Filosofia

 


Filosofia appunti e riassunti

 

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Filosofia appunti e riassunti

 

ETICA
Il termine ETICA in uno degli usi più frequenti si riferisce ad un codice o un gruppo di principi secondo i quali la gente vive. Tuttavia quando parliamo di ETICA i filosofi non intendono il termine in questo modo. Essi lo intendono anche come uno STUDIO TEORICO. Gli oggetti che vengono studiati dall’etica sono le teorie. Queste teorie, qualche volta definite le TEORIE ETICHE, riguardano domande come: come dovrebbero comportarsi gli uomini? In cosa consiste la vita buona per l’uomo?
LA DIFFERENZA TRA LA NOSTRA ETICA IMPLICITA E QUELLA FILOSOFICA È LA RIFLESSIONE CHE VA DAL PARTICOLARE ALL’UNIVERSALE.


La classificazione delle teorie etiche
La classificazione è di tipo storico e si distingue tra


Teorie etiche classiche

Teorie etiche moderne

Teorie che precedono l’età contemporanea.
Sono dette anche teorie normative perché si pongono domande come: che cos’è il bene e come si fa a raggiungerlo? Qual è la vita buona per gli uomini e come si dovrebbe agire? Queste teorie finiscono per essere una serie di precetti.
(periodo più fiorente dell’età classica è il V secolo, nel IV e nel III secolo ci sono state le conquiste di Alessandro Magno. La morte di Socrate copre il IV secolo e Aristotele deve scappare da Atene per essere poi ucciso come Socrate. Gli autori di questo secolo si dedicarono a riflessioni sul piano dell’agire individuale e sociale.

Sono teorie contemporanee. Sono dette anche teorie descrittive perché si limitano a descrivere le etiche precedenti.


PLATONE
È il primo autore di cui abbiamo l’opera per intero (i suoi scritti sono in genere conversazioni, definite “dialoghi” tra Socrate e altri filosofi greci del V secolo).
LA SUA ETICA È DEL TIPO INTELLETTUALISMO OVVERO IDENTIFICA IL BENE MORALE CON CONOSCENZA E IL MALE CON L’IGNORANZA.
Quindi coloro che sanno cos’è il bene (e quindi sanno in che cosa consiste la vita buona) non agiranno mai in modo malvagio; chi fa il male non lo fa volontariamente ma perché ignora cosa sia il bene.
Il problema è ora quello di definire che sia il bene e come si faccia a raggiungerlo. Secondo Platone esiste una vita buona e una soltanto. Questo è dovuto al fatto che il bene è unico, oggettivo e assoluto cioè esiste a prescindere dalle inclinazioni, desideri, dalle opinioni degli esseri umani. Il bene esiste indipendentemente dall’umanità e, per istruire adeguatamente gli uomini, deve essere scoperto.
Platone sottolinea che il bene è uno come è una la soluzione di un problema. Il bene assomiglia alla verità matematica. Il bene è quindi conoscenza e la virtù è conoscenza del bene. Per arrivare a conoscere il bene gli uomini devono seguire un cammino lento e lungo che presuppone un distacco dalle cose materiali. Inoltre questo cammino oltre ad essere lungo e difficile non è alla portata di tutti: è solo per coloro che nascono con certe virtù. Questo cammino prevede l’apprendimento di alcune discipline che vanno dalla filosofia alla matematica. Per conoscere il bene si deve quindi percorrere questo cammino che è precluso alla maggior parte delle persone.
La sua ETICA è quindi un’ETICA ARISTOCRATICA anche se Platone parla di una particolare aristocrazia che è esclusivamente del merito. Platone infatti nel dialogo “la repubblica” immagina una classe dirigente che governa. Coloro che governano sono coloro che, avendo sviluppato le loro capacità intellettuali, avrebbero acquisito conoscenza e, avendo acquisito conoscenza, avrebbero capito la natura della vista buona. Ciò avrebbe garantito loro una condotta morale: di conseguenza sarebbero stati dei buoni governanti. Secondo Platone gli individui gli individui che invece non possiedono le capacità intellettive di acquisire conoscenza e che quindi non saranno in grado di capire cosa sia il bene, imiteranno coloro che conoscono il bene e di conseguenza agiranno anche loro virtuosamente, accettando la loro guida.
IL PLATONISMO HA AVUTO UN ENORME IMPATTO SULLA FILOSOFIA RELIGIOSA: MOLTI TEOLOGI HANNO INFATTI AFFERMATO CHE LEGGI MORALI COME “NON UCCIDERE” E “NON RUBARE” SIANO ASSOLUTE E OGGETTIVE IN SENSO PLATONICO.
La differenza è però che Platone ritiene che i criteri morali fossero superiori anche a Dio stesso ovvero il bene è antecedente a Dio. Per la religione Dio crea il bene.


ARISTOTELE (EUDONISMO = ETICA ARISTOTELICA)
(Passaggio tra la civiltà greca classica e l’ellenismo)
Platone viene descritto come colui che guarda verso l’alto (filosofia trascendente); Aristotele invece viene descritto come colui che guarda verso il basso (filosofia immanente). Pensatori come Eraclito, Platone, derivarono in parte le loro idee etiche dalle posizioni metafisiche che sostenevano.
Aristotele invece adotta un approccio scientifico ed empirico ai problemi di etica; cioè invece di cercare di scoprire cos’è il bene con la sola riflessione, egli ha esaminato il comportamento e i discorsi delle varie persone.
PER ARISTOTELE L’ETICA È UNA DISCIPLINA PRATICA.
Le scienze si dividono in:


Teoretiche

Pratiche

Politiche

Sono discipline come la metafisica, la fisica e la matematica, in cui ciò che è non può essere altrimenti. Sono discipline che hanno a che fare con l’entità assoluta.

Sono discipline come l’etica e la politica che hanno a che fare con la pratica. Ciò che è e può essere altrimenti. Ciò non significa che non siano scienze ma il modo in cui si argomenta e le certezze che abbiamo sono differenti.

 

L’etica di Aristotele parte da un’analisi di modo concreto con cui gli uomini agiscono. Gli uomini agiscono in vista di un fine che si identifica con la felicità. La vita buona per gli uomini significa quindi una “vita di felicità”. Aristotele identifica quindi la virtù con la felicità. La trattazione più articolata di queste idee si ritrova nell’ETICA NICOMACHEA. In questo libro Aristotele definisce la Felicità come un’attività dell’anima che si accorda con la virtù perfetta. Aristotele vuole sottolineare il fatto che la felicità non è qualcosa di statico, ma è un’attività. La felicità non è la meta che ci attende se ci comportiamo in un certo modo, essa è qualcosa che si accompagna a certe attività.
Per Aristotele tutto ciò che accade avviene per una causa ed è per un fine. Il fine dell’agire degli uomini è la felicità. La differenza tra Platone e Aristotele è che mentre per Platone esiste un bene unico, per Aristotele esistono beni differenti e quindi differenti virtù. La caratteristica comune delle virtù è quella di rappresentare il giusto mezzo tra due estremi: ad esempio il coraggio è il giusto mezzo tra la temerarietà e avidità. Il fatto che ogni singola virtù è il giusto mezzo tra due eccessi, questo non significa media matematica. La filosofia di Aristotele non vuole essere simile alla matematica ma all’esperienza. Ad esempio la dieta intesa come corretta alimentazione.
A seconda di una serie di fattori per ognuno di noi la giusta quantità di cibo varia ed è nel giusto mezzo tra il mangiar troppo e il mangiare poco. È impossibile definire come valida per tutti sempre. Il modo corretto di comportarsi nella sfera morale è quindi quello di adattarsi al giusto mezzo.
La moderazione per Aristotele finisce per essere la virtù fondamentale. Per essere felici bisogna agire con moderazione sforzandosi di raggiungere il mezzo tra due estremi. Il mezzo varierà poi da persona a persona.
Differenze tra Aristotele e Platone

  • Per Aristotele la conoscenza di quale sia il bene non implica la realizzazione del bene. Si può anche sapere qual’è il bene e non essere in grado di metterlo in atto.
  • Per Aristotele inoltre non basta presentare dei modelli di esistenza corretta e porli come modelli da imitare. Occorre un processo di istruzione.
  • Aristotele non nega che per raggiungere la felicità si possa usare una certa dose di beni materiali, il piacere. Per Platone invece occorreva un distacco dai beni materiali, dal piacere perché sono pallide imitazioni delle idee. Platone svaluta ogni cosa che è legata al terreno. Noi siamo anima (non c’è nessuna connessione tra piacere e vita buona).
  • Anche l’etica di Aristotele è aristocratica: per essere felici occorre avere un certo numero di amici, di piacere, di piaceri

CRITICHE AD ARISTOTELE
Ci sono situazioni in cui non è sempre possibile seguire la via di mezzo.
La filosofia di Aristotele sembra una filosofia della moderazione: la felicità è il risultato di un compromesso.


FILOSOFIE ELLENISTE
Ne fanno parte lo stoicismo, l’epicureismo, il cinismo.
Sono dottrine filosofiche che nascono dalla dissoluzione della polis classica. In queste dottrine è preponderante il discorso etico. Queste dottrine nascono in una crisi profonda della civiltà. La civiltà greca perde la libertà: vi è la fine della polis classica (Atene). Questo comporta un cambiamento di valori: non ha più senso interrogarsi sulla natura del mondo se questa non ha una ricaduta pratica concreta. Qualcuno le ha definite ETICHE DI CONSOLAZIONE cioè etiche per aiutare il singolo.


EPICUREISMO
È stato fondato da Epicureo (metà da IV a III secolo). La sua teoria etica si può definire EDONISMO ovvero la dottrina secondo la quale L’UNICO BENE È IL PIACERE. IDENTIFICA LA VIRTÙ CON IL PIACERE.  L’edonismo come dottrina filosofica aveva due forme: un edonismo psicologico e un edonismo etico. L’edonismo psicologico è la dottrina secondo la quale le persone nel corso della loro vita ricercano il piacere e solo il piacere. Tutte le attività sono quindi dirette a procurare piacere ed evitare dolore. Epicuro oltre ad essere un edonista psicologico è anche un edonista etico. Egli ritiene che le persone non solo cerchino di fatto il piacere, ma che dovrebbero farlo, perché il piacere è il solo bene. Epicuro era un epicureo diverso dal significato dell’aggettivo che gli diamo noi. Epicuro sottolinea che il piacere è cessazione del dolore; è aporia (cessazione del dolore fisico) e atarassia (cessazione del dolore morale). Più che una ricerca di piacere si tratta di una liberazione dal dolore. Bisogna quindi vivere in modo moderato ma piacevole; se una persona ricerca il piacere con troppa insistenza ne avrà dolore. Per Epicuro è così necessario evitare i piaceri che sono accompagnati dal dolore, essi sono PIACERI DINAMICI. L’amore sessuale ad esempio è un piacere dinamico perché si accompagna a fatica, rimorso, depressione. Altri di questi piaceri sono il bere, l’ingordigia, la fama, sono i cosiddetti piaceri della carne. Contrappone a questi piaceri i PIACERI STABILI che anziché turbare la nostra anima la inducono a uno stato di calma. Un esempio è l’amicizia. La proposta etica di Epicuro comporta quindi una fuga dalla realtà politica del tempo, una fuga dal privato che non è individuale.
Quando gli individui affrontano una grande catastrofe, possono aggrapparsi al piacere perché in un mondo al collasso esso fornisce tranquillità e sicurezza. L’edonismo è una filosofia che giustifica la loro condotta. L’edonismo può essere considerato come la filosofia che sorge dalla disperazione.


IL CINISMO
Il fondatore è un discepolo di Socrate. Il cinismo si può considerare come una norma di condotta per chi vive una vita intollerabile, dovuta al collasso del mondo circostante o a ragioni di disperazione personale. Questo collasso cominciò in parte con il declino della città stato greca. (Le frequenti guerre tra Sparta e Atene o tra Sparta e Corinto con le incredibili perdite di vite umane e le distruzioni che implicarono) che fu poi accelerata dai disordini che accompagnarono la caduta dell’impero di Alessandro. Quando crollarono istituzioni di tale importanza, le persone erano naturalmente spinte a pensare a come guadagnarsi una salvezza personale. A questa esigenza il cinismo diede una risposta originale: esso sostiene che tutti i frutti della civiltà non hanno valore: il governo, la proprietà privata, il matrimonio, la religione, lo schiavismo, il lusso e tutti i piaceri artificiali dei sensi. Se salvezza ci sarà si troverà in un rifiuto della società e in un ritorno alla vita semplice: una vita di ascetismo.
L’unica via di fuga è allontanarsi dalla civiltà in modo il più possibile naturale. L’uomo per sua natura è buono e felice; si corrompe entrando nella civiltà. I primi cinici, come per esempio Diogene condussero vite frugali e addirittura miserabili, sino appunto ad essere accomunati per il loro modo di vivere, agli animali. Difatti il termine cinico proviene da “ky mi koss” che significa simile al cane. Gli individui per vivere in un modo adeguato dovevano rifiutare di partecipare nella società, dovevano abbandonare le cose esteriori. Se una persona è alla ricerca della salvezza, la deve trovare al suoi interno: in questo consiste la virtù. I cinici sostenevano il rifiuto dei beni mondani. Bisognava fuggire nella naturalità (autarchia). Queste proposte di vita cinica saranno poi alla base dell’ascetismo medioevale che si tradusse poi nel monachesimo.
La ricerca della felicità è una ricerca interiore.
Figura del cinico : si dice per esempio che Diogene sia vissuto in una grossa botte, rifiutando ogni raffinatezza nel vestire, nel cibo, nella pulizia personale. Si racconta un famoso aneddoto di lui e Alessandro Magno. Alessandro andò a visitarlo e gli chiese se poteva fare qualcosa per alleviargli le condizioni miserabili in cui viveva. “Sì” gli rispose Diogene “puoi toglierti dalla luce e lasciarmi vedere il sole”.


STOICISMO
È una teoria destinata a più successo: è giusto definirla come la dottrina etica più influente prima del cristianesimo. Conquistò la Grecia dopo la morte di Alessandro Magno e dominò il pensiero romano sin quando non venne sostituita dal cristianesimo. A differenza dell’edonismo e del cinismo subì un certo numero di mutamenti nel corso della sua storia.
Lo stoicismo fu fondato da ZENONE. Gli stoici come i cinici dovettero affrontare la depressione causata dal crollo delle città stato greche e dall’impero di Alessandro. La loro filosofia consiste in una serie di precetti individuali volti a raggiungere una salvezza personale in un mondo in disfacimento.  Ciò che recupera dal cinismo è che la virtù (felicità individuale) nasce dal distacco di tutto ciò che è fuori. BISOGNA IMPARARE A ESSERE INDIFFERENTI DI FRONTE ALLE INFLUENZE ESTERNE. Non è un rifiuto netto della società ma indifferenza. L’animo non deve essere turbato da ciò che è fuori; non è necessario rinunciare ai beni materiali. La visione etica degli stoici non può essere compresa prescindendo dalla loro metafisica. Essi credevano alla PREDESTINAZIONE, ovvero che tutti gli avvenimenti del mondo sono determinati dalla divinità (che per gli stoici è Dio) in base a un piano prefissato. Nulla accade per caso. La divinità determina gli eventi terreni rispetto ai quali gli uomini non possono opporsi. L’indifferenza è necessaria perché ciò che accade fuori sfugge dal nostro controllo. Il libero arbitrio non esiste. Il saggio è consapevole di questo e si adegua al disegno provvidenziale. Si è quindi virtuosi se si riesce ad imparare ad accettare ciò che succede e a capire che fa parte di un disegno divino che gli esseri umani non possono imitare. L’uomo comune invece si sforza di cambiare le cose e si illude di essere libero. Il saggio invece che comprende che gli eventi sono stati ordinati è veramente libero.
La virtù è quindi nella consapevolezza, nell’accettazione serena.

Differenza tra stoicismo e cinismo: I cinici pensavano di non riuscire ad impedire il collasso del mondo in cui vivano e quindi vi rinunciavano vivendo come cani. Gli stoici invece sostenevano che questa rinuncia non era necessaria. L’uomo poteva vivere nel piacere o nel successo materiale a condizione di non farsi intrappolare da queste cose. Bisognava essere indifferenti.
Effetto principale dello stoicismo: fu di attribuire la responsabilità del bene e del male direttamente all’individuo invece che alla società. L’uomo è virtuoso se riesce a maturare un atteggiamento di indifferenza nei confronti dei beni mondani; nulla di ciò che succede può alterare il suo animo più profondo (giustifica moralmente il suicidio: massima affermazione di libertà: posso sottrarmi al destino).
Critiche allo stoicismo

  • Difficoltà logica relativa alle idee di predestinazione e di libertà. Gli stoici ritengono che tutto accade per caso e non vi è libero arbitrio. Sostengono però che si può modificare l’atteggiamento mentale in modo tale da divenire indifferente alle cose apprezzate in precedenza. Questa posizione implicava la libertà di ciascuno di agire sul proprio carattere e modificarlo. C’è dunque un’incoerenza: l’uomo è contemporaneamente libero e non libero.
  • Difficoltà relativa alla dottrina dell’indifferenza. Ad esempio gli atti normalmente giudicati immorali diventano giusti se compiuti con indifferenza.
  • Lo stoicismo perde il suo fascino quando le circostanze estreme in cui vive la gente miglioravano sensibilmente: una dottrina dell’indifferenza significherebbe privare la vita delle cose che la rendono piacevole: l’amore, l’amicizia, . Lo stoicismo nacque quando il mondo dei greci si trovava in una condizione di collasso e offrì insegnamenti utili a sopportare le difficoltà dell’epoca.

ETICA CRISTIANA
Non si può trovare una semplice filosofia omogenea etichettabile come “etica cristiana”. Si possono invece identificar tre rami principali del pensiero etico, definibili come “cristiani”.

  •     Il primo tipo di pensiero etico cristiano è detto etica cristiana pastorale. Il termine si riferisce alle idee morali di alcune sette cristiane primitive che si svilupparono a partire dal GIUDAISMO e dalle RELIGIONI MISTICHE PERSIANE. Esse mettono l’accento sul Decalogo (ovvero i dieci comandamenti), sulle pratiche rituali (per esempio il battesimo) e sull’insegnamento morale di Cristo. Questo tipo di pensiero ha ben pochi rapporti con una speculazione filosofica. Infatti i primi autori condussero una polemica nei confronti dei filosofi perché erano pagani; li vedevano come una co            al credo religioso (la religione rifiuta ogni filosofia, ogni aspetto della cultura classica).
  • Il secondo tipo di etica cristiana è molto più analitico dell’atteggiamento “pastorale” e compare solo dopo lo sviluppo della chiesa cattolica come istituzione politica e sociale, oltre che ecclesiastica. L’etica di questo periodo può essere definita etica ecclesiastica. In questa fase la religione si appropria della filosofia e la inserisce in un contesto religioso. Platone e Aristotele influenzeranno i padri della chiesa. Sant’Agostino infatti recupera la filosofia morale basata sul neoplatonismo e san Tommaso recupera Aristotele. L’influenza di Platone e Aristotele sulla religione ha comportato un cambiamento del concetto cristiano di “spiritualità” portandolo a un’interpretazione metafisica. Il concetto di anima cambiò dai tempi di Diogene che la riteneva identica per tutti gli esseri umani, a quelli di S.Tommaso d’Aquino che considerava ogni anima un ente singolo.
  • Il terzo grande mutamento nell’etica cristiana fu prodotto dalla Riforma e dallo sviluppo del protestantesimo. È la fase in cui il cristianesimo si dissolve e non c’è più una fede cristiana unitaria. Nonostante tali notevoli differenze, tutte queste teorie morali condividono alcuni elementi che le distinguono da altri codici religiosi e fanno sì che si possa parlare di “etica cristiana” come di una dottrina singola e distinta.
    • Tutte le teorie etiche definite CRISTIANE presumono l’esistenza di un essere divino, identificato in qualche modo con Cristo.
    • Anche se le prime sette cristiane negavano l’identità tra Cristo e Dio, trovarono un accordo sul fatto che Dio aveva manifestato la sua volontà per mezzo di Cristo; da ciò consegue che l’ideale di vita predicato da Cristo è ritenuto espressione della volontà divina in tutte le teorie morali del cristianesimo.
    • Si ritiene che vi è un bene assoluto e oggettivo valido in ogni tempo e in ogni luogo. In questo senso l’ETICA CRISTIANA ASSOMIGLIA ALL’ETICA PLATONICA. Questo bene però deriva direttamente da Dio il quale si è espresso con una serie di precetti nel Decalogo. La predicazione di Cristo, il Decalogo, il Nuovo Testamento formano un “codice morale”. Il comportamento di una persona viene giudicato corretto se si accorda con tale codice e immorale se viola alcune delle sue clausole. L’esistenza di precetti morali in cui si giudica il comportamento degli uomini non esclude che ci siano diversi modi per applicare i precetti (casistica: etica applicata).

L’ELEMENTO PIÙ IMPORTANTE DELL’ETICA CRISTIANA È IL SUO AUTORITARISMO OVVERO LA CHIESA CONSIDERA IL CODICE MORALE UNA GUIDA OGGETTIVA INFALLIBILE, CHE NON PUÒ ESSERE MESSA IN DISCUSSIONE, PER IL COMPORTAMENTO CORRETTO.
Il codice morale esprime la volontà divina.


SPINOZA
Spinoza visse nella seconda metà del diciassettesimo secolo. Nacque nel 1632 ad Amsterdam, dove la sua famiglia ebraica si era stabilita dopo essere sfuggita all’inquisizione spagnola e portoghese. Studiò in una scuola diretta dalla sinagoga spagnola e portoghese. Si ribellò agli insegnamenti religiosi della comunità ebraica; venne così scomunicato. Cacciato dagli ebrei visse poi con alcuni cristiani; passò poi il resto della sua vita vivendo in tranquillità, senza ricchezze o lussi, svolgendo la professione di molitore di lenti, vivendo di filosofia nel tempo libero.
La sua opera fondamentale è L’ETICA in cui usa il metodo geometrico di Euclide per tentare di giungere a conclusioni etiche.
Vuole dimostrare che l’etica può essere una disciplina rigorosa e può giungere a certezze della stessa validità della matematica. Aldilà del titolo, in buona parte del libro parla della metafisica; nella conclusione traccia l’etica.
In primo luogo Spinoza è un rigido determinista ovvero ritiene che “tutto ciò che accade, accade secondo un ordine eterno o secondo determinate leggi naturali”. Nessuno ha la libertà di agire per capriccio o per caso; tutte le azioni sono determinate dall’esperienza passata, dalla costituzione fisica e naturale delle persone e dalla condizione delle leggi di natura nel momento dato.
Spinoza vede quindi un rigido determinismo non solo nel mondo naturale ma anche nell’uomo. Egli infatti criticò Cartesio (I metà 600) di aver fatto dell’uomo un impero nell’impero ovvero ha separato l’uomo dal mondo perché sostiene che l’animo dell’uomo ha regole differenti dal mondo; secondo Cartesio nel mondo c’erano leggi meccaniche e per il mondo umano c’era il libero arbitrio. Secondo Spinoza invece anche per l’uomo valgono le stesse leggi meccanicistiche e deterministiche che vi sono nel mondo. Ne consegue quindi la negazione del libero arbitrio. L’uomo si illude di agire liberamente. Secondo Spinoza la vita buona consiste in un atteggiamento in parte razionale e in parte emotivo nei confronti del mondo. La parte razionale consiste nel riconoscere come vera l’idea che tutti gli eventi sono determinati: la parte emotiva nell’accettazione di questo fatto. Una persona così è felice quando capisce che ci sono dei limiti ai poteri umani; comprendendo che ogni cosa deve accadere necessariamente, non dissiperà più le sue energie combattendo contro gli eventi. Un altro punto fondamentale del pensiero di Spinoza è che è un relativista.
Egli sostiene che non esiste un bene e un male assoluto ma lo è solo relativo a un soggetto. Questa posizione lo accomuna ad alcuni filosofi come Hobbes. Hobbes ritiene che, non solo bene e male sono relativi, ma che dipendono dalle sensazioni piacevoli e dolorose che le cose ci trasmettono. Quindi noi chiamiamo bene tutto ciò che ci giova e male tutto ciò che ci nuoce.
QUESTA CONCEZIONE DI BENE E MALE CONDUCE SPINOZA AD AFFERMARE CHE LE RICCHEZZE, I SUCCESSI, I PIACERI NON SONO INTRINSECAMENTE VALIDI.  Egli sostiene l’indifferenza dei beni esteriori all’agire morale perché spesso sono un ostacolo (posizione che recupera dagli Stoici). Non vale la pena averli in se stessi ma solo in quanto mezzi per rendere la vita umana più felice.
LA FILOSOFIA DI SPINOZA PUÒ QUINDI ESSERE INTERPRETATA COME L’OFFERTA DI UNA GUIDA CHE, SE SEGUITA, METTERÀ LE PERSONE IN GRADO DI EVITARE LA PAURA, L’ANSIA E L’INFELICITÀ. Queste sorgono solo se diventiamo schiavi delle nostre emozioni: la persona che non adotta la prospettiva più ampia si ritrova nella “schiavitù umana” ma ci si può liberare con la comprensione che il corso della vita è predestinato e che “nulla è bene o male in se stesso” ma diviene buono o cattivo in base all’effetto che produce su di noi. Correggendo la nostra prospettiva, possiamo sviluppare un atteggiamento verso il mondo che ci libererà da quella schiavitù emotiva nei suoi confronti. Quando ciò avverrà vivremo una vita buona.  La proposta di Spinoza rimane una proposta aristocratica perché solo pochi (il saggio) riescono a comprendere che tutto è determinato poiché solo pochi riescono ad andare aldilà delle cose naturali e distaccarsi.


Critiche a Spinoza

  • Non ha risolto il conflitto esistente tra determinismo e libertà.
  • Critica alla visione “sub specie alternantatis” nel contesto dell’eternità. Alle volte è utile perché spesso i soggetti si fanno assoggettare dalle loro emozioni per motivi banali. Ci sono però occasioni in cui bisogna provare forti emozioni per ciò che accade.

L’UTILITARISMO: JEREMY BENTHAM E JOHN STUART MILL
Gli autori che fanno parte di questa corrente filosofica si collocano tra il 1700 e il 1800. Hutcheson ha difeso questa posizione; anche la teoria morale di Hume è stata interpretata come una forma di utilitarismo (anche Cesare Beccarla). Tuttavia i suoi esponenti più famosi sono Bentham e Mill (fine ‘700, inizi ‘800). Gli utilitaristi concepivano la propria filosofia come un tentativo di esporre un principio oggettivo con il quale determinare se una data azione fosse giusta o sbagliata.
Questo principio è il principio d’utilità che afferma che un’azione è moralmente giusta in quanto tende a produrre la massima felicità per il massimo numero. Bentham e Mill interpretarono questo principio come una forma di edonismo, identificando il piacere con la felicità. Quindi un’azione è giusta se produce la massima quantità di piacere per il massimo numero; altrimenti è sbagliata. Questo piacere non è un piacere individuale ma collettivo.
L’ESSENZA DELL’UTILITARISMO IN QUANTO FILOSOFISTICA NEL METTERE L’ACCENTO SUGLI EFFETTI CHE UN’AZIONE PRODUCE. SE UN’AZIONE PROVOCA PIÙ EFFETTI BENEFICI CHE EFFETTI NOCIVI È GIUSTA, IN CASO CONTARIO NON LO È.
Essi consideravano questo principio di utilità completamente oggettivo. Se per esempio accettassimo l’edonismo, stabilire che una certa azione provoca più piacere che dolore per il più gran numero, diverrebbe una semplice questione scientifica. Dovremmo calcolare la misura di piacere e di dolore causata dall’azione e sapremmo così se è giusta o sbagliata. Bentham sviluppò un metodo per eseguire questo calcolo che definì calcolo edonistico. Questo calcolo ha sette elementi per misurare la quantità di piacere o dolore.
L’utilitarismo è spesso considerato una filosofia politica che implica il governo democratico come istituzione politica.

  1. I grandi utilitaristi erano di temperamento democratico. Essi combatterono per il voto alle donne, le libertà civili.
  2. Le loro idee basate sull’ugual importanza di ogni singolo nel calcolo della quantità di piacere e dolore implicata da un’azione, finirono per essere interpretate con l’idea democratica che ogni individuo ha eguali diritti di fronte alla legge.
  3. La giustezza di un’azione è valutata in base agli effetti che ha sulla maggioranza; ciò sembra presupporre il governo della maggioranza.

 

Critiche all’utilitarismo

    • Difficoltà di determinare quanta felicità (FARE BENE) venga prodotta da un’azione.
    • Nietzsche si oppone innanzitutto al cristianesimo e alle teorie liberal democratiche e socialiste; l’una perché ritiene che la felicità si raggiunga nell’altro mondo e l’altro perché ritiene che l’uomo deve emanciparsi.        Per Nietzsche se l’uomo vuole essere felice deve liberarsi da queste teorie. Egli rifiuta quindi l’utilitarismo per il nesso tra la politica e la teoria etica. Egli rifiuta questa forma di egualitarismo perché non siamo tutti uguali e rifiuta la definizione di azione moralmente corretta perché ciò che conta non è la collettività ma l’individuo. Per Nietzsche ci sono persone intrinsecamente più importanti di altre e la loro felicità o infelicità conta di più della felicità della persona media. Egli introduce il concetto di superuomo che non è qualcuno che si pone al di sopra degli altri ma è qualcuno che è andato al di là dell’uomo, ha superato la vera realtà e si propone come modello per estender la librazione al maggior numero di persone.
    • Se ci limitassimo a contare la quantità immediata di piacere o dolore, gli effetti a lungo termine parrebbero dare risultati differenti.
    • Alcuni filosofi come KANT hanno rifiutato l’utilitarismo ritenendo che nel giudizio sul valore morale di un’azione sia necessario prendere in considerazione il movente per cui essa viene compiuta.

KANT
Kant vive nel diciottesimo secolo (1724). Nel suo scritto LA CRITICA DELLA RAGION PURA afferma che la metafisica non ha più ragion di esservi perché si basa su tre idee fondamentali: Dio, l’anima e il mondo. Queste idee sono frutto di elaborazioni mentali basate su un uso scorretto di categorie, ovvero di un uso delle categorie che vanno al di là dell’esperienza. Secondo Kant la ragione non ha strumenti per dire se esiste Dio oppure no, se gli uomini sono morali o immorali e se nel mondo c’è libertà o determinismo. Lo scritto LA CRITICA DELLA RAGION PURA lo dedica all’etica. In questo scritto recupera le 3 idee fondamentali della metafisica. Secondo Kant se mi pongo come soggetto che conosce devo dichiararmi un potente riguardo a queste tre idee. Se mi pongo però dal punto di vista pratico devo postulare l’esistenza di questi 3 concetti. Sono come i postulati della geometria ovvero concetti che non possono dimostrare ma che devo assumere per poter portare avanti un discorso. Se si vuole fare un discorso etico bisogna comportarsi come se il mondo è libero, Dio esiste e l’anima è immorale. Questo è fondamentale per definire il sommo bene che è la coincidenza di unità e felicità. L’uomo virtuoso può e deve essere anche felice.

 

LA TEORIA MORALE DI KANT È IMPOSTATA PRINCIPALMENTE SULLA RISPOSTA ALLA SEGUENTE DOMANDA: IN COSA CONSISTE UN’AZIONE MORALE IN PARAGONE AD UN’AZIONE NON MORALE? Kant ritiene che a questa domanda si potesse rispondere e distinguere tra azioni compiute per inclinazione e azioni compiute per senso del dovere. Le azioni compiute per inclinazioni sono quelle in cui si ha una tendenza naturale ad agire secondo la passione. Le azioni per inclinazioni presuppongono che l’individuo fa ciò che gli va di fare, gli fa piacere. Essa non è un agire in modo morale. Agire in modo morale sono quelle azioni compiute per dovere; sono quelle azioni in cui si fa qualcosa non perché si è inclini a fare, o che non si ha voglia di fare: si fa perché si riconosce che bisogna farlo. Una persona agisce in modo morale solo se sopprime i suoi sentimenti e le sue inclinazioni e fa ciò che è obbligato a fare. La moralità così come la vede Kant è strettamente legata agli obblighi e doveri dei singoli. Kant sottolinea che è importante distinguer le AZIONI COMPIUTE CONFORMEMENTE AL DOVERE da quelle compiute PER DOVERE.
Le azioni conformi al dovere sono quelle azioni in cui siamo spinti ad obbedire a certe leggi, convenzioni sociali. Questo non è agire in modo morale.
Agire in modo morale è agire per dovere, ovvero il soggetto ha interiorizzato il dovere e agisce perché pensa di essere giusto, non per convenzione o timore di castighi.
L’ESSENZA DELLA MORALITÁ VA CERCATA NEL MOTIVO PER CUI UN’AZIONE VIENE COMPIUTA: UNA PERSONA È MORALE QUANDO AGISCE IN BASE AL SENSO DEL DOVERE ® ETICA DELL’INTENZIONE.
Il criterio morale è l’intenzione che muove l’individuo non il risultato che si ottiene (opposto degli utilitaristi). Un’azione morale è quindi compiuta in base al rispetto per il dovere. Un soggetto morale è una persona che agisce per dovere. Una persona potrebbe però non capire in una data situazione in cosa consiste il suo dovere. Dato che gli esseri umani sono creature razionali, il soggetto dovrebbe comportarsi come se la propria linea di condotta dovesse divenire una legge universale. Ogni azione deve essere giudicata considerando come si configurerebbe un codice di condotta universale a essa conforme. Per questo motivo la menzogna non può essere definita mai morale. Essa non può essere estesa a legge universale. Se si credesse alla menzogna verrebbe meno il vivere associato.
L’IMPERATIVO CATEGORICO
Kant inventò questa locuzione che riguarda il medesimo argomento da un differente punto di vista. Egli distingue l’imperativo categorico da l’imperativo ipotetico.


Imperativo categorico

Imperativo ipotetico

Ci dice di agire senza considerare gli effetti di un’azione. Ti comanda di fare quello o questo e basta. Esprime una regola che se applicata garantisce che la persona si sta comportando in modo morale.

È una direttiva che indica che se si vuole raggiungere questo o quell’obiettivo bisogna agire in tale o tal altro modo. Sono formulate così le leggi positive. Gli imperativi ipotetici hanno a che fare con l’azione prudenziale (il soggetto agisce in un certo modo perché teme delle conseguenze).

  • L’imperativo categorico è dunque uno solo, è solo una la cosa giusta da fare e l’individuo può decidere. L’imperativo categorico dice che una persona deve agire come se la sua azione dovesse divenire una regola universale.
  • Un’altra formulazione dell’imperativo categorico è fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te.  È un comando da rispettare; dovremmo trattare gli altri come fini, non mezzi.

Critiche a Kant
L’etica di Kant sembra voglia salvare il platonismo e l’epicureismo. Platone mette l’accento sull’oggettività degli standard morali. Questa tesi è accettata anche da Kant: L’IMPERATIVO CATEGORICO RAPPRESENTA UN’AZIONE COME OGGETTIVAMENTE NECESSARIA. Per Kant però è necessario prendere in considerazione le motivazioni umane. L’errore di Platone sta nel separare la bontà e la malvagità dalle motivazioni umane; l’errore dell’edonismo sta nell’identificare la motivazione umana con la ricerca del piacere. Kant tenta di risolvere i 2 problemi: la moralità dipende in qualche modo dalla motivazione umana e la moralità non è semplice questione di gusto, inclinazione, preferenza ma è qualcosa di oggettivo.


L’ETICA MODERNA
Teorie etiche classiche: hanno cercato di dare delle risposte a domande come “in cosa consiste la vita buona?” “Come dovrebbero comportarsi gli uomini?” Le varie risposte possono essere considerate come consigli individuali per persone disorientate di fronte ad alcuni aspetti della vita quotidiana.
Teorie etiche moderne: hanno rinunciato a fornire consigli a una qualsiasi condotta di vita. Si sono proposti di analizzare i filosofi passati e di analizzare i termini del discorso etico, questo processo di chiarimento è detto analisi filosofica ® ricerca delle condizioni necessarie e sufficienti che determinano il significato di un termine, anche se questa non è l’unica funzione.
Le teorie moderne prima di giudicare i precetti delle teorie passate innanzitutto le vogliono comprendere comprendendo i significati dei termini usati in queste teorie. Molti filosofi pensano che questo processo di analisi dimostri che i metodi dei filosofi classici erano sbagliati, che le loro domande non erano state chiaramente formulate e che di conseguenza le risposte non hanno la validità che era stata loro attribuita.
Il responsabile di tale rivoluzione è MOORE che dimostrò nel 1903 nell’Etica che le teorie che erano tentativi di dedurre precetti morali da premesse ideologiche, metafisiche e scientifiche e che argomenti del genere erano ingannevoli. Si tratta di un argomento già usato da Hume ma Moore lo sviluppò ulteriormente per dimostrare che nelle teorie classiche era implicito un tentativo di definire termini morali come buono, cattivo in termini di asserzioni descrittive su Dio o sulla natura umana. Per Moore il termine “buono” è indefinibile come tutti gli altri termini morali. Tentare di analizzarlo significa cadere in quella che egli chiama FALLACIA NATURALISTICA.
Le teorie moderne vengono classificate in 3 modi differenti.

  • Soggettivistiche e oggettivistiche

Una teoria etica sarà soggettivista o oggettivista in base al modo in cui analizza il linguaggio etico perché esse si occupano in primo luogo dell’analisi del linguaggio morale.
Una teoria è soggettivistica se sostiene che i giudizi etici come per esempio “rubare è sbagliato” non siano veri o falsi se riguardano soltanto la psicologia della persona che li pronuncia. Non esiste quindi un bene e un male in sé ma esso è relativo al soggetto. La teoria morale di Spinoza e Hobbes è soggettiva. 
Una teoria è oggettivistica se sostiene che i giudizi morali sono o veri o falsi. Esiste un criterio assoluto di valutazione dei comportamenti. Esiste un bene e un male assoluto col quale valutare qualsiasi azione. Un esempio è Platone e l’utilitarismo.

 

  • Naturalismo, non naturalismo ed emotivismo

Una teoria è naturalistica se sostiene sia che i giudizi morali sono o veri o falsi sia che tali giudizi sono riconducibili ai concetti di un evento naturale, di solito la psicologia.
Questa teoria ritiene che è possibile trattare il discorso morale alla stessa stregua con cui si analizzano i fenomeni naturali. Es. Spinoza: l’uomo è un individuo naturale e va studiato come i fenomeni naturali.
Una teoria non è naturalistica se sostiene che i giudizi morali sono o veri o falsi ma che non sono riconducibili ad alcuna scienza naturale. Es. Platone e l’etica Cristiana. Secondo Platone il mondo conteneva enti morali come il bene, la giustizia e enti naturali. I giudizi morali se sono veri riguardano solo questi enti. L’etica si occupa degli enti morali, non può essere ridotta a una delle scienze naturali. L’etica cristiana considera i giudizi morali asserzioni della volontà divina; tali asserzioni saranno vere o false ma non possono essere confermate o confutate dalla sperimentazione scientifica.
Una teoria è emotivistica se sostiene che i giudizi morali non sono né veri né falsi ma si limitano a esprimere i sentimenti di coloro che li pronunciano e a evocare dei sentimenti in coloro che li ascoltano.

 

  • Teorie motivazionali, deontologiche e consequenziali

Una teoria è motivazionale se sostiene che la correttezza o l’onestà di un’azione dipende dal movente su cui è basata. Un esempio è la prova Kantiana. (analisi delle motivazioni dell’agire umano)
Una teoria è consequenziale se sostiene che la correttezza o meno di un’azione dipende interamente dagli effetti che produce. Un esempio è l’utilitarismo. Si distinguono teorie consequenziali edonistiche in cui la correttezza o l’erroneità di un’azione dipende dalla natura piacevole o dolorosa, dalle conseguenze che produce. Le teorie consequenziali agatistiche invece affermano che il bene non va identificato con il piacere, né il male con il dolore: si tratta invece di qualcosa di unico e non può essere ridotto a null’altro. Moore sosteneva una teoria di questo tipo: la correttezza di un’azione dipende dalla quantità di bene che produce (consequenziale, ma anti edonistico).
Una teoria è deontologica quando la correttezza o l’erroneità di un’azione non dipende né dal motivo per cui è compiuta né dalle sue conseguenze, ma solo dal tipo di azione (contraria alle consequenziali e motivazionali).

 

ETICA APPLICATA
È un altro filone dell’etica moderna.
Il compito dell’etica è quello di studiare le situazioni concrete in cui si applicano i principi. Questa posizione è della BIOETICA che nasce dopo la II guerra mondiale. Si occupa quindi dei dilemmi morali concreti. La bioetica ha contribuito a salvare l’etica.


FILOSOFIA POLITICA

Fondamentalmente essa si occupa di descrivere le organizzazioni sociali, passate e presenti e in parte di valutare queste organizzazioni.

Per esempio, descrive i caratteri essenziali di varie forme di governo e nel contempo si pone delle domande come “qual’è la giustificazione ultima per l’esistenza di una qualsiasi forma di governo?” La risposta a questa domanda emerge in modo molto naturale nell’etica tanto che la filosofia politica è spesso accusata di essere solo etica applicata. La filosofia politica si lega quindi all’etica perché riguarda sempre la sfera dell’agire. Anche se la politica mostra connessioni con l’etica essa ha problematiche sue: si occupa per esempio dei limiti del potere del governo sui membri della società. La filosofia politica si distingue in


classica

Moderna

Vengono anche chiamate teorie normative poiché offrono dei consigli su come realizzare una società ideale. Propongono delle forme di stato ideale opposte alla forma di governo che vi è in quel momento.

Sono dette anche teorie descrittive. È una fase di declino. La filosofia politica attuale descrive le diverse teorie politiche piuttosto che proporre soluzioni differenti dalla realtà. Si occupano anche dell’analisi filosofica ovvero al chiarimento del significato di questi consigli e dei termini che usiamo nelle discussioni politiche.

 

RISPETTO ALL’ETICA QUESTA DISTNZIONE È MENO CERTA.
Ci sono alcuni filosofi classici come ad esempio Aristotele che propongono teorie descrittive. Infatti egli analizza le costituzioni di diverse città-stato dicendo quale sia la migliore senza però proporre soluzioni alternative. Alcuni filosofi moderni come Rawls invece, anziché studiare la filosofia del passato presenta una soluzione differente.

 

FILOSOFIA POLITICA CLASSICA
Le diverse teorie si differenziano in base a come rispondono alla domanda: CHI DEVE GOVERNARE?
Platone ritiene che pochi possono governare perché alcuni sono migliori di altri. Pochi raggiungono la vera conoscenza che è l’assoluto bene.
Hobbes ritiene che un solo sovrano debba governare senza che il suo potere sia controllato o limitato da nessuno.
Locke, Mill, Marxs e Rawls ritengono che il popolo possa e debba autogovernarsi.


PLATONE
La Grecia, in cui vive Platone, era composta da un certo numero di piccole città stato, autonome dal punto di vista politico. Questi stati erano costantemente in guerra l’uno contro l’altro e molti dovevano sopportare gravi lotte interne. La vita del cittadino medio era precaria. Il primo segnale forte dalla crisi di Atene è stata la morte di Socrate.
Platone, insoddisfatto di questa situazione, tentò di immaginare una società priva di difetti, in cui si potesse vivere pacificamente e ognuno potesse sviluppare appieno le sue potenzialità. Nel libro LA REPUBBLICA delinea uno stato alternativo, immaginando il genere letterario dell’UTOPIA. Nessun tentativo di descrivere la società ideale venne influenzato dalle teorie psicologiche e biologiche dell’epoca. Egli accettò quindi l’idea di un’analogia tra l’individuo e la società in cui vivere. L’unica differenza reale era la dimensione: una società non è null’altro che un individuo scritto più in grande.
Secondo la psicologia dell’epoca ogni persona era composta da due elementi differenti: il corpo e l’anima, ciò che rende perfetta una persona è la perfezione sia fisica che psicologica, Platone usa il termine di “perfezione” come sinonimo di “salute”.
Secondo Platone essere sani fisicamente vuol dire non essere malati ma determinare quando si è sani psicologicamente è più complesso. Platone a questo punto precisò che nell’anima vi sono tre parti che convivono: l’elemento razionale che è la parte più nobile dell’anima, è la parte che permette alla persona di ragionare, discutere e di scegliere; l’elemento volitivo che rende l’individuo coraggioso o codardo e dà la forza di volontà, è quella parte che si esalta nelle situazioni di pericolo; l’elemento appetitivo che è la parte più inferiore dell’uomo dedito ai piaceri della carne, le passioni e i desideri come quello del cibo, del sesso. Un individuo è sano psicologicamente (o perfetto) se le tre parti della sua anima funzionano armoniosamente e ognuna di esse svolge il suo ruolo senza dominare le altre o esserne dominate. La ragione dovrebbe comandare gli appetiti, mentre l’elemento volitivo dovrebbe sostenere con la sua forza i dettami della ragione, in modo da garantire che gli appetiti siano tenuti sotto controllo. Gli appetiti non dovrebbero essere completamente repressi: ma dovrebbero essere soddisfatti solo quando la ragione decide che è giusto farlo. Secondo Platone negli individui uno di questi elementi in cui è suddivisa l’anima prevale; gli individui in cui prevale la parte razionale sono portati allo studio, essi saranno pochi e costituiranno i governanti dello stato ideale che amministreranno; gli individui in cui prevale la parte volitiva saranno portati a divenire grandi difendendo lo stato; nella maggior parte degli individui in cui prevale l’elemento appetitivo, essi non potranno ambire a passioni di comando.
Lo stato ideale di Platone si compone quindi di queste tre classi e come per l’individuo ideale lo stato ideale sarà quello in cui queste 3 classi funzioneranno armonicamente, con i guerrieri che aiutano i governanti a collaborare benevolmente, ma fermamente, il resto della cittadinanza.
Non vi saranno così conflitti interni perché ciascuno fa ciò che è conforme al suo essere, ogni classe sarà così felice e soddisfatta. Perché accada questo e cioè che ogni classe fa ciò che è meglio preparata a fare occorre una selezione delle capacità umane. Tutti i bambini, maschi e femmine, devono essere allevati in comune dallo Stato fino a 18 anni. A quell’età devono essere sottoposti a tre tipi di prove, con lo scopo di dividere i governanti potenziali da chi diventa guerriero o artigiano. Le prove dovrebbero durare due anni, in parte sarebbero fisiche, in parte intellettuali, in parte morali. Gli individui che supereranno tutte queste prove saranno isolati e sottoposti a un ulteriore addestramento, soprattutto intellettuale. Saranno istruiti nelle scienze astratte, studieranno aritmetica, geometria piana e dei solidi, astronomia (a questi studi manca il riferimento della poesia, che era invece fondamentale per l’età classica. Platone condanna la poesia perché è un’arte imitativa. Il poeta non fa altro che raccontare, imitare la realtà che vede. La realtà è una copia delle idee  la poesia sarebbe una copia della copia; essa è fuorviante per i giovani).
Lo studio della filosofia, o della “dialettica” è il culmine della loro preparazione teorica ai compiti di governo, perché li condurrà infine a una conoscenza compiuta del bene.
Quando avranno maturato la loro conoscenza, le loro azioni saranno buone; quindi le loro decisioni saranno prese nell’interesse del popolo. Essi saranno di fatto RE FILOSOFI. Solo coloro che si saranno dimostrati competenti in tutte le prove, prenderanno parte attiva dell’amministrazione della società.
Ma per evitare ogni possibilità che essi diano la precedenza al loro bene su quello pubblico, non sarà loro concesso di avere famiglia o di possedere proprietà e ricchezza. Questo vale anche per i soldati. Platone riteneva che gli interessi famiglia e il desiderio di ricchezza fossero i due ostacoli maggiori a una guida politica obiettiva e imparziale. Per l’interesse collettivo, non dovranno avere interessi individuali " comunismo platonico.
Ai governanti bisognava lasciare un potere assoluto, nessun elemento delle classi inferiori poteva intervenire nell’attività di governo perché non erano esperti nell’arte politica. Platone giustificava la concessione del potere assoluto ai governanti sostenendo che GOVERNARE ERA UN’ABILITÀ PROPRIO COME LO ERA LA MEDICINA. Governare in modo appropriato richiedeva un addestramento adeguato.
LA FILOSOFIA DI PLATONE SFOCIA IN MODO NATURALE IN UNA CONCEZIONE ANTIDEMOCRATICA E AUTORITARIA, nell’idea di un governo del popolo, non di un governo per il popolo.
(nota: la cultura greca del tempo impediva alle donne di governare, Platone invece no)


HOBBES
Hobbes nasce nel 1588 e assiste alle tormentate vicende del 1600 in Inghilterra, attraversata dalle rivoluzioni. Assistette alla ribellione contro Carlo I e alla guerra civile che ne risultò. In questo periodo vi è il contrasto tra la monarchia e gli avversari, fra la religione anglosassone e protestanti, cattolici.
È un panorama di disordine in cui vi è caos, disordine, anarchia. Per Hobbes l’unico modo per garantire la pace interna sta nel costringere le persone a obbedire alle leggi sociali e nel punire se non lo fanno. Ma l’efficacia delle leggi dipende solo dall’agente che le impone. Secondo Hobbes per avere una società pacifica è necessario che chi governa eserciti un potere assoluto. Hobbes espone la sua teoria politica nel LEVIATANO.
Prima di descrivere uno stato migliore rispetto all’esistente, Hobbes che è un giusnaturalista, parte dallo stato di natura ovvero fa un’ipotesi di come gli uomini vivevano prima che si creasse lo stato. Questa sua ipotesi non vuole essere una ricostruzione storica oggettiva dei fatti. Secondo Hobbes gli uomini allo stato di natura sono asociali (opposto rispetto ad Aristotele che riteneva che gli uomini sono animali poetici portati per natura a convivere, lo stato è qualcosa di naturale). L’uomo è per sua natura egoista. Egli è motivato da desideri egoistici che richiedono come condizione della sua felicità, di essere soddisfatti. Tutte le azioni delle persone sono spiegate come tentativi di soddisfare i propri desideri. L’uomo è abituato ad appropriarsi dei beni senza preoccuparsi che altri uomini hanno le sue stesse inclinazioni. Questa situazione porterà alla guerra. Hobbes sottolinea come allo stato di natura vi sia una guerra di tutti contro tutti e che l’uomo è un lupo per gli altri uomini. LA VITA DELL’UOMO NELLO STATO DI NATURA È SOLITARIA, MISERA, OSTILE, ANIMALESCA E BREVE. L’uomo oltre a questo principio egoistico ha un altro principio, quello della conservazione che lo porta a fuggire dal dolore, dalla morte. Questo principio che fa sì che l’uomo voglia preservare il bene supremo e cioè la vita, è più grande del primo. Per questa legge naturale gli uomini decidono di associarsi stipulando un accordo, il PATTO SOCIALE in cui obbediscono a un certo insieme di leggi. Nasce così lo stato. Le persone decidono di rinunciare ai loro diritti e di obbedire alle leggi per non essere danneggiate nei conflitti se non esistessero. Questa rinuncia deve avvenire in favore di un sovrano che conserva tutti i diritti naturali e deve far rispettare le leggi. Il sovrano può fare questo solo se ha 1 potere assoluto, un potere su tutti. Hobbes fa la metafora del Leviatano paragonando il sovrano a un mostro biblico; vuole fare intendere che il sovrano non ha nulla sopra di sé. Il sovrano deve essere uno solo perché nel caso fosse un gruppo, potrebbero sorgere dei conflitti. Gli individui rinunciavano a tutti i diritti tranne uno: il diritto alla vita. È l’unico diritto che conservano. Hanno rinunciato agli altri diritti perché portavano alla guerra. LO STATO SERVE QUINDI A TUTELARE IL BENE SOMMO, LA VITA. I poteri del sovrano sono vastissimi; egli deve tenere ogni potere compreso quello religioso. Non possono esserci pluralità di religioni ma un’unica confessione di fede.
IL SOVRANO È ASSOLUTO OVVERO SCIOLTO DA OGNI VINCOLO. I CITTADINI SI SONO ACCORDATI E HANNO STIPULATO UN PATO MA IL SOVRANO NON HA STIPULATO ALCUN PATTO CON I SUOI SUDDITI. UNA VOLTA NOMINATO EGLI HA AUTORITÀ ASSOLUTA, A VITA.
Hobbes è quindi teorico dell’assolutismo.


LOCKE
John Locke vive tra il 1632 e il 1704 in Inghilterra. Egli a differenza di Hobbes assiste alla nascita della monarchia costituzionale. Il contesto in cui vive è di grande inquietudine sociale, uguale a quello di Hobbes. A differenza di Hobbes questi eventi non resero pessimistica la visione della natura umana; EGLI SI OPPOSE DIAMETRICALMENTE A HOBBES. Popkin e Strole l’hanno definito teorico della democrazia occidentale. In realtà viene definito padre del liberalismo. Espone la sua filosofia politica nel SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO CIVILE.
Anche Locke è un giusnaturalista e parte formulando un’ipotesi sullo stato di natura in cui vivevano gli uomini. Fa un’importante distinzione tra lo stato di natura e lo stato di guerra.
Nello stato di natura gli uomini vivono nel complesso pacificamente, in modo associato. Inizialmente i beni sono comuni ma il lavoro di un uomo ne giustifica la proprietà. Per natura gli uomini non sono completamente egoisti; a volte lavorano per il benessere altrui e cooperano tra loro; a volte agiscono in modo egoistico. Possono disporre come vogliono delle loro proprietà. L’UNICA LEGGE CHE LI GOVERNA È LA LEGGE DI NATURA. ESSA CONSISTE IN UN’UNICA CLAUSOLA: NESSUNO DEVE RECARE DANNO AGLI ALTRI NELLA VITA, NELLA SALUTE, NELLA LIBERTÀ O NEI POSSESSI.
Sebbene la vita nello stato di natura sia in genere pacifica e sebbene vengono garantiti questi diritti naturali, ci può essere qualcuno che può violare la legge di natura, possono tentare di uccidere qualcuno o di rubargli la proprietà. Se non c’è un’autorità terza rispetto ai due contendenti, la parte danneggiata punirà il trasgressore; si potrebbe così avere come esito il rischio di una spirale violenta che porterebbe a uno stato di guerra. Gli uomini per evitare questa possibilità rinunciano allo stato di natura e creano la società tramite l’accordo, contano di dar vita a istituzioni che rimedino ai difetti di un’esistenza senza organizzazione sociale. È da notare che mentre Hobbes fa coincidere lo stato di natura con lo stato di guerra, Locke li separa sottolineando che in certe situazioni lo stato di natura può divenire uno stato di guerra.
La società viene quindi creata con lo scopo di eliminare gli inconvenienti dello stato di natura. Gli individui devono rinunciare a un unico diritto: quello di farsi giustizia da sé. Il diritto della vita, della libertà e della proprietà non solo vengono conservati ma vengono anche garantiti. Per evitare la violazione dei diritti Locke prevede la divisione e distribuzione del potere in esecutivo, legislativo e federativo. Il potere legislativo avrà il potere di programmare le leggi e questo potere sarà affidato ad un’assemblea, non a un re. Il potere esecutivo veniva affidato al sovrano e aveva il compito di verificare che le leggi venissero applicate. Il potere federativo consiste nel condurre i negoziati con le potenze straniere. NELLO STATO IDEALE L’ORGANO LEGISLATIVO ANDAVA RICONOSCIUTO COME AUTORITÀ SUPREMA. (Locke non rifiuta la monarchia ma l’assolutismo)

Connesso al pensiero di Locke vi è la TOLLERANZA RELIGIOSA. Il problema della religione è uno dei problemi più gravi da risolvere. All’epoca in cui Locke vive vi sono in Inghilterra diverse religioni e vi è da parte dello stato un’intolleranza nei confronti di coloro che non aderivano alla fede ufficiale. Uno stato giusto può e deve essere tollerante nei confronti delle diverse religioni per alcune ragioni:

  • Il potere religioso e politico sono distinti perché hanno finalità differenti. Lo stato nasce per tutelare i 3 diritti degli uomini e non può occuparsi di altro. La religione ha altre finalità, ad es. venerare una divinità con la speranza di ottenere la salvezza eterna. La religione è paragonabile a un’associazione privata e può darsi le regole che vuole. Una religione ha il diritto di decidere di escludere alcuni membri. Gli riconosce il diritto di scomunica ma non gli effetti civili che ne conseguono.
  • Il magistrato, colui che vigila sui comportamenti non può interferire sulle questioni di fede perché sono questioni private. Non si può imporre di non credere a qualcosa, si può solo obbligare a fare qualcosa. Il potere politico non può quindi interferire con quello religioso se non quando le chiese sono pericolose per l’ordine pubblico.

Locke sottolinea però che due categorie sono esenti dalla tolleranza: gli atei ed i papisti. Poiché lo stato si basa su un contratto, l’ateo è portato per sua natura a violare il patto poiché non crede a nulla; i papisti che invece sono cattolici sono intolleranti per natura. In Inghilterra si ritroverebbero sudditi di un sovrano superiore. Se dovessero decidere se obbedire a Papa o al sovrano sceglierebbero il papa.  Il cammino della tolleranza è ancora all’origine in Locke. Noi intendiamo la tolleranza come un valore in sé e mai in base all’utilità. Per Locke: si può tollerare finché questo non porti ad un pericolo possibile.


MILL
La sua opera principale è il SAGGIO SULLA LIBERTÁ. A Mill appare centrale il problema della libertà dell’individuo. Mentre Locke ha posto i punti principali di uno stato democratico come il governo delle leggi, la dottrina dei diritti naturali e il governo della maggioranza; Mill aggiunse che la minoranza doveva essere protetta dalla possibile tirannia della maggioranza. Secondo Mill anche all’interno della democrazia il governo della maggioranza va limitato allo scopo di salvaguardar la libertà individuale.
Mill teme l’instaurarsi del conformismo e teme che la tirannia della maggioranza sulla minoranza possa instaurarsi o attraverso delle leggi o con la semplice pressione dell’opinione pubblica che può privare l’individuo dai consueti benefici della società. Il problema  che ogni stato democratico deve affrontare è che: alcuni tipi di condotta come ad es. un comportamento individuale non possono essere tollerati; non è tuttavia necessario reprimere ogni comportamento anticonformista. Mill a proposito espone un principio che indica quali sono i poteri legittimi che la società può esercitare sull’individuo:
L’UMANITÁ È GIUSTIFICATA A INTERFERIRE SULLA LIBERTÁ D’AZIONEDI CHIUNQUE SOLTANTO AL FINE DI PROTEGGERSI: IL SOLO SCOPO PER CUI SI PUÓ LEGITTIMAMENTE ESERCITARE UN POTERE SU QUALUNQUE MEMBRO DI UNA SOCIETÀ CIVILIZZATA, CONTRO LA SUA VOLONTÀ, È PER EVITARE DANNO AGLI ALTRI. IL BENE DELL’INDIVIDUO, SIA FISICO CHE MORALE, NON È GIUSTIFICAZIONE SUFFICIENTE. IL SOLO ASPETTO DELLA PROPRIA CONDOTTA DI CUI CIASCUNO DEVE RENDERE CONTO ALLA SOCIETÁ È QUELLO RIGUARDANTE GLI ALTRI; PER UN ASPETTO CHE RIGUARDA SOLTANTO LUI, LA SUA INDIPENDENZA È LUI IL SOVRANO.
Questo principio non è applicabile alle persone che non hanno la capacità di pensare come le popolazioni arretrate e i bambini. A parte queste eccezioni la maggior parte delle persone è capace di autogovernarsi, sa cos’è il bene e il male (opposto a Platone). Mill fornisce 3 ragioni per cui sarebbe sbagliato sopravvivere una qualsiasi opinione.

  • È possibile che le varie idee, opinioni debbano competere fra di loro in modo tale che l’atteggiamento migliore prevalga (Darwin). Il governo non deve reprimere il dissenso, non deve decidere lui quali siano le idee giuste. Potrebbe essere vera l’opinione sostenuta dalla minoranza. Negare inoltre agli altri il diritto di esprimere le proprie opinioni significa presumersi infallibili: ma nessuno è infallibile.
  • Se supponiamo che l’opinione opposta alla nostra è sbagliata e la nostra è giusta, è sbagliato rifiutare di ascoltare le opinioni contrarie perché significa che noi lo stiamo sostenendo come un pregiudizio. Se invece le ascoltiamo riflettiamo sugli argomenti contrari, ed essendo quindi costretti ai modi per confrontarli, arriviamo in verità a comprendere meglio la nostra stessa opinione.
  • Non bisogna sopprimere l’opinione opposta alla nostra prima di averla ascoltata perché anche se non è completamente vera, né completamente falsa, può contenere elementi di verità.

COME LOCKE, MILL CREDE CHE LA MAGGIORANZA DEBBA GOVERNARE PERCHÉ NEL COMPLESSO ESSA MINACCIA LA LIBERTÀ DELL’UMANITÀ MENO PESANTEMENTE DI QUANTO FAREBBE QUALSIASI GOVERNANTE SINGOLO O QUALSIASI GRUPPO. MA ANCHE ALL’INTERNO DELLA DEMOCRAZIA IL GOVERNO DELLA MAGGIORANZA VA LIMITATO, ALLO SCOPO DI SALVAGUARDARE LA LIBERTÀ PERSONALE.


MARX
Marx nasce nel 1818. Si laureò in filosofia; egli era troppo radicale per intraprendere la vita accademica, scelse quindi di lavorare in una rivista di sinistra che si opponeva alla politica governativa. Egli appare più come un politico che come un filosofo. Infatti nell’undicesima tesi su Fluerbach ha rivolto una critica a tutti i filosofi fino a quel momento perché si sono limitati solo a descrivere il mondo e non a cambiarlo. Per Marx bisogna interpretare il mondo per cambiarlo. La sua opera principale è IL CAPITALE che fu poi terminato dal suo amico Engels.
Il punto di partenza del suo pensiero è la METAFISICA intesa come concezione generale del mondo.
Egli fu influenzato da Hegel, da ciò che egli definiva DIALETTICA. Hegel a sua volta aveva ricavato questo termine da Platone. Platone, infatti, non scrive dei trattati, ma dei dialoghi in cui la verità emerge piano piano. In Hegel il termine dialettica ha più o meno lo stesso significato che in Platone. Si tratta di un processo logico, che procede da tesi ad antitesi, e quindi ad una sintesi che le combina insieme. Hegel però considera la dialettica non solo uno strumento argomentativo, ma è anche il modo in cui la realtà funziona. Per Hegel la realtà sia naturale sia storica procedere dialetticamente; viene prodotta una tesi, si sviluppa un’opposizione (la sua antitesi), ne risulta un conflitto, che si risolve in una sintesi in cui sono incluse sia la tesi che l’antitesi ma ad un livello superiore. Hegel pensava che la storia potesse essere meglio compresa osservando l’evoluzione delle nazioni alla luce della dialettica. Si suppone ad esempio che una certa nazione occupi la posizione di tesi. Quando essa si sviluppa produce un’opposizione; e una nazione avversaria potrebbe essere vista come la sua antitesi. Le due entrano in conflitto e dalla lotta emerge una nuova civiltà che è di ordine superiore alle precedenti, anche se sintetizza gli elementi più validi di entrambe. Questa nuova nazione diventa a sua volta una tesi e così via. La storia è una storia di scontri, di lotte. Hegel era convinto che questo processo conduce alla perfezione. È attraverso questo processo che lo stato avanza verso la realizzazione di ciò che egli chiama SPIRITO. Il fine ultimo è quindi L’IDEA ASSOLUTA. Il processo dialettico per Hegel è quindi un processo metafisico o spirituale. Per Hegel l’idea era la realtà (ogni realtà è razionale) e il corso della storia era determinato dalla dialettica e nulla lo può alterare. Gli uomini si illudono di alterare il corso degli eventi ma essi sono solo pedine di un gioco che vengono mosse da un giocatore più grande. Sono pedine di cui la ragione si serve.
MARX ACCETTA L’ANALISI DELL’EVOLUZIONE STORICA DI HEGEL COME PROCESSO PRODOTTO DA UN MOVIMENTO DIALETTICO. NON CONDIVIDE LA SPIEGAZIONE METAFISICA DEL PROCESSO E RITIENE SUPERFICIALE APPLICARE LA DIALETTICA ALLE NAZIONI. TENTÒ DI RENDERE LA DIALETTICA MATERIALISTICA SPIEGANDO IL PROCESSO STORICO IN TERMINI ECONOMICI ANZICHÉ METAFISICI E APPLICANDOLA ALLE CLASSI INVECE CHE ALLE NAZIONI; CERCÒ DI SPIEGARE LA STORIA IN TERMINI DI SCONTRO FRA CLASSI E NON DI SCONTRO FRA NAZIONI. La ragione per cui le nazioni cambiano è che le classi al loro interno cominciano ad opporsi le une alle altre.
Marx vede quindi la storia come una lotta tra classi, tra coloro che detengono i mezzi di produzione ed i lavoratori. Nell’età feudale ad esempio c’era stato lo scontro tra la borghesia ed i feudatari; la borghesia ebbe il sopravvento e si instaurò così la società capitalistica. Secondo Marx i progressi della società capitalistica porteranno ad un costante aumento di produttività. La classe che detiene i mezzi di produzione si arricchirà sempre di più. Nel frattempo le condizioni di vita della classe operaia peggioreranno invece sempre di più. Le classi intermedie verranno così spazzate via e il capitalismo presenterà un quadro con due classi opposte l’una all’altra: una classe piccola ma molto ricca (la borghesia) e una classe grande ma povera (il proletariato). Tra le due classi si svilupperanno tensioni e questo porterà alla rivoluzione che darà luogo ad una SOCIETÀ SENZA CLASSI in cui non si avrà più lo sfruttamento dei lavoratori. Questo è il socialismo così come Marx lo ha descritto. Egli deduce l’avvento di una società senza classi.
CIÒ CHE HA RAFFORZATO LA SUA PREVISIONE DI UN CROLLO INEVITABILE DEL CAPITALSIMO E DELL’INSTAURARSI DI UNA ECONOMIA SOCIALISTA È STATA LA SUA TEORIA ECONOMICA.
Le idee base dell’economia marxiana sono la teoria del valore-lavoro, la teoria del plus-valore, la concentrazione del capitale e l’avvento del socialismo in quanto risultato di tale concentrazione.
La teoria del VALORE-LAVORO l’ha ereditata da economisti classici come Smith e Ricardo. Questa teoria si impernia sulla determinazione di ciò che si intende per valore. Secondo Marx bisogna distinguere il valore d’uso di una merce dal valore di scambio.  Una merce potrebbe essere utile ma non avere valore alcuno se tentassimo di scambiarla con altro. L’economia si occupa dei beni che hanno valore di scambio. Il valore di scambio è dato dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla. L’operaio comune, mancando di capitale, viene costretto a vendere la sua forza lavoro e quindi in un certo senso se stesso come merce. Il lavoratore in genere produce cose che hanno un valore economico maggiore del costo del salario che riceve. La differenza fra la quantità del valore economico prodotta dal lavoratore e la quantità che riceve per il suo lavoro è chiamata PLUSVALORE. Il capitalista ne trae così profitto. Gli imprenditori sfruttano così gli operai arricchendosi sempre di più, a danno dell’impoverimento degli operai. Quindi sono i lavoratori a produrre ricchezza attraverso la quantità di lavoro che forniscono; i capitalisti se ne prendono una fetta considerevole senza ricompensare il lavoratore; è qui che ha origine il profitto. La teoria del plusvalore ci permette di comprendere l’origine del conflitto fra le due classi.
Secondo Marx questa tendenza della società capitalistica produrrà una situazione in cui l’operaio diverrà sempre più povero e il capitalista sempre più ricco. Quando l’operaio comprenderà di essere sfruttato sarà inevitabile che si sviluppi una tensione verso il capitalista che sfocerà in un conflitto. Come conseguenza di questo conflitto: l’operaio si approprierà dei mezzi di produzione inaugurando una nuova era: l’età della società senza classi o socialismo.
OLTRE A QUESTI DIFETTI IL CAPITALISMO NE HA UN ALTRO: ESSO GENERA RELAZIONI ETICAMENTE IMMORALI TRA LE PERSONE. NEI RAPPORTI TRA GLI UOMINI SCOMPARE IL SENSO DI UMANITÀ, LASCIANDO IL POSTO A UN INUMANO ISTINTO DI PROFITTO.
Idee etiche: il capitalismo ha prodotto due fattori: l’auto-alienazione e il feticismo. Il socialismo porrà rimedio ad entrambi. L’uomo si sente alienato da sé perché non è padrone dei mezzi di produzione e del frutto del suo lavoro. Le persone vengono isolate le une dalle altre; viene inoltre creato un mondo tecnico che l’individuo non riesce a controllare e quindi si aliena da tutte quelle cose che giudica più importanti e che questa tecnologia avrebbe dovuto procurargli. All’auto-alienazione si accompagna il feticismo ovvero l’adorazione dei prodotti del lavoro. Il capitalismo ha reso le persone più simili alle macchine. Il socialismo introdurrà una nuova moralità basata sui valori umani, non sui valori della macchina.


TEORIE POLITICHE CONTEMPORANEE
Le teorie politiche classiche hanno influenzato, in modi diversi ma importanti la filosofia politica del novecento.

RAWLS
Visse nel novecento e il suo saggio più importante è UNA TEORIA SULLA GIUSTIZIA.
Come Locke, Mill e Marx egli ritiene che il popolo debba autogovernarsi; si distacca però da questi pensatori su alcuni punti.
A differenza di Locke non ritiene che la proprietà privata sia un diritto fondamentale al pari della vita o della libertà.  Rawls ritiene che la proprietà privata potrà essere resa come diritto se essa non nega principi più importanti; ritiene che ci siano fini più importanti della conservazione della proprietà, come ad esempio ridurre al minimo la povertà.
Per quanto riguarda Mill egli è d’accordo sulle libertà di cui aveva parlato, ovvero le libertà che proteggono l’individuo dal governo; ma a differenza di Mill non è un utilitarista. Rawls ritiene che vi siano paradossi inaccettabili nell’utilitarismo: per esempio con il principio utilitarista si potrebbe giustificare l’uccisione di un innocente se questo si dimostra un modo efficace di scoraggiare i comportamenti fuorilegge (il fine giustifica i mezzi). Rawls riprende quindi l’etica dell’intenzione di Kant cioè l’idea che vi siano principi di morale universali e necessari a cui l’uomo deve adeguarsi. Secondo Rawls si ha quindi una società giusta quando tutti gli individui vengono trattati allo stesso modo davanti alla legge; quando viene concesso un giusto processo e quando ognuno gode allo stesso modo della protezione della società. La principale preoccupazione di Rawls è quella di spiegare perché una società di questo genere può essere giusta dal punto di vista economico. Qui l’atteggiamento di Rawls è diverso da Marx, nel senso che la giustizia deve essere sia sociale che economica. A differenza di Marx non è contrario ad una società libera in cui siano presenti differenze in reddito; è contrario però ad una società in cui le differenze di reddito costringano alcuni a scendere al di sotto di un livello minimo delle condizioni materiali di sussistenza.
L’ENFASI DI RAWLS CADE SULLA MINIMIZZAZIONE DELLE DIFFERENZE DI REDDITO TRA I MEMBRI DI UNA SOCIETÀ POLITICAMENTE LIBERA: EGLI SOSTIENE QUINDI, RIGUARDO ALLA DISTRIBUZIONE DI RICCHEZZA, UNA FORMA DI EGUALITARISMO MODERATO E NON DI EGUALITARISMO STRETTO. Per riuscire a minimizzare le differenze economiche una società migliore deve nascere da un nuovo contrasto. Lo scopo è quello di creare una società meno ingiusta. Questo è possibile se ognuno contribuisce alla formazione della società e ognuno deve essere in una situazione di VELO DI IGNORANZA rispetto all’effettiva posizione che occuperà nella società. Ognuno contribuirà a fare le legge e non sapendo se sarà ricco o povero sarà portato a fare leggi più giuste, a chiedere più garanzie per i poveri che per i ricchi. Sarà così una società più giusta; questo non significa però che gli individui sono tutti uguali ma le disuguaglianza compensano chi è svantaggiato (maximum). Rawls parte dal presupposto che qualunque società sarà diseguale; vuole creare una società in cui ognuno può sviluppare le proprie capacità senza danneggiare gli altri.
La teoria di Rawls sebbene rientri nella tradizione liberal democratica ci suggerisce di massimizzare i benefici per tutti e minimizzare i malefici.

Critiche a Rawls
Critica da Nozick: egli è il padre della teoria anarcocapitalista. Nel libro ANARCHIA, STATO E UTOPIA contesta il principio di Rawls secondo cui una società giusta deve essere uguale dal punto di vista economico cercando di compensare. Nozick sostiene una visione platonica della società. Egli ritiene che gli individui nascono diversi per abilità, creatività e capacità realizzativi e di conseguenza contribuiscono alla società in modo diseguale. Una società giusta non dovrebbe essere indifferente a tali diversità. Una società è giusta se permette agli individui di sviluppare le doti che la natura gli ha dato in modo libero e armonico. Quindi coloro che danno contributi più importanti e preziosi dovrebbero essere ricompensati in modo diverso, anche se ciò non favorisce i più svantaggiati. (Rawls: sistema sanitario pubblico; Nozick: sistema sanitario privato).
Critica da Marcuse: le critiche oltre che da destra gli vengono rivolte anche dalla sinistra, ad esempio da Marcuse, neomarxista. Egli sostiene che permangono ancora disuguaglianze economiche nella teoria di Rawls, per questo è impossibile parlare di società giusta. La teoria di Rawls potrebbe portare in certi casi a concedere al governo poteri maggiori di quanti gliene possa concedere una società libera. Avremmo una tendenza all’accentramento, e in ultima analisi, al controllo statale.


METAFISICA
Esistono due possibili etimologie del termine metafisica che deriva dal greco e significa ciò che viene dopo la fisica (il termine meta significa dopo).

  • Alcuni l’hanno interpretata semplicemente come CIÒ CHE SI TROVA DOPO LA FISICA. Alcuni hanno pensato che il termine sia entrato nel lessico filosofico quando alcuni trattati di Aristotele, oggi chiamati metafisica, furono trovati tra le sue carte, senza titolo. Dal momento che i manoscritti comparivano dopo l’opera intitolata FISICA, furono semplicemente battezzati come metafisica.
  • Alcuni hanno invece interpretato questo termine come CIÒ CHE VA OLTRE LA FISICA, OLTRE CIÒ CHE È REALE. Si occupano di questioni che non riguardano il mondo esterno fisico ma di ciò che si suppone sta oltre o dopo il mondo fisico dell’esperienza sensibile.

METAFISICA CLASSICA
I filosofi presocratici ad esempio erano alla ricerca di un principio (archée) che potesse spiegare la realtà. Nacque una dicotomia tra i MONISTI e i PLURALISTI.


MONISTI

PLURALISTI

Ritenevano che vi fosse un unico principio attraverso cui spiegare la realtà. Sono monisti i filosofi come Talete, Anassimando e Anassimene.

Ritenevano che vi fossero più principi per spiegare la realtà. Ad esempio Empedocle riteneva che gli elementi su cui si fondava la spiegazione scientifica fossero: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra. Pitagora era anche lui un pluralista; riteneva che la realtà si potesse spiegare attraverso i rapporti numerali all’interno delle cose.

Questa dicotomia continuò anche negli anni successivi. Ad esempio Spinoza era un monista e Leibniz un pluralista.
UN ALTRO PROBLEMA CHE SI POSE NEL CORSO DELLA STORIA DELLA FILOSOFIA È LA PERMANENZA E IL MUTAMENTO OVVERO L’ESSERE E IL DIVENIRE. Tra i primi filosofi greci Eraclito era il teorico del mutamento mentre Parmenide fu uno dei suoi oppositori. (VI e V secolo a.c.). Questi pensatori furono colpiti da 2 elementi base del mondo: il cambiamento mattinale e la persistenza di alcune condizioni permanenti. Questi pensatori si chiesero com’era possibile conciliare l’esistenza della realtà con il suo cambiamento? Ovvero, com’è possibile che una cosa sia e nello stesso momento non sia. Per questi autori era impossibile conciliare i tratti mutevoli e quelli permanenti: essi erano incompatibili. Si notava che da un lato se tutto mutava non poteva esserci nulla di permanete; dall’altro che se nell’universo esisteva qualcosa di permanente, questo non potendo accertare non poteva far parte di un sistema che implicava il mutamento.

 

ERACLITO
È un teorico del mutamento. Ritiene che tutto muta. Nel cosmo tutto è un costante flusso. Tutto nasce e muore. Solo il principio universale che tutto cambia resta inalterato. LA VERA REALTÀ È IL DIVENIRE. NON SI PUÒ ENTRARE DUE VOLTE NELLO STESSO FIUME PERCHÉ ESSO NON È MAI LO STESSO.


PARMENIDE
Sottolineò che la vera realtà è permanente, immutabile. Essa non può avere altra qualità  che l’esistenza. L’unica verità che si può scoprire dall’essere permanente è che essa esiste. Tutto il cambiamento è illusione. Il cambiamento non poteva fare parte del mondo reale dell’essere permanente. Tutto ciò che ci altera passa dalla non esistenza all’esistenza e di nuovo alla non esistenza. Tutto ciò che è permanente non può trasformarsi in null’altro. Il mondo del mutamento non è il mondo reale ovvero quello della permanenza. Parmenide concluse con la frase L’ESSERE È, IL NON ESSERE NON È; per lui l’immutabile fa parte del mondo dell’essere.

 

ZENONE
Zenone di Ella, discepolo di Parmenide tentò di dimostrare che non solo il mondo reale è permanente, ma che lo stesso concetto di mutamento era impossibile. Egli sostenne che ogni nostro tentativo di spiegare il cambiamento e il movimento avrebbe portato delle contraddizioni. Gli argomenti di Zenone sono i celebri PARADOSSI sul movimento. Egli volle dimostrare che in una normale situazione quotidiana in cui si suppone che qualcosa si stia muovendo, si può dimostrare che in realtà tale movimento non può avere luogo.

 

Il paradosso di Achille e la tartaruga
Achille è dieci volte più veloce della tartaruga; quest’ultima è partita con 10 metri di vantaggio; quando Achille ha contato i dieci metri che lo separano dalla tartaruga, questa si è mossa di un metro; Achille copre questa distanza la tartaruga si muove di un decimetro. Ogni volta che Achille copre il divario iniziale, la tartaruga ha comunque coperto una breve distanza e quindi Achille non la raggiungerà mai, anche se è molto più veloce.

 

Il paradosso della freccia
Se un oggetto deve passare da un luogo all’altro, deve prima coprire metà della distanza. Ma per coprire la metà della distanza deve prima raggiungere la metà della metà e così all’infinito. L’oggetto dovrà coprire un numero infinito di distanze. Di conseguenza un oggetto se vuole spostarsi da un luogo all’altro, indipendentemente dalla brevità del percorso, ci impiegherà l’eternità: esso non riuscirà a coprire la distanza in un tempo giusto.
Secondo Zenone i paradossi dimostrano che non è possibile risolvere il movimento in termini logici. Questo fatto lo portò a negare il movimento. Se il divenire è logicamente impossibile deve essere logicamente possibile l’essere.

 

DEMOCRITO (materialismo)
Tentò di risolvere il conflitto tra le teorie del mutamento e quelle della permanenza, proponendo una nuova concessione delle caratteristiche del mondo reale. L’elemento di base del mondo reale era una indivisibile unità fisica, l’atomo. Ogni atomo aveva caratteristiche fisse e immutabili come la forma, la dimensione, che restavano identiche permanentemente e perpetuamente. Ma gli atomi oltre a possedere questa natura immutabile, cambiano continuamente posizione, muovendosi costantemente attraverso lo spazio vuoto. Nel corso del tempo essi si spostavano nello spazio, scontrandosi tra di loro, venendo spinti in diverse direzioni e aggregandosi in vari modi. Viene così garantito anche il divenire poiché vi è un cambiamento continuo di aggregazione. I TRATTI FONDAMENTALI DELL’UNIVERSO DI DEMOCRITO ERANO CONTEMPORANEAMENT IMMUTATI E IMMUTABILI IN UN SENSO, E COSTANTEMENTE IN MOVIMENTO NELL’ALTRO. Da un lato le proprietà eterne e immutabili degli atomi erano alla base dei tratti permanenti dell’universo. Dall’altro il costante mutamento degli atomi spiegava le alterazioni di un mondo mutevole.


PLATONE
Platone non parla in modo esplicito della sua metafisica ovvero della teoria delle idee. Nei DIALOGHI non esiste una trattazione completa della teoria delle idee. Nel TIMEO Platone precisa che vi sono due piani idee reale: il mondo dell’esperienza ordinaria che è una sequenza illusoria, transitoria e irrilevante di eventi che hanno luogo nel mondo fisico ed essa non è la realtà; la vera realtà ovvero ciò che è reale, stabile, permanente è il mondo delle idee o forme che si trova fisicamente separato ed è nel mondo iperuranio. Il mondo iperuranio è il mondo della perfezione e contiene le idee che contengono i significati o le definizioni delle cose. Nel mondo iperuranio vivono anche gli Dei, la loro felicità è data dal fatto che contemplano sempre queste idee.
Platone sottolinea che vi è un rapporto di partecipazione tra le idee e le cose che i soggetti percepiscono con i sensi e si interroga in che tipo di partecipazione esista.
Non riuscendo a dare una risposta razionale a tale problema, ricorre al MITO DEL DEMIURGO. Il Demiurgo è un divino artefice che è stato incaricato dagli Dei per creare il mondo. Il Demiurgo ha preso le idee e le ha poste come modelli sui quali costruire la realtà. Va precisato che Platone per creazione non intende una creazione dal nulla, ma un passaggio dal caos al cosmos ovvero dal disordine all’ordine. Prima del mondo esiste una materia amorfa e indeterminata; vi è quindi il caos, la confusione. Il Demiurgo ha creato il mondo a partire dalle idee e da una materia amorfa. Egli ha calato le idee in una materia amorfa, sin quando non si produce una specie di ordine nel mondo visibile. Il mondo visibile però non riesce ad accogliere in modo permanente le idee; può solo partecipare nei periodi immutati del tempo. Il mondo visibile è destinato a uno stato di incostante stabilità, è imperfetto. IL MONDO DELLE IDEE È CAUSA DELL’ORDINE – quale che sia - PRESENTE NEL MONDO MATERIALE. In Platone si ritrova quindi un DUALISMO tra il mondo delle idee e delle cose. Questa differenza si ritrova anche negli esseri umani.
DICOTOMIA ANIMA-CORPO
L’uomo partecipa al mondo fisico in quanto ha un CORPO materiale che lo porta vicino alle cose materiali e un’ANIMA IMMATERIALE capace di conoscere le forme. Per spiegare il tipo di rapporto tra l’anima e il corpo ha introdotto il MITO DELL’AURIGA nel Fedro. Le anime prima di unirsi ai corpi hanno un’esistenza nel modo iperuranio in cui contemplano le idee così com’è concesso agli dei. Le anime degli uomini però non sono perfette. L’anima dell’uomo è come un cocchio tirato da due cavalli e guidato da un auriga. I due cavalli sono uno nero e uno bianco al contrario dell’anima degli dei che è come un cocchio tirato da due cavalli bianchi. Questa precisazione vuole precisare come le anime dei futuri uomini saranno imperfette. Il cavallo nero vuole immergersi nella vita fisica e tira il cocchio verso il basso. Esso rappresenta la parte dell’anima dedita ai piaceri della carne. Il cavallo bianco invece vuole innalzarsi sino al regno celeste delle idee per contemplarle; esso tira il cocchio verso l’alto. Il cocchio si ritrova così tra queste due forme contrarie e si romperà. L’anima quindi scende nel mondo delle cose e si unirà a un corpo. Platone dirà che IL CORPO È LA TOMBA O LA PRIGIONE DELL’ANIMA. Il corpo è la prigione dell’anima perché questa vi è caduta e deve scontare la sua punizione. È la tomba perché la distoglie dalla sua vera natura: le idee.

 

IL NEOPLATONISMO
In quella estensione di idee di Platone nota come neo platonismo, la teoria metafisica proposta da PLOTINO, viene specificatamente sottolineato l’elemento sovrannaturale. Plotino identifica l’iperuranio con la divinità. Per Platone le idee culminano nell’idea più importante: l’idea del bene. A poco a poco questa idea diviene l’uno dei neoplatonici da cui tutto deriva.


ARISTOTELE
Rifiuta la duplice natura dell’universo platonico, diviso tra il mondo delle idee e l’illusorio mondo delle cose fisiche, in favore di una CONCEZIONE NATURALISTICA in cui la realtà è da ricercare nel mondo, in ciò che noi osserviamo fenomenicamente. (Esistono i principi ma non esistono indipendentemente dalla realtà che osserviamo). Si trova di fronte al rapporto tra essere e divenire. Mentre Platone aveva risolto il problema dicendo che il mondo del divenire è l’apparenza sensibile dentro al quale c’è il mondo dell’essere, per Aristotele invece la REALTÀ COSÌ COM’È PRESENTA ELEMENTI DI PERMANENZA (SOSTANZA) E ELEMENTI DI MUTAMENTO (ACCIDENTI). Possiamo spiegare ogni realtà naturale ricorrendo a 10 categorie, una di queste è la sostanza e le altre nove sono gli accidenti, ovvero le qualità, le forme che può assumere la sostanza. Anche nell’uomo c’è qualcosa di stabile, andiamo incontro però anche a mutamenti, nonostante questo siamo comunque sempre noi stessi. Il nostro essere umano, sottolinea Aristotele, è dato dalla sostanza che è composta da due elementi ELEMENTO MATERIALE E ELEMENTO FORMALE. L’elemento materiale è il corpo e l’elemento formale è l’anima. Il corpo rappresenta la permanenza rispetto alla quale la forma fornisce il mutamento. Non è possibile distingue questi due elementi, essi si presentano come qualcosa di unico, un nesso inscindibile come tutte le altre realtà. La separazione del corpo e dell’anima si avrà solo dopo la morte, finché l’individuo è in vita si parla di sostanza unica. TUTTI GLI OGGETTI DELLA NOSTRA ESPERIENZA CONSISTONO DI MATERIA FORMATA OVVERO CHE ASSUME FORME DIFFERENTI CHE SI MUOVE O SI CAMBIA IN VISTA DI UNO SCOPO CHE È TELEOLOGICO: IL MOVIMENTO O I CAMBIAMENTI AVVENGONO IN VISTA DI UN FINE. Ogni oggetto è composto da forma e materia. La materia di ogni oggetto ha la potenzialità di acquisire una forma adeguata all’oggetto stesso che è detto fine o scopo di quest’ultimo. Il processo di movimento o mutamento è la realizzazione della potenzialità dell’oggetto. Esiste una tendenza naturale o teologica che spinge ogni singolo oggetto verso il suo fine naturale o forma iniziale. Questo è un FINE RELATIVO cioè ATTUARE LA FORMA ADEGUATA ALLA SUA SPECIE. Inoltre ogni oggetto ha anche un FINE ULTIMO ovvero RAGGIUNGERE UNA CONDIZIONE DI QUIETE ASSOLUTA NELLA QUALE SARÀ IMPOSSIBILE OGNI ULTERIORE CAMBIAMENTO. Ma ogni cosa, in quanto composta di materia, conserva sempre qualche potenzialità, qualche capacità di mutare, muoversi o alterarsi. Ne consegue che un oggetto sarebbe possibile giungere alla condizione finale solo diventando FORMA PURA e liberandosi completamente della materia. Questo fine ultimo è uguale per ogni realtà e prevede la fine del movimento stesso.


METAFISICHE POST-ARISTOTELICHE

LA METAFISICA EPICUREA (materialismo)
La dottrina epicurea, che si rifà all’atomismo del filosofo greco Democrito e che è conosciuta soprattutto per il De Rerum Natura del poeta romano Lucrezio che descrive un universo che non contiene null’altro se non atomi di diversa forma che si muovono nello spazio vuoto.
L’aspetto permanente dell’universo è l’atomo fisico, non reato e immutabile. Gli atomi non potevano essere divisi in unità più piccole, con un numero illimitato di possibili forme e dimensioni. Tutti gli oggetti del mondo non sono altro che combinazioni di atomi distribuiti in uno spazio vuoto. Ciò valeva sia per gli esseri viventi sia per gli oggetti inanimati. Sebbene gli atomi non mutano mai, mutano invece le loro combinazioni.
Il movimento è una caratteristica fondamentale dell’atomo. Mentre però per Democrito gli atomi cadevano verso il basso e quelli più veloci raggiungevano i più lenti e si verificava una collisione, conoscendo la posizione iniziale degli atomi dell’universo e le direzioni in cui si stanno muovendo è possibile predire l’intero corso futuro dei movimenti di ciascuno di essi. LA VERSIONE DELLA METAFISICA ATOMISTICA DI DEMOCRITO È COMPLETAMENTE DETERMINISTICA. Epicuro critica il determinismo e introduce il CLINAMEN che è una deviazione casuale degli atomi, che hanno nel scendere verso il basso, nel loro moto vorticoso di caduta. È questa deviazione che fa sì che si incontrino gli atomi. Cade quindi il determinismo, non si possono quindi prevedere i movimenti degli atomi. Questo garantisce la libertà. Per Democrito invece nulla accadeva per caso.
La metafisica epicurea, in totale contrasto con la teoria aristotelica del cosmo, descrive un mondo del tutto privo di scopo. Non bisogna neanche pensare ad una divinità.

 

METAFISICA STOICA (materialismo)
Gli stoici hanno una visione materialistica del mondo. Gli elementi fondamentali del cosmo sono LA MATERIA e LA RAGIONE. All’origine del mondo c’era una materia continua e amorfa alla quale la ragione divina le ha conferito le sue peculiari caratteristiche. La ragione è talvolta definita anima dell’universo; il mondo è assimilabile a una gigantesca creatura le cui parti funzionano in modo armonico perché costruite da un progetto. Gli stoici concepiscono la ragione come un potere cosmico che organizza e governa l’intero universo dall’interno.
Nella metafisica stoica poiché tutto avviene per un motivo e tale motivo non è che il volere della ragione cosmica, in natura esiste un DETERMINISMO ASSOLUTO. Tutto deve essere cos’ì com’è perché viene imposto, secondo il suo scopo razionale, da una ragione.  Di conseguenza in questo mondo totalmente razionale ogni evento è razionale e necessario; è un mondo in cui non c’è libertà. La libertà è la coscienza di necessità.

EPICUREI: sono meccanicisti ma non deterministi. Spiegano la realtà con cause fisiche F meccanicisti. Non sono deterministi perché non è possibile prevedere nulla, c’è infatti il clinamen.
STOICI: sono deterministi ma non meccanicisti. Sono deterministi perché tutto ciò che avviene è dato da un progetto ma non sono meccanicisti perché la causa è attribuita a una mente e non a una causa fisica.

 

METAFISICA MODERNA
Nell’età moderna (postrinascimentale) con l’inizio della scienza moderna, i filosofi erano oramai consapevoli che gli antichi sistemi di pensiero consolidati – in particolare l’aristotelismo medievale – non fossero più adeguati per spiegare le nuove conoscenze umane, e si misero alla ricerca di teorie metafisiche più adeguate alla nuova situazione.
La filosofia di Cartesio fornì questo genere di metafisica nonostante riprese alcune problematiche antiche, in particolare quella di Platone sul rapporto corpo-anima. I sistemi metafisici che gli succedettero presero come punto di riferimento le idee di Cartesio e cercavano di migliorarle o di risolvere le difficoltà presenti nel sistema cartesiano.


CARTESIO
SECONDO CARTESIO VI SONO TRE COMPONENTI BASE DELL’UNIVERSO, O SOSTANZE: DIO, LA MENTE (RES COGITANS), LA MATERIA (RES ESTENSA)
Dio è la sostanza creativa che ha formato le altre due. La proprietà essenziale della res cogitans è il pensiero e la proprietà principale della res estensa è l’estensione in lunghezza, larghezza e profondità.
Queste due sostanze sono distinte e hanno caratteristiche autentiche. Gli individui hanno un corpo che è costituito dalla sostanza estesa e un’anima che è costituita dalla sostanza pensante. Il MONDO FISICO viene concepito come una grande macchina che opera secondo le leggi costanti di Dio. Egli conserva e controlla costantemente un ordine fisico in cui le varie parti estese muovono le parti per contatto, producendo la madreregola descritta dalla scienza moderna. Tutto ciò che è esteso, gli oggetti, gli animali, fanno parte di questa macchina. Gli animali sono macchine, automi. Questo mondo fisico è un mondo meccanico in cui tutto ciò che avviene, accade per leggi meccaniche e come ogni mondo materiale non c’è spazio per la libertà. Gli automi sembra che abbiano sensazioni ma sono in realtà meri effetti meccanici. È UN MONDO DI MATERIALITÀ, MECCANICISMO E DETERMINISMO. L’UNICO ASPETTO DEL MONDO CREATO CHE NON È PARTE DELLA MACCHINA MONDO È LA MENTE. Anche l’uomo ha un corpo costruito da res estensa ma a differenza degli altri animali ha anche una parte spirituale, una mente. Il comportamento dell’uomo non può essere spiegato come il comportamento degli animali in termini meccanicistici. L’uomo, a differenza degli animali e di tutte le altre realtà, è costituito da due sostanze: una res estensa e una res cogitans. Questo presenta una difficoltà poiché la natura delle due sostanze è eterogenea: mentre il mondo naturale è il mondo della necessità; il mondo spirituale è quello della libertà. Queste due sostanze a causa della loro natura rendono impossibile una qualsiasi forma di comunicazione. Eppure sottolinea Cartesio che la nostra esperienza dimostra l’opposto. Infatti alcuni eventi fisici influenzano la nostra mente e viceversa. Cartesio giunge alla conclusione che dovesse esserci qualche tipo di contatto tra il mondo fisico e il mondo mentale e che tale contatto avesse luogo nel cervello. Arrivò alla conclusione che l’interazione tra mente e corpo aveva luogo nella GHIANDOLA PINEALE, situata alla base del cervello.
Gli furono rivolte obiezioni riguardo alla soluzione del problema metafisico; ora sostanzialmente insoddisfacente poiché non spiegava ancora come fosse possibile che la mente e il corpo, se veramente erano di natura totalmente differente, interagissero l’uno sull’altro. Cartesio risponde alle obiezioni concludendo che era un PROBLEMA INSOLUBILE e che LA COMUNICAZIONE CI DEVE ESSERE MA NON SA DOVE. Lascia aperto il problema ai filosofi successivi.


LE TEORIE DI MALEBRANCHE, LEIBNIZ E SPINOZA
Nel seicento alcuni dei più grandi metafisici del periodo (Malebranche, Leibniz e Spinoza) proposero una serie di interessanti teorie per risolvere il problema della relazione mente-corpo. Mentre Malebranche fa parte dell’OCCASIONALISMO, Leibniz e Spinoza fanno parte del RAZIONALISMO.

 

L’OCCASIONALISMO: MALEBRANCHE
Nella sua teoria, nota come occasionalismo, Malebranche fa la sua distinzione cartesiana tra mente e materia. L’una è totalmente diversa dall’altra: la prima è composta solo da idee, la seconda solo da oggetti estesi. Sono tanto diverse che la mente non può sapere nulla del corpo. La mente può conoscere solo le idee. Quando pensiamo ai corpi, ciò cui stiamo pensando è qualcosa che possiamo dire estensione intelleggibile piuttosto che estensione fisica. Malebranche trovò l’unica prova dell’esistenza dei corpi nelle frasi iniziali del GENESI dove si dichiara che Dio ha creato il mondo fisico. Se non fosse per questo, non potremmo mai sapere con certezza che esistono degli oggetti naturali.
MALEBRANCHE SOSTIENE CHE SE QUESTI DUE REGNI SONO DIVISI COSÌ PROFONDAMENTE, NON PUÒ ESSERVI TRA LORO INTERAZIONE O CONNESSIONE ALCUNA. Ciò che veramente accade è che quando qualcosa avviene in uno dei due regni, Dio interviene facendo sì che accada qualcosa di corrispondente nell’altro. Gli eventi nell’uno non sono cause degli eventi nell’altro, sono solo l’occasione per l’azione divina. Dio interviene a sincronizzare i due fatti. Dio è la causa dei due fatti e della loro rapida successione.

 

LEIBNIZ
Fine 600 – Inizi 700. Leibniz ha una concezione pluralista: la realtà di spiega con le MONADI. Ogni ente, mentale o fisico che sia, è indipendente a costituire una monade. A differenza degli atomi le monadi hanno una natura spirituale, si potrebbe dire che sono degli atomi spirituali che spiegano la realtà fisica e spirituale. Secondo Leibniz gli uomini sono composti da monadi e da una monade dominante (l’anima). Le monadi sono incorporee. Sorge un problema: ovvero com’è possibile che la monade dominante controlla e diriga le parti di un corpo? Risolve il problema ipotizzando che fra di esse vi sia un’ARMONIA PRESTABILITA. Leibniz dice che possiamo immaginare il rapporto tra le singole monadi riconducendole a due sole e assimilandole a due orologi. L’interazione fra le monadi è analoga al funzionamento di due orologi che segnano sempre la stessa ora. Tra le monadi c’è un sincronismo come tra 2 orologi.
Potrebbe darsi che i 2 orologi segnano perfettamente la stessa ora per tre ragioni differenti che corrispondono a tre posizioni che storicamente si sono succedute nel tempo:

  1. potrebbe darsi che ciò avvenga perché tra i due orologi vi è un meccanismo di connessione. Un orologio influenza l’altro e gli dà il ritmo. Tale spiegazione corrisponde alla Teoria di Cartesio. Per Leibniz è una spiegazione assurda.
  2. Potrebbe darsi che vi sia un intervento esterno che continuamente provvede ad eliminare gli scarti tra i due orologi. Questa spiegazione corrisponde alla teoria di Malebranche. Egli ritiene che l’intervento divino possa spiegare tutto. Secondo Leibniz è una posizione controintuitiva perché svilisce la posizione di Dio.
  3. La terza posizione sostenuta da Leibniz ritiene che gli orologi sono stati costruiti all’inizio in modo perfetto e, nonostante non ci sia alcuna relazione tra loro, entrambi segnano il tempo in modo perfetto. Quindi ogni monade è stata creata da Dio in modo che si trovi in perfetta armonia con tutte le altre per l’intera eternità e che gli eventi nel percorso di una siano destinati a trovarsi in perfetto accordo con le altre.

LA TEORIA DI LEIBNIZ, COME QUELLA DI MALEBRANCHE, SUPERA I PROBLEMI DELLA METAFISICA CARTESIANA CON LA RINUNCIA A QUALSIASI PRETESA CHE VI SIA UNA RELAZIONE TRA LA MENTE E IL CORPO.

 

SPINOZA
Spinoza propone di risolvere il problema del dualismo cartesiano in modo opposto rispetto a Leibniz. Leibniz aveva moltiplicato le sostanze in un ottica pluralista e sottolineando che il rapporto tra le monadi è dato dall’intervento di Dio. Spinoza invece si presenta come un RIGIDO MONISTA perché riduce le sostanze da due a una. La mente e il corpo sono attribuiti a uno e un solo ente.
Secondo Spinoza si può dimostrare questo un modo geometrico, con la stessa esattezza a partire dalla definizione di sostanza. SOSTANZA SIGNIFICA CAUSA DI SE STESSI. Deve esistere quindi una sostanza che non viene influenzata da nulla. Essa viene a coincidere con Dio stesso. È un Dio però diverso dalla tradizione, è un Dio che coincide con la totalità del reale. DEUS SILE NATURA (Dio è la natura). Spinoza vede la presenza della vita in qualunque realtà del mondo. Non c’è spazio per l’esistenza autonoma delle sostanze di Cartesio. Esse sono solo due degli infiniti attributi dell’unica sostanza. La sostanza ha infiniti attributi, caratteristiche. Il pensiero e l’estensione sono solo due attributi dell’infinita sostanza che tutto comprende. L’essere umano può cogliere solo questi due attributi perché vi partecipa. Se quindi il corpo e l’anima degli esseri umani sono modi di essere dell’unica sostanza non si pone più il problema di stabilire le relazioni. L’ordine nelle cose e nella mente coincidono perché entrambe sono modi paralleli dello stesso attributo.
Uno dei modi per evitare trappole nella teoria cartesiana consisteva nell’adottare una METAFISICA INTEGRALMENTE MATERIALISTA e sostenere che gli eventi mentali e fisici potevano essere spiegati in termini di concetti e leggi puramente fisici. Teorie di questo tipo sono GARSENDY (che riprese alcune tematiche dell’ottimismo) e HOBBES.

 

HOBBES
Pretese di risolvere il dualismo eliminando la res cogitans e riducendo tutta la realtà alla matematica. Ha rivolto un’obiezione a Cartesio sulla frase “Penso dunque sono”. Hobbes dice che se penso dunque sono significa che sono una cosa che pensa e quindi sono una res estensa. Secondo Hobbes gli eventi mentali si possono spiegare come tutte le altre cose. Visto che percepisco solo cose fisiche bisogna spiegare la realtà in termini matematici, in termini di materia e movimento. Vi è la negazione del libero arbitrio (anche per Spinoza). Se ogni evento si spiega con un termine di materia e movimento. Vi è la negazione del libero arbitrio (anche per Spinoza). Se ogni evento si spiega in termini materiali e l’uomo è regolato da leggi meccaniche, gli uomini sono creature naturali.
QUELLI CHE CHIAMIAMO ELEMENTI MONALI SONO IN VERITÀ ALLA STESSA STREGUA DEGLI EVENTI FISICI, SONO CONFIGURAZIONI DELLA MATERIA IN  MOVIMENTO.

Ricordarsi>Hobbes e Garsendy vissero nel 600 e furono contemporanei a Cartesio: gli rivolsero direttamente le critiche. Cartesio pubblicò anche le risposte alle obiezioni dei suoi avversari.


IL MATERIALISMO (spiega tutta la realtà in termini di materia e movimento)
I materialisti hanno cercato di sviluppare un cartesianesimo modificato, di eliminare la mente e possibilmente anche Dio dallo schema metafisico di base, tentando di spiegare ogni cosa in termini di eventi materiali. Cominciando con Thomas Hobbes nel seicento, ebbe sviluppi successivi fino a oggi; questo genere di teoria non differisce in modo sostanziale dalle teorie dei materialisti greci, eccetto che nei dettagli. Nel 1700 furono materialisti alcuni esponenti dell’illuminismo francese. Il più noto è La Mettrie, Julien Offroy de (Saint-Malo 1709-Berlino 1751). partenente alla guardia francese in qualità di medico (1743), fu perseguitato per le sue convinzioni materialiste e meccanicistiche e, a seguito dell'effetto provocato dalla pubblicazione dell'opera Storia naturale dell'anima (1745), fu costretto a fuggire a Berlino. Fu un assertore dell'uguaglianza di tutti gli esseri viventi. Scrisse anche L'uomo macchina. La Mettrie porta alle estreme conseguenze il discorso di Cartesio. Cartesio diceva che solo gli animali erano macchine; per La Mettrie anche gli uomini. Secondo La Mettrie Cartesio limitava la potenza divina: Dio ha creato macchine così perfette come gli uomini.
Nel 1800 vi è il materialismo storico di Marx e lacune correnti che si rifanno al positivismo.
Nel 1900 vi è uno sviluppo delle scienze che rappresenta la massima espressione del materialismo. Fino alla nascita della matematica quantistica il materialismo meccanicista ha dominato. Ciò che ha determinato una rottura è la FISICA DI HEISENBERG, secondo il quale vi è una fondamentale indeterminatezza nella nostra conoscenza delle particelle fisiche. Tentando di determinare sperimentalmente la posizione e la velocità di una particella, si è scoperto che tutti i metodi sperimentali o ci permettono di determinare con precisione la posizione ma non la velocità o ci permettono di determinare con precisione la velocità ma non la precisione. È impossibile determinare entrambe le quantità senza margini di incertezza. In natura vi è un elemento di indeterminatezza. Questo sembra mettere in crisi il paradigma del materialismo.
IL PARADIGMA MATERIALISTA HA DOMINATO ANCHE LA PSICOLOGIA.
I teorici dell’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ritengono che la mente umana è paragonabile a un computer, a una macchina. Si può ridurre quindi il funzionamento della mente a quello di una macchina. I comportamentismi o behavoiristi sostengono che gli eventi mentali sono in verità solo configurazioni della materia in movimento. I cosiddetti pensieri sono movimenti fisici che avvengono nel cervello e vengono prodotti da altri eventi che accadono nel mondo materiale.
PER ELIMINARE IL DUALISMO CARTESIANO, HOBBES HA RIDOTTO TUTTA LA REALTÁ ALLA MATERIALITÁ ELIMINANDO IL RES COGITANS. ALTRI FILOSOFI HANNO INVECE SVILUPPATO UN SISTEMA METAFISICO PRIVO DELL’IDEA DI SOSTANZA MATERIALE. LA PIENA FIORITURA DI QUESTO GENERE DI TEORIA È DA FAR RISALIRE ALLE IDEE DI BERKELEY.

 

IL VESCOVO BERKELEY
(con Locke e Hume viene considerato filosofo dell’EMPIRISMO – prima metà del 18° secolo)
La posizione di Berkeley viene definita IMMATERIALISMO. Egli considera materialista qualunque pensatore che ammette l’esistenza della materia. Per noi invece è materialista chi ritiene che è sufficiente spiegare la realtà con la materia. Berkeley si muove nell’ambito religioso; il suo discorso filosofico è in termini apologetici. L’assunto di Berkeley è che UN ENTE QUALE IL MONDO FISICO O MATERIA NEL SENSO DI OGGETTO CHE ESISTE IN MODO INDIPENDENTE, NON C’È. Al contrario ciò che definiamo oggetti fisici sono in realtà gruppi di idee nella nostra mente. Noi possiamo conoscere empiricamente le cose ovvero ciò che possiamo conoscere sono soltanto le idee che abbiamo di essi.
Berkeley dice che posso supporre, come fa Locke, che le idee rimandano alle cose materiali ma non posso dire che le cose materiali sono causa delle idee perché sono due cose eterogenee. Secondo Berkeley gli uomini possono confrontarsi solo con la idee che ha nella propria mente. Un oggetto esiste solo se c’è qualcuno che lo pensa. L’unica prova dell’esistenza di qualcosa si trova nel pensiero di colui che pensa. Affermando però che gli oggetti sono scientificamente nella nostra mente, si potrebbe arrivare a dire che ognuno di noi produce arbitrariamente una realtà priva di riferimenti oggettivi. Tale posizione è detta SOLIPSISMO. Berkeley intende negare questo. Pur ritrovando le idee nella propria mente il soggetto è consapevole che queste non derivano dagli oggetti e che non è artefice di queste idee per due motivi:

  1. molte volte gli individui provano delle idee che sfuggono al loro controllo e che desidererebbero non provare. Un esempio è la sensazione dolorosa.
  2. Inoltre ci sono nella mente degli uomini due tipi di idee e vi è una differenza tra le due. Ci sono idee create dall’uomo come quelle che ci sono nei sogni che sono contradditori e incoerenti e vi sono altre idee che provengono da Dio che sono coerenti e danno l’illusione di provenire dal mondo esterno. In realtà è Dio l’agente da cui deriva ciò che abbiamo nella mente.

Inoltre spesso c’è una concordanza tra le nostre idee e quelle di un’altra persona come ad esempio le leggi di natura. Le leggi di natura sono il linguaggio che utilizza Dio per parlare. IL MAGNIFICO MONDO DELLA NATURA CON LA SUA MERAVIGLIOSA ARMONIA, STUDIATO DALLA SCIENZA, NON È NULL’ALTRO CHE ESPRESSIONE DELLA MENTE DIVINA. IL MONDO NATURALE CI VIENE PRESENTATO COME UNA SPECIE DI LINGUAGGIO DEI SEGNI ATTO A INTERPRETARE LA MENTE DI DIO. In conclusione nella metafisica di Berkeley il cosmo è composto da spiriti, ovvero da menti, una infinita e le altre finite; tutte le menti sono attive. Inoltre abbiamo gli oggetti passivi cioè le idee che posseggono un grado di permanenza in quanto esistenti come percezione costante nella mente di Dio.

 

SOLIPSISMO
Questa teoria definita immaterialismo parte da: le sole cose di cui possiamo affermare l’esistenza sono quelle di cui abbiamo esperienza. Questa teoria elimina tutte le menti tranne la mia e tutti gli oggetti tranne le mie idee facendo dell’universo null’altro che la successione di pensieri che ha luogo dentro di me.

ALCUNE CRITICHE ALLA METAFISICA: HUME E KANT
Tutte queste teorie metafisiche tentano di costruire un sistema generale che spieghi le molteplici caratteristiche del mondo, della nostra conoscenza, delle nostre credenze, speranze. Per più di duemila anni i metafisici hanno discusso di quale teoria fosse più soddisfacente e plausibile. Non sembra esserci un generale accordo su quale tra essi sia vera, o per lo meno su quale sia più vero degli altri. Ogni scuola metafisica sembra in grado di dimostrare che nelle idee di tutte le altre vi siano serie difficoltà, ma non di giustificare in modo soddisfacente le proprie. A causa di questa confusione ALCUNI FILOSOFI HANNO CONCLUSO CHE IL PROBLEMA FONDAMENTALE STA NEL FATTO CHE VI È QUALCOSA DI SBAGLIATO NELLA METAFISICA STESSA. Bisogna quindi chiedersi perché essa è destinata, per sua stessa natura a condurre a risultati insoddisfacenti. Hume e Kant hanno identificato le difficoltà fondamentali che rendono impossibile una soluzione convincente di qualsivoglia problema metafisico.


HUME
L’assunto di base di Hume è: GLI UNICI TERMINI O IDEE CHE HANNO SIGNIFICATO SONO O LE IMPRESSIONI SENSIBILI O I CONCETTI MATEMATICI. Infatti sono solo due i campi in cui l’uomo può giungere a certezze:

  • Il campo delle matematiche perché prevede un ragionamento astratto sulla quantità, ovvero sui numeri. I concetti matematici hanno significato perché esprimono relazioni tra idee che possiamo intimamente giudicare vere e certe.
  • Il campo sperimentale perché contiene questioni che possiamo sperimentare in modo empirico.

La metafisica ha la pretesa di descrivere ciò che è al di là della realtà fisica; quindi non può avere a che fare con i numeri e con l’esperienza. Ne consegue che bisogna abbandonare ogni pretesa di metafisica. Le idee chiave dei metafisici sono senza senso (per esempio “la sostanza” “la realtà” “lo spirito” “la materia” perché non siamo in grado di definirle in relazione a qualcosa di noto.
Quindi Hume mette in rilievo come, partendo da Cartesio, la res cogitans e la res estensa non hanno alcuna esistenza. Non si può avere la prova dell’esistenza reale e del pensiero.

Critica alla sostanza estesa: Hume trova del tutto incomprensibile l’idea di sostanza estesa perché tutte le idee ci vengono dalle sensazioni o dalle riflessioni. Hume sottolinea che noi percepiamo solo associazioni tra sensazioni relative al colore, al peso, alle dimensioni degli oggetti. Se si ammette l’esistenza di una sostanza materiale come la sostanza estesa non se ne può dimostrare l’esistenza perché essa non è reale, non possiamo essere certi sulla sua esistenza. Ciò di cui possiamo essere certi sono le percezioni. Se l’origine della conoscenza è empirica, l’esigenza dei soggetti si limita a cogliere qualità con i sensi, non si può quindi sapere se al di là delle sensazioni ci siano realtà materiali.

Critica alla res cogitans: Hume sottolinea che Cartesio diceva: penso dunque sono F sono una cosa che pensa.  
Secondo Hume affermare che sono una sostanza pensante non è possibile, poiché non esiste un pensiero che contiene tutti i pensieri. I soggetti percepiscono i singoli pensieri, le singole sensazioni. Non esiste una sostanza pensante. Se ne può supporre la sua esistenza per un’esigenza pratica di ordine e continuità ma essa non ha però esistenza reale.
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Giunge così ad una visione scettica: nega qualsiasi discorso metafisico. Fa però una precisazione: distingue la ragione dall’intelletto. Hume afferma che non si può dimostrare razionalmente l’esistenza di una res cogitans e res estensa; questa però non significa che gli individui possano avere delle credenze sul mondo materiale e spirituale poiché le credenze sono indispensabili per vivere con i simili.
IL SUO SCETTICISMO È QUINDI MODERATO: NEGA LA CERTEZZA DELL’ESISTENZA DEL MONDO MA QUESTO RIMANE NELLA SFERA INTELLETTUALE; IL FILOSOFO SCETTICO VIVE COME TUTTI GLI ALTRI NEL MONDO ESSENDO PERÒ CONSAPEVOLE CHE LE CERTEZZE SONO CREDENZE.
Questa è la posizione attuale della scienza. Hume ha compreso che la metafisica è una tendenza naturale degli individui, non è però scienza.
Esiste una tendenza naturale dell’uomo di andare al di là del sensibile. Tutto ciò che ha a che fare con la metafisica è credenza. La naturale tendenza a credere a delle cose è maggiore delle cose che affermiamo razionalmente.
La condanna della metafisica da parte di Hume non ha messo la parola fine alla metafisica.


KANT (1724-1804)
Kant riconosce a Hume di aver detto che la metafisica è di per sé condannata alla sconfitta perché va al di là delle capacità conoscitive dell’uomo. Secondo Kant gli uomini possono conoscere solo i FENOMENI che contrappone ai NOUMENI, le cose in sé. Gli uomini possono conoscere solo la realtà così come essa gli appare. Quando un soggetto conosce un oggetto esso viene fermato con la dimensione spazio-tempo che sono delle dimensioni interiori del soggetto che servono per collocare l’oggetto; l’oggetto viene poi interpretato dalle categorie, dagli schemi mentali del soggetto fino a che l’oggetto viene percepito come fenomeno. Ci sono quindi dei principi organizzatori al nostro interno che strutturano e interpretano le osservazioni dei sensi. Il mondo della nostra esperienza, il cosiddetto MONDO FENOMENICO, è il prodotto di qualcosa che si presenta a noi unitamente alle condizioni a priori fornite dalla mente. La mente viene considerata come qualcosa di simile a un’ampia forma vuota che determina i tipi di risposte che possono essere date, ma non il loro contenuto specifico che solo l’esperienza può determinare.
Kant contrappone ai fenomeni i noumeni. Essi sono oggetti reali ma non sono conoscibili. La scienza moderna di Galileo e Newton è una scienza di fenomeni. È una scienza oggettiva in quanto scienza intersoggettiva perché l’uomo organizza il mondo naturale secondo leggi proprie del soggetto. (io sono il legislatore della natura). Secondo Kant le scienze devono essere scienze dei fenomeni e devono quindi partire dai dati sensoriali.
La metafisica non è possibile perché ha a che fare coi dati ultra sensibili che per Kant sono in conoscibili. È quindi esclusa a priori qualsiasi conoscenza. Gli argomenti che tentano di stabilire quale sia la natura del mondo noumenico, dal mondo reale delle cose in sé, culminano in quelle che Kant definiva ANTINOMIE ovvero CONCLUSIONI CHE POSSONO ESSERE SIA PROVATE SIA CONFUTATE.
Tutte le 3 idee principali della metafisica culminano in antinomie. Ad esempio i ragionamenti in cui si sostiene che nel mondo c’è libertà possono essere attaccati mostrando che si può costruire un ragionamento altrettanto valido per affermare il contrario. Ne consegue che non abbiamo modo alcuno di due quale, tra due soluzioni incompatibili di questo problema metafisico abbia maggiori probabilità di essere vero. Il metafisico tenta di costruire un ragionamento che vada oltre l’esperienza e i suoi limiti concettuali ma non approda a nulla. L’IMPRESA METAFISICA È DESTINATA AL FALLIMENTO.
Hume e Kant: concludono sottolineando che la ragione non è in grado di dare l’ultima parola su questioni metafisiche (1700).
Agli inizi del 1800 alcuni filosofi come FICHTE, HEGEL, SHELLING eliminano il ricorso alla cosa in sé e riducono tutta la realtà al pensiero: ecco perché il termine idealismo.

 

L’IDEALISMO TEDESCO
FICHTE: idealismo soggettivo
Prima di esporre la sua teoria, Fiche si sofferma su due principali orientamenti metafisici: il MATERIALISMO – l’idea che tutto debba essere spiegato in termini di cause materiali – e l’IDEALISMO – l’idea che tutto debba essere spiegato in termini di cause spirituali. Né l’una né l’altra delle due teorie poteva essere dimostrata o confutata; entrambe potevano sviluppare argomenti contro quella avversaria. Il filosofo che intendeva dedicarsi alla metafisica deve prima di tutto decidere quale orientamento adottare, e su questa base poi procedere alla costruzione della propria teoria. LA SCELTA TRA ESSERE MATERIALISTA O IDEALISTA È UNA SCELTA DI VITA, BISOGNA SENTIRE UNA SORTA DI INVOCAZIONE.
Fiche (che fu il primi a definire idealistica la propria posizione) propone un idealismo soggettivo. Il principio di ogni realtà consiste in un’attività puramente spirituale che chiama IO. A questo io si contrappone tutto ciò che spirituale non è, tutto ciò che è oggetto del pensiero e non soggetto: il NON IO. La contrapposizione tra io e non io non riguarda il rapporto tra soggetto e oggetto ma riguarda la totalità del reale. L’io è impersonale, non è unito, individuale. L’io è un agente creativo da cui derivano i singoli oggetti. Ogni persona, e il mondo di cui è consapevole, è un’espressione di qualcosa di più generale, dell’attività creativa dell’io. Tutto il reale si può spiegare con una dialettica tra io (pensiero, spirito) e il non io (ciò che si contrappone che è negatività).
LA PROSPETTIVA DI FICHTE È OPPOSTA RISPETTO A QUELLA DI KANT. KANT AVEVA POSTO AL CENTRO IL RIFERIMENTO A UN OGGETTO. FICHTE INVECE PONE AL CENTRO UN SOGGETTO COLLETTIVO, L’IO, LO SPIRITO, RISPETTO AL QUALE L’OGGETTIVITÁ, TUTTO CIÒ CHE HA A CHE FARE CON IL MONDO È NEGATIVITÀ.

SHELLING: idealismo oggettivo


HEGEL: idealismo assoluto
Uno dei principali assunti di Hegel è che tutto il reale è lo sviluppo progressivo di un unico principio che chiama spirito o idea. La progressiva attuazione di questo spirito che è andato avvalendosi nel corso della storia, avviene in modo dialettico. Questo processo dell’assoluto nello schema Hegeliano è di tipo “logico” ma prende poi la forma, nella nostra esperienza, di un processo di tipo storico. Lo sviluppo logico è la famosa dialettica Hegeliana : ogni tentativo di dire qualcosa dell’universo (una tesi) viene contraddetta da un’altra formulazione (una antitesi), e il conflitto tra le due si risolve in una proposizione che incorpora la verità parziale di entrambe (la sintesi). Secondo Hegel l’assoluto tende costantemente a riparare o risolvere questa dialettica di tesi e antitesi con sintesi sempre più alte, sin quando si raggiungerà la completa autorealizzazione in una sintesi complessiva, che includerà in un’unica immensa verità tutte le verità parziali. La logica sarà finita così come la storia del mondo.
Poiché ogni stadio dell’ascesa dialettica si esprime esteriormente attraverso uno stadio dello sviluppo storico del mondo, quando l’assoluto raggiungerà la perfezione così farà anche il cosmo, che si presenterà come un ente integralmente inelleggibile che potrà essere compreso nella sua interezza. Mentre la lotta dialettica prosegue e l’universo siluppa altrettanto fa la nostra comprensione di esso.

 

SI POTRÀ ELABORARE UN SISTEMA METAFISICO IN CUI LA STRUTTURA DELL’UNIVERSO COMPAIA NELLA SUA COMPLETEZZA LO SONO QUANDO L’ASSOLUTO AVRÀ RAGGIUNTO PIENA AUTOREALIZZAZIONE, A QUEL PUNTO PENSIERO E ESSERE COINCIDERANNO PIENAMENTE: LA COMPRENSIONE FINALE DELL’UNIVERSO E L’UNIVERSO STESSO SARANNO SOLTANTO UNA SOLO E UNICA COSA.


FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
Il ramo della filosofia della religione ha lo scopo di esaminare questioni teoriche che sorgono quando si prendono in considerazione idee religiose. In genere si tratta di problemi particolari connessi con la teoria della conoscenza così come viene applicata nella sfera religiosa o con i problemi metafisici superati nei tentativi di costruire una spiegazione coerente e soddisfacente di alcuni concetti.
PER ALCUNI PENSATORI LA FILOSOFIA DELLA RELIGIONE È STATA UN TENTATIVO DI TROVARE GIUSTIFICAZIONI O SPIEGAZIONI RAZIONALI DELLA LORO FEDE, PER ALTRI UN TENTATIVO DI GIUSTIFICARE O SPIEGARE LE BASI DELLA LORO MANCANZA DI FEDE, PER ALTRI ANCORA UN SEMPLICE TENTATIVO DI ESAMINARE UN’ALTRA AREA DI DEGLI INTERESSI E DELL’ESPERIENZA UMANA.
La filosofica della religione incontra però alcune difficoltà per il contenuto particolare del discorso. Se si esaminano infatti i caratteri della conoscenza religiosa e i danni di fatto a suo favore, ci si scontra con alcuni problemi che mostrano come la conoscenza religiosa differisca radicalmente da quella esistente in altre sfere dell’esperienza umana, e specialmente nei vari settori della ricerca scientifica. Mentre ad esempio una affermazione storica può essere verificata attraverso dei documenti, attraverso dati sperimentali, esperienza pubblica; nelle questioni religiose questi metodi non appaiono più applicabili poiché essa si fonda su VERITÀ RIVELATE. La Bibbia viene considerata espressione della rivelazione della parola di Dio, l’unica cosa possibile è leggerla. Non si potrà verificare se essa è stata dettata dalla divinità e se essa contiene o no un qualche sapere religioso. Nelle verità rivelate sembra quindi impossibile un discorso razionale; è impossibile confutare un credo religioso perché non è oggetto di verifica sperimentale.
IL NOCCIOLO DELLA RISPOSTA È CHE LA DIFFERENZA STA NEL CARATTERE PECULIARE DEL SAPERE RELIGIOSO. I CRITERI CHE APPLICHIAMO PER DETERMINARE IL SAPERE STORICO E SCIENTIFICO NON CI AIUTANO A STABILIRE SE UN QUALCHE PARTICOLARE LIBRO O UNA QUALCHE PARTICOLARE PERSONA POSSIEDE O NO UN SAPERE RELIGIOSO. CIÒ CHE APPARE PERTINENTE NEL CASO DELLA CONOSCENZA RELIGIOSA, È UN ELEMENTO DI CREDENZA, FEDE O ESPERIENZA RELIGIOSA.


RELIGIONE NATURALE E RELIGIONE RIVELATA
Vi sono due tipi di conoscenza religiosa: la regione naturale e la religione rivelata. La tesi di chi tenta di dare una base naturale alla conoscenza religiosa è che vi sono eventi, fatti o altre ragioni speciali che assicurano un fondamento alla comunione religiosa; la fede diviene quindi oggetto di argomentazione razionale, si può quindi parlare di religione razionale. La tesi dei sostenitori della religione rivelata è che le verità religiose fondamentali vengono conosciute solo per mezzo della rivelazione, della fede o dell’esperienza personale; un credo religioso non può essere confutato perché non è oggetto di verifica sperimentale. Per quanto riguarda la religione naturale più importante è l’esistenza di Dio. La filosofia della religione si è occupata dei tentativi operati per dimostrare razionalmente l’esistenza di una divinità. Nel corso della storia ci sono stati 3 argomenti differenti riguardo all’esistenza di Dio.


Argomento dell’architetto

Argomenti a posteriore

Argomento cosmologico o causale

“    “

Argomento ontologico                      

Argomento a priori

 
L’ARGOMENTO DELL’ARCHITETTO
Afferma di poter dimostrare l’esistenza di Dio analizzando le informazioni che abbiamo sull’universo e sviluppandole per induzione. Sin dagli inizi della scienza moderna, sono state proposte diverse versioni dell’argomento dell’architetto, che tentano di provare l’esistenza di Dio basandosi sulle più recenti scoperte nelle scienze fisiche e biologiche. Uno dei sostenitori è NEWTON.
HUME
Per tutta la vita David Hume si occupò dei pregi dei diversi argomenti con cui si sosteneva di poter dimostrare l’esistenza di un essere divino. Hume fu uno dei maggiori critici verso coloro che tentavano di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio. Forse a carico della grande diffusione dell’argomento dell’architetto all’epoca, una delle imprese Humiane più rilevanti fu la sua critica a tale argomento. Queste obiezioni le fece nei DIALOGHI SULLA RELIGIONE NATURALE che non pubblicò mai in vita perché troppo pericoloso e irreligioso. Venne pubblicato 3 anni dopo la sua morte. Vi sono 3 personaggi nei Dialoghi, ognuno di loro rappresenta una posizione differente. Enea si fa portavoce della religione rivelata, Cleante si fa portavoce della religione naturale, in particolare dell’argomento dell’architetto, Filone rappresenta la posizione dello scettico che rifiuta sia la religione naturale che quella rivelata. Hume non intervenne mai nel racconto, è però facile identificare Hume con Filone.
Presupposto di Hume. È impossibile dimostrare l’esistenza di Dio perché non può esserci una dimostrazione empirica. Il problema è quindi di per sé irrisolvibile. Pur con questa premessa entra nei vari punti di vista di entrambi, evidenziandone i punti deboli di ognuna. Cleante presenta l’argomento dell’architetto. Esso si sviluppa maggiormente nella rivoluzione scientifica del seicento in cui vi è rovesciamento della visione geocentrica con l’affermazione di quella copernicana. La tesi centrale dell’argomento dell’architetto è che gli studi sulla natura rivelano un ordine e un modello negli aspetti fisici, chimici e biologici del mondo. Più si studia la natura, più si resta colpiti dalle criticate relazioni tra le sue parti e dal piano generale dell’universo. L’ordine e il progetto della natura assomigliano molto all’ordine e ai progetti dei manufatti umani, come le case e gli orologi, in cui ogni parte si adatta alla perfezione a tutte le altre allo scopo di raggiungere un obiettivo, una meta. Poiché gli effetti della progettazione umana sono tanto simili agli effetti che scopriamo nel mondo naturale possiamo inferire o indurre che le cause degli uni e degli altri siano le stesse in entrambi i casi. Nella sfera delle citazioni umane la causa è il sapere, l’intelligenza, il pensiero; quindi deve esistere una divinità intelligente che è amore o causa degli effetti dell’universo. E poiché la complessità costruttiva e l’ordine del mondo sono di gran lunga superiori all’ingegnosità umana, anche la loro causa deve essere molto più sapiente. L’universo è quindi come una macchina e poiché presenta un meccanismo perfetto chi l’ha creato è perfetto e non simile agli uomini.
Critica di Hume all’analogia. Hume dà inizio al suo attacco criticando l’analogia tra i prodotti umani e quelli della natura. Le opere dell’uomo e quelle della natura non si assomigliano sino al punto da darci forti ragioni di credere che abbiano cause simili. La dissomiglianza è così evidente, il massimo che si può arrivare a fare è una congettura, una supposizione. Hume inoltre è un empirista radicale: solo il ricorso all’esperienza può darci delle certezze. Mentre noi abbiamo esperienza della relazione tra la pianificazione o la progettualità umana e i risultati che ne derivano, nel caso della natura non abbiamo esperienza alcuna della causa, ma solo dell’effetto. L’oggetto naturale non assomiglia a quello prodotto dall’uomo. Potrebbero esserci molte cause dell’ordine e del progetto diverse dal pensiero.
LA PRIMA CRITICA DI HUME PUÒ ESSERE COSÌ RIASSUNTA: LA TESI FONDAMENTALE DELL’ARCHITETTO, OVVERO CHE VI È UNA GRANDE SOMIGLIANZA TRA GLI EFFETTI DELLA PIANIFICAZIONE UMANA E GLI EFFETTI NATURALI, E CHE QUINDI LA CAUSA DEI MANUFATTI UMANI, CIOÈ IL PENSIERO, È UGUALE ALL’AGENTE CAUSALE UNIVERSALE, NON È CONVINCENTE. Abbiamo imparato dall’esperienza che gli oggetti umani derivano dal progetto, ma non abbiamo alcuna esperienza simile riguardo agli oggetti naturali e al modo in cui essi nascono.
Hume sottolinea che se si prendesse sul serio la similarità tra oggetti naturali e oggetti umani e il principio che oggetti simili implicano cause simili si arriverebbe a concludere che L’AUTORE DELLA NATURA SIA MOLTO SIMILE A UN ESSERE UMANO. Più si insiste sul fatto che gli oggetti sono simili, più sarà necessario dipingere la divinità in termini umani, sarebbe quindi una divinità imperfetta, si giungerebbe così a una definizione di Dio in contrasto con tutte le tradizioni religiose. L’analogia porterebbe quindi a supporre che Dio è giusto e imperfetto a causa del suo prodotto. Hume sottolinea così che l’argomento dell’architetto è debole, esso parte da un presupposto che l’universo è perfetto e che colui che l’ha creato è perfetto. Se invece si partisse dall’esperienza del mondo si vedrebbe che il mondo è imperfetto e che quindi il creatore dovrebbe essere imperfetto diversamente da ciò che dice la tradizione. Hume sottolinea recuperando dagli stoici che l’universo è un grande animale più che una grande macchina. Hume quindi disse che se anche fosse stata vera l’analogia che oggetti simili producono cause simili si sarebbe concluso o che Dio era simile a un essere umano o che un illimitato numero di ipotesi erano valide. Erano possibili analogie totalmente differenti che avrebbero portato a tipi di conclusioni totalmente differenti ad esempio si vedono molte somiglianze tra gli eventi naturali e lo sviluppo di organismi viventi. Analogamente al mondo vegetale o a quello animale, l’intero mondo naturale potrebbe possedere alcuni principi interni di sviluppo e ordine.
Visto che l’unica informazione di cui dobbiamo servirci per giudicare è il carattere degli eventi cui assistiamo, se ne potrebbe anche proporre un’interpretazione materialistica e meccanicistica. Si può quindi ipotizzare che la materia abbia una capacità di autorganizzarsi e che l’universo possa esserci creato da sé. Secondo Hume non si può essere sicuri che il cosiddetto universo organizzato non sia il risultato di un
Non possiamo neppure essere certi dell’esistenza di un agente responsabile dell’ordine del mondo: di conseguenza, non possiamo certamente concludere che tale agente sia intelligente. Come elemento finale della sua critica all’argomento dell’architetto, Hume sottolinea che il ragionamento analogico su cui è imperniato, non fornisce una base per alcuna conclusione sugli attributi morali dell’architetto della natura, nemmeno se si è convinti che tale architetto esista. L’idea di una divinità buona e moralmente giusta non consegue in alcun modo dall’accostamento tra gli oggetti fatti dall’uomo e quelli naturali. Se si suppone che l’architetto sia simile all’uomo, non abbiamo alcuna ragione di pensare che l’autore della natura abbia una qualità morale. Quando si esamina il prodotto e cioè la natura e si prendono in considerazione i suoi aspetti gradevoli, possiamo forse trarne la conclusione che la sua pianificazione sia frutto di un’intelligenza giusta e buona.
Quindi, dati gli eventi infelici, spiacevoli e indesiderabili cui dobbiamo assistere, non siamo in grado di inferire che il progetto del cosmo sia benevolo, giusto o buono.
ß HUME DIMOSTRÒ CHE L’ARGOMENTO DELL’ARCHITETTO È BASATO SU UN’ANALOGIA ERRONEA; CHE QUAND’ANCHE FOSSE CORRETTO, CONDURREBBE A CONCLUDERE CHE LA DIVINITÁ È MOLTO SIMILE A UN ESSERE UMANO; CHE, SE CI SI BASA SOLO SULL’ESPERIENZA MOLTE ALTRE TEORIE POSSONO ESSERE VALIDE; E CHE L’EVIDENZA DEI FATTI È INSUFFICIENTE PER PERMETTERCI DI INFERIRE CHE IL MOTORE DELL’UNIVERSO E INFINITO E PERFETTO.

L’ARGOMENTO COSMOLOGICO (O CAUSALE)
Questo argomento parte dai dati dell’esperienza da ciò che osserviamo. Noi vediamo le cose muoversi a cambiare. Perché questi eventi accadono devono avere una causa. Tutto ciò che esiste ha quindi una causa sia intesa come evento precedente (causa efficiente) sia come ragione per il verificarsi dell’evento (causa finale). Spingendoci sempre più alla ricerca delle diverse cause dei diversi oggetti possiamo continuare all’infinito ma a un certo punto dobbiamo fermarci perché troviamo una causa ultima che non richiede ulteriori spiegazioni: è Dio. Per scartare l’alternativa di una successione infinita di cause, deve esistere una causa prima degli eventi che è Dio. A partire dall’esperienza delle cause degli eventi, possiamo provare l’esistenza di una causa prima, Dio. Tra i filosofi e teologi sostenitori i questo argomento vi sono: ARISTOTELE, MAIMONIDE E SAN TOMMASO D’AQUINO.


SAN TOMMASO D’AQUINO (1221-1274)
Tommaso ha compiuto una fusione tra le dottrine Aristoteliche e la teologia cristiana. La ragione e la fede per San Tommaso derivano dalla provvidenza divina e camminano in parallelo. Ritiene così che le verità di fede, come l’esistenza di Dio, sono oggetto di argomentazione razionale. Per dimostrare l’esistenza di Dio egli raccoglie ed articola le sue PROVE (chiamate vie) in cinque argomenti di fondo.

  • Via: essa parte dal principio che “tutto ciò che si muove è mosso dall’alto”. Ogni movimento che si verifica nel mondo deve richiedere un motore. Ogni motore è mosso poi da qualcos’altro e così via. Non potendo procedere all’infinito è necessario giungere a un primo motore che non va mosso da null’altro e questo primo motore è Dio (prova cosmologica).
  • Via: ogni accadimento richiede una causa. Nell’ordine delle cause non si può procedere all’infinito altrimenti non ci sarebbe una causa prima, una intermedia e una ultima. Vi deve essere una causa efficiente prima che è Dio (prova causale).
  • Via: Tommaso dice di verificare nel mondo la contingenza ovvero che le cose sono necessarie, potrebbero verificarsi in un altro modo. A questa contingenza deve contrapporsi Dio che è necessario.
  • Via: nel mondo vi è imperfezione e questa imperfezione si manifesta in modi differenti. Dobbiamo però avere un modello perfetto per dire che vi è imperfezione ed è Dio.
  • Via: le cose naturali, prive di intelligenza, appaiono dirette a un fine; questo non potrebbe essere se non fossero governate da un essere dotato di intelligenza. Questo essere è Dio che ordina le cose naturali a un fine.

Presupposto: impossibilità di far risalire all’infinito la catena delle cause.


Critiche all’argomento cosmologico

HUME: critica alla causalità
Hume sostiene che non siamo in grado di provare o di stabilire la premessa maggiore dell’argomento cosmologico, ovvero che ogni evento deve avere una causa (qualcosa che lo spiega). Il concetto di causa non ha esistenza oggettiva nella realtà. Nella nostra esperienza non verifichiamo nessi causali tra gli eventi ma solo successioni di eventi. Tutto ciò che possiamo determinare è quali eventi siano in successione regolare con altri eventi della nostra esperienza. Se ad esempio noi vediamo 2 eventi che si succedono e questa successione è regolare, possiamo stabilire a posteriori che l’evento B è causato dall’evento A. Questo ragionamento non può essere esteso al di là della nostra esperienza. Inoltre siamo noi che con la nostra ragione decidiamo che è impossibile procedere all’infinito dato un certo evento. Nulla però dimostra questo nel mondo. L’argomento cosmologico dimostra solo che la mente ha un’esigenza di regolarità; inoltre ha a sua disposizione una posizione limitata dalla realtà e decide che tutto funziona così.
KANT
Secondo Kant l’argomento cosmologico conteneva premesse non valide, che non provavano nulla. Stando a Kant la prima di queste premesse era che fosse possibile inferire da eventi contingenti l’esistenza necessaria di una causa della loro esistenza.
Per Kant il principio di causalità secondo il quale ogni evento deve avere una causa, si applica solo al mondo dell’esperienza sensibile.
Ma nell’argomento cosmologico questo principio della conoscenza empirica viene usato per portarci oltre il mondo dell’esperienza dei sensi verso qualcosa che si suppone lo trascenda. Questa estensione è ingiustificata a illegittima. Non abbiamo ragione alcuna di presumere che i principi impiegati nell’analisi della nostra esperienza possano essere applicati a ciò che va al di là dell’esperienza stessa. Inoltre non si può inferire la necessità dell’esistenza di una causa prima. Non abbiamo alcun mezzo razionale per arrivare alla fine della ricerca delle cause e delle spiegazioni, né abbiamo un qualche modo per determinare quando la serie delle cause e delle spiegazioni viene completata.
KANT CONSIDERAVA ERRATO NELL’ARGOMENTO COSMOLOGICO IL RICORSO A UN RAGIONAMENTO CHE ANDAVA AL DI LÁ DELL’ESPERIENZA POSSIBILE E ANCHE AL DI LÁ DEI LIMITI ENTRO CUI È GARANTITA L’AFFIDABILITÁ DELLE NOSTRE FACOLTÁ RAZIONALI. (è da ricordare che Kant pone il concetto di causa fra le 12 categorie con le quali la mente coglie i fenomeni. I soggetti non si limitano a fotografare la realtà ma li ordinano e li interpretano con le categorie che hanno una base innata. I soggetti così non colgono la realtà così com’è ma la realtà così come appare. La categorie di causa può quindi essere applicata solo all’esperienza, se si estende a Dio porta a degli errori. La religione può essere solo appensa di fede, al più può farmi agire moralmente).

L’ARGOMENTO ONTOLOGICO
L’argomento ontologico ritiene di dimostrare l’esistenza di Dio a partire dalla sola definizione del concetto di essere supremo che i soggetti hanno nella loro mente. Si tratta di una pura dimostrazione a priori. Tra coloro che hanno sostenuto questo argomento vi sono: SANT’ANSELMO, CARTESIO E SPINOZA.
SANT’ANSELMO
Egli sostenne che chiunque comprendesse ciò che si intendeva con il termine Dio si sarebbe necessariamente reso conto che un ente del genere doveva necessariamente esistere. Dio è ciò di cui non si può concepire nulla di maggiore. Proprio per questa sua definizione egli deve esistere non solo come idea nella mente degli uomini ma anche nella realtà. Dio deve necessariamente esistere realmente altrimenti si potrebbe percepire qualcosa maggiore di Dio.  ß
L’ESSENZA DI DIO IMPLICA L’ESISTENZA.
CARTESIO
Secondo Cartesio una prova dimostrativa dell’esistenza la si trova nell’idea che ciascuno ha nella propria mente, di un essere sovrannaturale perfetto, non meno di quella di qualsiasi figura e di qualsiasi numero. Cartesio riprende così l’argomento di Sant’Anselmo aggiungendovi un’analogia con la matematica. L’esistenza di Dio è certa come quando si definisce un triangolo. Visto che nella mia mente ha sia l’idea di un triangolo, sia l’idea di Dio, l’idea di un essere perfetto deve avere corrispondenza reale.
L’esistenza di Dio deve mantenere nel mio spirito almeno lo stesso grado di certezza che ho attribuito fin qui a tutte verità matematiche.


SPINOZA
L’essenza di Dio è tale da rendere necessaria la sua esistenza. Un essere perfetto deve esistere altrimenti non sarebbe perfetto. Spinoza a differenza di Cartesio e Sant’Anselmo identifica Dio con la totalità della realtà. Spinoza afferma quindi l’esistenza di una divinità ma le attribuisce caratteristiche differenti dalla religione tradizionale. Questa sua posizione è definita PANTEISMO: Dio non è un essere separato dall’universo, egli pervade il cosmo intero. DIO È TUTTO OPPURE È IN TUTTO.

Critiche all’argomento ontologico

MONACO GAUNILONE
Inviò la sua critica a un suo contemporaneo, Sant’Anselmo. Egli osservò che se questa forma di ragionamento fosse vera, si sarebbe anche potuto dimostrare che dovevano esistere tutti i tipi di oggetti reali e irreali. Per esempio se si potesse immaginare che da qualche particolare il punto cui si possono spingere i naviganti vi sia un’isola perfetta, ne conseguirebbe che, se quest’isola fosse perfetta, allora secondo l’argomento di Anselmo l’isola dovrebbe necessariamente esistere. Poiché è perfetta per definizione, a partire da questo solo concetto, essa deve realmente esistere. Gaunilone cercò di dimostrare che l‘argomento conteneva elementi assurdi e contradditori. Anselmo rispose a questa critica dicendo che l’argomento ontologico si applicava solo a Dio, dal momento che si trattava dell’unico concetto possibile di oggetto perfetto.
SAN TOMMASO
L’errore dell’argomento ontologico stava nel presumere che si potesse conoscere la natura di Dio, ovvero il suo essere perfetto prima di sapere se egli esiste o no.
Per San Tommaso si può conoscere la natura di Dio solo dopo aver saputo della sua esistenza, non viceversa. Ne consegue che PRIMA DOBBIAMO STABILIRE LA SUA ESISTENZA CON ALTRI MEZZI, POI STUDIARE LE SUE QUALITÀ E, ALLA FINE DI QUESTA ANALISI, POTREMMO SAPERNE ABBASTANZA PER DEFINIRE DIO.
L’argomento ontologico è debole: presuppone che l’interlocutore abbia già un’idea di Dio. Gli argomenti che partono dal reale sono più convincenti.

KANT
Egli volle dimostrare che l’esistenza non è un tipo di qualità che possa far parte della definizione di un qualsiasi concetto. L’esistenza è una questione di fatto, non può essere oggetto di una dimostrazione a priori, non è una caratteristica. In un celebre esempio, Kant notò che l’idea di 100 talleri e 100 talleri veri contengono la stessa quantità di denaro. Il suo valore economico è lo stesso, che io ci stia solo pensando o che abbia i soldi in tasca. Il concetto non cambia se ci si limita a pensarlo oppure se lo si pensa come esistente. L’unica cosa che cambia è che se i 100 talleri sono veri essi avranno delle conseguenze, ma questo non aggiunge niente all’idea dei 100 talleri. Applicando questo principio all’argomento ontologico, troviamo che la forza dell’idea di dio come essere perfetto non aumenta se lo si pensa come perfetto ed esistente o semplicemente come perfetto.
DOPO KANT LA FILOSOFIA È GIUNTA ALL’IMPOSSIBILITÀ DI DIMOSTRARE RAZIONALMENTE L’ESISTENZA DI DIO. SI HA QUINDI LA FINE DELLA TEOLOGIA RAZIONALE. LE POSSIBILI CONSEGUENZE DELL’ABBANDONO DI DIMOSTRARE RAZIONALMENTE DIO SONO:
ATEISMO
Esistono due forme di ateismo. Una prima forma sostiene la pura e semplice negazione dell’esistenza di un qualsiasi essere divino. Questa tesi è una conseguenza logica della natura insoddisfacente delle prove dell’esistenza di Dio. La seconda forma di ateismo ritiene che gli Dei esistono ma vivono in un altro mondo rispetto a quello degli uomini e non si occupano assolutamente delle cose del mondo. Epicuro sostiene questa forma di ateismo. Tra queste due forme di ateismo comunque c’è qualcosa che le accomuna: il mondo fisico è distinto dal mondo di Dio.
AGNOSTICISMO (=non sapere)
L’agnostico sostiene che non vi siano sufficienti elementi razionali per stabilire né l’esistenza né la non esistenza di un essere supremo. Di fronte a un problema insolubile rifiuta di prendere una posizione e si astiene dal giudizio sin quando non siano acquisiti elementi più decisi a fronte di una parte o dell’altra.
IL FIDEISMO
Questa posizione riconosce l’inadeguatezza delle prove dell’esistenza di Dio e ritiene che la nostra conoscenza religiosa non è e né dovrebbe essere basata su un sapere razionale e naturale, ma piuttosto esclusivamente sulla fede.
LA CONOSCENZA RELIGIOSA VA OLTRE I LIMITI DELLE FACOLTÀ RAZIONALI E DELL’INTELLETTO UMANI.
Ne consegue che gli esseri umani, se vogliono giungere alla conoscenza religiosa, devono prima riconoscere che non vi è speranza di giungervi con i mezzi razionali e poi mettersi alla ricerca della conoscenza di Dio usando la sola fede. Coloro che hanno sostenuto le tesi fideistiche vi sono PASCAL e KIERKEGAARD (tra gli irreligiosi VOLTAIRE e HUME).
PASCAL
È uno scienziato e filosofo francese del seicento.
Pascal parte dalla posizione dello scettico: non ci sono cioè prove giuste per dimostrare l’esistenza di Dio. Tutto ciò che sappiamo è incerto fuorché la fede e la rivelazione. Nonostante però vi sia la nostra totale incertezza e la nostra totale incapacità di comprendere alcunché, noi non riusciamo ad accontentarci dello scetticismo o dell’agnosticismo ma ci ritroviamo spinti con forza a credere. SIAMO QUINDI DILANIATI TRA UNO SCETTICISMO INTELLETTUALE CHE METTE TUTTO IN DUBBIO E UN DOGMATISMO NATURALE CHE CI SPINGE A CREDERE A MOLTE COSE.
Poiché non possiamo giustificare le nostre credenze in modo razionale, siamo infine costretti a passare dall’insoddisfacente ricerca della conoscenza razionale a una conoscenza basata solo sulla fede. Lo scettico e l’agnostico condividono con Pascal il rifiuto di ogni conoscenza apparentemente basata su principi razionali o naturali, ma non fanno il passo successivo, quello della fede pura.
(Pascal critica Cartesio per la sua concezione di Dio: ovvero rappresenta Dio come qualcuno che dà l’impulso al mondo e poi se ne disinteressa, Pascal rivendica il Dio della tradizione ebraica e prima di Kant dice che nessuno ha descritto il Dio della tradizione religiosa.)
LA RIVELAZIONE
Un’altra concezione che spesso si trae dalle critiche dell’argomento a favore dell’esistenza di Dio, a volte inserita in una teoria fideista, è che la conoscenza religiosa non può essere basata sull’evidenza naturale, ma è invece basata sulla conoscenza rivelata. La conoscenza religiosa appartiene a un ordine differente da quello della conoscenza naturale e che i filosofi della religione hanno spesso trascurato questa distinzione, occupandosi della sola religione naturale, i cui insegnamenti potrebbero rivelarsi tanto insoddisfacenti come pensavano Hume e Kant. Ma resta un’altra area del pensiero religioso, la religione rivelata, che è immune dalle critiche rivolte alla religione naturale. La rivelazione si trova in alcuni documenti che vengono accettati come parola di Dio, oppure in alcune esperienze che vengono considerate complicazioni o contatti, con un essere divino.
Negli ultimi cento anni si è sviluppata un’altra visione della conoscenza religiosa fondata sui bisogni umani e sul carattere peculiare dell’esperienza religiosa umana. Il filosofo e psicologo americano James sottolineò che alcune persone vogliono credere, vi sia o no una prova adeguata. L’oggetto della fede può essere deciso nella vita di queste persone e quindi la fede non va giudicata negativamente solo perché non è possibile provarla e convalidarla. Oltre a James, anche Pascal e Kierkegaard affermano che vi è differenza tra credere e conoscere. Si crede nonostante la mancanza di conoscenza, se il credere viene giudicato sufficientemente importante.
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LE CREDENZE RELIGIOSE POSSONO ANCHE DERIVARE DA BISOGNI UMANI, MA QUESTI NÉ LE SPIEGANO, NÉ RENDONO MENO NECESSARIA UNA SPIEGAZIONE.
LA RIFLESSIONE SULLA RELIGIONE HA UN ESITO: LA TOLLERANZA.
LA FILOSOFIA CI MOSTRA COME IL GRADO DI CERTEZZE DERIVA DALLE CREDENZE, BISOGNA INVECE ESSERE PRUDENTI. NON CI SONO ARGOMENTI RAZIONALI PER DIMOSTRARE UNA CREDENZA COME LA FEDE. IL CARATTERE DELLA FEDE STA NELLA SUA IRRAZIONALITÀ.
Un altro problema di cui sono occupati i filosofi delle religione è quello della
NATURA DI DIO
L’ATEISMO
L’ateismo è la teoria secondo cui Dio non esiste, o se esiste, non può in alcun modo influenzare l’esistenza umana. Riguardo alla natura di Dio gli ATEI ritengono che Dio è una funzione dell’immaginazione umana inventata per una serie di ragioni psicologiche, sociologiche, economiche e di altro genere .
Nietzche e Freud ad esempio ritengono che le credenze religiose sono nate a causa di alcuni bisogni umani, come per esempio il desiderio di sentirsi al sicuro nell’immensità del cosmo e altri bisogni simili. Thomas Paine e Marx hanno messo in rilievo la funzione delle fedi religiose nella sopravvivenza di specifiche istituzioni e nella permanenza al potere, politico e sociale, di alcune classi. Freud ha tentato di stabilire una connessione tra i problemi sessuali e le convinzioni religiose. Rifacendosi a queste teorie gli atei sostengono che Dio come ente reale non esiste e che si tratta di una costruzione della mente umana, inventata per soddisfare particolari bisogni.
Le basi filosofiche dell’ateismo
All’ateismo hanno fornito basi filosofiche più solide le teorie metafisiche che assicurano una comprensione razionale adeguata di ciò che sappiamo sul mondo per mezzo di un sistema in cui non sono presenti concetti sovrannaturali. A giustificazione dell’ateismo è stata spesso proposta una metafisica materialista o naturalista che sostiene che nel cosmo non vi è null’altro se non oggetti materiali o naturali. Un’altra giustificazione all’ateismo è stata data da filosofi che hanno sostenuto che nessuna teoria coerente o soddisfacente della natura di Dio ha mai spiegato come faccia un essere divino a possedere qualità generalmente attribuite alla divinità e avere nel contempo qualcosa a che fare con il mondo umano. A partire dall’antichità, con Epicuro, sino ai pensatori contemporanei come Russell i filosofi hanno sostenuto che nell’idea di un Dio giusto, che governa un universo ingiusto vi sono numerosi paradossi e contraddizioni.
IL DEISMO
Questa teoria sulla natura di Dio afferma che esiste un essere o un potere divino separato dal mondo fisico, il quale ha creato o dato inizio a questo stesso mondo fisico ma non esercita alcuna forza o influenza diretta sugli eventi che hanno luogo nell’universo così com’è ora. Questa teoria si sviluppò nel 600 con lo sviluppo dei sistemi fisici e astronomici; molti pensatori si resero conto che le nuove idee scientifiche suggerivano un’immagine dell’universo come meccanismo autonomo.
DIO VENIVA PRESENTATO COME “IL PERFETTO OROLOGIAIO” CHE AVEVA CREATO O REGOLATO IL MECCANISMO DEL MONDO SECONDO I MIGLIORI PRINCIPI RAZIONALI E POI, DOPO AVER MESSO IN MOTO LA MACCHINA, NON AVEVA PIÙ SVOLTO ALCUN RUOLO NELLE VICENDE DELLA NATURA.
ILTEISMO
Questa teoria si adatta alla maggior parte delle tradizioni religiose d’occidente.
ESISTE UN DIO O UNA PLURALITÀ DI DEI, CHE HA UNA QUALCHE SORTA DI RELAZIONE PERSONALE O DIRETTA CON GLI ESSERI UMANI. La concezione ateistica della divinità può essere o politeistica (ci sono molti dei) o monoteistica (una sola divinità). Sia la versione mono che poli comportano molti altri problemi sulla natura di Dio che devono essere ancora risolti. Uno di questi è se Dio sia finito o infinito per quel che riguarda la potenza, la conoscenza e gli altri attributi. Nel politeismo dell’antica Grecia ogni divinità era limitata a ciò che era in grado di compiere, mentre nella tradizione giudeo-cristiano-islamica la divinità viene considerata come onnipotente e non soggetta ad alcun vincolo. Un’altra questione molto discussa dai teisti è la relazione tra la natura divina e i criteri della bontà, giustizia, moralità e via di seguito. Il problema è quindi se i valori sono frutto della decisione arbitraria di Dio, o degli dei, oppure se vi siano criteri di valore universale a cui si sottomette e obbedisce la divinità stessa. Abbiamo da un lato teorie ateistiche in cui la natura di Dio viene concepita come co-eterna e delle verità che Dio acetta e le impiega nelle sue relazioni col mondo.
Altre teorie definite VOLONTARISTICHE affermano che la potenza delle divinità è totalmente illimitata ed è un potere di Dio far sì che una cosa sia buona o cattiva. Tutto ciò che Dio vede è, per il semplice fatto che Egli lo vuole, necessariamente giusto o sbagliato.
Critiche al teismo
I tentativi di costruire una teologia razionale sono stati spesso esposti in termini teistici; si sono opposti gli scettici, i mistici e i fideisti. Sono state avanzate forti obiezioni basate sul fatto che le teorie proposte dai teisti non soddisfano le esigenze della mente razionale. Diversi pensatori religiosi hanno tentato di dimostrare che razionalmente non possiamo scoprire nulla di Dio. Tra i mistici e i fideisti, i più estremisti hanno sostenuto la tesi della cosiddetta TEOLOGIA NEGATIVA per la quale Dio è al di là di qualsiasi classificazione o categoria l’uomo possa mai costruire. Su Dio non si può asserire mentre, se non proposizioni puramente negative, che dicono cosa Egli non è. Di conseguenza la nostra conoscenza di Dio può essere formulata solo in termini negativi.
IL FONDAMENTALISMO
Altri come NEWTON hanno sostenuto che sia la natura che le scrittura erano esposizioni del messaggio di Dio all’uomo, un messaggio da decifrare o con la scienza o con lo studio della rivelazione divina così come veniva presentato nella bibbia o nel corano
Un movimento di studiosi biblici, nato con SPINOZA, elaborò quella che è stata definita “la critica storica della Bibbia” ovvero uno studio di quest’opera dal punto di vista della sua storia e del suo sviluppo, che poneva in discussione l’accuratezza del testo e discuteva se fosse stato scritto da Dio o da altri esseri umani.
Tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 nacque una teoria che oggi sarebbe definita FONDAMENTALISTA in cui si sosteneva che la Bibbia era parola di Dio, che il testo in nostro possesso era esatto in tutti i particolari e che il suo significato poteva essere accertato con un’interpretazione letterale. Questa teoria presuppone che Dio esista con certezza, che sia immutabile e che comunichi la sua volontà all’umanità attraverso un testo da Lui presentato per noi attraverso tutte le vicissitudini della storia.
La filosofia della religione non si occupa di presentare prove né a favore dell’ateismo né a favore della fede religiosa.
IL SUO OBIETTIVO PRINCIPALE STA PIUTTOSTO NELL’ESAMINARE LE PRETESE CONOSCITIVE CHE VENGONO AVANAZATE IN QUESTA SFERA, CON LO SCOPO DI CHIARIRE SE VI SIANO CRITERI IN RELAZIONE AI QUALI ESSE POSSANO ESSERE GIUSTIFICATE, E NEL VALUTARE E INTERPRETARE QUESTE PRETESE NEL QUADRO DI UNA COMPRENSIONE RAZIONALE.

 



Gli atei ritengono che sono a disposizione di tutti delle teorie che spiegano perché gli uomini abbracciano idee religiose e suggeriscono che il ruolo svolto dalle fedi religiose nella storia umana non ha nulla a che fare con l’esistenza di Dio.

 

Fonte:http://appunti.buzzionline.eu/downloads/filosofia0405.doc
Autrice del testo : Betty

 

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