Elettromagnetismo teorie e applicazioni

 

 

 

Elettromagnetismo teorie e applicazioni

 

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Fisica: l’elettromagnetismo e le sue applicazioni

 

Fisica: l’elettromagnetismo e le sue applicazioni

  • Cenni storici
  • Magneti, dipoli magnetici e confronto con il campo elettrico
  • Magnetismo generato da cariche elettriche in movimento
  • Forze magnetiche agenti su fili percorsi da corrente
  • Proprietà magnetiche della materia
  • Leggi di Faraday- Neumann -Lenz e la f.e.m indotta
  • Applicazioni pratiche dell’elettromagnetismo
    • Funzionamento di un motore elettrico e un generatore di corrente
    • Interruttori di sicurezza
    • Dispositivi sonori ed elettromeccanici
    • Tubo a raggi catodici
    • Trasformatori di tensione
    • Galvanometri, amperometri e volmetri
    • Realizzazione di un semplice amperometro

 

Scienze della terra: il magnetismo terrestre

    • Cenni storici
    • Teorie sull’origine del campo magnetico e sue caratteristiche
    • Effetti del magnetismo terrestre
    • Macchie solari e altri elementi che possono influenzare il campo magnetico terrestre

 

 

Fisica: l’elettromagnetismo e le sue applicazioni

 

Cenni storici

L'esistenza di un magnetismo naturale era noto già agli antichi greci (V - VI secolo AC) ma probabilmente ancora precedentemente era già stato scoperto nell'antica Cina dove, si dice, fosse già in uso un rudimentale prototipo di bussola magnetica. Quello che è certo, comunque, è che già gli antichi avevano scoperto la capacità di alcuni minerali (ad esempio la magnetite) di attrarre la limatura di ferro o piccoli oggetti ferrosi. Questa capacità di esercitare una forza a distanza ha dato fin dagli albori un particolare significato nei secoli al magnetismo. I primi studi quantitativi sui fenomeni magneto-statici si possono far risalire alla fine del Settecento.
Durante questo periodo la concezione dominante nella fisica riguardo ai fenomeni elettrici e magnetici era che la natura dei due fosse del tutto distinta. Da questa visione si dissociavano alcuni scienziati come il fisico danese Hans Christian Oersted, che , sorretto dalle convinzioni della Naturphilosophie, effettuò nel 1820 un famoso esperimento, per dimostrare le interazioni tra elettricita e magnetismo.
In esso un ago magnetico, posto nelle vicinanze di un filo percorso da corrente, subiva l'azione di una forza e deviava dalla sua posizione iniziale. Questo pionieristico esperimento segnò una svolta decisiva negli studi dei fenomeni magnetici, da allora strettamente combinati a quelli elettrici, e la sua grande risonanza ebbe notevoli conseguenze. Innanzitutto, fino ad al­lora si conoscevano forze, come l'interazione gravitazionale tra due masse e l'interazione elettrostatica tra due cariche, che agivano lungo la congiun­gente i corpi considerati. Essi, pertanto, se lasciati liberi di muoversi, subi­vano una traslazione. Nel caso considerato da Oersted, invece, l'azione del-la corrente determinava una rotazione dell'ago magnetico: di conseguenza, la causa della rotazione non poteva essere una forza, ma un momento. Un'altra significativa conseguenza, dovuta al fisico francese Ampere, era originata dal tentativo di descrivere il magnetismo come un aspetto dell' e­lettricità in movimento. Mentre in generale un magnete e una carica in quie­te non interagiscono tra loro, una carica in moto esercita un'azione su un polo magnetico (e viceversa). Ciò implica che i magneti non sono le uniche sorgenti di campo magnetico: infatti dall'esperienza di Oersted segue che una corrente elettrica circolante in un filo e in grado di produrre un campo magnetico. Con l'unificazione degli studi dei fenomeni elettrici e magnetici e delle loro interazioni nasceva cosi l'elettromagnetismo.

 

Magneti, dipoli magnetici e confronto con il campo elettrico

 

Nella prima immagine si vede come la limatura di ferro si dispone secondo le linee di forza del  campo B. Nella seconda invece si vede la direzione e verso delle linee di forza.

 Un magnete, o dipolo magnetico, è formato da due poli: polo nord e polo sud. Negli studi fatti nel corso dei secoli, una delle prime cose che apparve subito chiara è che non è possibile separare i due poli, come si fa ad esempio con le cariche elettriche. Le linee di forza del campo magnetico sono dirette dal polo nord (uscenti) al polo sud (entranti). Per quanto detto prima riguardo all’impossibilità di separare un dipolo magnetico dunque, tali linee descrivono sempre un percorso chiuso.
Applicando il teorema di Gauss al campo magnetico è
immediato capire come il flusso del campo magnetico
B attraverso una superficie chiusa sia pari a zero, in quanto ad una linea di forza entrante ne corrisponde sempre una uscente. Questa è una delle differenze tra il campo magnetico e quello elettrico.
Un’altra diversità è costituita dalla circuitazione (C) del campo magnetico B lungo una linea chiusa. Al contrario del campo elettrico E dove CE=0 per qualsiasi linea chiusa, in B si ha che CB è proporzionale all’intensità di corrente che attraversa la superficie delimitata dalla linea chiusa. Si può quindi dimostrare che CB è dato dal prodotto tra la somma algebrica delle correnti che attraversano la superficie e la costante μ0 chiamata permeabilità magnetica

 

Magnetismo generato da cariche elettriche in movimento

 

Come detto in precedenza, e come dimostrato anche dall’esperimento di Oersted esiste una relazione tra cariche elettriche e campi magnetici. Tale interazione può essere espressa nel modo seguente: se consideriamo una particella carica indicata con q che, muovendosi a velocità costante v, penetri in una regione dello spazio in cui a presente un campo magnetico uniforme, essa è soggetta ad una forza pari a F=qvBsen α, dove α rappresenta l’angolo tra il vettore v e il vettore B. Tale forza è detta forza di Lorentz.
Tramite il metodo della mano destra noi siamo in oltre in grado di conoscere il verso del prodotto vettoriale della forza conoscendo B e v: posto il pollice nel verso di v e l’indice nel verso di b, il medio, messo perpendicolarmente ci indica il verso di F. Se la carica di prova è positiva la forza è uscente dal palmo (direzione del medio) mentre se la carica è negativa è entrante (verso opposto).
A sua volta, una carica elettrica in movimento è in grado di generare un campo magnetico. Dal momento che la corrente elettrica altro non è se non il movimento di tante cariche negative, gli elettroni, ciò vuol dire che un filo conduttore percorso da corrente è in grado di generare un campo magnetico, la cui intensità varia a seconda della corrente I e della forma che viene data al filo.
In generale infatti, il campo B attorno ad un filo, è circolare e il verso è dato dal verso della corrente, più precisamente se la corrente è diretta verso l’alto (supponendo un filo verticale) il verso sarà  antiorario, viceversa se la corrente è diretta verso il basso il verso sarà orario. Sempre usando il metodo della mano destra è immediato capire il verso del campo magentico: posizionato il pollice nel verso di I e stringendo la mano attorno al filo, il verso delle dita ci indica il verso di B
L’intensità di tale campo magnetico è facilmente ricavabile tramite la legge di Biot-Savart (due fisici che studiarono vari aspetti e fenomeni del magnetismo e dell’elettromagnetismo) la quale dice che
B=   μ0I
        2πd

dove μ0 è una costante detta permeabilità magnetica del vuoto (μ0=4.π.10-7) e 2πd rappresenta la circonferenza di raggio d, ovvero la distanza dal filo. Questa legge è alla base delle varie tipologie di configurazioni di fili percorsi da corrente e del funzionamento di moltissimi apparecchi che sfruttano l’elettromagnetismo.

Nell’immagine si vede come i campi magnetici generati nei piccoli trattini della spira, diano origine al centro ad un campo B simile ad un dipolo magnetico

 Come si è detto però il campo magnetico, varia anche a seconda della forma che viene data al filo. Se ad esempio esso viene curvato, dandogli la forma di un anello, o spira, il campo magnetico si calcola  considerando la legge di Biot-Savart per un filo rettilineo. Si può pensare infatti di suddividere la spira, in tanti piccoli tratti di filo che possono essere considerati come rettilinei. Calcolando l’intensità dei tanti ΔB si trova che il campo B al centro della spira è simile a quello generato da una barretta magnetica e il suo verso può essere trovato “avvolgendo” le dita della mano nel verso della corrente e il pollice, verso di B, perpendicolare ad esse. La formula per ricavare l’intensità di tale campo magnetico è simile a quella di Biot-Savart:                                  
B=   μ0I
        2r

 

la sola differenza consiste nel fatto che nel rapporto al posto di 2πd, c’è due volte il raggio della spira. Come si può vedere il campo magnetico generato da una spira è più intenso di quello generato da un filo conduttore rettilineo.
Un ulteriore potenziamento dell’intensità di B, si può ottenere con una particolare disposizione di spire: si tratta del solenoide. Esso è costituito da un filo conduttore avvolto attorno ad una base cilindrica, così da formare molte spire poste le une vicino alle altre. Con tale disposizione, se il diametro delle spire è piccolo in rapporto alla lunghezza del solenoide stesso, in campo generato è parallelo all’asse longitudinale. All’esterno del solenoide il campo è nullo, mentre all’interno è dato dalle formule:
B=   μ0NI               B= μ0nI
l

dove N rappresenta il numero delle spire e l la lunghezza del solenoide. Il rapporto N/l è detto densità lineare e viene indicata con n. L’intensità del campo magnetico che si genera all’interno del solenoide può inoltre essere aumentata avvolgendo le spire di filo conduttore attorno ad un cilindro, o una barretta di materiale ferromagnetico.

 

Forze magnetiche agenti su fili percorsi da corrente
Come detto prima un filo conduttore percorso da corrente genera un campo magnetico. Se il filo viene “immerso” in campo B esterno, i due campi interagiscono tra loro, dando origine a forze differenti.
Se si prende ad esempio un filo rettilineo interposto tra 2 magneti, su di esso agisce una forza pari a F= IBlsen α, dove I è la corrente che attraversa il filo, l è la lunghezza e α è l’angolo formato tra il filo e il campo B. La direzione della forza agente sul filo, può, come nel caso delle altre forze fin’ora descritte, essere determinata tramite la regola della mano destra.
Il campo magnetico “esterno” inoltre, può essere generato, oltre che da un magnete permanente, anche da un altro filo percorso da corrente. Si parla in tal caso di interazione corrente-corrente (invece che di corrente-magnete).
Se prendiamo l’esempio di due fili paralleli posti l’uno vicino all’altro ad una distanza d, su di essi agisce una forza, chiamata forza per unità di lunghezza (F/l):

F1 = F2 =   μ0I1I2
            l      l          2πd

Come si nota le forze agenti sui due fili sono uguali e sono dipendenti dalla lunghezza dei fili, dalle correnti che attraversano gli stessi, e dalla distanza interposta tra i due conduttori. In particolare il verso della corrente è molto importante in quanto se le due correnti hanno verso concorde la forza è attrattiva, mentre se sono opposte la forza è repulsiva.
Anche con l’interazione magnete-corrente (o corrente-corrente) le forze agenti su un filo e in particolare i loro effetti, variano con la forma che viene data al conduttore stesso.
Se ad esempio si riprende in considerazione una spira percorsa da corrente la forza che viene generata, può essere utilizzata per produrre energia meccanica. Infatti se tale spira viene immersa in un campo magnetico, su di essa agiranno diverse forze: supponendo di avere una spira di forma rettangolare come quella nel disegno si avranno ad esempio 4 differenti forze. Quelle agenti sui lati più lunghi ( b nella figura a sinistra ) tenderanno a deformare la spira stessa (nella realtà la spira è realizzata in modo da contrastare tali forze). Le due forze più importanti invece sono quelle che agiscono sui lati più corti (a): esse  infatti, se la spira viene fissata ad un asse libero di ruotare, fanno muovere la spira fino a che essa non si trova in posizione perpendicolare al campo magnetico generato dai magneti. L’intensità di queste forze è F=IaB. La spira quindi è sottoposta ad un momento, la cui intensità è pari a M=IABsen α , dove A è l’area della spira data da ab, o altrimenti, detto il prodotto IA=m (momento magnetico) si ha che M=mBsen α. La spira quindi continuerà a ruotare finche l’angolo α (tra piano della spira e campo B) non diventa nullo, mentre il momento massimo si avrà con α= π/2+kπ.

 

Proprietà magnetiche della materia
Come sappiamo non tutti i materiali reagiscono con fenomeni di attrazione o repulsione se vi viene avvicinato un magnete. Ad esempio le materie plastiche non risentono di tale campo di forza. Tale distinzione va ricercata a livello atomico e più precisamente nei momenti degli atomi stessi. Infatti un elettrone che ruota attorno al suo nucleo descrive una semplice spira percorsa da corrente (detta corrente elettronica) che ha quindi un suo momento magnetico. Inoltre ad esso si aggiunge il momento magnetico di spiin (o intrinseco) dovuto alla rotazione su se stesso dello stesso elettrone. Tali momenti magnetici di ogni atomo possono reagire in modo differente se sottoposti ad un campo magnetico esterno. Tali differenze permetono di suddividere la materia il 3 grandi gruppi:


Materiali paramagnetici: in queste sostanze gli atomi che le costituiscono sono dotati di un momento magnetico non nullo. Se tali materiali vengono immersi in un campo magnetico esterno, i momenti magnetici tendono ad orientarsi nel verso di B aumentando, anche se di poco, la sua intensità. Si dice che il materiale tende a magnetizzarsi.
Materiali diamagnetici: in questi materiali i momenti magnetici di ogni atomo, se sottoposti ad un campo B tendono a disporsi in modo disordinato. Ciò ha come effetto un’indebolimento del campo B e di conseguenza il materiale non si magnetizza.
Materiali ferromagnetici:

essi sono i più importanti. Come nel caso delle sostanze paramagnetiche i momenti di ciascun atomo tendono ad allinearsi al campo magnetico esterno, ma in maniera molto più intensa. Ciò permette di rafforzare anche di molto il campo esterno e di magnetizzare il materiale. Queste sostanze sono usate per la costruzione di magneti permanenti, bussole e molti altri oggetti.
Per produrre magneti permanenti solitamente il materiale usato è portato ad alta temperatura. Questo perché all’aumentare di essa, la sostanza perde lentamente le sue proprietà magnetiche fino a raggiungere il punto di Curie dove non è più presente magnetizzazione. A questo punto il materiale viene fatto raffreddare e contemporaneamente sottoposto ad un campo magnetico molto intenso. Questo fa si che la maggior parte dei momenti magnetici degli atomi si allinei nel verso di B, dando origine ad un magnete permanente.

 

Leggi di Faraday-Neumann-Lenz e la f.e.m indotta


Le interazioni corrente-magnete non si limitano alla forza F, descritta precedentemente nel caso il filo venga percorso da corrente. Infatti se ad una spira, dove non scorre alcuna corrente, avviciniamo un magnete, ai capi di tale conduttore è possibile rilevare una differenza di potenziale o f.e.m indotta. Ciò è possibile in quanto avvicinando il magnete, il flusso del campo B, dato da ΦB=BScos α (dove S è la superficie), varia nel tempo.
In base agli studi effettuati su questo fenomeno, Faraday trovò che la f.e.m indotta è proporzionale alla rapidità con cui varia il flusso di B, ovvero formulando la legge di Faraday-Lenz che afferma che:
f.e.m. = -   ΔΦB
                  Δt
Il segno meno indica la polarità della f.e.m. indotta, che si ricava osservando il verso della corrente indotta secondo una legge detta legge di Lenz. Secodo quest’ultima infatti il verso della corrente causata dalla f.e.m. indotta è tale da generare un campo magnetico che si oppone alla variazione del flusso che ha prodotto la f.e.m. stessa.

 

 

Applicazioni pratiche dell’elettromagnetismo

 

Motori elettrici e generatori di corrente

 

I motori elettrici e i generatori di corrente sono le applicazione, che si basano sui fenomeni elettromagnetici, sicuramente più usate al giorno d’oggi. Entrambi si basano sul medesimo principio, ovvero che come accennato prima, un filo a forma di spira percorso da corrente e immerso in un campo magnetico è soggetto a forze che, se la spira è fissata ad un asse di rotazione, tendono a farla ruotare. E’ logico quindi pensare che tale proprietà possa essere utilizzata come fonte di energia meccanica.
Un motore elettrico infatti si basa esattamente sul principio della spira, con l’unica differenza che affinché il moto di rotazione sia il più lineare possibile e per aumentare potenza e coppia del motore stesso sono presenti molti avvolgimenti elettrici.
I motori elettrici sono formati in genere da due parti: statore (la parte fissa) e rotore (la parte in movimento). Per motori di piccole dimensioni e potenza lo statore è costituito da due magneti e il rotore dagli avvolgimenti elettrici. In motori più potenti, o che necessitano di particolari caratteristiche, è però più conveniente usare gli avvolgimenti come statore e il magnete come rotore.
I motori elettrici si possono distinguere in motori in corrente continua (DC) o corrente alternata (AC):
nei primi la corrente fornita è di tipo lineare (come quella fornita dalle pile, batterie o altri alimentatori DC ).
Come si è detto precedentemente una spira tende a ruotare finchè il suo momento magnetico non è allineato al campo magnetico. Quindi partendo ad esempio con una spira orizzontale, essa tende a ruotare fino a portarsi in posizione verticale. Da tale posizione, se il verso della corrente e quello del campo magnetico rimangono uguali la spira non si muoverebbe più. Occorre quindi variare uno dei due parametri e quello più semplice è conveniente è il verso della corrente.
Nella progettazione del motore infatti, si deve tener conto di questo elemento e far in modo che il verso della corrente cambi in maniera automatica. Il metodo più semplice per ottenere ciò è usare dei collettori a spazzole, detti anche commutatori (o anello di Pacinotti) che fanno si che il verso della corrente venga invertito.

 

 

 

Come si può vedere nelle immagini infatti all’inizio il rotore inizia a girare quando viene applicata corrente ai sui capi. Esso continua il suo moto rotativo (immagine 2) finchè il collettore a spazzole incontra un’interruzione nell’anello di rame posto sul rotore. Per forza di inerzia il rotore continua a girare anche nel brevissimo intervallo in cui non circola corrente. Subito dopo l’inversione di corrente fa si che il campo elettromagnetico venga invertito e il motore può continuare la sua rotazione.
Nei motori AC questo espediente del commutatore non invece è necessario, in quanto è la corrente stessa, che presenta un’onda sinusoidale, che inverte la sua direzione in modo autonomo (ad esempio per la rete elettrica europea ciò avviene con frequenza di 50Hz ovvero 50 volte al secondo)
I generatori di corrente, sono praticamente identici ai motori elettrici nella loro costruzione. Essi però permettono di ottenere il risultato opposto, ovvero fornendo energia meccanica al rotore, è possibile prelevare i capi dei fili una corrente elettrica (o f.em. indotta). Ciò viene usato ad esempio nelle centrali elettriche dove, per mezzo di vapore ad alta pressione o energia fornita dalla caduta dell’acqua, si possono mettere in movimento turbine che a loro volta, facendo ruotare grandi rotori, producono corrente. Il motivo per cui viene usata la rotazione per la produzione di corrente è da ricercare nella legge di Faraday-Lenz: per produrre una f.e.m. indotta è necessario che il flusso ΦB vari nel tempo. Sapendo che ΦB=BScos α, affinché il flusso del campo B attraverso una spira o un solenoide vari è sufficiente che cambi uno dei tre parametri. Come è logico immaginare quello più semplice è l’angolo α, in quanto variare la superficie comporterebbe la necessità di avere spazi molto grandi, mentre per variare l’intensità di B non si potrebbero usare magneti permanenti. Con la rotazione dunque l’angolo α varia continuamente e ciò rende possibile produrre l’energia in modo semplice e con mezzi di ridotte dimensioni.

 

Interruttori di sicurezza

Un importante dispositivo di sicurezza, che si basa sull’elettromagnetismo è l’interruttore di sicurezza. Esso è detto interruttore differenziale (o anche salvavita da un nome commerciale largamente utilizzato) ed è in pratica un dispositivo elettrotecnico in grado di interrompere un circuito in caso di dispersione o folgorazione fase-terra.
In un comune interruttore differenziale è presente un circuito magnetico (in pratica un trasformatore di corrente) su cui sono avvolti dei solenoidi (uno per filo da proteggere). In condizioni di normale funzionamento il campo magnetico prodotto dai due fili il si annulla reciprocamente. In caso di squilibrio (ad esempio disperzione, il campo magnetico prodotto non è più nullo. Questo piccolo campo magnetico non più nullo da origine dunque, genera una debolissima f.e.m indotta (secondo le leggi di Faraday-Lenz) che è in grado di far scattare un apposito circuito di controllo che stacca immediatamente la corrente. Questo processo che solitamente avviene in circa 30ms non impedisce ad una persona di rimanere folgorata ma riduce drasticamente il tempo di esposizione, limitando i danni.
Per verificare la continuità di funzionamento è prescritta l'effettuazione di un test con cadenza mensile, premendo un apposito pulsante presente sull'apparecchio.
Nella realtà poiché un impianto elettrico presenta inevitabilmente piccoli squilibri dovuto a dispersioni ed anche perché esistono dei limiti minimi di sensibilità praticamente realizzabili, ma nello stesso tempo per assicurare un adeguato livello di protezione in caso di folgorazione, sono definite precise soglie di intervento. Ad esempio per gli impianti in abitazioni domestici la differenza massima ammissibile di corrente, indicata con la lettera greca Δ, deve essere minore o uguale a 30 mA.

 

Dispositivi sonori ed elettromeccanici

I fenomeni dell’elettromagnetismo permettono inoltre di realizzare diversi dispositivi che risultano molto utili nella nostra vita. Ad esempio quando ascoltiamo della musica, ciò è reso possibile proprio grazie al magnetismo. Infatti un altoparlante non è altro che un trasduttore, che permette di convertire segnali elettrici, provenienti ad esempio da un amplificatore, in onde sonore.
Per ottenere tale risultato un altoparlante viene realizzato ponendo una bobina elettrica (simile al solenoide) immersa in un campo magnetico generato da un magnete permanente. I segnali elettrici con onda sinusoidale provenienti dalla sorgente sono fatti passare attraverso la bobina che quindi viene messa in movimento.
Ad essa è solitamente attaccato un cono in materiale plastico o altro materiale (in base alla qualità che si vuole avere) che muovendosi genera onde sonore.
Un altro dispositivo sonoro molto semplice è, ad esempio, il campanello di casa  o apparecchi simili. In essi solitamente vi è un solenoide al cui interno vi è una barretta metalica con una molla. Quando. Premendo il campanello, si chiude il circuito, il solenoide fa muovere la barretta che colpisce una parte metallica che emette un suono. A volte contemporaneamente allo spostamento della
barretta si apre anche il contatto elettrico così che la barretta prima spinta dal solenoide e poi dalla molla, colpisca due differenti parti metalliche per ottenere suoni diversi.
Sempre grazie agli effetti del magnetismo è possibile costruire dispositivi elettromagnetici molto potenti che permettono ad esempio di spostare grandi quantità di metalli, o ad esempio, separare quelli ferromagnetici da altri scarti di materiale.

 

Tubo raggi catodici


Il termine tubo a raggi catodici, più comunemente tubo catodico o CRT (acronimo del termine inglese Cathode Ray Tube), indica la tecnologia comunemente usata per la visualizzazione nei monitor e nei televisori. Tale tecnologia, che si iniziò a sviluppare circa dal 1897, utilizza l’elettromagnetismo per “deviare” fasci di elettroni, al fine di formare un immagine su appositi schermi fluorescenti che reagiscono al contatto con gli elettroni stessi.
Per ottenere elettroni viene usato un catodo metallico che, riscaldato all'incandescenza, emette elettroni per effetto termoelettronico. All'interno del tubo catodico, in cui è stato praticato il vuoto, questi elettroni vengono “spinti” in un fascio (raggi catodici) per mezzo di una elevata differenza di potenziale elettrico tra catodo e anodo. Dopodichè il fascio viene concentrato o focalizzato attraverso le bobine di focalizzazione (questo al fine di ottenere un fascio di elettroni più facilmente controllabile). Il raggio focalizzato (detto anche pennello elettronico) viene successivamente deflesso dall'azione di campi magnetici (forza di Lorentz) generato da apposite bobine: in tal modo esso arriva a colpire un punto sulla superficie interna dello schermo, l'anodo. Questa superficie è rivestita di materiale fluorescente (ovvero costituito da fosfori) che eccitato dall'energia degli elettroni emette luce.
Nei televisori e nei monitor la superficie è scandita secondo una matrice predefinita di righe successive, chiamata raster (prima vengono generate le linee pari e poi quelle dispari, ottenendo una frequenza di 25 immagini al secondo), e l'immagine è creata modulando l'intensità del fascio elettronico secondo l'andamento del segnale video. I vari colori delle immagini, invece, sono ottenuti mediante l’utilizzo di diversi tipi di fosfori, che danno origine a lunghezze d’onda diverse e quindi a diversi colori. Essi sono solitamente tre, ovvero rosso, verde e blu (RGB in inglese),  che “miscelati” insieme dall’occhio dell’osservatore permettono di ottenere tutta la gamma di colori necessaria.

 

Trasformatori di tensione
Un’applicazione molto importante dell’elettromagnetismo, senza la quale probabilmente sarebbe difficile trasportare l’energia elettrica, sono i trasformatori di tensione. Infatti se la corrente che arriva nelle nostre abitazioni viaggiasse sulla rete di trasporto sempre con tensione di 220V l’intensità di tale corrente sarebbe abbastanza elevata. Questo, secondo l’effeto Joule ( Potenza =RI2) comporterebbe una perdita di energia notevole, che verrebbe sprecata. Per ovviare a tale inconveniente dunque è molto conveniente ridurre l’intensità e ed elevare invece la tensione e per fare ciò vengono usati i trasformatori.
Questi apparecchi si basano sulla legge di Faraday-Lenz delle correnti indotte, ovvero una spira di cavo conduttore, se sottoposta a campo magnetico variabile, presenta ai suoi capi una f.e.m. indotta. Detto ciò un trasformatore viene costruito avvolgendo due bobine di cavo elettrico attorno ad una struttura metallica. Sul primo avvolgimento, detto primario (Np, dove N= numero degli avvolgimenti) viene fatta circolare la corrente che si vuole “modificare”, mentre sul secondo, o secondario (Ns) si preleva la f.e.m. indotta. Ovviamente affinché tale principio funzioni è necessario che il campo magnetico vari nel tempo, e quindi la corrente in ingresso deve essere alternata. Tale corrente genera un campo magnetico che, “ampliato” dalla struttura metallica, genera, come detto prima, una corrente indotta, anch’essa di tipo alternato. I trasformatori possono essere di 2 tipi:

      • in salita:  presenta sul primario un numero di spire minore che sul secondario. Cio permette di avere una tensione in uscita più elevata e minor intensità di corrente
      • in discesa: presenta sul primario un numero di spire maggiore rispetto al secondario. Esso permette di prelevare una tensione più bassa ma una maggiore intensità di corrente

Proprio grazie a questi 2 tipi è possibile innalzare la tensione della corrente prodotta nelle centrali, trasportarla con una bassa intensità di corrente ed infine abbassarla fino a 220V. Inoltre con questi apparecchi è possibile ridurre la tensione di rete, ove necessario, a valori più bassi, come ad esempio 12V, e tramite altri componenti uniti al trasformatore stesso è successivamente possibile ottenere una tensione continua, adatta alla maggior parte dei circuiti elettronici.

 

Galvanometri, amperometri e voltmetri


Come si è visto la forza sviluppata da una spira percorsa da corrente ed immersa in un campo magnetico può essere sfruttata per produrre movimento. Tale movimento oltre che per i motori elettrici (in cui la rotazione è continua) può essere utilizzato anche per costruire strumenti di misura, facendo si che il movimento rotatorio non sia continuo ma termini quando il piano della spira è perpendicolare al campo magnetico.
Tali strumenti vengono chiamati galvanometri e permettono di misurare correnti anche molto deboli. Il funzionamento di tali strumenti è semplice: vi è una spira immersa tra due magneti permanenti e lasciata libera di ruotare. Al suo asse di rotazione è attaccata una lancetta e una molla. Quando la spira viene percorsa da corrente essa è soggetta ad una forza (momento) che fa ruotare la spira stessa e quindi la lancetta fino a che tale forza risulta maggiore della forza della molla di ritorno. Raggiunto il punto di equilibrio la lancetta si stabilizza indicando così le informazioni necessarie.
Dal momento che un galvanometro non può misurare intensità di corrente elevate, altrimenti l’avvolgimento che costituisce la spira si brucerebbe, per realizzare un amperometro che possa garantire misurazioni di corrente in varie unità di misura (μA, mA, A) si inseriscono, in parallelo al galvanometro, delle resistenze con valori diversi a seconda dell’intensità di corrente che si vuole misurare. Così facendo la maggior parte della corrente viene “dirottata” sulla resistenza che ha una resistenza maggiore rispetto all’avvolgimento. Per scegliere correttamente la resistenza da inserire si utilizza la seguente formula
 Ig = I    Rr
                            r+Rp

dove Ig è la corrente che percorre l’avvolgimento, r è la resistenza  dell’avvolgimento stesso e Rr la resistenza da porre in parallelo.
Per realizzare un voltmetro il discorso è analogo, solo che in questo caso le resistenze vanno poste in serie all’avvolgimento, così da provocare una caduta di tensione prima di quest’ultimo ed evitare di danneggiarlo. In questo caso il valore delle resistenze da inserire (per poter avere più scale di misura) è la seguente
Ig = I    V
                            r+Rs
dove Rs è la resistenza da porre in serie.

Nelle foto si può vedere come si possono realizzare un multiamperometro e un multivoltmetro, semplicemente inserendo differenti resistenze su diversi canali che verranno scelti a seconda dell’intensità di corrente o della differenza di potenziale che si vuole misurare.

 

 

Amperometro (costruzione)
Per sviluppare ulteriormente l’argomento riguardante gli strumenti di misura che fanno uso dei fenomeni elettromagnetici, si è scelto di costruire un semplice amperometro funzionante e in grado di misurare correnti fino a circa  225 mA. Descrizione delle varie parti dell’amperometro

Spira principale e struttura: la spira di rotazione e la sua struttura sono stati ricavati da un vecchio amperometro. La scelta è dovuta necessariamente vertere su un componente già realizzato in quanto le difficoltà tecniche di realizzazione della spira stessa, senza l’ausilio di macchinari specifici rendeva impossibile ottenere un prodotto funzionante correttamente.

 

 

 

 

 

Magneti permanenti


I magneti permanenti necessari a far ruotare la spira quando essa viene percorsa da corrente, sono stati ricavati da un motore in corrente continua. La scelta di tali magneti, al posto di comuni magneti rettangolari è stata fatta in quanto la loro forma ad arco fa si che il campo magnetico si mantenga più uniforme possibile durante la rotazione della spira, cosa che garantisce una maggior precisione nella misurazione.
Nella foto in rosso sono evidenziati i due suddetti magneti che sono stati fissati alla struttura reggente la spira, tramite colla a caldo e mantenuti in posizione con plexiglas sagomato appositamente (non visibile in foto in quanto ostruiva la visuale.

 

 

Molla di ritorno
La molla di ritorno, che riporta lo strumento in posizione di attesa (valore zero) se esso non è percorso da corrente, è in acciaio armonico. La difficoltà nella scelta di questo componente è stata quella di trovare una molla sufficientemente morbida da permettere lo spostamento della lancetta e al contempo il ritorno preciso della stessa.
Anche per la molla è stata usata la colla a caldo per mantenerla in posizione corrette ed evitare che si sganciasse dai punti di attacco

 

 

Taratura e realizzazione scala graduata
Per realizzare la scala graduata, si è innanzi tutto tarato lo strumento usando un multimetro digitale (così da poter garantire la precisione maggiore possibile). Sono stati usati carichi resistivi differenti (alcuni dei quali verranno illustrati dopo) e si è segnato il valore indicato dal multimetro in corrispondenza della posizione della lancetta dell’amperometro. Tramite scannerizzazione e successiva analisi dei valori dell’intensità di corrente e degli angoli formati dalla lancetta è stato così possibile realizzare una scala graduata abbastanza precisa. Il fondo scala di tale strumento, ovvero lamassima corrente che tale strumento è in grado di misurare, corrisponde a circa 225 mA.

Carichi resistivi
Alcuni dei carichi resistivi usati per la taratura si è scelto di inserirli nella struttura dell’amperometro così da poter mostrare immediatamente il suo funzionamento. Osservando la foto a sinistra è possibile osservare, partendo dall’alto:
Motore in CC: è un motore funzionante a 12V corrente continua con un assorbimento (a vuoto ovvero senza ingranaggi da muovere) di circa 60-65mA che diventano oltre 125mA sotto sforzo (è stato lasciato un foro nella struttura di protezione in modo da poter simulare lo sforzo usando un dito)

 

 

4 led in parallelo: i led hanno la caratteristica di produrre una luce molto intensa ma con un assorbimento di corrente molto basso (circa 20mA ciascuno). Si è scelta la disposizione in parallelo per garantire la massima luminosità

 

 

 

Lampadina a 12V: si è scelta una normale lampadina per confrontare quest’ultima con i led descritti in precedenza. Come si può notare infatti la corrente assorbita per generare luce (che risulta più bassa a causa della resistenza della spira dell’amperometro) è nettamente superiore (circa 125mA) a quella assorbita dai led. Ecco perché oggi si tende maggiormente ad usare i led al posto delle lampadine in molti elettrodomestici o altri oggetti che necessitano di sorgenti luminose.

La scelta tra i diversi carichi resistivi è possibile farla attraverso un commutatore a 12 vie (posto nella parte anteriore dello strumento), di cui ne sono state utilizzate quattro: 1) spento ; 2) motore CC ; 3) i 4 led in parallelo ; 4) lampadina 12V

 

 

Alimentazione
Se pur lo strumento in se, in quanto di tipo analogico, non necessitasse di alimentazione esterna, l’annessione dei carichi resistivi per la dimostrazione ha comportato la necessità di una fonte di alimentazione. Il voltaggio necessario a tutti e tre i carichi è di 12V. Si è così scelto di costruire un pacco pile, composto da 3 pile da 4,5V l’una così che il voltaggio di circa 13,5V fosse tale  da compensare la perdita di energia potenziale dovuta alle resistenze del circuito e delle pile stesse.

 

 

Struttura amperometro e protezione esterna
Per entrambe è stato scelto del plexiglass da 4mm. La scelta è ricaduta su tale materiale in quanto possiede ottime qualità di rigidità e robustezza tali da poter fornire una solida struttura e protezione allo strumento. Inoltre la caratteristica di trasparenza di tale materiale permette la completa osservazione dello strumento e del suo funzionamento. I vari pezzi sono stati tagliati, da una lastra più grande, con misure (mm) di:
90x90 per la lastra di appoggio dello strumento
60x90 le due lastre laterali di supporto per la lastra precedente


90x190 e 90x220 le lastre di protezione ai lati
190x220 la lastra di protezione superiore
Per la base invece è stato scelto del legno compensato da 10mm di spessore, successivamente verniciato di nero, al fine di conferire alla base maggior peso e dunque maggior stabilita allo strumento

In quest’ultima foto si può osservare l’amperometro completo e funzionante, durante la misurazione della corrente assorbita dai 4 led in parallelo. La lastra superiore di copertura non è stata mai messa durante le foto, in quanto faceva riflesso con la luce emessa dal flash

 

 

 

Scienze della terra: il magnetismo terrestre

 

Cenni storici
Il campo magnetico terrestre è stato utilizzato fin dall’antichità dall’uomo. Ai tempi delle grandi esplorazioni marittime, ad esempio, si scoprì che un ago magnetizzato, se lasciato libero di ruotare, si orientava sempre verso il polo nord geografico della terra (in realtà esso è il polo sud magnetico). Questa divenne una scoperta importantissima per le esplorazioni, in quanto permetteva di potersi orientare in qualunque punto della terra.
Uno dei primi studiosi che si dedicò allo studio del campo magnetico terrestre fu l’inglese Sir W. Gilbert all’incirca nel 1600. Egli, sulla base di diversi esperimenti, giunse alla conclusione che la terra si comporta come un grande mangnete, ipotizzando cha al suo interno vi fosse un grande magnete permanente.

 

Teorie sull’origine del campo magnetico e sue caratteristiche


Come detto sopra le ipotesi formulate in passato prevedevano la presenza di materiale ferromagnetico magnetizzato all’interno della terra.  Ciò derivava probabilmente dal fatto che il campo magnetico terrestre è molto simile a quello generato da una barretta magnetica. Secondo alcuni calcoli effettuati, per dare origine ad un campo magnetico con intensità pari a quello terrestre, basterebbe che esistesse una magnete permanente che abbia volume pari a 0,01% del volume della terra. Tale ipotesi a prima vista appare dunque possibile, ma con gli studi effettuati nel corso degli anni tale modello appare oggi non realistico. Infatti i materiali ferro magnetici presenti in maggior quantità all’interno della terra, ovvero ferro e nichel, si trovano a temperatura di molto superiori al loro rispettivo punto di Curie. Dal momento che, come accennato in precedenza, oltre tale punto l’agitazione a livello atomico, dovuta al calore, è tale da far perdere la magnetizzazione al materiale, è facile capire come un grande magnete permanente all’interno della terra non possa esistere.
L’ipotesi oggi più accreditata dunque, prevede che il magnetismo terrestre derivi da correnti elettriche generate all’interno della terra. Infatti il nucleo esterno si ritiene costituito da materiali metallici fusi, dotati quindi di ottima conducibilità elettrica. Tali materiali fusi, attraverso i moti convettivi e la rotazione stessa della terra, darebbero origine a intense correnti elettriche, responsabili a loro volta del magnetismo terrestre. Gli scienziati però non sono ancora riusciti a capire il perché tali correnti si formino: l’ipotesi più probabile si basa sull’induzione magnetica.
Il campo magnetico terrestre ha diverse particolarità: la prima di queste è che il polo nord (geografico) corrisponde al polo sud (magnetico) e viceversa. Dunque l’ago della bussola punta il suo nord verso il polo sud. Per questo motivo, solitamente, si usa indicare come nord magnetico quello che in realtà è il polo sud magnetico. Una altra particolarità è che i poli magnetici non coincidono con i poli geografici, infatti tra i due vi è una distanza di circa 1500-2000km. Ciò fa si che l’asse del campo magnetico, a differenza di quello terrestre, non passi per il centro della terra, ma circa a 1200km da esso. Inoltre i poli magnetici non possono essere considerati come punti fissi, in quanto essi variano leggermente in un’area conosciuta.
Per descrivere il campo magnetico terrestre vengono usati due differenti parametri:


Declinazione magnetica:  è l’angolo formato tra la direzione verso cui punta l’ago della bussola (nord magnetico) e il nord geografico. Esso varia a seconda di dove avviene la misurazione. Dal momento che, come detto prima, i poli non corrispondono con precisione assoluta, conoscere l’angolo di declinazione magnetica risulta molto importante per orientarsi, soprattutto in campo marittimo. Infatti in presenza dei poli, dove la declinazione assume valori elevati, o comunque su rotte molto lunghe, questo sfasamento tra nord magnetico e nord geografico può essere causa di errore nella direzione scelta.

Inclinazione magnetica: essa indica l’angolo formato da un ago magnetizzato e libero di ruotare su un piano perpendicolare alla superficie terrestre  e la superficie stessa.  Anch’esso varia a seconda del luogo in cui ci si trova: infatti il campo magnetico terrestre è quasi perpendicolare alla superficie terrestre vicino ai poli, mentre è parallelo nella zona dell’equatore.

Conoscendo questi due parametri è possibile disegnare delle carte magnetiche tracciando le linee isomagnetiche, ovvero lungo le quali l’intensità del campo magnetico risulta costante; isogone, stessa declinazione; e isocline, stessa inclinazione.
Il campo magnetico terrestre non è uniforme e stabile, ma è soggetto a variazione più o meno intense. Le piccole variazioni della declinazione o inclinazione magnetica diurne o annuali sono dette variazioni a breve periodo e dipendono solitamente dai moti della terra. Vi sono anche delle variazioni che sono avvenute nel corso dei secoli, ma quelle sicuramente più importanti e studiate sono le inversioni del campo magnetico. Infatti nel corso dei millenni, alcune volte i due poli si sono invertiti. Il più recente di questi avvenimenti risale a circa 700.000 di anni fa. Il motivo che porta a questa inversione non è ancora chiaro:  secondo alcuni geofisici sarebbero da attribuire a dei movimenti convettivi a largo raggio avvenuti nel nucleo, ma i dati in possesso non permettono di formulare ipotesi valide.

 

Effetti del magnetismo terrestre


Il campo magnetico terrestre ha diversi effetti sul nostro pianeta e sulla nostra vita. Uno di questi è proprio un fattore che permette la sopravvivenza della vita sulla terra. L’intensità del campo magnetico infatti, non si ferma sulla superficie della terra, ma continua, pur riducendosi con la distanza, anche nell’atmosfera. La parte di essa che risente ancora dell’influenza del campo magnetico è detta magnetosfera e costituisce una sorta di scudo contro le radiazioni cosmiche dannose per la vita. Questo scudo viene chiamato fasce di Van Allen: in corrispondenza di queste fasce le particelle elettricamente cariche, provenienti dalle radiazioni solari, restano intrappolate nella magnetosfera e non riescono a giungere sulla terra.
Un altro effetto del magnetismo terrestre risulta molto utile nello studio del campo magnetico stesso nel corso dei millenni, tanto da dare vita al cosiddetto paleomagnetismo. Esso si basa sull’analisi del campo magnetico delle rocce: infatti ad esempio nelle rocce di origine magmatica, la temperatura elevata (oltre il punto di Curie dei materiali che compongono la lava) fa si che non sia presente nessun tipo di magnetizzazione. Durante il raffreddamento queste rocce, essendo sottoposte al campo magnetico terrestre, ne assumo direzione e verso e lo mantengono come se fossero dei dipoli magnetici. Il tipo di rocce magmatiche più indicate per compiere tali studi sono i basalti, che sono anche le rocce eruttive maggiormente diffuse sulla terra. Analizzando quindi queste rocce è possibile capire sia il periodo in cui si sono formate, sia i cambiamenti del campo magnetico terrestre. Si è scoperto, così, che il campo magnetico terrestre esiste da almeno 3,5 miliardi di anni, ma si è anche osservato che la direzione della magnetizzazione conservata in rocce antiche è diversa da quella del campo geomagnetico attuale; anzi, a seconda dell’età della roccia esaminata, tale direzione risultava diversa, come se il Polo Nord magnetico avesse occupato nel tempo forme differenti. Questa ipotesi, ovvero che i poli magnetici si fossero spostati nel tempo,  in questo caso non era però valida: infatti pur avendo la stessa età, rocce di continenti diversi indicavano una diversa posizione del polo magnetico. Tale contraddizione portò a formulare l’ipotesi che non erano stati i poli magnetici a spostarsi, ma
i continenti avvalorando così tesi formulate in precedenza sulla deriva dei continenti.
Questa capacità di alcune rocce di magnetizzarsi può inoltre creare piccole anomalie in certe zone. Infatti in alcuni luoghi del nostro pianeta, vi sono delle anomalie magnetiche, ovvero luoghi in cui il campo magnetico non ha la declinazione, inclinazione, intensità che dovrebbe avere. Ciò è dovuto alla presenza di un grande quantitativo di rocce magnetizzate che influiscono sul campo geomagnetico .
Tali anomalie magnetiche sono molto importanti perché danno informazioni utili su giacimenti minerari

 

Macchie solari e altri elementi che possono influenzare il campo magnetico terrestre
Come detto in precedenza il campo magnetico terrestre non è stabile, e nel corso dei millenni a volte si è addirittura invertito. Tra gli elementi che possono influenzare il campo magnetico terrestre troviamo le macchie solari. Esse sono delle regioni della superficie solare (la fotosfera) che sono distinte da una temperatura minore dell'ambiente circostante, e da una forte attività magnetica. Esse appaiono più scure in quanto si trovano a temperature sensibilmente più basse (circa 4.600 K) di quelle della circostante fotosfera (circa 5.600 K). In realtà, se potessimo osservarle sullo sfondo del cielo notturno, le identificheremmo da un'emissione di luminescenza rosso-arancione. La temperatura delle macchie e delle regioni fotosferiche circostanti è certamente determinata dai forti campi magnetici che nelle macchie hanno sede. Si tratta in effetti di campi magnetici assai intensi, dell'ordine di qualche decimo di Tesla, e cioè alcune migliaia di volte più intensi del campo magnetico sulla superficie terrestre.
Altri fenomeni di origine solare, anch’essi sede di tempeste elettromagnetiche e quindi in grado di influenzare il campo geomangetico sono ibrillamenti. Essi sono eventi esplosivo nel corso dei quali un'enorme quantità di energia viene rilasciata assai rapidamente da ben definite zone dell'atmosfera solare, principalmente sotto forma di particelle energetiche e di radiazione elettromagnetica (con picchi di emissione nel campo dei raggi X e UV). L'origine dei brillamenti risiede certamente nell'energia accumulata negli intensi campi magnetici delle regioni attive che viene liberata in maniera assai rapida.
Questi fenomeni sono spesso accompagnati da ripercussioni di carattere soprattutto ambientale e tecnologico. In linea di principio infatti l'arrivo di un vento solare carico di particelle con particolare contenuto energetico potrebbe essere in grado di provocare tempeste magnetiche sulla terra. Queste a loro volta, possono disturbare in modo significativo le linee di trasmissione elettrica, i cavi sottomarini per le comunicazioni telefoniche intercontinentali o le telecomunicazioni a distanza come cellulari, radio, radar.
Una tempesta magnetica avvenuta nel 1989 ad esempio causò un black out nell’intero Quebec per oltre nove ore, lasciando privi di energia elettrica circa sei milioni di cittadini. Simili problemi si verificarono in Svezia e Stati Uniti e in tutto il mondo vi furono disturbi nelle comunicazioni radio.

 

Autore: Fiori Daniele

fonte: http://digidownload.libero.it/hardwareplanet/Tesina.doc

 

 

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