Fisiologia del sistema endocrino
Fisiologia del sistema endocrino
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Fisiologia del sistema endocrino
Fisiologia del Sistema Endocrino
  Introduzione
  Il sistema endocrino precede nella scala evolutiva il  sistema di comunicazione nervoso. Nel sistema endocrino una cellula, per comunicare  con un'altra, immette una certa molecola, detta ormone, nel torrente sanguigno,  nel quale essa vaga fino a che trova la cellula bersaglio, ossia una cellula  con un recettore appropriato.
  Gli ormoni possono essere divisi in peptidici (o  proteici: costituiti da una sequenza di aminoacidi) e non peptidici. Gli ormoni  prodotti dalla tiroide, detti iodotironine, come vedremo, possono essere  generalmente compresi tra gli ormoni non peptidici, ma presentano alcune  caratteristiche comuni ad entrambe le classi.
  La classificazione degli ormoni in peptidici e non  peptidici risulta utile in quanto tutti gli ormoni della prima classe vengono  sintetizzati e agiscono concettualmente allo stesso modo; lo stesso discorso  vale per quelli della seconda classe. Nello schema seguente vengono confrontate  alcune caratteristiche delle due classi di ormoni.
  Caratteristica Ormoni peptidici Ormoni non peptidici
  solubilità in solventi: acquosi ottima scarsa non acquosi  scarsa ottima
  via di sintesi unione di singoli peptidi multi enzimatica  si può sfruttare un pre-ormone 
  trasformazioni extra-ghiandolari rare frequenti
  accumulo di ormoni spesso notevole irrilevante
  prodotti di degradazione inattivi talora attivi
  nel sangue: legame a proteine raro frequente
  periodi di emivita* alcuni minuti alcune ore
  presso il bersaglio: legame iniziale con recettore sulla  membrana con recettore intracell.
  principale sito d'azione membrana plasmatica nucleo
  meccanismo d'azione stimola II° messaggero stimola  produz. mRNA
  Prima di approfondire i meccanismi di azione dei due tipi  di ormoni, da questo schema si nota che: l'azione degli ormoni peptidici in  genere sarà più immediata di quella dei non peptidici poiché i peptidici  viaggiano nel sangue liberi da proteine trasportatrici. Si nota anche che gli ormoni  peptidici, a differenza dei non peptidici, hanno molta difficoltà ad  attraversare la membrana: infatti i primi agiscono sulla membrana cellulare, i  secondi all'interno della cellula. Gli ormoni peptidici poi possono essere  conservati in apposite vescicole intracellulari, mentre per gli ormoni non  peptidici questa possibilità non sussiste.
  (*) il periodo o tempo di emivita è definito come il  tempo necessario affinché la quantità di una sostanza si dimezzi.
  Alcune eccezioni - la terza colonna dello schema riguarda  gli ormoni non peptidici. Tutto quanto è stato detto in quella colonna vale per  gli ormoni steroidei, mentre bisogna fare alcune precisazioni per quanto  riguarda alcuni ormoni tiroidei. Le iodotironine si comportano in tutto come un  ormone steroideo, ad eccezione della sintesi (presentano un precursore [=  preormone] come avviene per gli ormoni peptidici) e della modalità d'azione  (possono agire anche con recettori posti sulla membrana, come fanno gli ormoni  peptidici). NB: iodotironine è un termine "generico" che indica due  ormoni prodotti dalla tiroide: la triiodotironina (T3) e la tetraiodotironina  (T4) detta anche tiroxina.
  Anche l'adrenalina ha bisogno di una precisazione: essa  fa parte degli ormoni peptidici, ma viene sintetizzata come gli ormoni  steroidei.
  Meccanismi d'azione degli ormoni peptidici (e di  alcune iodotironine)
  Quando un ormone peptidico (detto I° messaggero) giunge  in prossimità della cellula bersaglio non penetra (non può penetrare) al suo  interno, ma si lega al proprio recettore specifico posto sulla membrana  cellulare. Il complesso ormone + recettore provoca all'interno della cellula la  trasformazione dell'ATP in adenosim monofosfato ciclico (AMPc). L'AMPc è un  messaggero intracellulare (detto II° messaggero), che provoca una risposta  cellulare.
  Come possono agire ognuno a suo modo molti differenti  ormoni peptidici se la risposta che essi inducono è aspecifica (inducono cioè  tutti la stessa risposta)? La spiegazione a questo quesito può essere data  considerando le differenti concentrazioni di recettori presenti sulle membrane  di diverse cellule. Consideriamo un esempio: l'organismo induce la liberazione  di un ormone peptidico (adrenalina) che dovrà agire sul cuore come eccitatore.  Questo ormone, una volta immesso in circolo, viene a contatto con le cellule  del cuore ma anche con le cellule di tutti gli altri tessuti. Il fatto che  l'azione dell'adrenalina sia concentrata e limitata alle sole cellule cardiache  è garantita dall'altissima concentrazione di recettori specifici presenti sulle  cellule del cuore, e dalla bassissima concentrazione presente su tutte le altre  cellule che quindi risultano "invisibili" all'ormone.
  Meccanismi d'azione degli ormoni steroidei
  Quando un ormone steroideo giunge in prossimità della  cellula bersaglio penetra al suo interno, e si lega al proprio recettore  specifico. Il complesso ormone + recettore è abilitato a oltrepassare la  membrana nucleare, e una volta giunto nel nucleo induce la produzione di un  determinato mRNA (gli ormoni steroidei, a differenza di quelli peptidici, hanno  un'azione altamente specifica). All'mRNA segue una sintesi proteica, ossia una  risposta cellulare.
  I sistemi APUD e non APUD
  Le strutture che secernono ormoni peptidici possono  sintetizzarli in vari modi. Il primo modo ad essere stato studiato fu quello in  cui le strutture secernenti prelevano ammine e le decarbossilano, per poi  procedere alla sintesi vera e propria dell'ormone. Le iniziali inglesi di  questa azione (Amine Precursor Uptake Decarbossilation) hanno  "suggerito" di chiamare brevemente APUD il sistema endocrino che  secerne ormoni peptidici, ed ormoni APUD gli ormoni peptidici. Gli ormoni che  non peptidici vengono detti non APUD.
  I sistemi adenoipofisi dipendenti ed indipendenti,  l'adenoipofisi e l'ipotalamo
  Le strutture che secernono ormoni possono essere divise a  seconda che dipendano o no dall'adenoipofisi.
  L'adenoipofisi è un organo di origine epiteliale, che  contiene corpi cellulari, ed è una vera e propria ghiandola endocrina, posta  sotto il controllo dell'ipotalamo (= organo integratore) al quale è collegata  tramite il sistema portale ipotalamo ipofisario. L'ipotalamo a sua volta fa  parte del sistema nervoso centrale, dal quale riceve informazioni. Si può  quindi affermare che l'adenoipofisi sia controllata dal sistema nervoso  centrale.
  Il sistema portale ipotalamo ipofisario è definito  portale in quanto presenta una somiglianza concettuale con la circolazione  portale propriamente detta. Infatti, come la vena porta nasce da un letto  capillare e genera un secondo letto capillare, così anche le vene che  dall'ipotalamo vanno all'ipofisi si originano da un letto capillare  (nell'ipotalamo) e ne generano un secondo (nell'adenoipofisi).
  L'utilità del sistema portale ipotalamo ipofisario può  essere compresa considerando le funzioni e la morfologia dell'ipotalamo.  L'ipotalamo è una ghiandola endocrina che libera, come tutte le ghiandole  endocrine, degli ormoni* che giungono agli organi bersaglio tramite il torrente  sanguigno. Poichè l'ipotalamo è un organo molto piccolo, libera i suoi fattori  in quantità minime, cosicchè, se venissero immessi nel grande circolo si  disperderebbero. Per farli giungere più direttamente all'adenoipofisi (loro  unico bersaglio) si è sviluppata una "corsia preferenziale": il sistema  portale ipotalamo ipofisario.
  (*) gli ormoni liberati dall'ipotalamo, che sono tali a  tutti gli effetti, vengono di solito chiamati fattori, e non ormoni, poiché  sono molto più semplici di tutti gli altri ormoni prodotti dall'organismo.
  I fattori liberati dall'ipotalamo hanno il compito di  regolare la secrezione degli ormoni adenoipofisari. Quindi i fattori  ipotalamici sono di due tipi: fattori di liberazione (o releasing factosr, RF)  o fattori inibenti (o inibiting factors, IF). Logicamente* esiste un RF e un IF  per ogni ormone adenoipofisario. Il nome completo di un fattore ipotalamico  risulta dal nome dell'ormone adenoipofisario sul quale agisce e dalla sigla che  lo definisce come inibente o stimolante. Per esempio il fattore inibente la  liberazione di ormone adenocorticotropo (ACTH) viene detto ACTH-IF.
  (*) Al giorno d'oggi non sono ancòra stati isolati gli RF  e gli IF per tutti gli ormoni adenoipofisari, ma è quasi certo che essi debbano  esistere.
  Gli ormoni dell'adenoipofisi
  L'adenoipofisi possiede sette diversi tipi di cellule.  Ognuno di questi tipi è sensibile ad un particolare fattore RF e IF e produce  uno specifico ormone adenoipofisario. Tutti gli ormoni prodotti  dall'adenoipofisi sono stimolanti.
  Nome Sigla
  Ormone adenocorticotropo (agisce sulle surrenali) ACTH  Ormone tireotropo TSH Ormone follicolo stimolante* FSH Ormone luteinizzante*  LH, ICSH Ormone stimolante i melanociti MSH Ormone galattoforo (o prolattina)**  PRL Ormone accrescimento** GH
  (*) L'ormone LH agisce anche sulle cellule interstiziali  delle gonadi maschili, e per questo viene anche indicato come ICSH  (Interstitial Cells Stimulating Hormon). L'ormone FSH agisce anche sui tubuli  seminiferi, promuovendo la produzione di spermatozoi.
  (**) La prolattina e l'ormone dell'accrescimento sono gli  unici due ormoni dell'adenoipofisi ad agire sui tessuti e non su ghiandole  bersaglio.
  I meccanismi di controllo dell'azione ormonale, il  feed-back
  Il principale mezzo di controllo dell'azione degli ormoni  si basa sulla loro stessa concentrazione: più un ormone è concentrato più  vengono inibite le cellule deputate alla sua produzione, meno è concentrato  meno le cellule vengono inibite. Non sarebbe corretto affermare che "meno  l'ormone è concentrato più le cellule vengono stimolate" poichè questo  meccanismo di regolazione è essenzialmente frenante, e non stimolante. Esso è  chiamato meccanismo di feed-back negativo.
  Nel caso del complesso ipotalamo - adenoipofisi -  cotreccia surrenale il feed-back è detto:
  - direttissimo se le variazioni di concentrazione  influiscolo sulla surrenale - diretto se le variazioni di concentrazione  influiscono sull'adenoipofisi - indiretto se le variazioni di concentrazone  influiscono sull'ipotalamo.
  Per completezza ricordiamo che esistono anche dei  meccanismi di feed-backpositivo, che ad un aumento della concentrazione  ormonale fanno seguire una stimolazione delle cellule produttrici, con  conseguente ulteriore aumento della concentrazione ormonale. Il feed-back  positivo è molto raro ed inoltre non agisce mai "da solo", ma stà  sotto lo stretto controllo di altri meccanismi (se fosse lasciato operare  libermante sarebbe dannoso).
  I farmaci ed il feed-back - Quando, per motivi  patologici, un determinato ormone è carente, si possono somministrare dei  farmaci contenenti l'ormone in questione. L'aumentata concentrazione  dell'ormone però attiva il meccanismo del feed-back provocando un'ulteriore  inibizione* delle ghiandole che lo producono. Il farmaco quindi provoca a  brevissimo termine un miglioramento, ma successivamente non fa che aggravare la  situazione, poichè le ghiandole, che producevano poco ormone, ora ne producono  ancòr di meno
  Il problema può essere superato sintetizzando dei farmaci  che contengano delle molecole simili agli ormoni per quanto riguarda gli  effetti periferici, ma che non siano in grado di attivare il feed-back.
  Un altro metodo, qualora il precedente non sia  applicabile, consiste nell'immettere (al posto dell'ormone mancante) gli ormoni  precursori che stimolano le ghiandole produttrici dell'ormone mancante. Per esempio:  nel caso la concetrazione di cortisone sia carente si può immettere l'ormone  ACTH che stimola la corteccia surrenale che così produrrà più cortisone.
  Si presenta però il problema che l'ACTH, stimolando la  surrenale, provoca un aumento non solo della produzione di cortisone, ma anche  della produzione di tutti gli altri ormoni prodotti dalla corteccia surrenale.
  (*) Se la concentrazione di un ormone non è sufficiente  significa che le ghiandole che lo producono sono in uno stato di  ipofunzionamento (con conseguente stato di atrofia). Una somministrazione di  ormone dall'esterno le debilità ancora di più. Tuttavia, nella maggior parte  dei casi, una volta terminato il trattamento, le ghinadole pian piano  raggiungono il normale stato trofico. Talvolta ciò non succede, e allora le  ghiandole cadono in atrofia totale: in questo caso è necessario continuare a  somministrare dall'esterno gli ormoni (che non possono essere più prodotti  dall'organismo) per tutta la vita: è il caso di alcuni tipi di diabete, nei quali  la produzione di insulina da parte dell'organismo è azzerata.
  Gli ormoni indipendenti dall'adenoipofisi
  Alcuni ormoni sono indipendenti dall'adenoipofisi, e  quindi le ghiandole che li producono fungono loro stesse da organi integratori.  Il meccanismo di feed-back di questi ormoni viene attivato sia dalla loro  concentrazione sia dai loro effetti. Tra gli ormoni indipendenti  dall'adenoipofisi possiamo ricordare l'insulina.
  L'insulina
  L'insulina è un polipeptide prodotto dal alcune delle  cellule delle isole del Langerhans, situate nel pancreas. Il compito  dell'insulina è di mantenere costante la concentrazione del glucosio (o  glicemia) nel plasma, poichè un eventuale aumento di questa sarebbe dannoso al  metabolismo cellulare. L'insulina agisce favorendo l'entrata del glucosio nelle  cellule (quindi fa diminuuire la glicemia nel plasma: è un agente  ipoglicemizzante).
  Un aumento della glicemia causa un aumento della  produzione di isulina, una diminuzione della glicemia ha l'effetto contrario,  infatti le cellule delle isole di Langerhans deputate alla produzione di  insulina sono sensibili alla concentrazione del glucosio. La concentrazione  dell'insulina, oltre a variare in funzione della glicemia, sottostà anche ai  normali controlli di feed-back negativo.
  L'ormone della crescita, GH
  L'ormone della crescita, GH o somatotropina, durante  l'età dello sviluppo promuove l'accrescimento. Bisogna notare però che la sua  concentrazione non diminuisce dopo l'età dello sviluppo, ma resta costante (se  si escludono piccole variazioni cicliche) per tutta la vita. La principale  funzione dell'ormone GH consiste nello stimolare il metabolismo cellulare, si  dice quindi che ha una funzione anabolizzante. Nella fase evolutiva, in  particolare, esso favorisce la mitosi cellulare. Superata l'età evolutiva le  cellule modificano alcune loro caratteristiche e l'accrescimento ha fine. La  concentrazione di GH resta costante, come accennato prima, ma le modifiche  cellulari ne limitano l'azione.
  Per accrescimento si intende un aumento della statura e  del peso del soggetto. E' ovvio che anche dopo l'età dello sviluppo le cellule  continuano a dividersi (i tessuti si rinnovano continuamente, fatta eccezione  per i tessuti perenni), ma il rapporo nascita cellulare/ morte cellulare in  questo caso diviene pressochè costante. Nell'età dello sviluppo invece la  nascita cellulare supera la morte cellulare. Nella vecchiaia il rapporto si  inverte.
  L'ormone GH agisce principalmente su: provocando:
  tessuto muscolare aumento della sintesi proteica aumento  della captazione degli aminoacidi diminuzione della captazione di glucosio  (tutto ciò causa un'ipertrofia muscolare)
  fegato aumento della sintesi proteica aumento della  sintesi di RNA aumento della sintesi di glucoso aumento della produzione di  somatomedine
  tessuto adiposo aumento della lipolisi diminuzione della  captazione di glucosio
  Le somatomedine successivamente regolano lo sviluppo  delle ossa e delle cartilagini, nonchè del metabolismo muscolare.
  Il processo di ossificazione - Lo scheletro si sviluppa  da una matrice cartilaginea che col tempo viene sottoposta ad ossificazione.  L'ossificazione può avvenire in due modi. Gli spazi cartilaginei (si parla  esclusivamente delle cartilagini che dovranno "diventare" ossa)  possono subire una "occupazione" da parte di osteoblasti portati  dalle arterie, che durante lo sviluppo iniziano ad irrorare le cartilagini.  Oppure l' occupazione può essere promossa dal periostio, una sottile lamina che  circonda le cartilagini stesse.
  Le cartilagini che restano tali anche nell'adulto non  vanno incontro a tali fenomeni.
  Gli osteoblasti sono responsabili del deposito di  sostanza ossea negli spazi cartilaginei. Gli osteoclasti invece sono  responsabili della solubilizzazione e del riassorbimento del tessuto osseo: il  rapporto tra osteoblasti e osteoclasti è a favore dei primi nell'età evolutiva,  a favore dei secondi nella vecchiaia. L'equilibrio è pressochè stabile nell'età  matura. Da ciò segue che il tessuto osseo non è un tessuto perenne, anzi nel  tempo di 2/3 mesi esso risulta completamente "rifatto", ossia  cotituito da cellule nuove.
  Meccanica del processo di ossificazione - Consideriamo un  osso lungo in accrescimento. Un osso di questo tipo possiede una diafisi  (corpo) e due epifisi (estremità). Presso ognuno dei due confini  diafisi-epifisi esiste una zona di cartilagine detta metaepifisaria o di  accrescimento. La porzione metaepifisaria rivolta verso le estremità dell'osso  presenta una continua divisione cellulare, poichè le cellule della cartilagine  di accrescimento sono sensibili all'ormone GH (per essere più precisi sono  senibili alle somatomedine che, come abbiamo visto, sono regolate dall'ormone  GH).
  L'osso, da quanto visto finora, continuerebbe ad  accrescersi senza sosta, e resterebbe cartilagineo. A questo punto intervengono  gli osteoblasti, che "inseguono" il fronte di accrescimento  ossificando tutti gli spazi presenti tra le cellule cartilaginee. Così, durante  l'accrescimento, l'unica zona cartilaginea dell'osso è rappresentata dalla zona  di accrescimento. Quando gli osteoblasti raggiungono il fronte di accrescimento  "bloccano" le cellule cartilaginee riempiendo gli spazi  intercellulari. Si è giunti quindi al termine dell'accrescimento dell'osso (e  della statura dell'individuo).
  Si vede quindi che la fine dell'accrescimento osseo non è  causata da una mancanza di ormone GH (la cui concentrazione rimane costante),  ma da un blocco operato dagli osteoblasti sulle cellule cartilaginee, che in  questo modo sono rese "insensibili" all'ormone stesso.
  L'attività degli osteoblasti è prevalentemente promossa  dagli ormoni sessuali (specialmente maschili), e non dall'ormone della  crescita, GH. Questo fa si che gli uomini abbiano uno scheletro più grosso e  pensante di quello delle donne, data ovviamnete la maggior presenza nel loro  organismo di ormoni maschili.
  Cenni di anatomia del tessuto osseo
  Il tessuto osseo è un particolare tessuto connettivo, nel  quale le fibre collagene sono cementate dall'osseina, e la sostanza  fondamentale risulta molto compatta (calcificata). Le fibre collagene sono  raccolte in lamelle, che a loro volta si possono riunire in due diversi modi.  Nelle ossa dette spugnose le lamelle sono riunite in trabecole che delimitano  gli spazi midollari, nelle ossa compatte le lamelle sono riunite in strati  concentrici.
  Gli strati concentrici di lamelle si alternano a strati  di osteociti. La disposizione delle lamelle avviene attorno ad un canale  centrale. Il canale con le sue lamelle costituisce un osteone o sistema di  Havers. I canali del sistema di Havers sono in collegamento tra loro per mezzo  dei canali perforanti di Volkmann.
  Nel tessuto osseo è notevole la presenza di fosfato di  magnesio, fosfato di calcio e carbonato di calcio. I sali minerali presenti  nelle ossa possono essere trasferiti ad altri organi che ne hanno bisogno,  cosicchè esse vengono considerate delle riserve di sali.
  I vari tipi di ossa possono essere suddivisi in tre  principali gruppi: ossa lunghe (es: femore), ossa corte (es: rotula), ossa  piatte (es: scapola). Le ossa corte e le ossa piatte sono formate da tessuto  spugnoso all'interno e compatto all'esterno. Le ossa lunghe sono spugnose alle  estremità e compatte nel corpo.
  I tessuti perenni
  Tutti i tessuti, come accennato nel § sull'ormone GH, si  rinnovano continuamente. Fanno eccezione a questa regola i tessuti detti  perenni, ossia il tessuto muscolare, quello nervoso e quello adiposo.
  Per quanto riguarda il tessuto nervoso il numero delle  cellule (neuroni) che lo compongono aumenta fino al 4° anno di vita.  Successivamente i neuroni iniziano a "morire" mentre non se ne  formano di nuovi.
  Poichè il numero di neuroni di cui si dispone al 4° anno  di vita è "sovrabbondante", effetti negativi importanti della morte  cellulare si manifestano solo dopo un periodo di tempo molto lungo (più lungo  della vita media), cosicchè patologie di questo genere riguardano  essenzialmente pazienti anziani. Per migliorare la situazione, i neuroni vanno  tenuti "in allenamento" tramite una ginnastica mentale (studio, eccetera)  che mantenga a livelli ottimali il loro metabolismo e faccia aumentare il  numero delle loro sinapsi. Ciò allontana nel tempo il rischio di patologie  dovute alla morte cellulare dei neuroni, poichè l'aumentato numero di sinapsi  compensa il diminuito numero di neuroni.
  Per quanto riguarda il tessuto muscolare il numero delle  cellule (fibre) che lo compongono aumenta fino al periodo dello sviluppo  (compreso). Successivamente il loro numero resta costante. Le cellule muscolari  non vanno incontro ad una continua morte, come i neuroni.
  Le cellule muscolari non presentano fenomeni di morte  cellulare, ma ciò non toglie che il passare del tempo influisca negativamente  su di esse, specialmente al giorno d'oggi che la vita si allunga e diviene  sempre più sedentaria. Per migliorare la situazioneu, un pò come accadeva per i  neuroni, le fibre muscolari vanno tenute "in allenamento" tramite una  ginnastica appropriata (sport, eccetera) che mantenga a livelli ottimali il  loro metabolismo e faccia aumentare il loro volume (ipertrofia muscolare). Si  può paragonare quindi l'aumento del volume delle cellule muscolari con  l'aumento del numero delle sinapsi delle cellule nervose.
  Per quanto riguarda il tessuto adiposo il numero delle  cellule che lo compongono aumenta fino al periodo dello sviluppo (compreso).  Successivamente il loro numero resta costante. Le cellule adipose possono  variare le loro dimensioni a seconda che siano più o meno piene di lipidi.
  Il controllo adenoipofisario sulle gonadi
  L'adenoipofisi controlla la produzione delle  gonadotropine: FSH (o ormone follicolo-stimolante, agente nell'uomo sui tubuli  seminiferi promuovendo la formazione di spermatozoi) e LH (ormone  luteo-stimolante, agente nell'uomo sulle cellule interstiziali di Leydig, che a  loro volta secernono ormoni maschili).
  Nell'uomo la regolazione della produzione di ormoni  sessuali non presenta importanti caratteristiche, poichè la produzione è  costante ed uniforme. Nella donna invece la regolazione è più complessa, poichè  la produzione di ormoni femminili è ciclica (didatticamente si possono  distinguere un ciclo ovarico ed uno mestruale).
  Gli ormoni, lo sviluppo del follicolo ovarico e  dell'endometrio - (iniziamo l'analisi dei cicli partendo dalla avvenuta  desquamazione dell'epitelio dell'utero). L'ormone FSH stimola la parete esterna  di più follicoli ovarici, che a sua volta liberano ormoni estrogeni. Questi  ormoni favoriscono la rigenerazione della mucosa uterina (endometrio). Un'altra  loro caratteristica è quella di inibire lo sviluppo dei follicolo ovarici  stessi, cosicchè solo uno dei più follicoli stimolati continui la sua attività:  quello più "forte", ossia quello che per motivi casuali si è  modificato di più e resiste megio all'attività inibente degli estrogeni.
  Durante lo sviluppo il follicolo si riempie di liquor  follicoli, e verso il 14° giorno scoppia liberando l'uovo (in questa fase c'è  un aumento della concentrazione di LH preceduto da una caduta di concentrazione  di FSH). L'uovo viene captato dalle fimbrie, e tramite le tube uterine viene  portato nell'utero.
  Nel frattempo nell'ovaio l'ormone LH stimola la  formazione del corpo luteo, una struttura endocrina che produce il  progesterone, un ormone che stimola il metabolismo dell'endometrio, che si è  già rigenerato tramite gli estrogeni. Il progesterone aumenta la  vascolarizzazione dell'endometrio, aumenta i depositi locali di glucosio,  aminoacidi eccetera. Ciò è molto importante poichè la mucosa uterina deve  essere un ottimo "terreno di colura", pichè lì si impianterà l'uovo,  se fecondato.
  Fecondazione o no - Se l'uovo non viene fecondato, verso  il 21° giorno* si ha una diminuzione della concentrazione di ormone LH, e a ciò  segue l'involuzione del corpo luteo. Cala quindi anche la concentrazione di  progesterone (che era prodotto dal corpo luteo) e ciò provoca la morte della  zona superficiale dell'endometrio, con conseguente eliminazione tramite la  mestruazione.
  Se avviene la fecondazione (solitamente gli spermatozoi  raggiungono l'uovo quando si trova nelle tube) inizia immediatamente un  processo di divisione cellulare, con formazione di un primitivo embrione. Circa  dopo 28 giorni (ma il periodo è molto variabile) l'embrione si annida  nell'utero, dove la cellule della sua parte esterna (che formeranno la  placenta) iniziano a secernere gonadotropine (dette corioniche) che hanno il  compito (come lo aveva l'LH) di mantenere in attività il corpo luteo (che  provvede, tramite il progesterone, alla vita dell'endometrio).
  Per due o tre mesi il corpo luteo è in grado di mantenere  il trofismo dell'endometrio. Successivamente questo compito viene svolto dalla  placenta. Infatti la placenta, producendo essa stessa progesterone, agisce con  meccanismo di feed-back sul corpo luteo, ponendo fine alla sua attività. Per  comprendere questa situazione si tenga presente che la placenta, in confronto  alla madre, è una struttura estranea: quindi il progesterone prodotto dalla  placenta, ed immesso nel circolo sanguigno della madre tramite l'endometrio  uterino, equivale ad una somministrazione di ormoni esogeni.
  Al terzo o quarto mese la placenta stimola il rilascio,  dall'adenoipofisi, della prolattina, che causa la proliferazione cellulare  della ghiandola mammaria. Alla fine del periodo* della gravidanza, che dura in  media 9 mesi, la neuroipofisi inizia a secernere ossitocina, un ormone che fa  aumentare la contrattilità della muscolatura liscia, ed in partilolare di  quella dell'utero, le cui cellule sono dotate di molti recettori da ossitocina.  Ciò stà alla base dei meccanismi del parto.
  (*) Le regolazioni temporali di vari processi fisiologici  sono dettate da meccanismi ancòra poco consciuti, indicati talvolta come  "orologi biologici". Si pensa che sia l'ipotalamo a possedere le informazioni  su quando far accadere taluni eventi.
  Cenni sulla costituzione del Sangue e sul Sistema  Immunitario
  Il sangue, la sua parte liquida (plasma)
  Il sangue è un tessuto composto parzialmente (46%) da  elementi cellulari omogenei (parte corpuscolata) e parzialmnente (56%) da una  matrice liquida, o plasma. Il plasma è composto in gran parte da acqua (91%),  poi da proteine (7%) e da altre sostanze (sali, amminoacidi, zuccheri  [specialmente glucosio], urea, ecc.) Le concentrazioni di queste sostanze sono mantenute  costanti tramite vari meccanismi omeostatici, come il riassorbimento e la  secrezione renale, la respirazione, ecc.
  Il plasma sanguigno - Il plasma consente il trasporto  delle sostanze in esso contenute (la parte corpuscolare del sangue, essenzialmente),  ma partecipa anche al trasporto di ossigeno ed anidride carbonica. Essendo  composto in gran parte d'acqua svolge anche funzioni termoregolatrici, infatti  l'acqua mantiene per lungo tempo il calore (energia) che possiede Ci  soffermiamo ora sulle proteine presenti in esso. Le più importanti sono:
  - il fibrinogeno, una proteina grossa e filamentosa che  prende parte alla coagulazione (il plasma, privato del fibrinogeno, viene detto  siero)
  - le albumine, proteine prodotte dal fegato, che servono  a trasportare sia aminoacidi sia molecole non facilmente solubili, come gli  ormoni steroidei o alcune vitamine
  - le globuline alfa e beta, anche loro prodotte dal  fegato, e anche loro trasportatrici di AA.
  - le globuline gamma, o gammaglobuline, prodotte dai  linfociti, hanno il compito di difendere l'organismo dalle sostanze ritenute  estranee (o non-self). E' più preciso parlare di sostanze "ritenute  estranee" più che di sostanze estranee in senso assoluto, poichè talvolta  anche sostanze proprie dell'organismo vengono "scambiate" per  non-self.
  Il sangue, la sua parte corpuscolare
  La parte corpuscolata del sangue, ma anche i linfociti  (facenti parte del Sistema Immunitario), prendono origine dal midollo osseo  rosso, detto anche tessuto emopoietico, ed in particolare da cellule staminali  da esso prodotte.
  Il tessuto emopoietico e le cellule staminali
  Dopo la nascita i tessuti emopoietici sono rappresentati  dal midollo osseo rosso, che è capace di generare vari tipi di cellule che  andranno a comporre la parte corpuscolata del sangue. Esso si differenzia dal  midollo osseo giallo, che ha perso questa capacità. Il midollo osseo rosso è  situato, nell'adulto, nelle epifisi delle ossa lunghe, corte e piatte. In caso  di emorragie croniche o di alterazioni della emopoiesi midollare, la produzione  ematica può nuovamente avvenire (come accadeva nella vita fetale) nel midollo  delle diafisi delle ossa lunghe e nel tessuto connettivo del fegato.
  Il midollo osseo produce un tipo di cellule molto  indifferenziate, dette cellule staminali, che sono in grado di dare origine a  più specie di cellule diverse. Una cellula staminale può differenziarsi in una  cellula linfatica (che originerà vari linfociti) o in una cellula ematica (che  originerà i componenti della parte corpuscolata del sangue).
  Da una cellula ematica derivano i megacariociti  (origineranno le piastrine), le cellule staminali dei globuli rossi e le  cellule staminali mieloidi (origineranno i globuli bianchi). Da una cellula  linfatica derivano linfociti T e B. 
  I componenti della parte corpuscolata del sangue
  La parte corpuscolata del sangue contiene globuli rossi,  globuli bianchi e piastrine.
  Le piastrine (e la coagulazione) - le piastrine sono  frammenti cellulari di megacariociti, sono coinvolti nella coagulazione. La  coagulazione consiste in una serie di meccanismi atti a fermare uno spandimento  di sangue, conseguente alla rottura di un piccolo vaso. Qui di seguito  accenniamo, a grandi linee, al meccanismo della coagulazione.
  Quando un vaso si rompe, le piastrine del sangue vengono  a contatto con la membrana basale, poichè l'endotelio apparirà danneggiato in  uno o più punti. Le piastrine si "attaccano" alla membrana basale  (non si possono invece attaccare all'endotelio, data la sua struttura), e  iniziano ad ammassarsi le une sulle altre.
  In questo caso, contemporaneamente all'ammassarsi delle  piastrine, la muscolatura lisica del vaso che è stato leso mette in atto una  vasocostrizione locale, che causa una minor perdita di sangue ed un più  efficace "tappo" ad opera delle piastrine.
  Le piastrine, quando iniziano ad accumularsi, rilasciano  un compesso di molecole, detto reduttasi piastrinica, che ha il compito di  "spremere" le piastrine stesse, in modo che il tappo da loro formato  sia più fitto. Conteporaneamente viene rilasciato anche il fibrinogeno, una  molecola filamentosa prodotta dal fegato, precursore della fibrina. La  trombina, attivata in questi casi, a sua volta attiva il fibrinogeno  trasfromandolo in fibrina. La fibrina, che è molto adesiva, agisce da  cementante tra le piastrine, rendendo così ottimale la loro azione di tappo.
  NB: in particolari casi è utile che ad una lesione non  segua un'azione di coagulo (per esempio durante una operazione chirurgica). Per  impedire la coagulazione si usa immettere nel sangue, per esempio, degli agenti  chelanti gli ioni Ca++ (ossia molecole che si attaccano, come le chele di un  granchio, sugli ioni Ca++). Il Ca++ è indispensabile al processo di  coagulazione, ma per motivi di semplicità non ne abbiamo parlato. Anche  l'eparina può essere sfruttata, a concentrazioni farmacologiche, come agente  anti-coagulante. Questa sostanza è presente naturalmente nel nostro organismo,  ma a concentrazioni fisiologiche la sua unica funzione è di impedire la coagulazione  nel caso di micro-traumi, che sono molto frequenti. Se ogni microtrauma fosse  seguito da una coagulazione, gli inconvenienti creati all'organismo sarebbero  ben maggiori dei benefici.
  I globuli rossi - i globuli rossi, o eritrociti, derivano  dalle cellule staminali omonime. Un globulo rosso non ancòra maturo viene detto  reticolocita, poichè il tessuto che lo forma ricorda una rete. Quando diviene  maturo perde questa caratteristica e diviene un globulo rosso vero e proprio.  Una concentrazione abnorme di reticolociti è segno che c'è l'organismo sta  tentando di porre rimedio ad una mancanza di globuli rossi: una tal situazione  si può riscontrare, per esempio, dopo una emorragia.
  I globuli rossi vivono circa 3 mesi, poichè sono  strutture senza nucleo e non sono in grado di rinnovarsi (possiedono pochissimo  DNA). La loro funzione essenziale consiste nel trasporto di ossigeno, infatti  contengono emoglobina, la sostanza alla quale l'osigeno si lega. I globuli  rossi possiedono anche una certa funzione di tamponi, dovuta alla presenza  dell'eme dell'emoglobina.
  I globuli bianchi - i globuli bianchi si dividono in  granulociti e monociti.
  I globuli bianchi - granulociti: si dividono a loro volta  in basofili, neutrofili ed acidofili. Hanno una vita breve e la loro attività  consiste essenzialmente nel fagocitare tutte quelle piccole molecole inutili al  nostro organismo, che tuttavia sono ancòra troppo grandi per essere eliminate  dal rene. Essi, dopo che le hanno fagocitate, ne traggono nutrimento e le  "digeriscono" dividendole, ed espellono poi delle molecole molto  semplici. Queste molecole potranno essere riutilizzate dall'organismo, qualora  risultino utili, oppure potranno essere eliminate dal rene. I granulociti  possono essere definiti microfagi, poichè fagocitano molecole piccole, se  confrontate a quelle fagocitate dai monociti. I granulociti possono  fuoriuscuire dal capillari, raggiungendo così tutti gli interstizi di ogni  tessuto.
  I globuli bianchi - monociti: come i granulociti anche i  monociti hanno una vita breve, e la loro attività principale consiste nel  fagocitare materiali di scarto, ed espellere prodotti trattabili dal rene. I  monociti trattano molecole notevolmente grandi (grosse proteine, frammenti  cellulari), e per ciò possono essere definiti macrofagi. 
  Linfociti T e B, cenni sul Sistema Immunitario
  I linfociti T
  Questa specie di linfociti viene definita T poichè nel  primo periodo della vita colonizzano il Timo, dove "imparano" a  riconoscere le molecole facenti parte dell'organismo, o self, da quelle estranee,  o non-self. La capacità di riconoscere sostanze self e non self viene detta  competenza immunitaria.
  La risposta cellulare - Quando i linfociti T vengono a  contatto con un antigene, danno origine ad anticorpi specifici, che restano  legati alla superficie dei linfociti che li hanno prodotti. I linfociti T  riconoscono, inglobano e distruggono le cellule estranee, ma anche quelle del  corpo che sono state modificate da infezioni, da virus o dalla trasformazione  cancerosa.
  A differenza degli altri leucociti fagocitanti del  sangue, che inglobano e distruggono qualsiasi materiale estraneo, i linfociti T  fagocitano solo cellule estranee specifiche (si basano sugli antigeni  specifici).
  Alcuni linfociti T (linfociti killer ) distruggono le  cellule cancerose non appena vi entrano in contatto. Altri (linfociti helper )  cooperano con i linfociti B nella produzione di immunoglobuline.
  I linfociti B
  I linfociti B colonizzano i linfonodi, ma non in modo  fisso (posso entrare ed uscire dai linfonodi sfruttando la circolazione  linfatica). Questi linfociti producono le gammaglobuline. La produzione di  gammaglobuline è costante (produzione basale), ma la presenza di sostanze  non-self può farla aumentare notevolmante.
  La risposta umorale - Quando una sostanza entra in un organismo,  i linfociti B controllano la sequenza di zuccheri che essa reca sulla propria  superficie. Se questa sequenza risulta estranea, la sostanza viene classificata  come non self (antigene). Poichè il riconoscimento di una sostanza avviene  proprio attraverso la sequenza di zuccheri superficiali, questi vengono detti  determinanti antigenici o ligandi, poichè si legano ai recettori dei linfociti  B per essere controllati.
  Il riconoscimento di un antigene scatena la produzione,  da parte dei linfociti B, di molecole proteiche dette anticorpi (proteine dette  gamma - globuline). Non è esatto però parlare di anticorpi tutti uguali che  agiscono contro un singolo antigene x; è meglio parlare di anticorpi diversi  che agiscono contro i singoli determinanti antigenici dell'antigene x .Infatti,  quando il linfocita B riconosce una sequenza di 40 o 50 zuccheri non self , dà  il via alla produzione di 40 o 50 anticorpi specifici, che agiranno ognuno  contro il proprio determinante antigenico.
  Gli anticorpi che agiscono in generale contro un antigene  si chiamano anticorpi policlonali, e derivano da molti linfociti B (uno per  ogni determinante antigenico). Gli anticorpi che agiscono contro uno ed un solo  determinante antigenico si chiamano anticorpi monoclonali, e derivano tutti da  un determinato linfocita B.
  La struttura degli anticorpi - Tutti gli anticorpi hanno  una struttura fondamentale composta da quattro catene polipeptidiche: due  catene leggere identiche (a basso peso molecolare) e due catene pesanti (ad  alto peso molecolare). Gli estremi delle catene, sia leggere che pesanti, che  presentano il gruppo carbossil-terminale COO-, sono dette regioni costanti,  poichè la loro sequenza di AA (amminoacidi) è uguale per tutti gli anticorpi di  una stessa classe.
  Gli estremi della catene, sia leggere che pesanti, che  invece presentano il gruppo ammino-terminale NH3+, sono dette regioni  variabili, poichè la loro sequenza di AA varia molto anche all'interno di una  stessa classe. Sono le regioni variabili che si legano al "loro"  antigene specifico.
  Esistono cinque classi di anticorpi (o gammaglobulione)  circolanti. Esse differiscono per la struttura delle regioni costanti e per il  modo in cui attaccano le cellule e le sostanze non self . 
  Linfociti T e B, la teoria della selezione clonale
  L'insieme dei linfociti T e B può rispondere ad una  grande varietà di antigeni. Il meccanismo che spiega come ciò possa avvenire è  la teoria della selezione clonale. Questa teoria afferma che ogni linfocita è  programmato nel suo DNA per poter rispondere ad un determinato antigene. Se un  linfocita entra in contatto con il proprio antigene inizia a moltiplicarsi e a  differenziarsi. Attraverso delle mitosi si formano quindi moltissimi linfociti  identici, che poi producono gli anticorpi specifici.
  La teoria della selezione clonale spiega poi il fenomeno  della memoria immunologica. Quando un organismo viene a contatto con un  antigene per la prima volta, passa un certo periodo di tempo (periodo di  latenza) prima che vengano prodotti gli anticorpi. Se successivamente  l'organismo incontra di nuovo lo stesso antigene, la sua risposta sarà molto  più rapida. La teoria della selezione clonale afferma infatti che tra i molti  linfociti T e B che vengono prodotti ce ne sono alcuni che vivono molto a lungo  (decenni), e che sono già pronti quando l'antigene si ripresenta (risposta  secondaria). Questi linfociti sono chiamati cellule della memoria . 
  Non è stato ancòra spiegato con esattezza quale sia la  fonte di una così grande varietà di anticorpi. Essi sono proteine, quindi sono  determinate dai geni: le loro sequenza di AA derivano da sequenze di DNA. Si è  notato che i geni che codificano la regione variabile dell'anticorpo (gV), non  si trovano vicini a quelli che codificano la regione costante (gC).
  In più, su una catena di DNA, per ogni gene che codifica  una regione costante, ce ne sono molti che codificano l'adiacente regione  variabile. Prima di andare a formare l'mRNA la catena di DNA si apre e solo uno  dei tanti gV (a caso) va a sistemarsi vicino al gC. Ciò si ripete ad ogni  "giro" di produzione del mRNA. E' possibile, ma non è sicuro, che i  singoli gV siano il risultato di combinazioni di due o più frammenti genici, il  che aumenterebbe ancòra di più la varietà di anticorpi prodotti.
  Cenni sul Liquido Cerebrospinale
  Il liquido (o liquor) cerebrospinale è costituito da  plasma sanguigno al quale sono state sottratte praticamente tutte le proteine  (quelle presenti lo sono in quantità irrilevanti). Aminoacidi, sali, e altri  componenti del plasma, invece compaiono nel liquido cerebrospinale in  concentrazioni immutate.
  Il liquor viene prodotto nel terzo ventricolo, a livello  dei plessi aracnoidei (degli agglomerati di capillari, ricoperti da tessuto  connettivo). Raggiunge poi i ventricoli laterali, situati tra telencefalo e corteccia,  il quarto ventricolo ed il canale ependimale. Attraverso i due foridi Luschka  ed quello di Magentie, presenti nel quatro ventricolo, raggiunge lo spazio  sub-aracnoideo, ossia l'inercapedine tra la dura madre e la pia madre (vedi  figura). 
  Non è stato ancòra spiegato con esattezza quale sia la  fonte di una così grande varietà di anticorpi. Essi sono proteine, quindi sono  determinate dai geni: le loro sequenza di AA derivano da sequenze di DNA. Si è  notato che i geni che codificano la regione variabile dell'anticorpo (gV), non  si trovano vicini a quelli che codificano la regione costante (gC).
In più, su una catena di DNA, per ogni gene che codifica una regione costante, ce ne sono molti che codificano l'adiacente regione variabile. Prima di andare a formare l'mRNA la catena di DNA si apre e solo uno dei tanti gV (a caso) va a sistemarsi vicino al gC. Ciò si ripete ad ogni "giro" di produzione del mRNA. E' possibile, ma non è sicuro, che i singoli gV siano il risultato di combinazioni di due o più frammenti genici, il che aumenterebbe ancòra di più la varietà di anticorpi prodotti.
Fonte: http://digilander.libero.it/ctfonline/appunti/file/fisiologia.rtf
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