Etica e tecnologia

 

 

 

Etica e tecnologia

 

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Etica e tecnologia

ETICA E TECNOLOGIA

  • L’etica cristiana. È un’etica che si limita a considerare la correttezza della coscienza e la sua buona intenzione, per cui se le mie azioni hanno conseguenze disastrose, se non avevo coscienza o intenzione, non ho fatto nulla che mi sia moralmente imputabile. Esattamente come capitò un giorno a coloro che hanno messo in croce Gesù Cristo e che da Lui sono stati perdonati: «Perché non sanno quello che fanno» (Luca, 23, 24). È evidente che, anche se su questa etica è stato costruito l’ordine giuridico europeo che distingue, per esempio, tra un delitto intenzionale, non intenzionale, preterintenzionale, in un mondo dove agiscono le tecno-scienze, una morale di questo genere, che guarda solo alle intenzioni e non agli effetti delle azioni, è improponibile, perché, nell’età della tecnica, gli effetti potrebbero essere catastrofici e in molti casi addirittura irreversibili.

 

b) L’etica laica. Dopo aver messo sullo sfondo Dio, Kant formulò quel principio secondo cui: «L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo». È questo un principio che ancora attende di essere attuato, se è vero che oggi le merci e i beni hanno una possibilità di circolazione ben superiore a quella degli uomini, e gli uomini sono accolti nei vari paesi solo se produttori di servizi, di beni e di merci. Ma anche se così non fosse e ogni uomo davvero fosse trattato come un fine, nelle società complesse e tecnologicamente avanzate questo principio già rivela tutta la sua insufficienza. Davvero nell’età della tecnica, a eccezione dell’uomo da trattare sempre come un fine, tutti gli enti di natura sono da considerare un semplice mezzo che noi possiamo utilizzare a piacimento? E qui il pensiero va alle piante, agli animali, alle foreste, all’aria, all’acqua, all’atmosfera. Non sono questi, nell’età della tecnica, altrettanti fini da salvaguardare, e non semplici mezzi da usare e da usurare? Sia l’etica cristiana sia l’etica laica sembra che si siano
limitate a regolare i rapporti tra gli uomini, senza mettere a disposizione alcuno strumento, né teorico né pratico, per farci assumere una qualche responsabilità nei confronti degli enti di natura, su cui oggi intervengono, per esempio, la fisica nucleare, la genetica e le biotecnologie.

c) L’etica della responsabilità. È stata formulata all’inizio del nostro secolo da Max Weber e recentemente
riproposta da Hans Jonas. Secondo Weber chi agisce non può ritenersi responsabile solo delle sue intenzioni, ma anche delle conseguenze delle sue azioni. Se non che, subito dopo, Weber aggiunge opportunamente: «Fin dove le conseguenze sono prevedibili». Quest’ultima considerazione, peraltro corretta, relativa alla prevedibilità, ci riporta a capo della questione, perché è proprio della fisica nucleare, della genetica e delle biotecnologie avviare ricerche e promuovere azioni i cui esiti finali non sono prevedibili. E di fronte all’imprevedibilità non c’è responsabilità che tenga.
Lo scenario dell’imprevedibile, dischiuso dalla tecno-scienza, non è infatti imputabile, come nell’antichità, a un difetto di conoscenza dei fenomeni naturali, ma a un eccesso del nostro potere di fare enormemente maggiore al nostro poteredi prevedere e quindi di valutare e giudicare. L’imprevedibilità delle conseguenze che possono scaturire dai processinucleari o biotecnologici rende quindi non solo l’etica dell’intenzione (il cristianesimo e Kant) ma anche l’etica dellaresponsabilità (Weber e Jonas) assolutamente inefficaci, perché la loro capacità di ordinamento è enormemente inferioreall’ordine di grandezza di ciò che si vorrebbe ordinare.

L’etica del viandante
Oggi che la tecnica non ci consente di pensare la storia iscritta in un fine, l’unica etica possibile è quella che si fa carico della pura processualità, che, come il percorso del viandante, non ha in vista una meta. L’imperativo etico non può essere dedotto da una normatività ideale, come è sempre stato dai tempi di Platone alle soglie dell’età della tecnica, ma da quella incessante e sempre rinnovantesi  fattualità che sono gli effetti del fare tecnico.
Non più il «dovere» che prescrive il «fare», ma il «dovere» che deve inseguire e fare i conti con gli effetti già prodotti dal «fare». Ancora una volta è l’etica a dover rincorrere la tecnica, e a doversi confrontare con la propria impotenza prescrittiva. Il fatto che la tecnica non sia ancora totalitaria, il fatto che quattro quinti dell’umanità viva di prodotti tecnici, ma non ancora di mentalità tecnica, non deve confortarci, perché il passo decisivo verso l’«assoluto tecnico», verso la «macchina mondiale» l’abbiamo già fatto, anche se la nostra condizione psicologica non ha ancora interiorizzato questo fatto, quindi non ne è all’altezza.
Quel che è certo è che l’universo tecnico, cancellando ogni meta e quindi ogni visualizzazione del mondo a partire da un senso ultimo, non sta al gioco della stabilità e delle definitività, e perciò libera il mondo come assoluta e continua novità, perché non c’è evento già iscritto in una trama di sensatezza che ne pregiudichi l’immotivato accadere.
Dal disincanto del mondo e dall’instabilità di tutti quanti i princìpi che prima lo definivano, nasce un paesaggio insolito, simile allo spaesamento, in cui si annuncia una libertà diversa, non più quella del sovrano che domina il suo regno, ma quella del viandante che al limite non domina neppure la sua via.
Gli anni che stiamo vivendo hanno visto, infatti, lo sfaldarsi di un dominio, e insieme hanno accennato a quel processo migratorio che confonderà i confini dei territori su cui si orientava la nostra geografia.
Usi e costumi si contaminano e, se «etica» vuol dire «costume», è possibile ipotizzare la fine delle nostre etiche, fondate sulle nozioni di proprietà, territorio e confine, a favore di un’etica che, dissolvendo recinti e certezze, va configurandosi come «etica del viandante» che non si appella al diritto, ma all’esperienza.
Infatti, a differenza dell’uomo del territorio che ha la sua certezza nella proprietà, nel confine e nella legge, il viandante non può vivere senza elaborare la diversità dell’esperienza, cercando il centro non nel reticolato dei confini, ma in quei due poli che Kant indicava nel «cielo stellato» e nella «legge morale», che per ogni viandante hanno sempre costituito gli estremi dell’arco in cui si esprime la sua vita in tensione. Senza meta e senza punti di partenza e di arrivo, che non siano punti occasionali, il viandante, con la sua etica, può essere il punto di riferimento dell’umanità a venire, se appena la storia accelera i processi di recente avviati, che sono nel segno della de-territorializzazione.
Fine dell’uomo giuridico a cui la legge fornisce gli argini della sua intrinseca debolezza, e nascita dell’uomo sempre meno soggetto alle leggi del paese e sempre più costretto a fare appello ai valori che trascendono la garanzia del legalismo. Il prossimo, sempre meno specchio di me e sempre più «altro», obbligherà tutti a fare i conti con la differenza, come un giorno, ormai lontano nel tempo, siamo stati costretti a farli con il territorio e la proprietà.
La diversità sarà il terreno sui cui far crescere le decisioni etiche, mentre le leggi del territorio si attorciglieranno come i rami secchi di un albero inaridito. Fine del legalismo e quindi dell’uomo come l’abbiamo conosciuto sotto il rivestimento della proprietà, del confine e della legge, e nascita dell’uomo più difficile da collocare, perché viandante inarrestabile, in uno spazio che non è garantito neppure dall’aristotelico «cielo delle stelle fisse», perché anche questo cielo è tramontato per noi.
Diventa allora quanto mai indispensabile una ripresa della virtù antica che invitava l’uomo a non oltrepassare il limite.
Certo ai Greci non possiamo tornare, ma l’invito che essi rivolgevano all’uomo di dare una misura a se stesso (katàmétron) oggi diventa non solo attuale, ma addirittura urgente.
Si tratta di una misura che non va cercata nei princìpi formulati quando la natura era immodificabile, ma in
quell’indicazione aristotelica che, in assenza di princìpi generali, consente di prendere decisioni esaminando caso per caso. Aristotele chiama questa capacità phrónesis, che noi siamo soliti tradurre con «saggezza», «prudenza», e la eleva a principio regolativo della prassi dove:
Non si ha a che fare con ciò che accade sempre (aei), come nella matematica o nella geometria, ma con ciò che accade per lo più (hos epí tò polú), con ciò che fa la sua comparsa di volta in volta, in modo imprevisto e in tutti quei casi in cui non è chiaro come andranno a finire le cose, e quelli in cui la conclusione è del tutto indeterminata.
Una sorta di etica del «viandante » che, non disponendo di mappe, affronta le difficoltà del percorso per come di volta in volta esse si presentano e con i mezzi al momento a sua disposizione.
Questo è il nostro limite, e in questo limite dobbiamo decidere. Per quanto drammatica possa sembrare la scelta, non dimentichiamo che la decisione etica è una decisione che fonda, senza possedere altro fondamento al di fuori di sé. In questo senso è evento assoluto e quindi realtà tragica. Non è l’assoluto pacificato dell’idea, ma l’assoluto della scelta in ordine agli eventi che si presentano. In caso diverso
sarebbe inutile la discussione tra gli uomini, sarebbe sufficiente la deduzione dai princìpi.
L’etica del viandante avvia a questi pensieri. Sono pensieri ancora tutti da pensare. Ma il paesaggio da essi
dispiegato è già la nostra instabile, provvisoria e inconsaputa dimora.

MODERNITA’ – POSTMODERNITA’ – MORALE

Max Weber
Weber rifiuta l’assolutismo etico e si muove all’interno di una filosofia
dei valori i cui presupposti sono la distinzione tra essere e dover
essere e il riconoscimento di una pluralità di sfere dei valori.
Il politeismo dei valori si declina nell’etica sotto forma del dualismo
tra l’etica dei principi, anche detta etica delle intenzioni o delle
convinzioni, e l’etica della responsabilità.

«Ogni agire in senso etico può oscillare tra due massime radicalmente
diverse e inconciliabilmente opposte, può essere cioè orientato
secondo l’etica dell’intenzione oppure secondo l’etica della
responsabilità. Non che l’etica dell’intenzione coincida con la mancanza
di responsabilità, e l’etica della responsabilità coincida con la
mancanza di buone intenzioni. Non si vuol certo dire questo. Ma
c’è una differenza incolmabile tra l’agire secondo la massima
dell’etica dell’intenzione, la quale – in termini religiosi – suona: “Il
cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio” e agire
secondo la massima dell'etica della responsabilità, secondo la quale
bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie
azioni».WEBER

 «Lo Stato moderno… si sforzò di conquistare un rigido controllo
di tutti quegli aspetti della vita umana che i poteri del passato avevano
lasciato alla discrezione delle comunità locali. Reclamò il diritto
di interferire – e studiò i mezzi per farlo – in aree dalle quali i poteri passati, per quanto oppressivi e sfruttatori, si tenevano alla larga.
In particolare si adoperò per smantellare les pouvoirs intermédiaires,
vale a dire tutte le forme di autonomia locale, autoaffermazione
comunitaria e autogoverno.»BAUMAN

Nella prospettiva postmoderna, i fondamentali contrassegni della
condizione morale sono:
1. L’affermazione dell’ambivalenza morale degli uomini. Non sono
corrette né l’idea della bontà intrinseca dell’uomo, né quella della
sua insuperabile malvagità. Ne consegue che la condotta morale
non può essere garantita né da una migliore progettazione dei
contesti per l’agire umano, né da una migliore formulazione dei
suoi motivi; occorre imparare a vivere in un quadro di frammentazione,
flessibilità e precarietà.
2. L’idea che i fenomeni morali siano intrinsecamente non razionali.
La postmodernità concepisce i fenomeni morali come non prevedibili
e non esauribili in un codice etico. L’etica moderna aveva
seguito essenzialmente il modello della legge: si prefiggeva di offrire
definizioni esaurienti, senza zone grigie di molteplice interpretazione;
essa agiva in base al presupposto che in ogni situazione
di vita esiste una sola scelta positiva che si separa
nettamente dalle opzioni cattive. Per la postmodernità, invece,
questo quadro ignora ciò che è propriamente morale: sposta i fenomeni
morali dalla sfera dell’autonomia personale
all’eteronomia, sostituisce la conoscenza delle regole all’io morale,
costituito dalla responsabilità. La morale, per la sensibilità postmoderna
è destinata a restare irrazionale. L’autonomia dell’io
morale è vista, dalla tradizione moderna, come un pericolo dal
punto di vita del controllo sociale; gli impulsi morali sono certamente
colti anche nei loro aspetti positivi ma devono essere controllati,
anche se non banditi. La gestione sociale della morale è
un’operazione complessa che produce spesso più ambivalenza
di quanta non riesca ad eliminare. La realtà umana è, dunque,
ambigua e le decisioni morali sarebbero, diversamente dai principi
etici astratti.
3. L’idea che la morale è essenzialmente aporetica. La maggior
parte delle scelte morali è compiuta tra impulsi contraddittori; l’io
morale si muove, sente e agisce nel contesto dell’ambivalenza ed
è lacerato dall’incertezza, una situazione morale priva di ambiguità
esiste unicamente come utopia, come stimolo.
4. L’idea che la morale non è universalizzabile, cioè che l’etica non
possa esprimere principi e norme valide per ogni luogo, o cultura,
o popolo, o situazione.
5. L’idea che i fenomeni morali, nella prospettiva postmoderna, non
comportano necessariamente un relativismo morale a causa della
possibile implicazione piena dell’umanità dell’uomo nel fatto
morale. In altre parole, il serio coinvolgimento del singolo nella situazione
morale costituisce una garanzia, anche se parziale, della serietà della soluzione che non è più assicurata da un codice
eteronomo che la precede.

«...essere morali significa sapere che le cose possono essere buone
o cattive. Ma non significa sapere, né tanto meno sapere per
certo, quali cose siano buone e quali cattive. Essere morali significa
essere destinati a fare delle scelte in condizioni di profonda e
dolorosa incertezza.»BAUMAN

 «... un’azione, per essere detta
“morale”, non deve ridursi a un atto o ad una serie di atti conformi a una regola, a
una legge, o a un valore. Ogni azione morale –è vero– implica un rapporto con la
realtà nella quale si effettua, e un rapporto con il codice cui si riferisce; ma implica
un certo rapporto con se stesso: il che non significa soltanto “coscienza di sé”, ma
costituzione di sé come “soggetto morale”, in cui l’individuo circoscrive la parte di se
stesso che costituisce l’oggetto di quella pratica morale, definisce la sua posizione
in rapporto al precetto che segue, si prefigge un certo modo di essere che gli servirà
come compimento morale di se stesso; e, per far questo, agisce su se stesso,
comincia a conoscersi, si controlla, si mette alla prova, si perfeziona, si trasforma.
Non c’è azione morale specifica che non si riferisca all’unità di una condotta morale;
non c’è condotta morale che non chiami in causa la costituzione di se stesso come
soggetto morale.» FOUCAULT

«Nietzsche, infatti, concepisce l’uomo moderno e il suo tempo
come una fine, la fine del movimento morale e spirituale di più di
duemila anni, la fine della metafisica e del cristianesimo, la fine di
ogni giudizio di valore… Per Nietzsche l’epoca finisce perché non
crede più in ciò che l’aveva promossa e per secoli animata.»GALIMBERTI

«Poiché la nozione di verità non sussiste più, e il fondamento
non funziona più, dato che non è alcun fondamento per credere al
fondamento, e cioè al fatto che il pensiero debba “fondare”, dalla
modernità non si uscirà mediante un superamento critico, che sarebbe
un passo ancora tutto interno alla modernità stessa... E’
questo il momento che si può chiamare la nascita della postmodernità
in filosofia.»VATTIMO

 

Il principio religioso.
Difficilmente il principio religioso può essere
considerato atto a fondare un’etica; questa, infatti, nella sua essenza,
non è religiosa perché si ordina secondo ragione. Il fondamento
dell’etica non dovrebbe dunque essere religioso.
 Il principio della forza affermativa.
Tale principio designa una fonte
di potenza, una facoltà attiva, dinamica, creatrice,
un’affermazione della vita. Abbiamo qui la sensibilità etica di Spinoza.
La forza vitale ed il desiderio producono la gioia, un sentimento
sostanziale e attivo. Nietzsche parla della volontà di potenza
come di una facoltà creatrice capace di riempire l’anima e
di colmarne il vuoto.
 Il principio di realtà.
La coscienza che il desiderio e la gioia sono
sempre in pericolo e contigui al dolore ed alla precarietà tende a
estirpare ogni ingenua credenza nella felicità. Qui interviene quello
che chiameremo il principio di realtà, fondato su ciò che esiste
effettivamente, sulle condizioni stesse della vita e dell’esistenza.
Occorre capire il reale ed accettarlo. Arthur Schopenhauer (1788-
1860) è stato il maestro di questo realismo.
 Il principio di responsabilità.
Sentire responsabilità significa rispondere
dei propri atti. E’ un principio che governa l’etica classica
e che si ritrova oggi trasformato, esso, infatti, non riguarda più
soltanto il presente o il futuro immediato ma, soprattutto con Jonas,
si estende e si radica in un futuro lontano.
 Il principio di libertà.
Nella sensibilità contemporanea non si enfatizza
la libertà metafisica, ma quella del poter agire, di esprimersi
liberamente, di godere dei propri beni sotto la protezione delle
leggi e senza subire costrizioni altrui.
 Il principio di differenza.
Consiste nell’idea secondo cui è necessario
accettare le disuguaglianze sociali ed economiche a condizione
che esse siano regolate a beneficio dei più svantaggiati e
che assicurino a questi una condizione di vita soddisfacente; le
disuguaglianze saranno distribuite nell’interesse di ognuno.
 Il principio della coltivazione estetica del sé.
E’ un’eredità dell'antica
civiltà ellenica che ispirava la morale greca, che faceva coincidere
etica ed estetica. In questo quadro la bella forma è promessa
di moralità, il bello annuncia il buono. L’idea di applicare i
valori estetici alla vita, pressoché assente nel Medio Evo, si ritrova
nel Rinascimento da cui parte una linea che si protrae, espandendosi,
fino a oggi. Foucault  pone il principio della
coltivazione estetica di sé come uno dei fondamenti dell’etica postmoderna.
 I principi dell’autodeterminazione e del rispetto per la vita.
Sono i fondamenti della moderna bioetica che devono forzatamente trovare
nuove formulazioni linguistiche e di merito di fronte alle acquisizioni
della scienza applicata alla vita umana.
 Il principio dell’attività comunicativa.
Grazie soprattutto a Habermas, troviamo un principio, basato sul concetto di comunicazione.
Secondo diversi studiosi,la stessa parabola storica dell’umanità può essere suddivisa in
fasi corrispondenti ai principali mezzi comunicativi.

LEVINAS
«Il povero, lo straniero si presenta come eguale… La sua uguaglianza
in questa povertà essenziale consiste nel riferirsi al terzo.
Così presente all’incontro e che, nella sua miseria, è già servito da
Altri… Egli si unisce a me… Ogni relazione sociale, al pari di una
derivata, risale alla presentazione dell’Altro al Medesimo, senza
nessuna mediazione di immagini o di segni… Il fatto che gli uomini
siano fratelli non è spiegato dalla loro somiglianza, né da una causa
comune di cui sarebbero l’effetto come succede per le medaglie
che rinviano allo stesso conio che le ha battute… La paternità non
si riconduce ad una causalità cui gli individui parteciperebbero misteriosamente
e che determinerebbe, in base ad un effetto non
meno misterioso, un fenomeno di solidarietà… Il fatto originario
della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte ad un
volto che mi guarda come assolutamente estraneo. E l’epifania del
volto coincide con questi due momenti. O l’uguaglianza si produce
laddove l’Altro comanda il Medesimo e gli si rivela nella responsabilità,
o l’uguaglianza non è che un’idea astratta e una parola.»

JONAS
«la comunità umana si trova a dover fronteggiare una situazione in
cui il potenziale distruttivo equivaleva alle possibilità di raggiungere
nuovi livelli di creatività e di dignità umana. La strada da seguire
sarebbe stata decisa dalle generazioni a venire. In ultima analisi, la
scelta non sarebbe stata determinata né dall’intervento divino, né
dalle forze arbitrarie della natura. E quella decisione avrebbe avuto
un effetto duraturo, ben al di là dell’arco di vita di coloro che erano
destinati ad assumerla. In effetti avrebbe determinato quali forme di
vita avrebbero continuato a sopravvivere.»PAWLIKOWSKI

«Prima sia il sapere, sia il potere erano troppo limitati perché si
includesse nelle previsioni anche il futuro più lontano e nella coscienza della propria causalità tutta la terra. Solo la tecnica moderna
con la ricchezza senza confronti delle sue imprese apre questi
orizzonti nello spazio e nel tempo.»JONAS

«Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano
compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra...
Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano
la possibilità futura di tale vita... Non mettere in pericolo
le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra...
Includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come
oggetto della tua volontà.»JONAS

«...Jonas offre tuttavia un’interpretazione troppo cauta del ruolo e
della funzione della responsabilità. Per lui ogni intervento di qualche
magnitudine sulla società e sulla natura è pericoloso e destabilizzante...
Facendo prevalere la paura e minimizzando i rischi, Jonas
invita al contrario a inibire la propensione al possibile, in
quanto fondata, a suo avviso, su pretese esorbitanti e su desideri
immodesti.»BODEI

FOUCAULT
«l’uomo è allora un insieme di strutture, che egli è, certo, in grado
di pensare e di descrivere, ma di cui non è il soggetto sovrano. Di
conseguenza, anche la morale viene svincolata dall’uomo e ridotta
alla politica, che a sua volta riesce a determinare il funzionamento
ottimale della società senza avere bisogno di richiamarsi all’uomo,
essendole sufficiente il riferirsi a determinati rapporti che legano fra
loro l’aumento della popolazione, il consumo, la libertà individuale e
la possibilità della felicità per tutti.»FOUCAULT

RAWLS
Due sono i principi di giustizia cui attenersi:
1. il primo esige una pari attribuzione dei diritti e dei doveri di base;
ogni persona ha lo stesso diritto di godere delle libertà fondamentali;
2. il secondo riconosce che le disuguaglianze socio-economiche
sono giuste se producono dei vantaggi per ciascuno e, in particolare,
se favoriscono gli individui meno fortunati.
Tra tali principi esiste un ordine gerarchico, il primo prevale sul
secondo: non si può barattare la libertà con miglioramenti materiali.

ARENDT
«…la politica, liberata dalla tirannia della filosofia e della teoria, non
sarebbe più una necessità di ordine negativo, ma la risposta umana
più elevata al fatto che “non l’Uomo, ma gli uomini” al plurale
nascono, vivono, abitano il mondo e muoiono. Natalità e mortalità
costituirebbero, allora, la duplice fonte dell’azione politica»,
e ancora:
«Il fatto decisivo che determina l’uomo come essere consapevolmente
rammemorante è la nascita o natalità, il fatto che siamo entrati
nel mondo attraverso la nascita; mentre il fatto decisivo che
determina l’uomo come essere deliberante è la morte o mortalità, il
fatto che abbandoneremo il mondo con la morte…»
Per la Arendt,Il modello per eccellenza è quello della polis greca, in cui lo spazio
pubblico è occupato dalla parola, che rappresenta lo stare insieme;
per i greci, la famiglia costituiva lo spazio privato, dominato dalla
necessità, mentre la polis costituiva quello pubblico, dominio della
libertà.
Nella modernità l’uomo laborans ha soppiantato l’homo faber, facendo
dell’attività lavorativa continua e ripetuta l’espressione massima
del suo essere.

MOLTMANN
«...se Il fine del progresso e della globalizzazione del potere umano
non consiste nel dominare e possedere la terra bensì nell’abitarla,
dovremo abbandonare il “complesso di Dio” tipico dell’uomo moderno,
occidentale, convinto… di essere padrone e possessore
della natura, La terra può vivere senza il genere umano, come del
resto è vissuta per milioni di anni. L’umanità, invece, non può esistere
senza la terra, da cui essa proviene.»
«Soltanto gli stranieri saccheggiano la natura, disboscano le foreste,
svuotano i mari e poi, come nomadi, trasmigrano altrove. Chi
invece abita sul posto, dove intende continuare a starci, è interessato
a conservare le stesse condizioni di vita e a non compromettere
la vitalità della natura che lo circonda. Egli risponderà ad ogni attacco
sferrato contro la natura e farà di tutto per ristabilire gli
equilibri compromessi… Il potenziale scientifico e tecnologico di cui
l’umanità dispone e che attende di essere sviluppato non va impiegato
nella lotta distruttiva per l’acquisizione di potere, ma per rendere
sempre più abitabile questo nostro pianeta.»

RIFLESSIONI ETICHE

«La metafisica non ci lascia completamente orfani: la sua dissoluzione
(se si vuole, la morte di Dio di cui parlava Nietzsche) si mostra
come un processo dotato di una propria logica a cui si possono
attingere anche elementi per una ricostruzione. (Sto parlando di
ciò che Nietzsche chiamava nichilismo: che non è solo il nichilismo
della dissoluzione di tutti i principi e valori, ma è anche, come nichilismo
“attivo”, la chance di iniziare una storia diversa).»VATTIMO

«Il sentimento morale non ha la sua sede nella ragione, non ci
arriva dal cielo inviato da chissà chi, non c’è bisogno di riferirlo ad
un Dio come non è necessario un diavolo per spiegare l’amore di
sé. Si tratta in entrambi i casi di un istinto, istinto potentissimo che
è quello di sopravvivere.»SCALFARI

«Il progresso è concepito come un’immensa marea il cui flusso
ineluttabile lascia indietro vestigia commoventi... Tutto in questa ipotesi
viene a confermare l’ingenua speranza dell’uomo bianco. Il
negro è un “grande bambino”, ricordo dei balbettii dell’umanità; il
rosso è anch’egli un bimbo avido di ‘acqua di fuoco’, di cianfrusaglie
e di lunghe carabine; il giallo è un vecchio addormentato
dall’oppio, perduto nei sogni del passato.»SERVIER

«...lo scopo della globalizzazione, economicamente e culturalmente,
è la replicazione di se stessa… L’antropologia implicita era che
l’essere umano era al servizio della globalizzazione come produttore
e consumatore; gli esseri umani dovevano alimentare il motore
della mostruosa macchina della globalizzazione.»SCHREITER

 

«“Sono pronto a morire per l’Altro” è un’affermazione morale.
“Lui dovrebbe essere pronto a morire per me” palesemente non lo
è... La disponibilità al sacrificio per il bene dell’altro mi investe di
una responsabilità che è morale precisamente perché accetto che
il comando di compiere un sacrificio sia diretto a me e a me soltanto...
Essere una persona morale significa che io sono il custode di
mio fratello… sia che mio fratello abbia o no la consapevolezza dei
suoi doveri fraterni così come l’ho io.»BAUMAN

«Ciò che è accarezzato non è semplicemente toccato. La carezza
non ricerca la vellutatezza o la tiepidezza nel contatto con
una certa mano. E’ questa ricerca della carezza che ne costituisce
l’essenza, per il fatto che la carezza non sa quello che cerca. Questo
non sapere, questo disordine fondamentale ne è l’essenziale…
La carezza è l’attesa di questo avvenire puro senza contenuto.»LEVINAS
«La tenerezza rifiuta sia il narcisismo (che riduce a sé l’alterità)
sia la violenza (che distrugge il sé dell’alterità); essa dà senso umano
al desiderio e orienta all’incontro con l’altro/a, come dono, distanza,
trascendenza… La sessualità appartiene infatti all’essere
relazionale della persona; come tale, essa manifesta un’insopprimibile
richiamo all’altro da sé e, in ultima analisi, all’Infinito».ROCCHETTA

«Noi non possiamo obbligarci ad amare qualcuno... La nostra
ragione, invece, è capace di concepire, come necessario, il dovere.
Se manca la spontaneità dello slancio d’amore, la morale resta ancora possibile, perché c’è il dovere. Il dovere subentra, per così dire,
al vuoto lasciato dall’amore... Poiché non posso contare
sull’amore, che è un sentimento spontaneo, prenderò il suo equivalente
volontario, ciò che ha le stesse conseguenze pratiche. La morale
ci impone di agire come se amassimo. Il dovere è un “come
se” dell’amore.»ALBERONI-VECA

«L’amore punta sempre all’irrevocabilità, ma nel momento del
trionfo subisce la sua sconfitta definitiva. L’amore si sforza costantemente
di eliminare la proprie fonti di precarietà e apprensione,
ma qualora ci riesca inizia rapidamente ad avvizzire, e svanisce…
Fusione o sopraffazione appaiono le uniche cure per il tormento
che ne consegue. E non c’è che un tenue confine, fin troppo facile
da dimenticare, tra una morbida e gentile carezza e una morsa
d’acciaio inesorabile. Eros non può essere fedele a se stesso senza
dispensare l’una, ma non può farlo senza rischiare di infliggere
l’altra. Eros tende una mano verso l’altra, ma la stessa mano che
accarezza può anche stringere e stritolare… Finché dura, l’amore è
in bilico sull’orlo della sconfitta.»BAUMAN

«I suoi intenti sono modesti… Chiedi di meno, ti accontenti di
meno, e quindi l’ipoteca da pagare è minore e anche la sua durata
atterrisce di meno… La convivenza è a causa di, non al fine di…
Convivere può significare condividere la barca, il desco e le cuccette.
Può significare navigare insieme e condividere le gioie e le fatiche
del viaggio. Ma non comporta il passaggio da una sponda
all’altra.»BAUMAN

«L’estraneità degli stranieri significa esattamente la nostra sensazione
di smarrimento, il non sapere che cosa fare e che cosa aspettarci,
e la conseguente non disponibilità ad impegnarci. Evitare
il contatto è la sola salvezza, ma anche evitarlo completamente, se
ciò fosse possibile, non ci salverebbe da un certo grado di ansia e
di disagio provocati da una situazione che presenta sempre il pericolo
di passi falsi ed errori gravidi di conseguenze.»BAUMAN

«La tecnologia non avanza mai in direzione di qualcosa se non
perché viene spinta da dietro. I tecnici non conoscono il motivo per
cui lavorano, e generalmente non se ne preoccupano. Essi lavorano
perché dispongono degli strumenti che consentono loro di eseguire
un certo compito, di condurre a termine con successo una
nuova operazione... Non c’è alcuna aspirazione a uno scopo; c’è la
spinta di un motore collocato alle proprie spalle e che non ammette
alcuna sosta delle macchine... Dato che possiamo sbarcare sulla
luna, che cosa potremo fare lì e a quale scopo?... Quando i tecnici
hanno raggiunto un certo livello di competenza nel settore delle
comunicazioni, dell’energia, dei materiali, dell’elettronica, della cibernetica,
ecc., tutti questi elementi si sono combinati e hanno mostrato
che avremmo potuto esplorare il cosmo ecc. Ciò è stato fatto
perché poteva essere fatto. E questo è tutto.»ELLUL

 

«...la nostra epoca ha visto così l’anima umana rimanere come paralizzata,
e mancarle le forze successivamente in tre campi. Il primo
è stato quello della tecnica. Inventata per servire all’uomo che
lavora, è finita per asservirlo. Le macchine non sono più, come
l’utensile, un prolungamento del braccio umano: l’uomo è diventato
un prolungamento di quelle, un’articolazione meccanica periferica
che apporta e porta via.»BUBER

«… la vera novità è che un numero sempre crescente di persone,
per un motivo o per l’altro, vive una vita nomade. Ci sono, ad esempio,
i nuovi nomadi ricchi… che, per piacere o per lavoro, viaggiano
dappertutto sul pianeta bardati di cellulari, carte di credito e
computer portatili. All’estremo opposto, due o tre miliardi di persone
si muovono di continuo per sopravvivere… Tra questi due estremi,
c’è poi una vasta categoria di persone che, sebbene siano ancora
sedentarie, vivono tutte le forme del nomadismo virtuale attraverso
la televisione, i videogiochi, le nuove tecnologie. Senza dimenticare,
inoltre, che la mondializzazione spinge verso nuove forme di
nomadismo economico: tutto si muove, il lavoro come il capitale »ATTALI

«Dall’affermazione del carattere particolare dei sistemi di valori
alla rinuncia all’idea dell’unità del mondo, dell’umanità e della storia
il passo è breve. Si arriva così a sostenere la tesi secondo cui il
mondo è diviso in culture, l’umanità in popoli e la storia in storie, e
che perciò non esistono norme e valori universali. Basandosi sul
presupposto della pluralità delle norme, ogni tentativo di dichiarare
universali determinate norme o determinati valori è etichettato come
etnocentrico... Tuttavia, dietro il congedo giocoso dai valori universali
si nasconde un valore che a sua volta è presentato come
universale, cioè quello dell’individualità. Gli altri sistemi di valori e le
altre forme sociali devono essere riconosciuti in base al valore superiore
dell’autorealizzazione individuale... Considerando la libertà
dell’individuo il bene supremo e universale, si pone tuttavia un problema:
è pensabile una convivenza fra individui liberi che non degeneri
in concorrenza e in conflitto?»ROHLS

«Per l’ebreo che vede nell’al di qua il luogo della creazione, della
giustizia e della salvezza divina, Dio è in modo eminente il signore
della storia e quindi “Auschwitz”, per il credente, rimette in questione
il concetto stesso di Dio che la tradizione ha tramandato.
Auschwitz rappresenta quindi per l’esperienza ebraica della storia
una realtà assolutamente nuova e inedita, che non può essere
compresa e pensata con le categorie teologiche tradizionali. Quindi
che non intende rinunciare sic et simpliciter al concetto di Dio deve
pensare questo concetto in modo del tutto nuovo e cercare una
nuova risposta all’antico interrogativo di Giobbe. Ove decidesse di
farlo, dovrebbe anche lasciar cadere l’antica concezione di Dio signore
della storia: perciò, quale Dio ha permesso che ciò accadesse?»JONAS

RIFLESSIONI SUL FUTURO

“Sempre più viviamo in ambienti tecnobioculturali strutturati dalle nuove forme di scienza e tecnologia, che sono pertanto diventate aree cruciali per la creazione culturale del mondo attuale.”
Eleonora Fiorani, La nuova condizione di vita, Lupetti, 2003

“… la continua mutevolezza, il cambiamento di forma, la leggerezza e l’assenza di peso, reale o immaginario che esso sia, la relazione con il tempo invece che con lo spazio: ciò che conta è il flusso temporale”
Eleonora Fiorani, La nuova condizione di vita, Lupetti, 2003

“La rivoluzione informatica e della New Economy ha investito anche la Old Economy, l’economia tradizionale, che utilizza le stesse tecniche informatiche ed elettroniche per rinnovare i processi
aziendali: dal codice a barre, che identifica le merci, al computer che guida le attività.”
Eleonora Fiorani, La nuova condizione di vita, Lupetti, 2003

“Noi disponiamo ora di plastici informatici che sono, in realtà, molto più malleabili e manipolativi di quelli del passato in quanto consentono una interazione più ricca e più controllare tra utente e modello.”
Tomàs Maldonado, Reale e Virtuale Feltrinelli, 2007

“Il cyber corpo è un sistema aperto, in transizione, che si pone oltre l’individuo, pronto ad accogliere l’alterità animale o tecnologica, a metamorfosarsi in qualcosa d’altro. Ospitare ed essere ospitato nell’alterità diviene il campo di dialogo tra questo corpo e il mondo esterno. Stelark, a sua volta, evoca la figura del corpo cavo, aperto a ricevere nuovi organi artificiali.”
Eleonora Fiorani, La nuova condizione di vita, Lupetti, 2003

“Con il virtuale il mondo sta sperimentando un atteggiamento diverso rispetto alla materia, al corpo delle cose e dell’uomo. Il virtuale rende il corpo un elemento sempre più esterno alla sua natura di forma fisica. E assume i corpi come oggetto di manipolazioni e progettazioni multiple, a cominciare
dall’ampliamento e dall’artificializzazione delle sensorialità per giungere alla loro riconfigurazione fisica.”
Eleonora Fiorani, La nuova condizione di vita, Lupetti, 2003

“Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo.”
John Maeda, Le leggi della semplicità, Bruno Mondadori, 2006

“Semplicità = serenità
La tecnologia ha reso le nostre vite più piene, ma allo stesso tempo siamo diventati spiacevolmente pieni.”
John Maeda, Le leggi della semplicità, Bruno Mondadori, 2006

ETICA RELIGIOSA E ETICA LAICA

Possiamo definire come morale religiosa quell’insieme di norme di
giudizio e di comportamento che s’ispirano al credo di una tradizione
religiosa; la morale laica tende, al contrario, a fondarsi soltanto sui
dati della ragione.
La storia dell’etica moderna è un tentativo di fondare un’etica oggettiva,
razionale, empirica, cioè laica
1. Il giusnaturalismo moderno fondato da Grozio, secondo cui la natura dell’uomo
è la ragione. Dalla natura deriva ogni legge; un’azione è morale se si accorda
con la natura razionale dell’uomo. Le leggi positive devono regolare i comportamenti.
Il limite più evidente di tale visione sta nel fatto che resta da dimostrare
che tutto ciò che è naturale sia buono. Ci si basa sull’idea che la natura sia
l’emanazione di una volontà buona, ma così si reintroduce un argomento teologico
e fideistico.
2. L’etica induttiva il cui argomento fondamentale per dare oggettività ai giudizi di
valore è il consensus umani generis, cioè la constatazione che una certa regola
di condotta è comune a tutte le genti. Due obiezioni appaiono però significative:
vi sono realmente leggi universali? Inoltre vi sono leggi che sono state in vigore
per secoli senza che per questo possano essere serenamente accettate come
morali.
3. La teoria kantiana
4. L’utilitarismo. Il dato oggettivo su cui si fonda sono le sensazioni di dolore e di
piacere; da cui la tesi per cui il criterio per distinguere il bene dal male è rispettivamente
la quantità di piacere e di dolore che un’azione procura. Le difficoltà
sono diverse e ciò ha spinto verso il cosiddetto utilitarismo della regola secondo
cui il problema non è più quale azione ma quale norma sia più utile.
Nessuna delle più comuni teorie della morale laica, fondata sulla
ragione, è esente da critiche; di fronte a questo, si sono presentate
ultimamente tre possibili soluzioni:
1. L’appello all’evidenza (o intuizionismo etico). Scavalca la ragione
(ultrarazionale).
2. Il relativismo assoluto secondo cui i giudizi di valore sono espressioni
di emozioni, sentimenti, preferenze, opzioni, tra loro equivalenti.
Deprime la ragione (infrarazionale).
3. L’affermazione che la sfera dei giudizi morali sia quella del non
razionale, ma del ragionevole in cui valgono gli argomenti propri
della retorica, o arte del persuadere, distinta dalla logica, o arte
della dimostrazione. Limita la ragione (quasi-razionale).
L’etica religiosa si sviluppa lungo due direzioni opposte:
 Il volontarismo teologico, secondo cui è giusto ciò che è comandato
da Dio ed ingiusto quello che è da Lui proibito.
 La tesi secondo cui Dio comanda ciò che è giusto e quindi il criterio
morale non è la volontà di Dio, ma la sua natura che essendo
buona non può comandare azioni ingiuste
L’etica laica
«nel corso del XX secolo si è andata sviluppando una linea di pensiero
secondo cui non solo non è vero che senza Dio non può darsi
l’etica, ma anzi è solo mettendo da parte Dio che si può realmente
avere una vita morale. Solo colui che è agnostico o ateo può effettivamente
porre al centro della sua esistenza le richieste
dell’etica… l’ateismo è la cornice concettuale più favorevole
all’affermarsi di una moralità.» LECALDANO

«...l’orizzonte per le nostre decisioni etiche dovranno essere i sentimenti,
le reali esigenze degli altri esseri umani… il non credente
non ha bisogno di risalire a Dio, né sperare in un’altra vita in cui la
sua condotta morale trovi il giusto premio. Egli può far ricorso semplicemente
alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, alla ragione e
alle pratiche riflessive che gli sono abituali. Il premio per la sua
condotta morale deriverà principalmente dalla consapevolezza di
avere fatto ciò che è bene, giusto e doveroso.» LECALDANO

L’etica religiosa
«Il mondo ne ha avuto esperienza evidente e recente: gli orrori
del secolo appena terminato sono stati perpetrati da una dittatura
pagana come il nazismo ed atea come il comunismo. Questo non
vuole dire ovviamente che in nome di Dio non siano state commesse
delle mostruosità: è lunga la lista dei credenti che si sono macchiati
di infamie. Tuttavia l’assenza programmatica di un Dio, o
quanto meno l’illusione di combatterne la presenza, porta sistematicamente
all’orrore.» WIESEL

«...solo i credenti sarebbero capaci di “senso della vita". La vita eterna
promessa da Dio ai suoi fedeli dà un significato alla loro vita
mortale. Se tutto si consuma quaggiù, senza premi e punizioni lassù,
allora una cosa vale l’altra… Ecco allora il relativismo,
l’indifferentismo, l’egoismo, il puro calcolo di utilità, la sopraffazione,
la disperazione, il non-senso della vita: in breve, l’impossibilità
di una morale esistenziale e, dunque, di una vita rivolta al bene
piuttosto che al male.» ZEGREBELSKY

«...se la certezza e l’assolutezza di tali valori discendono direttamente
da Dio e dalla natura, allora diventa ovvio per coloro che sostengono
questa idea richiedere con forza e senza tregua che non
solo la vita privata delle persone sia ispirata a tali valori discrezionalmente,
ma che siano le leggi dello Stato a imporli a tutti i cittadini.
» LECALDANO

«...non ha difficoltà a convincersi che tutto ciò che ne fa parte deve
essere imposto a tutti, anche a coloro che non credono nel suo Dio
o in generale in Dio… l’atteggiamento di chi crede che la propria
morale derivi da Dio non può che essere impositivo e intollerante e
numerose sono le situazioni del passato che documentano la ricaduta
pubblica di tale concezione.» LECALDANO

«...per ragioni storiche e di memoria comune, laici e cristiani dovrebbero
invece tentare insieme nuove aperture e insieme inventare
“vie di senso”, dando spazio –per usare un’espressione di Paul
Ricoeur– alla “ospitalità delle convizioni”. Sì, uomini di “buona volontà”
(come si diceva nell’ora del Concilio), “uomini pensosi” (come
si preferisce dire oggi), credenti e laici devono insieme cercare
cosa significa essere responsabili del mondo, della terra, della storia;
devono sapersi interrogare reciprocamente, restando esigenti
gli uni verso gli altri contro l’irrazionalità, la superstizione, la magia
e i sincretismi melliflui; devono insieme smascherare quelle saggezze
esotiche che vorrebbero salvare l’uomo dissolvendolo, e insieme
denunciare ogni voracità religiosa e quel fondamentalismo di
cui a volte è tentata di rivestirsi la “parola forte” che trascende
l’uomo; devono praticare la vita interiore come approfondimento
dell’uomo e come mezzo per leggere la propria e l’altrui esistenza;
devono insieme cercare la giustizia e la pace e “saper ascoltare il
grido di tanti popoli poveri del mondo”…» BIANCHI

«l’etica laica, che è tale proprio perché non si fida molto della provvidenza di Dio, dovrebbe farsi carico anche di quei problemi che l’etica religiosa affida alla provvidenza e non abdicare» GALIMBERTI

IL CONFLITTO FRA STATO E CHIESA
«...siamo di fronte ad un modo di essere della Chiesa che si presenta
e si organizza in forme ritenute necessarie per salvaguardare
valori che lo Stato non sarebbe più in grado di garantire. La contrapposizione è frontale, la strategia è quella propria di un soggetto politico.» RODOTA’
Comunemente si intende come legge di natura quella che viene
scoperta dalla ragione umana; per i credenti, la ragione per giungere
a tale scopo deve essere illuminata da Dio.
«forse la struttura mentale originaria, che
condiziona il rapporto tra noi e il mondo, è la contrapposizione tra
ciò che è naturale e sta fuori di noi, e ciò che è artificiale e procede
da dentro di noi». Zagrebelsky
Per un certo periodo l’idea di legge naturale è caduta in disuso,
oggi la Chiesa cattolica l’ha fortemente recuperata e la propone come
grande rassicuratrice atta a dispensare forti certezze etiche.
«...il diritto naturale è indubbiamente una risorsa che appaga il bisogno
di sicurezza. Di fronte a veri o presunti arbitrii e, perfino, ai
veri e propri delitti compiuti con l’avallo della legge fatta dagli uomini,
che cosa è più rassicurante di una legge obbiettiva, sempre uguale e valida per tutti, la legge della natura appunto, che gli uomini non possono alterare e corrompere a loro piacimento?» ZEGREBELSKY
Il diritto naturale in realtà non appare come un luogo di consenso
universale, al contrario appare un terreno di conflitti, prima di
tutto perché non c’è un accordo su cosa sia la natura
«Ecco come la natura può diventare una maschera della sopraffazione:
che è privo di fede e grazia sarà considerato un errante,
un reprobo, un contro-natura o, nella migliore delle ipotesi, uno da
convertire con l’aiuto di Dio misericordioso; in ogni caso, non uno al
quale si possa riconoscere un valore da prendere in considerazione.
» ZEGREBELSKY

ETICA E GENERE testo di Francesca De Propris

Gli studi di genere (Gender Studies)
Gli studi di genere nascono in Nord America a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80
nell’ambito degli studi culturali. Si sviluppano a partire dalla riflessione
femminista, gay e lesbica, e si nutrono di alcune fondamentali posizioni del
poststrutturalismo di Derrida e Foucault.
I Gender Studies non focalizzano la loro attenzione esclusivamente sulla
storia delle donne bensì sulla costruzione sociale e culturale di entrambi i
generi, femminile e maschile, e sulle relazioni che intercorrono tra loro.
La ricerca di genere è interdisciplinare, abbraccia vari campi del sapere
e, trasversalmente, ha contaminato ed arricchito la riflessione
contemporanea dall’etica alla politica, dalla scienza alla filosofia, dalla
psicologia alla sociologia agli studi sul linguaggio.
Il contributo più importante è quello di aver posto l’attenzione sulla
corporeità, non solo come dato biologico, ma come differenza di genere,
carica, in modo cosciente e consapevole, di tutte le sue implicazioni dal punto
di vista sociale, storico, scientifico, culturale ecc.

Il pensiero della differenza
Movimento di pensiero affermatosi a partire dalla fine dalla fine
degli anni ’60 del ‘900, caratterizzato da una specifica riflessione
sulle tematiche della donna ad opera delle donne stesse.
▶ Il pensiero della differenza non considera la differenza
sessuale in negativo o in termini puramente emancipazionisti (per
rivendicare un’uguaglianza tra uomo e donna), ma positivamente,
come una differenza da valorizzare, da cui ripartire per affermare la
specificita’ e l’autonomia della donna.
Le prime autrici a cui si fa riferimento sono Luce Irigaray
(Speculum, l’altra donna, 1974), Helene Cixous e Julia Kristeva che
partirono dalla riflessione sul linguaggio per smascherare il
predominio della cultura maschilista al di sotto di una presunta
neutralità ed universalità linguistica.

Sesso e genere
Gli studi di genere propongono un’importante puntualizzazione su
quelli che, secondo la loro ottica, sono due diversi e separati aspetti
dell’identità:
Sex: il sesso riguardo tutto ciò che di un individuo è connesso alla
biologia, al corredo genetico che manifesta le differenze anatomiche
e fisiologiche tra uomo e donna.
Gender: rappresenta una costruzione culturale, cioè il sesso
calato nella società con tutto quello che ne consegue in termini di
sovrastrutture e divisioni di ruolo.
Sesso e genere non costituiscono due posizioni contrapposte, ma
interdipendenti: sul sesso si innesta il genere, il genere è un
carattere appreso, il sesso è innato.
Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa.

Sfondo teorico del pensiero della
differenza:
M. Heidegger: il filosofo tedesco lega l’essere (che da sempre la tradizone
filosofica occidentale aveva reso atemporale, immobile, eterno, incorrutibile) al
tempo.
L’essere è l’orizzonte nel quale l’uomo ritaglia porzioni per dare definizioni.
L’esistenza è un progetto, un essere lanciato verso l’avvenire, l’uomo stesso non
è tutto in sé, ma si trascende continuamente (identità e differenza).
E. Levinas: per il filosofo lituano il riconoscimento della frattura tra sé e l’altro
porta alla separazione che è il primo principio dell’etica della differenza.
L’esistente acquista significato solo nel riconoscimento dell’altro che non è
riconducibile a sé, ma rimane un mistero.
Il femminile rappresenta l’origine del concetto di alterità che non si lascia
neutralizzare nella relazione, la differenza di sesso non è dualità di due
termini complementari.

Il post strutturalismo
Il post strutturalismo, nella seconda metà del ‘900, mette in discussione il potere e
l'unitarietà del soggetto.
▶ Per Foucault la critica al potere si esplica nella critica al linguaggio e al discorso
di cui il potere si serve. Soggetto, follia, sessualità, si rivelano tra le costruzioni
discorsive più potenti, messe a punto dal potere (dalla sua microfisica), in un preciso
momento della nostra storia, per disciplinare e controllare in senso economico e
produttivo il corpo sociale. Egli afferma che ӏ possibile pensare soltanto entro il
vuoto dell'uomo scomparso".
Deleuze affermava che ӏ necessario dire qualcosa di nuovo per creare qualcosa di
nuovo", la ricerca filosofica si presenta come liberazione del pensiero dalle strettoie
logico-linguistiche che impediscono il movimento dei concetti e dei corpi, diviene
individuazione di modi di vivere e di pensare un essere che dà spazio ad un'infinità
pluralità di differenze.
Derrida interroga la tradizione filosofica attraverso il metodo della decostruzione
che permette di evidenziare il carattere dinamico della differenza: l’identità non è
qualcosa di dato, si determina in relazione ad altro, nel differire da sé, non esiste
identità (quindi presenza) se non nella differenza.

L’etica femminista
▶ L’etica femminsta si propone di decostruire i valori di fatto
esistenti e costruire criticamente nuovi valori condivisi in cui la
differenza di genere sia il punto di partenza.
▶ Vi è una costante critica nei confronti dell’etica di stampo
kantiano o utilitaristico perché entrambe propongono un soggetto
astratto (né uomo, né donna), come pure nei confronti delle etiche
individualistiche (si rivolgono ai singoli e non considerano
l’interpersonalità dell’agire etico).
Un soggetto etico femminile non è né neutro, né universale, è
differente dal soggetto maschile.

L’etica della cura (1)
▶ Gli studi di Carol Gilligan, esposti nel suo libro In a different voice (1982),
si incentrano sulla nascita del pensiero morale nei soggetti maschili e
femminili. La psicologa femminista americana arriva ad affermare che essi
propongono due diversi approcci all’agire morale: i primi parlano di equità,
diritti, libertà (l’etica della giustizia); le donne invece parlano di
responsabilità, relazione, affetti, risposte ai bisogni (l’etica della cura).
▶ Interessante è la posizione di Catharine MacKinnon per la quale il diritto
è strumento di oppressione maschile sulle donne. Il femminismo deve
spostare l’attenzione dalla differenza all’oppressione. La sessualità
induce relazioni di potere e di subordinazione del femminile.
▶ In deontologia professionale, soprattuto quella medica, per quanto
riguarda l’etica della cura si profilano due posizioni: la prima richiede un
distacco tra chi cura e chi è curato per garantire il primo da implicazioni
emotive; la seconda sviluppa invece empatia e parte dal presupposto che
entrambi siano implicati nella relazione di cura.

L’etica della cura (2)
Joan Tronto: si propone di liberare l'etica della cura dal suo tradizionale nesso
con la moralità femminile, doppiamente controproducente sia perché induce a
trattare natalità, mortalità e cura come questioni “da donne” (quindi secondarie),
sia perché incatena le donne alla funzione materna. Nel suo libro, Confini morali,
critica la posizione della Gilligan, colpevole di adottare la strategia della different voice
tipica delle donne. Tale posizione è conservatrice, in quanto mantiene i ruoli di genere
e le frontiere morali fra giustizia e cura, senza rendersi conto che la differenza fra
giustizia e cura non descrive solo il divario fra uomini e donne, ma in generale quello
fra privilegiati e marginali. Mettere in discussione i confini fra giustizia e cura
significa riconoscere che, se la filosofia morale riguarda il bene della vita umana,
allora la cura deve avere un ruolo importante. Per questo, essa deve essere liberata
dall'associazione con la femminilità e la naturalità (materna) e valorizzata nel
giusto contesto politico, come motore di cambiamento strutturale.
Susan Moller Okin: fa un’analisi della giustizia a partire dal contributo del
femminismo di avere reso “politico il privato”. La sua critica parte dalla considerazione
che la famiglia non deve essere considerata come “privato”; fino a che la famiglia
sarà esclusa dalle trattazioni sulla giustizia permarrà una dicotomia tra pubblico e
privato responsabile di una distribuzione dei ruoli non equa tra uomo e donna.

Dall’etica alla politica
Il problema della giustizia
▶ posizione di J. Rawls: la società si fonda, non sul bene, ma sulla giustizia
che deve garantire un’equa distribuzione dei beni, ma spartizioni diseguali ed
ineguaglianze economiche sono ammissibili per il beneficio dei meno
avvantaggiati (principio di riparazione e principio della differenza).
▶ posizione di R. Nozick: in polemica con Rawls, Nozick parte dalla difesa dei
diritti individuali anche contro lo Stato, anzi lui ipotizza una minimizzazione
della Stato (lo Stato minimo, una sorta di “guardiano notturno”). La centralità è
del mercato capitalistico (liberismo libertario), ma questo deve sempre
difendere i diritti individuali, anche quelli degli omosessuali e delle minoranze.
▶ posizione di A. Sen: il filosofo bengalese si interroga su liberalismo e
giustizia sociale. La libertà deve essere messa in relazione con l’uguaglianza.
Parte dalla constatazione che gli individui sono diseguali. L’uguaglianza in
una società dipende dal suo grado di idoneità a garantire la capacità (capability)
di star bene (functioning).

Corpi che contano.
I contributi degli studi di genere
nell’etica e nella politica
▶ Gli studi di genere hanno messo in rilievo che il soggetto dell’etica
e della politica non è universale e astratto, ma è posizionato e situato,
è capace di sentire dolore ed è il risultato di una determinata società.
Tali studi propongono una dimensione etica e politica che fa perno su
una concezione di giustizia capace di farsi carico delle differenze e di
accettare anche “spartizioni diseguali”.
▶ Il femminismo pone l’accento sulla ricerca creativa di valori
condivisi non su un astratto universalismo.
La riflessione normativa nasce quando si ode un grido di dolore o
disagio, o quando si prova uno stato di dolore o disagio. (Marion Young)

Prospettive multiple. I contributi degli studi di
genere nell’epistemologia
La differenza porta ai saperi situati e locali. La scienza, per i tanti e forti interessi
che coinvolge in molti campi, è sempre stata la roccaforte dell’universalismo,
dell’obiettività, dell’astrazione e del pensiero maschilista. Il contributo
dell’epistemologia femminista alla teoria della conoscenza è stato quello di aver
sottolineato che “la neutralità non accresce l’obiettività” (Harding) e che l’obiettività non
sempre è un valore sopra ogni cosa.
▶ Con la teoria del posizionamento l’epistemologia femminista rivaluta la positiva
parzialità del punto di vista ed introduce nella scienza il bisogno di “una rete di
rapporti che copra il mondo, ed includa l’abilità di tradurre parzialmente conoscenze tra
comunità molto differenti e differenziate in termini di poteri. Abbiamo bisogno del potere
delle moderne teorie critiche su come i significati ed i corpi vengono costruiti, non a
scopo di negare significati e corpi, ma per costruire significati e corpi che abbiano un
futuro.” (Haraway). Essere coscienti della propria parzialità conduce al soggetto
nomade (Braidotti), un soggetto che occupa uno spazio fluttuante e marginale che per
questa sua natura apre nuove possibilità e nuove forme di resistenza.

Ultime riflessioni sulla corporeità
Oltre il corpo
Cloni, cyborg, “mostri”, queer sono figure contestate di cui una parte del più
recente (ma anche più criticato) filone di voce anglofona dei Gender Studies si serve
per reinterpretare la realtà attraverso un superamento dialettico del genere, ma
sempre a partire dalla sua consapevolezza e coscienza.
▶ La sfida utopica di un mondo “mostruoso” senza genere è rilanciata da autrici
importanti tra cui Donna Haraway che afferma:
Un mondo senza genere è un mondo senza genesi, ma può anche essere un mondo
senza fine. (Haraway)
Judith Buttler, una tra le voci statunitensi più autorevoli del pensiero lesbico,
afferma che l’elemento centrale contro cui combattere è il paradigma eterosessuale.
In un contesto postmoderno le identità si contaminano e divengono multiple. La
stessa critica che il pensiero femminista ha applicato al genere deve essere applicata
anche al sesso.
▶ Nel pensiero postmoderno si tenta di superare una visione dicotomica (tra i due
sessi) per una differenza multipla (tra molti).

La filosofia del tao.
Oltre la separazione
“Un essere umano è parte di un tutto che chiamano “universo” [...] L’illusione (della
separazione) è una sorta di prigione per noi [...] Il nostro compito deve essere quello di
liberarci da questa prigione, ampliando il nostro cerchio di compassione per abbracciare
le creature viventi e la natura tutta nella sua bellezza.” (A. Einstein)
▶ La filosofia occidentale ha elaborato molte delle sue teorie sulla divisione tra
mente e corpo.
▶ La filosofia orientale invece considera il fisico e lo spirituale come parti
inscindibili di un’unica unità. Ogni elemento dell’universo è costituito dal continuo
alternarsi di due polarità: la positiva e la negativa, lo yin e lo yang, il maschile e
femminile, il progetto e la realizzazione. L’equilibrio dinamico che si instaura tra
queste due qualità energetiche presiede alla vita, la separazione ha senso solo come
momento dialettico, ma la ricerca autentica deve portare allo svelamento dell’unità
empatica ed olistica del tutto.

LA FANTASCIENZA COME RIFLESSIONE SULL’ETICA FUTURA

DEFINIRE LA FANTASCIENZA

  • Science + fiction, ma:
    • Il rapporto tra scienza e narrativa è ambiguo, non scontato come potrebbe sembrare.
  • Fantascienza:
    • Fantasia + scienza; può essere scientifica una fantasia?

OCCORRE COMPRENDERE A FONDO IL RUOLO DELLA FANTASIA, DELL’IMMAGINAZIONE
“Ogni storia di science fiction parte da un novum, un’invenzione postulata sulla base del metodo scientifico. La presenza di questa ipotesi genera conseguenze sviluppate coerentemente sulla base delle nostre conoscenze “

D. Suvin, Le metamorfosi della fantascienza
tutti i progressi della conoscenza scientifica, ad ogni livello, cominciano con un’avventura speculativa, una preconcezione immaginativa di ciò che potrebbe essere vero, una preconcezione che sempre va un po’ oltre (e talvolta molto oltre) tutto quanto di cui abbiamo un’evidenza logica e fattuale. È l’invenzione di un mondo possibile, o di una minuscola frazione di tale mondo”

Peter Brian Medawar, premio Nobel per la medicina, L’immaginazione dello scienziato

“la science fiction non è, come molti credono, scienza vestita di fantasia ma esattamente il contrario, cioè fantasia pura ricoperta dei veli di una elaborazione razionale, non importa se dispiegata paradossalmente”

L. Aldani, La fantascienza

Concezione di H. Bruce Franklin

  • Ogni narrazione, di qualunque genere, intende descrivere la realtà: le narrazioni di tipo differente si distinguono quindi per i punti di vista adottati:
    • Narrazioni realistiche (realistic fiction): descrizioni della realtà presente attraverso la produzione di una sua simulazione (counterfeit)
    • Narrazioni storiche (historical fiction): descrizioni della realtà presente attraverso la produzione di una simulazione della sua storia
    • Fantascienza (science fiction): descrizione della realtà presente attraverso l’estrapolazione di un suo ipotetico futuro costruito a partire da un’ipotesi immaginativa
    • Narrazione fantastica (fantasy): descrizione della realtà presente tramite un’alternativa impossibile

Future perfect
Concezine di Asimov

  • Distingue tre tipi di fantascienza:
    • Avventurosa: vicina al Fantasy (Flash Gordon, Star Wars)
    • Tecnologica: la tecnologia emerge come valore primario non come mezzo per ottenere uno scopo (La macchina del tempo)
    • Sociale: è qui che emerge la valenza culturale e filosofica della fantascienza che, in questa accezione, si occupa di evidenziare le conseguenze del progresso tecnologico per la società (Asimov, Dick, Ballard, Vonnegut

La fantascienza filosofica

  • In questa quarta accezione l’esposizione di temi, problemi e concezioni filosofiche, nonché la loro investigazione, diviene lo scopo principale della narrazione (Dick, Stapledon, Lem, Matrix)

“tutti gli uomini per natura tendono al sapere”

Aristotele, Metafisica I, 1, 980 a

“gli uomini, sia ora sia in principio, cominciarono a cercare il sapere a causa della meraviglia”

Ivi, 2, 982 b

È proprio del filosofo quello che tu provi, di essere pieno di meraviglia, né altro cominciamento ha il filosofare che questo, e chi disse che Iride fu generata da Taumante non sbagliò, mi sembra, nella genealogia”

Platone, Teeteto, 155 d

 

le due questioni che più mi affascinano sono: che cosa è la realtà? - e - Che cosa caratterizza l’autentico essere umano? Sono ormai più di ventisette anni che pubblico romanzi e racconti, e non ho smesso mai di indagare su tali questioni, profondamente legate tra loro. Le considero estremamente importanti”

Philip K. Dick, Mutazioni

FILOSOFIA E FANTASCIENZA:
UNA MEDESIMA RADICE

  • Tanto la filosofia quanto la fantascienza nascono dalla capacità umana di provare meraviglia.
  • Il bisogno di colmare l’ignoranza umana può sfociare sia nell’indagine razionale che nella narrazione mitica.
  • La fantascienza è una delle forme in cui si sostanzia la narrazione mitica nell’età contemporanea.

 

LA FILOSOFIA NEL CINEMA DI FANTASCIENZA
PROBLEMI E TEMI

  • Il problema dell’identità personale (Blade Runner, Dark City, Atto di forza, Frankenstein)
  • Il problema mente-corpo (Matrix)
  • Tecnologia ed etica (Io Robot)
    • Paradossi del viaggio nel tempo (L’esercito delle dodici scimmie)
    • L’intelligenza artificiale (2001 Odissea nello spazio, A. I.)
    • La realtà virtuale (Matrix)
    • Il non-umano, il postumano e l’altro (Ultimatum alla terra, L’uomo bicentenario, Bad Taste)
    • Utopia e distopia (1984, Farenheit 451)
    • Il mito e il viaggio escatologico dell’eroe (Mad Max)
    •  

MATRIX
Trama
In un indeterminato e lontano futuro la razza umana è controllata e sfruttata dalle macchine.  Queste sopravvivono sfruttando l’energia tratta dai corpi degli uomini che vengono tenuti in vita, in una sorta di sogno virtuale, collegati a dei supercomputer.
Poche migliaia di umani sono liberi dal controllo delle macchine. "Matrix" è il nome del sistema di controllo cerebrale che imprigiona i loro simili: un sistema di impulsi elettrici inviati al cervello umano che lo convincono di vivere in un mondo che, ormai, non esiste più da centinaia di anni.
All'interno di Matrix la gente vive senza accorgersi minimamente della sua vera condizione; soltanto pochissime persone si rendono conto che "qualcosa non va”. Una di queste persone è Thomas Anderson, conosciuto nell'ambiente degli Hacker come "Neo". Convinti che Neo sia "l'eletto" (in grado di restituire la libertà alla razza umana), un gruppo di umani della Resistenza, fra cui spicca la figura di Morpheus, il capitano della nave Nabucodonosor, lo contatta, convincendolo ad uscire dalla matrice per guidare la lotta degli uomini contro il dominio delle macchine.

Principali temi filosofici del film
1) Il tema dell’autonomia e dell’autosufficienza dell’artificiale e quindi del confine tra artificiale e naturale

2) Il tema del rapporto tra mente e corpo

3) Il tema della distinzione tra realtà e sogno

4) Strettamente connesso al precedente, il tema della realtà virtuale

Matrix immagina che le macchine, superintelligenti e autonome, si siano rese anche autosufficienti, sfruttando l’energia che ricavano allevando bambini umani. L’angoscia per la ribellione dell’artificiale si raddoppia grazie all’inversione della relazione strumentale; non solo l’artefatto ribelle è diventato autosufficiente, ma lo è diventato trasformando gli uomini in suoi strumenti. Sono gli uomini, ora, ad essere artefatti delle macchine.
“Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, allora il reale si riduce semplicemente a segnali elettrici interpretati dal cervello”

Morpheus

Materialismo riduzionista: gli stati mentali possono essere ridotti a stati fisici, cerebrali

Materialismo eliminativista: la mente è totalmente ricondotta al corpo, o meglio, non esiste se non come un prodotto del linguaggio della psicologia popolare. I coniugi Churchland negano ad esempio che esista la coscienza come fenomeno generale che accomuna la veglia, la consapevolezza di trovarsi in una certa situazioni e il coordinamento senso-motorio, e sostengono invece che questi ultimi sono fenomeni distinti, ciascuno dei quali è riducibile a un proprio processo cerebrale.
  “Immaginate che un essere umano (potete immaginare di essere voi) sia stato sottoposto ad un’operazione da parte di uno scienziato malvagio. Il cervello di quella persona (il vostro cervello) è stato rimosso dal corpo e messo in un’ampolla piena di sostanze chimiche che lo tengono in vita. Le terminazioni nervose sono state connesse ad un computer superscientifico che fa sì che la persona a cui appartiene il cervello abbia l’illusione che tutto sia perfettamente normale. Sembra che ci siano persone, oggetti, il cielo ecc., ma in realtà l’esperienza della persona (la vostra esperienza) è in tutto e per tutto il risultato degli impulsi elettronici che viaggiano dal computer alle terminazioni nervose. Il computer è così abile che se la persona cerca di alzare il braccio la risposta del computer farà sì che "veda" e "senta" il braccio che si alza. Inoltre, variando il programma lo scienziato malvagio può far sì che la vittima "esperisca" (ovvero allucini) qualsiasi situazione o ambiente lo scienziato voglia. Può anche offuscare il ricordo dell’operazione al cervello, in modo che la vittima abbia l’impressione di essere sempre stata in quell’ambiente.[...]
Potremmo anche immaginare che tutti gli esseri umani ... siano cervelli in un’ampolla. Naturalmente lo scienziato malvagio dovrebbe trovarsi al di fuori. Dovrebbe? Magari non esiste nessuno scienziato malvagio; magari l’universo ... consiste solo di macchinari automatici che badano a un’ampolla piena di cervelli. Supponiamo che il macchinario automatico sia programmato per dare a tutti noi un’allucinazione collettiva ... Quando sembra a me di star parlando a voi, sembra a voi di star ascoltando le mie parole. Naturalmente le mie parole non giungono per davvero alle vostre orecchie, dato che non avete (vere) orecchie, né io ho una vera bocca e una vera lingua. Invece, quando produco le mie parole quel che succede è che gli impulsi efferenti viaggiano dal mio cervello al computer, che fa sì che io ‘senta’ la mia stessa voce che dice quelle parole e ‘senta’ la lingua muoversi, ecc., e anche che voi ‘udiate’ le mie parole, mi ‘vediate’ parlare, ecc. In questo caso, in un certo senso io e voi siamo davvero in comunicazione. Io non mi inganno sulla vostra esistenza reale, ma solo sull’esistenza del vostro corpo e del mondo esterno, cervelli esclusi”.

H. Putnam, Cervelli in una vasca

Due obiezioni alla possibilità che tutto sia un sogno

  1. L’idea di un sogno da cui non ci si può svegliare è contraddittoria perché lo stesso concetto di sogno presuppone la veglia
  2. L’idea di una realtà “apparente” si può fondare solo sulla possibilità di accedere a una realtà da contrapporre all’illusione stessa

Rapporto con il mondo
Virtuale perfetto - Matrix

  • Immersione
  • Integrazione
  • Condivisione
  • Coerenza (rispetto delle leggi di natura) Perfezione (uniformità con i ricordi)

REALTA’ . MEMORIA
2001 ODISSEA NELLO SPAZIO
Trama
Il film comincia nell'Africa di tre milioni di anni fa. Un giorno, improvvisamente, davanti alla grotta di un gruppo di ominidi compare un misterioso monolito nero; la sua influenza sembra spingere gli ominidi a evolversi attraverso l’uso delle ossa come strumenti per uccidere i propri rivali.
La seconda parte del film si svolge nel 2001: il dott. Heywood Floyd è chiamato in missione su una base lunare dove è stato scoperto un grande monolito nero sotterrato ad arte in tempi remoti. Proprio mentre Floyd sta visionando il monolito, il primo raggio di sole del giorno lunare illumina il grande blocco di pietra il quale, immediatamente, emette un forte segnale in direzione di Giove.
Nella terza parte del film un gruppo di cinque astronauti, di cui tre in stato di ibernazione, sono in volo verso Giove a bordo dell'astronave Discovery , governata da un supercomputer HAL 9000, dotato di una sofisticata intelligenza artificiale. Ad HAL è stato chiesto di tenere nascosti i veri obiettivi della missione ai compagni di viaggio, i due astronauti di turno, David Bowman e Frank Poole. Ma quest'ordine genera un conflitto interiore nel calcolatore il quale è stato anche "programmato" per collaborare con gli esseri umani nel modo più efficace.
Le conseguenze del conflitto si manifestano tragicamente in prossimità dell'arrivo su Giove. Inizialmente HAL interrompe il collegamento radio con la terra simulando un guasto inesistente poi, quando questo tentativo fallisce ed anzi insospettisce gli umani, non trova altra soluzione che cercare di ucciderli tutti per evitare, semplicemente, il momento della verità. Risolto il conflitto, in un modo o nell'altro, avrebbe poi proseguito da solo la missione.
Il piano di HAL tuttavia fallisce: David Bowman riesce a sopravvivere ed a riprendere il controllo disabilitando le funzioni superiori del calcolatore. Al termine di questa sorta di "lobotomia", inaspettatamente HAL avvia la riproduzione di un filmato pre-registrato, nel quale il dr. Floyd rivela i veri scopi della missione all'equipaggio: esplorare la zona dove si è indirizzato il segnale radio che il monolito lunare aveva emesso.
Nell'ultima parte Bowman arriva in orbita intorno a Giove e vi trova un terzo monolito nero, vi si avvicina con la sua capsula e ne viene profondamente condizionato. Il monolito spedisce Bowman in un viaggio al di là dei confini  dello spazio e del tempo. Bowman si ritrova in un appartamento dal decoro settecentesco dove vede se stesso invecchiare rapidamente. Ormai decrepito muore davanti a una nuova apparizione del monolito nero e

Principali temi filosofici del film

  • •Frammentarietà narrativa, relativismo, lo shock come stimolo alla coscienza per individuare un orizzonte di senso (Benjamin) Lo stato di natura, la prima arma, la lotta per l’esistenza come radice dell’evoluzionismo
  • Il viaggio
  • I limiti dell’intelligenza e della tecnica
  • Dispersione esistenziale e superuomo

“ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico di 2001 odissea nello spazio. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio.”

Stanley Kubrick
L’apparizione del monolito ha segnato un passaggio fondamentale: l’uomo si è evoluto. Il primo segno di questa trasformazione è un’intuizione, una nuova associazione mentale che gli ha fatto scoprire l’uso dello strumenti. Grazie a questi può uccidere più facilmente, essere cioè vincente nella lotta per la sopravvivenza.
l’immagine della conquista della sorgente d’acqua si conclude in un gesto di trionfo, il capo clan lancia in aria l’osso. L’immagine viene però sostituita improvvisamente; al suo posto vediamo un veicolo spaziale di forma allungata fluttuare nello spazio. L’evoluzione, sembra dirci Kubrick, non si è mai arrestata: l’intelligenza ha permesso all’uomo di affermare il suo predominio tecnico sulle altre specie dell’universo.
L’imperialismo dell’intelligenza si è però tradotto nella rimozione totale delle emozioni, degli istinti, delle passioni. L’intelligenza è asetticamente autonoma, slegata dall’uomo, dalla sua stessa corporeità. L’intelligenza, il trionfo della razionalità è, paradossalmente, il compimento di una profonda deumanizzazione.
Il mondo di 2001 è pronto a morire, come sottolinea la musica intensamente malinconica di Kachaturian che accompagna l’esistenza monotona e vuota dei cosmonauti all’interno del Discovery.
Con il viaggio dell’astronauta verso Giove il cinema compie la sua opera di salvezza, l’arte dona all’uomo la coscienza della propria situazione di completa alienazione. La fantascienza sorge paradossalmente dalle ceneri della pretesa onnicomprensiva della scienza stessa. Il monolito è il continuo invito a considerare il dionisiaco.
BLADE RUNNER
Trama
Terra, anno 2019.
Fiamme, fumo, ombre. Un conflitto mondiale ha provocato immani disastri, intere specie animali sono andate perdute, l'uomo è fuggito nelle colonie extramondo. Una coltre di polvere oscura il cielo. Nebbia, pioggia e ancora buio.
Los Angeles, anno 2019.
L'ingegneria genetica, meraviglia della Tyrell Corporation, è progredita al punto da creare i replicanti, simulacri perfetti dell'uomo, più intelligenti e più abili, ma meno longevi. Sono poco più che schiavi, impiegati in lavori di colonizzazione che l'uomo non potrebbe mai sopportare. Non hanno passato né futuro. I loro ricordi sono un mero innesto, memoria di persone che non conoscono. Per motivi biologici hanno solo pochi anni di vita. Sono artificiali, e alcuni non sanno nemmeno di esserlo.
Un gruppo di replicanti si impossessa di uno shuttle, fugge da una colonia e torna sulla Terra. Vogliono solo capire, vogliono più vita. L'ex-poliziotto Rick Deckard si mette sulle loro tracce: una pista difficile da seguire, quasi priva di indizi, pericolosa anche per un veterano come lui: deve eliminare quattro replicanti capitanati con astuzia e determinazione dal leader Roy Batty . Questa non era chiamata esecuzione, era chiamato ritiro.

Cosa significa essere umani?
Il ruolo della memoria è centrale, in Blade Runner, per definire l’identità. Non però la memoria cognitiva ma quella emotiva. Sono le emozioni a strutturare l’identità di un essere umano (ecco perché la Tyrrel fa vivere i replicanti per soli quattro anni)

“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi balenare nel buio vicino alle porte di TannhŠuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire”.
Roy

“Tempo verrà che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta […] un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato e né inteso perderassi”.
Leopardi, Cantico del gallo silvestre

 

FONTI
INTERNET
Berni - Biodiritto
Enrico Diciotti – Relativismo etico, antidogmatismo e tolleranza
Paolo Casalegno – La questione del relativismo fra filosofia e dibattito pubblico
Vittorio Fantoni – Modernità, postmodernità e morale
Umberto Galimberti – L’etica nell’era della tecnica
Leonardo Marchettoni – Verità, pluralismo e realismo
Roberto Mordacci – Relativismo, moralità e questioni morali

 

Fonte: http://www.liceofermibo.net/genitori_admin/genitori/docs/APPUNTI_DI_FILOSOFIA_MORALE.doc

Sito web da visitare: http://www.liceofermibo.net

 

Autore del testo: Francesca De Propris e altri

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