autore di  Waverley” è “il termine che soddisfa la funzione –x scrisse Waverley-“. E “il  così e così” comporterà sempre il riferimento a una qualche funzione  proposizionale, cioè a quella che definisce la proprietà che rende una cosa un  così e così. La nostra definizione è la seguente:
“Il termine che  soddisfa la funzione Φx esiste” significa:
  “Vi è un termine  c tale che Φx è semrpe equivalente a –x è c-“.
Per definire “l’autore di Waverley era scozzese”, dobbiamo tener conto anche della terza delle nostre tre proposizioni, cioè “Chiunque abbia scritto WWaverley era scozzese”. La condisione è soddisfatta con la semplice aggiunta che il c in questione deve essere scozzese. Quindi “l’autore del Waverley era scozzese” è:
“Esiste un  termine c tale che (1) .x scrisse Waverley- è sempre equivalente a –x è c-, (2)  c è scozzese”.
  E in generale il  significato di “il termine che soddisfa Φx soddisfa “ è definito così:
  
  “Esiste un  termine c tale che (1) Φx è sempre equivalente a –x è c-, (2) Ψc è vera”.
Questa è la  definizione delle proposizioni in cui compaiono descrizioni.
  E’ possibile  saperne molto intorno a un termine descritto, conoscere cioè molte proposizioni  riguardanti “il così e così”, senza sapere effettivamente cosa sia “il così e  così”, senza conoscere cioè alcuna proposizione della forma “x è il così e  così” dove “c” è un nome. In un romanzo poliziesco si accumulano proposizioni  intorno a “l’uomo che ha commesso il delitto”, nella speranza che infine esse  saranno sufficienti a dimostrare che è stato A a commettere il delitto.  Possiamo addirittura spingerci a dire che, in ogni conoscenza espressa per  mezzo di parole –con l’eccezione di “questo” e “quello” e poche altre parole il  cui significato varia nelle diverse circostanze – non compare alcun nome in  senso stretto, ma quelli che sembrano nomi sono, in realtà, descrizioni.  Possiamo chiederci sensatamente se Omero sia esistito, il che non sarebbe  possibile se “Omero” fosse un nome. La proposizione “il così e così esiste” è  significante, vera o falsa che sia; ma se a è il così e così” ( dove “a” è un  nome ), le parole “a esiste” sono prive di significato. Solo delle descrizioni  –definite o indefinite- si può asserire l’esistenza sensatamente; infatti, se  “a” è un nome esso deve nominare qualcosa: ciò che non nomina niente non  è un nome, e quindi se lo si usa come un nome, è un simbolo privo di  significato. Invece una descrizione come “l’attuale re di Francia” diventa  incapace di comparire in una proposizione in modo significante per il fatto che  non descrive nulla; e la ragione è che si tratta di un simbolo complesso,  il cui significato deriva da quello dei simboli che lo compongono. Per cui,  quando domandiamo se Omero sia esistito, usiamo la parola “Omero” come una  descrizione abbreviata: potremmo sostituirla ( per esempio ) con “l’autore  dell’Iliade e dell’Odissea”. Le stesse considerazioni valgono in quasi tutti i  casi in cui apparentemente si usano nomi propri.
  Quando nelle  proposizioni compaiono descrizioni, è necessario distinguere quelle che si  possono chiamare occorrenze “primarie” e “secondarie”. La distinzione astratta  è la seguente. Una descrizione ha un’occorrenza “primaria” quando la  proposizione in cui occorre risulta dalla sostituzione della descrizione a “x”  in una certa funzione proposizionale Φx; una descrizione ha un’occorrenza  “secondaria” quando il risultato ottenuto sostituendo la descrizione a x in Φx  dà soltanto parte della proposizione in esame. Spieghiamoci con un  esempio. Consideriamo “l’attuale re di Francia è calvo”. Qui “l’attuale re di  Francia” ha un’occorrenza primaria, e la proposizione è falsa. Tutte le  proposizioni in cui una descrizione che non descrive nulla ha una occorrenza  primaria sono false. Ma consideriamo ora “l’attuale re di Francia non è calvo”.  La proposizione è ambigua. Se prendiamo prima “x è calvo”, sostituiamo poi  “l’attuale re di Francia” a “x” e neghiamo infine il risultato, l’occorrenza de  “l’attuale re di Francia” è secondaria e la nostra proposizione è vera; ma se  consideriamo “x non è calvo” e sostituiamo “l’attuale re di Francia” a “x”,  allora “l’attuale re di Francia” occorre in modo primario e la proposizione è  falsa. La confusione fra occorrenze primarie e secondarie è una fonte immediata  di errori nell’analisi delle descrizioni.
Bibliografia.
Filosofia del  Linguaggio. A cura di Paolo Casalegno. Raffaello Cortina Editore. Milano. 2003.
  B. Russell,  Semantica e filosofia del linguaggio, il saggiatore, Milano 1969, pp. 133-148.  Tratto da: Filosofia del linguaggio, A cura di Casalegno, Raffaello Cortina  Editore, 2003 pp 46-56.
  Russell, La  conoscenza del mondo esterno, Longanesi, Milano, 1975. Da Emanuele Severino,  Antologia filosofica, edizione Mondo Libri, Milano, 1990.
  Russell, B.,  Principia Matematica, Grandi tascabili economici Newton, Roma, 1989.
  Russell B.,  Filosofia dell’atomismo logico, Einaudi, Torino, 2003.
  Wittghenstein,  L., Tractatus Logico-philosophicus, e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino,  1998.
  E  l’insostituibile:
  http://plato.stanford.edu/ Kevin Klement.
Fonte: http://www.scuolafilosofica.com/filosofia/(15)%20Scarica%20i%20nostri%20file/Russell%20PLA.doc
sito web: http://www.scuolafilosofica.com/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Parola chiave google : Russell vita e opere tipo file : doc
Russell vita e opere
Visita la nostra pagina principale
Russell vita e opere
Termini d' uso e privacy