Relatività ristretta

 

 

 

Relatività ristretta

 

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 LA RELATIVITA' RISTRETTA

 

I primi trent'anni del nostro secolo sono caratterizzati dalla nascita e dallo sviluppo di due nuove teorie di grande importanza, ciascuna delle quali rappresenta un passo avanti rispetto alla descrizione dei fenomeni fornita dalle cosiddette 'Meccanica ed elettrodinamica classiche'.
La teoria della RELATIVITA', formulata nel 1905 da Einstein, trae origine dal tentativo di spiegare un risultato sperimentale ottenuto nella seconda metà del secolo scorso. La velocità della luce nel vuoto ha sempre lo stesso valore rispetto a qualsiasi sistema di riferimento inerziale (i sistemi inerziali sono i sistemi in moto reciproco rettilineo ed uniforme). L'interpretazione di questo risultato imprevisto fu data da Einstein estendendo al fenomeno della propagazione della luce il principio di relatività galileiano. La nuova teoria porta a risultati completamente nuovi ogni qualvolta la velocità dei corpi è paragonabile a quella della luce, mentre dà le stesse previsioni della meccanica classica newtoniana quando tali velocità sono molto più piccole di c (=velocità della luce nel vuoto = circa 300.000 km/s).
La teoria QUANTISTICA ha avuto origine dal fatto che, applicando le leggi della Meccanica ed Elettrodinamica classiche a sistemi di dimensioni molto piccole (molecole e atomi), non era possibile interpretare una vasta categoria di fenomeni. I lavori di Planck, Einstein e   Bohr portarono allo sviluppo della Meccanica Quantistica. La teoria della Relatività e la Meccanica Quantistica sono dunque due superamenti delle concezioni classiche; queste ultime danno risultati corretti se sono applicate allo studio di sistemi di corpi le cui velocità siano piccole rispetto a c e le cui dimensioni non siano troppo piccole; non appena le velocità in gioco si avvicinano a quella della luce occorre usare la descrizione relativistica; non appena le dimensioni degli oggetti si riducono alla scala atomica occorre usare la descrizione quantistica. La teoria più completa è evidentemente quella quantistica relativistica, valida per ogni sistema di corpi a prescindere dalla velocità e dalle dimensioni. Tale teoria si riduce alla meccanica ed all’elettromagnetismo classico se la velocità è piccola rispetto a c e le dimensioni dei corpi sono macroscopiche.

 

RELATIVITA’ GALILEIANA

 

Il sistema O(xyz) è fisso; il sistema O’(x’y’z’) è mobile rispetto al primo e si muove di moto rettilineo uniforme lungo l’asse x con velocità costante v. Possiamo pensare il primo sistema un sistema solidale ad una stazione ferroviaria, il secondo un sistema solidale ad un treno in transito con velocità v (in moto rettilineo uniforme).

 

In un certo istante t, le coordinate x, y, z rispetto ad S (primo sistema) di un punto P in moto nel sistema S’ (secondo sistema, treno), sono legate alle coordinate x’, y’, z’ dello stesso punto P rispetto ad S’, dalle relazioni:

      x = x’ + vt

y = y’

      z = z’

   per  

  

 


 

Tali relazioni, assieme a quella acriticamente accettata t = t’ (tempo assoluto), costituiscono le trasformazioni di Galileo.
Con t = t’ si afferma che il tempo trascorso a partire dall’istante zero in cui i due sistemi coincidono, è descritto dallo stesso valore sia in S che in S’. Quindi il tempo nelle trasformazioni di Galilei (e quindi in tutta la fisica classica) è il tempo assoluto: qualcosa che scorre allo stesso

 


modo per tutti gli osservatori, in tutti i sistemi di riferimento. Nella figura soprastante si può notare come l’arrivo dei proiettili sparati dal centro della carrozza sia un evento simultaneo sia per un osservatore in moto rispetto al treno, sia per un osservatore fermo sulla linea ferrata. Ciò è dovuto al fatto che le velocità si sommano o si sottraggono. Il proiettile verso destra somma la sua velocità a quella del treno, ma deve percorrere un tratto più lungo, quello verso sinistra la sottrae, ma deve percorrere un tratto più breve, perché il fondo della carrozza gli viene incontro. Il risultato è che l’evento ‘arrivo del proiettile’ sui fondi destro e sinistro della carrozza è simultaneo. Tutto ciò si può dimostrare rigorosamente introducendo, a partire dalle (1), le formule di trasformazione delle velocità e delle accelerazioni:

 

vx = vx’    ;       vy = vy’     ;    vz = vz’      ;   ax = ax’

 

Poiché in meccanica classica si ammette che la massa non dipende dal sistema di riferimento, l’eguaglianza delle accelerazioni a ed a’ implica necessariamente anche ma = ma’ = F = F’. Le equazioni della dinamica, essendo fondate sulla equazione F = ma, sono quindi le stesse in tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme. Si dicono cioè invarianti rispetto alle trasformazioni di Galilei. Nella invarianza di queste equazioni consiste il principio di relatività galileiano: le leggi della meccanica sono rigorosamente le stesse in tutti i sistemi di riferimento che si muovono reciprocamente di moto rettilineo uniforme. Ciò significa che è impossibile rivelare il moto rettilineo uniforme di un sistema rispetto ad un altro sistema in moto rettilineo uniforme con sole esperienze di meccanica. Pertanto dobbiamo concludere che la meccanica non ci fornisce la possibilità di definire la quiete ed il moto assoluti.

 

            Si può estendere tutto ciò ai fenomeni elettromagnetici? Per la fisica classica la risposta è negativa: i fenomeni elettromagnetici sembrano essere diversi a seconda dei sistemi di riferimento in cui avvengono e questo porta a concludere che tale classe di fenomeni, per la fisica classica, fornisce la possibilità di definire la quiete ed il moto assoluti. Ma in questa conclusione c’è un errore. Ripercorriamo brevemente il percorso storico che portò alla teoria della relatività di Einstein.

            Verso il 1865 il grande fisico teorico inglese Maxwell elaborò una teoria completa dei fenomeni e.m., sintetizzata in quattro equazioni (per appunto le equazioni di Maxwell). Queste equazioni spiegavano tutti i fenomeni e.m. e predicevano l’esistenza di onde e.m., esistenza provata sperimentalmente da Hertz verso il 1887. Maxwell aveva anche calcolato la velocità di queste onde nel vuoto ed aveva inaspettatamente trovato un valore molto vicino a quella della luce. L’ovvia conclusione era che le onde e.m. e la luce erano fisicamente lo stesso fenomeno. Questa conclusione fu ampiamente confermata: l’ottica fisica e l’elettromagnetismo furono di conseguenza unificati in un’unica teoria. Permaneva però una grossa incoerenza: le equazioni di Maxwell non erano invarianti per trasformazioni di Galilei; sottoponendo cioè le equazioni alle trasformazioni risultavano delle equazioni di diversa struttura. Ciò implicava la violazione del principio di relatività galileiano: non tutti i sistemi in moto rettilineo uniforme erano identici nella descrizione dei fenomeni e.m. Dalle equazioni di Maxwell emergeva inoltre un’altra stranezza: la velocità della luce nel vuoto era funzione di due costanti universali tramite la formula

e pertanto anch’essa doveva essere una costante universale. Un tale tipo di velocità era in palese contrasto con il comportamento delle velocità nella fisica classica (le velocità si sommano e si sottraggono, mentre la velocità della luce non si somma né si sottrae alla velocità del sistema!). I fisici del tempo giudicarono inaccettabile una velocità di tale tipo; d’altra parte non potevano negare la bontà delle equazioni di Maxwell che descrivevano alla perfezione i fenomeni e.m.  Cercarono allora un compromesso introducendo un sistema di riferimento privilegiato, detto etere, nel quale le onde e.m. si sarebbero propagate con velocità c. Quindi le onde e.m. e la luce avrebbero avuto la velocità c solo se misurate rispetto a tale sistema privilegiato. Si pensava che l’etere fosse una specie di fluido permeante tutte le cose, sempre perfettamente in quiete, qualunque fosse il moto dei corpi al suo interno. Occorreva però dimostrare l’esistenza di questo sistema privilegiato; una volta dimostrato però la situazione sarebbe stata la seguente: la meccanica avrebbe ubbidito al principio di relatività galileiano, l’elettromagnetismo no. Ciò costituiva una grave asimmetria della natura, difficilmente accettabile. Nel 1881, infatti, Michelson dimostrò sperimentalmente l’inconsistenza dell’ipotesi dell’etere. Tutto fu rimesso in discussione.

            Nel 1905 Einstein propose l’esatta soluzione del problema, racchiusa in due ‘semplici’ affermazioni:

  • Tutte le leggi della fisica (sia quelle che regolano i fenomeni meccanici sia quelle che descrivono i fenomeni e.m.) sono rigorosamente le stesse rispetto a tutti i sistemi di riferimento in reciproco moto rettilineo uniforme; non è dunque possibile immaginare alcuna esperienza che definisca il moto assoluto.
  • In tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme, la velocità della luce è sempre la stessa.

Analizziamo le inaspettate conseguenze di questi due postulati:

  • Se deve valere il principio di relatività sia per la meccanica che per l’e.m., le trasformazioni corrette non possono più essere quelle di Galilei (per esse infatti le equazioni di Maxwell non sono invarianti).
  • Se le trasformazioni di Galilei sono errate, deve essere errata anche la meccanica. Occorre pertanto formulare una nuova meccanica e nuove trasformazioni che lascino invariata la forma delle leggi sia della meccanica che dell’e.m.
  • Se la velocità della luce è invariante, allora il tempo diventa relativo, cioè scorre diversamente a seconda del sistema di riferimento rispetto al quale si misura. Viene pertanto demolito il concetto di tempo assoluto, fondamentale per la fisica classica. Il tempo diventa quindi relativo. Oltre al concetto – comune – di relatività spaziale (eventi che hanno luogo nello stesso posto, ma in istanti diversi in un sistema, possono aver luogo in posti diversi nel sistema fisso: ad esempio, il rilascio e la caduta di un oggetto visti nel sistema in moto della carrozza ferroviaria e nel sistema fisso della linea ferroviaria) si introduce il concetto di relatività temporale: eventi che hanno luogo nello stesso istante, ma in posti diversi nel sistema mobile, appaiono come eventi che hanno luogo in istanti diversi nel sistema fisso. Per comprendere questo aspetto fondamentale della relatività, osserva la figura della pagina successiva con la relativa didascalia.


Occorre ora trovare delle nuove trasformazioni (al posto di quelle galileiane) per le quali la velocità della luce risulti indipendente dal moto della sorgente e dell’osservatore e attraverso le quali, note le quattro coordinate x, y, z, t di un evento in S, siano determinabili le coordinate x’, y’, z’, t’ dello stesso evento nel sistema S’. Le nuove trasformazioni sono dette trasformazioni di Lorentz:


Si può dimostrare che tali trasformazioni soddisfano all’invarianza della velocità della luce. Inoltre le equazioni di Maxwell  sono invarianti per questo tipo di trasformazioni. Da sottolineare che se la velocità v è piccola rispetto a quella della luce c, le trasformazioni di Lorentz si riducono a quelle di Galilei: si può pertanto affermare che la nuova meccanica relativistica contiene in sé come caso particolare la meccanica classica. Quest’ultima rimane valida per tutti quei fenomeni in cui la velocità è piccola rispetto a quella della luce.

Importanti conseguenze della relatività (oltre a quella già segnalata della relativizzazione del tempo) sono:

  • Dilatazione del tempo: la durata di un fenomeno non è più un invariante, ma dipende dal sistema di riferimento.
  • Contrazione delle lunghezze: le distanze lm misurate lungo la direzione del moto nel sistema in moto diminuiscono se valutate da un osservatore fisso, che trova una distanza lf (lunghezza valutata nel sistema fisso)       

 

  • Modifica delle equazioni della dinamica. Infatti queste, scritte nella forma classica, sono invarianti per trasformazioni di Galilei e quindi non lo sono per quelle di Lorentz. Ne consegue che esse, affinché risultino invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz, devono necessariamente essere modificate. Einstein dimostrò che per ottenere ciò la massa di un corpo doveva ritenersi variabile con la velocità secondo l’equazione:



(dove m0 è la massa del corpo misurata da un osservatore in quiete rispetto ad esso). Si può notare che per bassi valori di v l’equazione diventa .

Altre formule di dinamica relativistica

Quantità di moto: 

se      (=quantità di moto classica).

Energia della particella:    
si ha     : il primo addendo fornisce l'energia di massa a riposo, il secondo la consueta energia cinetica.

 

Cenni di relatività generale

            La teoria della relatività ristretta vale per i sistemi inerziali, ma non è applicabile per i sistemi non inerziali, cioè per i sistemi di riferimento soggetti ad accelerazione. A questi ultimi si applica una teoria molto compessa che fu sviluppata dallo stesso Einstein in una serie di articoli pubblicati attorno al 1915. E' detta teoria della relatività generale ed è fondamentalmente una teoria sulla gravitazione universale.
Questa teoria si basa sul principio di equivalenza, il quale afferma che nessun esperimento in un sistema chiuso ci permette di distinguere gli effetti di un campo gravitazionale da quelli dovuti ad un'accelerazione. Se, ad esempio, ci troviamo in un'astronave distante da qualsiasi astro (e quindi senza alcun  effetto di gravità) e l'astronave accelera verso l'alto ('alto' scelto per convenzione) come un elicottero, ci sentiremo spinti verso il pavimento; lo stesso effetto lo sentiamo comunemente sulla terra. Il principio di equivalenza afferma che i due fenomeni sono indistinguibili. E ancora: in un'astronave in cui non vi sono effetti di gravità, i corpi fluttuano senza peso nell'aria; ma è lo stesso effetto che sperimenterebbe un osservatore posto in un ascensore in caduta libera in campo gravitazionale. Se, in questo esempio, all'interno dell'astronave non abbiamo la possibilità di guardare verso l'esterno, non potremmo discriminare un effetto di caduta libera da un effetto di posizione nello spazio lontana da qualsiasi interazione gravitazionale con alcun astro.
Il principio di equivalenza della relatività generale porta ad un'importante previsione: i raggi di luce vengono deviati dall'azione di un campo gravitazionale.

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Un’applicazione della teoria della relatività ristretta ai fenomeni elettromagnetici.

    Il campo elettrico ed il campo magnetico devono essere considerati aspetti diversi di un’unica entità che chiamiamo campo elettromagnetico. Che cosa ci appare come campo elettrico e che cosa ci appare come campo magnetico  dipende esclusivamente dal sistema di riferimento.

    Osserviamo la figura a destra. In vicinanza di un fascetto di elettroni, prodotto entro un tubo a raggi catodici (che potremo pensare come un ‘primo treno’ di elettroni in moto) poniamo, parallelamente al fascetto, un filo metallico percorso da corrente.. In questo filo corre un ‘secondo treno’ di elettroni, a velocità molto inferiore al ‘primo treno’. Sia K il sistema di riferimento del laboratorio.

 
     

 

Nel sistema di riferimento K, la deviazione cui è sottoposto il fascetto del tubo catodico è spiegabile tramite la forza di Lorentz: il campo magnetico prodotto dal filo percorso da corrente produce la forza di deflessione sul fascetto di elettroni del ‘primo treno’.
Consideriamo ora un sistema di riferimento K’ solidale con il ‘primo treno’. In questo sistema gli elettroni del fascetto sono immobili e quindi il campo magnetico prodotto dal filo non ha alcun effetto. Gli elettroni non risentono cioè di alcuna forza di Lorentz. Ciononostante però il fascetto viene deflesso. Perché? Vediamo la spiegazione in base agli effetti relativistici.
Nel filo vi sono gli ioni positivi, che sono in quiete rispetto a K, e gli elettroni di conduzione che, sempre rispetto a K, costituiscono la corrente, cioè un flusso di cariche nella direzione del filo stesso. Rispetto al sistema K’, solidale con il ‘primo treno’, la velocità degli elettroni nel filo sarà minore di quella degli ioni positivi (infatti un osservatore posto sul ‘primo treno’ vedrà venire verso di sé gli ioni positivi ad alta velocità, mentre, dovendo rincorrere gli elettroni di conduzione, giudicherà questi più lenti). Ragioniamo quindi sulle distanze intercorrenti tra gli ioni positivi e tra gli elettroni di conduzione. In base all’effetto relativistico di contrazione delle distanze, la distanza tra due ioni positivi consecutivi sarà inferiore rispetto a quella di due elettroni consecutivi. Quindi il filo apparirà all’osservatore del ‘primo treno’ più densamente popolato di cariche positive che non di cariche negative. In altre parole, all’osservatore posto in K’ (‘primo treno’) il filo (‘secondo treno’) apparirà carico positivamente. Il campo elettrico di questo filo positivo è quindi il responsabile della deflessione del fascetto di elettroni.
Riassumendo: per un osservatore posto nel sistema K del laboratorio, la deflessione del fascetto di elettroni nel tubo catodico è prodotta dal campo magnetico – e quindi dalla conseguente forza di Lorentz – prodotta dal filo percorso da corrente, mentre per l’osservatore nel sistema K’ solidale con il ‘primo treno’ la deflessione del fascetto in cui si trova è dovuta al campo elettrico prodotto dal ‘secondo treno’ spiegato in base ad un effetto relativistico.

 

Fonte: http://www.liceocuriel.it/lavori_docenti/Facchin/Relativit%C3%A0.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Relatività ristretta

 

LA RELATIVITÀ RISTRETTA DI EINSTEIN

 

Ma cerchiamo di spiegare più in dettaglio la rivoluzione prodotta da Einstein. Si definisce sistema di riferimento inerziale quello in cui un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme se non è soggetto a forze. Dato un sistema di riferimento inerziale R è possibile determinare, a partire da esso, infiniti altri sistemi equivalenti, che sono tutti quelli in moto relativo rettilineo uniforme rispetto ad esso. In sostanza due osservatori posti su due  sistemi di riferimento inerziali R ed R’ misurano una stessa forza F= ma, dove con a si intende l’accelerazione, cioè la derivata seconda dello spazio rispetto al tempo. Indichiamo con F la forza nel primo sistema e con F’ la forza nel secondo sistema di riferimento. Le componenti da misurare sono sugli assi x, y, z nel primo caso e x’, y’ e z’ nel secondo sistema. La meccanica classica considera assoluto il tempo per cui t = t’. Supponiamo altresì  che il moto relativo tra i due sistemi avvenga solo sulla componente orizzontale, cioè le due origini O e O’ si avvicinano o si allontanano lungo l’asse x=x’. Ciò significa che per semplicità esamineremo solo questa componente in entrambi i sistemi di riferimento R(x, t) e R’(x’, t’). Si ha Fx=md2x/d2t insieme a F’x=md2x’/d2t’ e poiché la condizione di equivalenza stabilita è Fx=F’x’ ne segue che md2x/d2t=md2x’/d2t’= md2x’/d2t. Due funzioni hanno la stessa derivata se le loro primitive sono uguali a meno di una costante, cioè dividendo entrambi i membri per m otteniamo dx/dt=dx’/dt + k. Poiché la derivata dello spazio rispetto al tempo è la velocità, allora v=v’+u, dove con u si indica il valore della costante arbitraria, che fisicamente ha il significato della velocità relativa delle origini di R ed R’. L’equazione ottenuta è la legge di composizione galileiana delle velocità, fondamentale in meccanica classica, che considera il tempo in modo assoluto, come se il suo fluire sia indipendente dallo spazio e dal particolare sistema di riferimento inerziale.
Basandosi su questo principio Michelson e Morley nel 1887 tentarono di determinare gli effetti del moto della Terra rispetto all’etere sulla propagazione della luce, misurando con un apparecchio inventato da Michelson, un interferometro costituito da specchi semiriflettenti, le eventuali variazioni della velocità della luce a seconda della direzione di propagazione. Tale misura si basava sull’ipotesi che esistesse una sostanza, l’etere, che secondo le idee dell’epoca costituiva il mezzo di supporto per la propagazione delle onde elettromagnetiche, di cui le onde luminose sono un esempio. Facendo interferire nel loro apparato raggi luminosi in diverso moto relativo rispetto al moto della terra nell’etere, sia in direzione opposta sia ortogonale, i due fisici americani si misero nella condizione di misurare eventuali, e calcolabili, variazioni nella figura d’interferenza ottenuta nel loro interferometro. I risultati sperimentali mostrarono l’assenza di variazioni nella figura d’interferenza, e quindi la costanza della velocità della luce indipendentemente dalla direzione di propagazione relativa.
Si scoprì dunque che la legge di Galileo era incompleta, in quanto era valida solo per gli eventi che si muovessero con velocità di molto inferiori rispetto a quella della luce. Per i punti spazio-temporali la cui velocità fosse invece prossima a c, in tale esperimento gli oggetti considerati erano fotoni, le trasformazioni prima citate non erano più valide. Fu quindi spontaneo interrogarsi sulle ragioni di tale  varianza e il motivo dell’incompatibilità delle trasformazioni galileiane per quanto riguardasse la esperienza di Michelson-Morley fu determinato nell’assunzione che lo spazio e il tempo fossero delle entità a trasformazione indipendente nel passaggio da un sistema di riferimento  inerziale all’altro. Venne ad essere negata cioè l’ipotesi del tempo assoluto sostenuta tra l’altro dal più autorevole fisico fino a quel momento conosciuto, Newton. A partire da tale esperimento Einstein cercò allora delle nuove relazioni per il passaggio da un sistema di riferimento inerziale ad un altro equivalente. Egli pervenne così alle seguenti leggi:
x’=g (x - ut)
y’= y
z’= z
t’=g (t- ux/c2)
dove con g si intende 1/(1-u2/c2)1/2

 Se consideriamo un segnale luminoso che procede lungo l’asse x positivo di R, la sua legge di propagazione è data dall’equazione x = ct, ovvero
x-ct=0                                        [1]
Poiché sperimentalmente è stato dimostrato che la velocità della luce è costante in tutti i sistemi di riferimento inerziali, allora lo stesso segnale luminoso deve propagarsi anche rispetto a R’ con velocità c secondo l’equazione
x’-ct’=0                                        [2]
I punti spazio-temporali che soddisfano la [1], devono altresì soddisfare la [2]. Sarà ovviamente così quando in generale sarà soddisfatta la relazione seguente
(x’- ct’) = l (x - ct)                      [3],
ove con l si indica una costante. Infatti secondo la [3] l’annullarsi di (x-ct) comporta l’annullarsi di (x’-ct’). Se applichiamo delle considerazioni del tutto analoghe a raggi di luce che si propagano lungo l’asse negativo delle ascisse, otteniamo la condizione
(x’ + ct’) =m(x + ct)                                            [4].
Sommando e sottraendo membro a membro la [3] e la [4], e introducendo per comodità le costanti a e b in luogo delle costanti l e m, ove a = (l + m)/2 e b = (l - m) /2 otteniamo le equazioni
x’= ax - bct                                            [5]
ct’ = act - bx                                           [5 bis].
Con ciò il problema sarebbe risolto se conoscessimo le costanti a e b. Queste si ricavano dalla discussione seguente. Per O’ abbiamo permanentemente x’=0, e pertanto secondo la prima delle equazioni [5],
x= bct/a.
Da cui si ricava
u =dx/dt = bc/a.                                                         [6]
Inoltre il principio di relatività ci insegna che, giudicata da R, la lunghezza di un singolo regolo-campione che sia in quiete rispetto a R’, dev’essere esattamente identica alla lunghezza, giudicata da R’, di un singolo regolo-campione che sia in quiete relativamente a R. Per vedere come appaiono i punti dell’asse x’ visti da R, dobbiamo soltanto prendere “una istantanea” di R’ da R; ciò significa che dobbiamo assegnare a t ( tempo di R) un valore particolare, per esempio t=0. Per questo valore di t otteniamo allora dalla prima delle equazioni [5]
x’= ax.
Due punti dell’asse x’ che, se misurati nel sistema R’ hanno tra loro la distanza Dx’=1, avranno dunque nella nostra fotografia istantanea la distanza                                                                                           Dx=1/a.                                                          [7]
Se però l’istantanea viene scattata da R’(t’=0), eliminando t dalle equazioni [5] e tenendo conto della espressione [6], otteniamo
x’= a (1-u2/c2)x.
Da ciò concludiamo che due punti situati sull’asse x separati dalla distanza 1 (rispetto a R) avranno, nella nostra istantanea, la distanza
Dx’= a (1-u2/c2)                                              [7 bis].
Ma, da quanto è stato detto, le due istantanee debbono produrre identico risultato di misura di lunghezza; pertanto Dx nella [7] deve essere uguale a Dx’ nella [7bis] , cosicchè si ottiene
a2=1/(1-u2/c2)                                      [7 ter]
Le equazioni [6] e [7 ter] determinano le costanti a e b. Inserendo nelle [5] i valori di queste costanti otteniamo
x’=(x- ut)/(1- u2/c2)1/2
t’= (t- ux/c2)/(1- u2/c2)1/2                                 [8]
ovvero posto g =1/(1.u2/c2)1/2, più comunemente conosciuto come coefficiente di dilatazione, le [8] diventano
x’=g(x - ut)
t’=g(t- ux/c2)1/2
E’ facile vedere che se nelle [8] si pone x=ct, dividendo membro a membro la prima equazione per la seconda, si ottiene x’= ct’ che mostra l’autoconsistenza delle trasformazioni di Lorentz con l’ipotesi della costanza della velocità della luce per tutti gli osservatori equivalenti.
Tali equazioni, note anche come trasformazioni di Lorentz e da lui dedotte sulla base dell’invarianza in forma delle equazioni di Maxwell, furono ottenute pertanto indipendentemente da Einstein a partire dalla costanza della velocità della luce. Esse legano indissolubilmente lo spazio e il tempo nei cambiamenti di sistemi di riferimento, determinando così una seconda “rivoluzione copernicana” in tutti i campi dello scibile umano, in quanto vengono a cadere la concezione del tempo “assoluto”, e della simultaneità assoluta degli eventi ad esso associata, e dello spazio “assoluto”  insieme alla presunta invarianza delle misure di lunghezza passando da un sistema di riferimento inerziale R ad un altro equivalente R’ in moto relativo rettilineo uniforme rispetto al primo.

 

http://www.lemur.it/Sissis/Trasformazioni%20di%20Lorentz%20insegnate%20in%20un%20liceo%20scientifico.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

RELATIVITA’ RISTRETTA: una prima sintesi

 

Con la teoria della relatività ristretta di Einsteinformulata nel 1905 si mettono in discussione  concetti familiari e assodati come tempo, spazio, massa ed energia con i quali l’uomo ordina luoghi e fatti. Einstein giunse alla sua teoria dopo una analisi critica di una asserzione riportata da Galileo nel suo libro “Dialogo sui massimi sistemi”, nota come Principio di relatività galileana, secondo la quale le leggi del moto osservate da due osservatori che si muovono di moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro (osservatori inerziali) sono le stesse.

Galileo enuncia il suo principio di Relatività facendo l’esempio di cosa accadrebbe nel salone di una grande nave dove non sia possibile osservare cosa accade fuori. Galileo immagina di versare acqua in un bicchiere. E dice che il movimento di quella massa d’acqua è esattamente lo stesso sia se la nave è ferma o in viaggio a velocità costante su un mare piatto. Se si eseguisse un qualunque altro tipo di esperimento non si riuscirebbe mai a trovare un effetto che dipenda dalla velocità costante della nave.
Si potrebbe pensare che ciò sia vero perché la nave viaggia a velocità modeste. Galileo non poteva disporre di jet supersonici. Ma noi possiamo facilmente verificare che ciò è vero anche mentre voliamo su un aereo. Su un jet possiamo anche osservare il movimento di una pallina lasciata cadere verso il basso. Tale movimento presenta qualche differenza rispetto al moto analogo di una  pallina  lasciata da una persona ferma?

Conseguenza del principio di Galileo è anche che se lanciamo una palla da un’auto nella direzione del suo moto, la velocità della palla rispetto ad un osservatore fermo sarà uguale alla somma, o alla differenza, della velocità della palla con quella dell’auto a seconda che il lancio avvenga nel verso del movimento dell’auto o in quello opposto (legge di composizione delle velocità di Galileo).

 

La conseguenza più spettacolare dei principi sopra elencati di Galileo è che tutte le velocità sono equivalenti, andar piano, andar forte, o stare fermi sono condizioni totalmente equivalenti. Non c’è alcun privilegio nello stare fermi esattamente come non c’è alcun privilegio nell’avere una velocità qualsiasi, purchè essa sia costante in direzione, verso e intensità. 

Da notare che il principio di relatività di Galilei non è limitato soltanto ai fenomeni meccanici. Se si eseguisse anche un esperimento di elettromagnetismo non sarà mai possibile misurare un effetto che dipenda dalla velocità costante del nostro mezzo di trasporto. Il sapore del caffè, ad esempio,  che è un effetto di natura puramente elettromagnetica non cambia in un jet supersonico!
Tuttavia, i fenomeni elettromagnetici, espressi in poche equazioni verso la fine del diciannovesimo secolo  da Maxwell,  definiscono un’importante novità. E cioè che esiste una velocità privilegiata che non cambia mai. E’ quella delle onde elettromagnetiche, e quindi anche della luce che è pari a  3x105 Km/s (1 miliardo di chilometri l’ora!). Da notare che la luce è sempre obbligata a muoversi così velocemente, salvo dei piccoli rallentamenti quando attraversa un mezzo materiale. Questo obbligo, a muoversi con velocità massima, appartiene alla realtà priva di massa. La luce non ha massa. Noi, per fortuna, siamo dotati di massa. E’ questa proprietà che ci permette di stare anche fermi!

Einstein spiegò due questioni irrisolte legate alla velocità della luce. La prima è connessa alla sua caratteristica di essere un’onda. A differenza delle onde meccaniche, come le onde sonore o le onde del mare, la luce non ha bisogno di un mezzo elastico per propagarsi. Infatti, mentre il suono ha bisogno dell’aria e le onde del mare necessitano dell’acqua, la luce e tutte le altre radiazioni elettromagnetiche si possono propagare anche nel vuoto. Sui vari tentativi di verificare l’esistenza di un mezzo indispensabile per permettere la propagazione della luce– definito etere - effettuati in particolare da Michelson e Morley alla fine dell’800, Einstein risponde che se un oggetto non è osservabile non esiste e tanto vale farne a meno.

La seconda questione insoluta è legate alla velocità della luce la cui costanza mette in crisi il principio di relatività di Galileo – in particolare la legge di composizione dei moti -  la quale funziona bene soltanto nel mondo macroscopico delle nostre esperienze quotidiane dove la velocità degli oggetti in movimento è piccola rispetto alla velocità della luce. Invece,  quando i corpi in movimento hanno una velocità confrontabile con quella della luce la teoria di Galileo risulta  incompleta. Per verificare ciò Einstein immagina di sparare dall’auto in movimento invece di proiettili dei fotoni, e questo lo possiamo fare ad esempio inviando un fascio di luce o un segnale radio (come un messaggio con il nostro cellulare!) nel verso del moto del treno. Ebbene, le onde elettromagnetiche si comportano diversamente dalla palla poiché sia l’osservatore sull’auto che quello fermo rilevano la stessa velocità di queste onde.

 

Vale pertanto il seguente Principio di Einstein della costanza della velocità delle onde elettromagnetiche:

La velocità delle onde elettromagnetiche ha lo stesso valore per tutti gli osservatori e non è alterata dal loro moto relativo

 

Nota. Il fatto che la velocità delle onde elettromagnetiche e quindi della luce sia finita, vale a dire che luce impieghi un certo intervallo di tempo per andare dall’oggetto osservato all’osservatore, costituisce un grande vantaggio per gli astronomi. Permette loro di osservare tutte le fasi dell’evoluzione delle stelle e delle galassie guardando semplicemente nello spazio e indietro nel tempo. Tutti i tipi di fenomeni che sono avvenuti dalla nascita dell’universo fino ad ora possono effettivamente essere osservati in qualche punto del cielo. Per andare dal Sole alla Terra, la luce impiega otto minuti, e quindi, in ogni momento, noi vediamo il Sole come era otto minuti prima. Analogamente, vediamo la stella più vicina come essa era quattro anni fa, e con i più potenti telescopi possiamo vedere le galassie come erano milioni e miliardi di anni fa.

 

Ci si domanda come questa asserzione sia compatibile con il principio di composizione dei moti di Galileo. Einstein giustificò la contraddizione affermando che, poiché velocità vuol dire spazio diviso tempo, affinché la velocità delle onde elettromagnetiche rimanga costante bisogna che lo spazio e il tempo si modifichino. Vale a dire che spazio e tempo non sono gli stessi per osservatori in moto relativo l’uno rispetto all’altro. In particolare Einstein formalizzò, inquadrandoli in una teoria unitaria, i seguenti risultati, in parte  già previsti da Lorentz:

Contrazione delle lunghezze. Nella fisica classica si è sempre dato per scontato che un oggetto ha la stessa lunghezza in moto o in quiete. La teoria della relatività ha mostrato che ciò non è vero. La lunghezza dell’oggetto dipende dal suo moto rispetto all’osservatore. In particolare l’oggetto appare contratto nella direzione del moto. Più precisamente:

  • La lunghezza L di un corpo in moto con velocità v , misurata da un osservatore fermo appare più corta rispetto alla lunghezza propria L0 misurata da un osservatore in movimento con il corpo. In particolare se con c si indica la velocità delle onde elettromagnetiche nel vuoto, vale la seguente relazione:

 

Nota: il fenomeno della contrazione delle lunghezze non riguarda, ovviamente, soltanto corpi in moto. E’ proprio lo spazio a contrarsi, relativamente a un osservatore in movimento, nella direzione del moto.

Dilatazione di tempi. Gli intervalli di tempo, invece, al contrario delle distanze spaziali, diventano tanto più lunghi quanto più aumenta la velocità rispetto all’osservatore. Ciò significa che gli orologi in moto rallentano e il tempo scorre più lentamente. In particolare:

  • La durata di un fenomeno Dt che interessa oggetti in movimento con velocità v, registrata dall’orologio di un osservatore fermo risulta più lungo dell’intervallo di tempo proprio Dto registrato dall’ orologio dell’osservatore in movimento. In particolare:

 


Nota: il tempo proprio rappresenta la durata minima del fenomeno; in tutti gli altri sistemi di riferimento la durata del fenomeno è maggiore.
Il muone. La legge della dilatazione dei tempi, per quanto possa sembrare incredibile, è facilmente sottoposta a verifica nella fisica delle  particelle, come nel caso dei muoni cosmici (detti anche mesone m, o muone a riposo), particelle subnucleari derivanti dal processo di collisione di protoni provenienti dai raggi cosmici contro le molecole d’aria dell'alta atmosfera terrestre. I muoni attraversano l'atmosfera terrestre ed arrivano al suolo con una frequenza misurata di circa 1cm-2 min-1. Come molte altre particelle elementari la vita media dei muoni a riposo è molto breve, circa 2 microsecondi. Un muone che viaggia ad una velocità pari a 0.998 c, percorrerà prima di decadere una distanza s pari a:                   

Poiché i muoni sono prodotti nella parte esterna dell’atmosfera che dista dal suolo circa 9-10 km, la probabilità che un muone raggiunga il suolo è alquanto bassa e non giustifica la frequenza di arrivo misurata. Se invece si tiene conto della dilatazione dei tempi e si corregge la vita media dei muoni per il fattore di Lorentz 1/(1-v2/c2) ½ si ottiene una vita media di ed un percorso medio di 9 Km. Questa nuova stima mostra che una frazione significativa dei muoni prodotti nella parte superiore dell'atmosfera raggiunga il suolo ed è in ottimo accordo con la frequenza misurata.
Poiché la teoria della relatività ristretta è anche una teoria della reciprocità osserviamo che dal punto di vista del muone sarà invece lo spazio a contrarsi, visto che il sistema di riferimento terrestre viaggia verso il muone alla velocità di 0.998 c. La distanza che il muone percorre nel suo sistema di riferimento è quindi di circa 600 m, come previsto dalla durata della sua vita media.

 

 

Lo spazio-tempo quadridimensionale

 

La legge della contrazione delle lunghezze e quella della dilatazione dei tempi mette in evidenza uno stretto legame tra spazio e tempo. Per Einstein lo spazio non è tridimensionale e il tempo non è una entità separata. Entrambi sono profondamente e inseparabilmente connessi e formano un continuo quadridimensionale chiamato spazio-tempo.
Gli effetti relativistici sopra analizzati sembrano strani soltanto perché i nostri sensi non possono fare alcuna esperienza diretta del mondo quadridimensionale dello spazio-tempo, ma possiamo osservarne soltanto “immagini” tridimensionali. Questi immagini hanno aspetti differenti in diversi sistemi di riferimento ; oggetti in moto appaiono diversi da oggetti fermi e orologi in moto scandiscono il tempo con ritmo diverso.
Sono effetti che possono sembrare paradossali se non comprendiamo che essi sono soltanto le proiezioni nello spazio di fenomeni quadridimensionali, proprio come le ombre sono proiezioni su un piano bidimensionale di oggetti tridimensionali. Non ha, pertanto, alcun senso chiedersi quale sia la lunghezza “reale” di un oggetto, proprio come non ha senso chiedersi quale sia la lunghezza reale della mia ombra poiché cambia a seconda dell’angolo di proiezione.
Lo ripetiamo, analogamente, la lunghezza di un oggetto in moto è la proiezione, su uno spazio tridimensionale, di un insieme di punti dello spazio-tempo quadridimensionale; essa è diversa in sistemi di riferimento diversi. Se potessimo visualizzare la realtà dello spazio-tempo quadridimensionale, non ci sarebbe nulla di paradossale.

 

Dilatazione della massa ed equivalenza massa-energia

 

Quando un corpo si muove con velocità v la sua massa misurata da un osservatore fermo appare incrementata rispetto alla massa propria a riposo mo così come risulta all’osservatore in movimento. In particolare:

  • Una massa può trasformarsi integralmente in una quantità di energia e l’energia può materializzarsi in massa secondo la relazione seguente nota come “principio di equivalenza della massa e dell’energia

 

Fonte: http://www.fisicaweb.org/doc/relativita/RELATIVITAnew.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Le sorprese della Relatività

 

La contrazione di Lorentz

 

 

 

ovvero
come un pallone da basket diventa
una palla da rugby oppure un .....boomerang

 



 

 

 

Una teoria rivoluzionaria

 

 
La teoria della Relatività Ristretta (o Relatività Speciale) fu inaugurata da Einstein il 30 giugno 1905 sugli « Annalen der Physik » in una fondamentale memoria intitolata « Zur Elektrodynamik bewegter Körper » (Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento).
 
 In quell'articolo egli scrisse:

« ...Nessuna caratteristica dei fatti osservati corrisponde al concetto di un etere assoluto; [...] per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni della meccanica, valgono anche le equivalenti equazioni dell'elettrodinamica e dell'ottica [...].
In quanto segue facciamo questa ipotesi e introduciamo l'ulteriore postulato, un postulato a prima vista inconciliabile colle ipotesi precedenti, che la luce si propaga nello spazio vuoto con una velocità c che è indipendente dalla natura del moto del corpo che la emette. Queste due ipotesi sono del tutto sufficienti a darci una semplice e consistente  teoria dell'elettrodinamica dei corpi in movimento basata sulla teoria di Maxwell per i corpi in riposo »

Tutta la teoria di Einstein è basata dunque su due postulati fondamentali:

  •      Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Non esiste un sistema inerziale privilegiato (Principio di relatività).

 

  •         La velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore c in tutti i sistemi inerziali (Principio della costanza della velocità della luce).

Il primo di essi rappresenta un'estensione, a tutti gli eventi, del principio di relatività galileiana, che non risulta così annullato, bensì superato attraverso il secondo postulato, dal quale si possono  ricavare i fondamenti della Cinematica relativistica.

 

Contrazione relativistica
della lunghezza

 

Uno degli aspetti caratteristici della teoria della relatività speciale di Einstein è che la lunghezza di oggetti che si muovono a velocità relativistiche subisce una contrazione secondo la direzione del moto. Un osservatore in quiete ( rispetto all'oggetto in moto) osserverebbe l'oggetto in movimento divenire più corto in lunghezza. Supponiamo che la lunghezza di un oggetto, misurato quando è fermo sia di 20 metri; allora lo stesso oggetto quando si muove a velocità relativistiche rispetto all'osservatore/misuratore, fornirebbe una lunghezza di misura inferiore a 20 m.

Questo fenomeno non è dovuto ad errori di misura o ad osservazioni sbagliate; l'oggetto è realmente contratto in lunghezza , secondo il punto di vista del sistema di riferimento stazionario. L'ammontare della contrazione dell'oggetto dipende dalla sua velocità relativa all'osservatore. Le animazioni qui sotto mostrano questo fenomeno. In ciascuna animazione una navicella spaziale si muove vicino alla Terra ad alta velocità. La sua lunghezza misura 20m quando è fermo rispetto all'osservatore.

 

 

navicella spaziale in moto al 10 % della velocità della luce

navicella spaziale in moto al 86.5 % della velocità della luce

 

 

navicella spaziale in moto al 99 % della velocità della luce

 

navicella spaziale in moto al 99.99 % della velocità della luce

Si noti che la contrazione della lunghezza è significativa solo quando l'oggetto si muove a velocità relativistiche - cioè, le velocità che sono una frazione significativa della velocità della luce. Tuttavia, si noti che la contrazione avviene solamente nella direzione del moto.In altri termini se l'oggetto si muove orizzontalmente, allora è la dimensione orizzontale che è contratta; non c'è nessuna contrazione nell'altezza dell'oggetto. Questa informazione è riassunta nella tabella qui sotto.

 

Velocità della navicella

Lunghezza osservata

Altezza osservata

in quiete

20,0 m

4,0 m

10 % della velocità della luce

19,9 m

4,0 m

86.5 % della velocità della luce

10,0 m

4,0 m

99 % della velocità della luce

2,8 m

4,0 m

99.99 % della velocità della luce

0,3 m

4,0 m

Ma la contrazione delle lunghezze è realmente visibile da un osservatore in moto relativo rispetto all'oggetto ?

 

Ulteriori informazioni sulla teoria della relatività speciale e le sue conseguenze sono disponibili presso The Physics Classroom.

Questa pagina è stata tradotta dall’alunna  Daniela IURLANO della classe II B E.A.T. dell'I.P.S. "CABRINI" di Taranto


Apparenza visiva di oggetti in moto
a velocità relativistica

La contrazione della lunghezza, ovvero della distanza spaziale fra due eventi nello spazio-tempo, è una diretta conseguenza della dilatazione relativistica del tempo.

La relazione fra la lunghezza L di un regolo misurata da un osservatore rispetto a cui il regolo è in quiete e la lunghezza L’ rilevata da un’osservatore in moto rispetto ad esso con velocità v, è data da:

Da questa formula si deduce che gli oggetti in moto risultano contratti nella direzione del moto di un fattore pari a , con un andamento di questo tipo:

La relatività speciale predice che la contrazione possa essere fotografata o osservata mediante un conveniente esperimento e le espressioni "osservare" e "vedere" sembrano essere del tutto interscambiabili.

 

C’è tuttavia una chiara distinzione fra i due termini:

 l’osservazione della forma "propria" di un oggetto richiede misure simultanee della posizione di un certo numero di punti sull’oggetto.

 la visione dello stesso oggetto richiede invece una qualche interazione con l’evento , attraverso i quanti di luce emessi dalle varie parti dell’oggetto che, provenendo da posizioni diverse, raggiungono l’osservatore visivo in tempi sensibilmente diversi.

Questo comporta una sorprendente deformazione dell’immagine osservata:

 accade infatti che  i raggi di luce che raggiungono gli occhi simultaneamente sono partiti dall'oggetto in istanti diversi, questo a causa della finitezza della velocità della luce; ora, se l'oggetto si muove lentamente, la differenza di cammino dei raggi luminosi e quindi la deformazione ottica risultano trascurabili.

 

Se invece il rapporto v/c diventa significativamente elevato, allora la visione di un oggetto comporta effetti di particolare interesse .
Ecco alcune simulazioni realizzate con software di rendering abbastanza potenti:


Saturno

Paesaggio geometrico

Tour Eiffel

NaCl

 
http://astro2005.altervista.org/1.Relazioni/Le%20sorprese%20della%20Relativit%E0.doc

autore: Prof. C. Petrosillo e Ferrara A.( IV A tcb)

 

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