Filosofia greca

 

 

 

Filosofia greca

 

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PANORAMICA SULLA FILOSOFIA GRECA

 

1  INTRODUZIONE
Greca, filosofia Insieme delle riflessioni filosofiche fiorite nella Grecia antica. Tradizionalmente, la filosofia greca è ritenuta la fonte di tutta la successiva speculazione occidentale.
Di rilievo è la questione dell’origine della filosofia, questione che sta alla base di qualsiasi trattazione dell’oggetto della filosofia stessa. La filosofia non nasce improvvisamente: il nuovo atteggiamento emerge gradualmente da tradizioni culturali e religiose precedenti. Il formarsi di una mentalità scientifico-filosofica è collegato allo sviluppo di ruoli sociali diversificati. Questa ipotesi insiste sulle condizioni sociali materiali che hanno reso necessaria la comparsa sulla scena sociale del filosofo, mentre altre ricerche focalizzano l’attenzione sull’irrazionale, ricollegando la tematica filosofica al mito e alla teologia.

2  LA FILOSOFIA NELL'ETÀ CLASSICA
Una lunga tradizione, che risale ad Aristotele, riconosce nei pensatori greci vissuti fra il VII e il VI secolo a.C., nella città ionica di Mileto in Asia Minore, gli iniziatori della filosofia.

2.1  I naturalisti: Talete, Anassimene, Anassimandro
La scuola ionica o scuola di Mileto impostò per prima la ricerca dell'arché, ossia del principio di tutte le cose, avviando un'indagine che si emancipò via via da elementi mitici e che diede origine a un primo tentativo di spiegazione della realtà, intesa globalmente come "natura" (physis), in termini razionali. Talete di Mileto identificò nell'acqua il principio originario della natura; una concezione più elaborata fu quella di Anassimandro, secondo il quale il principio è una sostanza eterna e infinita (ápeiron) che si trasforma incessantemente originando tutte le cose. A proposito della ricerca di questi pensatori, fra i quali si deve ricordare anche Anassimene, si è parlato di "naturalismo ionico", in quanto essi tentarono di ricondurre tutti i fenomeni a un principio naturale, senza postulare l'esistenza di entità divine.

2.2  I pluralisti: Empedocle, Anassagora, Democrito
Nel V secolo a.C., ai naturalisti si riallacceranno Empedocle di Agrigento, che teorizzò la dottrina dei quattro elementi o "radici" dell'essere: la terra, l'acqua, l'aria, il fuoco; Anassagora di Clazomene, che ipotizzò l'esistenza di "semi" di tutte le cose, infiniti e infinitamente divisibili; questi, secondo Anassagora, sarebbero combinati da una mente divina, il nous; Democrito di Abdera, che identificò i principi della realtà negli atomi, concepiti come i minimi punti di consistenza della materia, infiniti di numero e indivisibili. Questi filosofi furono anche denominati "fisici pluralisti", poiché diversamente dai filosofi monisti della scuola ionica ricondussero il reale a una pluralità di principi primi.

2.3  Eraclito
Un tratto innovativo si può individuare nella riflessione di Eraclito di Efeso, vissuto in Asia Minore intorno al VI secolo a.C. Egli ricercò il principio di tutte le cose nella ragione o logos, la cui apparizione sensibile è il fuoco. Secondo Eraclito il mondo intero è coinvolto in un perenne divenire contraddistinto da una lotta fra opposti primordiali, tale per cui "Pólemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte re".

2.4  La filosofia nella Magna Grecia: Pitagora e Parmenide
Fra il VI secolo e la prima metà del V secolo a.C., nelle città greche dell'Italia meridionale, si sviluppano altri indirizzi filosofici. Pitagora fonda a Crotone una scuola che eredita elementi religiosi di origine orfica (come la dottrina della trasmigrazione delle anime), ma si distingue per la dottrina secondo cui tutte le cose e tutte le relazioni fra di esse sono riconducibili ai numeri o a determinazioni aritmetico-geometriche.
Parmenide, iniziatore della scuola di Elea, contrappone al movimento e all'apparenza delle molteplici e illusorie cose sensibili l'esistenza dell'unico essere, eterno, ingenerato e imperituro. Dal suo insegnamento avrebbe preso le mosse la riflessione di Zenone, che è di capitale importanza per le origini delle tecniche di argomentazione logica.

2.5  I sofisti
Nel V secolo a.C., ad Atene, si afferma la sofistica. Con Protagora e Gorgia la filosofia sembra abbandonare i temi prevalentemente naturalistici o cosmologici delle ricerche precedenti, per rivolgersi a un'analisi del linguaggio e dei valori morali dell'uomo. Prevale peraltro, nella sofistica, un atteggiamento relativistico, che mette in discussione l'esistenza di verità assolute, dal momento che l'uomo, come diceva Protagora, "è la misura di tutte le cose": l'uomo, cioè, può conoscere solo gli oggetti che rientrano nel campo della sua percezione e della sua azione, valutandoli a seconda delle prospettive di cui è di volta in volta portatore.

2.6  Socrate
Al relativismo dei sofisti si oppose energicamente l'insegnamento di Socrate. Egli condivideva l'interesse dei sofisti per il problema dell'uomo, ma lo finalizzò alla ricerca del significato universale dei valori morali e della virtù, intesa essenzialmente come "scienza del bene e del male". All'abilità retorica dei sofisti Socrate opponeva il metodo di ricerca della dialettica: per ogni asserzione, il filosofo poneva una serie di domande tese a verificarla e articolarla, esaminandone le conseguenze e scoprendone la coerenza o le contraddizioni interne.

2.7  Platone e Aristotele
Il pensiero greco giunse a piena fioritura con le filosofie di Platone e di Aristotele: il primo fu discepolo di Socrate, il secondo studiò per circa vent'anni presso l'accademia platonica.
Platone organizzò le dottrine di Socrate in un complesso sistema, che innestava il progetto di una riforma politica dello stato in una concezione complessiva del sapere e della realtà. Nella sua teoria delle idee, Platone sostenne che le cose del mondo reale, oggetto dell'opinione, sono solo ombre di forme eterne e immutabili, le idee appunto, che possono essere oggetto di una conoscenza certa. La teoria delle idee implica una teoria della conoscenza per la quale la percezione sensoriale si riferisce a oggetti sensibili e mutevoli, mentre la scienza deve riguardare solo oggetti immutabili e universali.
All'opposto, secondo Aristotele, anziché riflettere l'articolazione delle idee la scienza si avvale di concetti che esprimono gli aspetti universali (le specie, i generi, le categorie) delle singole realtà sensibili. Pertanto la conoscenza non si riferisce più a idee separate dalle cose, ma alle sostanze sensibili, le quali consistono di una forma, che ne costituisce l'essenza, e di una materia. Descrivendo l'universo materiale, Aristotele riprese i quattro elementi empedoclei, aggiungendovi un quinto elemento, la "quinta essenza", l'unico costituente dei corpi celesti posti "sopra" il cielo della luna.

3  LE SCUOLE DELL'ETÀ ELLENISTICA E IMPERIALE
La filosofia greca successiva, riflesso di un periodo storico di tensione civile e di insicurezza, spostò l'attenzione sui problemi dell'esistenza individuale. Il tema della felicità del singolo diventò il problema centrale dell'intera riflessione filosofica, subordinando a sé gli altri aspetti di essa, sicché si può parlare per le filosofie ellenistiche di un primato dell'etica.

3.1  I nuovi orientamenti: epicureismo, stoicismo e scetticismo
I principali movimenti filosofici dell'età ellenistica furono la scuola fondata da Epicuro, che identificò nel piacere, inteso però come assenza di dolore e di turbamento, l'unico vero bene; la scuola stoica, che insegnava l'adeguamento dei comportamenti dell'uomo alla legge razionale o logos che governa tutta la natura; e la scuola scettica fondata da Pirrone, che teorizzava l'astensione da ogni opinione e sul piano etico l'impassibilità. Gli insegnamenti delle prime due scuole, e in particolare di quella stoica, conobbero una larga diffusione nel mondo romano.

3.2  Il neoplatonismo
Nei primi secoli dell'età cristiana si assistette non solo a un fecondo incontro tra la filosofia greca, l'ebraismo e il cristianesimo, ma anche a una prosecuzione delle tradizioni filosofiche dei secoli precedenti, spesso però profondamente trasformate, come avvenne ad esempio con le scuole neopitagoriche e scettiche. L'ultima grande filosofia pagana fu il neoplatonismo, che ebbe in Plotino il massimo esponente nel III secolo d.C.
Plotino non ripropose semplicemente il pensiero di Platone, ma elaborò una sintesi originale delle principali tradizioni della filosofia greca, teorizzando un principio supremo, l'"Uno", da cui tutte le cose derivano mediante un processo di emanazione. L'emanazione si differenzia dalla concezione biblica della creazione, intesa come atto volontario e libero di Dio, poiché è un processo eterno e necessario a partire da un principio che, pur essendo unico, non è assimilabile al Dio-persona dell'ebraismo e del cristianesimo.

TALETE

Talete di Mileto (Mileto 626 ca. - 548 ca. a.C.), filosofo greco; secondo la tradizione, inaugurò la filosofia greca. Dopo numerosi viaggi in Egitto e a Babilonia, dove acquisì numerose cognizioni matematiche, divenne famoso per la sua conoscenza dell'astronomia predicendo un'eclissi solare nel 585 a.C. Si dice inoltre che abbia introdotto la geometria in Grecia. Secondo Talete, il principio originario (arché) di tutte le cose è l'acqua, da cui ogni ente deriva e in cui ogni fenomeno naturale si risolve. In precedenza, per spiegare la natura dell'universo si ricorreva al mito: riconducendo l'origine del cosmo a una sostanza fisica permanente, che è immutabile, pur nel modificarsi dei suoi attributi, Talete segnò la nascita del pensiero scientifico.
Talete non ha lasciato scritti e il suo pensiero ci è noto grazie alla tradizione indiretta, in particolare attraverso un passo della Metafisica di Aristotele.

ANASSIMANDRO

Anassimandro (Mileto 610 ca. - 547 ca. a.C.), filosofo, matematico e astronomo greco, discepolo e amico del filosofo Talete. Ad Anassimandro sono attribuite la scoperta dell'obliquità dell'eclittica (l'angolo di intersezione del piano dell'orbita terrestre con l'equatore celeste), l'introduzione della meridiana e l'invenzione della cartografia.
Anassimandro fu l'autore della più antica opera in prosa sul cosmo e l'origine della vita, Intorno alla natura: in essa concepì un universo composto di cerchi concentrici, il più esterno dei quali sarebbe il Sole, quello intermedio la Luna, e il più interno le stelle; la Terra, cilindrica, rimarrebbe sospesa al centro senza poggiare su nessun supporto materiale, giacché trovandosi a uguale distanza da tutte le parti, non è sottoposta ad alcuna sollecitazione. Anassimandro ipotizzò che l'universo derivasse da un principio materiale infinito e illimitato (ápeiron) nel quale stavano tutte le cose mescolate indistintamente tra loro. Dalla separazione di elementi opposti dalla materia primordiale, il caldo si sarebbe disposto verso l'esterno, separandosi dal freddo, e lo stesso sarebbe accaduto con il secco e l'umido. Anassimandro riteneva inoltre che tutte le cose ritornassero infine all'elemento da cui erano state originate.

ANASSIMENE

Anassimene (Mileto, Ionia 586 ca. - 525 ca. a.C.), filosofo greco, ultimo membro della scuola ionica fondata da Talete. Della sua opera, uno scritto intitolato Sulla natura, ci è pervenuto un solo frammento, ma è possibile ricostruire il suo pensiero grazie a testimonianze indirette, in particolare quella di Aristotele. Anassimene sostenne che l'aria è l'elemento primario dal quale nasce l'infinita varietà dei fenomeni naturali. Sostanza illimitata e perennemente in movimento, l'aria origina tutti gli elementi mediante un processo di condensazione e di rarefazione: diventando più calda, l'aria rarefatta si trasforma in fuoco; diventando più fredda, essa si condensa e si trasforma gradualmente in vento, nuvole, acqua, terra e pietra. In tal modo, Anassimene riconduce le differenze qualitative del visibile ai mutamenti quantitativi di un principio primo unitario e invisibile.

PITAGORA

1  INTRODUZIONE
Pitagora (Samo 575 ca. - Metaponto 490 ca. a.C.), filosofo e matematico greco. Ereditò i temi dell'antica tradizione ionica di Talete, Anassimandro e Anassimene, e venne in contatto con la religione babilonese e con i culti misterici.
Pitagora attorno al 530 a.C. lasciò Samo per stabilirsi a Crotone, dove fondò una setta religiosa e politica di orientamento aristocratico e una scuola filosofica la cui attività contribuì a rendere la città il più importante centro della Magna Grecia. Pitagora quasi certamente non scrisse nulla: il suo pensiero e le sue dottrine, noti tradizionalmente con il nome di pitagorismo, ci sono giunti attraverso le opere dei discepoli. È pertanto difficile distinguere il loro contributo teorico dal nucleo originario, direttamente riconducibile al maestro.

2  I PITAGORICI
Gli insegnamenti della scuola pitagorica erano regolati da rigide prescrizioni, quali la frugalità e il divieto di cibarsi di carne o la semplicità nell'abbigliamento. La tradizione attesta che i discepoli fossero iniziati a pratiche misteriche ed esoteriche, e che Pitagora avesse stabilito tra essi una gerarchia, distinguendo gli “acusmatici” (i discepoli abituati ad ascoltare), a cui erano prescritti obbedienza e silenzio, dai “matematici”, che potevano invece interloquire col maestro e pertanto accedere agli insegnamenti (máthema) più profondi.
La scuola pitagorica ebbe una vasta influenza e le sue dottrine si diffusero, dal V secolo a.C., in altre città della Magna Grecia. Tra i seguaci, Archippo riorganizzò l’insegnamento pitagorico a Taranto, dove Archita fu un illustre esponente; Liside fu invece il fondatore del pitagorismo tebano, a cui appartenne Filolao. Il movimento filosofico-scientifico si dissolse intorno alla seconda metà del IV secolo a.C., per essere ripreso, a partire dal II secolo a.C., dal neopitagorismo, destinato a confluire, nel III secolo, nel neoplatonismo.

3  DOTTRINE FONDAMENTALI
Il pitagorismo, tramite riti iniziatici ed esoterici, aspirava alla rivelazione mistica di una condotta di vita finalizzata al raggiungimento della purezza. Postulando l’immortalità dell’anima, i pitagorici formularono una dottrina della metempsicosi (la trasmigrazione dell’anima, in greco psyche, da un corpo a un altro), ovvero un ciclo necessario di reincarnazioni successive quale modalità di espiazione di una colpa originaria, che avrebbe condotto l'anima alla catarsi, la purificazione ultima.
Essi elaborarono sostanzialmente una metafisica a sfondo matematico, ovvero una teoria dei numeri che innestava elementi mistico-religiosi sulle conoscenze matematiche e geometriche.
Diedero inoltre contributi significativi alla teoria della musica, compiendo studi sull’armonia e sulle concordanze musicali e individuando rapporti numerici costanti tra lunghezza delle corde della lira e gli accordi musicali fondamentali (vedi Musicologia: Storia). Furono infine decisamente anticipatrici alcune intuizioni nell’ambito dell'astronomia.

4  TEORIA DEI NUMERI
I pitagorici ravvisarono nel numero (il numero intero, precisamente) il principio costitutivo della realtà e nella matematica la forma primaria del sapere. Il numero, concepito come collezione di unità rappresentate da punti, divenne per loro il principio della proporzione e della perfetta armonia dell'universo. L’enunciato tradizionalmente attribuito ai pitagorici “tutte le cose sono numeri” li condusse a studiare la geometria per via aritmetica, formulando quella disciplina che chiamarono “aritmogeometria”.
In geometria la grande scoperta dei pitagorici fu il teorema di Pitagora, il quale asserisce che nei triangoli rettangoli il quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sugli altri due lati, o cateti.
Nell'ambito delle ricerche matematiche, i loro studi sui numeri pari e dispari, sui numeri primi e la scoperta dei numeri irrazionali furono fondamentali per la teoria dei numeri. Grazie a questi studi i pitagorici fondarono scientificamente la matematica.
A questa concezione del numero come fondamento del reale era giocoforza associata una mistica dei numeri, a cui venivano attribuiti determinati poteri e valenze specifiche.

5  ASTRONOMIA
L'astronomia dei pitagorici segnò una svolta nel pensiero scientifico antico, poiché essi posero le basi dell'ipotesi eliocentrica. Già Filolao, nel V secolo a.C., propose un modello cosmologico che negava il geocentrismo; ma Aristarco, a cavallo tra IV e III secolo a.C., formulò a tutti gli effetti una teoria eliocentrica, concependo la Terra come una sfera rotante con gli altri pianeti attorno a un fuoco centrale.
I pitagorici spiegarono l'ordine dell'universo come un'armonia di corpi contenuti da un'unica sfera, che si muovono secondo uno schema numerico: poiché essi rappresentavano i corpi celesti reciprocamente separati da intervalli corrispondenti alle lunghezze armoniche delle corde sonore, ritennero che il movimento dei pianeti producesse un suono, l'"armonia delle sfere".

APPROFONDIMENTO 
Pitagora a Metaponto
La scuola fondata da Pitagora a Metaponto nel VI secolo a.C. – di cui parla il brano seguente, tratto dalla Guida Rossa Basilicata e Calabria del Touring Club Italiano – ebbe notevole influenza sulla vita della città: rimase attiva per almeno due secoli dopo la morte del maestro e conferì alla colonia magnogreca l’aspetto di un centro filosofico.

PITAGORA A METAPONTO
La scuola fondata da Pitagora a Metaponto nel VI secolo a.C. – di cui parla il brano seguente, tratto dalla Guida Rossa Basilicata e Calabria del Touring Club Italiano – ebbe notevole influenza sulla vita della città: rimase attiva per almeno due secoli dopo la morte del maestro e conferì alla colonia magnogreca l’aspetto di un centro filosofico.
A Metaponto Pitagora insegnò nel VI secolo a.C. e vi soggiornò a lungo, fino a tarda età: la sua scuola, che conferì al centro l’aspetto di una città filosofica, vi mise profonde radici e durò per due secoli dopo la sua morte; si ricordano 42 pitagorici metapontini. I cittadini fecero della casa di Pitagora il Tempio di Cerere e consacrarono alle muse la strada in cui era situata. Pitagora fu matematico, astronomo, filosofo, predicatore di una nuova vita religiosa e morale e venne ritenuto l’uomo più dotto del suo tempo. Non lasciò scritti, per cui non è possibile distinguere nettamente la sua dottrina da quella degli scolari. Nel 530 circa a.C. abbandonò la natia Samo per sfuggire alla tirannide di Policrate e si stabilì a Crotone, che lasciò per Metaponto ai primi segni della rivolta di Cilone (510); non è però improbabile ch’egli sia stato prima in Egitto, Babilonia e altrove. A lui si devono la teoria delle proporzioni, varie proposizioni fondamentali della matematica e della geometria, la scoperta dell’ottava musicale. Una delle sue principali affermazioni filosofiche riguarda il numero come essenza del reale, concepito in un tutto armonico e perfetto (cosmos). Alla sua scuola si deve l’intuizione della sfericità della Terra e del suo movimento di rivoluzione.

ERACLITO

Eraclito di Efeso (Efeso 540 ca. - 480 ca. a.C.), filosofo greco. Il suo aristocratico isolamento e l'enigmaticità del suo pensiero filosofico gli valsero nell’antichità il soprannome di "Oscuro". A lui la tradizione attribuisce l’opera Sulla natura, quasi interamente composta da aforismi, della quale ci restano circa centotrenta frammenti. Secondo Diogene Laerzio, Eraclito nacque da famiglia aristocratica, discendente in linea diretta dai re di Efeso. Ostile al regime democratico instaurato dai suoi concittadini, contro i quali scagliò sdegnate invettive, si sarebbe ritirato nel tempio di Artemide per offrire alla dea il suo libro. Gravemente malato, morì divorato dai cani sulla piazza di Efeso, dopo aver rifiutato ogni cura.
Tema fondamentale della filosofia di Eraclito è il divenire (pánta rhêi, “tutto scorre”), il mutamento generato dal conflitto degli opposti, cui viene ricondotta l’essenza della realtà. Il mondo è caratterizzato dal perenne trasformarsi di tutte le cose, poichè in ogni ambito del reale domina il conflitto: domina gli uomini, costantemente in guerra tra loro, domina il mondo naturale, il cui ciclo vitale è scandito dalle trasformazioni degli elementi. Ogni mutamento, tuttavia, non è generato dal caso, ma viene regolato da una legge immutabile, il Logos. Con questo termine, Eraclito designa sia la legge eterna che governa il divenire, sia la ragione, patrimonio del filosofo che per ispirazione divina può cogliere tale armonia ed esprimerla con la parola. Nel mondo fenomenico, manifestazione sensibile del Logos è il fuoco, che pur apparendo stabile si trasforma incessantemente, generando gli altri elementi naturali per condensazione e rarefazione. “Tutte le cose” dice Eraclito “si scambiano con il fuoco e il fuoco si scambia con tutte le cose, come le mercanzie si scambiano con l’oro e l’oro si scambia con tutte le cose”.

PARMENIDE

Parmenide (attivo nella prima metà del V secolo a.C.), filosofo greco, fondatore della scuola eleatica. Il suo pensiero era esposto nel poema in esametri Sulla natura, di cui ci sono rimasti solo 154 versi. Il poema era costituito da due parti, la prima sulla dottrina della verità, la seconda sulla dottrina dell’opinione.
Il fondamento del pensiero di Parmenide consiste nel contrasto tra verità e apparenza. In questo senso il filosofo afferma che solo l’”essere” è, esiste ed è pensabile, mentre il non-essere non è pensabile, cioè non è pensabile l’esistenza del non-essere. Infatti non si può pensare senza pensare qualcosa, quindi il pensiero deve avere un oggetto e tale oggetto è l’essere. Ne consegue che la verità della conoscenza dipende dalla realtà dell’oggetto: “la stessa cosa è il pensiero e l’essere”. L'essere, in quanto immutabile, non si conosce per mezzo dell'esperienza sensibile, mutevole per definizione, ma grazie alla ragione, su cui si fondano le regole della logica.

ZENONE

Zenone di Elea (V secolo a.C.), matematico e filosofo greco della scuola eleatica, noto per i suoi paradossi filosofici. Zenone nacque a Elea (presso l'attuale Salerno), fu il discepolo prediletto del filosofo greco Parmenide e lo accompagnò ad Atene a circa quarant'anni. Qui Zenone insegnò filosofia concentrando l'attenzione sul sistema della metafisica eleatica. In seguito, tornò a Elea e, secondo la tradizione, si unì a una cospirazione per liberare la sua città natale dal tiranno Nearco; quando il complotto venne scoperto, Zenone, sottoposto a tortura, rifiutò di denunciare i suoi compagni.
Delle sue opere sono rimasti solo pochi frammenti, ma gli scritti di Platone e Aristotele forniscono parecchi riferimenti ai suoi scritti. Zenone accettò la teoria parmenidea secondo cui l'essere è una sostanza unica e indifferenziata, ossia un'unità indivisibile, sebbene ai sensi possa apparire molteplice ed eterogenea. Per confutare la validità della conoscenza sensibile, che attesta la realtà del divenire, della molteplicità e della divisibilità, Zenone escogitò una serie di paradossi sul tempo e sullo spazio, rimasti sino a oggi complessi rompicapi. Un tipico paradosso asserisce che un corridore non può raggiungere la meta perché, per riuscire nell'intento, deve coprire una distanza; ma non può farlo senza prima averne attraversata la metà, e così via all'infinito. Poiché in una distanza esiste un numero infinito di bisezioni, in un tempo finito non può essere percorsa alcuna distanza infinita, per quanto ci si sposti rapidamente. Quest'argomentazione, come parecchie altre di Zenone, mirava a dimostrare l'impossibilità logica del movimento. Poiché i sensi ci inducono a credere all'esistenza del movimento, bisogna dedurne che sono illusori e riconoscere che non v'è alcun ostacolo ad accettare le teorie di Parmenide, altrimenti implausibili. L'opera di Zenone è importante per la struttura dell'argomentazione logica con cui i paradossi vengono formulati; per questo motivo, Aristotele lo definì "l'inventore del ragionamento dialettico", che consiste nell'assumere provvisoriamente le tesi dell'avversario, per ricavarne conseguenze che le confutano.

EMPEDOCLE

Empedocle (Agrigento 484-481 ca. a.C. - 424-421 ca. a.C.), filosofo, poeta e medico greco. Secondo la tradizione, non volle accettare la corona offertagli dai cittadini di Agrigento, che egli aveva aiutato a rovesciare l'oligarchia dominante, istituendo un governo democratico della città. Una leggenda narra che morì gettandosi nel cratere dell'Etna.
La nostra conoscenza della filosofia di Empedocle si basa su frammenti di due suoi poemi, Sulla natura e Sulle purificazioni. Egli affermò che ogni ente è costituito da quattro elementi primari, considerati le "radici di tutte le cose": la terra, l'aria, il fuoco e l'acqua. Due forze opposte, l'Amore e l'Odio, chiamati anche l'Amicizia e la Discordia, agiscono su questi elementi, unendoli e separandoli in un'infinita varietà di forme. Secondo Empedocle, la realtà è ciclica, alternativamente caratterizzata dall'opera di unificazione svolta dal principio dell'Amore, e dalla separazione messa in atto dal principio dell'Odio. Il mondo quale noi lo conosciamo, pertanto, è collocabile tra lo "Sfero" primitivo, in cui domina l'Amore e tutti gli elementi sono armonicamente unificati, e lo stadio finale di totale separazione degli elementi. Empedocle credeva anche che nessun mutamento potesse creare nuova materia, poiché in natura avvengono unicamente trasformazioni nella combinazione dei quattro inalterabili elementi primari.

ANASSAGORA

Anassagora (Clazomene 499 ca. - Lampsaco 428 ca. a.C.), filosofo greco. Stabilitosi ad Atene, ebbe tra i suoi uditori Pericle, Archelao, Ippocrate, Socrate e il drammaturgo Euripide. Dopo trent'anni di attività, Anassagora fu processato con l'accusa di empietà per aver formulato teorie cosmologiche contrarie alla tradizione. In seguito prese dimora a Lampsaco, nella Ionia, dove morì.
Anassagora espose la sua filosofia nell'opera Sulla natura, di cui restano solo alcuni frammenti. Concepì la materia primordiale come mescolanza indistinta dei principi di tutte le cose, i "semi" (spérmata). L'aggregazione qualitativa dei semi, piccole particelle di numero infinito, infinitamente piccole ed esistenti dall'eternità, dà origine a corpi e cose. L'ordine dell'universo deriva dal movimento delle particelle determinato a sua volta dall'opera di un'intelligenza universale ed eterna (Nous). Anassagora rappresentò una svolta nella storia della filosofia greca: la sua dottrina del Nous fu rielaborata da Aristotele e la sua teoria dei semi preparò la strada alla teoria atomistica di Democrito.

DEMOCRITO

Democrito (Abdera 460 ca. - 370 ca. a.C.), filosofo greco. Sviluppò la teoria atomistica dell'universo abbozzata dal suo maestro, il filosofo Leucippo. Fu autore molto prolifico (anche se probabilmente le opere a lui attribuite costituivano il corpus della scuola) e animato da molteplici interessi, ma dei suoi numerosissimi scritti ci sono giunti solo pochi frammenti.
Secondo l'esposizione democritea della teoria atomistica della materia, ogni ente è costituito da atomi, minuscole particelle di materia pura, invisibili e indistruttibili (atoma, "indivisibili"), eternamente in moto in uno spazio infinito e vuoto (kenòn, "il vuoto"). Gli atomi sono composti della medesima materia, ma differiscono per figura, ordine e posizione. Pertanto, le differenze qualitative nella percezione delle cose e dei fenomeni naturali risalgono in ultima istanza a caratteristiche quantitative degli atomi. Democrito elaborò una cosmologia nella quale l'universo è formato da mondi che devono la loro origine all'incessante moto vorticoso degli atomi nello spazio: gli atomi infatti si scontrano e ruotano, formando aggregazioni di materia più vaste.
Secondo Democrito esistono due tipi di conoscenza, la conoscenza “oscura” che deriva dai cinque sensi e quella “autentica” che deriva dalla mente. Anche l’anima e il pensiero sarebbero costituiti da atomi, diffusi in tutto il corpo; gli atomi della mente si troverebbero invece nel cervello, secondo la dottrina di Ippocrate.
Democrito scrisse anche di etica, indicando nella felicità il bene umano più alto, condizione ottenibile grazie a una serena moderazione che libera dalla paura. Egli divenne noto come il "filosofo del riso", in contrapposizione al più cupo e pessimista Eraclito, il "filosofo del pianto".
Democrito Fondatore dell'atomismo, Democrito ricondusse il reale al movimento degli atomi nel vuoto, inteso come spazio geometrico che assume i caratteri del non essere parmenideo. Al fine di spiegare l'infinita varietà dei fenomeni naturali e le loro trasformazioni, secondo Democrito non è necessario postulare nessun altro elemento. Eterni, indistruttibili, immutabili, gli atomi si distinguono per forma, grandezza, ordine e posizione, proprietà quantitative da cui dipendono gli aspetti qualitativi delle cose.

IPPOCRATE

Ippocrate (Cos 460 ca. - ? 370 ca. a.C.), in base alle scarse testimonianze esistenti, fu il medico più importante della sua epoca e uno dei padri della medicina; non si conoscono altri dettagli biografici. Il suo nome è associato al giuramento di Ippocrate, compreso nelle circa settanta opere che costituiscono il Corpus ippocratico. Nonostante l'attribuzione, Ippocrate probabilmente scrisse solo una piccola parte di questi scritti, molto eterogenei tra loro sia dal punto di vista medico-filosofico, sia perché la redazione è evidentemente di epoche diverse. Un tempo si riteneva che il Corpus si fosse originato nella biblioteca della scuola di medicina di Cos, ma oggi quest'ipotesi non gode più di molto credito. Il Corpus fu probabilmente assemblato nella biblioteca di Alessandria, all'inizio del III secolo a.C., nel tentativo di accorpare i testi di medicina più significativi dell'epoca, e verosimilmente fu attribuito a Ippocrate per questioni di prestigio.
Una tra le opere più significative del Corpus è Aria, Acqua, Luoghi, che identifica nell'ambiente, nelle condizioni meteorologiche, nelle sostanze presenti nell'acqua da bere e in altri fattori molto concreti le possibili cause delle malattie, anziché attribuire loro un'origine soprannaturale. Nel Prognostico viene introdotta la teoria dell'osservazione delle manifestazioni del malato (manifestazioni e sintomi), essenziale per compiere una diagnosi corretta e per potere prevedere il decorso di una malattia.
In Regime e in altre opere ricorre il tema dell'influenza del tipo di dieta e di stile di vita sullo stato di salute delle persone, precorrendo temi cari alla medicina preventiva. Male sacro è un trattato sull'epilessia, nel quale i guaritori vengono descritti come ciarlatani inefficaci dal punto di vista terapeutico e dotati di conoscenze anatomiche rudimentali.

Giuramento di Ippocrate Formula di rito che tradizionalmente viene recitata dai medici durante la cerimonia di laurea. Attribuito a Ippocrate, medico greco vissuto fra il 460 e il 370 a.C., considerato uno dei fondatori della medicina scientifica, il giuramento è un codice di comportamento teorico e pratico che risente dell'influenza di sette mediche di ascendenza pitagorica. Nella sua forma originale vieta ai medici di praticare aborto, eutanasia e interventi chirurgici, e non consente loro di avere rapporti sessuali con i pazienti, né di diffondere le informazioni ricevute da essi.
Sebbene alcuni dei principi contenuti nel giuramento di Ippocrate, ad esempio l'importanza del segreto professionale, abbiano mantenuto fino a oggi una validità universale, la regolamentazione giuridica di aspetti come il diritto all'aborto o all'eutanasia non in tutti i paesi è in accordo con ciò che prescrive l'antico codice.

TUCIDIDE

1  INTRODUZIONE

Tucidide (Atene 460 ca. - 400 ca. a.C.), storico greco. Figlio di un aristocratico ateniese, nel 424 a.C. fu tra gli strateghi della flotta ateniese in Tracia durante la guerra del Peloponneso, ma non giunse in tempo per evitare la presa di Anfipoli da parte dello spartano Brasida. Per questo errore fu esiliato e tornò in patria solo alla fine della guerra, nel 404 a.C.
Tucidide L'autore dell'opera La guerra del Peloponneso, Tucidide, è considerato, per la lucidità della sua analisi, uno dei più penetranti storici dell'antichità.
Guerra del Peloponneso La contrapposizione di interessi politici ed economici tra i due blocchi – costituiti da Sparta sostenuta dalla lega peloponnesiaca da un lato e Atene appoggiata dalla lega delio-attica dall'altro – che aspiravano all'egemonia sulla Grecia fu all'origine della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.). Il pretesto del conflitto fu dato dalla richiesta di aiuto a Sparta da parte di Megara e Corinto contro l'ingerenza di Atene, la cui potenza era in vertiginosa crescita, nelle proprie colonie. La prima fase (431-421), detta "guerra archidamica" si concluse con la pace di Nicia che riportava la situazione allo status quo ante, con l'accettazione di un sistema bipolare. La seconda fase (421-413) segnò l'allargamento del conflitto in Sicilia e la prima sconfitta di Atene a Mantinea; la terza e ultima fase (413-404), detta "guerra deceleica", combattuta soprattutto sulla costa asiatica e negli stretti, terminò con la definitiva disfatta di Atene anche a causa del sostegno persiano a Sparta.

 

2  LA GUERRA DEL PELOPONNESO

La sua opera è giunta sino a noi divisa in otto libri dai grammatici successivi e con il titolo, anch'esso non originario, di Storie o Guerra del Peloponneso. L'opera abbraccia tre fasi della guerra: il conflitto tra Atene e Sparta dal 431 al 421 a.C., che si concluse con la pace di Nicia; la spedizione degli ateniesi in Sicilia dal 415 fino al disastroso fallimento del 413; infine, la ripresa delle ostilità fino al 411, anche se il piano originario dell'opera comprendeva gli eventi fino al 404.

 

3  LA CONCEZIONE DELLA STORIA IN TUCIDIDE

Tucidide fu consapevole che l'obiettivo della nuova scienza storica risiedeva nella verità dei fatti narrati; quindi si ripromise nella sua opera di descrivere fedelmente gli eventi di cui egli stesso fu testimone, e di sottoporre a rigorosa verifica le testimonianze relative agli altri eventi. Rientra nello stesso intento di precisione documentaria il nuovo e grande rilievo dato alla scansione temporale e alla concatenazione cronologica degli avvenimenti.
L'atteggiamento di Tucidide nei confronti della materia fu di tipo scientifico, guidato dall'intento di individuare i rapporti causali operanti nella storia: un'indagine di questo tipo non può contemplare né la lode né il biasimo. Il metro dell'azione degli uomini e al tempo stesso strumento per scoprire le norme che la regolano è la ragione e ogni fattore metafisico è escluso dalla ricerca e dall'analisi dello storico. La storia, per Tucidide, è un "possesso per il futuro": non nel senso di un ammaestramento morale, ma quale strumento per riconoscere la dinamica delle forze che producono gli avvenimenti umani. In queste coordinate ideologiche, i numerosi e drammatici discorsi che Tucidide inserì nella narrazione svolgono una funzione essenziale: in essi la ragione si confronta con i fatti e soppesa gli interessi in gioco e le soluzioni possibili, consentendo all'autore di analizzare il rapporto causale tra i fatti presi in esame. Poiché è nell'ambito politico che si manifestano le opposizioni e le decisioni che determinano gli eventi storici, l'opera tucididea può essere considerata eminentemente politica, e in ciò sta il motivo della sua straordinaria fortuna nelle epoche successive.

APPROFONDIMENTO 
Tucidide: Pericle e la democrazia ateniese
Il lungo conflitto che contrappose Atene a Sparta per la supremazia sulla Grecia durò, con una tregua di sette anni (in verità poco rispettata), dal 431 al 404 a.C. ed ebbe nello storico ateniese Tucidide un attento e preciso cronista dei fatti. Partecipò direttamente alla guerra del Peloponneso in qualità di stratega e fu quindi in parte diretto osservatore: per il resto si avvalse di testimonianze altrui, che tuttavia sottopose al vaglio minuzioso della precisione e dell'autenticità. Il metodo di indagine e di ricostruzione degli eventi in Tucidide è per sua stessa scelta dettagliato e rigoroso, privo di elementi fantastici; il suo stile è volutamente secco e disadorno, come dimostra il passo in cui riferisce l'orazione funebre recitata ad Atene da Pericle di Santippo, in memoria dei caduti nel corso del primo anno di guerra. Dopo aver menzionato gli antenati, Pericle fa un elogio della forza e delle possibilità della democrazia ateniese, e dei fondamenti della sua costituzione.

PERICLE E LA DEMOCRAZIA ATENIESE
Il lungo conflitto che contrappose Atene a Sparta per la supremazia sulla Grecia durò, con una tregua di sette anni (in verità poco rispettata), dal 431 al 404 a.C. ed ebbe nello storico ateniese Tucidide un attento e preciso cronista dei fatti. Partecipò direttamente alla guerra del Peloponneso in qualità di stratega e fu quindi in parte diretto osservatore: per il resto si avvalse di testimonianze altrui, che tuttavia sottopose al vaglio minuzioso della precisione e dell'autenticità. Il metodo di indagine e di ricostruzione degli eventi in Tucidide è per sua stessa scelta dettagliato e rigoroso, privo di elementi fantastici; il suo stile è volutamente secco e disadorno, come dimostra il passo in cui riferisce l'orazione funebre recitata ad Atene da Pericle di Santippo, in memoria dei caduti nel corso del primo anno di guerra. Dopo aver menzionato gli antenati, Pericle fa un elogio della forza e delle possibilità della democrazia ateniese, e dei fondamenti della sua costituzione.
Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d'esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica nell'amministrazione dello stato, ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale ma più che per quello che vale. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango sociale. Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci col vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi. Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta.

PROTAGORA

Protagora (Abdera, Tracia 480 ca. - 411 ca. a.C.), filosofo greco, uno dei maggiori rappresentanti della sofistica. Recatosi ad Atene nel 445 a.C., divenne amico di Pericle, che attorno al 440 lo incaricò di stilare la costituzione della colonia panellenica di Turi. Qui Protagora riscosse grande fama come insegnante e filosofo, e fu tra i primi a ricevere laute somme per le sue lezioni di grammatica e retorica.
Delle sue opere principali, La Verità o Discorsi sovvertitori, le Antilogie, Intorno agli dei, sono rimasti solo alcuni brevi frammenti. Protagora ha riassunto la concezione sofistica della verità nella celebre massima: “L’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono”. Il significato dell’affermazione viene chiarito da Platone, nel Teeto e nel Protagora: le cose che a me appaiono in un certo modo, a un altro possono apparire diversamente. Questa concezione relativistica della verità, che ha soppiantato la nozione assoluta, non è da applicare solo alle cose sensibili, ma anche ai valori: di conseguenza nulla è assolutamente buono o cattivo, vero o falso, ma ogni individuo, relativamente alla propria prospettiva conoscitiva, decide il valore di verità di un’asserzione.
A causa della posizione sostenuta in Intorno agli Dei, in cui affermava di non essere in grado di sapere nulla sugli dei – né se gli dei sono, né se non sono, né quali sono – Protagora fu accusato di empietà e lasciò Atene; perse la vita in un naufragio mentre si recava in Sicilia.

GORGIA

Gorgia (Lentini 485 ca. - Tessaglia 380 ca. a.C.), filosofo e retore greco, uno dei maggiori esponenti della sofistica. Originario della Sicilia, nel 427 a.C. Gorgia fu inviato come ambasciatore ad Atene, dove poi si stabilì per studiare e insegnare l'arte della retorica.
La filosofia di Gorgia si compendia in tre affermazioni, fra loro concatenate: nulla c’è; se anche qualcosa ci fosse, non sarebbe conoscibile; se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile. Secondo Gorgia, la parola è uno strumento di persuasione che ha forza necessitante. Le opere pervenuteci sono l'Encomio di Elena, l'Apologia di Palamede, e un lungo frammento, conservato da Sesto Empirico, di un’opera filosofica Sul non essere o sulla natura. La leggenda narra che morì in Tessaglia quasi centenario.

SOCRATE

 

1  INTRODUZIONE

Socrate (Atene 470 o 469 - 399 a.C.), filosofo greco. Figlio dello scultore Sofronisco e della levatrice Fenarete, Socrate ricevette l'educazione tipica dei ceti agiati ateniesi, pur non essendo propriamente un aristocratico. Approfondì in seguito le discipline della retorica e della dialettica, che i sofisti insegnavano a pagamento, interessandosi inoltre alla speculazione naturalistica e alla medicina; pertanto, si può affermare che recepì le idee fondamentali diffuse nell'ambiente culturale ateniese durante l'età di Pericle. Prese parte come oplita alla guerra del Peloponneso combattuta contro Sparta, dando prova di valore nelle battaglie di Potidea (431-429 a.C.), durante le quali si narra che salvò la vita al giovane Alcibiade; successivamente, si distinse anche nelle battaglie di Delio (424 a.C.) e Anfipoli (422 a.C.).

 

2  LE FONTI

Oltre alle notizie pervenuteci attraverso i Dialoghi del suo più celebre discepolo, Platone, le principali fonti su la vita e il pensiero di Socrate sono le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio; la commedia Le nuvole di Aristofane, nella quale Socrate è rappresentato come un maestro nel "commercio di pensiero", poiché insegna ai giovani a far apparire le posizioni errate come le migliori; qualche riferimento nell'opera di Aristotele (che gli attribuisce il merito della scoperta del metodo scientifico) e in quella di Senofonte (che nei Detti memorabili lo ritrae quale grande coscienza etica).

 

3  SOCRATE E LA POLITICA

Socrate partecipò attivamente alla vita politica della sua città, non solo combattendo in battaglia, ma entrando a far parte del Consiglio dei Cinquecento (406-405 a.C.) e della pritanìa, organismi politici nel cui ambito sostenne scelte coraggiose che talvolta gli procurarono l'opposizione pubblica; dopo la guerra del Peloponneso, durante la dittatura dei Trenta tiranni capeggiata da Crizia, rimase ai margini della vita politica ateniese; con la restaurazione democratica di Trasibulo, tuttavia, attirò su di sé l'opposizione dei nuovi governanti che alla sua persona, e soprattutto alla sua figura di moralista e "filosofo", ascrivevano probabilmente una portata sovversiva; inoltre, gli venivano rimproverate le sue amicizie aristocratiche – soprattutto quelle con Crizia e Alcibiade – considerate compromettenti. Esponenti autorevoli del partito democratico manovrarono tanto da arrivare a un processo che accusava il filosofo di empietà e corruzione dei giovani. Condannato a morte dall'assemblea, Socrate accettò il verdetto con serenità, sottomettendosi alle leggi di Atene.

 

4  CONOSCENZA E VIRTÙ

Socrate, che a differenza dei sofisti non chiese mai compensi in denaro per i suoi insegnamenti, non volle affidare i propri insegnamenti alla parola scritta, né fondò scuole filosofiche; agì, come lui stesso affermava, spinto dal suo daímon (il suo "demone" inteso nel significato di "spirito"), una voce interiore che lo incitava alla fedeltà alle proprie convinzioni etiche e alla vocazione filosofica. Si avvalse di un metodo conoscitivo da lui definito “maieutico”, volto cioè a portare alla luce la verità che ciascuno ha in sé attraverso quello strumento privilegiato che è il dibattito orale; trascorse pertanto buona parte della sua vita nei luoghi pubblici di Atene o nelle dimore degli amici, dialogando con chiunque, ricco o povero, volesse ascoltarlo o interrogarlo. Egli era convinto così di far scaturire da ogni interlocutore una maggiore consapevolezza di sé: "curando le anime" intendeva farle pervenire alla verità e alla virtù.

 

5  L’IRONIA SOCRATICA 

Il contributo socratico in filosofia fu soprattutto di carattere etico: egli invitava i suoi interlocutori, mediante tecniche retoriche in parte simili a quelle sofistiche, a trovare una formulazione oggettiva dei concetti di giustizia, amore e virtù, e a coltivare la conoscenza di sé. L'interlocutore, dichiaratosi esperto di una determinata disciplina, veniva provocato da Socrate, il quale, proclamandosi ignorante e affermando di avere come unica certezza quella di non sapere, chiedeva il suo soccorso. Interrogato da Socrate, passo dopo passo, l'altro vedeva poste in dubbio fino alle fondamenta le proprie certezze.
Secondo Socrate, l'azione malvagia o il vizio non sarebbero altro che il risultato dell'ignoranza.
Questo metodo d'indagine era volto a far scaturire e a fissare una definizione individuale della virtù che potesse nel contempo valere universalmente, in opposizione all'orientamento relativista dei sofisti. Tuttavia anche Socrate non espresse mai dottrine positive o formulazioni definitive, né si possono accogliere i Dialoghi platonici come una formulazione rigorosamente oggettiva del suo insegnamento. Si può solo arguire che Socrate avesse considerato la "virtù" – qualunque fosse la sua definizione – una forma di sapere; di conseguenza, l'azione malvagia o il vizio non sarebbero altro che il risultato dell'ignoranza. È passata alla storia anche la sua ironia, la fascinosa forma di dissimulazione retorica che avvinse pensatori come Kierkegaard e Nietzsche.

Tra i suoi allievi, oltre a Platone, si contano Antistene, fondatore della scuola cinica, e Aristippo, fondatore della scuola cirenaica, una delle fonti del pensiero di Epicuro. Alcuni stoici come Epitteto, Seneca e l'imperatore romano Marco Aurelio, considerarono Socrate la guida verso una vita superiore.

 

6  IL PROCESSO

Nel 399 a.C. Socrate venne accusato da tre concittadini, membri del partito democratico, di non riconoscere gli dei di Atene (forse in riferimento al daímon) e di corrompere i giovani. L'Apologia di Platone espone l'appassionata autodifesa di Socrate, che rifiutò di farsi difendere al processo. Pur potendo salvarsi dalla condanna richiesta (la pena di morte) dichiarandosi colpevole, rimase coerente fino alla fine con le proprie convinzioni etiche e non rinunciò alla sua idea del bene per abbracciare la volontà strumentale di una fazione politica. Quando, secondo il costume ateniese, formulò una controproposta alla pena di morte chiedendo alla corte di pagare solo una piccola multa, irritò a tal punto la giuria che la maggioranza votò per la pena di morte.
Benché i suoi amici intendessero organizzare una fuga dalla prigione, come racconta Platone nel Critone, Socrate preferì obbedire alla legge e morire senza commettere un'illegalità. Trascorse l'ultimo giorno di vita nel carcere con amici e discepoli, e la sera, secondo il resoconto del Fedone di Platone, si diede serenamente la morte bevendo la cicuta, veleno con il quale nell'antica Atene venivano eseguite le condanne.

Il pensiero di Socrate è stato tramandato dal più famoso discepolo del grande filosofo greco, Platone, che ne ricorda le dottrine nei suoi Dialoghi. Secondo Socrate, ogni individuo possiede la conoscenza della verità ultima; per far emergere tale conoscenza, sepolta nei recessi dell'animo umano, è necessario un processo definito "maieutico", che viene attuato mediante il dialogo. La libertà di pensiero, la ricerca della verità, le critiche alla società e alle istituzioni ateniesi costarono a Socrate un processo: accusato di empietà e di corruzione dei giovani, fu condannato a morte nel 399 a.C.

APPROFONDIMENTO 
Jaeger: Socrate come educatore
Emblema del filosofo che si prende cura dell’anima attraverso il logos e il dialogo, Socrate fu accusato di corrompere le menti dei giovani ateniesi e morì per non tradire la sua missione di educatore e le leggi della città. La sua vicenda umana e la sua lezione, tracciate in queste pagine da Werner Jaeger, furono votate alla rigenerazione morale della polis, dilaniata da una crisi sociale, prima che politica, riconducibile in ultima istanza al dissolvimento dei tradizionali modelli educativi. 

SOCRATE COME EDUCATORE
Emblema del filosofo che si prende cura dell’anima attraverso il logos e il dialogo, Socrate fu accusato di corrompere le menti dei giovani ateniesi e morì per non tradire la sua missione di educatore e le leggi della città. La sua vicenda umana e la sua lezione, tracciate in queste pagine da Werner Jaeger, furono votate alla rigenerazione morale della polis, dilaniata da una crisi sociale, prima che politica, riconducibile in ultima istanza al dissolvimento dei tradizionali modelli educativi.
È segnato ormai da tutta la nostra precedente trattazione il quadro entro cui verrà a collocarsi, in quel che segue, la figura di Socrate: egli rappresenta il centro di questa storia della formazione dell’uomo greco, giacché egli è la più grande personalità di educatore apparsa nella storia del mondo occidentale. Chi cerca la sua grandezza nel dominio della teoria e del pensiero sistematico, sarà tratto o a fargli troppo credito a spese di Platone, o a dubitare in maniera radicale della sua importanza.
Ha ragione Aristotele a considerare la filosofia che Platone proclama per bocca del suo Socrate, come opera essenzialmente di Platone, nella sua struttura teoretica.
Però Socrate è ben di più di quel tanto di “spunti” filosofici che rimane, quando dalla rappresentazione platonica di Socrate si sia sottratta la teoria delle idee e il resto del contenuto dogmatico. Il suo significato è da cercare in un’altra dimensione. Non legato, come continuatore, ad alcuna tradizione scientifica, non deducibile da alcuno dei sistemi della storia della filosofia, Socrate è, nel più semplice senso, l’uomo dei suo tempo.
L’aria in cui è avvolto e che respira è la schietta aria della storia. Il piano da cui egli s’innalza ad una fisionomia spirituale autonoma è quello della classe media ateniese, di quel ceppo di cittadini, intimamente immutabile, coscienzioso e pio, al cui robusto sentire avevano potuto fare appello i “capi del popolo”, gli aristocratici Solone e Eschilo. Ora è giunto per questa classe il momento di parlare da sé, per bocca di uno dei suoi, il figlio dello scalpellino e della levatrice, del demo di Alopece. Solone ed Eschilo, nel passato, erano venuti al momento giusto, per accogliere, far proprio e rielaborare il meglio di idee rivoluzionarie venute dal di fuori, e le avevano così intimamente assimilate, che esse poterono, anziché essere elemento dissolvente del carattere ateniese, aiutare lo sviluppo delle sue energie più vigorose. Non è dissimile la situazione spirituale nel momento in cui Socrate appare. L’Atene di Pericle, signora di grande impero, è come inondata, in questo momento, da influenze di ogni sorta e origine ed è perciò, in pericolo, non ostante la sua splendida prova in ogni dominio dell’arte e dell’azione, di sentirsi sfuggir di sotto l’antico solido terreno, nel momento in cui tutti i valori tradizionali, dati in preda a un’attivissima innata loquacità, vanno dileguando con moto rapidissimo. A questo punto viene avanti Socrate, il Solone del mondo morale. Giacché il pericolo era lì, nel mutarsi del senso morale; di lì si venivano minando le fondamenta dello stato e della società. Così, per la seconda volta nella storia greca, lo spirito attico riuscì ad eccitare le tendenze centripete dell’anima greca contro le forze centrifughe, col porre di fronte al cosmo fisico in cui si armonizzano le forze di natura – ed era stata questa la creazione dello spirito di ricerca ionico – un saldo ordine di valori umani. E come Solone aveva scoperto la legge naturale della vita in comune, sociale e politica, così ora Socrate s’inoltra nell’intimo dell’anima a scoprire il cosmo morale.
La sua giovinezza coincise col periodo della rapida ascesa dopo la grande vittoria sui Persiani, dalla quale uscirono, all’esterno, l’impero di Pericle, all’interno, l’affermazione piena della democrazia. Le parole di Pericle nell’epitafio per i caduti in guerra, secondo le quali in Atene un autentico merito o talento personale non si trovavano mai sbarrata la via a venire in luce per il pubblico bene, trovano conferma nella sorte di Socrate. In sé, né per famiglia o classe sociale, né per doti esteriori egli non pareva destinato a radunarsi intorno i figli dell’aristocrazia avviantisi a una carriera politica, o a far parte del fior fiore dei kalokagathoi ateniesi. Le prime notizie che di lui si abbiano ce lo presentano sulla trentina, nella cerchia di Archelao, scolaro di Anassagora, in compagnia del quale, nell’isola di Samo, lo trovò il poeta tragico Ione di Chio, come questi raccontava in un suo diario di viaggio. Ione, pratico di vita ateniese, amico di Sofocle e di Cimone, riferisce anche che Archelao era tra i familiari di Cimone. È probabile che proprio Archelao abbia introdotto il giovane Socrate nella casa principesca del vincitore dei Persiani, capo del partito nobiliare filospartano. Ma, se le sue opinioni politiche siano state in qualche modo determinate dal contatto con questo ambiente, non possiam dire. Nel pieno dell’età, egli fu testimone dell’apogeo della potenza ateniese e vide l’età classica della poesia e dell’arte ateniese nel suo splendore. Si trovò anche a frequentare la casa di Pericle e Aspasia, e uomini politici assai discussi come Alcibiade e Crizia furono tra i suoi scolari.
Lo stato ateniese, in quel periodo di tensione massima di forze, volte a consolidare l’egemonia sulla Grecia da poco raggiunta, esigeva grandi sacrifici dai suoi cittadini. Ed anche Socrate si trovò più volte a servire la patria sul campo, e vi si distinse. Questo lato della sua vita, la sua esemplare, condotta di soldato, fu messa in molto rilievo nel suo processo allo scopo di equilibrare l’evidente deficienza dal lato politico. Ché Socrate, grande amico del popolo, era però notoriamente un democratico assai mediocre e non aveva il minimo gusto per tutta quell’attività che i cittadini ateniesi spendevano con molto zelo nell’assemblea popolare o come giudici nei tribunali. L’unico suo intervento politico, fu, come buleuta e pritano in carica, in quell’assemblea popolare, nella quale furono condannati a morte in blocco, senza istruttoria, gli strateghi vincitori della battaglia delle Arginuse, per non aver salvato i naufraghi dei vascelli ateniesi, a causa dello stato del mare. Socrate fu l’unico dei pritani ad opporsi a che la proposta, illegale, fosse messa in votazione Se anche più tardi questo poté valergli come un merito patriottico, non si può negare che in complesso egli fu contrario al principio del prevalere di una maggioranza, a sua volta dominata dai parlatori abili, e che il suo ideale fu, invece, il governo in mano agli uomini più saggi e più intendenti di affari. È ovvio supporre che questo modo di vedere si sia formato in lui per la sempre crescente degenerazione della democrazia durante la guerra del Peloponneso. Per chi come lui era venuto su nello spirito della vittoria sui Persiani, e aveva visto compiersi l’ascesa della patria, il contrasto era troppo stridente per non dar luogo a dubbi e a critiche di ogni sorta. Si capisce anche come queste opinioni procurassero a Socrate la simpatia di parecchi giovani concittadini di tendenza oligarchica, la cui amicizia doveva essergli rimproverata più tardi, in occasione del processo. La massa, non si rendeva conto della differenza sostanziale tra l’atteggiamento indipendente di Socrate e quello di ambiziosi cospiratori come Alcibiade e Crizia e non vedeva che quell’atteggiamento nasceva da un tessuto spirituale che trascendeva di molto la pura politica. Comunque è bene capir chiaramente che, nell’Atene di quel tempo, anche chi si teneva lontano dal travaglio politico attuale, esercitava, proprio con questa astensione, un’attività politica e che i problemi dello stato pesavano in maniera decisiva, senza eccezione, su ogni uomo, nell’azione come nel pensiero.
Socrate crebbe in quel tempo in cui si videro per la prima volta in Atene filosofi e studi filosofici. Anche se non avessimo notizia dei suoi rapporti con Archelao, dovremmo supporre che egli, il contemporaneo di Euripide e di Pericle, fosse venuto presto in contatto con la filosofia della natura di Anassagora e di Diogene di Apollonia. Non c’è ragione di dubitare sulla notizia che Socrate dà nel Fedone sulla propria storia intellettuale. Essa ha valore storico almeno in questo: che parla di un attivo interesse di gioventù per le dottrine dei fisici. E, se è vero che Socrate, nell’Apologia platonica si dichiara risolutamente incompetente in questo campo, egli aveva pur letto, come ogni Ateniese colto, il libro di Anassagora che, come è detto proprio in quel luogo, si poteva comprare per una dramma dai venditori ambulanti, nell’orchestra del teatro. Così pure Senofonte riferisce che Socrate, anche in seguito in casa sua coi suoi giovani amici, soleva percorrere le opere dei “saggi antichi” cioè dei poeti e dei filosofi per estrarre da essi qualche passo notevole. Sicché non è forse poi così lontana dal vero come si suol pensare generalmente, la rappresentazione aristofanesca che gli fa esporre dottrine fisiche di Diogene sull’aria come elemento primo e sul vortice cosmogonico. Ma fino a che punto egli si curò di far sue questo dottrine?
Secondo l’esposizione del Fedone egli si era messo alla lettura di Anassagora con una grande aspettativa. Qualcuno glielo aveva dato facendogli intravvedere che avrebbe trovato lì quello che andava cercando. Il che significa che anche precedentemente egli aveva guardato scetticamente le spiegazioni che della natura davano i fisici. Ma anche Anassagora lo deluse sebbene il principio dell’opera gli avesse destato qualche speranza. Là si parlava, dapprima, della Mente come principio informatore dell’universo, mentre in seguito Anassagora non faceva alcun uso di questo metodo di spiegazione, ma riconduceva tutto, come gli altri fisici, a cause materiali. Socrate invece si era aspettato una spiegazione dei fenomeni e del loro modo di prodursi fondata sul principio che “così era meglio”, giacché gli sembrava caratteristica nel procedere della natura la ricerca del benefico e dell’adatto allo scopo. Nel racconto del Fedone Socrate giunge, attraverso questa critica della filosofia della natura, alla teoria delle idee, la quale però, secondo la convincente affermazione di Aristotele, non può essere attribuita, storicamente, a Socrate. Ma, senza dubbio, Platone poté sentirsi in diritto di fare esporre al suo Socrate la teoria delle idee come cause finali, proprio in quanto questa teoria era sorta in lui per diritta via dalla ricerca socratica del Buono in tutte le cose.
Anche la natura, dunque, volle affrontare Socrate, con questa sua domanda, “che cosa è buono”. E ciò mostra il discorso che gli è attribuito nei Memorabili di Senofonte riguardo alla struttura del cosmo e alla sua conformità ad un fine. In questo discorso egli va in traccia del Buono e di tendenze finalistiche nella natura, allo scopo di mostrare l’esistenza nel mondo di un principio intelligente e costruttore. A quel che sembra, tutta l’esposizione, cui egli si dilunga, della struttura tecnicamente perfetta degli organi nel corpo umano, deriva da un libro di filosofia naturale di Diogene di Apollonia. Non c’è davvero ragione, per questa mancanza di originalità, di dubitare del valore di testimonianza storica di questo discorso, nel suo complesso, giacché lo stesso Socrate, con ogni probabilità, non teneva affatto ad essere originale nelle particolari considerazioni che veniva usando nel suo argomentare, e comunque, se derivazioni vi sono, si tratta sempre di elementi mirabilmente confacenti al modo di trattazione socratico. Nel libro di Diogene egli trovava, conforme all’esigenza che egli afferma nel Fedone, l’unico principio di Anassagora applicato al molteplice delle azioni naturali. Il discorso, però, non fa di Socrate un filosofo naturalista, ma si limita a mostrare qual era il suo punto di vista nell’accostarsi alla cosmologia. Punto di vista che era stato sempre naturale e ovvio per l’uomo greco, questo di ricercare anche nel cosmo, e di dedurlo da esso, il principio dell’ordine umano, come più volte già abbiamo constatato prima di riscontrarlo di nuovo in Socrate. Così questa critica socratica dei filosofi naturalisti non fa altro che mostrare, indirettamente, che l’attenzione di Socrate, fin da principio, fu rivolta al problema etico e religioso, senza che ci sia stato nella sua vita di pensiero un periodo propriamente naturalistico. La filosofia della natura non dava alcuna risposta all’interrogativo che egli portava in sé, dal quale, per lui, tutto dipendeva. E per questo egli poteva metterla da parte. Questa infallibile sicurezza con la quale, fin da principio, egli si mise in cammino è il segno della sua grandezza.

 

VOCABOLI

AFORISMA:

brevissima espressione in prosa che racchiude un pensiero, una sentenza o un insegnamento di vita in modo pregnante e sintetico, spesso con lo scopo di stimolare il lettore alla riflessione tramite una formulazione sorprendente dei concetti: ad esempio, vita brevis, ars longa ("la vita è breve, l'arte dura a lungo"). A tale scopo vengono spesso impiegate figure retoriche atte a esprimere rapporti di analogia o di opposizione concettuale, come ad esempio l'antitesi e il parallelismo. Simili all'aforisma sono la massima, la sentenza e l'apoftegma.
Le più antiche opere aforistiche a noi conosciute sono le osservazioni e le regole di vita di Ippocrate e i Ricordi di Marco Aurelio. I maestri di questo genere sono, accanto a Francesco Bacone e Michel Eyquem de Montaigne, soprattutto i moralisti francesi del XVII secolo, quali François de La Rochefoucauld o Jean de La Bruyère. Anche la tradizione tedesca è molto ricca di scrittori di aforismi: se Georg Christoph Lichtenberg ne fu il maestro nel XVIII secolo, e l'austriaco Karl Kraus è certamente il più geniale e graffiante aforista del XX secolo, anche un grande filosofo come Friedrich Nietzsche scrisse prevalentemente per aforismi, così come autori di aforismi furono Goethe, Novalis e Schopenhauer.

 

AGNOSTICISMO:

atteggiamento filosofico secondo cui l'esistenza di Dio e di altri principi metafisici o entità spirituali, ad esempio l'anima, non è dimostrabile con certezza e quindi non può essere oggetto di conoscenza. Il termine, derivato dal greco agnostikós ("che non sa") e coniato nel XIX secolo dal biologo britannico Thomas Henry Huxley, indica una posizione che si differenzia tanto dal teismo (che afferma l'esistenza di queste entità) quanto dall'ateismo (che la nega).
Benché venga abitualmente ritenuto una forma di scetticismo, che nega l'esistenza di un criterio oggettivo per distinguere il vero dal falso relativamente a qualunque affermazione, l'agnosticismo abbraccia un ambito dottrinale più limitato, in quanto nega soltanto la validità della metafisica e di alcune affermazioni della teologia. I fondamenti dell'agnosticismo moderno si trovano nelle opere del filosofo scozzese David Hume e del tedesco Immanuel Kant, che rilevarono entrambi i luoghi logicamente antinomici nelle tradizionali dimostrazioni dell'esistenza di Dio e dell'anima. Nella filosofia del XX secolo, il positivismo logico rifiuta sia l'ateismo sia il teismo e sostiene che le proposizioni che presentano un contenuto metafisico sono prive di significato.

 

ASSIOMA:

affermazione che è superfluo dimostrare perché palesemente vera.
In logica e matematica, un principio fondamentale assunto come vero senza dimostrazione in un determinato sistema deduttivo. La logica e la matematica pura assumono come veri principi non dimostrati, dai quali derivano altre proposizioni (teoremi).
In tutti i sistemi deduttivi gli assiomi devono essere tra loro coerenti (non contraddittori), indipendenti (inderivabili uno dall'altro) e di numero finito. Talvolta gli assiomi sono stati concepiti come verità autoevidenti, ma la tendenza attuale si limita ad asserire semplicemente che un assioma è una proposizione vera e indimostrata entro un dato sistema assiomatico.
I termini "assioma" e "postulato" sono in genere considerati sinonimi, anche se con assioma si designano i principi fondamentali assunti in tutti i sistemi deduttivi, mentre con postulato si indicano i principi veri per un sistema particolare, ad esempio la geometria euclidea. Meno frequentemente la parola assioma denota i principi fondamentali in logica, mentre il termine postulato si riferisce ai principi fondamentali della matematica.

 

ATEISMO:

 

1  INTRODUZIONE

Ateismo Dottrina che nega l'esistenza di Dio, affermando la possibilità di elaborare dimostrazioni certe e ben fondate della sua inesistenza. Su tali basi, l'ateismo si differenzia dall'agnosticismo, che si limita ad affermare l'impossibilità di ottenere una conoscenza certa delle entità metafisiche.

 

2  IL MONDO ANTICO

Nell'antichità, il termine "ateismo" (dal greco a, "non"; theós, "dio") designava un atteggiamento filosofico comune ai pensatori che criticavano i culti dominanti; in Grecia, ad esempio, Anassagora, i sofisti e lo stesso Socrate vennero accusati di ateismo perché rifiutavano gli dei tradizionali, pur non negando l'esistenza di un'entità divina. Senofane invece stigmatizzava non solo le tendenze amorali degli dei della tradizione, ma anche la dipendenza dell'immagine divina dalle peculiarità e dall'aspetto degli uomini, sottolineando quindi il carattere antropomorfico delle varie divinità locali. Eraclito criticava le pratiche rituali di purificazione e l'adorazione delle statue delle divinità. Per Prodico (400 ca. a.C.), esponente dell'interpretazione utilitaristica degli dei e dei culti, gli dei erano personificazioni di quanto è necessario alla vita dell'uomo (ad esempio l'acqua e il fuoco). Democrito individuò l'origine della religione nella paura degli eventi naturali più dirompenti.

 

3  LA MODERNITÀ

Nel Medioevo, profondamente segnato dal cristianesimo, non si manifestarono fenomeni di ateismo, che invece ricomparvero nel Rinascimento e si diffusero poi ampiamente nell'Età dei Lumi. La società moderna, infatti, fu caratterizzata fin dal suo nascere dal fenomeno della secolarizzazione, che innescò un inarrestabile processo di perdita del sacro. Nel secolo XIX, l'ateismo teorico caratterizzò il pensiero dominante, in particolare il positivismo. Auguste Comte, con la "legge dei tre stadi", relegò ogni atteggiamento religioso in uno stadio infantile dell'umanità, dichiarando finalmente giunta l'età della scienza, nella quale l'uomo costruisce il sapere e la società unicamente in base alle conoscenze scientifiche. In altra prospettiva, il filosofo Ludwig Feuerbach espose la tesi, che raccolse grandi consensi, secondo la quale non sarebbe stato Dio (come insegna la Bibbia) a creare l'uomo a sua immagine e somiglianza, ma viceversa sarebbe stato l'uomo a proiettare la propria immagine in Dio.

3.1  Feuerbach: l'uomo è dio per l'uomo

Ludwig Andreas Feuerbach Figlio del famoso giurista Paul Feuerbach, il filosofo Ludwig Feuerbach pose in dubbio i fondamenti delle dottrine religiose, pur ammettendo che la fede soddisfa un'esigenza psicologica insita nella natura umana. La filosofia di Feuerbach ebbe grande influenza sulle teorie di Karl Marx.
Secondo Feuerbach, Dio non è che la proiezione di ciò che l'uomo vorrebbe (e in un certo senso anche potrebbe) essere. L'uomo, che si sperimenta limitato, proietta su Dio il proprio desiderio di onnipotenza. In realtà egli "in quanto umanità", cioè in quanto "ente generico", potrebbe cogliere l'infinito, ma alienando le proprie energie nell'esperienza religiosa, sottrae a se stesso ciò che attribuisce a Dio. L'ateismo diventa pertanto un dovere morale: "ciò che è dato al cielo è tolto alla terra". Alla fede in Dio si deve sostituire la fede nell'uomo: "homo homini deus est" (l'uomo è dio per l'uomo).

 

4  I MAESTRI DEL SOSPETTO

L'ateismo di Feuerbach e dei cosiddetti "maestri del sospetto" (Marx, Nietzsche e Freud, secondo una celebre definizione di Paul Ricoeur) è caratterizzato dalla contrapposizione tra Dio e uomo: la vera emancipazione dell'uomo postula la negazione di Dio.

4.1  Marx: l'oppio dei popoli

Karl Marx riprese le teorie di Feuerbach, applicandole al campo della politica. Per Marx la religione aveva funzione consolatoria nei confronti di una realtà dolorosa e insoddisfacente e si configurava come l'"oppio dei popoli", perché distoglieva l'uomo dalla lotta per cambiare le strutture economiche ingiuste, promettendo il paradiso in un'altra vita. La critica della religione diventa così critica delle strutture materiali ed economiche della realtà: quando la società senza classi sarà realizzata, secondo Marx, la religione sparirà da sé.

4.2  Nietzsche: la morte di Dio

Friedrich Nietzsche Poeta e filosofo, Friedrich Wilhelm Nietzsche proclamò la "morte di Dio", rifiutando i tradizionali valori della moralità borghese, ma anche l'idealismo che permeava la cultura tedesca della sua epoca. Secondo Nietzsche, un nuovo tipo di individualità, il "superuomo", Übermensch, avrebbe incarnato le migliori qualità dell'individuo creativo, espressione eccelsa della volontà di potenza che costituisce la forza da cui dipende ogni azione umana.The New York Public Library 
Dal canto suo, Friedrich Nietzsche annunciò la "morte di Dio", che determina non solo la negazione di Dio da parte dell'uomo, ma pure il ribaltamento di tutti gli ideali e i valori tradizionali: in particolare, Nietzsche annunciò la fine del cristianesimo, che esalta la "morale dei deboli" enfatizzando la compassione, la sofferenza, l'ascesi. Si tratta invece di riscoprire la "fedeltà alla terra", creando nuovi valori; il "superuomo" è il nuovo tipo di uomo, capace, con la "volontà di potenza", di farsi misura delle cose, di creare da sé i propri valori superando la morale codificata: "Gli dei sono tutti morti, ora vogliamo che viva il superuomo".

4.3  Freud: il parricidio

Sigmund Freud incentrò la sua critica alla religione sul ruolo dominante della figura paterna nell'infanzia. La religione, che secondo Freud avrebbe consegnato all'autorità di una potente figura divina l'autocontrollo e la rinuncia individuale alle pulsioni, viene concepita come "nevrosi ossessiva collettiva", riconducibile al rapporto col padre dominante. Per Freud questa nevrosi risalirebbe a un complesso di Edipo collettivo, per cui i maschi dell'orda primitiva avrebbero compiuto un parricidio, divinizzando poi il padre defunto e onorandolo con riti per esorcizzare il senso di colpa. Pertanto la religione, essendo legata al bisogno di protezione dell'uomo di fronte alle forze della natura e alle difficoltà della vita, è un atteggiamento infantile che proietta sul padre-Dio il bisogno di protezione; all'opposto, secondo Freud, l'uomo potrebbe e dovrebbe trovare in sé la forza di diventare adulto e affrontare problemi e difficoltà della vita.

4.4  Sartre: condannati alla libertà

Emblematico in questo senso è il pensiero di Jean-Paul Sartre che rifiutò il concetto di un Dio onnipotente in quanto negazione di ogni forma di libertà dell'uomo. Anche se Dio esistesse, l'uomo si definirebbe solo a partire da se stesso: "l'uomo deve essere libero, dunque Dio non esiste". In breve, secondo Sartre, noi siamo "condannati" a muoverci entro un orizzonte progettuale dal quale Dio è necessariamente escluso, assumendoci passo dopo passo la responsabilità delle nostre scelte, poiché, se da un lato siamo ciò che progettiamo di essere, dall'altro non siamo liberi di rinunciare alla libertà.

 

CAUSALITÀ:

 

1  INTRODUZIONE

Causalità In filosofia, relazione tra una causa e il suo effetto. Il filosofo greco Aristotele, nel primo libro della Fisica, individuò quattro tipi di cause: materiale, formale, efficiente e finale. La causa materiale è ciò di cui un oggetto è costituito, ad esempio il marmo o il bronzo per una statua; la causa formale è il modello a cui qualcosa si conforma, come la struttura architettonica per una casa; la causa efficiente è la forza attiva nella produzione dell'oggetto, ad esempio l'energia fisica degli operai; la causa finale è il fine o il motivo per il quale l'oggetto è prodotto, come ad esempio il fine dell'abitazione. Di esse la più importante per Aristotele era la seconda, in quanto la causa formale di qualcosa consiste nell'essenza di un certo oggetto, essendo ciò per cui qualcosa è quello che è. I principi delineati da Aristotele avrebbero influenzato la storia del pensiero lungo i secoli. In particolare la filosofia medievale avrebbe dato un assoluto rilievo al problema di dimostrare l'esistenza di una causa prima, identificata in Dio come artefice della creazione. Il concetto di causalità fu peraltro sottoposto a una serrata critica nell'antichità dai filosofi scettici Enesidemo (II secolo a.C.) e Sesto Empirico e, nel Medioevo, da Guglielmo di Occam: a livelli diversi essi argomentarono che non si può stabilire un legame necessario tra la causa e l'effetto o risalire da un certo fenomeno alla sua causa nascosta.
Al filosofo greco Aristotele si deve un'ampia e approfondita analisi del concetto di causalità, intesa come connessione necessaria tra due eventi. Nel primo libro della Fisica, Aristotele distingue quattro tipi di cause: causa materiale, formale, efficiente e finale.Archive Photos/Popperfoto 

 

2  LE CONCEZIONI MODERNE

David Hume Hume, filosofo scozzese del XVIII secolo, considerato uno dei grandi scettici della storia della filosofia, sosteneva l'impossibilità di conoscere al di fuori dell'esperienza. Riformulò anche la legge di causa-effetto, considerandola una credenza priva di fondamento: non si può essere certi della connessione tra due eventi; si può solo riconoscere, attraverso le esperienze passate, che determinati eventi, in circostanze analoghe, si accompagnano sempre l'uno all'altro. La causalità diventa un'ipotesi generata dall'abitudine psicologico-associativa dell'uomo.
Fra le diverse nozioni di causa elaborate da Aristotele, il pensiero moderno, a partire da Descartes, avrebbe conservato quasi esclusivamente il concetto di causa efficiente, rielaborandola in una prospettiva di carattere meccanicistico. In altri termini, i filosofi naturali del XVII e del XVIII secolo concepivano la causalità come una relazione necessaria fra grandezze fisiche in movimento, esprimibile attraverso una legge matematica. Tuttavia, continuava a riproporsi una nozione metafisica di causalità: lo stesso Descartes affermava che "solo Dio può essere la causa della sua idea connaturata alla mia mente", mentre Spinoza asseriva che Dio, l'unica sostanza che esaurisce in sé tutta la realtà, è causa di sé, vale a dire che la sua essenza implica l'esistenza. Il filosofo empirista David Hume sottopose il principio classico di causalità a una contestazione decisiva; egli negò che la relazione di causa ed effetto consistesse in una relazione necessaria, riconducendola invece a una costruzione ipotetica della mente originata dall'abitudine, spiegabile mediante la teoria dell'associazione fra le idee. In altri termini, il fatto che all'evento A segue l'evento B non può essere dimostrato a partire da A, ma solo constatato empiricamente o previsto in base all'abitudine a osservare una certa successione di eventi. La posizione di Hume indusse Immanuel Kant a considerare la causa una categoria dell'intelletto. Kant riteneva che il mondo oggettivamente conoscibile fosse il prodotto di un'attività sintetica dell'intelletto che unificava il molteplice delle nostre sensazioni; di Hume egli accettava il principio che nessuna regolarità empirica potesse fondare una legge universale e necessaria, ma riteneva che la causalità possedesse i requisiti di universalità e di necessità, in quanto costituisce una categoria mediante cui il nostro intelletto pensa la relazione tra i fenomeni sensibili: in altre parole la nostra mente non può conoscere gli eventi della natura se non in base al principio per cui "ogni cambiamento nella natura dipende da una causa". Nel pensiero contemporaneo, con la crisi del modello meccanicistico nella spiegazione dei fenomeni fisici, il problema della causalità ha perso in parte il rilievo centrale che ha avuto in passato: si sono avanzate ad esempio concezioni di tipo statistico delle leggi scientifiche, si è introdotto un modello indeterministico e probabilistico nella fisica, si è affermato che le leggi scientifiche non stabiliscono relazioni causali oggettive tra i fenomeni, ma descrivono solamente sequenze uniformi di eventi che devono essere sempre nuovamente verificate dagli osservatori.

 

DETERMINISMO:

 

1  INTRODUZIONE

Determinismo Dottrina filosofica secondo la quale ogni evento, sia mentale sia fisico, è predeterminato da cause, in maniera tale che non c'è posto nella natura né per eventi che siano frutto del caso, né per libere scelte dell'uomo. Data una causa, l'evento seguirà inevitabilmente, travalicando così l'elemento della casualità o della contingenza. Occorre distinguere il determinismo da qualsiasi concezione che affermi la presenza di un destino o di un fato: mentre il fatalismo comporta il riferimento a una necessità cieca e misteriosa, oppure la credenza in un ordine razionale e divino delle cose (come nel caso della dottrina dei filosofi stoici), il determinismo fa riferimento solo alla concatenazione necessaria di cause in senso meccanico e costituisce una particolare forma di generalizzazione sul piano metafisico della concezione moderna della causalità. Sebbene le sue origini possano essere ricondotte all'antica dottrina atomistica di Democrito, il determinismo costituisce una tendenza propria della filosofia moderna, che nasce nel XVII secolo come tentativo di estendere all'interpretazione di tutta la realtà il modello meccanicistico dell'impresa scientifica. Se ne può trovare una prima e grandiosa formulazione nella filosofia di Spinoza: egli ritiene infatti che le due serie parallele degli eventi fisico-corporei, da un lato, e delle idee e degli affetti psichici, dall'altro, procedano secondo una medesima necessità causale, essendo attributi di un'unica sostanza divina identificata con la natura.
Baruch Spinoza Filosofo razionalista e pensatore religioso del XVII secolo, Baruch Spinoza è considerato il più rappresentativo esponente moderno del panteismo di matrice deterministica. La più completa espressione del suo sistema filosofico è contenuta nell'Ethica more geometrico demonstrata (1677). Secondo Spinoza, l'universo è identificabile con Dio, fondamento assoluto, sostanza eterna e incorruttibile di tutte le cose. La pluralità degli oggetti del mondo fisico e delle idee sono determinazioni particolari di tale sostanza, e nell'uomo la conoscenza intuitiva di Dio è fonte di un amore intellettuale che viene da Dio stesso. Il pensiero di Spinoza, incentrato su un determinismo naturale che nega la dottrina del libero arbitrio, giunse a una totale confutazione dei concetti di Provvidenza e di persona divina: per questo motivo incontrò l'ostilità degli ambienti religiosi del suo tempo.The New York Public Library 

 

2  DETERMINISMO FISICO E MORALE

L'uomo non è soltanto un ente naturale soggetto alle leggi causali, ma è anche un'intelligenza dotata di una volontà...
Non tutti i filosofi che hanno accettato o teorizzato il determinismo in campo scientifico hanno esteso tale approccio anche alla sfera morale dell'uomo, negando la libertà del singolo. Descartes distingue la dimensione della realtà corporea ed estesa, dove tutti gli eventi fisici sono regolati da leggi meccaniche, dalla realtà inestesa e spirituale dell'anima umana, cui appartiene il libero arbitrio. Dal canto suo Kant, se afferma che la conoscenza scientifica non può fare a meno di concepire il mondo dei fenomeni come assolutamente determinato da leggi causali, non rinuncia però a riferirsi alla libertà di autodeterminazione dell'uomo per quanto riguarda l'agire morale: accanto al mondo dei fenomeni abbiamo infatti il mondo intelligibile, nel quale l'uomo non è soltanto un ente naturale soggetto alle leggi causali, ma è anche un'intelligenza dotata di una volontà, capace di scegliere la direzione della sua azione. Non sono mancati però i filosofi che hanno affermato un rigido determinismo anche sul piano morale: si tratta in particolare di alcuni illuministi del XVIII secolo che formularono dottrine di tipo materialistico, ad esempio Helvétius, d'Holbach, La Mettrie. Nel corso dell'Ottocento il tentativo di spiegare in senso deterministico anche i fenomeni spirituali fu perseguito dai filosofi positivisti, che ricondussero il pensiero a cause materiali di ordine meccanico o biologico, richiamandosi alla teoria dell'evoluzione per ipotizzarne un'estensione dal piano biologico al piano sociologico. Non sono neppure mancate forme di determinismo sociologico ed economico che concepiscono i comportamenti individuali e gli eventi mentali come le dirette conseguenze di leggi sociali oppure di strutture economiche (come è avvenuto per alcuni seguaci del materialismo storico di Marx).

 

3  IL DETERMINISMO E LA SCIENZA

All'inizio dell'Ottocento l'astronomo francese Pierre-Simon de Laplace scriveva: "Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell'universo come l'effetto di un dato stato anteriore e come la causa di ciò che sarà in avvenire". Su questa base egli riteneva che un'ipotetica intelligenza, cui fossero note in un dato istante tutte le forze che agiscono in natura, sarebbe in grado di prevedere tutti gli stati successivi dell'universo. Oggi una simile concezione è stata abbandonata dagli scienziati. Gli sviluppi della fisica nel Novecento, la nascita della meccanica quantistica e il principio di indeterminazione di Heisenberg hanno fatto cadere il modello deterministico di Laplace, orientando la scienza verso una concezione probabilistica o statistica della causalità.

 

ELEMENTO:

sostanza omogenea nelle sue parti, nella filosofia antica, principio di tutte le cose, costituente semplice e indivisibile della materia e dei corpi.
Elemento deriva dal latino elementum, la cui etimologia non è completamente nota. Il vocabolo latino riprende il greco stoicheion che significa principio, inizio, componente minimo. Gli elementi sono infatti le sostanze semplici che compongono il tutto.
Questo termine viene impiegato in numerosi ambiti ogni qual volta si voglia indicare un'entità essenziale e primitiva inserita in un contesto più complesso.
In molti sistemi filosofici, un'elemento è una forza primaria, da cui tutte le cose sono create. Si usa spesso per spiegare lo schema della natura. Il sistema elementale greco è quello più conosciuto in Europa, che comprende cinque elementi base (Terra, Acqua, Aria, Fuoco ed Etere), e che è arrivato fino ai giorni nostri. Altri sistemi, come quello indiano e cinese, sono tuttora alla base del Buddhismo e dell'Hinduismo.

 

FATALISMO:

concezione secondo cui ogni evento è causato da un destino prefissato e immutabile che non può essere controllato né modificato dalla volontà individuale. Spesso confuso con il determinismo, secondo cui ogni evento è determinato dagli eventi precedenti secondo un rapporto di causa ed effetto, il fatalismo ritiene invece che gli eventi non siano legati da connessioni causali: un evento fatale non accade conformemente a una legge naturale, ma in virtù di decreti misteriosi emanati da un potere sconosciuto. Sia il fatalismo sia il determinismo, così reciprocamente distinti, si differenziano inoltre dalla predestinazione, che è una forma di determinismo a cui si aggiunge la credenza in un potere sovrannaturale che ha stabilito una sequenza di cause naturali che determinano l'evento.

 

FILOSOFIA:

nella tradizione greca classica, il termine philosophía (“amore della sapienza”) era riferito a uno stile di vita guidato dalla ricerca della verità; tale ricerca, andando oltre l’immediatezza degli eventi osservati, doveva scoprirne l’origine impedendo agli interessi pratici di restringere e limitare il campo di indagine. La qualificazione di filosofo come colui che ricerca la verità in modo disinteressato e critico è riconducibile a Pitagora, mentre la definizione della ricerca filosofica come una modalità particolare di utilizzo del sapere, volta a procurare all’uomo un effettivo vantaggio, si rintraccia nell’Eutidemo di Platone.
Poiché attraverso i tempi è mutata la classificazione dei diversi campi della conoscenza, il termine “filosofia” ha subito molteplici slittamenti di significato. Ricorrono tuttavia due costanti nelle definizioni che di volta in volta sono state date della filosofia: la tensione all’universalità, ovvero il tentativo di strutturare una conoscenza sistematica che sia la più valida e la più estesa possibile, capace di indagare tutti gli aspetti dell’essere; e la prescrizione di una saggezza intesa come pratica di vita, ovvero l’indicazione di una condotta conforme ai risultati di tale indagine.
Nella tradizione occidentale, la riflessione filosofica si è articolata in discipline fondamentali quali la metafisica (la speculazione sull’essere e la realtà ultima); l’epistemologia (la riflessione intorno alle fonti, la validità e i limiti della conoscenza); l’etica (lo studio delle norme che regolano l’atto morale e i fini della condotta umana); l’estetica (l’indagine sulle categorie del bello); la logica (lo studio delle leggi del pensiero e del linguaggio); la politica (l’analisi delle forme di vita sociale). Il sapere, concepito come rivelazione o illuminazione, dunque strettamente connesso a una forma religiosa è oggetto privilegiato della teologia.
Anche nella tradizione orientale l’esercizio filosofico si è posto come espressione di saggezza pratica, ma nel contesto di insiemi dottrinali di carattere religioso. Prevale infatti nelle filosofie orientali l’idea dell’origine divina del sapere, che è rivelazione o dono, ed è pertanto difficilmente individuabile come filosofico in senso proprio.
Per quanto concerne il pensiero occidentale, si veda Filosofia occidentale. Sui sistemi filosofici dell’Estremo e Medio Oriente, rimandiamo a Filosofia cinese; Filosofia indiana; Buddhismo; Taoismo; Confucianesimo; Filosofia islamica.

 

FISIOLOGIA:

 

1  INTRODUZIONE

Fisiologia Disciplina che studia i processi chimici e fisici che si verificano negli organismi viventi, durante lo svolgimento delle funzioni biologiche. La fisiologia, in particolare, si occupa di attività fondamentali come la riproduzione, lo sviluppo, il metabolismo, la respirazione, la trasmissione degli impulsi nervosi (vedi Neurofisiologia) e il meccanismo della contrazione muscolare (vedi Tessuto muscolare).
Strettamente collegata all'anatomia, per lungo tempo la fisiologia è stata considerata una branca della medicina. Tuttavia, nel XVIII secolo è diventata una disciplina autonoma, grazie anche all'introduzione di strumenti d'indagine dei meccanismi biologici di derivazione chimica o fisica. Attualmente, vi è la tendenza a una sempre maggiore frammentazione della fisiologia e a una sua fusione con i molti rami specialistici delle scienze biologiche. Nella fisiologia si riconoscono tre ampie suddivisioni: la fisiologia generale, che si occupa dei processi di base comuni a tutte le forme viventi, la fisiologia funzionale dell'uomo e degli altri organismi viventi, che comprende lo studio delle funzioni in modo comparato, e la fisiologia vegetale, che studia la fotosintesi e altri processi della vita vegetale.

 

2  CENNI STORICI

I primi studi di fisiologia furono probabilmente intrapresi intorno al 300 a.C. dal medico alessandrino Erofilo, che pare vivisezionasse il corpo di criminali.

2.1  La nascita della fisiologia moderna

La nascita della moderna fisiologia risale alla scoperta della circolazione del sangue da parte del medico inglese William Harvey.
La nascita della moderna fisiologia risale alla scoperta della circolazione del sangue da parte del medico inglese William Harvey nel 1616. Poco più tardi, il biofisico italiano Giovanni Alfonso Borelli pubblicò alcuni studi fondamentali sul movimento degli animali, ipotizzando che il fondamento della contrazione muscolare si trovasse nelle fibre muscolari; il microscopista olandese Antoni van Leeuwenhoek fornì le prime descrizioni dei globuli rossi e degli spermatozoi, mentre l'istologo italiano Marcello Malpighi dimostrò l'esistenza dei capillari e studiò la fisiologia del rene, del fegato e della milza. Durante la seconda metà del XVII secolo il medico inglese Thomas Wharton compì il primo studio approfondito sulle ghiandole, delle quali comprese la funzione secretoria, mentre l'anatomista danese Nicolaus Steno dimostrò l'esistenza delle secrezioni delle ghiandole lacrimali e di quelle salivari. Il medico olandese Reinier de Graaf approfondì lo studio delle ghiandole, scoprendo i follicoli delle ovaie che portano il suo nome; inoltre condusse studi sui succhi pancreatici e sulla bile. Il medico inglese Richard Lower fu il primo a trasfondere sangue da un animale a un altro, mentre il francese Jean-Baptiste Denis riuscì a sottoporre per la prima volta un essere umano a una trasfusione sanguigna.
Nel XVII secolo vennero compiuti notevoli progressi nello studio della respirazione. Il fisiologo inglese John Mayow dimostrò che l'aria non era un unico composto, ma una miscela di varie sostanze, non tutte necessarie alla vita. Nel XVIII secolo il chimico britannico Joseph Priestley dimostrò che la proporzione di ossigeno essenziale per la vita animale è identica a quella necessaria per sostenere la combustione. Poco tempo dopo Antoine-Laurent Lavoisier, un chimico francese, isolò l'ossigeno, a cui diede anche il nome, e dimostrò che il sottoprodotto della respirazione è l'anidride carbonica.

2.2  La fisiologia nel XVIII e nel XIX secolo

La fisiologia moderna deve molto al lavoro compiuto nel XVIII secolo dal medico olandese Hermannus Boerhaave e dal suo allievo, lo scienziato svizzero Albrecht von Haller. Attraverso la loro critica agli iatrochimici (scienziati che ritenevano che la fisiologia comprendesse solo reazioni chimiche) e agli iatromeccanici (studiosi che pensavano che la fisiologia comprendesse solo reazioni fisiche), essi posero le basi per uno studio integrato della fisiologia. Haller fu, peraltro, il primo a sostenere che tutta la materia vivente possiede un'irritabilità.
Nella seconda metà del XVIII secolo il medico italiano Luigi Galvani dimostrò che era possibile provocare la contrazione dei muscoli della gamba di una rana stimolandoli con una corrente elettrica, mentre il fisiologo italiano Lazzaro Spallanzani studiò l'attività dei succhi gastrici nella digestione e la fecondazione e l'inseminazione artificiale negli animali inferiori.
Uno dei più importanti fisiologi del XIX secolo fu il francese Claude Bernard, che studiò il metabolismo dei carboidrati e il sistema nervoso autonomo, descrivendone molte funzioni. Il suo maggiore contributo fu l'enunciazione del principio secondo cui gli organismi viventi non sono mai a riposo, ma subiscono costanti modificazioni dinamiche che servono a mantenere il loro equilibrio interno, corrispondente a uno stato di buona salute. Nella prima metà del XX secolo i principi di Bernard furono ampliati dal fisiologo statunitense Walter Bradford Cannon, che chiamò questo stato dinamico omeostasi e dimostrò che il corpo poteva operare alcuni aggiustamenti per affrontare gravi pericoli esterni. Inoltre studiò anche alcuni processi come la regolazione interna del calore corporeo, l'alcalinità del sangue e la preparazione del corpo alla difesa attraverso la secrezione di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali.
Durante il XIX secolo vennero compiuti numerosi studi sulla fisiologia del sistema nervoso. L'anatomista scozzese Charles Bell descrisse le funzioni dei nervi sensoriali e di quelli motori, il francese François Magendie descrisse le funzioni dei nervi spinali e studiò i meccanismi della deglutizione e del rigurgito e il fisiologo francese Pierre Flourens studiò le funzioni del cervelletto e fu un pioniere dell'indagine fisiologica della psicologia animale. Infine, il fisiologo tedesco Johannes Peter Müller dimostrò che le percezioni sono determinate essenzialmente dall'organo che riceve l'impulso sensoriale, mentre il suo connazionale Ernst Heinrich Weber scoprì che il cuore umano è stimolato da due tipi di nervi (quelli che aumentano il battito cardiaco e quelli che lo inibiscono), riconoscendo, così, che il sistema nervoso autonomo è formato da due sezioni. Weber condusse, inoltre, indagini sui meccanismi della percezione.
Il primo laboratorio per lo studio delle basi fisiologiche della psicologia fu fondato dal fisiologo e psicologo tedesco Wilhelm Wundt nella seconda metà del XIX secolo.
Alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo l'impulso dato dalla nuova scienza della batteriologia portò a condurre numerose ricerche sull'immunità. Le figure più importanti in questo campo furono il naturalista russo Ilja Mecnikov, che analizzò i processi di fagocitosi, e il batteriologo e chimico tedesco Paul Ehrlich, che sviluppò una teoria sulla formazione degli anticorpi.
Più o meno nello stesso periodo lo scienziato britannico Edward Albert Sharpney-Schafer studiò la fisiologia delle ghiandole prive di dotti, dimostrando che l'iniezione di un estratto di ghiandole surrenali (in seguito risultato adrenalina) innalzava la pressione sanguigna. Molti anni dopo i fisiologi britannici William Maddock Bayliss ed Ernest Henry Starling scoprirono che l'iniezione di un estratto intestinale, la secretina, provocava la secrezione del succo pancreatico. Essi coniarono, inoltre, il termine "ormoni" per indicare le secrezioni che potevano influenzare il funzionamento di altri organi attraverso la circolazione del sangue. Studi successivi sugli ormoni fornirono informazioni importanti per la comprensione dei meccanismi di crescita e riproduzione.

 

3  PROGRESSI RECENTI

I principali progressi compiuti nel XX secolo comprendono la scoperta di nuovi ormoni, il riconoscimento del ruolo delle vitamine, la scoperta dei gruppi sanguigni, la messa a punto dell'elettrocardiografo e dell'elettroencefalografo per registrare l'attività del cuore e del cervello, e un approfondimento delle conoscenze sul metabolismo, il ruolo degli enzimi e il sistema immunitario.
La prima metà del XX secolo è stata testimone di grandi progressi nella conoscenza del meccanismo dei riflessi, che era stato elaborato inizialmente dal filosofo francese René Descartes come concetto filosofico per distinguere i riflessi involontari degli animali dalle reazioni più razionali degli esseri umani. Questo concetto fu affinato dal lavoro di alcuni zoologi tedeschi, che lo tradussero in termini fisici e divisero il comportamento nei vari riflessi che lo compongono. Una maggiore conoscenza fu resa possibile dal lavoro del neurofisiologo britannico Charles Sherrington, che dimostrò come i riflessi consentono al sistema nervoso di funzionare come unità. Il concetto di riflesso condizionato fu descritto per la prima volta nel XVIII secolo dal fisiologo scozzese Robert Whytt, pioniere dello studio dell'azione riflessa, e quindi venne sviluppato in seguito dal lavoro del fisiologo russo Ivan Pavlov. Sebbene il tentativo di Pavlov di estendere i principi del condizionamento (il metodo attraverso cui è possibile suscitare con maggiore frequenza o in modo più prevedibile le reazioni fisiologiche) ai processi mentali complessi non si sia dimostrato valido, la sua opera esercitò, comunque, un notevole impatto sulla psicologia e sulle metodiche dell'apprendimento e costituì una delle basi della disciplina del comportamentismo, fondata dallo psicologo statunitense John Broadus Watson. Anche il lavoro dello psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner sull'istruzione programmata, la base delle cosiddette macchine per l'addestramento, è fondata sulla teoria del condizionamento e del rinforzo.
Il XX secolo è stato testimone di altri progressi fondamentali nel campo della neurofisiologia. Il fisiologo britannico Edgar Douglas Adrian misurò e registrò i potenziali elettrici provenienti dagli organi di senso e dalle fibre nervose motorie, mentre Sherrington studiò l'azione di integrazione compiuta dal sistema nervoso. Il loro lavoro fu seguito da quello dei fisiologi statunitensi Joseph Erlanger e Herbert S. Gasser, che dimostrarono l'esistenza di differenze funzionali tra le fibre nervose e usarono l'oscilloscopio per registrare la variazione degli impulsi elettrici che si verificano in queste fibre. Studi successivi del biochimico statunitense Julius Axelrod, del fisiologo svedese Ulf von Euler-Chelpin e del medico britannico Bernard Katz dimostrarono il ruolo di alcuni composti chimici nella trasmissione degli impulsi nervosi. Queste indagini furono essenziali per comprendere processi fondamentali come il controllo della pressione sanguigna e le risposte dell'organismo alle situazioni di emergenza.

 

LOGOS:

 

1  INTRODUZIONE

Logos Nella filosofia e nella teologia antica, la ragione divina che agisce come principio ordinatore dell'universo.

 

2  ERACLITO

Nel VI secolo a.C. Eraclito fu il primo a usare il termine logos (in greco, "discorso") attribuendogli i significati di "legge universale del cosmo" e al tempo stesso di "ragione" umana che comprende tale legge e di "parola" che la esprime. Con il primo significato egli intendeva affermare che il mondo è governato da un logos eterno, ossia da un principio divino che produce l'ordine e la trama discernibile del divenire e del quale partecipa la stessa ragione umana: da questo principio, che Eraclito paragona al fuoco perennemente mobile e pur sempre identico a sé, nascono e periscono tutte le cose.

 

3  LA SCUOLA STOICA

Nello stoicismo, che si sviluppò dopo il IV secolo a.C., il logos fu concepito come la ragione che ordina il mondo, la cui dimensione fisica è rappresentata (come già in Eraclito) dal fuoco. Principio attivo dell'universo, il logos appare coincidere con Dio e al tempo stesso è inteso come una forza quasi fisica, un soffio divino (o pneuma) che permea e anima tutte le cose. A sua volta la ragione particolare dell'uomo è un frammento di questo logos universale.

 

4  I NEOPLATONICI

Nella filosofia neoplatonica, in particolare in Plotino, il logos mantiene la funzione di principio attivo e formativo del mondo, emanato direttamente dall'Intelletto divino. Già prima di Plotino, nel I secolo d.C. Filone di Alessandria aveva utilizzato il logos in funzione intermediaria fra Dio e il cosmo naturale, cercando al tempo stesso di sintetizzare la tradizione ebraica e il platonismo. Secondo Filone, il logos è un'entità intermedia posta tra Dio e la creazione e corrisponde alla Parola di Dio o intelligenza divina immanente al mondo.

 

5  LA DOTTRINA CRISTIANA: GIOVANNI EVANGELISTA

All'inizio del Vangelo secondo Giovanni, Gesù Cristo è identificato con il logos incarnato; in questo contesto il termine greco "logos" assume anche il significato di "parola di Dio" (reso nella traduzione latina con il vocabolo Verbum), preesistente alla creazione e incarnata nella persona di Gesù. Si dice infatti nel Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Giovanni, 1:1-3, 14). La concezione di Cristo esposta da Giovanni fu probabilmente influenzata dall'Antico Testamento e dalla filosofia greca, ma i primi teologi cristiani concepirono la seconda persona della Trinità in termini esplicitamente neoplatonici: il logos era il pensiero di Dio in cui sono contenuti tutti i modelli e gli archetipi (le idee platoniche) della creazione.

 

6  LE REGOLE DEL PENSIERO

La parola logos è anche all'origine del termine "logica": in questo senso essa significava originariamente "discorso" e "pensiero". Sebbene quest'impiego risalga già a Platone, fu Aristotele che pose al centro dell'indagine il logos concepito come espressione del pensiero e delle sue regole, studiando in particolare le proprietà degli enunciati e dei sillogismi.

 

MATERIALISMO:

 

1  INTRODUZIONE

Materialismo Dottrina filosofica secondo cui l'intera realtà è risolvibile in materia o deriva dalla materia. Secondo questa tesi, la materia è la realtà ultima, mentre la coscienza e in generale la realtà psichica sarebbero solamente manifestazioni di movimenti corporei, ad esempio trasformazioni chimico-fisiologiche a livello del sistema nervoso. Il materialismo è pertanto il contrario dello spiritualismo e dell'idealismo, che sostengono la supremazia dello spirito e considerano la materia come un aspetto o un'oggettivazione dello stesso.
Il materialismo estremo o assoluto costituisce una forma di monismo di tipo metafisico, configurandosi come una risposta alla questione della natura dell'essere. Generalmente i filosofi materialisti hanno professato l'ateismo, oppure hanno offerto una concezione della divinità che contrasta con le tradizionali visioni religiose. Sul piano morale, seppure con vistose eccezioni, i filosofi materialisti si sono fatti spesso interpreti di dottrine edonistiche, che fanno del piacere la guida della condotta.

 

2  IL MATERIALISMO ATOMISTICO ANTICO

Il materialismo filosofico ha origini antiche e ha conosciuto nel corso della storia varie formulazioni. Il primo filosofo materialista può essere identificato in Democrito, propugnatore dell'atomismo (Democrito Fondatore dell'atomismo, Democrito ricondusse il reale al movimento degli atomi nel vuoto, inteso come spazio geometrico che assume i caratteri del non essere parmenideo. Al fine di spiegare l'infinita varietà dei fenomeni naturali e le loro trasformazioni, secondo Democrito non è necessario postulare nessun altro elemento. Eterni, indistruttibili, immutabili, gli atomi si distinguono per forma, grandezza, ordine e posizione, proprietà quantitative da cui dipendono gli aspetti qualitativi delle cose.). Secondo questa concezione tutte le cose, compresa l'anima, consistono di aggregati di atomi, cioè di sostanze corporee indivisibili dotate di un'estensione minima, le quali si muovono nello spazio infinito. La formazione di questi aggregati avverrebbe per cause puramente meccaniche, senza che vi prendano parte cause di tipo finale, che corrispondono cioè a uno scopo o a un progetto consapevole di qualche intelligenza divina, sicché si può parlare di un orientamento deterministico del materialismo democriteo. Anche la dottrina di Epicuro si sarebbe rifatta a questa concezione, escludendo qualsiasi intervento divino nel mondo. L'universo, così come lo intendono Epicuro e il suo maggiore seguace, il poeta Lucrezio, è infinito ed è costituito solamente di atomi e di vuoto. Il nostro mondo è solo uno degli infiniti mondi che si formano e si dissolvono nello spazio infinito. Rispetto però al determinismo di Democrito, Epicuro ipotizza un principio di casualità nel movimento degli atomi, per il quale essi possono deviare dalla loro traiettoria originaria.

 

3  MATERIALISMO E MECCANICISMO

Nell'età moderna il materialismo atomistico, che era stato osteggiato in tutto il Medioevo cristiano, trovò nuove basi metodologiche e scientifiche nella visione meccanicistica della natura. Nel Seicento il filosofo inglese Thomas Hobbes pervenne a una forma di monismo materialistico, sostenendo che tutto ciò che esiste è riconducibile a corpi e può essere inteso in termini di materia e di movimento. Non solo la percezione sensoriale è spiegabile come modificazione indotta dall'oggetto corporeo sui nostri organi di senso, ma anche i fenomeni di tipo psichico, che altri filosofi ritenevano di natura spirituale e attribuivano all'anima, sono interpretabili come effetti di particolari movimenti dell'organismo. Questo modello materialistico e meccanicistico di spiegazione non riguarda solamente lo studio dei corpi naturali, ma viene applicato anche a quel corpo artificiale che è la società, composta da una molteplicità di "atomi", ovvero di individui.
Queste suggestioni teoriche sono riprese nel Settecento da alcuni pensatori illuministi, che fecero del materialismo un'arma teorica da contrapporre all'egemonia culturale della Chiesa e della tradizione religiosa. Furono filosofi materialisti Diderot, Holbach, Helvétius, che a diversi livelli si impegnarono in tentativi di spiegazione materialistica della natura vivente e delle stesse funzioni psichiche. Il medico La Mettrie teorizzò, dal canto suo, una concezione dell'uomo come macchina, per la quale anche le attività che sembrano funzioni dell'anima (dalle sensazioni al pensiero) possono essere spiegate come modificazioni della materia.
Queste idee trovarono un certo seguito anche nell'Ottocento, in particolare da parte di filosofi positivisti tedeschi, come Jacob Moleschott (1822-1893), Karl Vogt (1817-1895) ed Ernst Haeckel (1834-1919), i quali fondarono le loro dottrine materialistiche sulla generalizzazione di risultati di indagini biologiche e su ipotesi evoluzionistiche.
Claude-Adrien Helvétius Il filosofo francese Claude-Adrien Helvétius espose una dottrina sociale basata su principi edonistici, secondo la quale tutte le facoltà umane possono essere ricondotte al principio del piacere o del dolore e tutte le attività umane sono di fatto una conseguenza della ricerca del massimo piacere. Le sue teorie, espresse nel trattato Dello spirito, furono condannate come moralmente oltraggiose dalla facoltà di teologia della Sorbona e l'opera venne bruciata pubblicamente nel 1759.

 

4  IL MATERIALISMO STORICO E DIALETTICO

Karl Marx Karl Marx e Friedrich Engels sono i fondatori del socialismo scientifico. Nel Manifesto del partito comunista, pubblicato a Londra nel 1848, essi formularono le premesse teoriche del comunismo, inquadrando l'evoluzione dell'umanità in una prospettiva socioeconomica. La concezione del materialismo storico e la teoria della lotta di classe trovarono in quest'opera una prima sistematizzazione e vennero perfezionate poi nel Capitale. Le teorie marxiste diedero impulso alle lotte sociali che si moltiplicarono nella seconda metà del XIX secolo e che influenzarono profondamente ideologie e movimenti rivoluzionari nel XX secolo.Corbis 
Nell'Ottocento fece la sua apparizione soprattutto il materialismo storico di Karl Marx, il quale originariamente non si proponeva una spiegazione di tutta la realtà in termini di materia e di movimento, bensì un'interpretazione dello sviluppo storico a partire dalle trasformazioni delle strutture economiche. Secondo questa concezione le varie forme della coscienza degli uomini (come la morale, la religione, le sovrastrutture ideologiche in generale) sarebbero dipendenti dal processo della loro vita materiale, vale a dire dalle forze produttive, dai rapporti di produzione e dalle forme di divisione del lavoro attraverso cui essi soddisfano i loro bisogni primari. Nondimeno, sia Friedrich Engels sia Lenin estesero la dialettica, che Marx riprendeva dal pensiero di Hegel e impiegava come metodo di analisi della società capitalistica, a un'interpretazione complessiva di tutta la realtà, facendone la legge di sviluppo tanto della natura quanto della storia.
Nell'Ottocento fece la sua apparizione il materialismo storico di Karl Marx…
Sebbene il materialismo dialettico abbia goduto di ampia fortuna in Unione Sovietica e negli altri paesi comunisti, oggi esso appare una prospettiva filosofica marginale, mentre il materialismo storico mantiene un certo rilievo in sede storiografica come criterio di interpretazione del peso dei fattori economici nella storia.

 

MECCANICISMO:

In filosofia, ogni concezione che interpreta il reale in termini di processi meccanici e moto locale. Se tale approccio è applicato non solo al mondo naturale e fisico ma anche alla sfera del pensiero in genere si identifica sia col materialismo sia col determinismo.
Sorto nell’antica Grecia con Democrito ed Epicuro, il meccanicismo si affermò in età moderna in concomitanza della nascita dell’impresa scientifica, in particolare con Hobbes, Descartes e Galilei, e conobbe piena fioritura nell’Età dei Lumi.

 

METAFISICA:

ramo della filosofia che indaga la natura dell'essere. Generalmente la metafisica si suddivide in due discipline: l'ontologia, che si cura di determinare quali e quante specie distinte di entità popolino l'universo, e la metafisica propriamente detta, che si preoccupa di descrivere i tratti universali dell'essere, quelli cioè che definiscono complessivamente la realtà e che – si presume – caratterizzerebbero ogni possibile universo.

 

MONISMO:

in filosofia, dottrina che concepisce la realtà ultima come costituita da un'unica sostanza (dal greco mónos, "solo, unico"). Il monismo, perciò, si oppone tanto al dualismo quanto al pluralismo. La tradizione filosofica occidentale ha sviluppato tre tipi fondamentali di monismo: il monismo materialistico, il monismo idealistico e la teoria dell'identità tra spirito e materia. In base alla prima dottrina, ogni cosa, inclusi i fenomeni mentali, è riducibile al solo principio della materia, come nel materialismo. All'opposto, gli idealisti considerano la materia una forma di manifestazione dello spirito; nella terza dottrina, materia e spirito rappresentano due diversi aspetti di un unico genere di sostanza.
Benché i primi filosofi monisti risalgano all'antica Grecia, il termine "monismo" è relativamente recente: venne usato per la prima volta nel XVIII secolo dal filosofo tedesco Christian Wolff, per designare l'atteggiamento filosofico di quanti, ispirandosi al pensiero di Baruch Spinoza, cercavano di eliminare la dicotomia tra mente e corpo, affermando che i fenomeni materiali e spirituali sono attributi di un'unica sostanza.

 

ONTOLOGIA:

branca della filosofia che studia le modalità fondamentali dell'essere in quanto tale al di là delle sue determinazioni particolari.
Scienza che studia l’essere in quanto essere, al di fuori delle sue determinazioni particolari o fenomeniche.
In filosofia, l'ontologia, branca fondamentale della metafisica, è lo studio dell'essere in quanto tale, nonché delle sue categorie fondamentali. Il termine deriva dal greco on, ontos(genitivo singolare del participio presente di einai, il verbo essere) più lògos. Significa letteralmente "discorso sull'"essere".
L'ontologia ha legami con la teologia, in particolare per quanto riguarda alcune questioni fondamentali relative a Dio (ad esempio, "Dio esiste?"), alcune delle quali sembravano applicabili più in generale ad altri tipi di esseri.
Il termine ontologia "fu coniato soltanto agli inizi del XVII secolo da Rudolf Göckel per il suo Lessico filosofico e, autonomamente, da Jacob Lorhard per la sua Ogdoas Scolastica."

 

PLURALISMO:

qualsiasi dottrina filosofica che asserisce che la pluralità delle sostanze costituenti il mondo è irriducibile a una sostanza unica.
Teoria filosofica che considera la realtà costituita da una pluralità di enti.
n genere, con l’espressione pluralismo riferita agli antichi filosofi pluralisti greci, si suole indicare una posizione metafisica nuova che cercò di conciliare in qualche maniera la realtà del divenire e della molteplicità, che era stata in vario modo sostenuta dai primi filosofi naturalisti, con la teoria eleatica dell’essere unico e immutabile, che aveva invece svalutato il divenire ed il molteplice considerandoli mere apparenze.
Il problema dei pluralisti fu quindi quello di sostenere da un lato, che divenire e molteplicità possedessero una loro realtà e verità, che non fossero riducibili cioè a pure e semplici illusioni e parvenze, ad una sorta di "non essere" (nel senso parmenideo), dall’altro, che questo mondo dei fenomeni sensibili e naturali fosse comunque riconducibile a principi primi assoluti, eterni ed immutabili, cioè ad una visione metafisica unitaria, secondo quella esigenza che era stata molto sentita dagli eleati dell'unicità dell'Essere.
Si trattava quindi di trovare un nuovo equilibrio tra mondo sensibile e mondo metafisico, riconoscendo al primo una sua realtà e verità ed affermando nello stesso tempo la necessità di trovare un fondamento stabile, unitario ed eterno al fluire incessante degli enti naturali.
La caratteristica dei filosofi pluralisti (Empedocle, Anassagora, Democrito) consistette nell’ammettere una molteplicità di elementi all’interno dello stesso arché: il principio primo in un certo senso era come se si scomponesse e si moltiplicasse in una pluralità di elementi primitivi ed originari, ognuno di per sè immutabile.
Questo non implicava però una frattura o divisione dell’arché, che rimaneva unico in quanto arché, poiché tutti i suoi componenti, pur distinguendosi, appartenevano qualitativamente alla medesima essenza originaria ed assoluta e formavano quindi un unico principio: tuttavia l’unità dell’arché si declinava e si differenziava al suo interno in una pluralità di forme ed elementi.
Esistevano quindi per i pluralisti degli elementi originari immutabili, ciascuno dei quali simili all'essere parmenideo, dalla composizione dei quali, in una sorta di soluzione chimica, come sosteneva Empedocle, con gli elementi terra, acqua,aria e fuoco, ne venivano le differenze qualitative. Era la modifica della quantità a determinare le differenti qualità delle cose. Le quantità infatti sono certe mentre le qualità variano essendo percepite da una sensibilità che muta.
In questo modo veniva infranta quell’unità indifferenziata ed indeterminata che era tipica degli arché dei filosofi precedenti, soprattutto dell’essere eleatico: iniziò con i pluralisti quel processo di progressiva determinazione e differenziazione del principio primo che condusse poi alla teoria platonica del mondo delle idee.
Il problema dei filosofi pluralisti quindi non era più solo quello di ricercare semplicemente l’arché, ma era soprattutto quello di determinarlo, di indicarne ed individuarne forme e modalità intrinseche, facendolo uscire da quella sorta di indeterminatezza indistinta che lo aveva caratterizzato in precedenza. Infatti un arché troppo indeterminato ed indifferenziato, come l’essere eleatico, risultava essere non definibile, non pensabile e non dicibile: come si faceva a pensare e a dire qualcosa di completamente indeterminato?
La difficoltà però a cui andarono incontro i pluralisti consisteva nel fatto che questi molteplici esseri originari condividevano con la definizione dell'essere unico degli Eleati l'assenza di "non essere" e quindi l'immobilità.
Che cosa da questa originaria situazione di immobilità determinava poi il mescolamento degli elementi primitivi? da dove veniva la forza, fosse l'amore e l'odio per Empedocle, o il Nous di Anassagora, che metteva in moto il meccanismo della composizione e della nascita delle cose? Il divenire cacciato dalla porta rientrava dalla finestra.

 

POSTULATO:

proposizione non dimostrata ma ammessa ugualmente come vera in quanto necessaria per fondare un procedimento o una dimostrazione
Con questo termine si intende in filosofia una proposizione che è ammessa o che si chiede di ammettere come vera senza dimostrarla, al fine di rendere possibile una dimostrazione. Aristotele distingue fra assiomi e postulati: i primi sono dotati di evidenza immediata, come ad esempio il principio di non contraddizione, mentre i postulati non sono di evidenza immediata, ma si devono accogliere senza dimostrazione allorché si tratti di svolgere certi ragionamenti deduttivi. La distinzione fra assiomi e postulati è alla base della geometria di Euclide, dove riguarda rispettivamente le nozioni comuni e le proposizioni che si devono ammettere perché concernono l'esistenza di determinati elementi geometrici, mentre ha perso una chiara distinzione nella matematica e nella logica moderne, dove l'ammissione di verità evidenti di per sé è divenuta quanto mai problematica.
Un uso particolare del termine postulato è quello che ne fa Immanuel Kant quando parla dei postulati della ragion pratica. Con questa espressione egli si riferisce ai postulati riguardanti l'immortalità dell'anima, l'esistenza di Dio e la libertà, che, sebbene non possano essere legittimati epistemologicamente nell'ambito della metafisica, restano tuttavia principi e condizioni necessarie dell'etica.

 

RAGIONAMENTO INDUTTIVO E DEDUTTIVO:

 

1  INTRODUZIONE

Induzione e deduzione In logica si distingue fra induzione e deduzione, ossia fra un procedimento razionale che dall'esame di casi particolari giunge a una conclusione generale e un ragionamento in cui si trae una specifica conclusione a partire da una o più premesse.

 

2  L'INDUZIONE

Fondamento dell'induzione è il presupposto che, se qualche cosa è vera in una quantità di casi osservati, essa è vera anche in casi simili non ancora vagliati. In questo senso l'induzione consente di affermare, nella conclusione, qualcosa di più e di nuovo di quanto è contenuto nei casi particolari che fanno da premesse. Il suo limite sta nel non poter pervenire a conclusioni assolutamente certe, bensì a conclusioni dotate solo di un grado più o meno elevato di probabilità. Il filosofo David Hume, nel XVIII secolo, affermò che tutti i nostri ragionamenti induttivi, relativi cioè a esperienze ripetute di eventi osservabili, presuppongono la credenza nell'uniformità della natura, cioè che il futuro rassomiglierà al passato; ma a sua volta la credenza nell'uniformità della natura non può essere fondata induttivamente.
Già studiata nell'antichità da Aristotele, l'induzione viene articolata in una serie di regole da Francesco Bacone alle soglie dell'età moderna; nell'Ottocento il problema dell'induzione è al centro del Sistema di logica deduttiva e induttiva di John Stuart Mill e della Storia delle scienze induttive di William Whewell. Esso ritorna ancora nella filosofia della scienza del Novecento, e in particolare in quella dei neopositivisti: contro la tesi di questi, secondo cui l'induzione costituisce la via per stabilire la verità delle scienze empiriche, si è rivolta la critica di Karl Popper.

 

3 LA DEDUZIONE

La forma classica di ragionamento deduttivo, studiata già da Aristotele, è il sillogismo, nel quale la deduzione si configura come un ragionamento che discende da premesse universali a conclusioni particolari. Aristotele distingue peraltro la deduzione in generale dalla dimostrazione (o deduzione perfetta), la quale consiste in un sillogismo le cui premesse sono vere, e pertanto vera sarà anche la conclusione. Ma una deduzione rimane valida anche nel caso si tratti di un sillogismo le cui premesse non sono vere, ma solamente probabili: è proprio infatti della deduzione il carattere di rigorosa necessità per cui si passa da una premessa a una conclusione. Nella logica, successivamente ad Aristotele, si sono prese peraltro in esame altre e numerose forme di procedimento deduttivo differenti dal sillogismo, studiando il problema della deduzione nelle sue strutture formali, prescindendo cioè dai contenuti delle proposizioni che compongono i ragionamenti deduttivi.
Nella storia della filosofia la deduzione ha avuto un rilievo centrale soprattutto nella tradizione del razionalismo moderno, nella quale è stata interpretata sul modello della matematica, piuttosto che su quello della sillogistica aristotelica.

 

RELATIVISMO:

posizione filosofica secondo la quale ogni conoscenza è soggettiva, relativa cioè al punto di vista di un singolo individuo, e pertanto non esistono verità assolute in campo epistemologico o principi immutabili in ambito etico.
Le origini del relativismo vengono tradizionalmente ricondotte all'antica sofistica, in particolare al pensiero di Protagora, secondo cui "l'uomo è la misura di tutte le cose" e ciascuno giudica il valore di verità di un'asserzione in base alla propria prospettiva conoscitiva. Anche gli scettici, ad esempio Pirrone, partono dalla convinzione che sia impossibile accedere a una conoscenza universalmente valida e che il punto di vista individuale resti metro e misura di ogni acquisizione conoscitiva. Tutto ciò che viene detto sulla natura delle cose è il frutto di affermazioni umane, e dunque arbitrarie. La consapevolezza che niente può essere realmente conosciuto ricorda ai saggi che devono astenersi da qualsiasi giudizio.

 

RETORICA:

 

1  INTRODUZIONE

Retorica Opera tecnica di Aristotele composta intorno al 329 a.C. La retorica, come la dialettica, non ha un oggetto specifico ed è propria di tutti gli uomini, perché a tutti capita di esprimere un’opinione e di doverla sostenere. La retorica nacque in Sicilia nell’ambito del dibattito giudiziario, e il suo uso si estese alla politica ateniese tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C.

 

2  POETICA, DIALETTICA E RETORICA

Aristotele differenzia la retorica dalla poetica, che dipende da un approccio suggestivo della declamazione basato sulla memoria ed è facilitata dalla ritmica e dalla versificazione. I fini della poetica non sono solamente il piacere generato dal ricorso onirico al mito o alla finzione, ma anche didattici. Anche la dialettica si mette in opera nel quadro di scambi dialogici fondati su ragionamenti contraddittori destinati a un uditorio ristretto.
La retorica invece si lega alla risoluzione pragmatica di un problema preciso: si rivolge infatti a un vasto pubblico, che deve essere convinto ricorrendo ai “luoghi comuni” e alle figure retoriche. Nella definizione di Aristotele, la retorica è “il potere di scoprire per tutte le questioni ciò che è suscettibile di persuadere”.
Aristotele riconosce tre generi di retorica: deliberativa, cioè relativa a un giudizio su una situazione futura, serve a mostrare se una cosa sarà utile o dannosa; giudiziale, cioè relativa a un affare passato, serve ad accusare o a difendere; dimostrativa, quando a partire dall’osservazione di fatti contemporanei deve favorirne l’elogio o il biasimo.

 

3  L’ORATORE, L’UDITORIO E IL DISCORSO

L’oratore, per persuadere il suo uditorio, può utilizzare diverse tecniche, tra cui l’entimema (sillogismo nel quale una delle due premesse è taciuta e la sua esistenza viene dedotta dall’ascoltatore dalla verosimiglianza del resto del ragionamento) e l’esempio (che fa inferire generalizzazioni a partire da premesse probabili particolari).
Aristotele riprende poi le questioni relative alla prova, quindi si dedica a quelle concernenti il carattere e la credibilità dell’oratore, come le quattordici passioni ed emozioni che animano l’uditorio, che sviluppa lungamente: per essere efficace la retorica deve prendere in considerazione la psicologia. Le passioni esprimono ciascuna un modo d’essere se stessi in rapporto agli altri. Per essere persuasivo il retore deve prendere in considerazione i diversi punti di vista possibili dell’uditorio, che sono i “luoghi comuni” (tópoi), di cui è necessario stendere una lista per utilizzarli e abbracciare la totalità di una questione.
Aristotele considera infine le diverse forme del discorso. Per quanto riguarda lo stile, insiste sul ritmo e l’armonia, ma anche sul modo di rendere vivo un discorso. Per quanto riguarda l’ordine delle idee e degli argomenti, la filosofia esamina le due parti indispensabili del discorso (l’esposizione del soggetto e la prova) in rapporto ai tre generi che ha definito. L’oratore dovrà stare attento a non “soffocare” mai lui stesso l’oggetto del suo discorso.

 

SILLOGISMO:

forma di argomentazione logica nella quale, a partire da due proposizioni, o premesse, si trae necessariamente una conclusione. Il ragionamento sillogistico fu studiato per primo da Aristotele, che ne evidenziò il carattere di deduzione necessaria. Esso consiste di due premesse e una conclusione nelle quali entrano in gioco tre termini; nelle due premesse è presente un termine medio che consente di connettere fra loro gli altri due termini. L'esempio più classico di sillogismo, fornito da Aristotele, è il seguente: "tutti gli uomini sono mortali" (premessa maggiore), "i greci sono uomini" (premessa minore), "i greci sono mortali" (conclusione). Il termine medio che consente di connettere in maniera necessaria "mortali" e "greci" è "uomini". Aristotele enuncia inoltre diverse forme di sillogismo, a seconda che le proposizioni che lo costituiscono siano affermative o negative, particolari o universali. Nella logica contemporanea il sillogismo di derivazione aristotelica ha perduto la sua posizione esemplare di ragionamento deduttivo, soprattutto dopo l'individuazione di più complessi criteri di inferenza fra le proposizioni.

 

SOFISTI:

in origine, il termine "sofista" (dal greco sophistés, "sapiente", "maestro di sapienza") era usato nell'antica Grecia per designare una persona dotta; dal V secolo a.C. furono definiti sofisti alcuni maestri itineranti che impartivano un'istruzione superiore a pagamento. Ai sofisti si deve una trasformazione profonda dell'indagine filosofica rispetto ai pensatori che li avevano preceduti. Con loro infatti l'indagine si sposta dalla ricerca del principio (arché) di tutte le cose a una disamina del linguaggio umano nelle sue forme espressive e comunicative, indipendentemente dalla sua funzione rilevatrice della verità, e a una pratica di insegnamento della virtù, intesa come virtù politica. Fra i maggiori sofisti occorre ricordare Protagora, Gorgia, Ippia di Elide e Prodico di Ceo. A Protagora si deve la concezione per cui "l'uomo è misura di tutte le cose": contro l'idea di una verità assoluta, egli fece valere il principio del carattere relativistico della verità in rapporto alla molteplice esperienza che ciascun uomo fa delle cose. In generale i sofisti condivisero la concezione che la verità e la morale sono solamente opinabili; essi approfondirono pertanto le forme di espressione persuasiva, come la retorica, utili per affrontare con successo la vita pubblica. Gorgia in particolare sottolineò come il linguaggio non rispecchiasse la realtà, ma fosse uno strumento di persuasione che consentiva all'oratore di far leva sulle emozioni dell'uditore.
I sofisti misero radici soprattutto ad Atene, dove il loro atteggiamento relativistico, che non ammetteva verità assolute nel campo della conoscenza e valori assoluti nel campo dell'etica, attirò numerose critiche. Socrate, Platone e Aristotele misero in discussione il relativismo che era alla base delle concezione sofistiche. Di fatto la loro critica contribuì alla svalutazione della sofistica, anche perché nel frattempo questa si era trasformata nell'"eristica", che consisteva nel tentativo di "confutare qualsiasi cosa si dica, vera o falsa che sia", allo scopo di prevalere nelle discussioni. A questa pratica si riferisce peraltro il termine moderno "sofisma", che definisce un ragionamento sottile e ingannevole o addirittura falso. Tuttavia, nelle sue originarie motivazioni, la prima sofistica fu un importante movimento intellettuale, che contribuì a mettere in discussione insegnamenti e valori della cultura greca arcaica, sottoponendoli all'esigenza di una verifica razionale.

 

Fonte: http://www.ibvolta.altervista.org/Filosofia/Filosofia.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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