Filosofia politica di Hegel Locke Fichte Platone

 

 

 

Filosofia politica di Hegel Locke Fichte Platone

 

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Dallo stato etico hegeliano alle riflessioni sul totalitarismo di Hannah Arendt
di Rita Piccini
 
1_   Hegel e la filosofia dello stato: lo stato etico
Lo stato rappresenta per Hegel il momento culminante dell’ eticità, ossia il riaffermamento dell’ unità della famiglia (tesi) aldilà della dispersione della società civile (antitesi). Lo stato è la sostanza etica consapevole di sé , la riunione del principio della famiglia e della società civile. Di conseguenza lo stato non implica una soppressione della società civile, ma lo sforzo di indirizzare i particolarismi verso il bene collettivo. Questa concezione etica dello stato prevede una assoluta supremazia delle leggi sulla morale: sono le leggi  a fondare la morale. Il modello statale di Hegel si differenzia dai modelli liberali di Locke e Kant che vedono nello stato lo strumento per garantire sicurezza   e diritti ai singoli cittadini,  e dal modello democratico di Rousseau che fonda la sovranità nel popolo. Avendo consapevolezza di sé come totalità etica, ciascuno stato non riconosce al di sopra di sé nessun’ altra autorità e  la guerra diventa uno strumento necessario per riaffermare il proprio diritto e per difendere la propria sicurezza.                                                                                                         

 

Lo stato fonda la sua sovranità  e la sua ragion d’ essere in sé medesimo e  non nel popolo. Lo stato si impone come prius logico e  cronologico. (Principi che rifiutano i modelli contrattuali stie  giusnaturalismi).
2-   Karl Popper: interpretazioni della filosofia politica di Hegel come nemico della società aperta 
                                                                  La filosofia politica di Hegel è stata ampiamente discussa e ha dato origine ad una serie di interpretazioni diverse: una fra queste è quella di Karl Popper che scorge in Hegel politico un nemico “della società aperta” ed un profeta del totalitarismo. Molti sono i punti che costituirebbero, secondo Popper, una sorte di “arsenale teorico” da cui avrebbero attinto a piene mani i fautori del totalitarismo. In generale, la filosofia statalistica di Hegel sarebbe servita a giustificare il primato del Collettivo ( comunque inteso: Nazione, Stato, Razza, Classe, Partito ecc) sull’ individuale. A questo proposito è emblematica la voce “Dottrina del fascismo” redatta da Giovanni Gentile per l’ Enceclopedia Treccani e firmata da Mussolini : “…caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello stato, della sua essenza, dei suoi compiti,delle sue finalità. Per il fascismo lo stato è un assoluto, davanti al quale gli individui e i gruppo sono il relativo. Individui e gruppi sono pensabili solo in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il gioco e  lo sviluppo materiale e  spirituale della collettività, ma si limita a registrarne i risultati. Lo stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà, per questo si chiama Stato etico. “

3_   L’industrializzazione e la società di massa
Occorre precisare che Hegel può essere letto solo come il teorizzare di alcune idee la cui degenerazione potrebbe portare alla formulazione di uno stato totalitario poiché allo stato Hegeliano manca l’ intero retroscena storico-sociale che ha permesso l’ attecchimento degli stati totalitari. Fondamentale per la diffusione dei totalitarismi del novecento è stata la Società di massa.  La società di massa inizia a diffondersi nella prima metà del 1900.  E’ una fase della modernità (più propriamente denominata postmodernità) in cui si tenta di omologare gli individui in modo da renderli uguali anche nel consumo così da ripristinare un equilibrio fra domanda  e offerta che con la grave crisi del 1929 si era inevitabilmente alterato. All’  “homo faber”, all’ individuo produttore dell’ epoca precedente, in cui tutto era volto ad una massimizzazione delle condizioni di produttività (Taylorismo), si sostituisce un individuo consumatore.                                 

Il clima culturale che fa da sfondo a queste trasformazioni è il positivismo; quest’ ultimo può essere riassunto come quella corrente culturale che guarda solo ai dati quantitativamente verificabili e misurabili: anche l’ uomo quindi deve essere ridotto esclusivamente a  corpo.

4-   La standardizzazione “razionale”  nella società di massa e l’inutilità dell’imprevedibilità umana
Freud scopre l’inconscio ma la definizione che ci offre è in negativo, ci dice ciò che “non è”. Di ciò che non conosciamo abbiamo paura e, dunque, l’ “altro ci fa paura perché portatore della stessa nostra dimensione inconscia. L’ unica soluzione è svuotare l’ uomo di questa dimensione e ridurlo a estrema RAZIONALITA’. [vedi lettura H. Arendt da “le origini del totalitarismo”<<Che cosa sia veramente oggi il male radicale non lo so, ma mi sembra che in un certo modo abbia a che fare con i seguenti fenomeni: la riduzione degli uomini in quanto uomini ad essere assolutamente superflui, il che significa non già affermare la loro superfluità nel considerarli mezzi da utilizzare, ciò che lascerebbe intatta la loro natura umana e che offenderebbe solo il loro destino di uomini, bensì rendere superflua la loro qualità stessa di uomini. Ciò avviene quando si elimina qualsiasi imprevedibilità che è nel destino e alla quale corrisponde negli uomini la spontaneità […]Se l’uomo in quanto uomo fosse onnipotente, allora non sarebbe necessario domandarsi perché devono esistere gli uomini […] In questo senso l’onnipotenza dell’uomo rende superflui gli uomini…>>]. La vera identità dell’ individuo risiede solo nella ragione; Hannah Arendt, invece, criticando questa concezione, ritiene che l’ identità dell’ uomo risieda nella sua imprevedibilità, nella sua dimensione creativa e istintuale. Questa dimensione creativa e istintuale mette paura proprio per la sua incontrollabilità e  in gestibilità ed è allora necessario eliminarla. La concezione di fondo è un’ assoluta negatività e  sfiducia nell’ uomo che deve essere controllato dalla dimensione sociale: il sociale nasce per controllare il singolo. Resi tutti uguali in nome della ragione, gli individui si trovano omologati all’ interno di una società che vuole solo controllarli e manipolarli.                                                                                                                                                            

 Ecco come la società di massa ha permesso l’ attecchimento dei regimi totalitari. [ letture H. Arendt da “Le origini del totalitarismo”.)

5-  Regimi totalitari, il consenso delle masse e l’annietamento dello specifico umano
                                                                                                                                                   

Il Regime totalitario è un regime in cui Stato e  Società civile coincidono. A seconda di una maggiore o minore coincidenza possiamo distinguere fra totalitarismi perfetti o imperfetti. I totalitarismi hanno come caratteristica fondamentale quella del paradossale consenso delle masse derivante dalla capacità di annullare la capacità di pensare e di provare sentimenti; ecco perché i totalitarismi nazisti  e fascisti sono stati definiti fenomeni di iperrazionalità. I punti fondamentali che permettono la realizzazione del totalitarismo sono: la propaganda, il mito del capo, il terrore e la degenerazione della società di massa.  [letture di H. Arendt da “la banalità del male”.]
6-  La banalità del male e il male  radicale
Con l’arresto di Eichmann, esponente della milizia nazista fuggito in Argentina dopo la disfatta tedesca, la Arendt si reca, come inviata speciale, a seguire il processo nel quale si muove causa a quello che, nell’immaginario collettivo, è il mostro per antonomasia, colui che incarna “il male radicale”.
In una lettera a Scholem, la Arendt si esprime così: «Ho cambiato idea e non parlo più di "male radicale". […] Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso "sfida" […] il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene è profondo e può essere radicale». La spaesante conclusione cui ella perviene è che Eichmann non è un mostro demoniaco né un essere "non umano" e che anzi il demonizzarlo, come facevano in tanti, portava con sé il grave rischio che gli si conferisse una grandezza che non gli spettava, una grandezza diabolica. Emerge, invece, la figura di un Ponzio Pilato che, scevro da qualsiasi responsabilità, si libera da ogni colpa, trasformandosi in un meschino esecutore di ordini: da ciò, la Arendt deduce che Eichmann non pensa, che rappresenta la perfetta incarnazione del totalitarismo e dell’ideologia. Chiamato a difendersi, egli afferma di aver agito "kantianamente" e di aver seguito la volontà di Hitler, non capendo che «l’etica di Kant si fonda soprattutto sulla facoltà di giudizio dell’uomo, facoltà che esclude la cieca obbedienza». Nel male che l’uomo può commettere, allora, non vi è né un convinto amore di Satana, né una debolezza di volontà, né necessariamente un’intenzione , bensì una sorta  di analfabetismo morale, di mancanza di conoscenza etica che conduce ad un annebbiamento dei valori. Da questo punto di vista il male non mostra radici profonde, ma appare piuttosto come un fenomeno che dilaga ovunque gli uomini si dimostrino incapaci di pensare da soli. Eichmann stesso agisce mantenendosi rigorosamente nei limiti permessi dalle leggi ed il suo atteggiamento è quello di cieca obbedienza nei confronti dei capi, fra l’altro condivisa da un’ampia massa di uomini come lui. Heichmann, agì in un clima di forte conformismo in cui le sue azioni erano moralmente giuste per la collettività : era uno dei numerosissimi ingranaggi che portarono avanti la macchina del nazismo.
Il male, allora, prende possesso degli individui e diviene “banale”, conformandosi alla società, ai suoi usi e costumi. Ciò che si palesa è che la moralità è strettamente connessa al periodo storico, ai costumi ed al luogo in cui ci troviamo e dunque, se il nazismo fosse uscito vincitore dalla guerra, probabilmente Eichmann sarebbe ricordato come un eroe e molti di coloro che sostennero il regime, mai si sarebbero pentiti.
Di fronte ad una situazione di questo genere, la Arendt si domanda come sia possibile resistere al regime mantenendo la propria facoltà di giudizio ed arriva alla conclusione che i non partecipanti sono gli unici che osano essere "giudicati da loro stessi"; e sono capaci di farlo perché essi si domandano fino a che punto sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe azioni. Proprio per questo, il termine "obbedienza" dovrebbe essere eliminato per sempre dal vocabolario politico e morale , mantenendo la sua applicazione unicamente nella sfera religiosa e solo in questo modo, attraverso l’esercizio del pensiero e riconoscendo la responsabilità delle nostre azioni, potremmo riacquistare la dignità di esseri umani.

 


H. Arendt, Lettera a Gershom Scholem, 1963.

H. Arendt, La banalità del male, pp.142-45.

Ivi, pp. 282-83.

H. Arendt, La banalità del male p. 295.

«La politica non è un asilo: in politica obbedire ed appoggiare sono la stessa cosa» H. Arendt, La banalità del male, p. 284.

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/filosofia/Stato%20etico%20hegeliano%20relazione%20ultima.doc
Autore: di Rita Piccini

 

Goerg Wilhelm Friedrich Hegel ( Stoccarda  1770- Berlino 1831)


Piccola introduzione. Manuale unità 9, pag 534  e ss

Hegel è il massimo filosofo romantico tedesco, esponente dell’ idealismo, e maestro di una vasta schiera di pensatori che si ispirarono alle sue opere.
La sua vita si svolge tutta in Germania all’interno della scuola e dell’insegnamento come precettore privato e poi nella scuole pubbliche e nell’università, culminando la carriera all’università di Berlino, capitale di quel  regno di Prussia  che diventa, nell’ 800,  stato più importante in Germania e, nel 1870, fautore della unificazione tedesca. I dettagli della sua vita li studi  a pag. 534 del manuale.
Hegel fonda con altri filosofi romantici il “Giornale critico della filosofia” dove pubblica i suoi primi articoli; nel 1807
stampa la sua prima opera importante: “ La fenomenologia della spirito” che è uno dei capolavori dell’idealismo tedesco. Nel 1812 compone “ Scienza della logica” e nel 1817 esce “ Enciclopedia della scienza filosofiche in compendio” che racchiude l’esposizione più completa del suo sistema filosofico. Altre sue opere sono state pubblicate postume,  dagli appunti dei suoi allievi. Leggi, sulle sue opere, a pag560- 561.
Hegel, in conclusione, ci ha lasciato molte opere, su praticamente tutti gli aspetti della filosofia: la storia, il diritto, lo stato, l’estetica, la religione, la logica. L’impronta del suo pensiero ha condizionato la filosofia dell’800 e dopo la sua morte la sua scuola si è divisa tra destra e sinistra hegeliana: il massimo esponente della sinistra hegeliana è Karl Marx.
Oltre che per la quantità, le opere di Hegel sono note per l’oscurità e la difficoltà di lettura: qualcuno ha notato che anche lo stile faticoso e complesso di Hegel riflette la complessa  articolazione del suo pensiero e quasi lo esemplifica.

E’ impossibile ridurre Hegel a schemi divulgativi, senza perdere parte, anche importante, del senso del discorso;  alcuni punti fermi possono però essere utili per aiutare a capire:

  1. la realtà non ha una struttura statica e definita una vota per tutte: “ nei diversi aspetti della vita intellettuale e spirituale è un errore cercare una posizione definitiva. Ogni certezza che si consideri come l’assoluto e la perfezione finisce per irrigidirsi in una visione isolata e determinata della verità, e con irrigidirsi in una cosa finita e morta.” ( D’Isola).  La realtà, e anche la conoscenza, è un continuo divenire e un continuo trasformarsi: un processo ininterrotto e dominato della dialettica, cioè da momenti che si pongono come ostacolo, negativo, estraneo, e che vengono superati a un livello superiore  ( secondo il ben noto schema triadico: tesi, antitesi e sintesi).  Il negativo, l’altro, l’oggetto estraneo non è quindi, per Hegel,  un aspetto eliminabile o di cui si può fare a meno, nella vita e nel pensiero: anzi è indispensabile per il procedere della dialettica, che è la struttura stessa del reale. Esiste la vita perchè esistono ostacoli che vengono superati a un livello superiore: lo” spirito” ( l’essenza profonda del reale) “ sa guardare in faccia il negativo” ( Hegel  ”Nel processo dialettico, - radice profonda del reale-  niente si perde, ma ogni momento conserva e allo stesso tempo realizza pienamente tutti quelli che lo hanno preceduto, nell’arricchimento continuo della vita.” ( D’ Isola) . Ma è importante ( anzi, dice Hegel, reale) il processo,  non la singola fase, o il risultato ultimo ( che non è mai definitivo o conclusivo). “ Il vero, dice Hegel, è l’ intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo” :  cioè la verità ( e la realtà: vero e reale coincidono) è lo sviluppo intero di un processo infinito che procede dialetticamente, cioè ponendo e superando gli ostacolo e l’estraneo. La fase staccata dello sviluppo, il particolare, il finito in sé non hanno significato, non sono “ veri”,  solo l’intero, cioè l’insieme del  processo dialettico,  è vero, ha una sua verità.

Vedi il testo 86 a pag 563

  1. Il secondo punto è legato al precedente: la dialettica è, allo stesso tempo, la struttura del reale e la struttura del pensiero: entrambi vivono nel processo dialettico del divenire.  Questo è il senso del celeberrimo aforisma hegeliano: “ ciò che è reale è razionale, e ciò che è razionale è reale” , cioè realtà e ragione hanno la stessa radice dialettica, anzi, nel profondo,  si identificano. Il reale ha una necessità logica, e la ragione autentica non può essere in contrasto con il reale.  Attento: questo non significa che nella storia (  cioè nel reale)  non ci siano momenti oscuri, di negatività o di “male”, ma che anche questo momenti dialetticamente si recuperano a un livello superiore: in se stessi, nella loro separazione,  sono irrazionali, ma nel processo complessivo non lo sono: e, come detto, solo l’intero è vero (“ il vero è nell’intero”)

Vedi il testo 88, p pag. 568

 

La fenomenologia dello spirito

 

Hegel  è un filosofo sistematico, cioè vuole costruire un “sistema” filosofico che dia ragione di tutto, che “ comprenda filosoficamente tutti gli aspetti della cultura e dell’azione umana” sia nel suo svolgersi storico ( dagli ebrei, ai greci, ai romani, al cristianesimo medioevale, all’epoca moderna) sia nelle varie attività della coscienza ( lo studio della natura, dell’uomo, il diritto, lo stato,  l’arte, la religione, la filosofia) . Esamina gli schemi  a pagina 559 e puoi avere un’ idea della grande complessità del tentativo di Hegel di sistemare tutto dentro un pensiero generale.
La fenomenologia, sua prima grande opera,  è proprio questo: il tentativo di esaminare come la coscienza umana si evolva dal grado più semplice di conoscenza ( la coscienza: la certezza sensibile, la percezione, l’intelletto: le riflessioni sull’oggetto), all’autocoscienza ( cioè le riflessioni sul soggetto) fino alla ragione ( che dialetticamente comprende che soggetto e oggetto non sono separati e tutto viene ricondotto sotto la categoria della “spirito assoluto”.   Vedi, per una idea, da pag 540.
E’ un’opera, come ti puoi rendere conto, complessa, da cui ti voglio proporre due “figure” ( cioè riflessioni, momenti storici e anche  ideali) diventati famosi: la coscienza infelice, e il rapporto servo-padrone.

-      la coscienza infelice.  Parlando dell’autocoscienza ( fenomenologia, seconda parte: il soggetto riflette su se stesso)  Hegel richiama uno dei principi che abbiamo visto: il vero è l’intero, cioè l’unione, non la separazione. La separazione genera solo infelicità e morte. La coscienza è infelice perché si sente separata ( cioè non comprende  l’unita tra soggetto e oggetto, tra  particolare e universale, tra finito e infinito). Hegel parte da un’analisi storica: l’ebraismo e il cristianesimo medioevale: in queste due religioni ( e in questi momenti storici) l’uomo avvertiva Dio come essere onnipotente ( mentre l’uomo si percepiva immensamente fragile) e lontanissimo. L’infelicità di questa forma storica di coscienza deriva dal suo sentirsi separata ed inessenziale di fronte all’assoluto, cioè al Dio trascendente, senza tuttavia riuscire a negarsi in esso, come vorrebbe.  Hegel presenta i tentativi, tutti destinati al fallimento, che la coscienza infelice metterebbe in atto a questo scopo: la devozione sentimentale, una sorta di misticismo; l’operare nel mondo, inteso come dovere verso Dio; infine la mortificazione di sé. Non riuscendo ad annullarsi, la coscienza continua a soffrire dell’alterità, della separazione incolmabile che permane fra lei e il divino. Questa infelicità verrà superata solo allorchè la coscienza ritroverà il divino nel mondo e in se stessa ,  ossia realizzerà quell’unità con l’assoluto che  fin’ora le era mancata. Storicamente ciò avverrebbe a partire dal Rinascimento, che valorizza il mondo e l’uomo. Il tema della coscienza infelice è pertanto l’interpretazione della fede in un Dio come forma di “alienazione” dell’uomo da se stesso. L’uomo si considera nulla e Dio tutto, cioè l’uomo aliena ( rende altro, si toglie) le sue capacità e le proietta su Dio, crea la separazione che produce la coscienza infelice. Per Hegel questa fase ( legata  all’ebraismo e al medioevo)  si supera con la corretta visione del cristianesimo, che vede in Gesù unito il divino e l’umano, l’infinito e il finito.   Nasce da questo passo hegeliano il concetto di alienazione ( lo stato di estraniazione del soggetto da se stesso)  che verrà riutilizzato da Marx e dal marxismo per descrivere  la situazione del lavoratore nella società capitalista. E’ un concetto chiave, inoltre, nella analisi della società contemporanea ( le persone alienate, la vita alienata). -  Studia meglio questo argomento a pag.543 . La coscienza infelice.

 

-  La dialettica servo - padrone
        La figura del rapporto servo-padrone , presente nella fenomenologia, è diventata particolarmente famosa.  Presuppone ed esemplifica il concetto di dialettica, cioè il passaggio conflittuale, attraverso il negativo  a un positivo superiore.  Il signore, che ha una coscienza indipendente, per sé,  domina sulla cose ( la terra, gli oggetti) e di conseguenza sul servo che ad essa è legato da un rapporto di dipendenza ( questa figura,- il servo e il padrone-  come  sempre nella fenomenologia, è sia la descrizione di un momento storico:  il mondo greco-romano, sia  l’analisi di un momento ideale, a-temporale della coscienza Vedi. Figure della coscienza, figure del mondo pag.543- 544). Il signore domina le cose attraverso il servo, in quanto gode e consuma i prodotti da lui trasformati e così, nel linguaggio della dialettica hegheliana,  li annulla. Il servo ha quindi una coscienza dipendente dal signore e dalle cose. Ma egli ha sperimentato, attraverso la paura dell’annullamento totale ( la minaccia della morte) l’abisso della negatività assoluta, e ciò lo aiuta a formarsi un nucleo di coscienza indipendente: “ La paura del signore è l’inizio della speranza”: E’ attraverso il lavoro che questa si completerà. Attraverso il lavoro il servo  incomincia a padroneggiare le cose e dialetticamente ad invertire i ruoli: il signore che gode passivamente del lavoro altrui, si rende, alla fine, dipendente dal servo e il servo faticosamente acquisisce la propria indipendenza, la propria autocoscienza. ( D’Isola). “Ci liberiamo attraverso la schiavitù, non dalla schiavitù” è il concetto fondamentale hegeliano.
Questa figura hegheliana ha avuto particolare fortuna, sia nella sinistra hegheliana e nel marxismo ( la dialettica servo padrone diventa metafora della lotta di classe, in cui la classe subalterna matura e supera la classe dominante: ad esempio la lotta tra patrizi e plebei, o tra feudatari e borghesi, o, in epoca moderna, tra capitalisti e proletariato),  sia tra gli esistenzialisti del  900: la presa di coscienza della propria esistenza avviene, come per il servo hegheliano, confrontandosi con l’annientamento assoluto ( la morte) e il dolore.

 

  1. la filosofia politica hegheliana: la famiglia, la società civile e lo stato ( lo stato etico).

 

   ( opera principale: Lineamenti della filosofia del diritto, e Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio)
Le riflessioni di Heghel sulla società hanno avuto un influsso notevole. Ricorda sempre il punto iniziale: il vero è l’intero. Quindi l’individuo è “VERO” ( cioè realizzato) solo all’interno dell’intero di cui fa parte: la famiglia, la società civile ( cioè le forme in cui si manifestano i bisogni, i rapporti di lavoro e di relazione) e, soprattutto, lo stato. Lo stato in quanto intero, sintesi degli elementi parziali ( famiglia e società civile) si erge sopra ogni individuo e ogni altro aspetto sociale: è lo stato etico, cioè un organismo dotato di eticità propria: non sono gli individui che fondano lo stato, ma è lo stato che fonda gli individui, nel senso che gli individui nascono e vivono all’interno di esso e vi si devono conformare. Il pensiero di Hegel, profondamente romantico, è diverso dalle concezioni liberali che vedono nell’individuo il fulcro della società e lo stato solo un accordo, un contratto tra individui (contrattualismo e liberalismo). Nella visione liberale, infatti, esistono diritti individuali che neppure lo stato può violare, o modificare. Nella visione hegeliana della stato, invece, i diritti agli individui derivano dallo stato, - attraverso, beninteso, la legge: lo stato di diritto , cioè regolato dalla certezza e dalla impersonalità della legge , - : la legge dello stato è inviolabile, ma non l’individuo.   Lo stato, in quanto superiore agli individuo, è dotato di una eticità propria, cioè  la morale che vale per  gli individui non necessariamente vale per lo stato, che ha scopi autonomi e diversi. C’è una ragion di stato, superiore e diversa alle ragioni particolari dei singoli individui. In questo contesto di autonomia assoluta dello stato,  Hegel  critica il cosmopolitismo illuminista ( l’idea che la persona di senta cittadino del mondo, unita più alla fratellanza umana che a uno specifico stato nazionale) e accetta la possibilità, anzi, in certe circostanze, la moralità della guerra tra stati.
Hegel è stato accusato di statolatria ( Scrive Hegel. “ L’ ingresso di Dio nel mondo è lo Stato”) e, forzandolo molto,  di essere se non il padre, almeno un ispiratore dello stato totalitario ( cioè in cui l’individuo scompare nella massa, e lo stato deve regolare tutta la sua vita e i suoi pensieri) che con il fascismo, il nazismo e lo stalinismo, tanti disastri ha provocato nel 900.   Fare di Hegel un precursore del nazismo e del fascismo è sicuramente sbagliato e ingiusto. Per altro in nazismo esaltava, più dello stato, la razza e il popolo .  Ma Hegel  di sicuro non ha nessuna simpatia per il liberalismo ( accusato di essere individualista, è quindi parte nei confronti dell’intero) “ è puramente e semplicemente un conservatore, in quanto pregia più lo stato che l’individuo, più l’autorità che la libertà,  più l’onnipotenza dello stato che i diritti soggettivi ( cioè inerenti alle persone), più la coesione del tutto che l’ indipendenza delle parti, più l’obbedienza che la resistenza, più il vertice della piramide ( il monarca) che la base ( i cittadini)”   ( Norberto Bobbio) Si può dire che la filosofia politica hegeliana, esaltando lo stato nei confronti dell’individuo sia servita a diffondere e a giustificare l’idea del primato assoluto del collettivo ( comunque inteso: lo Stato, la Nazione, la Razza, La Classe, il Partito,  la Chiesa ecc.) sull’ individuale, proprio di tante ideologie totalitarie.

 

Sullo stato  studia a pag 555-556-

 

La filosofia della storia:  spirito del mondo e spirito dei popoli

Opera principale: Filosofia della storia
Dai concetti hegeliano di dialettica e di razionalità del reale consegue la visione hegeliana della storia. La storia è un processo razionale ( attento: il processo è razionale, non le singole fasi che anzi possono dialetticamente essere negative) dominato dallo sviluppo  da quello che Hegel chiama  lo spirito del mondo.  Lo spirito del mondo è la spinta, irresistibile, che spinge la storia dei popoli verso la libertà: prima la libertà di uno solo  nel mondo orientale antico, poi la libertà di pochi, nel mondo greco e romano,  infine, in epoca moderna ( cristiano- germanico) nella libertà di tutti ( monarchia costituzionale contemporanea in cui tutti sono uguali davanti alla legge, cioè nello  stato etico ). In questo disegno razionale, -  e profondamente romantico,- l’ eroe gioca un ruolo importante, alle volte inconsapevole,  nel far progredire il processo.  Alessandro Magno, Cesare, Napoleone e tanti altri eroi hanno modificato la storia, spinti dalle loro passioni; ma in realtà rispondevano a un bisogno, una necessità di quel momento storico. Con una espressione diventata famosa gli eroi ( e gli uomini in generale) sono mossi, ingannati da una “astuzia della ragione ( ragione: cioè il processo razionale che muove la storia)”: credono loro di fare la storia, mentre  sono guidati da una necessità  superiore all’individuo.  Studia, su questo argomento. La filosofia della storia a pag 556.

 

Dopo Heghel :  la reazione all’hegelismo e le scuole hegeliane

 

Hegel ebbe in vita una enorme fama, specie nel mondo tedesco.
Cioè non toglie che ebbe anche importanti critici, che in genere contestavano la visione “ottimista” della dialettica hegheliana, secondo cui tutto veniva giustificato da una razionalità superiore. In particolare Schopenhauer  ( tedesco,1788- 1860) e  Kierkegaard (  danese, 1813 – 1855) si appuntarono sul concetto di dolore, di morte e di sofferenza individuale, che violentemente contrasta con il sistema hegeliano secondo cui tutto è razionale.
Dopo la morte di Hegel si accentua, inoltre, la spaccatura fra i suoi discepoli relativamente all’interpretazione della politica, della storia e della religione. Vengono classificate due scuole principali: la destra e la sinistra hegeliana. La destra hegeliana  parte dal concetto di razionalità del reale per approdare a una giustificazione dell’esistente ( se esiste è razionale…quindi va bene così!) In sostanza questi filosofi  ( detti “vecchi hegeliani”) difendono la stato prussiano  anche nelle sue strutture e istituzioni retrive e reazionarie, con una posizione estremamente conservatrice.
La sinistra hegeliana ( chiamati “giovani hegeliani”) parte dal concetto di dialettica che comporta il conflitto e il cambiamento. La religione con la sua pretesa di assolutezza e il suo appoggio incondizionato alla reazione ( il binomio trono e altare tipico della restaurazione) diventava un ostacolo alla dialettica storica. Contro la religione ( specie il luteranesimo prussiano) si concentrano i giovani hegeliani. Essi vedono in essa un ostacolo allo sviluppo e una proiezione mitica e fantastica di desideri, aspirazioni, sentimenti umani ( per usare il linguaggio hegeliano, una forma di alienazione). Nella scuola dei giovani hegeliani si forma anche  Kart  Marx (1818 Treviri ;  1883, Londra)-

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/filosofia/Goerg%20%20Friedrich%20Hegel.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Filosofia politica di Hegel Locke Fichte Platone

 

FILOSOFIA POLITICA NEL 600- 700

 

L’Inghilterra delle rivoluzioni: da Hobbes a Locke

 

Queste elementari note servono, spero, per aiutarti al inquadrare la filosofia politica di Hobbes e, soprattutto, di Locke che è considerato “l’ideologo” della rivoluzione gloriosa inglese e quindi di quel sistema politico ( il liberalismo) fondamentale per la democrazie moderne.  Locke è un grande ispiratore per gli illuministi europei e per i padri della rivoluzione americana e francese.

  1. Sempre i filosofi si sono interessati di politica e hanno tentato di rispondere ad alcune domande fondamentali: perché l’uomo vive in società? Quali caratteristiche deve avere la società giusta? Cos’è la legge e qual è il suo fondamento? Qual è il giusto rapporto tra individuo, legge, società?

Alcuni nomi importanti: Platone, la repubblica; Aristotele, la politica, Cicerone, de repubblica, San Tommaso, del principe, Dante, de monarchia. Non è possibile sintetizzare, ma alcune idee sono ricorrenti. Una visione organicista : la società è come un grande corpo con diversi membri tutti utili, ma rigidamente subordinati in maniera gerarchica. Come nel corpo c’è la testa che comanda, le mani che afferrano, lo stomaco che rende utilizzabile il cibo, i piedi che permettono lo spostamento, così, in una società ordinata, c’è chi comanda e chi esegue: quando un membro vuole cambiare il proprio posto nasce il disordine sociale. Vedi il famoso apologo di Menenio Agrippa (riportato da Tito Livio) per sedare la ribellione della plebe nella repubblica romana. In questa concezione il sovrano è il capo, visto come un padre per i sudditi, padre buono, ma severo, pronto a premiare e a punire, oppure, come da antica tradizione, pastore per il suo popolo. Questa concezione viene vista “secondo natura” cioè predisposta nell’ordine dell’universo, anzi mutuata dall’ordinamento  voluto dal Creatore. Il potere trae la sua legittimità, cioè la sua giustificazione, da Dio stesso. L’autorità viene da Dio, dice San Paolo, e il cristiano deve sottomettersi. Specie nel medioevo, veniva molto discusso su come questa autorità venisse trasmessa di Dio: attraverso la chiesa, e quindi il papa, vicario di Cristo in terra,  e poi dal papa trasmessa al sovrano temporale secondo alcuni; direttamente da Dio al sovrano, scavalcando quindi il papa, secondo altri; ma nessuno metteva in discussione il fondamento divino del potere.  Come vedi una concezione ben lontana dalle idee illuministe: la“ libertà, uguaglianza, fraternità”  della rivoluzione francese.
Un lungo discorso meriterebbe Machiavelli,  che rappresenta una svolta nella riflessione sulla  politica, vista come realtà effettuale e non  vuote teorie: le cose come sono, e non come “dovrebbero essere”..

  1. Si diffonde alla fine del medioevo e nel rinascimento, lo gusnaturalismo  (ius naturae: diritto di natura) in funzione anti- assolutista e anti-teocratica. Lo iusnaturalismo sostiene, in parole semplici, questo: C’è un diritto di natura che precede il diritto positivo, cioè creato dall’uomo. Sono dei grandi principi etico-giuridici radicati della natura nel cuore e nella ragione dell’uomo. Il diritto positivo non può andare contro il diritto di natura.Ad esempio nessuna legge può ordinare di uccidere un innocente, perché il principio di non uccidere l’innocente è scritto dalla natura nel cuore dell’uomo, individuato manifestamente dalla ragione ed è quindi indefettibile. Attento: la chiesa sosteneva che la fonte prima della legge era Dio stesso, che l’aveva rivelata nella bibbia, di cui la chiesa era l’unica interprete autentica. Invece, il sovrano assoluto, cioè sciolto da ogni limite, riteneva di essere lui stesso la fonte prima del diritto ( quod principi placuit, legis habet vigorem): era sovrano Dei gratia.

Lo giusnaturalismo si oppone a queste due concezioni: la legge “naturale” , riconosciuta dalla ragione come autofondantesi,  precede la chiesa e il monarca e li limita: in questo senso è uno spiraglio verso la concezione moderna del diritto e dello stato. Il diritto alla vita, alla libertà, alla uguaglianza, alla proprietà alla felicità ( con termini del 700 ripresi nella dichiarazione di indipendenza americana, noi forse oggi li chiameremmo “diritti umani”) precedono ogni formulazione positiva della legge e quindi la restringono: un bel colpo all’assolutismo politico o religioso-

  1. Altra teoria importante: il contrattualismo.  Nello stato di natura, cioè in una situazione precedente la costituzione della società civile, ( naturalmente è una astrazione teorica, non una fase storicamente esistita) ogni uomo ha dei diritti naturali che “cede” con un “contratto” (anche questo ovviamente teorico) per fondare la società e vivere meglio. Al fondamento della società c’è quindi un contratto implicito tra cittadini e sovrano: un contratto, non una legge divina immodificabile, un ordine immutabile stabilito da Dio. La sovranità deriva da un patto tra chi l’esercita ( il sovrano) e chi la accetta  ( il suddito) e se questo patto reciproco di diritti e doveri non viene rispettato può, dai sudditi, essere sciolto e i sudditi possono “riprendersi” di diritti ceduti.

 

  1. Per la Gran Bretagna il 600 è veramente un “ secolo di ferro”: la prima rivoluzione, le guerre civili e il Commonwealth, la seconda rivoluzione: non è certo un caso se le grandi riflessioni sulla politica nascono in questo ambiente: tentano di dare una via di uscita a una situazione drammatica. Già Tommaso Moro, attraverso la metafora della sua “Utopia”, aveva, il secolo precedente, anticipato la riflessione  sulla tolleranza e sullo stato ideale.  Thomas Hobbes ( 1588- 1679 )  con il suo” Leviatano”, e John Locke (1633- 1704) con i sui “Due trattati sul governo civile” pongono dei punti fermi alla filosofia politica.  Nonostante la radicale differenza dei risultati ( Hobbes in favore di un potere assoluto, Locke di uno stato liberale) il punto di partenza è lo stesso: lo stato di natura, e quindi una teoria contrattualistica. Attento: l’assolutismo di Hobbes  non ha un’origine teocratica e ma è la conclusione logica di considerazione sulla natura dell’uomo

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe4/filosofia/FILOSOFIA%20POLITICA%20NEL%20600%20seconda%20edizione.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Empirismo

 

  1. Definizione: dicesi di tutte quelle concezioni gnoseologiche che individuano il fondamento della conoscenza nell’esperienza sensibile spazio temporalmente determinata e conoscibile attraverso i sensi
    1. Origini Termine: dal greco empeirìa = esperienza.
    2. Utilizzazione: per indicare tutti quei filosofi, appartenenti a tempi e contesti culturali differenti, che hanno in comune una determinata concezione del conoscere. Limite di questo uso è l’ambiguità e genericità cui spesso si va incontro.
  2. Caratteri generali empirismo: la concezione empiristica pone alla base della conoscenza due facoltà: la sensibilità, da cui derivano i dati del conoscere e l’intelletto, che combina questi dati in modo da ottenere conoscenze più complesse. Lo schema generale dell’empirismo può essere sintetizzato può essere riassunto nelle seguenti proposizioni:
    1. Tabula Rasa: la mente umana non possiede alcuna conoscenza connaturata o innata, è priva di idee e/o conoscenze assolutamente veri ed evidenti e indipendenti dall’esperienza e a priori rispetto ad essa. È completamente vuota come una tabula rasa.
    2. Sensibilità: tutte le conoscenze sono acquisite indirettamente o direttamente attraverso i sensi per mezzo dei quali i dati di senso vengono ad inscriversi nella mente. L’esperienza è quindi criterio di significanza e di verità del conoscere. La sensibilità è la facoltà conoscitiva che fornisce il materiale del conoscere, i singoli dati
    3. Principio di Associazione: attraverso la combinazione dei singoli dati sensibili, l’intelletto forma le conoscenze più complesse. Dalla combinazione degli elementi semplici derivanti dai sensi, l’intelletto è capace di produrre le conoscenze più complesse che, quindi, derivano dai sensi, ma indirettamente, perché richiedono l’intervento dell’intelletto. L’operato dell’intelletto però si limita solo a combinare materiale preesistente, di per se esso non è infatti capace di produrre conoscenza.
    4. Universali: non esistono e non sono oggettivi, non esiste nulla di universale nella realtà, ogni cosa esistente è individuale (esistono uomini non l’uomo), gli universali sono solo nomi utili perché consentono di classificare una molteplicità di oggetti sotto un unico segno.
    5. Non esiste una realtà eterna, immutabile ed assoluta che trascende l’esperienza sensibile, teologia e metafisica vengono quindi respinte, come l’esistenza di valori assoluti. Tutto ciò che va oltre l’esperienza è inconoscibile.
    6. Limiti sapere: occorre essere consapevoli dei limiti del sapere umano che non può mai pervenire ad una verità assoluta e definitiva, è necessaria quindi la tolleranza di tutte le concezioni diverse dalla propria.
    7. Etica:si tende ad individuare il bene nell’utile personale o collettivo.

Locke ragione ed empirismo (1632 - 1690)

  1. La filosofia di Locke: i principali contributi della filosofia di Locke riguardano i seguenti campi:
    1. Gnoseologia: empirismo e scienze sono le principali coordinate della gnoseologia di Locke. Il suo contributo in sintesi è il seguente: critica della metafisica e della sua pretesa di conoscere la realtà assoluta al di là dell’esperienza e delimitazione delle capacità conoscitive umane nell’ambito dell’esperienza sensibile, attraverso lo studio del funzionamento dell’intelletto e della sensibilità umani.
    2. Politica: definizione dei principi base del liberalismo. In sintesi delimitazione dei poteri dello stato e libertà dei cittadini secondo la concezione dei diritti del singolo che lo stato deve salvaguardare, limitando la sua azione alla sfera pubblica.
    3. Religione: rifiuto del fanatismo religioso e teoria della tolleranza. Separazione tra stato e chiesa.
  2. I limiti della ragione: Locke prende le mosse da una ridefinizione della ragione cartesiana: la ragione non è quello strumento onnipotente, universale ed infallibile che pretendeva Cartesio e da cui si può derivare tutto il sapere vero:
    1. Infallibilità: non è infallibile perché compie spesso degli errori per insufficienza o oscurità delle sue idee, per una loro errata concatenazione, perché tratta in inganno da falsi principi o dalle ambiguità del linguaggio;
    2. Onnipotenza: non è onnipotente perché riceve il suo materiale dall’esperienza, si limita infatti ad ordinare ed combinare le idee semplici che trae dai sensi. Inoltre anche per verificare la verità dei risultati della ragione occorre confrontarli con l’esperienza;
    3. Universalità: non è unica ed universale perché gli uomini ne partecipano in misura diversa.
  3. Il razionalismo critico di Locke: tuttavia la ragione, pur con i suoi limiti, è l’unica guida valida che l’uomo può seguire per orientare la sua vita ed il suo conoscere. Prima occorre tuttavia esaminare le capacità conoscitive proprie della ragione per verificare quali sono i limiti dei suoi poteri, quali gli oggetti che essa può conoscere, quali i procedimenti che essa deve seguire. Occorre quindi una preventiva critica dei poteri della ragione prima di adoperarla per la conoscenza di qualcosa. Questa impostazione, per cui la ragione sottopone a critica se stessa, viene definita criticismo e verrà ripresa e perfezionata da Kant.
    1. I limiti della conoscenza: risultato dell’analisi di Locke è che l’intelletto non ha il potere di creare o di distruggere le idee semplici, pertanto il limite oltre cui la conoscenza non può andare è costituito dall’esperienza intesa come insieme delle idee semplici.
    2. rifiuto dogmatismo e scetticismo: altro risultato dell’impostazione criticista di Locke e che sono falsi  sia il dogmatismo con la sua pretesa di conoscere anche ciò che va oltre l’esperienza, sia lo scetticismo, che rifiuta la possibilità stessa di una conoscenza vera, poiché, entro i limiti dell’esperienza,m la nostra conoscenza è certa.
  4. L’empirismo: premessa fondamentale della gnoseologia di Locke è che la conoscenza consiste di idee, pensare significa avere idee, inoltre tutte le idee derivano dall’esperienza, non sono prodotte dall’azione attiva dell’intelletto ma sono il prodotto della facoltà passiva della sensibilità e dell’azione attiva e combinatoria dell’intelletto. Le idee pertanto si dividono in:
    1. Idee di sensazione: idee semplici che derivano dal senso esterno;
    2. Idee di riflessione: idee semplici che derivano dal senso interno;
    3. Idee complesse: nascono dalla combinazione delle idee semplici operata dall’intelletto che riunisce e compara in vari modi le idee semplici ottenendo formare idee complesse di diversi tipi. Le idee semplici sono quindi il materiale di cui si serve l’intelletto per esercitare la sua funzione, mentre la sensibilità e una facoltà passiva, l’intelletto è una facoltà attiva:
      1. Idee di modo: sono “quei modi di essere” propri delle sostanze che non hanno un’esistenza autonoma (un colore, una forma, una grandezza);
      2. Idee di sostanza: sono quelle idee complesse che vengono considerate come relative a cose aventi un’esistenza autonoma (un uomo, un tavolo).
      3. Idee di relazione: sono quelle idee che nascono dal confronto tra due o più idee semplici o sostanze (maggiore di, causalità, uguale, diverso, ecc)

 

Gianfranco Marini

 


John Locke
Forme della Conoscenza

  1. Definizione del Conoscere: conoscenza è la percezione dell’accordo o disaccordo tra le idee
    1. Forma del Giudizio = Soggetto copula Predicato
    2. Affermazione: X è P -> X = P
    3. Negazione: X non è P ->X diverso da P
  2.  Tre forme di conoscenza: formano insieme la conoscenza knowledge, secondo un grado di evidenza e certezza decrescente:
    1. Intuizione: percezione immediata della concordanza o discordanza tra le idee, massima certezza, non necessita di prove;
    2. Dimostrazione: accordo/disaccordo è percepito attraverso una serie di prove intermedie che collegano le due idee;
    3. Sensazione: esistenza enti concreti, grado certezza minore.
  3. Oggetti del Conoscere: la conoscenza umana si articola in tre campi principali, la conoscenza dell’io, di dio e del mondo
    1. Esistenza dell’io: intuizione – argomento del Cogito;
    2. Esistenza di dio: conoscenza per dimostrazione: argomento causale;
    3. Esistenza del Mondo: cose fuori di noi: testimonianza dei sensi che non da certezza assoluta
  4. Conoscenza e Opinione:
    1. Knowledge: certezza e evidenza massime, suo limite esperienza, esempio: di dio non possiamo sapere nulla con certezza, non possiamo avere conoscenza: absolute ignorance;
    2. Opinione: non è una conoscenza certa ma solo probabile ed è la conoscenza sensibile; rafforzata dall’intersoggettività e dalla non volontarietà delle sensazioni; ha valore pratico e guida la nostra vita quotidiana.
    3. Conclusione: ragione è conoscenza + opinione e guida il nostro agire e conoscere entro i limiti dell’esperienza.
  5. Fede e Ragione: Faith e Reasons: non vi è contraddizione in quanto hanno ambiti di applicazione differenti, fede è relativa a ciò che è al di sopra della ragione e trascende l’esperienza. Ma la Fede necessita della comprensione razionale e vanno escluse dalla fede tutte quelle proposizioni contrarie alla ragione: rifiuto fideismo fanatico.

Locke – Politica e Religione

Fonte: Dialogos, volume c, pagine 178 - 183

I Trattati sul Governo

  1. Contesto storico: scontro tra il Parlmaento e Carlo II
    1. Tories: assolutismo monarchico
      1. Robert Filmer: “Il Patriarca, ovvero il potere naturale del re”, difesa assolutismo;
    2. Whigs: programma politico liberale: costituzionalismo, parlamentarismo, subordinazione esecutivo a legislativo, pluralismo religioso
      1. Locke: 1680 – 1683, due “Trattati sul governo”, giustificazione “gloriosa rivoluzione” del 1688 perché nella Introduzione del 1689 Locke individua nel consenso il fondamento dei governi legittimi.
      2. opera diviene fondamento del liberalismo e guida delle rivoluzioni (americana, francese, ecc.) teorizzando: governi costituzionali, consenso, diritti civili, divisione dei poteri.
  2. Tesi Assolutismo: Filmer
    1. sovranità regia deriva dal potere patriarcale di Adamo;
    2. naturale soggezione al padre genera la soggezione all’autorità politica;
    3. nessuno nasce libero;
    4. trasmissione del potere civile, paterno e maschile è quindi di origine divina;
    5. diritto di paternità passa da Adamo ai patriarchi e agli attuali re
    6. i re sono padri dei loro popoli a loro si deve obbedienza assoluta;
    7. ribellarsi al re è contro natura e contro dio;
    8. sovrano accentra tutti e tre i poteri che non hanno limiti né nel parlamento, né nelle leggi;
    9. rifiuto concezione potere dal basso, principio di uguaglianza e libertà naturale, libertà di dissentire.
  3. Confutazione dell’Assolutismo: primo trattato, intento confutatorio
    1. Adamo: non riceve nessuna autorità monarchica da Dio, per natura gli uomini sono liberi e uguali;
    2. autorità civile nasce da un contratto basato sul consenso delle parti;
    3. uomini e donne, genitori e figli, sono uguali per natura, sbagliato subordinare donna all’uomo, figli al genitore, tale autorità non è di dominio politico.
  4. Legittimità del Potere: sempre nel primo Trattato Locke
    1. nega vi sia stata trasmissione diretta del potere da Adamo agli attualisovrani;
    2. problema cruciale è: chi ha diritto al potere?
    3. non eredi di Adamo: o è uno solo e tutti gli altri sovrani non hanno diritti; o siamo tutti discendenti di Adamo e siamo tutti re;
    4. Conclusione: criteri legittimazione potere di Filmer sono contraddittori: non si può distinguere tra un sovrano legittimo e un pirata in base ad essi poiché non è possibile rintracciare la discendenza da Adamo.

Stato di Natura e Stato Civile

  1. Stato di Natura e Uguaglianza: secondo Trattato, teoria liberale dello stato:
    1. stato di natura: storicamente reale, caratterizzato da uguaglianza e libertà, ma non da completa parità: uomini si differenziano per: capacità, merito, virtù, ma ciò non produce disuguaglianza politica
    2. diritti naturali: vita, sicurezza, proprietà e libertà sono i 4 diritti naturali e garanzia del conseguimento della felicità
      1. politica: deve garantire pace, armonia e sicurezza, fondamento felicità;
      2. legge natura: prescrive solo divieto a non ledere vita, libertà e beni degli altri, tranne nei casi di legittima difesa e punizione dei trasgressori.
      3. limite: legge naturale inefficace senza una istanza che eserciti i potere di renderla effettiva: punendo i trasgressori e difendendo gli incolpevoli.
  2. Pace e Guerra: stato di natura non coincide con stato di guerra:
    1. rifiuto tesi Hobbes: stato natura = bellum omnium contra omnes = homo nomine lupus = diritto del più forte = genesi potere dalla forza;
    2. pace e guerra caratterizzano entrambe lo stato di natura;
    3. stato di guerra: in guerra, il diritto alla sopravvivenza, implica il diritto alla distruzione reciproca
    4. per evitare la distruzione nasce lo stato civile: esistenza di un’autorità giudicante che circoscrive i conflitto e garantisce sopravvivenza.
  3. Istituzione Autorità Sovraindividuale: causa del costituirsi dello stato civile è la necessità di superare la precarietà dello stato di natura e prevenire lo stato di guerra
    1. subordinazione individuo alla comunità politica e rinuncia al diritto di farsi giustizia da se;
    2. stato civile: autorità che risolve le controversie, tutti sono ugualmente soggetti alla legge;
    3. soggezione al potere politico è basata sul consenso;
    4. solo soggezione a legge rende possibile libertà, dove non vi è legge vi sono oppressione e arbitrio;
    5. limite potere civile: duplice valenza stato:
      1. protegge diritti naturali cittadino;
      2. causa monopolio della forza minaccia potenziale, abuso di potere e repressione delle libertà (assolutismo)
      3. diritto alla ribellione.
  4. Proprietà Privata: diritto originario degli esseri umani, causa del costituirsi dello stato civile;
    1. all’inizio i beni appartengono a tutti non c’è proprietà privata;
    2. diverse capacità portano al passaggio spontaneo dalla proprietà comune alla proprietà privata;
    3. nasce diritto a possesso privato beni frutto del lavoro;
    4. in seguito proprietà privata trasforma lo stato di natura in uno stato di disuguaglianza;
    5. ciò avviene con l’introduzione del danaro che comporta accettazione di fatto della proprietà privata;
    6. denaro, desiderio di possesso, industriosità producono sviluppo e benessere;
    7. si ha un maggiore dominio della natura e maggior e cooperazione;
    8. gli uomini si consorziano in gruppi stabili e disciplinati;
    9. ma la complessità e problematicità dei legami rendono necessario il passaggio allo stato civile per la necessità di una regolamentazione.

Lo Stato Liberale

  1. Passaggio Stato Natura – stato liberale non automatico:
    1. natura umana: uomo non è né un animale sociale portato spontaneamente a cooperare in pace con gli altri, né singolo asociale in continua lotta con gli altri per la sopravvivenza;
    2. individuo concreto: spinte contradditorie: individualizzanti e socializzanti, fondamentali necessità e vantaggio
    3. libero contratto: per i reciproco vantaggio viene istituito il potere politico attraverso un libero contratto. Stato garantisce con le leggi le regole della vita civile e lascia libertà in ambito culturale, dell’educazione (famiglia), religione.
  2. Potere Legislativo: classificazione forme potere in base a numero di detentori del potere:
    1. democrazia: maggioranza detiene potere;
    2. oligarchia: maggioranza delega a pochi il potere;
    3. monarchia: potere delegato a uno solo in forma elettiva o ereditaria.
    4. Potere Legislativo: potere supremo, da coesione emanando leggi universalmente vincolanti e rappresenta la volontà collettiva;
  3. Vincoli Stato: legge natura e mandato sociale pongono limiti al potere dello stato:
    1. bene pubblico: è il fine del potere politico;
    2. lo stato non può ingerirsi nella sfera privata del cittadino, individuo autonomo dallo stato;
    3. legittimità costituzionale: leggi conformi a procedure certe, uguali per tutte, stabili e imparziali.
  4. Potere Esecutivo: esercitato dal governo, da attuazione alle leggi, il suo potere può essere revocato dal legislativo a cui è subordinato;
  5. Potere Federativo: presiede alle relazioni internazionali e interstatali, decide pace e guerra, alleanze, trattati.
  6. Revocabilità e Divisione dei Poteri: potere supremo del popolo, tutti i poteri sono ad esso subordinati.
    1. alienazione poteri: con legge costituzionale poteri sono alienati agli organi dello stato;
    2. potere politico esercitato su delega popolare e sempre revocabile qualora non sia conforme ai fini per cui è stato istituito;
    3. limiti poteri stato nei diritti naturali;
    4. Divisione e Equilibrio dei Poteri: poteri divisi tra organi diversi e cooperanti, suprema garanzia costituzionale. Accentramento porta ad assolutismo e a subordinare la sfera privata al potere dello stato.
  7. Dispotismo e Diritto alla Rivoluzione: rifiuto tirannide e legge del più forte, stato civile fondato non su forza ma su consenso;
    1. potere dispotico: non nasce d un accordo volontario, tiranno esercita potere a proprio vantaggio, non si ha obbligo di obbedienza;
    2. diritto ribellione: popolo ha diritto a usare la forza contro la tirannide,diritto alla ribellione è resistenza a un potere illegittimo e restaurazione dello stato di diritto legittimo. Obbedienza à sempre condizionata al rispetto da parte del potere politico dei limiti imposti dal contratto
  8. Religione e Politica: centralità problema della tolleranza, Saggio sulla Tolleranza, 1667
    1. Tolleranza: fondamento rapporti religiosità e politica. Religione e Politica devono rimanere distinti. Stato non può intervenire sulle convinzioni personali del cittadino. Fede e culto rientrano nella sfera interiore che è privato stato può intervenire solo se la religione investe la sfera pubblica.
    2. Due Regole:
      1. separazione tra pubblico e privato;
      2. laicità dello stato.
    3. Deismo di Locke:
      1. non è possibile stabilire quale sia la vera religione ortodossa, nei punti essenziali della fede tutte le varie sette concordano;
      2. ragionevolezza cristianesimo: contenuto rivelazione accessibile mediante ragione, è razionale e non dogmatico e non richiede mediazione autorità religiosa. Unico dogma essenziale del cristianesimo come religione razionale l’incarnazione, esso dovrà inoltre perdere la sua intolleranza.
      •  
    • Fonte: http://anki.altervista.org/appunti/riassunti/Empirismo_e_Locke.doc

    Autore del testo: Gianfranco Marini + non indicato nel documento di origine

     

    La filosofia Idealista

    1. La società tedesca di fine Settecento.
    La cultura tedesca, nel cinquantennio che va dal 1780 al 1830, è la storia della conquista di un primato culturale, concorrenziale con la diffusione della cultura francese e con la grande crescita industriale inglese. La stagione culturale tedesca fu intensa e destinata a lasciare tracce molto profonde; la polemica anti-illuministica del Romanticismo e la rinascita dello spirito nazionale, sono gli originali frutti di questo periodo. L’adesione tedesca all’ideologia e al razionalismo Illuministico francese rimase un fatto ristretto a piccole minoranze intellettuali e non mise quasi mai in questione l’ossequio alle forme statali esistenti. Certo, è possibile trovare dei circoli illuminati e aperti alle idee francesi, tuttavia tali idee, anche quando riuscivano a varcare il Reno, non andavano oltre l’accoglimento puramente intellettuale da parte di ristrette élites. Questo è certamente dovuto all’influenza notevole di orientamenti, della cultura tedesca tradizionale, antitetici  allo spirito dei “lumi” (= l’eredità protestante, il pietismo e l’irrazionalismo).e dal fatto che dominante, economicamente e socialmente, in Germania è ancora l’aristocrazia oscurantista e reazionaria. La Rivoluzione francese suscita, presso gli intellettuali tedeschi, grandi entusiasmi; lo abbiamo già notato a proposito di Kant e dei Romantici, come Hoelderlin o Goete, ed entusiasti della medesima saranno gli idealisti, almeno agli inizi; ma, di fronte al “disordine” ed al terrore della democrazia in Francia, gli entusiasmi si placheranno e se ne concluderà che essa, come modello politico, non è proponibile e non è realizzabile fino a quando un lungo processo di educazione non avrà fatto fare un sensibile progresso alla coscienza morale degli uomini. Non dimentichiamo, inoltre, che la Germania di questo periodo è caratterizzata da una miriade di stati, ancora aderenti al Sacro Romano Impero e che con Federico Guglielmo  si troverà coinvolta nel ciclone dell’invasione napoleonica. Ciò di cui bisogna tener conto e che non bisogna perdere di vista è la condizione specifica dell’intellettuale e della vita culturale negli stati tedeschi negli ultimi due decenni del ‘700 e all'inizio dell’800. La Germania, che non conosce ancora la rivoluzione industriale inglese, nelle sue permanenti strutture feudali e nel suo frazionamento statuale, non ha visto l’emergere di una classe intermedia borghese come protagonista del cambiamento. Manca quindi al ceto intellettuale, concentrato essenzialmente nelle Università dello stato, il suo naturale punto di riferimento sociale e quindi anche la possibilità che le sue idee diventino azione ed opera. Di qui un sentimento di impotenza che induce ad una sostanziale adesione alle convinzioni politiche autoritarie e conservatrici.

     

    2. Da Kant all’Idealismo.
    2. 1. L’eredità kantiana.
    Punto di partenza della filosofia ottocentesca è ancora Kant. Egli fu adorato e contestato, studiato, criticato, difeso. Servì da punto di partenza dal quale discostarsi, al quale rifarsi per una critica globale e per trarne conclusioni antitetiche o del quale approfondire alcune soluzioni e difenderne strenuamente altre. Rimase in ogni caso un caposaldo da cui i filosofi, volenti o nolenti, non poterono prescindere, sia per quanto riguarda la speculazione pura che per quanto riguarda i suoi scritti sulla morale, sulla religione o sulla storia. L’atmosfera culturale con cui si apre il nuovo secolo, a partire dal movimento tedesco dello Sturm und Drang , è quella del Romanticismo, i cui caratteri generali abbiamo esposto nel capitolo ad esso dedicato. Le posizioni che maggiormente contribuiscono a creare il sentire romantico sono quelle dell’Idealismo tedesco che approfondì alcuni temi lanciati sul tavolo del pensiero dallo stesso Kant, con la pubblicazione delle sue Critiche. Il kantismo dunque stimolò anche in Germania il dibattito su alcuni temi dell’Illuminismo, temi connessi all’uomo, alla religione, alla politica, alla natura ed alla storia. Sul finire del secolo XVIII, la filosofia tedesca si concentrò in particolare 1) sulla questione della cosa in sé, che Kant aveva lasciato in eredità ai suoi indagatori, (e che si richiamava alla vecchia questione, sottolineata dall’empirismo inglese, in particolare da Berkeley, circa l’esistenza oggettiva del mondo esterno) e 2) sul tema, ad essa correlato, della libertà dell’uomo all’interno di una natura retta da leggi necessarie (che Kant aveva scoperto essere poste “a priori” dalla stessa mente umana). Come spiegare l’innesto dell’azione libera e spontanea dell’uomo (della sua ragione morale) sulla catena deterministicamente fissata degli eventi naturali? Se i mondi sono due (quello della necessità naturale e quello della libertà morale umana) come spiegare la libertà all’interno della natura (che è necessità)?

    2. 2. Il dibattito sulla cosa in sé,da Jacobi ai “seguaci” di Kant.
    Dopo la pubblicazione della Critica della Ragion Pura di Kant emerse un problema che accese un vivace dibattito intellettuale intorno ad una vecchia questione, presente già in Cartesio ed in Berkeley: il problema costituito dall’esistenza “oggettiva” delle cose al di fuori del soggetto che le conosce. Ricordiamo che Kant aveva sostenuto che la Cosa-in-sé è in-conoscibile, ma non si era mai permesso di affermare che non esistesse, ossia che non sussistesse una realtà al-di-là dei fenomeni per quanto inarrivabile con la ragione umana. Egli non ha mai negato l’esistenza di oggetti “nello spazio fuori di me”, i quali sono l’inevitabile presuppostodella mia conoscenza. Essi sono pensabili ma non conoscibili e costituiscono il Noumeno. Solo gli “oggetti per me”, che costituiscono il Fenomeno, sono conoscibili. Kant aveva, così, dato per scontato che, oltre i limiti del sensibile, esista la realtà dei corpi, la “cosa-in sé”, la quale, incontrando la nostra sensibilità e le nostre “categorie” (= i nostri schemi mentali), determina in noi l’insorgere delle “rappresentazioni fenomeniche”. Involontariamente, in questo modo, Kant, sollevava una difficoltà che non sfuggì ai suoi più immediati critici ed ammiratori. La questione in sostanza era questa: “Come posso affermare come certa, come presupposta, l’esistenza di un sub-strato oggettivo dei fenomeni (= la cosa in sé) quando poi ne riconosco l’inconoscibilità totale? Restando coerenti ai principi ed ai metodi della filosofia kantiana, quali prove si possono addurre per dimostrare la cosa in sé, se questa è e resta in-conoscibile?

    •  Il filosofo Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819) nel saggio intitolato Sull’Idealismo Trascendentale (1787) rileva le difficoltà in cui, a suo parere, viene a trovarsi il filosofo della Critica con l’affermazione dell’esistenza ed al contempo della inconoscibilità della Cosa-in-sé (= ossia la vera natura delle cose al ci là dell’apparenza fenomenica). Egli rimproverò a Kant di aver utilizzato la cosa-in-sé come “causa” dell’insorgere in noi dei fenomeni (cosa che aveva fatto in fondo la filosofia da Talete in poi). In questo modo Kant si sarebbe contraddetto perché avrebbe applicato, ad un ambito estraneo ai fenomeni (l’ambito del noumeno), una ca-te-go-ria (quella di “causa”) valida, a suo stesso dire, soloed esclusivamente per i fenomeni stessi.
    •  Lo stesso genere di critiche fu mosso a Kant anche da Gottlob Ernst Shulze (1761-1833), secondo il quale il maestro, postulando la cosa in sé, sarebbe inciampato nello stesso dogmatismo che voleva combattere. Kant, infatti, esprimendo la necessità di supporre (pensare esistente) il noumeno (la cosa in sé), avrebbe fatto derivare l’esistenza di un oggetto dalla sua pensabilità, sarebbe incorso, in altre parole, nella stessa rete dogmatica in cui erano incappati i filosofi che intendevano far derivare l’esistenza di Dio dalla sua stessa definizione, saltando dal piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica.
    •  Karl Leonard Reinhold, nel 1787, il primo interprete della dottrina kantiana, nell’intento di salvaguardare il kantismo, propose di sanarela frattura kantiana tra fenomeno e noumeno interpretandoli non come due termini contrapposti, ma, al contrario, come elementi originati dalla stessa attività unificante del soggetto che chiama il “Principio di coscienza”.

    Secondo Reinhold, la cosa-in-sé non è da ritenersi qualcosa di esterno al soggetto, ma è da intendersi quale puro concetto-limite appartenente  alla stessa sfera rappresentativa del soggetto, la quale consta contemporaneamente sia di attività che di recettività (= la passività delle recezioni sensoriali).

    •  Tra gli altri, Salomon Maimon (un ebreo tedesco d’origine Lituana) fu tra coloro che cercarono di dare maggior rigore al criticismo esprimendo l’esigenza di attenersi a ciò che è contenuto nella coscienza, senza andare alla ricerca di fittizie cause esterne; Maimon ritiene il noumeno ammissibile soltanto come simbolo di un operazione “impossibile”e fu da lui paragonato a un numero immaginario (= ad es. √ - a).

    I filosofi post-kantiani, in questo modo, giudicando fi-lo-so-fi-ca-men-te  inammissibile (= non fondato, dal punto di vista della coerenza filosofica che contraddistingue Kant) il concetto di Cosa-in-sé, hanno contribuito alla disgregazione stessa di questo concetto aprendo la strada all’eliminazione di quel dualismo (fenomeno/noumeno) che era proprio anche della filosofia di Kant, quindi aprendo la strada
    all’Idealismo.

    3. L’IdealismoTedesco.
    3. 1. La Svolta.
    Nonostante le specifiche differenze tra i singoli pensatori, gli immediati successori di Kant si muovono ancora in un orizzonte prevalentemente gnoseologico, non ancora sistematicamente incentrato su di un’alternativa metafisica al criticismo. Questa alternativa si avrà con l’Idealismo vero e proprio, che, in una prospettiva apertamente ontologica, farà della nozione di Io il cuore della sua speculazione.
    L’Io penso trascendentaledatore di senso, unificatore dell’esperienza fenomenica, che in Kant era oggetto di ricerca scientifica, divenne per gli idealisti oggetto di ricerca metafisica. Fichte, considerato il fondatore dell’idealismo tedesco, si interrogò non sul fondamento della conoscenza umana ma sul  fondamento della realtà. La sua risposta, a questa antica questione filosofica, prenderà le mosse proprio dall’Io penso kantiano, ma lo trasformerà, lo enfatizzerà al punto da farne un Io, non più semplice legislatore ed ordinatore della natura,come era stato per Kant, ma un Io realmente Creatore e Infinito (… “Creatore”?... “Infinito”?... vediamo in che senso!).
    Questo passaggio è opera di un inesorabile lavoro di sostanziazione della coscienza conoscente che prenderà il via da Fichte. Con lo “sgretolarsi” della “cosa in sé”, si disgrega completamente anche il dualismo della conoscenza (= da un lato c’è l’io e dall’altro c’è la cosa in sé; da un lato il soggetto che conosce e dall’altro l’oggetto conosciuto). Se l’uno dei due poli (= la cosa in sé, il mondo oggettivo) si dissolve, quale fondamento della conoscenza, rimane, per conseguenza, soltanto l’altro (= l’io, lo spirito, la coscienza, il soggetto) che diviene anche il fondamento della realtà.

    3. 2. Cos’è l’Idealismo?
    L’Idealismo, propriamente detto, è la massima incarnazione filosofica del Romanticismo che, infrangendo i limiti conoscitivi posti da Kant, inaugura una nuova metafisica.
    Nota bene: L’Io, in Kant, era una “facoltà” li-mi-ta-ta, in quanto non creava la realtà, ma si limitava
    ad ordinarla, secondo le proprie forme a priori. Sullo sfondo dell’ “attività unificatrice” di questo io si stagliava un dato, identificabile con il concetto di cosa in sé (= quella X ignota che il filosofo della Critica aveva ammesso, per spiegare la recettività dell’atto conoscitivo: se conosco qualcosa deve pur esserci qualcosa da conoscere). I seguaci di Kant, abbiamo visto, avevano messo in discussione la cosa in sé, ritenendola gnoseologicamente inammissibile.
    L’idealismo sorge allorquando Fichte, alla luce delle difficoltà logiche generate dal kantismo, rinuncia apertamente alla nozione di un “mondo esterno” come causa logicadella conoscenza e costruisce una “ nuova teoria”, non solo gnoseologica ma anche ontologica. In altri termini Fichte spostail discorso dal piano gnoseologico (= della conoscenza ) a quello metafisico (= dell’essere) abolendo lo “spettro” della cosa in sé, ossia la nozione di qualsivoglia realtà estranea all’io, che, in tal modo, da soggetto del conoscere diventa un’Entità Creatrice (= fondamento di tutto ciò che esiste) ed Infinita(priva di limiti esterni, dunque libera). Da questo deriva la tesi dell’idealismo tedesco secondo cui “tutto è Spirito”.
    Per comprendere il senso di questa affermazione “un po’ forte”, dobbiamo stabilire che con il termine Spirito, o con i suoi sinonimi “Io”, “Assoluto”, “Infinito”, Fichte intende la realtà spirituale umana, considerata come entità auto-cosciente gnoseologica e pratica, soggetto conoscente e agente.
    Due domande legittime:
    a) In che senso lo Spirito rappresenta la fonte creatrice e infinita di tutto ciò che esiste?
    b) Cos’è, dunque, per gli idealisti la materia?
    La risposta a queste domande risiede, in primo luogo, nel presupposto conoscitivo antico, ed abbracciato dagli idealisti, secondo il quale ad un principio corrisponde sempre il suo opposto. Un soggetto senza un oggetto, un’attività senza ostacolo, un io senza un non-io, sarebbero entità vuote. Di conseguenza ad uno spirito corrisponde la materia nel senso che uno spirito per essere tale “ha bisogno” di quella antitesi vivente che è la materia, la natura; Ma, mentre le filosofie naturalistiche o materialistiche hanno sempre concepito la “Natura” (o la materia), come causa dello “spirito”, asserendo che l’uomo, come soggetto pensante, è un prodotto o un effetto di essa, gli idealisti, capovolgendotale prospettiva dichiarano che è lo Spirito ad essere causa della natura, perché quest’ultima esiste solo per l’Io ed è in funzione dell’Io, essendo essa semplicemente il materiale o la scena della sua attività, il polo dialettico del suo essere.
    In altri termini:
    A. Lo Spirito (l’Io) crea la realtà nel senso che l’uomo (dal momento in cui si fa auto-coscienza) rappresenta la ragione d’essere dell’universo.
    B. La Natura esiste solamente perché esiste lo Spirito, il quale necessita di essa come suo opposto; la natura esiste non come realtà a sé stante, ma come momento dialettico necessario nella vita dello Spirito il quale solo esiste e “crea” la natura affinché esso possa contemplarla e la “crea” nel momento stesso in cui si rende conto di essa, poiché essa è il suo opposto.
    Ma se l’uomo è la ragione d’essere (la causa) e lo scopo (il fine) dell’universo, che sono gli attributi fondamentali che la filosofia occidentale ha da sempre attribuito alla divinità, questo vuol dire che esso coincide con la divinità stessa (e si spiega anche perché gli idealisti scrivano i termini di Assoluto, Io, Spirito sempre con la lettera maiuscola). Con l’idealismo ci troviamo per la prima volta nella storia del pensiero di fronte ad un panteismo spiritualistico (= Dio è lo Spirito che è nell’uomo e che opera nel mondo) a differenza di quello rinascimentale e spinoziano che era un panteismo naturalistico.

    Idealismo: breve Analisi del Termine
    A. In senso comune, è idealista colui che, in nome di ideali etici, religiosi, politici, è disposto a sacrificare per essi la propria famiglia, la propria libertà o la propria vita.
    B. In senso filosofico, il termine comprende quelle filosofie che, come il platonismo, fanno dell’idea (= il pensiero o il soggetto) il principio primo da cui nasce e si deduce la realtà concreta (l’essere o l’oggetto: Distinguiamo:

    • L’ Idealismo gnoseologico. La posizione di quelle filosofie che riducono l’oggetto della conoscenza a pura Rappresentazione dell’io (Cartesio con il Cogito, Berkeley, con il suo esse est percipi, Kant, con  il suo idealismo trascendentale, il quale scriverà una confutazione dell’Idealismo di Cartesio e Berkeley, fino a Schopenhauer, per il quale il mondo è rappresentazione umana).
    • L’Idealismo Assoluto. La corrente filosofica post kantiana che si origina in Germania nel periodo romantico, quella che in questa sede ci apprestiamo ad analizzare. Intento filosofico di questa corrente è quello di eliminareildualismo fenomeno-noumeno, che Kant ha lasciato in eredità.

    È questo un idealismo “Assoluto”, perché la tesi di fondo è l’affermazione che l’Io (= lo Spirito) è il principio Unico, sia del soggetto che conosce che dell’oggetto conosciuto, e che fuori da esso non c’è nulla. Al contempo è “Soggettivo”, perché questo tipo di idealismo si distingue da quello, ad esempio, di Spinoza il quale aveva sì eliminato il dualismo e ridotto la realtà ad un principio unico, la “sostanza”, ma questa sostanza era intesa in termini di oggetto (= la natura) e non di soggetto(Io).

    Fichte
    Johann Gottlieb Fichte nacque a Ramneau in Sassonia nel 1762. Nel corso della sua vita egli confermò il principio fondamentale della sua dottrina che può essere espresso nella seguente affermazione, non esistono insuperabili limiti oggettivi alla libertà dell’uomo; ogni individuo,  purché lo desideri con l’adeguata intensità, può superare qualsiasi ostacolo e realizzare pienamente se stesso.
    Di umilissime origini, da bambino conobbe la miseria e fu costretto a fare il guardiano di oche per aiutare la famiglia. Per la sua grande intelligenza si fece notare da un nobile del luogo che gli permise di intraprendere gli studi di teologia all’università di Jena. Qui, dopo una lettura entusiastica della Critica della Ragion Pura di Kant, pubblicò uno scritto anonimo dal titolo, Critica di ogni rivelazione che fu accolto entusiasticamente negli ambienti accademici credendolo uno scritto di Kant. Intervenuto lo stesso Kant a chiarire l’equivoco, Fichte divenne celebre e gli fu offerta una cattedra all’università. Questi furono anni fecondi nei quali concepì e pubblicò le sue opere più famose quali: Fondamenti dell’intera dottrina della scienza (1794) (cui seguirono una  Prima introduzione alla dottrina della scienza (1797) ed una  Seconda introduzione alla dottrina della scienza); i Fondamenti di diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza (1794); e Lezioni sulla missione del dotto(1794). La pubblicazione di queste opere gli valse maggior fama e purtroppo anche l’invidia dei colleghi, tanto che, in occasione di una polemica sull’ateismo nella quale intervenne in difesa delle posizioni di un suo allievo accusato di sostenere opinioni atee, fu espulso dall’università di Jena. Si recò a Berlino dove entrò in contatto con il circolo romantico dei fratelli Shlegel. Qui visse lavorando come precettore. A Koenisberg, in occasione di una visita a Kant, incontrò le truppe napoleoniche e questo gli fornì lo spunto per i suoi Discorsi alla Nazione Tedesca (1808), dove affermava il primato morale del popolo germanico. Nominato, in seguito al successo derivatogli dalla pubblicazione di questi Discorsi, professore all’università di Berlino e quindi Rettore, morì a soli 52 anni per un’infezione virale, contratta dalla moglie che assisteva, come infermiera, i soldati feriti nella guerra contro Napoleone.

    I. 1. La filosofia dell’Infinito.
    Fichte si considera un prosecutore dell’opera filosofica di Kant. Con la sua opera principale, Fondamenti della Dottrina della scienza, pur rimanendo nell’ambito del criticismo kantiano, Fichte si propone di superare le contraddizione logica costituita dal dualismo fenomeno/noumenoe. Là dove Kant ha costruito una filosofia “del limite”, Fichte intende costruire una filosofia dell’Illimitato, completamente incentrata sull’Io.


    Kant aveva sostenuto che tutta la filosofia precedente a lui era viziata dal dogmatismo in quanto, essa, aveva assunto come dato-di-fatto la presupposizione dell’esistenza di leggi all’interno della Natura, là dove invece egli sostiene che è l’io il legislatore della natura, dato che le leggi sono applicate alla natura dalla nostra mente. Fichte, fa ricadere nel dogmatismo lo stesso Kant quando sostiene, infatti, che tutta la filosofia precedente, Kant compreso, sia dogmatica, in quanto ha creduto nel dogma dell’esistenza di una cosa-in-sé, ossia di un mondo, di una realtà di per sé stante, indipendentedal soggetto umano. La filosofia precedente alla fondazione dell’idealismo ha pensato che venisse prima l’oggetto, prima il mondo, prima la realtà materiale, e poi il soggetto. Invece le cose per Fichte stanno esattamente all’opposto.

    Il punto di partenza della filosofia di Fichte è sempre la domanda circa il principio fondamentale della conoscenza. Kant aveva riconosciuto questo principio nell’ “io penso”. L’io penso (o Appercezione trascendentale) era, per Kant, un’entità auto-cosciente preposta all’interpretazione categoriale del mondo, mondo che forniva il “materiale sensibile” all’io-conoscente e che si stagliava contro l’io come qualcosa-di-altro. (= un atto di autodeterminazione esistenziale che presuppone come già data l’esistenza, sia dell’io stesso sia del mondo sensibile). Con Reinhold nasce il problema dell’origine di questo materiale sensibile. Shulze, Maimon e Beck tentano di dimostrare l’impossibilità logicadi dedurre (= “derivare logicamente”) questo materiale dalla Cosa in sé, alla luce delle stesse ragioni della Critica Trascendentale, se non a rischio di una grave contraddizione della Critica con se stessa. Essi dichiarando “chimerica” (impossibile, da un punto di vista logico rigoroso) la stessa cosa in sé,come qualcosa di esterno alla coscienza, avevano già prima di Fichte tentato di risolvere nell’Io l’intero mondo della conoscenza. Fichte, portando alle estreme conseguenze queste premesse,  sosterrà che se l’Io è l’unico principio rimasto, occorrerà attribuire ad esso la produzione stessa del materiale sensibile. A questo punto, dunque, se l’Io è il principio, non solo formale ma anche materiale, del conoscere esso sarà anche Infinito.
     
    I. 2. La “Dottrina della scienza”.
    Noi dobbiamo ricercare il principio primo, assolutamente in-con-di-zio-na-to di tutto l’umano sapere. Dovendo essere un principio assolutamente primo esso non si può determinare né dimostrare…
    Esso deve esprimere quell’atto che non si presenta tra le determinazioni empiriche (= i contenuti) della nostra coscienza, ma sta piuttosto alla base (delle determinazioni) di ogni coscienza, e solo la rende possibile.

    Fichte cerca, kantianamente, il principio primo, all’origine della conoscenza e sempre Kantianamente, lo trova nella coscienza di sé o Appercezione, che egli chiama “Intuizione Intellettuale”. Tale autocoscienza non è un fatto (come per Cartesio), né una facoltà (come per Kant) ma è un Atto, un’attività. Esso è ciò che sta alla base di ogni coscienza. Tale atto è assolutamente in-con-di-zio-na-to, perché se fosse condizionato da altro non sarebbe il principio primo. È un fondamento, perché nient’altro lo pone se non se stesso ed è un azione, un’atto, perché il suo essere è essenzialmente un porsi: è dunque al contempo un conoscersi e un agire. È attività teoretica e pratica = è Pensiero ed Azione.


    L’intero sistema del sapere umano (= della conoscenza che l’uomo ha del mondo) si fonda su di un Atto: “Spontaneo”, “Intuitivo” e “incondizionato”; se veramente fondamentale questo principio non potrà essere dimostrato per via logica ma solo accettato, come gli assiomi fondamentali della matematica. Tale principio supremo, in altri termini, per essere il primo non deve fondarsi su di altro ma solo su se stesso.

    Per stabilire la natura di quest’Atto fondante, Fichte stabilisce i tremomenti” della dottrina della scienza.

    1. Il primo Momento è  la Tesi,

    ► “L’Io pone se stesso, Assolutamente”.
    Con tale affermazione Fichte stabilisce in che modo l’Io s’identifichi con un’Attività auto-creatrice ed infinita. L’Io pone sé stesso : è oggetto e soggetto di sé stesso contemporaneamente.
    Ciascuno ammette la proposizione A è A (altrettanto che A = ad A) poiché questo è il significato della copula logica), senza minimamente pensarci su []. Con la proposizione A=A si giudica [= si formula un pensiero]. Ma ogni giudizio è secondo la coscienza empirica un Atto dello spirito umano [] Ora, a fondamento di quell’atto sta qualcosa che non è fondato su nulla di superiore. Perciò questo qualcosa è il fondamento assolutamente posto e fondato su se stesso, fondamento di ogni agire  dello spirito umano e quindi il suo puro carattere, il puro carattere dell’attività in sé []

     Nella filosofia aristotelica ed in quella moderna, compresa quella kantiana, il principio fondante della scienza è il “principio di identità”: A = A (A è uguale ad A): “il gatto è il gatto”, “il triangolo è triangolo”, dal quale deriva necessariamente il secondo, il “principio di non contraddizione”: A ≠ non A (“A è diverso da non A”). La legge di identità, A = A, secondo Fichte, non rappresenta il “primo” principio della scienza, perché essa implica un principio ulteriore in grado di giudicare (= pensare) tale principio di identità. E cos’è in grado di giudicare di tale principio di identità se non l’Io stesso?? Ma l’Io non può porre quel rapporto identitario se non Pone ( = Stabilisce) prima se stesso, ossia se non si pone “esistente”.
    Quell’essere, la cui essenza consiste puramente in questo, che esso pone se stesso come esistente, è l’Io come assoluto soggetto. La proposizione Io sono Io vale assolutamente ed incondizionatamente; vale non solo quanto alla forma, ma anche quanto al contenuto […]. In quanto esso si pone è, ed in quanto è, si pone, e l’io perciò è assolutamente e necessariamente per [causato da] l’io. Ciò che non esiste per se stesso non è io. Si domanderà certo: che cosa ero io dunque prima che giungessi all’autocoscienza? La risposta naturale a questa domanda è: io non ero affatto, perché io non ero io. Non si può pensare assolutamente a nulla, senza pensare in pari tempo il proprio io, come cosciente di se stesso; non si può mai astrarre dalla propria autocoscienza.

    L’io dunque non può affermare nulla, neppure il principio di identità, senza affermare contemporaneamente la propria esistenza (Io sono). Di conseguenza, il primo principio del sapere (anche di quello scientifico) non è il principio di Identità, ma è dunque l’Io stesso che viene ad essere  in quanto si auto-pone: l’essenza dell’Io consiste proprio nell’essere “Autocoscienza” (Io = Io; io sono io) . Questi non è posto da altri ma da sé medesimo. Questa auto-posizione è la sua auto-creazione che coincidono con l’Intuizione intellettuale che l’Io ha di se stesso. Ecco come L’autocoscienza del soggetto è dunque il principio fondamentale, non solo della “conoscenza” ma anche dell’ “essere”. Il concetto di Io corrisponde al momento in cui pensante e pensato sono presenti al pensiero come la medesima realtà. Pertanto soggetto e oggetto vengono a coincidere e non hanno più una connotazione che li differenzia: l’unione di soggetto e oggetto è il punto di partenza di Fichte ed è anche l’essenza dell’Idealismo.
    In altre parole: noi possiamo affermare che qualcosa esiste, solo rapportandolo alla nostra coscienza, ossia facendone, Kantianamente, un essere-per-noi (l’oggetto fenomenico). Tale oggetto è possibile (= esiste) soltanto a patto che diventi oggetto della coscienza del soggetto. A sua volta la coscienza è possibile, come elemento di conoscenza, solo a patto che sia Auto-coscienza (= quando noi siamo consapevoli di essere coscienti). Quindi → Se la coscienza è il fondamento dell’essere e l’autocoscienza è fondamento della coscienza = allora l’autocoscienza sarà anche il fondamento dell’essere.

    La metafisica classica sosteneva che  operari sequitur esse(= l’azione è conseguenzadell’esistenza, ossia nessuno può agire se prima non esiste), la nuova metafisica idealistica, ca-po-vol-gen-do l’antico assioma, afferma che esse sequitur operari, in quanto l’essere dell’Io è il frutto della sua azione, il risultato della sua at-ti-vi-tà libera. L’io pertanto viene ad essere  in quanto si autopone: l’essenza dell’io consiste proprio nell’essere attività  auto-cosciente. Questa prerogativa dell’Io viene detta da Fichte, Tathandlung con la quale Fichte intende significare che l’Io è al contempo Tat = attività agente e Handlung = prodotto dell’attività stessa.
    Dai suoi contemporanei Romantici Fichte fu detto il filosofo dell’infinità dell’Io. A molti, invece, questa teoria parve soltanto portare alle estreme conseguenze la dottrina del cogito cartesiano e tradurre in termini logico-metafisici, la  visione rinascimentale e moderna dell’uomo “artefice di se stesso”, ossia l’essere che costruisce o inventa se medesimo in base alla propria libertà.. La vera novità della dottrina di Fichte, in realtà, sta nel definire il Soggetto non più in termini di Essere (e in un certo qual modo di esistenza), come in tutta la tradizione filosofica precedente, ma in termini di Attività (in senso dinamico). Infatti, l’affermazione l’“Io pone se stesso” implica di necessità che qualunque soggetto pensante sia inevitabilmente e costantemente impegnato in un’opera di de-fi-ni-zio-ne di ; di “ciò che egli è”, distinto e separato da “ciò che egli non-è”.
    Questo ci conduce al secondo momento della Dottrina.

    2. Il secondo momento è l’Antitesi.
    ► “L’Io Assoluto oppone a se stesso un non-Io Assoluto”, ovvero L’Io pone il non-io.
    Il “momento dell’Io”, non basta da solo a spiegare la coscienza. Questa si costituisce come tale soltanto in rapporto ad oggetti di cui è, appunto, coscienza. In tal modo Fichte giunge alla seconda definizione del principio che è l’Antitesi, secondo la formula omnis determinatio est negatio. Se l’Io è “attività che pone” questo implica necessariamente la posizione di “qualcos’altro”.
    Non vi è nulla di posto originariamente, tranne l’io; e questo soltanto è posto assolutamente. Perciò un’opposizione assoluta non può aversi se non ponendo qualcosa di opposto all’io. Ma ciò che è opposto all’io è non-io. All’io è opposto assolutamente un non-io.
    Ogni conoscenza deve essere conoscenza di qualcosa, dunque nel momento stesso in cui l’io pone se stesso, pone, contemporaneamente, anche il non-io. L’ “io che pensa sé stesso” è soggetto di coscienza ma anche oggetto di conoscenza, dato che è auto-cosciente.  Nel momento in cui l’Io pensa è soggetto ma nel momento in cui è pensato, ossia contemporaneamente, è oggetto di conoscenza! Che l’oggetto debba essere posto dall’Io dipende dal fatto che esso non si può giustificare da sé, come già avevano mostrato tutte le polemiche post-kantiane sulla cosa in sé: non si può infatti pensare ad un oggetto se non per un soggetto. 
    Entrambi i momenti, è bene sottolineare subito, non sono consequenziali temporalmente, lo sono logicamente. Essi sono compresenti e necessari alla coscienza, che assume così una natura contraddittoria e dicotomica. Ciò che chiamiamo “pensiero”, infatti, è, al contempo, sia autocoscienza del soggetto pensante, sia coscienza dell’oggetto pensato. L’auto-determinazione dell’io, in altre parole implica la determinazione di un opposto, in quanto, come già anticipato nella sezione introduttiva, non può esistere un principio senza che esista anche il suo opposto. Ogni affermazione implica una negazione, ogni tesi, un’antitesi; ogni soggetto, un oggetto. In altri termini, l’Io, non solo pone se stesso, ma contemporaneamente oppone a se stesso qualcosa che è un non-Io, in quanto gli è opposto (è l’oggetto, il mondo, la Natura). Essendo posto dall’Io tuttavia il non- Io è nell’Io.


    Nota. Non-Io = con non-io Fichte intende per esclusione immediata tutto ciò che l’Io distingue da se stesso: gli oggetti, il mondo e la natura nel suo complesso, gli altri esseri (umani e non). Anche il corpo del soggetto, quale auto-coscienza, fa parte del non-Io.

     
    Tale non- Io, immediatamente riconosciuto come altro da sé dall’Io, è dunque posto dall’Io che deve riempire la coscienza di un qualcosa che le si opponga per poter essere coscienza di qualcosa. Nel momento stesso in cui il soggetto si accorge di vedere, di udire e di pensare, si accorge che sta vedendo, udendo, pensando quindi ponendo qualcosa. Questo qualcosa è il non-Io.

    3. Il terzo “momento” della deduzione fichtiana è la Sintesi. Essa ci mostra come l’Io, avendo posto il non-Io, si trovi ad essere limitato da esso, esattamente come quest’ultimo risulta limitato dall’Io. Essi si limitano reciprocamente.
    ► “L’Io oppone nell’Io all’Io divisibile un non-io divisibile”.
    Fichte usa qui l’aggettivo divisibile per denominare il molteplice ed il finito. Se all’Io si contrappone il non-io, l’io non è più l’io iniziale assoluto, ma diventa qualche cosa di diverso, in quanto viene limitato, non è più l’io assoluto (assoluto significaab-solutus, cioè sciolto da vincoli), assolutamente libero.
    Il non-io, solo in tanto può essere posto, in quanto nell’io, nell’identica coscienza a se stessa, è posto un io al quale il non-io può essere opposto. Ora, il non-io deve essere posto, nella coscienza, identico a se stesso, ed in questa medesima coscienza deve essere posto anche l’io [l’io empirico] in quanto opposto al non-io.
    Con il terzo principio perveniamo alla situazione concreta del mondo, nel quale si hanno una molteplicità di io finiti i quali hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti.


    Nota: Per comprendere realmente la complicata dottrina di Fichte, occorre sottolineare che le prime due tappe dell’Io: la creazione di sé da parte di se medesimo e la contemporanea delimitazione del non-Io che gli è opposto, avvengono sotto la soglia della consapevolezza cosciente del soggetto, il terzo momento considera i rapporti tra Io e non-Io così come appaiono alla percezione. consapevole della realtà. Qui Io e non-Io si rivelano come Dati oggettivi e distinti.
    • Sia ben chiaro, questi tre momenti non vogliono essere una teoria cosmogonica che dia una spiegazione di come è nato l’universo. Questa non è una cosmogonia. Fichte non vuole affermare che “In principio” dei tempi vi era un Io creatore che ha posto il non-io e quindi la schiatta dei vari io empirici. Questi tre momenti sono solo la definizione, particolareggiata ma simultanea, di un principio unico, il quale a sua volta è chiamato in causa per rispondere all’esigenza logica della ragione di scoprire il proprio fondamento. Questo principio è chiamato con tre nomi diversi a seconda dei tre suoi momenti logici. Con questo Io, Fichte ritiene di aver descritto le condizioni originarie del rapporto soggetto-oggetto che sono alla base, tanto della conoscenza, quanto della stessa esistenza: dato che se non c’è conoscenza non può esservi certezza dell’esistenza!!!.

     

    Di là delle rigide formule metafisiche della Dottrina della scienza, quello di Fichte è un “messaggio”: compito dell’uomo è l’umanizzazione della natura, che tende a dare origine da un lato ad una natura plasmata secondo i nostri scopi e dall’altro ad una società di esseri liberi e razionali.
    Questa missione ovviamente non potrà essere portata a termine poiché se l’Io riuscisse ad annullare tutti i suoi ostacoli, cesserebbe di esistere, perché esso esiste solo in quanto incessante attività, senza la quale subentrerebbe la stasi. Al concetto Statico di “Perfezione”, proprio della filosofia classica con il quale essa individuava il concetto di “divinità”, Fichte oppone il concetto dinamico di “auto-perfezionamento”, di Sforzo (= Streben) di perfezionarsi.

    Distinguiamo l’Io assoluto di Fichte dall’Io penso di Kant e dall’’Io cogito cartesiano.
    Quest’ultimo è l’attestazione dell’esistenza dell’io, mentre l’io penso di Kant una pura funzione, priva di sostanzialità: è la facoltà di unificare a priori (= di sottoporre all’unità) il molteplice delle rappresentazioni date. Quindi una facoltà ordinatrice di una realtà preesistente. L’Io assoluto di Fichte invece è una Attività (come quella di Kant) creatrice e non più solo ordinatrice.

    I. 3. La Triade.
    La filosofia di Fichte, abbiamo notato, si presenta con una struttura triadica. Essa si articola nei tre momenti, dell’auto-posizione dell’Io (tesi), dell’opposizione del non-io (anti-tesi) e della determinazione reciproca dell’Io e del non-io (sintesi). Questa formula sarà destinata ad avere grande fortuna nella storia del pensiero (passando per Hegel, per arrivare a Marx fino a Freud). Essa è incentrata sul concetto nolano (= riferito al pensiero di Giordano Bruno, originario di Nola) di “sintesi degli opposti”. Se la consideriamo alla luce esclusiva delle formule teoretiche, la filosofia di Fichte è ostica, riducibile ad un vano gioco di concetti vuoti; ma, analizzata alla luce della esperienza quotidiana di ciascuno di noi, essa coglie l’intima essenza della vita spirituale.
    “Provatevi a pensare ad un qualunque atto mentale, senza opposizione, senza critica, senza riflessione su se stesso. Esso è destinato ad esaurirsi e disperdersi. La natura del nostro spirito è tale che ogni dire esige un contraddire, ogni tesi suscita un’antitesi, non come punto d’arresto o come un disfare quel che è fatto, ma come limite fecondo che fa fermentare gli elementi vivi della tesi, permeandoli di sé”. In questo modo la sintesi che deriva da questo lavoro di posizione e di critica della tesi iniziale, non è la pura e semplice ripetizione della tesi, ma è la riaffermazione di essa arricchita e rafforzata dal superamento dell’antitesi. Questo non vale soltanto per l’attività del pensiero teoretico ma anche per l’attività morale, estetica o religiosa o qualsivoglia altra attività dello spirito umano. Ovunque lo spirito si attua esso vive di opposizione e di lotta e le sue affermazioni per trovare conferma finale debbono passare attraverso le forche caudine della controprova. Lo schema triadico non fa che simboleggiare questo processo vitale, è la magra formula con cui questo processo viene riassunto. “Rivestendolo” della sua valenza psicologica possiamo tradurlo e re-interpretarlo alla luce del più complesso linguaggio dello spirito. Potremo così leggere nella “Tesi”, l’esordio, spontaneo, della ricerca teoretica o dell’intuizione artistica o dell’atto volontario, nell’“Antitesi”, il dubbio, l’obiezione, in altri termini il travaglio della riflessione e della critica, nella “Sintesi”, infine, la riconquista, la sicurezza, soprattutto la certezza di aver raggiunto un’opinione ponderata, non quella certa e inconfutabile, ma quella maturata soprattutto grazie al lavoro interiore.
    Esempio: Poniamo l’idea di mollare tutto e partire per la Costarica ad aprire un bar. È la nostra tesi. Da qui il dubbio, ma-che-sto-facendo? Ma-dove-vado? E i genitori: “Sei impazzito!?!” E il nonno: “Splendido! Ho qualcosa da parte, se mi prendi con te è tuo”. Questa è L’antitesi. Finché, alla luce di un lungo travaglio prendo la mia decisione, nel nostro caso faccio una scelta. Sbagliata? Giusta? Questa è la sintesi che si è arricchita di tutti gli elementi che mi hanno portato a prendere la decisione.
    Ed una volta raggiunta la sintesi non creda lo spirito di aver conquistato per sempre la quiete dopo la travagliata decisione finale. Ogni sintesi segna una pausa di meritato riposo, ma questo non è che una tregua che prelude ad un nuovo slancio, uno stato di equilibrio instabile in vista di un nuovo squilibrio che da vita ad un nuova “sfida”.

    I. 4. Idealismo o dogmatismo?
    Fichte nel suo saggio“Prima introduzione alla dottrina della scienza” cerca di dimostrare come la filosofia non sia, dunque, una costruzione astratta, ma una riflessione sull’esperienza. Un momento d’interpretazione dell’esperienza umana che ha come scopo la messa in luce del fondamento dell’esperienza stessa.
    Fare filosofia è appannaggio di tutti. Ciascuno di noi si costruisce il suo complesso di credenze, di valori, di priorità. Nel momento in cui si trova ad esaminarli, ne discute, li espone, sta facendo della filosofia; non sistematica, certo, magari limitata ad un ambito di conversazione tra amici e non espressa in “coerenti pagine consequenziali di tesi motivate da convinzioni profonde o poggianti su solide basi storico-filosofiche”, non c’è dubbio, nondimeno sta lo stesso facendo filosofia.
    Fare filosofia, significa anche studiarla, condividerla o rifiutarla. Così è andata avanti per secoli (questo non lo dice Fichte, lo dico io per introdurre meglio il concetto che vado ad esporre).
    Ora, Fichte riduce a due i modi di fare Filosofia, e in campo teoretico, in campo gnoseologico ed in campo etico, due sistemi di base, contrapposti l’uno all’altro. Nessuno dei due sistemi riuscirà mai a confutare direttamente l’altro, poiché nessuno dei due può fare a meno di ritenere “fondamentale” il proprio principio di partenza, che, essendo un assunto, un assioma, è di per sé indimostrabile.

    1. Il primo modo è quello “dogmatico”, il sistema che punta sull’oggetto o che fa del dato oggettivo il punto di partenza.
    2. Il secondo è quello “idealistico” opposto al primo che parte dall’Io o soggetto, “l’intelligenza”, come punto di partenza.

    Cosa è mai allora ciò che induce un uomo che voglia fare filosofia a scegliere l’un sistema piuttosto che l’altro? La scelta tra questi due “massimi sistemi” del mondo deriva da una differenza di inclinazione personale, da una presa di posizione preliminare in campo etico (dal carattere insomma).

    • Il dogmatismo si configura, in gnoseologia, come realismo (= esiste prima il mondo, ossia prima la cosa da conoscere) e in metafisica come materialismo(= il mondo è retto da principi oggettivi meccanici e determinati). Questa posizione,va da sé, rende problematico parlare della libertà in campo metafisico.
    • Al contrario l’idealismo, che si propone come una filosofia che ha come principio di base l’Io (= fa dell’Io un’attività auto-creatrice, in funzione della quale esistono gli oggetti), finisce per strutturarsi come una dottrina della libertà.

    Queste due filosofie hanno come corrispettivo esistenziale due tipi d’umanità.

    • Da un lato, infatti, esistono individui che non sono in grado (per carattere, per indole o per indolenza) di “elevarsi”, afferma Fichte, al sentimento ed alla convinzione della propria libertà assoluta e che riconoscono se stessi solo nel mondo, negli altri (in quello che gli altri fanno di norma). Essi sono istintivamente attratti dal dogmatismo e dal naturalismo (= dal determinismo e dalla servitù spirituale ai comportamenti più rassicuranti perché comunemente accettati, “in voga”, “condivisi dai più”).
    • Dall’altro vi sono individui che hanno il senso profondo della propria libertà ed indipendenza dalle cose (= dalle mode e dai modi di pensare accettati dai “pari”). Questi sono portati a simpatizzare per l’Idealismo. Soltanto questa filosofia insegna che l’essere uomini significa sforzo (Streben) e conquista e che il mondo esiste non per essere contemplato ma soltanto per essere forgiato dallo Spirito.

    La scelta sostanziale di cui parla Fichte, e che lo porta all’idealismo, è, in realtà, motivata e ben fondata anche teoreticamente, poiché tutta la sua dottrina della scienza è volta a mostrare che soltanto partendo dall’Io si riescono a spiegare sia l’Io che le cose.
    L’Io è dunque la realtà originaria e assoluta che può spiegare sia se stessa, sia le cose, sia il rapporto tra se stessa e le cose. Dall’azione reciproca dell’io ( = minuscolo, gli io singoli) e del non-io (= le cose, il mondo) nascono sia la conoscenza che l’azione morale.

    I. 5. Dottrina della conoscenza
    L’ affermazione che l’Io produce il non-io appare a prima vista un’affermazione quantomeno strana, soprattutto esponendola nella sua forma riflessiva: il non-io è un prodotto dell’Io.
    Tale dottrina genera un duplice problema non irrilevante:

    • Se il non-io (la natura) è un effetto dell’Io, perché esso appare alla coscienza comune come qualcosa di sussistente di per sé, anteriore ed indipendente dall’io stesso?
    • Eliminando la consistenza autonoma del non-io, questo non rischia di ridursi a una pura parvenza, a un sogno o a un’illusione?

    ► Al primo problema Fichte risponde con la teoria dell’Immaginazione produttiva (di cui aveva parlato anche Kant) che è l’attività, o l’atto, attraverso cui l’Io pone (= crea) il non-io. Tale Immaginazione fornisce all’Io il materiale della conoscenza, nel momento stesso in cui l’Io si separa, si scinde e crea se stesso creando al contempo anche il non-io. Questo atto di immaginazione polarizzata  avviene al di sotto della soglia della coscienza. “Il non-io è dunque immagine prodotta, non realtà esistente in sé. L’immaginazione produttiva è proprio l’attività dell’Io che pone l’oggetto come immagine di sé. Ma il soggetto empirico, che costituisce il punto di vista finito attraverso cui l’Io conosce, percepisce il non-io come realtà del tutto oggettiva, e non ha coscienza della sua affinità con sé: non ha coscienza che entrambi sono il dispiegarsi dell’Attività infinita, in due opposte determinazioni, dell’unico principio”. Soltanto con la prospettiva idealistica, afferma Fichte, l’uomo  ha preso coscienza della vera natura di sé e del mondo. L’Io non è consapevole di aver prodotto il materiale della conoscenza (= il non-io), non lo riconosce come auto-prodotto e dunque lo ritiene esistente di per sé (Fichte non lo dice proprio in questo modo, io preferisco esporlo così per rendere più masticabile il concetto).


    Di “Immaginazione produttiva” aveva parlato Kant, nella CRP (analitica trascendentale), come di quella facoltà che dà origine a quelle rappresentazioni intermedie che egli chiama “schemi trascendentali”, ad ognuno dei quali corrispondeva una categoria o un gruppo di categorie.

    ► Al secondo problema Fichte  risponde con l’enunciato stesso del suo sistema che conferisce realtà al non io in quanto lo considera reale quanto l’io che lo produce. È insomma una nuova prospettiva di osservazione del mondo, un modo di considerare le cose da un nuovo punto di vista.
    La natura, ossia la materia della conoscenza (= il regno dei fenomeni), è interpretata da Fichte come il prodotto dell’Attività infinita dell’Io puro che, nel suo infinito tendere verso la conoscenza, si scinde in un soggetto conoscente ed in un oggetto conoscibile.
    In quest’ottica, il non-io è soltanto lo specchio, l’immagine riflessa dello stesso Io puro, ed in quanto immagine oggettivata, la natura non ha per Fichte alcun’autonomia, alcuna legge o forza propria. L’ordine su di essa è posto, kantianamente, dall’attività conoscente del soggetto mediante l’applicazione delle forme a priori, solo che, sollevando il velo del fenomeno Fichte non scorge alcuna kantiana cosa-in-se ma, come il discepolo di Sais, vede l’Io stesso.

    II. 1. La Dottrina Morale
    La filosofia per Fichte, per essere tale, deve anche tentare di offrire una spiegazione del mondo nel suo complesso, rispondendo alla fondamentale domanda del perché esso esista.
    Per Fichte l’Io (infinito) pone il non-io, realizzandosi come io-conoscente-finito.
    Ma perché? Perché “l’Io pone il non-io”, a che scopo? In altre parole, perché esistiamo?
    La domanda, lapidaria, è quella che si pone chiunque voglia vederci chiaro in questa vita che gli è capitata da vivere. Quale è il motivo dell’esistenza?
    Il motivo dell’esistenza, risponde Fichte, è di natura pratica.
    L’Io pone il non-io, ed esiste come io-conoscente, solo per poter agire. Noi esistiamo perché conosciamo (lo disse Cartesio), ma conosciamo solo perché siamo destinati ad agire.
    L’io pratico costituisce la ragione stessa dell’io teoretico. In questo consiste, per Fichte, il primato, enunciato da Kant, della ragion pratica sulla ragion teoretica. Noi esistiamo solo per a-gi-re e il mondo esiste solo come teatro della mia azione e per null’altro.
    Ma cosa significa, per Fichte, agire?
    Agire per Fichte significa imporre al non-io la legge morale dell’io, ossia forgiare noi stessi ed il mondo alla luce di progetti “liberi e razionali”.
    L’idealismo di Fichte si identifica così con un Idealismo Etico più che teoretico.
    Il carattere morale dell’azione consiste nel fatto che l’azione stessa assume la forma di un Imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla materia, mediante la sottomissione dei nostri impulsi egoistici alla nostra ragione e mediante l’estensione della nostra volontà razionale al mondo esterno, che esiste per essere plasmato dalla nostra azione morale. Questa è la spiegazione definitiva del perché l’Io abbia necessità del non-io: l’Io, che è costituzionalmente Libertà, per realizzare se stesso deve agire, ed agire moralmente, in ottemperanza di un dovere.
    Come Kant aveva insegnato, “non c’è moralità là dove non c’è libertà”, Fichte prosegue “non c’è moralità dove non c’è Sforzo, ossia un ostacolo da rimuovere” Questo ostacolo è costituito dalla materia, dall’impulso sensibile, dal non-io. La posizione del non-io è quindi la indispensabile condizione affinché l’Io si realizzi nel suo scopo, che è morale. Realizzarsi come attività morale significa “trionfare sul limite”, costituito dal non-io, tramite un processo di auto-liberazione, di liberazione dell’Io dai propri ostacoli. Questo processo di auto-liberazione è la tensione dell’io verso l’infinito, infinito che l’io non potrà raggiungere, come abbiamo già visto, ma al quale per sua natura deve tendere. L’Io è dunque Infinito poiché si rende tale svincolandosi dagli oggetti che esso stesso pone,e pone tali oggetti perché senza di essi non potrebbe realizzarsi come attività e come libertà. Lo scopo della vita dell’umanità sulla Terra è quello di conformarsi liberamente alla ragione in tutte le sue relazioni.

    II. 2. La missione morale del dotto.
    Da questo deriva la missione sociale dell’uomo ed, in particolare, dell’uomo dotto. Per Fichte, infatti, il dovere morale è realizzabile dall’io finito soltanto insieme con gli altri io finiti. Nel Sistema della dottrina morale (1798) egli arriva a “dedurre” filosoficamente l’esistenza degli altri io basandosi sul principio per il quale la sollecitazione al dovere può venirmi soltanto da esseri al di fuori di me che siano però, come me, nature intelligenti. In altre parole, se ammetto l’esistenza d’altri esseri come me, io sono obbligato a riconoscere ad essi la stessa prerogativa che mi appartiene, cioè la libertà. In base a questo principio, ogni io finito risulta costretto a porre dei limiti alla propria libertà e soprattutto ad agire affinché l’umanità nel suo complesso risulti sempre più libera. Farsi liberi e rendere liberi gli altri ecco il senso dello Streben (lo sforzo) sociale dell’io. E per realizzare pienamente questo scopo si richiede la mobilitazione di chi ne possiede la maggior consapevolezza teorica, cioè, dei “dotti”. Fichte sostiene nelle Lezioni sulla missione del dotto (1794) che gli intellettuali non devono rimanere isolati nelle loro torri della scienza, ma devono essere “persone pubbliche” con precise responsabilità sociali e morali. Essi, anzi, esistono in funzione della società e devono adoperarsi per migliorarla. Il dotto deve essere l’uomo migliore del suo tempo, deve farsi maestro e educatore del genere umano perché se il fine supremo di ogni uomo è il perfezionamento di sé, quello dell’uomo dotto è il perfezionamento morale di tutto il genere umano.

    II. 3. La Filosofia politica.
    Il pensiero politico di Fichte passa attraverso fasi diverse, influenzate inevitabilmente dagli eventi storici a lui contemporanei, dalla rivoluzione francese all’invasione napoleonica della Germania. All’inizio del suo percorso politico Fichte parte da concetti socialmente “spinti” e mostra di condividere una visione contrattulistica, ancora Rousseauiana, dello stato soprattutto in chiave antidispotica e libertaria. Simpatizzando con gli eventi della rivoluzione francese, Fichte afferma che scopo dello Stato è l’educazione alla libertà di cui è corollario inevitabile il diritto alla rivoluzione. Nel caso in cui lo stato non permetta l’educazione alla libertà, infatti, ciascuno è legittimato a rompere il contratto sociale (anche attraverso la rivoluzione) e di firmarne un altro che sia in grado di fornire migliori garanzie civili (= formare un nuovo assetto politico). Il sistema politico auspicato da Fichte, nella fase giovanile del suo pensiero, è un sistema in cui la proprietà deve essere il frutto del lavoro produttivo, un sistema nel quale chi non lavora non deve mangiare. Un atteggiamento ponderatamente “rivoluzionario” che contempla una forma di comunismo dei beni prodotti.
    Inoltre, nella parte dedicata alla politica delle Lezioni sulla missione del dotto, Fichte scorge il fine ultimo della vita comunitaria in una “società perfetta”, un insieme di esseri ragionevoli e liberi e considera lo stato come semplice mezzo in funzione di essa, finalizzato al proprio annientamento, in quanto lo scopo di ogni governo dovrebbe essere quello di rendere superfluo il governo. Ovviamente Fichte ritiene questa proposizione anarchica, una situazione-limite, fondamentale però in termini di prospettiva morale.
    Nei Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza (1794), Fichte si esprime in altri termini e si sofferma sull’importanza dello stato, che deve farsi garante dei tre diritti originari e naturali dell’individuo la libertà, la proprietà e la conservazione di sé che possono essere assicurati soltanto da una forza superiore all’individuo, ossia dalla collettività degli individui che costituisce l’organismo statale. Lo stato, in questa nuova prospettiva, lungi dall’eliminare il diritto naturale, serve a garantirlo e a realizzarlo.
    Questo punto di vista è corretto e completato nello Stato commerciale chiuso (1800) dove il filosofo afferma che lo stato deve, non solo farsi garante dei diritti originari, ma anche rendere impossibile la povertà, garantendo a tutti i cittadini lavoro e benessere. Polemizzando contro il liberismo ed il mercantilismo, Fichte, propone una sorta di statalismo socialista ed autarchico, autosufficiente sul piano economico. Per svolgere i suoi compiti in tutta libertà ed efficienza, regolando secondo giustizia la distribuzione dei redditi e dei prodotti, lo stato deve organizzarsi come un tutto chiuso, senza contatti con l’estero (eccezion fatta per gli intellettuali che devono muoversi per motivi di studio), sostituendo in tal modo all’economia liberale del mercato ed al commercio di scambio mondiale un’economia statale pianificata e l’isolamento economico totale degli stati. Tale chiusura commerciale, continua Fichte, è possibile però solo a patto che lo Stato abbia all’interno dei suoi confini tutto ciò che gli occorre per la fabbricazione dei prodotti necessari e là dove questo manchi lo stato può avocare a sé il commercio estero e farne un monopolio. Questa autarchia economica e sociale ha il vantaggio di evitare gli scontri tra gli stati, che nascono sempre dal contrapporsi degli interessi commerciali.
    L’opera di Fichte sul piano politico, un ibrido di teorie libertarie, individualiste e stataliste, esprime la sovrapposizione di due concezioni dello stato, quella liberale classica e quella socialista e, sebbene risulti un’irrealizzabile congerie di utopie, esprime un esigenza storica reale, consistente nella necessità di un intervento attivo dello stato moderno nella vita sociale, volto ad evitare le ingiustizie, la povertà e la disoccupazione.
     L’occupazione napoleonica della Prussia costituisce l’occasione dell’evoluzione definitiva della filosofia politica di Fichte, in senso nazionalistico. Nei celebri Discorsi alla Nazione tedesca (1808), una delle opere più singolari che siano mai apparse sulla scena filosofica, Fichte vela le sue intenzioni polemiche sotto il pretesto del tema educativo. La complessità del mondo moderno, afferma l’autore, richiede da parte dello stato una “nuova” azione pedagogica capace di trasformare radicalmente, in chiave etica, la stessa struttura psicologica dei cittadini. In virtù del suo carattere peculiare, che egli identifica nella lingua nazionale, soltanto il popolo tedesco è in grado di promuovere la “nuova educazione”. Soltanto il popolo tedesco ha mantenuto integra ed incontaminata la propria lingua, scevra da influenze straniere, non come gli spagnoli, gli italiani e i francesi che possiedono lingue ibride, lingue neolatine mescolatesi con quelle degli innumerevoli popoli che hanno abitato sulle loro terre. In conseguenza di ciò i tedeschi sono anche gli unici ad avere una patria nel senso più alto del termine e a costituire un’unità organica nella quale i singoli si riconoscono. Coniugando il discorso patriottico con quello nazionalistico Fichte proclama che soltanto la Germania, sede della grande riforma di Lutero, patria di Leibniz e di Kant, epicentro della nuova arte romantica e della nuova filosofia idealistica, risulta la nazione “eletta” tra le altre a divenire per gli altri popoli ciò che il filosofo vero è per gli altri uomini: una forza trainante, una “guida” ed un “faro” per l’intera umanità. Tale “missione”, da parte della Germania, risulta essere così importante che se essa fallisse l’intera umanità pe-ri-reb-be. (Urca!) Non vi sono vie d’uscita: Se voi cadete, l’umanità intera cade con voi, senza speranza di riscatto futuro.
    Tali espressioni non devono trarre in inganno il lettore attento. Noi dobbiamo abituarci a contestualizzare i nostri autori.
    Fichte scrive con talento enfatico e con impeto oratorio, per i nostri gusti un po’ troppo retorico, ma dobbiamo ricordarci la situazione in cui furono scritti questi discorsi. Il nuovo spirito romantico, che spingeva alle irrefrenabili esplosioni sentimentali, l’insofferenza per l’invasione napoleonica (Napoleone, oltre ad essere l’invasore, aveva tradito le aspettative di molti giovani intellettuali tedeschi che avevano accolto con favore ed entusiasmo la Rivoluzione Francese) e la guerra che ne derivò, il carattere personale, generoso ed impulsivo del nostro filosofo, sono alcuni degli elementi che possono aiutarci a ridimensionare l’impulso ribellistico nei confronti di simili affermazioni.
    In oltre è bene fare subito qualche osservazione.

    • Il “primato” che Fichte assegna al popolo germanico non è di tipo politico, né militare; quando parla di primato, lo intende soltanto in senso culturale e spirituale. Ed il ruolo che la Germania deve giocare è quello dell’esempio.
    • L’interesse che il popolo tedesco deve aver a cuore è non quello privato, ma quello dell’umanità nella sua interezza.
    • Il fine educativo della “Germania maestra” deve consistere nella promozione di valori quali la ragione e la libertà.

    Queste osservazioni, doverose, dovrebbero servire a scagionare Fichte dalle accuse mossegli in seguito ad un’interpretazione (testualmente scorretta) dei Discorsi che è stata fatta in senso pangermanista o razzista. Ciò non toglie che, tali discorsi, abbiano esercitato la loro maggiore influenza storica proprio in questo senso. È proprio in senso, non soltanto patriottico, ma apertamente razzista ed aggressivo che il contesto dei Discorsi e parole come “missione”, “primato del popolo integro”, sono divenute parole-chiave dello sciovinismo tedesco, portato ben presto a trasformare la “supremazia” spirituale della nazione tedesca di Fichte in una “supremazia” razziale e di potenza destinata a sfociare nel nazismo del Terzo Reich.
    [ Riflessione: possiamo ritenere Fichte colpevole di questo uso improprio che è stato fatto del suo testo?
    Il 16 luglio del 1945, nel deserto del New Mexico (USA) presso la località di Alamogordo, il fisico Julius Robert Oppenheimer, coordinatore dei laboratori atomici statunitensi nei quali fisici e chimici studiavano la fissione nucleare, diede il placet alla prima  esplosione atomica. L’effetto, pari allo scoppio di un milione di tonnellate di tritolo, si espresse con un’onda d'urto violentissima, generata dalla liberazione immediata di gas, con un’elevata emissione di calore e una ricaduta di pulviscolo radioattivo (fall-out). In un’intervista rilasciata nel 1962 Oppenheimer, ricordando il momento dello scoppio nel deserto, disse di aver provato un senso di vertigine e di sgomento e di aver ricordato spontaneamente un passo del Mahabharata , il poema epico indiano, in cui Vishnu, apparso in armi, afferma “Ecco. Ora sono un compagno della morte, un distruttore di mondi”.
    Il primo impiego a fini bellici della bomba atomica (da non confondere con la bomba H) avvenne a Hiroshima il 6 agosto del 1945. Quattro giorni più tardi, un secondo ordigno fu lanciato sulla città di Nagasaki.
    Posiamo ritenere Oppenheimer colpevole del disastro verificatosi?
    Lo studioso, scienziato o filosofo, può ritenersi assolto dall’impiego effettivo delle sue produzioni, materiali o teoriche?
    La scienza è per sua natura neutrale? Chi non sapeva come sarebbe stata effettivamente usata la sua affermazione o la sua creazione può ritenersi assolto dagli effetti scaturiti? O deve ritenersi colpevole di non aver calcolato i rischi di un impiego aberrante della sua teoria (scoperta o invenzione)? Se diamo risposta, affermativa o negativa, a questa domanda, possiamo non tener conto del fatto che la scienza, così come la filosofia, debbano essere libere di proseguire in nome della ricerca e della libertà, di pensiero e di progresso?
    Le due figure, il pensatore tedesco, promotore di una riscossa etica, e d il fisico americano, impegnato in una ricerca scientifica a fini chiaramente bellici, sono storicamente ed ideologicamente distanti. All’una figura è stata accostata in questa sede volutamente l’altra, perché secondo voi? ]
    Diciamo che in questa fase politica del suo pensiero, Fichte tende ad accentuare la missione educatrice dello stato, ed in  particolare dello stato tedesco ed a risolvere l’io empirico nel Noi spirituale della Nazione.
    III. 1. La Crisi del sistema
    A partire dal 1801, con la nuova edizione della Dottrina della scienza,Fichte prende a rielaborare la sua filosofia in varie stesure, allontanandosi, gradualmente ma inesorabilmente, dalle sue primitive affermazioni.
    Evidentemente i principi stessi del suo sistema presentavano un problema che egli cercò negli ultimi tempi di risolvere. Tale problema consiste proprio nel rapporto tra finito ed infinito. Con il riconoscimento di un Io infinito nell’uomo, Fichte aveva posto la divinità nell’uomo stesso, escludendo lo stesso concetto di Dio dalla sua filosofia. Col passare del tempo gli interessi filosofici di Fichte si complicano di quegli stessi interessi teologici, da cui è partito in giovane età ed il problema della divinità riaffiora. Se l’uomo, dice, è in qualche misura partecipe della divinità, ciò non significa che la divinità si esaurisca nell’uomo e viva in lui solamente. Questa è una teoria che Fichte elabora negli anni.
    Nella prima fase, la sua filosofia era una dottrina dell’infinito nell’uomo; nella seconda fase diviene dottrina dell’infinito fuori dell’uomo. Nella prima fase l’infinito è identificato con l’uomo; nella seconda fase l’infinito è identificato con Dio.
    Nella stesura della Dottrina del 1801, egli contrappone l’Assoluto (= l’infinito), come adesso lo chiama, al sapere umano ed al mondo, ai quali tende a toglier gradualmente valore. Tale orientamento mistico si accentua nella Dottrina della scienza del 1804 edizione in cui l’Assoluto è addirittura indicato come il principio di distruzione di ogni sapere e quindi si può cogliere solo misticamente nell’annullamento del sapere stesso, e quindi della coscienza individuale, al cospetto della luce divina.
    Nell’elaborazione del 1810 della sua Dottrina, intitolata La dottrina della scienza nel suo disegno generale, l’essere è identificato con Dio, in quanto è uno, immutabile e indivisibile. L’autocoscienza invece è solo un pallido riflesso della divinità. Siamo molto lontani dalla tesi della prima Dottrina della scienza secondo la quale l’autocoscienza era il principio di ogni realtà.
    Negli scritti successivi, di carattere più divulgativo, i temi religiosi si fanno più marcati. Nell’Introduzione alla vita beata, Fichte tratta della beatitudine intesa come comunione con Dio, ma rileva che anche in quest’unione Dio non diviene il nostro essere, ma rimane fuori di noi che ne possiamo cogliere soltanto l’Immagine. L’unione con Dio, però, non è mistica contemplazione della pochezza del mondo rispetto all’infinità dell’assoluto, ma è religione come intimo spirito che purifica il pensiero e l’azione: è quindi moralità operante nel mondo. Il pensiero può raggiungere la ri-ve-la-zio-ne di Dio, la possibilità della sua esistenza o la sua immagine; il vero essere di Lui rimane però al di là. In altre parole, l’esistenza di Dio si identifica con l’autocoscienza dell’uomo; ma il modo in cui essa deriva dall’Essere di Dio è e rimane un mistero inavvicinabile.

    III. 2. La filosofia della Storia.
    Le idee sulla Storia di Fichte esposte in uno scritto del 1806 dal titolo Tratti fondamentali dell’epoca presente. Esse riprendono, come avremo modo di confrontare, quelle del filosofo allievo Shelling esposte nel Sistema dell’Idealismo trascendentale (1800). Fichte sostiene che nella storia dell’umanità si distinguono due stadi fondamentali: uno, lo stadio primordiale, è quello in cui la ragione è ancora incosciente (= l’età dell’innocenza storica), l’altro è quello in cui la ragione emerge e domina liberamente (= l’età della giustificazione e della santificazione). L’intero sviluppo della storia si muove tra queste due epoche ed è il prodotto dello sforzo di passare dalla determinazione dell’istinto alla piena libertà.

    III. 3. Fichte nella Storia della filosofia.
    Fichte, fu accolto dai contemporanei con entusiasmo. I suoi più fervidi ammiratori furono i Romantici. Shlegel lo indicò quale scopritore del concetto romantico di Infinito e quindi come ispiratore dello stesso movimento letterario. Jacobi affermerà che se Kant è stato il Giovanbattista della nuova età della cultura Fichte ne è certamente il Messia e Hoelderlin scrive all’amico Hegel che Fichte è un Titano nella lotta per l’umanità. I Romantici trarranno da Fichte alcune delle loro più significative convinzioni, il principio dell’infinito e della creatività dello spirito, la dottrina della libertà dell’io, la tesi dell’oggetto come immagine prodotta dal soggetto, il titanismo e la concezione della vita come streben, come continuo sforzo.
    La fortuna di Fichte presso i membri del circolo durò poco. Altri idoli erano lì pronti soppiantare Fichte. Goethe, Shelling Hegel lo detronizzarono ben presto. Tuttavia Fichte, fondatore del nuovo movimento idealista, influenzò profondamente i suoi successori dai quali è stato sì identificato come l’antesignano ma anche bollato come il pensatore della “soggettività”, incapace di attingere l’oggetto e la natura (Shelling) oppure la Storia e l’Assoluto (Hegel). In funzione di quest’ultimo Fichte finirà per essere considerato da larga parte della critica. In realtà alcuni temi del primo Fichte, la concezione dello Spirito come attività autocreatrice ed intrinseca eticità torneranno nel neoidealismo di Giovanni Gentile. Ma di là dalle dirette influenze sulla storia del pensiero successivo la vera e profonda influenza del nostro pensatore va ricercata soprattutto nella sua visione attivistica ed etica dell’esistenza, che fa di lui il rappresentante tipico della concezione moderna dell’uomo. L’uomo che interpreta la vita come impegno, missione, dover essere, libertà e movimento, tipica dell’Occidente moderno.

     

     

    Schelling

    Friedrich W. J. Shelling (1775 – 1854) fu amico di Hoelderlin e di Hegel, con i quali studiò teologia nello Stift (il seminario protestante) di Tubinga, fu amico di Goethe grazie al cui appoggio entrò a Jena come successore di Fichte, dopo le dimissioni di lui. Studiò matematica e scienze a Lipsia. A 24 anni era professore universitario ed a 25 pubblicava l’Idealismo trascendentale (1800), la sua opera più importante. Inizialmente entusiasta del sistema fichtiano, cercò ben presto di piegarlo ai suoi interessi naturalistici ed estetici. Schelling incarnò perfettamente la figura del “genio” romantico; affascinante, di spirito inquieto e dal carattere ombroso, entrò in urto con il suo maestro, Fichte e in polemica anche con l’amico Hegel, suo primo seguace destinato a diventare il suo critico più severo. La brama di assoluto, la scoperta di una provvidenza nella storia dell’uomo sono temi che connotano la sua come una filosofia tipicamente romantica, ma soprattutto Schelling è ricordato per essere il filosofo della natura.
    Un discorso su questo autore può essere impostato dividendo la sua filosofia in tre momenti: la Filosofia della Natura, la Filosofia dell’Assoluto, la Filosofia dell’Identità.

    La Filosofia della Natura

     La natura è il tema fondamentale della filosofia di Schelling e prende spunto da suggestioni diverse:
    1) La cultura filosofica rinascimentale (da Bruno a Spinoza),
    2) La teoria dei fini contenuta nella Critica del Giudizio di Kant,
    3) La Dottrina della Scienzadi Fichte,
    4) Le ricerche scientifiche dell’epoca, sull’elettricità e il magnetismo.
    Alla base della sua concezione filosofica della natura, esposta in varie opere, sta il rifiuto dei due tradizionali modelli esplicativi della natura: quello meccanicistico scientifico e quello finalistico teologico.

    • Il meccanicismo è una teoria volta a spiegare l’universo sulla base di leggi meccaniche, impostata sul ferreo determinismo, quale era venuto delineandosi in seguito soprattutto alle scoperte scientifiche del XVII secolo.
    • Il finalismo teologico è al contrario la teoria che intende spiegare l’universo come un atto libero e fuori dal tempo da parte di un creatore (Dio), il quale, per uno scopo che a noi sfugge, ha voluto creare il mondo e le sue leggi.

     
    Il primo è incapace, per Schelling, di spiegare la provenienza degli esseri viventi dalla materia inerte, il secondo è inadatto a giustificare l’autonomia dei processi naturali. In conformità a questo doppio rifiuto, Schelling perviene ad una costruzione propria che possiamo riassumere in alcuni punti fondamentali.

    1) La natura ha un valore in sé, non è semplice non-Io.
    Nonostante parta dalla dottrina di Fichte, Schelling rifiuta, di essa, la concezione della natura come semplice teatro dell’azione morale umana, un semplice non-io. La Natura, afferma, ha la stessa realtà che Fichte aveva conferito all’Io, dunque ha vita e valore essa stessa perché deriva dal medesimo principio che spiega il mondo della ragione e dell’Io (Schelling parla indifferentemente di Io, di ragione e di spirito).

    2) Esiste un principio Assoluto, che è il fondamento sia della natura che dello spirito.
    Spinoza aveva riconosciuto il fondamento dell’universo nella Sostanza, la Natura, che era il principio oggettivo dell’Universo. Fichte aveva riconosciuto il principio supremo della conoscenza e della realtà materiale dell’Universo nell’Io, un principio puramente soggettivo. Schelling non è convinto da nessuna delle due posizioni, poiché una pura attività soggettiva (l’Io di Fichte) non può spiegare la nascita del mondo naturale, così come un principio puramente oggettivo (la Sostanza di Spinoza) non riesce a spiegare l’origine dello Spirito. Quindi Schelling unisce i due principi (oggettivo e soggettivo) dell’universo, nel concetto di Assoluto. LAssoluto è il fondamento d’entrambi i principi, è qualcosa che può spiegarne sia l’esistenza sia l’essenza ed è, con-tem-po-ra-ne-a-men-te, oggetto e soggetto, natura e ragione.

    3) La Natura è spirito e lo Spirito è natura.
    Nella loro assoluta identità, o Indifferenza, lo Spirito (intelligenza) e la Natura (materia) sono i due volti del medesimo processo, quindi se la Naturaè spirito visibile, lo Spirito è natura invisibile. In altre parole, la natura è una forma di intelligenza concreta, tangibile, mentre l’intelligenza è una forma di materia spirituale, impalpabile.

    4) La natura non lo sa, ma è intelligente.
    Contrariamente a quanto affermato da Cartesio (che aveva distinto una res cogitans da una res extensa), la materia non può essere definita in opposizione allo spirito perché essa stessa è intelligente, anche se in maniera non consapevole. Tant’è che la tecnologia umana non riesce, neppure lontanamente, ad imitare i più semplici meccanismi della natura, la cui complessità razionale supera qualsivoglia scienza umana. “Si osservi la regolarità di tutti i movimenti della natura, per esempio, la sublime geometria messa in atto dai corpi celesti […] e nel regno animale, prodotto di cieche forze naturali, osserviamo il sorgere di atti che per regolarità sono paragonabili a quelli compiuti coscientemente […]. Tutto ciò viene spiegato con l’esistenza di una produttività inconscia, ma originariamente affine a quella conscia, di cui noi scorgiamo nella natura il riflesso.”

    5) La natura ha un fine, che si evince dalla sua perfetta organizzazione, e questo fine è immanente.
    Il doppio rifiuto del “meccanicismo scientifico”, di stampo galileiano, e del “finalismo teologico” cristiano, cui abbiamo accennato, porta Schelling a formulare la propria teoria della natura in senso organicistico, finalistico e immanentistico. La natura, in altre parole, è leggibile, per Schelling, secondo uno schema nel quale ogni parte ha senso soltanto in relazione col tutto (= Organicismo) ; un “tutto” (un universo) che non è dovuto all’incontro casuale di atomi, perché in esso, al di là del meccanismo perfetto delle sue forze, si manifesta una finalità superiore (= Finalismo). Tale finalità tuttavia, non deriva per Schelling neppure da un intervento esterno, da una divinità superiore, ma è interna alla Natura stessa (= Immanentismo). “La natura è un organismo che si organizza da se stesso”.

    6) Il principio organizzatore della natura è Immanente, Spiritualee Inconscio.
    Parlare in termini di “finalità” della natura significa attribuirle uno scopo (una “programmazione intelligente”). Parlare di “programmazione intelligente” significa presupporre che nella natura agisca un’Intelligenza, la quale è immanente nella natura stessa e agisce, però, in maniera totalmente inconsapevole. Questa entità “inconscia” è la “forza” organizzatrice di cui parlavano già gli antichi, esprimendola in termini di anima mundi. Essendo Spirito, sia pure inconscio, la natura presenta gli stessi caratteri dell’Io di Fichte; essa è un’attività spontanea e creatrice che si esplica in una serie infinita di creature ed agisce attraverso la lotta di forze contrapposte. E, come l’Io fichtiano non poteva realizzarsi se non a patto di dualizzarsi in soggetto e oggetto, così la Natura di Schelling non può fare a meno di polarizzarsi in due fenomeni di base: l’attrazione e la repulsione.

    7) La materia è “vita che dorme”. 
    Nella natura si manifesta ciò che Fichte ha riconosciuto nell’Io: una tendenza all’espansioneche si arresta di fronte ad un limite. L’arresto è solo momentaneo in quanto la forza espansiva, proprio dal limite che le si oppone, trae la forza per espandersi nuovamente, fino a che non incontra un nuovo limite, e così via.
    Nella formulazione del suo modello, Schelling articola la storia del nostro universo in tre diversi “livelli di sviluppo”, che chiama anche “potenze”, rilevando come in ognuno di questi livelli operino le tre forze universali della natura, nelle quali si concretizza la polarità di attrazione-repulsione, che sono il magnetismo, l’elettricità ed il chimismo, cui corrispondono, nel mondo organico, la sensibilità, le reattività e la riproduzione.
    Tralasciando la complessa teoria delle “potenze”, complessivamente osservata la natura si presenta come uno spirito inconscio in moto verso la coscienza, un processo di progressiva sma-te-ria-liz-za-zio-ne della materia e di progressivo emergere dello spirito. Questo processo culmina con l’uomo (l’auto-coscienza), che è l’autentico fine della natura. La natura appare a Schelling come la “preistoria dello Spirito”, il quale, attraverso un percorso che va dai minerali all’uomo, si cerca attraverso le cose, per giungere presso di sé con l’uomo. Con l’uomo si ha il più alto e completo ritorno della natura a se stessa.La materia è vita che dorme […] Essa attinge il suo più alto fine, quello di diventare interamente oggetto a se medesima, con l’ultima e più alta riflessione, che non è altro se non l’uomo, o più generalmente ciò che noi chiamiamo ragione […] in tal modo per la prima volta si ha il completo ritorno della natura a se stessa, e appare evidente che la natura è originariamente identica a ciò che in noi viene riconosciuto come principio intelligente e cosciente”. Attraverso l’uomo la materia “pensa se stessa” e raggiunge così il suo scopo.

    In virtù di questa visione della natura, molto più poetica che scientifica, Shelling è stato accusato di essersi sterilmente allontanato dai progressi faticosamente conquistati da una scienza della natura che, con Copernico, Galileo e Newton, si era lasciata alle spalle le speculazioni qualitative rinascimentali per approdare a conclusioni quantitative e matematiche. Il suo “romanzo della natura”, com’è stato definito, ha avuto, però, il merito di stimolare nella gioventù tedesca l’interesse per i fenomeni naturali, specie per quelli ancora sconosciuti come l’elettricità ed il magnetismo e per quelli totalmente trascurati dalla scienza illuministica quali l’ipnotismo, la psicologia e così via.
    C’è da rilevare che pur parlando di “cammino” della materia e di evoluzione di essa nel senso di una piramide, con alla base la materia inorganica e sulla cima l’uomo, Schelling non deve essere considerato un evoluzionista. I diversi “gradi” evolutivi, di cui parla, non sono gradi temporalmente successivi dell’universo, ma momenti puramente ideali e quindi simultanei dell’organizzazione dialettica della natura, i cui la materia e l’uomo non compaiono in momenti consecutivi della storia del mondo ma rappresentano due momenti ideali dell’Assoluto, di quell’unità originaria che è da sempre Natura e Spirito. La filosofia di Schelling però ha fatto da supporto metafisico per tutte le teorie evoluzionistiche del XIX secolo. Sarà sufficiente, per alcuni pensatori che incontreremo più avanti, prospettare in termini temporali ciò che in Schelling era ancora pensato in termini metafisici, per configurare un sistema teorico di stampo evoluzionistico.

     

    La filosofia dell’Assoluto

    Dopo aver mostrato il percorso della natura per giungere all’intelligenza Schelling intende ripercorrere il cammino al contrario, dall’intelligenza alla natura, scoprendo come la coscienza si renda edotta (= consapevole) del processo da cui deriva. Nel suo scritto più sistematico, l’Idealismo Trascendentale, redatto in giovanissima età (1800), egli traccia, in termini oscuri e quasi magici, la filosofia dell’Assoluto, nella quale si propone di delineare quella filosofia trascendentale che costituisce la controparte della filosofia della natura. L’essenza dell’Assoluto è individuata nella rinascimentale unità degli opposti. L’Assoluto è ribadito come Identità in-dif-fe-ren-zia-ta di Io e non-Io, di ideale e reale, di soggetto e oggetto. L’assunto fondamentale è lo stesso cui perveniva nella sua filosofia della natura: Io e Natura sono la stessa e medesima cosa.

    1) Punto di partenza del “viaggio a ritroso” di Schelling (che è anche il punto d’arrivo dalla filosofia della natura) è l’auto-coscienza, ossia “il sapere” che l’Io ha di se stesso.
    Anche per Schelling tale auto-coscienza, com’era per Fichte, ha la forma di un’Attività-auto-creatrice, in virtù della quale l’Io, nel momento in cui conosce se stesso, produce o istituisce se stesso (e tramite sé, tutti gli oggetti).

    2) L’autocoscienza è attività che passa tre fasi di sviluppo, al cui culmine sta l’intelligenza.
    Schelling intende seguire il percorso compiuto dall’Io, ossia del soggetto che arriva progressivamente a prender coscienza di sé come attività produttrice (come intelligenza che determina se stessa) e rintraccia tre “epoche” dell’Io. Queste epoche, che chiama anche “fasi”, vanno dalla sensazione(= il puro sentire o patire un limite,= un dato, davanti a sé) alla riflessione o l’accorgersi di sentire un limite (= il riflettere su di sé riconoscendosi come essere senziente e prendendo progressivamente coscienza della propria attività), fino alla conoscenza di sé che è l’intelligenza. Quest’ultima fase, è quella in cui l’Io si coglie come attività in grado di auto-determinarsi e tale auto-determinazione si ha completamente quando l’Io produce un atto volontario. L’attività conscia si manifesta nella coscienza della volontà. Questa è anche l’origine della morale.

    3) La filosofia pratica (morale) inizia con il culmine dell’attività teoretica.
    Nella sua fase finale, l’intelligenza si riconosce come volontà. La terza epoca, realizzandosi in una molteplicità di soggetti coscienti e volenti, che si manifestano gli uni agli altri, si concretizza così nella morale (che rivendica la libertà dell’agire) e nel diritto (che si arroga la legalità e la necessità del sottostarvi). Nel mondo umano nasce l’antitesi di libertà e necessità che richiede di essere composta in una sintesi superiore. Una prima composizione di quest’antitesi è rappresentata dalla Storia, nella quale agisce una forza superiore agli uomini, i quali s’illudono di operare liberamente, ma in realtà obbediscono ad un disegno.

    4) A questo punto però la domanda sorge spontanea.
    La domanda è la stessa che ci siamo posti a proposito di Fichte: “Gentili idealisti, Voi affermate che l’oggetto non sia altro che una produzione del soggetto, giusto? Allora come mai noi, poveri mortali, abbiamo l’impressione di vedere, sentire, odorare e di interagire con qualcosa di preesistente a noi o di esistente indipendentemente da noi?” La risposta di Schelling, analoga a quella di Fichte, può essere riassunta così: “voi, poveri mortali, pensate che gli  oggetti siano indipendenti soltanto perché l’Io li genera inconsciamente tramite la fichtiana “immaginazione produttiva” (che Schelling chiama “produzione inconscia”). “L’idealismo trascendentale” di Schelling è da ritenersi, insomma, una sorta di presa di coscienza di quel produrre inconscio dello spirito, in cui è da ricercarsi la radice soggettiva degli oggetti.
    D’accordo, ma la pretesa idealistica che sia il soggetto a produrre l’oggetto non contraddice la premessa di Schelling di una natura come “valore-in-sé” e non come semplice non-io?. No, risponde Schelling, nessuna contraddizione dato che l’Io e la natura sono la stessa cosa, sono entrambi l’Assoluto!!! La natura ha valore quanto l’Io perché è Io-inconsapevole, è il lato inconscio dell’Io ma è vero quanto l’Io stesso.

    5) L’arte è una forma di conoscenza dell’assoluto, poiché racchiude in sé natura e intelligenza, conscio e inconscio.
    Il filosofo idealista si assume il compito di mostrare all’Io conoscente la perfetta identità tra l’attività inconscia, che ha prodotto l’oggetto (la Natura) e quella conscia (lo Spirito) che si manifesta nella volontà. Un esempio concreto di perfetta unità tra i due momenti è l’Arte, un’attività umana nella quale si armonizzano completamente spirito e natura, il produrre conscio e quello inconscio. L’arte per Schelling è lo strumento perfetto della filosofia.
    Inserendosi nell’ambito dell’estetismo romantico, Schelling ritiene che l’arte sia “ l’organo” di rivelazione dell’Assoluto. L’opera d’arte si presenta come perfetta sintesi di un momento inconscio, spontaneo (l’ispirazione) e di un momento conscio e meditato (l’esecuzione cosciente e la tecnica). Inoltre il “genio” artistico si concretizza in produzioni “finite”, suscettibili però di una lettura ed a interpretazioni “infinite”, da parte del fruitore, della quale lui neppure l’artista è consapevole. L’opera d’arte è una “porta” attraverso la quale si apre uno spiraglio che ci consente uno sguardo sull’infinito. Il poeta è una replica umana, una personificazione materiale di quel poeta cosmico che è l’Io, che genera in modo conscio e inconscio al tempo stesso. La filosofia è la sola scienza in grado di riconoscere all’arte il valore di “sapienza dell’Assoluto”, sapienza basata sull’intuizione immediata di esso. L’arte è quel luogo privilegiato dove la filosofia potrà ritrovare la postulata identità tra produttività inconscia e quella conscia.

    La Filosofia dell’Identità.

    Il problema che si pone in quella fase di pensiero di Schelling che va dal 1801 al 1804, definita “filosofia dell’Identità” o filosofia dell’Indifferenza, è quello, antichissimo, di spiegare come dall’Uno, indifferenziato, discendano i molti e come dall’Eterno derivi il tempo; ossia come da un Assoluto ed identico possa provenire la molteplicità e la differenziazione delle cose del mondo. E Perché?
    Le domande che il filosofo si pone in questo periodo sono fondamentalmente queste:
    a) da dove proviene la possibilità ontologica del finito e del mondo?
    b) da dove la possibilità ontologica del male nel mondo?
    c) da dove la possibilità ontologica della libertà nel mondo?
    Nonostante la lezione di Kant, la metafisica è ancora una grande tentazione!

    1) Il passaggio dall’Infinito al Finito.
    Nel dialogo Bruno o sul principio divino e naturale delle cose (1802) Schelling afferma che dall’infinito al finito non possa esservi passaggio, se non ammettendo che il finito si trovi già nell’infinito. Il finito è insomma in qualche modo già in Dio, solo che vi è sottoforma di un sistema di idee, sottratto ai limiti dello spazio e del tempo (una specie di mondo delle idee platonico).

    2) La teoria del “dio che diviene”.
    Questo però non spiega perché l’infinito sistema di idee divine si venga specificando nella molteplicità delle creature viventi e delle cose del mondo, in altri termini, la teoria ci dice che il molteplice è già presente nell’infinito (Dio) ma non ci da ragione del come e, soprattutto del perché, da Dio derivi il mondo. Abbiamo sostenuto che nel dialogo Bruno egli afferma che dall’infinito al finito, dall’Assoluto al Relativo non possa esservi alcun passaggio ma soltanto rottura, salto o “caduta”. Ma come spiegare tale salto?
    Tre sono le possibilità escogitate dai filosofi, sin dagli inizi, per spiegare la possibilità ontologica del mondo.

    • Il Teismo creazionista (= la tesi di un Dio, Personale e Creatore, adottata dalla religione ebraico-cristiana).
    • L’Emanazionismo di stampo neoplatonico (= la tesi di un Dio da cui emana l’universo per gradi, propria di Plotino).
    • Il Panteismo tradizionale (= la tesi dell’identità Dio-mondo, propria del sistema di Spinoza e di tutti i sistemi che riconoscono la divinità e l’infinità dell’universo stesso, compresa la materia che lo compone).

    Nessuna di queste, secondo Schelling, è in grado di spiegare il salto dalla statica perfezione divina al mondo del molteplice e dell’imperfetto, dalla pace divina al male e al dolore nel mondo e soprattutto di fornire una motivazione del perché ( un perché in grado di soddisfare la ragione).

    Nello scritto Filosofia e Religione (1804) egli allora cerca di imboccare una via nuova, pervenendo in sostanza ad una nuova forma di Panteismo.
    Partendo dal fatto che il concetto di un Dio Assoluto (aristotelico o cristiano, inteso come identità statica, perfetta e già realizzata nella sua perfezione) non è in grado di dare ragione di un mondo finito e del male che vi è nel mondo, non rimane altra via, alla ragione, che cambiare il concetto stesso di Assoluto, interpretando Dio non più come una realtà statica e già perfetta, ma come una realtà  dinamica e perfettibile, una realtà in divenire (= in cammino verso la perfezione). Dio, per Schelling, è la sede di una serie di opposti, contiene in sé una contrapposizione dialettica di contrari (irrazionalità/razionalità, necessità/libertà, egoismo/amore) che, nel loro opporsi reciproco, danno luogo ad un processo che si concretizza nel mondo, il quale è il teatro di un progressivo, ma inesorabile, affermarsi del positivo sul negativo, del razionale sull’irrazionale.
    Come nell’uomo esiste un lato oscuro e irrazionale accanto ad un lato razionale, così in Dio vi è un fondo inconsapevole e oscuro, irrazionale che si manifesta come Desiderio di essere (che Schelling chiama “l’Abisso” o “la Natura”), accanto ad una Ragione consapevole (che Schelling chiama l’essere). Come nell’uomo la ragione, affiora dalla vittoria sull’impulso irrazionale così in Dio, l’essere emerge dalla natura irrazionale, che è il punto di partenza di Dio.

    • La natura è il primo gradino di questo processo della formazione di Dio. La Natura per Schelling è allora il sostrato, il fondamento di Dio a partire dal quale Dio si fa Dio. Il quale smette di essere il “motore immobile”, trascendente, fuori dei giochi e si configura come Dio vivente, un dio che non è (già fatto, tutto intero e perfetto), ma che diviene, tramite un processo in fieri che è la progressiva vittoria della razionalità sull’irrazionalità, della libertà sulla necessità, dell’amore sull’egoismo. Questa concezione di dio, non statica ma dinamica, spiegherebbe per Schelling l’origine del mondo ed il suo destino: La creazione (l’universo) per Schelling sgorga dal volere inconscio di Dio e dal suo oscuro “desiderio di essere” e rappresenta un momento necessario della vita divina, che non può fare se stessa se non facendo, al tempo stesso, il mondo.
    • La storia umana è il secondo gradino di questo processo di auto-formazione di Dio.

    Attraverso la storia degli uomini, che è una sintesi di libertà e necessità, Dio stesso si rivela come regista di un dramma nel quale gli uomini recitano a soggetto. Collocandosi nell’orizzonte del provvidenzialismo romantico Schelling sostiene l’esistenza di un disegno che si va delineando gradualmente nel tempo. A tale disegno, anticamente, era stato assegnato il nome di destino, esso è stato poi interpretato come meccanicismo e determinismo e in età romantica si rivela esplicitamente come provvidenza, che attua il suo disegno nel mondo, mondo che è una vivente teofania (Theos-Phanos = manifestazione di dio).

    • Il fine ultimo di questo disegno è la completa realizzazione di Dio nel mondo, il definitivo compimento della razionalizzazione del mondo, della consapevolezza umana e della pace perpetua sognata da Kant.

    Dopo un silenzio durato quasi quarant’anni, al quale fu portato dal successo del sistema di Hegel, Schelling tornò ad insegnare a Berlino, presso la cattedra che era stata di Hegel ed il suo ritorno suscitò tanto scalpore che alle sue lezioni interverranno ad ascoltarlo personaggi destinati a divenire ben presto celebri, come Feuerbach, Kierkegaard, Engels e Bakunin, che diverranno però anche i suoi più feroci critici. Avversato duramente da Shopenhauer e dagli scienziati, che bolleranno le sue “fantasie”, egli fu dimenticato a lungo dagli storici della filosofia e ritenuto un semplice Ponte di passaggio verso Hegel. Soltanto in questi ultimi anni la filosofia di Schelling è stata ampiamente rivalutata. Non dimentichiamo che l’idea di una finalità immanente della natura, ossia l’idea di un fine inconscio interno ai fenomeni naturali (senza che essi siano stati consapevolmente programmati in vista di uno scopo), continua ad offrire un’originale alternativa metafisica a quegli scienziati o a quei filosofi che, pur rifiutando l’ottica meccanicistica non accettano la nozione di un Dio artefice.

     

     

    Glossario minimo

    • “Meccanicismo scientifico” = E’ un termine filosofico e scientifico usato per indicare una concezione del mondo che riduce i parametri esplicativi della realtà a due solamente: la materia e il movimento. Il meccanicismo, che riconosciamo già in Democrito, evidenzia la natura esclusivamente corporea di tutti gli enti, unita al loro comportamento motorio esclusivamente di tipo meccanico. La formulazione più celebre del meccanicismo è quella di Cartesio, in quanto la sua res extensa, distinta dalla spirituale res cogitans, è caratterizzata da un meccanicismo deterministico assoluto, che riguarda non solo la materia inanimata, ma anche gli animali diversi dall'uomo, visti dal filosofo come pure “macchine”. Il nesso con la matematica e il calcolo è ciò che differenzia il meccanicismo moderno da quello antico. L'universo viene considerato guidato dalle leggi della dinamica di Newton.

     

    • “Finalismo teologico cristiano” = L’orientamento insito nella religione cristiana ad attribuire al creatore l’imposizione di uno scopo alla sua creazione, di un fine ultimo all’esistenza e di una provvidenza che guida le azioni degli uomini.
    • Teismo creazionista = per Teismo s’intende la credenza in un Dio personale, trascendente, creatore e provvidente. Al termine si contrappongono il panteismo ed il deismo. Come conseguenza del teismo il mondo è inteso come libero atto di creazione da parte di dio, che si oppone all’emanatismo. L’influsso del creazionismo in ambito antropologico si esaurì intorno alla metà del XIX secolo, con l’affermazione della teoria evoluzionistica che postulava l’esistenza di cause naturali invarianti come fattori di trasformazione in campo naturalistico e socio culturale.

     

    • Emanazionismo = Teoria filosofica orientale, conosciuta anche come Emanatismo, fatta propria dal platonismo, secondo la quale gli esseri del mondo derivano da dio attraverso un processo di “emanazione”, ossia di una  irradiazione spontanea (non un libero atto volontario dunque) e continua della potenza assoluta di dio, che fa sorgere gli enti restando uno e immutabile.
    • Panteismo = (Dal greco Pan = tutto e Theos = Dio), letteralmente “Dio è tutto” e “tutto è Dio”. È la visione per cui l’ universo o la natura sono equivalenti a Dio. Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare l'idea che la legge naturale, l’esistenza e l’universo stesso (la somma di tutto ciò che è e che sarà) sono identificabili con quel principio che la teologia identifica con dio. In senso lato, con “panteismo” s’intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo regge. Per la precisione, il concetto, che si traduce nella formula “Dio è uno e tutto”, è interpretabile in due modi: a) visione cosmicistica, che afferma “Dio è nel Tutto” e quella acosmistica (il termine è di Hegel) che afferma “Il Tutto è in Dio”. Nel primo caso, come nello stoicismo, Dio impregna e pervade l'universo in ogni sua parte. Nel secondo caso, come nello spinozismo, l'universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie in Dio, quale “Uno e Tutto”.

     

    • Acosmismo = E’ il termine coniato da Hegel nella sua Enciclopedia per designare la dottrina panteistica di Spinoza, che negava l’esistenza separata del mondo, risolvendolo nell’unica sostanza divina. In senso esteso il termine è usato per indicare qualunque dottrina che neghi l’esistenza di una realtà esterna rispetto al soggetto conoscente (come ad esempio la concezione di Berkeley).
    • Deismo = E’ un movimento che si afferma verso la fine del XVII secolo, in Inghilterra, Francia e Germania e che fa riferimento ad affermazioni che furono già di Pascal le quali intendono distinguere una religione naturale o razionale da una positiva o storica. Il deismo nasce in opposizione al cristianesimo ed a tutte le altre religioni confessionali, in quanto la divinità per i deisti deve pensabile soltanto con la ragione rifiutando ogni dogma che con essa contrasti e prescindendo da qualsiasi rivelazione o presunta tale.

     

    • Teleologia = (Dal greco telos, “ scopo”) significa “la scienza dei fini” ed è la dottrina che rilevando uno scopo, una direttiva, un principio, una finalità dietro le leggi e i fenomeni naturali, postula l'esistenza di un principio organizzativo  e giustifica l'esistenza Dio, inteso come creatore ed architetto dell'universo, garante ultimo della causalità dei fenomeni.
    • Trascendente = dal latino transcendere, composto di trans (oltre) e ascendere (salire). La trascendenza è la qualità di ciò che va oltre i limiti, in opposizione ad immanente. Il termine trascendente si riferisce ad una realtà “ulteriore”, che va “al di la” rispetto a questo mondo, a partire dai Neoplatonici identificata con dio stesso.

     

    • Trascendentale = 1) Riferito alla filosofia di Kant è il sistema che intende occuparsi “del nostro modo di conoscere gli oggetti”. Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa deve essere possibile a priori.  In Kant il termine Trascendentale intende riferirsi al meccanismo formale della conoscenza, prescindendo dal contenuto di essa: cioè vuole spiegare non che cosa conosciamo ma come avviene la conoscenza. 2) L'idealismo con questo termine intende collegarsi all’Io penso kantiano quale principio della conoscenza trasformandolo però in un principio costitutivo, materiale, della realtà stessa. Trascendentale è dunque l'atto con cui l’Io crea il mondo. Atto che non può essere dimostrato per via razionale, ma va postulato.
    • Intuizione intellettuale idealistica = è quella forma di sapere in cui coincidono soggetto ed oggetto, intuente ed intuito per la quale l’io, conoscendo se stesso, nello stesso tempo costruisce se stesso.

     

    • Ontologia = è una delle branche fondamentali della filosofia, è lo studio dell’essere in quanto tale, nonché delle sue categorie fondamentali.

    Il termine deriva dal greco ὄντος, òntos (genitivo singolare del participio presente ὤν di εἶναι, èinai, il verbo essere) e da λόγος, lògos (discorso) letteralmente “discorso sull’essere”.

     

     

    Lo spirito coincide con l’umanità, intesa non come razza biologica particolare ma come attività razionale e autoconsapevole la quale potrebbe anche venire da Plutone ed avere due teste. N.d.R.

    Abbagnano-Fornero, filosofi e filosofie nella Storia, vol. 3. Paravia, pag. 53.

    Fichte era intervenuto in difesa della tesi che l’ateismo non coincide con l’immoralità e che, se l’Etica costituisce il nucleo essenziale di ogni religione (secondo anche i principi di Kant), si può allora essere religiosi, in altre parole virtuosi, anche senza credere in Dio.

     J.G. Fichte,  La  Dottrina della Scienza, (raccolta delle opere intorno alla dottrina della scienza) Laterza Bari 1971.

    Guido De Ruggiero, Storia della Filosofia. “L’età del romanticismo”, Laterza, Bari 1968, vol. I, pp. 175-176.

    Provando e Ri-provando diceva Galileo Galilei (dove il riprovando non sta per “provare una seconda volta”,  ma nella confutazione della prova stessa, solo così si avrebbe la certezza).

                  Pancaldi, Trombino, Villani, Philosophica, 3°, Marietti, 2007. p. 50.

    Ricordiamo ancora una volta che non-io è sia il mondo esterno a noi ma anche il nostro corpo, con i suoi appetiti che spesso regolano le nostre azioni.

    J.G. Fichte Opere,VII, p. 7.

    Ricordiamo che questa è la posizione di Platone nella Repubblica.

      J.G.Fichte, “Rivendicazione della libertà di pensiero”. Comparso anonimo nel 1793.

    J.G.Fichte, “Contributo per rettificare il giudizio del pubblico sulla rivoluzione francese”. Comparso anonimo nel 1793.

    Non dimentichiamoci che Fichte, pur di difendere un amico di cui condivideva le posizioni, non aveva esitato a lasciare un’importante carriera universitaria a Jena, così come non ci pensò due volte a dire a svariati padri di famiglia cosa pensasse dei loro metodi educativi nei confronti dei figli, ai quali faceva da precettore quando era a Berlino.

      Mi è stato fatto notare, da un allievo attento nel corso di una lezione, come anche per il noto fisico siracusano Archimede, potrebbe valere l’accusa di essersi reso (indiretto o diretto?) colpevole dell’impiccagione di un orafo. Sospettato quest’ultimo, da re Gerone di Siracusa, di essersi impadronito di parte dell’oro affidatogli per forgiare una corona, venne incaricato Archimede, scienziato di corte, di scoprire l’inganno. Pesare la corona era ovviamente inutile, dato che la quantità d’oro, sottratta eventualmente, poteva essere stata sostituita con metalli meno pregiati, come l’argento. Occorreva invece calcolarne la densità, oggi diremmo il peso specifico, questa sarebbe stata ben diversa - come sapeva Archimede - se si fosse trattato di una lega invece che di oro puro. Il mistero fu risolto quel famoso giorno, noto a tutti, in cui Archimede decise di recarsi alle vasche di Siracusa per farsi un bagno. Una volta immersosi nell’acqua calda, egli, particolarmente in vena scientifica quel giorno, constatò che il suo peso aveva fatto traboccare d’acqua la vasca, scoprendo la famosa legge che riguarda il volume di un corpo immerso in un liquido e così via. L’aneddoto, riportato da Vitruvio, continua regalandoci un Archimede che corre nudo per le strade di Siracusa,  urlando “Eureka”, tra lo stupore dei concittadini. L’episodio della vasca, con formulazione conseguente della legge fisica, bastò allo scienziato per decifrare il mistero della corona, la quale, in base alla misurazione della sua densità, si scoprì essere forgiata con minor quantità d’oro rispetto all’argento e, inutile dirlo, l’orafo, per volontà del sovrano fu messo a morte. Ora, nella catena degli eventi, chi si è reso colpevole dell’impiccagione dell’orafo? Archimede, che ha scoperto, per abduzione, la legge del volume dei solidi, il sovrano che ha deciso di mettere a morte l’orafo o l’inventore della vasche da bagno? Oppure l’orafo stesso che si è fregato da sé non calcolando che la sua frode ai danni di un re, una volta scoperta, non poteva che portare ad esiti per lui infausti?

      Idee par una filosofia della natura, del 1897, Dell’anima del mondo, del 1798, il dialogo Bruno, o del principio divino e naturale delle cose.

    È questo un principio già presente nella teoria Politica di Aristotele, dove il tutto è lo Stato, lo vedremo meglio in Hegel.

 

     

    Fonte: http://keynes.scuole.bo.it/~miglioli/kant/IDEALISMO%20FICHTE%20E%20SCHELLING.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

FICHTE
Fichte nasce da una famiglia poverissima di un villaggio vicino a  Dresda nel 1762; essendo un ragazzo intelligente fu apprezzato da un barone del luogo (Fichte era capace di ripetere a memoria il sermone  del pastore); questo barone lo fa studiare pagando per lui; Fichte si da subito da fare per trovare occupazione e si trasferisce a Berna a fare l’istitutore e conosce la sua futura moglie( johanna Rahn , nipote del poeta Klopstock ). Ritornato in Germania, uno studente gli propone un corso sulla filosofia di Kant e Fichte accetta;la filosofia di Kant l'appassiona ,  inizia a prendere parte al dibattito sul kantismo; scrive un Saggio di una critica di ogni rivelazioneche è  così attinente ai principi kantiani che fu attribuito a Kant stesso. Occupa anche la cattedra a Jena( che diventa il centro di irradiazione dell'idealismo ) grazie ai buoni uffici di Goethe.

Qui però ha dei problemi con le associazioni studentesche: in una rivista, pubblica un articolo sulla religione di impostazione kantiana (nel senso che la religione è ridotta ad un fatto morale) , di seguito  compare un articolo in cui si dice che Fichte è ateo e si invitano le autorità a prendere provvedimenti; Jena era sotto il ducato di Weimar, che era abbastanza aperto, ma la Sassonia protesta e le autorità del ducato devono rispondere e convocano un consiglio di facoltà  per ammonire Fichte: il filosofo risponde dando le dimissioni, sicuro che gli altri professori lo avrebbero seguito. 
Fichte se ne va a Berlino e qui - venendo a contatto con il clima culturale romantico ( propagandato dai fratelli Schlegel) compie  una svolta nel suo pensiero; l'ultima parte della sua vita dominata dall’evento storico della sconfitta a Jena della Prussia ; nei  Discorsi alla nazione tedesca rilancia lo spirito  nazionale tedesco contro Napoleone. Muore per un infezione (tifo) nel 1814. L’ultima fase della sua attività rappresenta una svolta notevole perché recupera l’istanza religiosa e la trascendenza.
LA DOTTRINA DELLA SCIENZA
È, con varianti, il titolo che prendono alcune opere di Fichte e rappresentano ognuna un momento di approfondimento e passaggio della dottrina fondamentale di Fichte.Fichte ritiene che per fondare il criticismo occora individuare un principio primo e incondizionato da cui il sapere sia dedotto in forma sistematica; la filosofia diventa dottrina della scienza
All’inizio Fichte ritiene che il suo compito sia mettere insieme le tre critiche di Kant ; la sua posizione è: Kant ha compiuto una mezza rivoluzione perché individua un principio che ci permette di passare dalla filosofia come amore per il sapere al sapere inteso come scienza assoluta, quest’unico principio è l’Io penso ,però per poter iniziare la scienza, intesa come dottrina della scienza, bisogna eliminare i dualismi nella filosofia kantiana, a cominciare dalla cosa in sé, Fichte vuole far vedere come, eliminando la cosa in sé, è possibile unificare le prime due critiche, alla fine può dire di aver dimostrato il primato della ragion pratica sulla pura.
Il Principio primo della  dottrina della scienza non dipende dalla logica (perché non vi sono leggi generali del pensiero che valgano indipendentemente dal contenuto) .Diversamente dalla filosofia precedente, per cui la logica precedeva la teoria stessa, per Fichte non può esistere una logica formale, che dà le regole, staccata dai contenuti, ma il principio comune deve contenere sia le leggi formali sia i contenuti.Per Fichte non esiste una logica, cioé leggi del pensiero, staccata dal pensare stesso, cioé dal contenuto, perché se ci dev’essere un principio unico, questo deve avere in se la forma e il contenuto (identità tra logica e metafisica). KANT si era fermato a distinguere tra logica generale, che dava le leggi del pensiero, e logica trascendentale, che indicava le modalità attraverso cui era possibile il pensiero. FICHTE trasforma ciò in una riunificazione di questi due elementi nella dialettica=riassume in sé le leggi del pensiero e della realtà.
Per poter passare dalla filosofia alla scienza bisogna fondare tutto su un principio primo, che deve essere forma e contenuto insieme e che non può coincidere con i principi della logica generale perché erano considerati leggi del pensiero, nè può essere un fatto empirico perché un fatto empirico è dipendente, ma deve essere un atto perché deve essere prima di tutto nella coscienza.
l Principio primo ( forma=contenuto) non può essere un fatto empirico ma un atto di autoposizione del soggetto;Il principio primo deve essere coincidente con l’atto di autoposizione del soggeto in cui, non solo il soggetto fonda se stesso, ma fonda tutto ciò che è altro dalla propria coscienza.
Siccome nel principio primo si trovano unite logica e contenuto, i tre momenti del principio primo sono anche i tre momenti delle dialettica, cioé non solo ci danno il contenuto ma anche le regole logiche (leggi) che presiedono al pensiero.
Si tratta di tre momenti di un unico processo dialettico, all’interno del quale essi assorbono la funzione di:
tesi=posizione (l’Io pone se stesso)> principio di identità
antitesi=opposizione (l’Io pone nell’Io il non-Io)> principio di opposizione
sintesi=porre insieme (unità tra tesi e antitesi: l'io pone , nell'io, a un non-io divisibile un io divisibile)> principio di ragione
Per fondare la scienza (il sapere organizzato) occorre un principio unico, e questo è il metodo di Kant (Io penso) solo che  Egli non avrebbe completato la sua opera per via del dualismo tra Io penso e la cosa in sé; eliminata l’opposizione della cosa in sé rimane solo l’Io penso che per Fichte diventa l’Io (Ichheit=egoità) ,cioé non solo l’ordinatore della realtà ma anche il suo produttore.
L’Io non può essere un fatto ma un atto, cioé qualcosa che nel creare se stesso crea anche l’altro da sé (la realtà). A questo Io, quindi, corrispondono i tre momenti.L’Io di Fichte non ha  una funzione solo gnoseologica, cioé deve riprodurre una realtà data, ma genera la realtà e la riscopre in un secondo momento come conoscenza. Questo Io universale si articola in tre momenti che sono anche le tre articolazioni della dialettica.
Perché alla tesi corrisponde il principio di identità? Perché il principio di identità dice che A=A quindi l’Io prima di tutto è uguale a se stesso; Fichte però va in la perché il problema non è solo avere le leggi del pensiero, ma avere le leggi di fondazione della realtà, quindi l’Io prima di tutto pone se stesso e poi nell’autoconoscersi genera tutta la realtà.
Che differenza c’é tra l’Io penso di Kant e l’Io di Fichte?
l’Io penso per KANT era il soggetto trascendentale, quello che rendeva possibile la conoscenza, però ordinava i dati; invece l’Io di FICHTE li crea perché non esiste più la cosa in sé; inoltre FICHTE ritiene che l’Io unisca sia la ragione intesa come ragione conoscitiva (intelletto), sia quella intesa come ragione pratica che KANT invece teneva separate. Avendo eliminato la cosa in sé ora è possibile l’intuizione intellettuale, che invece KANT non ammetteva (perché si andava oltre i limiti dell’intelleto e quindi del dimostrabile), quindi non ha più ragion d’essere la distinzione tra intelletto e ragione, ma l’Io penso diventa l’organo della ragione e il mondo prodotto non va più distinto in noumenico e fenomenico perché in un primo momento l’oggetto appare fenomenico ma in realtà poi l’Io prende coscienza che è lui che l’ha creato.

Se il principio di identità viene applicato ad una realtà diversa dall’Io (il triangolo è il triangolo), assume solo un valore formale e non comporta la reale esistenza di A. Affermare il principio di identità non significa affermare l’esistenza di ciò che si identifica come uguale per poter fare questo bisogna che ci sia un atto preliminare ,cioé bisogna dire l’Io pone A= il triangolo uguale al triangolo.
La coscienza dell’identità dell’Io con se stesso coincide con il riconoscimento dell’attività con cui l’Io pone la sua stessa realtà; per Fichte l’Io è essenzialmente attività libera, creatrice, cioé coincide con la ragion pratica (dimostrazione del primato della  ragion pratica sulla pura).
Il secondo principio è quello dell’opposizione: nel momento stesso in cui l’Io si pone, pone anche il non-Io ,cioé qualcosa che è altro da sé e che coglie come oggetto e non più come soggetto,  esso è necessario per la stessa attività continua dell’Io.
Se si rimane bloccati in questo stadio  si ha una concezione dualista della realtà (come il materialista, cioé c’é la materia e poi lo spirito); se invece si va oltre, si capisce che la materia è l’altro dall’Io posta dall’Io stesso che si risolverà poi nell’ultimo momento (quello della sintesi) nell’Io e si arriverà alla piena autocoscienza che l’Io ha creato quello che ci appare come un oggetto per poi riassorbirlo, conoscerlo e superarlo.
Non è possibile che ad un Io finito se ne opponga uno infinito: l’Io pone all’Io divisibile (empirico) il Non-Io divisibile, cioé l’attività infinita si spezzetta in una serie di atti che possiamo interpretare come coscienze singole e forme contro singoli oggetti.L’Io soggetto che è una parte dell’Ichheit si trova contro i singoli Non-Io che l’Io gli pone come limiti alla sua attività e quindi gli consente di identificarsi come Io empirico. ( questo è il terzo momento del processo ).
DOTTRINA DELLA SCIENZA PRATICA
( sarebbe la morale ma in Fichte le 2 cose sono  fuse perché l'attività dell'IO è motivata sul primato della ragion pratica)
L'attività del NON IO sull' IO dà luogo alla conoscenza e quindi è trattato della dottrina della scienza teoretica ; l'attività del NON IO sull' IO produce la rappresentazione quindi la conoscenza .
L'attività dell'IO sul NON IO costituisce invece l'azione morale . Per potersi esprimere come attività infinita l'IO necessita di un ostacolo ; è solo urtando contro questo ostacolo che l'IO può produrre uno sforzo e quindi un'azione che spiega il divenire dell'IO stesso à il NON IO è l'ostacolo che l'IO si impone di poter superare e per potersi realizzare come attività infinita .
Il NON IO viene concepito da Fichte come la natura , il mondo esterno
Quindi Fichte afferma il primato della ragion pratica perché questa azione è prioritaria rispetto alla conoscenza . Diversamente da Kant in cui ambito teoretico e ambito pratico erano divisi , per F. primato della ragion pratica = unificazione dei 2 ambiti , consiste nella  subordinazione della dimensione teoretica a quella pratica come mezzo a fine . La natura ( il NON IO ) è il mezzo di cui l'IO si serve per poter attuare il fine della propria libertà , quindi per potersi realizzare come attività infinita e libera à per questo definiamo l'idealismo di F. idealismo etico , perché il mondo ( NON IO ) viene visto come il teatro dell'azione morale ela missione dell'uomo consiste nell'umanizzare il mondo = renderlo pienamente agibile da parte dell'uomo .
F. si pone come il punto di arrivo di una tradizione iniziata nel rinascimento ( Bruno " Gli eroici furori " che vedeva l'uomo come il continuatore dell'opera creatrice di Dio , siccome Dio era il principio di attività della natura , praticamente Fichte riprende questo itinerario quando riconosce che l'IO coincide con l'umanità , l'uomo è Dio , sempre all'interno di una concezione immanentista )
 .Il modo come l'uomo attraverso l'azione morale supera continuamente l'ostacolo rappresentato dall'elemento materiale ( NON IO ) è affrontato da F. nella " Dottrina dei costumi " ( dove tratta l'etica ) che è divisa in 3 parti .|
L'agire umano nella sua tensione verso il massimo grado di libertà ( perché questa azione continua di superamento dell'ostacolo mira a realizzare il massimo grado di libertà ) è frenata da un'inerzia che rappresenta il male radicale ( ciò che si oppone affinché l'uomo realizzi pienamente la moralità , la libertà ) .
Per superare questa inerzia è dapprima utile la forza dell'esempio specialmente dei profeti , dei fondatori delle religioni , uomini moralmente eccezionali che hanno dimostrato come si può andare oltre i condizionamenti .
Tuttavia occorre specificare i contenuti dei principi morali ( Kant ci comanda di seguire la coscienza ) .F. va oltre perché dice che non basta semplicemente affermare che la moralità consiste nel seguire la conoscenza ; in questo contesto è importante considerare le preoccupazioni materiali della vita come mezzi rispetto all'agire per il dovere ed è importante praticare la ricerca scientifica non per curiosità ma per dovere ( in F. il termine scienza non ha un significato ristretto come per noi: è inteso come ambito del sapere ) .
Il secondo livello che aiuta a realizzare la moralità è entrare nella comunità degli spiritiin cui si realizza la scienza : consiste nel subordinare gli istinti naturali alla legge morale . Paradigma di questa comunità è la Chiesa. Per realizzare la comunità perfetta degli spiriti è fondamentale lo scambio di opinioni : F. difende la libertà di pensiero e di stampa , solo in queste condizioni può esistere la comunità dei dotti .
Accanto alla Chiesa e alla Stato lui mette la comunità dei dotti come livello più alto della comunità degli spiriti . F. parla di missione sociale dei dotti ( esaltazione dell'intellettuale ) che sono gli educatori , i maestri dell'umanità , sono quelli che additano i fini essenziali per vivere insieme e i mezzi per conseguirli .
F. ha dedicato parecchi testi : " Le 5 lezioni sulla missione del dotto " , " Le lezioni Erlangen " , " Le lezioni del 1811 sulla missione del dotto " , e in particolare " Nei discorsi alla nazione tedesca " considerato il fondamento del nazionalismo tedesco .
L'idea che sta al centro di questa visione del dotto è che l'unico fine che l'umanità può conseguire è quello della perfezione morale e quindi l'umanità è destinata a un infinito progresso e i dotti hanno la funzione di illuminare verso questa direzione .
Nell'ultima parte della dottrina morale 1798 F. deduce l'esistenza degli altri IO : non esisto solo io come io empirico ma esistono anche altri come io empirici e si pone il problema di stabilire il rapporto fra essi .
Come fa a dedurre l'esistenza degli altri IO ? Io nella mia coscienza considero tutto ciò che sta fuori di me esclusivamente come un oggetto , non ho nessuna prova che gli altri sono uguali a me ; tuttavia le cose esterne concepite come oggetti possono essere concepite come mezzi ma non come fini ; per sollecitare a realizzare il dovere quindi l'azione morale occorre che io riconosca negli altri non solo delle cose ma degli IO uguali a me .
Problema di stabilire le relazioni tra questi io : quindi nasce il diritto , il diritto come strumento per regolare i rapporti tra i vari IO e quindi stabilire i limiti della libertà di ciascuno . Nel momento stesso in cui io sono costretto a riconoscere gli altri sono costretto a porre un limite alla mia libertà e il diritto è ciò che contempera le varie libertà .
Siccome nel rapporto con gli altri IO appare IO soprattutto il corpo , la persona fisica va considerata come soggetto giuridico ; ogni individuo diventa soggetto giuridico nel momento stesso in cui sottomette il proprio diritto naturale originario alla libertà , cioè alla condizione della possibilità della libertà degli altri ; questo vine stabilito attraverso un libero contratto , un contratto sociale .
|Una volta nato il diritto viene giustificato anche lo stato , perché è lo stato che garantisce il rispetto del diritto ; lo stato è il prodotto del libero contratto sociale . F. considera 3 diritti originali e naturali :
libertà
proprietà
conservazione ( diritto alla propria esistenza )
Questi diritti possono essere garantiti solo dallo stato che non elimina ( nella iniziale concezione di F. che avrà successivi sviluppi , che lo allontaneranno da queste posizioni  ) il diritto naturale ma lo realizza , lo garantisce . Seccondo F. la condizione fondamentale dello stato è la formazione della volontà generale ( influenza di Rousseau ) e ciò accade attraverso il contratto politico : da origine alla volontà generale à quindi alla legislazione
FILOSOFIA DELL'ASSOLUTO
Rappresenta la svolta di Fitchte ( 2° fase del suo pensiero ) ,per cui supera l'originale immanentismo per approdare a una forma di recupero della trascendenza .
Entra in contatto col pensiero romano che aveva fatto di Berlino il suo centro : è un pensiero che esalta il momento intuitivo dell'esperienza umana rispetto al momento razionale . Secondo il romanticismo il momento intuitivo è l'unico in grado di cogliere l'assoluto . Venendo a contatto con questi circoli romantici Fichte compie una svolta in senso religioso , introduce temi teosofici ( concezione che tende a presentare la conoscenza di Dio e delle cose divine basate sull'approfondimento della vita interiore : attraverso una visione della conoscenza interiore si arriva a conoscere i valori profondi della realtà e questo migliora la propria vita , da' saggezza .
Fichte sembra influenzato dal suo giovane assistente Schelling che aveva posto il problema di concepire il principio , l'IO , come assoluto ; cioè differenziandosi da Fichte sosteneva che il principio della realtà non può essere pensato dal punto di vista della particolarità e dell'opposizione soggetto - oggetto ( come faceva F. , privilegiando la coscienza , quindi il soggetto ) ma deve essere colto da un punto di vista della totalità , cioè dell'identità soggetto-oggetto , che sarebbe prioritaria alla successiva divisione tra soggetto e oggetto . Quindi Schelling veniva differenziando il suo idealismo chiamato oggettivo da quello soggettivo di F. . Schelling dirà che F. alla luce di queste opposizioni è stato costretto a rivedere le proprie tesi , invece F. negherà di aver copiato Schelling , ma sostiene che il suo concetto di assoluto è diverso da quello di S. : non è concepibile come un'identità indifferenziata tra sapere ed essere , tra soggetto e oggetto , come sosteneva S. , ma bensì va concepito come un PRIMUM inattingibile e quindi ineffabile .
L'assoluto si identifica con Dio e con l'Uno e come tale è ineffabile, non può essere colto dal sapere , infatti ogni sapere implica una dualità fra sogggetto e oggetto , invece l'assoluto è al di là della conoscenza ; l'assoluto si presenta adesso come un punto irraggiungibile .
Fallimento del tentativo originario di F. di dare una spiegazione immanentistica della realtà e possiamo vedere in questa svolta 2 elementi :
di tipo teoretico inerente alle difficoltà che la costruzione del suo sistema incontrava . Nel sistema di F. c'era una contraddizione : da un lato l'IO puro non si realizza che nell'IO empirico , dall'altro lato l'IO empirico non si può identificare pienamente con l'IO puro , perché altrimenti si esaurirebbe la creatività spirituale , quindi la storia si interromperebbe . L'IO puro non potendo mai essere realizzato compiutamente in una attività concreta , cioè nei vari IO deve per forza configurarsi come trascendente . Fichte sosteneva che l'IO pone nell'IO ai vari NON IO divisibili l'IO divisibile , questo significa che l'IO si realizza come IO empirico . Ma questo non era possibile perché nel momento stesso in cui l'IO si identificava perfettamente col finito veniva a mancare quell'ostacolo che faceva si' che l'IO continuasse nella sua attività ( ci ponevamo dal punto di vista dell'IO empirico ) . Il finito non può mai realizzare pienamente l'infnito , perché se l'infinito si realizzava nei finiti si sarebbe interrotto il processo , perché non ci sarebbe più stato ostacolo e quindi più azione . F. allora deve pensare il sistema così : l'IO empirico va in scacco nel tentativo di realizzare pienamente l'IO puro : noi dobbiamo immaginare che tra l'IO empirico e l'IO puro vi è uno spazio che può essere infinito e questo spazio rappresenta l'Uno , Dio à diventa trascendente e supera l'immanentismo . L'IO non si realizza l'infinito pienamente nell'uomo ma c'è uno spazio al di là di ciò che esso si realizza nell'uomo o rivela all'uomo .
dal punto di vista storico ,che nasce dalla delusione in seguito all'avvento dell'era napoleonica, nei confronti della Rivoluzione francese di cui F. era stato un grande sostenitore ( pensava che la RF fosse il segnale che l'uomo potesse dominare il mondo e realizzare pienamente la libertà ) . Invece di fronte al cesarismo napoleonico F. inizia a mettere in dubbio che la storia porti verso questo immutabile progresso , non è più portato a dare un significato assoluto all'agire umano . Per coerenza deve subordinare l'agire umana a qualcosa che stà oltre , l'assoluto , inteso in questo caso come ciò che è ineffabile.
Su questa svolta di F. c'è stato un dibattito tra gli studiosi :
quelli che sostengono che c'è una frattura netta tra le 2 fasi della filosofia ( soprattutto studiosi tedeschi della seconda metà dell'800 come Fisher , Meyer ) . Concependo l'identità IO=Dio hanno visto un forte cambiamento perché nella prima fase abbiamo una concezione immanente , nella seconda invece l'IO diventa immagine di Dio e viene visto come trascendente .
alcuni studiosi più recenti come X. Leon e L. Pereyson hanno sostenuto la continuità tra queste 2 fasi . Hanno visto come un approfondimento di una originaria ispirazione di tipo etico - religioso che si realizza in modo più esplicito nella seconda fase .
Lo stato ha 2 compiti fondamentali :
la determinazione del diritto , quindi la produzione legislativa
la determinazione della punizione , perché nessuno rispetterebbe le leggi se non ci fossero le sanzioni ( legislazione penale)
Quindi F. separa nettamente legalità e moralità . La validità della legge dello stato non è condizionata come quella delle leggi morali, ma dipende da condizioni specifiche dello stato . Tuttavia lo stato e il diritto sono solo strumenti destinati scomparire una volta conseguito il fine ultimo che è la realizzazione della piena moralità , quindi della libertà intesa come perfetto adeguamento al dovere (questa concezione sembra abbia influenzato anche Marx ) . Lo stato è visto come i genitori che devono rendere indipendenti i figli : quando sono piccoli esercitano su di essi un'azione coercitiva tutelante ma l'obbiettivo finale è quello di creare una persona autonoma .
F. riconosce che l'idea della scomparsa dello stato è un'idea limite , non può essere realizzata ; tuttavia lo stato deve porsi questo obbiettivo , deve operare come se a un certo punto dovesse scomparire .
A questo punto però emerge una contraddizione .
La legalità rappresentata dallo stato produce coazione , costrizioni , quindi è l'antitesi della libertà ; ma noi sappiamo che fine ultimo è la piena realizzazione della libertà , l'antitesi della coazione , cioè la legge morale .
Come è possibile far convivere queste 2 prospettive all'interno dello stato ?( cioè il fatto che da una parte lo stato usa la coazione dall'altra parte lo stato dovrebbe portare gli individui alla libertà , quindi negare la coazione ) ?
F. sostiene in un testo del 1813 " Lezioni sulla dottrina dello Stato" , che lo stato per poter conciliare questi 2 aspetti deve superare la dimensione puramente poliziesca , cioè insistere solo sulla coazione , e invece assumere come prevalente la funzione educativa : ecco che nasce lo stato etico .
Se lo stato si pone la funzione educativa come obbiettivo prioritario diventa stato di ragione , diventa stato etico . In questi sviluppi del pensiero di Fichte possiamo vedere l'influenza del grande pedagogista svizzero H .Pestalozzi .
Che cosa caratterizza lo stato etico ? Lo stato etico è uno stato che ha delle finalità ( Kant invece diceva lo stato non può avere delle finalità , le finalità sono proprie  i singoli , lo stato non può prescrivere il modo come il singolo deve cercare la felicità , e quindi Kant rimane nell'ambito del liberalismo ) , F.- attraverso la teorizzazione dello stato etico - esce dal liberalismo ed è approdato a una concezione organicistica (che è propria delle visioni totalitarie ). Quindi lo stato diventa etico quando oltre alla sicurezza garantisce il diritto dei cittadini al benessere ; questa diventa possibile solo attraverso la generalizzazione all'accesso alla  proprietà ( concepita però diversamente da Locke ,che dava priorità alla proprietà e la faceva diventare quasi l'espressione stessa della libertà nel singolo , per Fichte la libertà è condizionata alla possibilità di sostentarsi col proprio lavoro , cioè  la proprietà è un mezzo per potersi realizzare , non è un fine ). E' possibile realizzare questo assegnando allo stato la funzione di regolare la produzione : se lo stato è in grado di regolare la produzione ( quello che affermerà nello stato commerciale chiuso arrivando a una forma di socialismo  ) quando lo stato diventa etico deve intervenire nell'ambito della produzione regolata in modo da consentire a tutti l'esercizio della proprietà e a tutti il diritto al lavoro , per cui la proprietà è mezzo non fine : lo Stato interviene in favore dell'interesse collettivo .
Lo stato deve rendere impossibile la povertà facendo in modo che tutti abbiano gli strumenti per poter lavorare e quindi realizzarsi in modo libero ; se ci sono uomini che dipendono da altri perché sono privi di proprietà la possibilità di realizzarsi pienamente è solo per pochi e questo non è accettabile per F. .Passiamo ora allo " Stato commerciale chiuso " testo del 1800 che ha avuto una notevole influenza , perché poi ispirò le riforme dell'economista List che è stato l'ispiratore di un sistema doganale che superasse le barriere all'interno della Germania ma le lasciasse nei confronti dell'esterno .
|Come si può realizzare uno stato che garantisca il benessere ? A 2 condizioni :
che lo stato intervenga nell'economia
che lo stato controlli il commercio estero
Lo stato commerciale chiuso è uno stato tendenzialmente autarchico che sfrutta tutte le risorse in modo ottimale per garantire ai propri cittadini il massimo di benessere .Uno stato siffatto non solo avrebbe il vantaggio di trasformare la natura dello stato facendolo diventare uno stato etico ma avrebbe anche il vantaggio di evitare le guerre , perché le guerre secondo Fichte nascono sempre per dissidi di commercio . Se uno stato controlla il proprio commercio e cerca di sviluppare al massimo le proprie risorse evita di entrare in urto con altri stati .

Evoluzione del pensiero politico di Fiche
Può essere interpretato come una parabola, che da una iniziale adesione a ideali e categorie illuministiche( individualismo , giusnaturalismo , contrattualismo , cosmopolitismo ) giunge a posizioni romantiche (statalismo , organicismo , nazionalismo ).
Si possono individuare 3 fasi ( più che brusche svolte, risultano da progressivi spostamenti d’ accento )
1° Fase (anni 1792-94); testi di riferimento : Rivendicazione della libertà di pensiero(1793) , Contributi a rettificare il giudizio sulla Rivoluzione francese.
Punto di partenza : il riconoscimento di diritti inalienabili dell’individuo, lo stato nasce da un libero contratto e deve tutelare i diritti inalienabili. Tra i diritti inalienabili il diritto di ritirare l’adesione al patto ( se esso viene violato ), in tal modo Fichte legittima la rivoluzione francese . Lo stato è però solo un mezzo per realizzare la società perfetta ( caratterizzata dal trionfo della ragione morale )=> da qui il carattere temporaneo dello stato ( nel periodo in cui gli uomini sono determinati più dal non-io che dall’io hanno bisogno di una organizzazione coercitiva che organizzi la convivenza. Quando sono determinati dalla ragione lo stato non è più necessario : lo stato deve essere indirizzato alla propria autodistruzione ( fine di ogni governo è rendere superfluo il governo – Missione del dotto ).Siccome il perfezionamento morale dell’umanità è il fine ultimo ed esso non può essere raggiunto , il processo di estinzione dello stato è una prospettiva.
2° fase ( anni 1996/97); testi di riferimento : Fondazione del diritto naturale. Influenzato dalla instabilità politica del periodo e dalla evoluzione della teoria generale della Dottrina della scienza tende a superare il giusnaturalismo ed approdare ad una concezione organicistica dello stato: Il concetto di diritto naturale è una finzione filosofica, è possibile parlare di diritti dell’individuo solo all’interno di una comunità stabile . L’uomo diventa uomo solo tra gli uomini . E’ possibile parlare di diritti solo all’interno dello stato=> superamento del modello meccanicista e approdo ad un modello organicista : lo stato è una unità organica di cui i singoli individui costituiscono le parti .Non è più l’individuo a poter uscire dallo stato , ma tocca ad una magistratura di controllo : l’eforato a chiamare a raccolta il popolo affinché decida sul governo, quando questi esca dai limiti costituzionali .Si ha uno spostamento di accento dall’individuo allo stato .Il modello liberale appare superato e ciò appare anche nella nuova teorizzazione dei diritti sociali , visti come garanzia e compimento dei diritti civili .
3° fase( inizia nel 1800 con la pubblicazione dello Stato commerciale chiuso ), la prospettiva organicistica e statalistica si rinsalda . accanto alla funzione giuridica di garante della libertà, lo stato acquisisce funzioni economiche => superamento del liberismo : lo stato deve intervenire e pianificare l’economia ( socialismo di Fichte ). Per poter fare ciò lo stato deve garantirsi salda indipendenza politica e soprattutto l’autarchia economica => raggiungimento dei confini naturali , controllo del commercio estero.
La svolta nazionalistica . Contemporaneamente si rinsalda la svolta nazionalistica di Fichte . Momento importante in essa : Lineamenti fondamentali dell’epoca presente (1804/1806) , in cui espone la sua filosofia della storia .La storia è un processo dialettico attraverso cui la civiltà trionfa progressivamente sulla barbarie . Non è un percorso lineare perché il progresso civile avanza attraverso il conflitto tra i vari stati ( ciascuno portatore di contributi culturali )=> in tale concezione . cosmopolitismo e patriottismo compatibili perché l’autoconservazione dei singoli stati si iscrive nel progresso generale dell’umanità .L’antitesi vera è tra il godimento cui mira il singolo e la cultura , intesa come finalità propria dello stato . Il progresso può avvenire solo attraverso l’azione anche coercitiva dello stato, che lavora per l’oltrepassamento dell’epoca presente di egoismo e di peccaminosità.
Il culmine di questa svolta raggiunto nei Discorsi alla nazione tedesca . Essi si collegano all’opera precedente poiché individuano nell’epoca presente di peccaminosità il punto di partenza per una svolta di cui il popolo tedesco dovrà essere il protagonista. Il predominio dell’egoismo dominante in Germania ha fatto sì che non fosse possibile la difesa della patria dallo straniero ( i francesi occupanti ). Ma la misera condizione attuale è la base di una svolta : impone l’inizio di una fase di lotta , che non dovrà avvenire con una ribellione ( Fiche si rende conto che una sollevazione armata sarebbe stata schiacciata) ma in forma spirituale => progetto di educazione nazionale. Fichte si rifà alle idee del pedagogista svizzero H. Pestalozzi . L’educazione nazionale è un’educazione pubblica, esercitata attraverso collegi statali , rivolti indiscriminatamente a tutte le classi sociali , senza distinzioni tra maschi e femmine .Più che ad una educazione letterarie e linguistica di tipo tradizionale , Fiche pensava a d una educazione pratica , basata sul lavoro e finalizzata alla formazione morale e religiosa, capace di forgiare una nuova generazione , libera di ogni traccia di egoismo.Questa educazione , esercitata al vero e al bene, dovrebbe essere caratterizzata dal più alto sentimento patriottico e religioso e consentire di superare la chiusura individualistica , che caratterizza l’epoca presente .
La missione ( quindi la superiorità ) del popolo tedesco non è di tipo razziale-biologistica , ma di tipo culturale e spirituale, fondata sulla lingua e non sul sangue.La parte più interessante dei Discorsi è quella dedicata ai concetti di popolo e di lingua; seguendo le più recenti teorie della linguistica romantica e le tesi di Herder , Fiche fonda l’idea di popolo e di nazione sulla comunanza linguistica. I tedeschi si differenziano dagli altri popoli perché parlano una lingua viva, cioè una lingua naturale e non convenzionale, che ha conservato l’originaria unità tra lingua e pensiero ed è in grado di esprimere perfettamente il carattere nazionale.I popoli neolatini ( francesi in testa ) parlano lingue morte , nate dalla sovrapposizione di una lingua straniera ( il latino ) , che avrebbe introdotto artificiose convenzionalità nel rapporto pensiero–espressione ( una frattura tra il mondo dell’esperienza e quella del linguaggio ). Pur essendo la teoria del purismo linguistico inaccettabile : tutte le lingue hanno subito delle trasformazioni , essa ha interessanti risvolti di politica culturale. Dalle diverse caratteristiche dei popoli discendono diverse caratteristiche delle loro culture . Mentre le lingue morte portano le culture a semplice erudizione, creando un fossato incolmabile tra classi superiori e classi subalterne, attraverso le lingue vive è possibile produrre una cultura autenticamente nazionale= capace di poter essere fruita da tutti i ceti , unificandoli . Invece di disgregazione , diventa fattore di aggregazione sociale . Il popolo tedesco , portatore di una lingua viva , è particolarmente adatto ad una educazione nazionale e attraverso essa di adempiere alla missione di far superare l’età di peccaminosità attuale (dominata dall’egoismo ).
I Discorsi si ripromettevano di risvegliare la coscienza nazionale tedesca per preparare la resistenza antinapoleonica . Essi sono alla base del nazionalismo tedesco e risultano sul piano della valutazione politica una opera ambigua, su cui sono stati formulati opposti giudizi .
Per Ladislao Mittner il fatto che il nazionalismo tedesco nascesse contro un nemico (la Francia ), identificata con l’illuminismo , fu tragico => portò alla rottura con la tradizione illuministica e liberaldemocratica , con conseguenti pesanti per la storia tedesca .
Per Luigi Pareyson il nazionalismo di Fichte non rompe col cosmopolitismo: Fichte cercò di far convivere cosmopolitismo e nazionalismo e di difendere una concezione democratica dello stato, vedendo lucidamente che la resistenza contro gli invasori poteva sfociare nel ristabilimento dei valori dell’assolutismo monarchico feudale e che quindi il sangue tedesco fosse versato per ristabilire i privilegi .Quindi lungi dal pangermanesimo l’obiettivo dei Discorsi è la difesa e la realizzazione della libertà nell’interesse della umanità intera .

 

SCHELLING

Vita e opere di Schelling (1775-1854)

 
1775 Il 27 gennaio Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nasce a Leonberg, nel Wuerttemberg, primo di cinque figli. Il padre, pastore protestante, coltiva studi di orientalistica e critica biblica e avvia fin dall'infanzia Friedrich alla conoscenza del mondo antico.
1790 Dopo aver compiuto i primi studi a Bebenhausen e Nuertingen, dove fra l'altro ha modo di conoscere per la prima volta Hoelderlin, Schelling viene ammesso a soli 15 anni (con tre anni di anticipo sulla norma) allo Stift di Tubinga, dove e' compagno di camera (ma non di corso) di Hegel e dello stesso Hoelderlin.
1792 Conclude il biennio filosofico con la dissertazione Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis Gens. III explicandi tentamen criticum et philosophicum, in cui e' evidente l'approccio razionalistico al testo biblico. L'anno successivo, lo stesso approccio viene applicato al campo dell'interpretazione mitologica nel saggio Sui miti, le leggende storiche e i fenomeni del mondo antico. Per quanto l'ambiente dello Stift sia poco permeabile alle novita' filosofiche e politiche, Schelling ha comunque modo di entrare in contatto con le dottrine fichtiane e le idee politiche rivoluzionarie provenienti dalla Francia. Dopo aver incontrato Fichte e aver letto la prima parte (quella teoretica) della Dottrina della scienza, Schelling pubblica nel 1794 Sulla possibilita' di una forma della filosofia in generale e nel 1795 Sull'Io come principio della filosofia.
1795 Conclude il triennio teologico con la dissertazione De Marcione Paullinarum epistolarum emendatore. Viene chiamato a collaborare al "Philosophisches Journal", dove pubblica, tra il 1795 e il 1796, le Lettere filosofiche sul dogmatismo e il criticismo. Rinuncia quindi alla carriera ecclesiastica e trova impiego come precettore presso il barone von Riesedel, i cui figli segue prima a Stoccarda (tra il novembre 1795 e il marzo1796) e poi a Lipsia. Nello stesso 1796 redige la Nuova deduzione del diritto naturale, anche in conseguenza del fatto di essersi dovuto occupare, nella sua nuova veste, degli studi giuridici dei giovani von Riesedel. Tra il 1796 e il 1797 torna sull'interpretazione di Fichte nei Trattati per la chiarificazione dell'idealismo della Dottrina della scienza. Ma, soprattutto, in questi anni getta le basi della propria filosofia della natura con le Idee per una filosofia della naturae la prima versione di Sull'anima del mondo.
1798 In estate si trasferisce da Lipsia a Jena, chiamato dalla locale Universita' (grazie anche ai buoni uffici di Goethe), di fatto in sostituzione di Fichte, costretto a dimettersi in seguito alla polemica sull'ateismo. Qui entra in contatto con i principali esponenti del circolo romantico. Fonda la rivista "Zeitschrift fuer spekulative Physik", progettata come strumento di diffusione della nuova filosofia della natura, e nel 1802, con Hegel, il "Kritisches Journal der Philosophie". Pubblica il Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura (1799), con la relativa Introduzione (1799), il Sistema dell'idealismo trascendentale(1800), la Deduzione universale del processo dinamico(1800), l'Esposizione del mio sistema di filosofia (1801), il dialogo Bruno (1802), le Ulteriori esposizioni del mio sistema di filosofia (1803), le Lezioni sul metodo dello studio accademico (tenute per la prima volta nel 1802, ma pubblicate nel 1803).
1803 Nell'estate, sposa Carolina Michaelis, vedova del medico Boehmer e gia' sposata in seconde nozze con August Wilhelm Schlegel, da cui aveva ottenuto il divorzio nello stesso 1803. Anche per il deteriorarsi dei rapporti personali con gli amici di Jena, in autunno si trasferisce a Wuerzburg, chiamato come professore ordinario. Nel 1805 fonda, con Marcus, gli "Jahrbuecher der Medicin als Wissenschaft". Pubblica Filosofia e religione(1804) in risposta alle tesi sostenute da Eschenmayer nello scritto La filosofia nel suo passaggio alla non-filosofia, gli Aforismi introduttivi alla filosofia della natura (1805) e gli Aforismi sulla filosofia della natura, la cui seconda parte apparira' quando Schelling avra' gia' lasciato Wuerzburg (1806-7). A questo periodo appartengono anche la Filosofia dell'arte (corsi tenuti in origine a Jena tra il 1802 e il 1803 e ripresi a Wuerzburg tra il 1804 e il 1805), la Propedeutica filosofica (1804) e il Sistema dell'intera filosofia (1804), che saranno tuttavia pubblicati postumi.
1806 In seguito alla pace di Presburgo (dicembre 1805), Wuerzburg passa sotto il controllo austriaco. Nella successiva primavera, Schelling decide quindi di trasferirsi a Monaco, dove, non esistendo ancora una Universita', entra a far parte dell'Accademia delle Scienze, presieduta da Jacobi. Il 12 ottobre 1807, in occasione dell'onomastico del re, tiene il celebre discorso Sul rapporto delle arti figurative con la natura. Nel 1808 e' nominato Segretario Generale dell'Accademia delle Arti Figurative, creata in pratica appositamente per Schelling al fine di evitargli la difficile convivenza con Jacobi. A questo periodo risalgono l'ultimo intervento contro Fichte, l'Esposizione dei veri rapporti della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte (1806) e le Ricerche filosofiche sull'essenza della liberta' umana (1809). Nel frattempo, in seguito alla pubblicazione della Fenomenologia dello Spirito (1807), si consuma anche la rottura con Hegel.
1809 Il 7 settembre muore la moglie Carolina. Schelling, fortemente provato, si trasferisce per qualche mese a Stoccarda, tra il febbraio e l'ottobre del 1810, dove tiene le celebri Privatvorlesungen e compone il dialogo Clara, vera e propria meditazione sulla morte. Il rientro a Monaco e' segnato dalle polemiche. Nel 1811, Jacobi pubblica un aspro attacco contro Schelling (Sulle cose divine e la loro rivelazione), a cui Schelling risponde con altrettanta violenza con il Monumento dello scritto sulle cose divine (1812). Nello stesso periodo, lavora al progetto delle Eta' del mondo, di cui prepara due versioni (una nel 1811 e l'altra nel 1813) che vengono entrambe prima consegnate all'editore e poi ritirate, e un'ulteriore elaborazione nel 1815.
1812 Sposa Paulina Gotter, figlia di un'amica di Carolina, con cui era da tempo in corrispondenza e che gli rimarra' accanto per tutto il resto della vita, dandogli sei figli. Nel 1813 fonda una nuova rivista, la "Allgemeine Zeitschrift von Deutschen fuer Deutsche", che ospita nel suo primo numero la disputa con Eschenmayer a proposito delle Ricerche filosofiche, ma che avra' vita ancora piu' breve delle precedenti. Nel 1815 pubblica la lezione Sulle divinita' di Samotracia.
1820 é chiamato a Erlangen, dove restera' per sette anni, tenendo come professore libero lezioni di storia della filosofia e filosofia della mitologia. Le lezioni del semestre invernale 1820-21 furono dedicate agli Initia philosophiae universae, cioe' ai fondamenti dell'intera filosofia.
1827 Rientra nuovamente a Monaco come professore di filosofia presso l'Universita' (trasferita l'anno precedente da Landschut) e come Presidente dell'Accademia delle Scienze. L'unico scritto filosofico pubblicato in questi anni da Schelling e' la Prefazione ai Fragments philosophiquesdi Victor Cousin (1834), ma nel frattempo Schelling lavora al progetto della "filosofia positiva", in opposizione alla "filosofia negativa" della tradizione razionalistica e formalistica. I quaderni originali dei corsi tenuti da Schelling in questi anni sono andati perduti nel corso dei bombardamenti del 1944, ma rimangono gli appunti di studenti e uditori. Tra le opere riprese nell'edizione delle opere complete figurano la Prima lezione monachese (1827), i corsi del 1836-37 sulla Storia della filosofia moderna, e sull'Esposizione dell'empirismo filosofico. Per altri scritti (alcuni dei quali hanno subito vari rimaneggiamenti) la datazione non puo' ritenersi sempre certa: Sistema delle eta' del mondo (1827-28); Introduzione alla filosofia (1830); Filosofia della Rivelazione (1831-32); Sistema della filosofia positivae Sistema delle eta' del mondo(1832-33); Filosofia della Mitologia (1835-36); Sistema della filosofia positiva (1836-37); Filosofia della Mitologia (1837-38); Introduzione nella filosofia (1839).
1841 Schelling, anche a motivo della situazione non proprio favorevole ai Protestanti determinatasi in Baviera, accetta l'invito di Federico Guglielmo IV di Prussia e si trasferisce a Berlino come libero docente (con il compito, probabilmente, di arginare il successo dilagante della filosofia di Hegel, deceduto dieci anni prima). Anche qui i suoi corsi - che vedranno come uditori Kierkegaard, Feuerbach, Engels - vertono principalmente sulla filosofia della Mitologia e la filosofia della Rivelazione, e sono ricostruibili in buona parte solo attraverso Nachschriften: Filosofia della Rivelazione (1841-42); Filosofia della Rivelazione (1842-43 e 1844); Principi della filosofia - Esposizione del processo naturale(1843-44); Filosofia della Mitologia (1845-46). A questo stesso periodo (1847-54) appartengono l'Introduzione filosofica alla filosofia della Mitologia e il Saggio sull'origine delle verita' eterne e il discorso Osservazioni preliminari alla questione sull'origine del linguaggio (1850).

 

 

 

1854 Il 20 agosto muore a Bad Ragaz in Svizzera, dove si trovava in villeggiatura.
La filosofia della natura
Questo periodo è compreso tra il 1794 ed il 1796 ed è caratterizzato dalla ripresa e dallo sviluppo della filosofia di Fichte. In questa prima fase fichtiana emerge:

  • L’istanza di ricercare il fondamento primo della conoscenza non nell’Io puro ma in un principio originario che ricomprenda in sé:
  • Il momento soggettivo della conoscenza (L’io trascendentale)
  • La componente oggettiva della conoscenza (Il non-io fichtiano)

 Il soggetto e l’oggetto, lo spirito e la natura sono le due manifestazioni diverse ed equivalenti dell’unico principio assoluto.

  • La derivazione fichtiana del non-io dall’Io sembra insoddisfacente poiché risolve la natura , ovvero il mondo oggettivo, in un momento interno al soggetto, in un semplice limite che l’Io pone alla propria attività
  • Pur essendo connessa con lo sviluppo del soggetto, la natura ha una realtà propria, irriducibile a una mera proiezione ed autolimitazione dell’Io.

à Dal 1797 al 1800 elaborazione di una filosofia della natura..  i referenti sono:

  • I recenti studi e le nuove scoperte scientifiche nella fisica, chimica e biologia, con la critica della fisica newtoniana
  • La nuova interpretazione filosofica della natura in termini di vita e di organismo (Goethe, Jacobi, Kant)

 

 

In particolare da Kant Schelling prende l'idea che :

  • L’organismo  è una realtà unitaria che possiede in se stessa e oggettivamente il proprio principio di organizzazione
  • L’organicità può essere estesa dal singolo essere vivente a tutta la natura considerata come una totalità. Ma la natura costituisce un organismo universale nel quale opera un unico principio vitale, l’anima del mondo.  Viene ammessa la stessa nozione, rifiutata da Kant, di materia vivente

La natura quindi:

  • Non è materia inerte
  • La natura è vita universale intrinseca alla materia stessa, che continuamente si plasma e si trasforma in un continuo divenire
  • Ha come fondamentale proprietà l’attività.Questa consiste in un processo oppositivo inteso come:
  • Polarità.Interna alla stessa natura, la tensione tra 2 elementi esprime insieme la loro unità e la loro opposizione. Esistono 3 tipi di polarità naturale, corrispondenti a 3 gradi o potenze della natura:
    • A livello inferiore, l’opposizione tra le forze attrattive e repulsive, che si esprimono nella forza di gravità > fisica, ha per oggetto la natura organica intesa come massa
    • Al secondo livello è l’azione chimica che si fonda su processi di sintesi ed analisi (al suo interno magnetismo, elettricità e la luce)
    • Al terzo livello, la potenza organica, nella quale la forza propulsiva è continua e suscettibile solo di arresti momentanei e si distingue in 3 momenti interni:
    1. La sensibilità, ricettività originaria, capacità di percepire stimoli dall’esterno
    2. L’irritabilità, l’attività motrice che consente il moto degli organismi
    3. La tendenza produttiva, l’impulso alla generazione che presiede all’autoriproduzione della specie
  • Viene riconosciuta la omogeneità di natura e spirito > finalismo della filosofia schellinghiana. Essa è determinazione essenziale dello spirito : Se la natura ha la stessa struttura costitutiva dello spirito non può esprimersi se non in termini di finalità.. La natura essendo coessenziale con lo spirito deve necessariamente essere pensata come organizzata secondo fini : la connessione meccanico-causale dei fenomeni è subordinata al loro ordinamento finalistico
  • Piena circolarità tra natura e spirito, né indipendenti né conseguenti, ma due aspetti paralleli ad un unico processo
  • La natura è lo spirito visibile
  • Lo spirito è la natura invisibile

 Qual è il principio che collega spirito e natura, garantendo loro la radice unitaria. ?  Mondo della natura e dello spirito sono qui visti nella loro derivazione da una unica intelligenza la quale opera si può comportare in due modi:

  • Creare inconsapevolmente > mondo naturale
  • Creare consapevolmente > creazione dello spirito

L’idealismo trascendentale
Tentativo opposto ai precedenti di cercare l’oggetto nel soggetto, la natura nello spirito..
  Filosofia della natura: Il carattere organico della natura indica la presenza in essa di una costituzione analoga a quella dello spirito
Il sistema dell’idealismo trascendentale (1800): L’io trascendentale non è soltanto l’espressione di soggettività assoluta ma è anche il fondamento della realtà e dell’oggettività del mondo naturale
Descrizione di una filosofia dello spirito:

  • Viene fondata sulla nozione di autocoscienza o di Io:
  • L’autocoscienza non è soggettività pura ma sintesi di 2 attività dialetticamente opposte:
    • Attività reale : Attività limitata, che produce l’oggetto ponendolo come limite, come qualcosa di opposto al soggetto
    • Attività ideale : Attività illimitata e limitante che consapevolmente va oltre il limite dell’oggetto, riconoscendolo come prodotto inconsapevole dell’Io

Non sono due attività separate perché costituiscono 2 aspetti diversi di una unica attività dell’autocoscienza, che è sintesi assoluta di entrambe. à sintesi non statica ma dinamica:

    • L’attività reale produce l’oggetto e l’attività ideale lo oltrepassa riconducendolo a sé à infinito processo dialettico à sintesi delle due attività à intuizione intellettuale:
    • L’io ha intuizione intellettuale di se stesso come insieme ideale e reale
    • L’io è una unità indissolubile di soggetto ed oggetto, di spirito e natura, di attività consapevole ed inconscia

Il Sistema viene definito da Hegel come idealismo oggettivo .
à La sintesi assoluta passa attraverso tre gradi o epoche descrizitte nella filosofia teretica:

  1. Passaggio dalla sensazione alla intuizione produttiva.
  • Nella sensazione il soggetto sembra trovi di fronte a sé un oggetto esterno rispetto al quale appare passivo
  • Nella intuizione produttiva, l’Io determinando l’oggetto come un proprio prodotto, risolve la sensazione in un momento passivo (l’oggetto è sentito) ed in un momento attivo (l’oggetto è senziente) à L’io si si configura come intelligenza, il prodotto dell’io si configura come materia

     2.Passaggio dalla intuizione produttiva alla riflessione

  • Mediante la riflessione l’intelligenza diventa consapevole della corrispondenza tra la propria costituzione e quella del proprio prodotto

3. Passaggio dalla riflessione alla volontà

  • Per mezzo di un atto di astrazione assoluta l’intelligenza giunge alla consapevolezza che la propria attività è pura forma, distinta da ogni materia

à Con quest’ultimo passaggio si passa alla filosofia pratica. ß la volontà è il punto di partenza di ogni attività pratica (è l’astrazione del soggetto da qualsiasi condizione materiale ed  espressione di libertà). Si pone il problema della armonizzazione delle volontà individuali in un sistema che garantisca la compatibilità tra le diverse libertà.

  • Il sistema di armonizzazione è il diritto esso:
  • Non può nascere dalla semplice libertà poiché esso comporta la limitazione coattiva della libertà dell’uno per garantire quella di tutti gli altri
  • Implica una unione di libertà e necessità à la necessità è il corrispettivo pratico dell’unità tra soggetto ed oggetto, conscio ed inconscio
  • L’unione tra libertà e necessità si attua nella storia, che è un dramma in cui c’è una identità tra autore ed i singoli attori à ognuno è libero perché obbedendo all’autore non obbedisce che a se stesso à al tempo stesso ognuno è necessitato poiché egli persegue un disegno razionale che fa della sua azione uno strumento del tutto
  • Nella storia in realtà gli uomini obbediscono ad un piano provvidenziale e razionale
  • La storia è il dominio dell’Assoluto, unità di libertà e necessità, spirito e natura, soggetto ed oggetto, attività ideale e attività inconsapevole
  • L’armonizzazione viene colto però solo attraverso l’arte che è il solo organo che consenta all’uomo di penetrare l’Assoluto:
  • Solo attraverso l’intuizione artistica l’uomo può cogliere quell’unità di spirito e natura, soggetto ed oggetto, che la conoscenza ha necessariamente diviso
  • L’arte, il momento intuitivo si esprime nel genio e ricongiunge ciò che la riflessione aveva diviso ed è la vera conoscenza
  • Il filosofico si identifica con l'attività creatrice dell' artista
  • L’arte prende i connotati di una conoscenza assoluta à per questo l'idealismo di Schelling viene chiamato anche idealismo estetico

Questo periodo va dal 1801 al 1805 ed è indicato come filosofia dell’identità.

Il contenuto fondamentale è sempre stato l’unità di natura e spirito à ora si intende partire direttamente dall’unità assoluta per derivare da essa l’opposizione .

  • La filosofia della natura e l’idealismo trascendentale vanno riconsiderate dal punto di vista della totalità e restituite alla loro giusta collocazione all’interno del sistema.
  • Il fondamento della realtà è l’Assoluto, inteso come identità indifferenziata di soggetto ed oggetto.
  • L’Assoluto è la radice comune che precede la loro separazione.
  • La scissione degli opposti non appartiene al piano della realtà e del sapere assoluto ma a quello dell’apparenza.
  • L’Assoluto viene inteso come indifferenza(assenza di differenziazione)
  • Si pongono una serie di problemi:
  • La difficoltà sta nello spiegare come la differenza possa nascere dalla indifferenza
  • Se la realtà è sostanzialmente unitotalità priva di differenziazioni interne, come si può arrivare lla distinzione di una molteplicità di esseri?
  • Come si passa dall’Assoluto alla opposizione tra soggetto ed oggetto ?
    • Non è possibile un passaggio emanativo graduale (tra Assoluto ed il finito non c’è omogeneità)
    • Introduzione del concetto di salto o di caduta. Questa nozione segna lo spostamento del suo pensiero dall’ambito dell’idealismo speculativo a quello di una filosofia a sfondo religioso, nella quale hanno sempre più peso suggestioni mistiche ed irrazionalistiche attinte da Bohme e Baader

 
 La filosofia della libertà
Si ha a partire dal 1804 e nel 1809. à Abbiamo una ripresa del teismo. Non sono adeguate rappresentazioni della divinità:

  • Il panteismo spinoziano (Dio nella natura)
  • La teologia morale di Fichte e di Kant (l’essenza divina è nell’ordine morale del mondo)

Per Schelling:

  • Il vero Dio è vita e persona al pari dell’uomo a sua somiglianza.
  • Anche Dio è soggetto al divenire (non va concepito come atto purissimo, perfezione compiuta ed immota)
  • Nel divenire Dio
  • In un momento attuale perviene alla esistenza
  • In un momento potenziale perviene al fondamento della sua esistenza. à esso è radice oscura come inconscio, tenebra, egoismo, ipseità. Indica la presenza della natura in Dio stesso. Il polo dell’esistenza opposto in termini di luce , amore, conscio è il conseguimento dello spirito
    • Le cose create non sono in Dio stesso ma dipendono dal fondamento.
  • La creazione consiste nel passaggio dall’oscurità originaria alla luce
  • L’uomo è la sola creatura in cui questo processo avviene completamente, in modo che la tenebra originaria dell’inconscio si traduca nella luminosità dell’intelletto.
  • L’uomo partecipa dei 2 principi al pari di Dio
  • In Dio i 2 principi sono inseparabili e costituiscono una unità assoluta
  • Nell’uomo i 2 principi sono separabili
    • Il principio oscuro (volontà individuale egoistica) si oppone a
    • Principio positivo volontà intellettuale diventa volontà universale

à Il male consiste quindi nella possibilità dell’independenza del principio negativo da quello indipendente.

  • Il male non è una semplice privazione dell’essere, una non realtà
  • Il male rappresenta una distorsione, una malattia à l’uomo fa abuso della volontà individuale anteposta alla volontà universale

à La libertà quindi consiste nella possibilità di scegliere tra il bene ed il male ß nonostante ciò Schelling non accetta

  • la tesi indeterministica della libertà di arbitrio (la decisione non spetta al caso)
  • la tesi deterministica (l’uomo non ha nessuna responsabilità)
  • Come in Dio, anche nell’uomo la libertà coincide con la necessità:
    • In Dio la coincidenza significa che la necessità con cui procede dal fondamento all’esistenza è un anche un atto di assoluta libertà
    • Nell’uomo la convergenza tra libertà e necessità trova espressione nella natura individuale, in base alla quale ciascuno sceglie tra bene e male à l’uomo è necessitato dalla sua stessa natura ma la natura sua è stata decisa nel momento egli è emerso dal fondamento di Dio (es. quando uno fa una azione malvagia dice: Sono così)

La filosofia della identità portò quindi:

  • Risoluzione del finito, considerato una mera apparenza, nell’infinito, il quale soltanto esprime la realtà assoluta

La filosofia della libertà invece:

  • Restituì al finito, al mondo ed all’uomo una realtà propria
  • Altrettanta realtà viene riconosciuta al male ed alla libertà individuale.

à Si ha un recupero di una dimensione tragica della vita (la realtà viene descritta come un immenso dramma cosmoteandrico, in cui la lotta non è solo data dall’unione separazione tra Dio e l’uomo, ma anche dalla polarità interna)
La filosofia positiva
Dal 1809 in poi. à si passa alla nozione di filosofia negativaalla quale è riconducibile la stessa filosofia dell’identità

  • La ragione può soltanto cogliere l’essenza delle cose (quid sit), non la loro esistenza (quod sit)
  • Ogni filosofia speculativa, fondata su argomentazioni a priori può determinare soltanto il lato negativo della conoscenza e non il lato positivo, ciò da cui essa sorge (positivo)
  • Il pensiero razionale definisce solamente le condizioni negative della conoscenza, quelle senza le quali le cose non possono essere pensate, ma no risolve il problema della loro esistenza.

à E’ dunque necessario opporre ad essa una filosofia positiva

  • Punto di partenza deve consistere in un dato di esperienza (fase dell’empirismo filosofico), anche se essa non è solo conoscenza sensibile, ma esperienza metafisica ed extra-storica.
  • Non si tratta di una semplice forma di conoscenza teoretica ma un sapere che si traduce in attività pratica, fede, religione filosofica
  • Essa si divide in:
  • Filosofia della mitologia.
    • Ha per oggetto la religione naturale, il manifestarsi di Dio nella natura attraverso le determinazioni di una coscienza umana archetipa ed originaria
    • Le concezioni mitologiche non devono essere interpretate come allegorie di un significato concettuale (negativo) bensì come tautegorie nelle quali il senso emerge necessariamente (positivamente) dal suo stesso sviluppo all’interno della coscienza umana
  • Filosofia della rivelazione.
    • Si riferisce alla manifestazione diretta di Dio, che si autorivela con un atto di libertà assoluta.
    • Attraverso questa via l’uomo giunge alla conoscenza di Dio come persona vivente
    • Ha per oggetto la religione rivelata e centro nel cristianesimo.

à Terza fase della filosofia positiva, corrispondente a quella dello Spirito santo, nella quale la religione filosofica supera sia la religione naturale del Padre sia quella rivelata del Figlio. (progetto triarchico)
à La totalità del tempo viene divisa in 3 epoche (passato, presente, futuro) ß radice neoplatonica (il termine eone è gnostico):

  • L’età passata è il momento del fondamento da cui Dio oscuramente scaturisce
  • L’età presente è l’esplicazione di Dio nel mondo
  • L’età futura sarà il ritorno necessario del mondo a Dio.

 

Fonte:  http://digilander.libero.it/terzacmanzoni/Filosofia/Fichte%20e%20Schelling.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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