Ingegneri famosi

 

 

 

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SMEATON

 

Il primo ingegnere con esperienza nel campo scientifico che si occupò della forza del vapore fu JOHN SMEATON (1724-1792), un uomo ben noto per avere realizzato il faro di Eddystone.

Da giovane, egli si interessò ad una macchina di Newcomen installata in una miniera di carbone nei pressi della casa paterna, sullo Yorkshire.

In seguito egli si soffermò molto sulla costruzione e sul funzionamento delle macchine da lui osservate.nel 1767 costruì una macchina per sostituire i cavalli nel sollevamento dell’acqua dal New River, in Londra,ad un serbatoio posto ad un livello superiore.

Tale macchina non corrispose però alle aspettative e per tanto nel 1729, nella sua officina privata egli portò a termine una macchina sperimentale con un cilindro di 25 cm di diametro, e con una corsa di 96,5 cm.

Egli ottenne inoltre da William Brown un elenco di circa 100 macchine esistenti nell’Inghilterra settentrionale con i particolari circa il rendimento di 15 di esse, i cui cilindri variavano tra i 50 e i 100 cm di diametro; inoltre Leupold raccolse ulteriori dati a proposito di 18 macchine esistenti in Cornovaglia.

Da tali informazioni ricavo che le macchine, consumando un Bushel di carbone, equivalente a circa 38 kg, sollevavano in media 2540 tonnellate di acqua ad un’altezza di 30,48 cm.

La pressione media sugli stantuffi era di circa 470 grammi per centimetro quadrato, pressione questa che non superava di sicuro quella ottenuta nella macchina ideata da Newcomen.

Nel 1772 Smeaton compilò una tabella che riportava le dimensioni degli organi principali delle macchine provviste di cilindri di diametro fino a 183 cm; nello stesso anno Leupold progettò e controllò, per conto della società mineraria di Long Beaton, nel NorthUmberland, la costruzione di una macchina il cui cilindri misurava 132 cm di diametro circa.

In seguito al perfezionamento dei particolari e della lavorazione, in special modo nell’alesatura del cilindro per la quale addirittura costruì un apposita fresa nella ferreria di Carron, la macchina di Long Beaton poteva effettuare un lavoro utile di circa 4290 t di acqua a 30,48 cm per Bushel,  il che significava un progresso notevole rispetto ai normali rendimenti di allora.

Nel 1775 Smeaton progettò una macchina con cilindro di 165 cm circa di diametro per prosciugare i bacini di carenaggio di Kronstad in Russia e, quasi contemporaneamente, costruì la sua macchina più famosa quella di Chacawater nella Cornovaglia, la quale aveva il cilindro di 180 cm di diametro.

Smeaton che poteva disporre di conoscenze tecnologiche e di mezzi di costruzione non accessibili a Newcomen, raddoppiò quasi il rendimento della macchina a vapore a scarico e atmosfera, portando le prestazioni di tale tipo di macchina al massimo livello possibile. Questo era comunque estremamente basso, soprattutto a causa della grande quantità di calore che veniva perduta facendo condensare il vapore all’interno del cilindro.

Leupold considerava le prestazioni della sua macchina di Long Beaton come esemplari, eppure, ammettendo che per la produzione di calore venisse impiegato carbone di bassa qualità, con solamente 6600cal per kilogrammo, i suoi calcoli mostravano che il rendimento termico globale si aggirava intorno all’1%.

Malgrado l’enorme consumo di carbone rispetto al lavoro compiuto, la macchina di Newcomen non ebbe rivali per più di sessant’anni; essa costituì il fattore principale nello sfruttamento delle risorse minerarie in Gran Bretagna, e la base dello sviluppo industriale del paese. Vi erano comunque notevoli limitazioni a questa macchina.

Essa era in sostanza una macchina a semplice effetto, in quanto il collegamento a catena tra lo stelo dello stantuffo e l’estremità del bilanciere impediva qualsiasi spinta nella corsa verso la parte superiore del cilindro.

Per ottenere un movimento rotatorio, la macchina poteva essere dotata di una biella, che azionava un albero a gomito e trascinava un volano.

In questo caso, il bilanciere doveva essere sovraccaricato alle estremità dell’albero a gomito, tanto da produrre la necessaria pressione verso il basso sul perno di biella, durante la corsa dello stantuffo verso l’alto.

La macchina di Newcomen fu spesso impiegata al posto dei cavalli per portare in superficie il carbone da pozzi poco profondi.

Altrimenti, la macchina poteva essere impiegata per pompare, in un serbatoio posto a un livello superiore, dell’acqua che veniva poi fatta ricadere su una ruota idraulica che azionava macchinari.

Questo metodo consentiva di ottenere movimento uniforme necessario in industrie come quelle della filatura del cotone.

Smeaton la impiegò inoltre per ottenere un movimento a inversione di marcia, usando una ruota idraulica la quale per metà della sua larghezza era provvista di una serie di secchi disposti a destra, mentre l’altra metà aveva i sacchi disposti a sinistra.

Il funzionamento molto semplice, avveniva deviando l’acqua da una parte o dall’altra a seconda delle necessità.

 

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/SMEATON.zip

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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OLIVER EVANS

 

 

Il merito di aver sfruttato maggiormente e con successo l’uso del vapore ad alta tensione spetta ad Oliver Evans, un giovane operaio di Philadelphia.

In origine Evans costruiva carri, ma nel 1780 entrò in società con i propri fratelli, che esercitavano il lavoro di mugnai.

Egli aveva già dato prova di ingegno inventivo, e nel 1787 ottenne il brevetto per un veicolo a vapore.

Nel 1803, quando negli stati uniti d’America non vi era più di una dozzina di macchine a vapore, egli costruì una draga a vapore, e l’anno successivo una macchina fissa verticale ad azione diretta, avente un cilindro a doppio effetto di 15cm circa di diametro, con una corsa di 20cm circa, funzionante a trenta a trenta giri al minuto; le valvole di immissione e di scarico era rubinetti a tre vie, azionate automaticamente da perni posti sul volano.

Tale macchina funzionava con una pressione del vapore pari a 10atm.

Le macchine costruite da Evans si imposero alle macchine a condensazione costruite nelle officine inglesi, attribuendogli successo e fama.

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/OLIVER%20EVANS.zip

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EDOARDO SOMERSER

 

Nello stesso periodo,  Edoardo Somerser realizzò la prima vera macchina a vapore; di essa non possiamo disporre di testimonianze dirette, ma si ricorda funzionasse grazie alla pressione del vapore, in contatto libero con acqua bollente in una caldaia, sfruttando la rarefazione del vapore stesso, allorché veniva lasciato raffreddare.

Scopo della macchina era di sollevare dell’acqua a notevole altezza, per sopperire ai bisogni dei castelli,  o addirittura di interi quartieri cittadini.

In figura (9) è schematizzata la macchina: organo essenziale a una solida camera (A) in comunicazione con un organo discendente (T), con un ascendente (H) ed infine, mediante una valvola unidirezionale (V1) con la caldaia.

Aprendo la valvola (V1), si riempie la camera (A) di vapore ad alta pressione, il quale, premendo sull’acqua contenuta in (A) la fa salire lungo il tubo (H), visto che il tubo (T) è mantenuto chiuso dalla valvola unidirezionale(V2).

In un secondo tempo la valvola (V1) si chiude, e di conseguenza anche la valvola (V3) si comporta nello stesso modo.

Il vapore contenuto in (A) dunque si raffredda e si condensa producendo una rarefazione tale da far aprire la valvola (V2) e da fare entrare nel serbatoio (A) una certa quantità di acqua dal pozzo (P).

A questo punto la valvola (V1) viene nuovamente aperta e il ciclo si  ripete.

Pare che Somerser realizzò macchine di questo tipo dotate di più serbatoi, in modo da aumentare la portata di innalzamento dell’acqua.

Nel 1663 Somerser ottenne un decreto parlamentare che lo metteva in grado “ricevere il beneficio ed il profitto di una macchina che innalzava l'acqua, da lui inventata, per un periodo di 99 anni”.

La macchina non ottenne successo commerciale, ma ormai era stata aperta la strada verso la meccanizzazione del lavoro.

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/EDOARDO%20SOMERSER.zip

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WILLIAM BROWN

 

Nel 1765 Gabriel Jars (1732-1769), un operaio metallurgico francese, visitò Newcastle e descrisse la macchina vista in funzione nella vicina miniera di carbone di Walber. Tale macchina costruita da William Brown, ingegnere minerario del luogo, era di enormi dimensioni.

Jars asserisce che le caldaie erano di ferro battuto con la parte superiore in piombo, eccetto quella direttamente sotto il cilindro, che aveva tale parte di rame per facilitare le connessioni.

Lo stantuffo aveva una guarnizione di canapa e, date le maggiori dimensioni del cilindro, venivano adoperati tre getti d’acqua per la condensazione.

Da un’altra fonte sappiamo che il cilindro aveva il diametro di 185cm circa, ed una corsa di 3.2 m circa; il cilindro il cilindro pesava 6.6 t.

Dalla primordiale macchina di Newcomen era scaturito un apparecchio capace di erogare una notevole potenza.

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/WILLIAM%20BROWN.zip

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OTTO VON GUERICKE

 

Mostrando che una colonna di mercurio è tenuta in equilibrio in un tubo vuoto dal peso dell’atmosfera, non si provava la pesantezza dell’aria che in modo indiretto e questo modo non poteva servire altrimenti, a pesare un volume d’aria determinato. Così gli scienziati si occuparono in quel momento, con molto ardore, a combinare qualche strumento suscettibile di produrre il vuoto in uno spazio chiuso.

Ad un fisico di Magdeburgo, OTTO VON GUERICKE, consigliere dell’elettore Federico Guglielmo e borgomastro della città di Mgdeburgo, era serbata la gloria di inventare l’importante apparecchio che noi conosciamo oggi sotto il nome di macchina pneumatica.

Per ottenere uno spazio interamente vuoto d’aria, il fisico di Magdeburgo tentò dapprima di servirsi di una botte piena d’acqua e chiusa da tutte le parti. Dopo aver applicato alla sua parte inferiore il tubo di una pompa, cominciò a far funzionare la pompa stessa. Ma prima che l’acqua fosse interamente uscita, i cerchi di ferro che legavano le doghe della botte, si erano rotte sotto lo sforzo della pressione atmosferica.

OTTO VON GUERICKE armò allora la botte di cerchi più forti, e tre uomini molto vigorosi facevano funzionare la pompa. Nel momento in cui l’acqua fosse giunta alla misura per essere espulsa, un fischio leggero si faceva sentire, e l’aria si introduceva attraverso i pori del legno. Bisognava dunque cercare un nuovo mezzo.

Il fisico di Magdeburgo ebbe allora un idea abbastanza singolare. Chiuse la botte piena d’acqua di piccole dimensioni, in un'altra più grande ugualmente piena d’acqua; il tubo della pompa aspirante era applicato all’oreficio della piccola botte interna attraverso la botte esterna. Si fece allora funzionare la pompa. Nessun inconveniente impedì lo svolgersi dell’esperienza ma alla fine della giornata, quando la botte si trovava del tutto vuota, si udì un gorgogliamento che annunciava il passaggio dell’aria attraverso il legno delle due botti.

Questo rumore persistette per tre giorni e quando alla fine di questo tempo, si ritirò la botte interna per esaminarla la si trovò metà piena di liquido che si era infiltrato attraverso le sue pareti.

Evidentemente i contenitori di legno non erano adatti a mantenere uno spazio vuoto; perciò lo studioso ricorse a vasi metallici.

Fece preparare una sfera di rame di capacità sufficiente, munita di chiave nella sua parte superiore e portante, mentre nella parte inferiore vi era un orifizio atto a ricevere il tubo della pompa. Questa volta si fece a meno di riempire d’acqua e il vaso sperando che la pompa aspirasse l’aria come aveva aspirato l’acqua. Questo risultato non tardò a verificarsi.

Nei primi istanti la pompa funzionava con facilità ma man mano che l’aria veniva evacuata, bisognava, per sollevare lo stantuffo, esercitare sforzi sempre più considerevoli. L’operazione era abbastanza avanzata e la maggior parte dell’aria era evacuata dal globo metallica, quando istantaneamente e con grande spavento agli assistenti, il vaso scoppiò con un gran rumore e si ruppe.

Lo scienziato affermò con sagacia la causa di questo incidente: l’operaio avevo dimenticato di dare al vaso di rame una forma perfettamente sferica; ora, la forma sferica è la solo che possa garantire un recipiente vuoto dagli effetti della pressione esercitata dell’atmosfera.

Un nuovo apparecchio fu costruito con le cure necessarie; riprese così l’esperienza ed ottenne un successo; l’aria fu del tutto estratta senza provocare un'altra distruzione del vaso.

Ma l’opacità del metallo avrebbe impedito agli spettatori di rendersi conto di quanto avveniva all’interno del vaso. Lo studioso sostituì dunque la sfera di rame con un pallone di vetro, che si adattava alla pompa aspirante per mezzo di una guarnizione di rame. In conclusione, la macchina si componeva di un pallone di vetro portante una tubatura e un rubinetto di rame, e avvitato sopra il tubo, di una piccola pompa aspirante posta verticalmente al di sotto del pallone.

Una manovella a braccio orizzontale serve ad azionare la pompa; tutto l’apparecchio è sorretto da un sostegno atrepiedi di ferro.

Questa macchina era comunque imperfetta sotto certi aspetti, ma bastò all’ingegnoso fisico di Magdeburgo per dimostrare grandi novità.

Otto von Guericke dimostrò materialmente il peso dell’aria atmosferica, pesando un vaso in cui era stato praticato il vuoto tramite la sua macchina, e ripesandolo dopo l’ingresso dell’aria stessa.

Proseguendo la via aperta da Pascal spiegò con esperienze fatte sulla pressione atmosferiche e sull’elasticità dell’aria, un gran numero di fenomeni fino ad allora inspiegabili. Escluse ad esempio l’influenza dell’aria sulla propagazione del suono.

Ma di tutti i fatti notevoli,  il più importante fu l’esperimento noto come “degli emisferi di Magdeburgo”.

E’ di cognizione comune che ottone avendo preparato due emisferi di rame uniti in uno con l’altro con interposizione di una striscia di cuoio, operò il vuoto all’interno di questa sfera mediante la sua macchina pneumatica. Una volta evacuata l’aria dall’interno del globo,  i due emisferi si trovarono compressi uno con l’altro da tutto il peso della colonna atmosferica che sopportavano; questa pressione era così elevata che resisteva a tutti i metodi impiegati per disunire le semisfere.

Tutti i fisici di quel tempo erano scossi dalla grandezza e dall’avvenire di quell’idea e ognuno sapeva che c’erano nelle esperienze del fisico di Magdeburgo i preludi di una rinnovata capitale nei sistemi dell’industria.

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/OTTO%20VON%20GUERICKE.zip

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THOMAS NEWCOMEN

 

L’idea di procedere secondo i principi originali di Papin, fu concepita indipendentemente dall’inglese Thomas Newcomen, che ottenne uno straordinario successo, maggiore di qualsiasi altro precedente.

Egli fu infatti il primo a rendere a rendere la macchina a vapore pratica e sicura.

È storicamente confermato che Newcomen non fosse  a conoscenza di quanto fosse stato realizzato contemporaneamente da Savery, (al contrario di quanto afferma la tradizione francese), ma sta di fatto che quest’ultimo, essendo più vicino alla corte, ad ottenere il brevetto prima che l’altro ne venisse a conoscenza, e perciò il signor Newcomen si dovette accontentare di diventarne socio.

Savery si rese più tardi conto che, mentre la propria macchina non aveva un avvenire quella di Newcomen era alquanto più promettente.

All’inizio Newcomen riprese gli esperimenti di Papin.

Nelle prime macchine, a causa dell’impossibilità di tornire perfettamente grossi corpi cilindrici, si suppliva alle imperfezioni ricoprendo il cielo dello stantuffo con uno strato di acqua, destinato a colmare i vuoti compresi tra il contorno dello stantuffo stesso e la superficie interna del cilindro.

Grande fu la sorpresa dei costruttori quando, un giorno impensato, una delle loro macchine si mise ad oscillare più rapidamente del solito.

Pazienti indagini portarono a riconoscere che lo stantuffo di tale macchina era forato e che l’acqua, cadendo da quel foro ed attraversando il vapore, ne provocava una condensazione rapida.

Fu così che si pensò di eliminare il cilindro esterno e la conseguente camicia d’acqua e di ottenere la condensazione del vapore iniettando, nella parte inferiore del cilindro, un getto di acqua fredda al momento preciso in cui lo stantuffo doveva cominciare la corsa di discesa.

Mediante tale perfezionamento, lo stantuffo della macchina di Newcomen arrivò a compiere 8 e perfino 10 oscillazioni al minuto.

Vediamo ora di illustrare il funzionamento della macchina di Newcomen nella sua realizzazione definitiva; essa risale al 1712.

La caldaia è collegata ad una fornace simile a quella adoperata da Savery.

Lo stantuffo possedeva alla periferia una scalanatura piena di molle fune di canapa; essendo liscia la scanalatura del cilindro, questa guarnitura faceva sì che mentre lo stantuffo poteva scorrere senza troppo attrito, veniva vietato il passaggio di aria e di vapore tra stantuffo e cilindro, tanto più che sullo stantuffo veniva mantenuto uno strato di acqua. 

Allo stantuffo era attaccata una catena che andava ad avvolgersi sull’arco del bilanciere, il quale era libero di ruotare attorno al suo perno.

All’altra estremità dell’arco era collegata una seconda catena che permetteva di sfruttare il lavoro della macchina. La macchina veniva governata nel seguente modo: quando si vedeva uscire una quantità abbondante di vapore dalla valvola di sicurezza, si apriva la valvola che permetteva il collegamento fra caldaia e cilindro; in questo modo il vapore andava a sostituire l’aria presente nel cilindro. In una seconda fase  veniva chiusa la valvola di immissione del vapore e veniva aperto il rubinetto dell’acqua.

L’acqua, iniettata a getto, venendo a contatto col vapore, lo condensava creando una depressione tale da trascinare verso il basso lo stantuffo, esercitando una notevole forza. Il cilindro e lo stantuffo erano così raffreddati per l’iniezione di acqua fredda; ora, mentre l’acqua condensatasi nel cilindro poteva effluire attraverso un tubo munito di rubinetto, veniva riaperta la valvola di collegamento caldaia-cilindro; in una prima fase le pareti del cilindro assorbivano calore dal nuovo vapore ma successivamente la pressione raggiungeva valori tali da sollevare nuovamente lo stantuffo, così il ciclo si ripeteva.

La macchina di Newcomen entrò in azione per la prima volta nel 1712, ma presentava ancora qualche inconveniente.

Innanzitutto l’obbligo del macchinista di avere una grande attenzione nell’aprire e chiudere tempestivamente i rubinetti connessi alle tubature che mettono in comunicazione il cilindro, la caldaia e il recipiente dell’acqua per la condensazione; per questa operazione erano adibiti dei bambini poiché non richiedeva dispendio di forze.

Tra questi, nel 1713, il tredicenne Enrico Potter cominciò a pensare a come ovviare al lavoro molto noioso a cui era destinato.

Ben presto, per mezzo di corde attaccate al bilanciere  e ai rubinetti, corde che più tardi vennero sostituite da tiranti metallici, Potter riuscì a trovare un modo mediante il quale la macchina apriva e chiudeva automaticamente i rubinetti con grande precisione.

L’invenzione fu molto importante: era stato inventato “Il principio della distribuzione automatica del vapore”.

Le prime macchine di Newcomen furono installate nelle miniere di carbone di Coventry e di Dudley Castle, e vennero utilizzate per il sollevamento dell’acqua. Questa nuova macchina suscitò l’interesse di un geometra di nome Henry Beighton (1686-1754).

Egli fu il primo a studiare la macchina di Newcomen, e a lui vengono attribuite alcune innovazioni riguardanti il perfezionamento del meccanismo della distribuzione. Fornì a Degulier quelle notizie sulla macchina che il francese pubblicò nella sua opera: “Experimental Philosophy”.

Questa opera riporta il metodo di Newcomen per calcolare la potenza della macchina in base al diametro del cilindro e alla pressione barometrica, tenendo conto delle perdite dovute all’attrito e ad altre cause.

In pratica, per mantenere un margine di sicurezza, gli ingegneri consideravano che la pressione esercitata sullo stantuffo fosse di 0.5 atm.

Beighton pubblicò una tabella nella quale riportava i suoi suggerimenti relativi ai diametri delle pompe e dei cilindri per macchine destinate a sollevare acqua da profondità variabili da 14 a 91 m, i valori erano però molto relativi. Alla morte di Savery i diritti di brevetto furono acquistati da alcune persone che l’anno seguente annunciarono di essere pronti a trattare il montaggio di macchine a scarico nell’atmosfera. Si conoscono alcuni dettagli relativi a questa macchina, tra i quali il diametro del cilindro di 73cm e la corsa del pistone di 2,75 m circa.

Intorno al 1725 l’impiego della macchina di Newcomen si era generalizzato per il pompaggio, soprattutto nelle miniere, e per il sollevamento dell’acqua necessaria al funzionamento di ruote idrauliche che azionavano i macchinari.

In una stampa del 1726 è rappresentata la macchina con trasmissione del tipo a punteria, e con un sistema per alimentare la caldaia con l’acqua del tubo di scarico del cilindro anziché con acqua fredda. Non si è a conoscenza se questo perfezionamento fu opera di Newcomen o di qualcun altro.

La prima macchina di Newcomen utilizzata fuori dall’Inghilterra fu quella montata nel 1722 in Cecoslovacchia. In Francia, la prima macchina di Newcomen fu installata in un sobborgo di Parigi, nel 1726, per rifornire la città con acqua della Senna.

Newcomen morì nel 1729, però è dubbio il fatto secondo cui egli abbia tratto vantaggio economico dalla sua invenzione; sembra infatti che egli sia stato messo da parte dai proprietari del brevetto di Savery, i quali si appropriarono della maggior parte dei profitti.

Con l’aumento del numero delle macchine si verificò anche l’aumento delle loro dimensioni, ma i disegni costruttivi rimasero però invariati.

Le macchine di maggiori dimensioni avevano bisogno di caldaie più potenti, perciò la caldaia singola di Newcomen fu sostituita da due o più caldaie.

Nel 1758, Fitzgerald, trasportò su  un albero fornito di volano il movimento oscillatorio del bilanciere. In seguito Brindley introdusse una nuova alimentazione automatica della caldaia e successivamente nuovi perfezionamenti furono introdotti da Fischer.

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/THOMAS%20NEWCOMEN.zip

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THOMAS  SAVERY

 

Intorno al 1650, in Francia, vi fu un ingegnere militare che costruì, sfruttando l’energia sviluppata dal vapore, una pompa che divenne di utile impiego nel campo industriale. Questo grande ingegnere fu Thomas Savery.

La macchina da lui inventata sollevava l’acqua (per mezzo della condensazione del vapore) in un recipiente chiuso, fino all’altezza consentita dalla potenza della pressione atmosferica utilizzata, ma entro i limiti di sicurezza, in modo tale da sospingere l’acqua ad un altezza maggiore.

Savery aspirava al brevetto che però per questa invenzione non ottenne; un secondo progetto garantì a Savery l’ambita ricompensa.

Savery costruì una pompa, utilizzata sempre per sollevare l’acqua ma che veniva alimentata non più con il vapore ma con la combustione stessa.

Proprio l’utilizzo della potenza esercitata dal fuoco fu molto utile per il rifornimento dell’acqua nelle città e per il funzionamento dei mulini lontani dai corsi d’acqua.

Questa seconda macchina a vapore costruita da Savery era dotata di due caldaie, ciascuna delle quali con il proprio focolare, e da due cilindri: uno per il vapore e uno per l’acqua.

Il funzionamento di questa macchina era dovuto all’apertura di rubinetti che regolavano il riempimento delle caldaie. Una volta riempite le caldaie e chiusi i rubinetti, si accendeva il fuoco, si apriva il rubinetto collegato al cilindro del vapore in modo che questo passi nel secondo cilindro. Nel secondo cilindro, intanto, veniva compressa l’aria grazie ad una valvola posta all’interno del cilindro stesso.

Una volta riempitosi il cilindro veniva chiuso il rubinetto di immissione e ne veniva aperto un secondo situato in prossimità del cilindro che conteneva il vapore e viene utilizzato per comprimere l’aria contenuta in esso.

Contemporaneamente una corrente di acqua fredda veniva immessa nel primo cilindro, e condensava i vapori contenuti, in modo da far nascere un vuoto d’aria all’interno. Il vuoto veniva colmato dal fatto che la pressione esterna dell’aria spingeva l’acqua verso l’alto riempiendo così il cilindro.

Questa macchina presentava però dei difetti di funzionamento, come le saldature dei giunti che non sopportavano pressioni di 8/10 atm; per rimediare a questo inconveniente, Savery fu costretto a risaldare tutti i giunti con lo zinco, materiale più costoso ma molto più resistente.

Questa macchina riscontrò grande successo nel campo tecnologico, e fu così che l’inventore francese fu ricompensato di tutti gli sforzi fatti per sviluppare questa macchina.

 

Fonte: http://www.valentiniweb.com/piermo/meccanica/doc/THOMAS%20%20SAVERY.zip

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