La dinastia Giulio Claudia

 


 

La dinastia Giulio Claudia

 

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La dinastia Giulio Claudia

 

La dinastia Giulio-Claudia
I quattro successori di Augusto detennero il potere per 50 anni, anche se non riuscirono mai a continuare la politica di Ottaviano perché il titolo di princeps era troppo legato alla sua persona e non istituzionale.
Se Augusto con la sua auctoritas era riuscito a sostenere le pressioni dei suoi nemici, i suoi successori ricorsero a forme di repressione, anche violenta, nei confronti di oppositori politici o intellettuali.
Tiberio
Salito al potere in età già matura (55 anni), si mosse all’inizio in continuità con l’azione di Augusto e, durante il suo governo, mostrò ottime doti nell’amministrazione delle finanze pubbliche e della burocrazia imperiale. In seguito, a causa di un carattere scontroso e dell’influenza negativa di Elio Seiano, guastò i rapporti con l’aristocrazia senatoria. Tiberio, ritiratosi a Capri, lasciò il potere in mano a Seiano. Il suo potere però crebbe sempre di più finchè Tiberio si convinse di doversene sbarazzare e lo fece assassinare.
Caligola
A Tiberio succese Gaio, suo nipote, detto Caligola per le calzature (caligae) che indossava quando seguiva il padre nei campi di battaglia. Sali’ al potere con un vasto consenso ma presto si alienò le simpatie dell’aristocrazia senatoria a causa del suo modo di interpretare il ruolo di imperatore: si ispirò ad Alessandro Magno e ai monarchi dell’oriente ellenistico. Focalizzò la sua politica interna ed estera sull’oriente in impegni dispendiosi e infruttuosi. Fu assassinato in una congiura.
Claudio
A Caligola successe Claudio, zio del primo, e la sua fama fu pesantemente influenzata da Seneca che scrisse una satira menippea per ridicolizzarlo dopo la sua morte. Nonostante ciò e la sua fama di uomo impacciato e inadatto al potere, Claudio resse l’impero con dignità: risollevò le finanze pubbliche dissanguate da Caligola, promosse importanti opere, rafforzò ed ampliò i confini dell’impero, conquistando la Britannia. Mori’ forse avvelenato dalla moglie Agrippina.
Nerone
Figlio di Agrippina, sali’ al potere appena sedicenne e, oltre a sua madre, ebbe come precettori Arfanio Burro e Lucio Seneca. Nerone si mostrò inizialmente rispettoso e moderato verso il senato, ma solamente per un quinquennio (quinquennium Neronis). Infatti dopo si sarebbe trasformato in una specie di “mostro”; in realtà continuò sulla linea intrapresa da Caligola di trasformare l’impero di Roma in un impero ellenistico. Le varie uccisioni che provocò (Agrippina, Britannico, la moglie Ottavia) e l’allontanamento di Seneca rientravano in un progetto di accentramento del potere di tipo assolutistico. Cercò l’appoggio dei ceti più poveri e perseguitò molti membri del senato. Uno degli eventi più importanti del suo governo è la “congiura dei Pisoni” che cercò di attentare allo stesso Nerone; essa falli’ ma ebbe pesanti conseguenze come il suicidio forzato di personaggi come Seneca, Petronio e Lucano.
Il Clima culturale
In questo periodo mancò una politica culturale vera e propria e infatti si parla di fine del mecenatismo. Unica eccezione fu la prima parte del regno di Nerone che fu appassionato di letteratura, musica e teatro, e intrattenne rapporti con intellettuali come Nerone, Petronio e Lucano.
Le esperienze letterarie del tempo furono molteplici: storiografia, erudizione e retorica che si trasforma in un puro esercizio di stile ma non potranno esprimere le loro idee. Retorica e storiografia sono le branche più danneggiati da questo clima culturale.
Seneca
Vita
Nasce a Cordova, colonia romana in Spagna, in un anno non precisato (4 a.C o 1 d.C.), da ricca famiglia equestre. Suo padre, Seneca padre detto il Retore, aveva soggiornato giovanissimo a Roma.
Seneca giunse a Roma grazie alla zia e qui riceve una vasta educazione letteraria e storica, studiando anche retorica e filosofia (Ebbe come maestro anche lo stoico Attalo).
Sempre grazie alla zia ottiene la questura e nel frattempo ottiene grande successo dalla sua attività oratoria.
Nel 39 d.C Caligola lo condanna a morte con un pretesto poiché disdegnava l’oratoria di Seneca; tuttavia un’amica dell’imperatore (forse Agrippina) riusci a salvarlo dalla condanna. Alla morte di Caligola, Claudio, suo successore, condanna Seneca all’esilio in Corsica dal 41 al 49 d.C. sempre per motivi pretestuosi. In questi anni cerca di ingraziarsi Claudio con l’elogio al figlio Polibio nella Consolatio ad Polybium. Agrippina, dopo essere diventata la nuova moglie di Nerone, alla morte di Messalina, fa ottenere a Seneca il perdono e la pretura, il tutto al fine di farlo diventare il maestro di suo figlio, il futuro imperatore Nerone. Alla morte di Claudio, Seneca scrive una satira menippea, l’Apokolokyntosis, per vendicarsi di Claudio in cui ridicolizza l’apoteosi dell’ imperatore.
Salito al potere Nerone, Seneca diventa il suo consigliere politico e “amicus” dell’imperatore sedicenne insieme a Burro. Questo periodo, il “quinquennium Neronis”, viene considerato di buon governo in cui anche Seneca, accumula un ingente patrimonio che crescerà fino a farlo diventare uno dei più ricchi di Roma. Fu un periodo di grande produzione per Seneca (Dialogi, Trattati, Tragedie). Quando nel 59 d.C. Nerone decide di eliminare la madre Agrippina, Seneca rinuncia al progetto di educare l’imperatore a un governo improntato a un’ autocrazia illuminata.
Alla morte di Burro, si ritira a vita privata e si dedica ai suoi studi: in questo otium scrive importanti opere come il De beneficiis, le Naturales Quaestiones e le Epistulae morales ad Lucilium.
Nel 65 d.C. viene scoperta una congiura di Pisone e Seneca, ritenuto in qualche modo complice, viene costretto al suicidio.
Opere
Seneca ha sempre coltivato i generi più disparati: all’ambito filosofico – morale possiamo ascrivere i Dialogi, i due trattati, le Naturales quaestiones e le Epistulae morales ad Lucilium; oltre alle tragedie, a una satira menippea e a diversi epigrammi.
Dialogi
Si tratta di 10 componimenti in 10 libri (tranne il De Ira che ne comprende 3); essi sono differenti dai dialoghi platonici poiché è assente lo scampio di idee tra i protagonisti, ma piuttosto si tratta di monologhi in cui l’autore si rivolge direttamente al dedicatario. Sono una riflessione continua, in cui l’argomento viene trattato in modo non sistematico, ma sulla base di una serie di immagini e metafore. In base alla loro struttura e contenuto, si dividono tradizionalmente in:

  • Dialogi di consolazione: Riflessioni rivolte a un destinatario, per consolarlo della scomparsa, temporanea o definitiva, di una persona cara. Origine in Grecia nel IV secolo per effetto di diverse correnti: il “discorso” lenisce la sofferenza, l’Accademia influisce col concetto di immortalità dell’anima, e lo stoicismo si riscontra nel controllo delle passioni. Temi principali sono: la fugacità del tempo, la precarietà della vita e dei beni, l’imprevedibilità del futuro. Fanno parte di questo gruppo: Consolatio ad Marciam (la figlia dello storico Cordo, il fine è consolarla della perdita del figlio), ad Polybium (dedicata a Polibio, liberto di Claudio, per consolarlo della perdita del fratello; il vero scopo è però quello di ottenere la revoca dell’esilio), ad Helviam matrem (per consolare la propria madre mentre è in esilio; per Seneca il saggio non conosce esilio se vive sempre con dignità).
  • Dialogi di tipo speculativo: Fanno parte i tre libri del De Ira, dedicati al fratello Novato, dopo la morte di Caligola. Sono una trattazione, ricca di esempi, sulle caratteristiche e le conseguenze dell’ira; essa viene considerata come una vera e propria malattia dell’animo, distruttrice della ragione. Il testo si propone come trattato medico, individuando cause e rimedi di tale malattia. Il De brevitate vitae è dedicato al suocero Paolino che aveva raggiunto tutti i traguardi possibili nella vita politica. Il tema principale è la brevità del tempo concesso all’uomo; esso non deve essere sprecato in attività futili ma utilizzato per il raggiungimento della saggezza. Il De vita beata è dedicato ancora al fratello Novato, affronta il tema della felicità e della via per raggiungerla. Essa non consiste nell’avere beni materiali ma nel vivere secondo natura e nell’esercizio della virtù che basta da sola a se stessa. E’ incentrato sulla discussione di problematiche dottrinali dello stoicismo.
  • Trilogia dei dialogi a Sereno (cortigiano e funzionario imperiale): Sono tre dialogi scritti in un ordine che rappresenta un “percorso” per il raggiungimento della salvezza. Il De constantia sapientis mira a valorizzare la figura del saggio stoico; egli si pone, grazie a una virtù “divina”, al di sopra degli altri uomini e degli eventi esterni. Il De tranquillitate animi viene scritto in un periodo di insicurezza per Seneca che comincia a pianificare un ritiro a vita privata. Il testo inizia con una lettera di Sereno chiedente aiuto e consiglio in quanto soffre di una “noia di vivere” in seguito al ritiro in otium. Seneca suggerisce una via per uscire da questa condizione: un equilibrio tra otium e impegno nella vita pubblica. Tema principale è la serenità dell’animo. Il De otio,  giunto mutilato sia dell’inizio sia della fine, tratta il rapporto tra vita attiva (negotium) e vita contemplativa (otium);  in certe occasioni il saggio deve partecipare alla vita politica, in altre deve ritirarsi.
  • Un ultimo dialogo è il De providentia, dedicato a Lucilio, il cui tema principale è la razionalità immanente al cosmo, tipica dello stoicismo. Affronta il tema della contraddizione tra provvidenza e il fatto che la sorte sembra premiare i malvagi e punire i buoni. Per Seneca, dolore  e sventura sono considerati dal saggio mezzo per il rafforzamento dell’animo e esercizio della virtù.

Trattati

  • De clementia: Trattato politico in due libri sul programma di governo del sovrano illuminato, identificato nella figura dell’imperatore Nerone, dedicatario dell’opera. Seneca lo elogia per aver governato finora con umanità, mitezza d’animo e per aver dimostrato clementia, cioè la virtù che distingue il sovrano dal tiranno e che garantisce la stabilità dell’impero.
  • Il De Beneficiis è articolato in sette libri, dedicati a Ebuzio Liberale, scritti negli ultimi anni di attività di Seneca. Tratta di uno dei fondamenti del vivere civile: il beneficio; di come riceverlo e concederlo, e della conseguente riconoscenza e ingratitudine. Il valore del beneficio consiste del fatto stesso di donare. Si sviluppa su due piani diversi: il primo su un discorso teorico che mira a creare un modello di comportamento umano, studiando la fenomenologia del dare e del ricevere; e un secondo discorso, più pratico, sui comportamenti realmente praticati che ha avuto modo di osservare o leggere nella storiografia.

Naturales Quaestiones
Sono un opera dossografica (raccolta di argomenti eruditi) in otto libri, dedicata a Lucilio al quale si rivolge direttamente nell’opera. Ogni libro tratta di un particolare fenomeno naturale (fuochi celesti, tuoni e fulmini, acque terresti, ecc.); tuttavia la discussione scientifica è sempre unita a un intento morale, quello etico – pedagogico di miglioramento dell’uomo. Infatti Seneca sottolinea il carattere naturale di questi eventi sottraendoli alla superstizione e negando ogni aspetto di un prodigio. Uno degli scopi dell’opera è quindi la liberazione dell’uomo dalle sue paure irragionevoli, dovute all’ignoranza, e in particolare dal timore della morte. Non si tratta quindi di un’opera puramente scientifica ma anche di carattere filosofico.

Epistulae morales ad Lucilium
Riconosciute come il capolavoro di Seneca, sono una raccolta di lettere di argomento etico e parenetico indirizzate all’amico Lucilio (124 lettere pervenute). Lucilium Iuniore era un cavaliere romano che era stato governatore e procuratore. Le lettere sono senza dubbio reali ma è evidente che Seneca le ha scritte per un pubblico più ampio che il solo Lucilio. Contengono l’espressione del pensiero filosofico di Seneca; sono componimenti di tono colloquiale, intimo e discorsivo. In esse coesiste la dimensione teoretica con quella pratica: la riflessione si accompagna all’esperienza concreta. Lunghezza delle lettere e stili sono vari. L’obiettivo delle lettere è il progresso morale: viene trascurata la logica e vengono valorizzati temi cari allo stoicismo quali la miseria dell’uomo di fronte alle avversità della vita e all’assalto delle passioni e del male; il ruolo essenziale dell’introspezione; il rifugio nella solitudine della saggezza.

Tragedie
Scrisse 9 coturnate (tragedie di argomento greco) che si riallacciano alle tematiche del teatro tragico latino precedente e anche ad altri generi letterari come la poesia di Orazio, Virgilio e Ovidio. Il modello greco è presente negli argomenti. La produzione tragica di Seneca è di grande importanza perché si tratta delle uniche opere drammatiche pervenuteci nella loro interezza. Caratteristiche delle tragedie senecane sono la rappresentazione di passioni sconvolgenti, il gusto del macabro, il linguaggio espressionistico. L’autore è spesso negativo e l’autore fa largo uso di elementi ripresi dalla tradizione non solo tragica, ma anche epica. Grande ricchezza di particolari nelle descrizioni di scenari che rendono facile l’immaginazione del lettore o dell’ascoltatore nelle recitationes.
Apokolokyntosis (Apoteosi della zucca)
Satira menippea (parte in prosa e parte in poesia; finalità non serie ma di ridicolizzare) scritta dopo la morte dell’imperatore Claudio per vendicarsi di quest’ultimo per averlo mandato in esilio in Corsica per 8 anni. La trama è la seguente: Dopo la sua morte, Claudio arriva in cielo dove, di fronte a Giove, cerca di farsi riconoscere e di chiedere la propria beatificazione. Tuttavia nessuno degli dei lo riconosce e lo ossequia a causa del suo aspetto deforme e dalla parlata incomprensibile; una volta riconosciuto dalla dea Febbre, viene portato da Ercole davanti a un cosiglio di dei per votare la sua beatificazione. Augusto a quel punto si scaglia contro Claudio accusandolo di aver fatto uccidere tanti familiarie cosi tutti gli dei bocciano la sua apoteosi. Claudio viene cosi accompagnato da Mercurio negli inferi dove viene costretto a giocare per sempre a dadi con uno strumento truccato; solo per intromissione di Caligola viene consegnato al liberto Meandro che lo avrebbe aiutato nelle inchieste giudiziarie.
Alla parodia letteraria, con citazioni di passi di poesia greca e latina, si accompagna la descrizione grottesca del protagonista e di altri personaggi minori.
Temi
Come Cicerone, Seneca si può considerare un eclettico in quanto sebbene si dichiari apertamente vicino alla corrente dello stoicismo, accetta apporti da altre scuole (cinica, neopitagorica, epicurea). Egli non cerca mai una sistematizzazione del pensiero stoico ma volto a fini pratici e quindi con un intento pedagogico e parenetico.
Un altro tema importante senecano è la contrapposizione tra otium e negotium, già radicata nella cultura latina. Lo stoicismo, rispetto a questa contrapposizione, ha un atteggiamento ambivalente: da una parte richiede l’impegno del saggio nella vita politica, dall’altra ne può giustificare il ritiro se per validi motivi.
Il tema predominante in Seneca è la meditazione sul tempo e sulla morte. Partendo dall’idea che la morte è una cosa inevitabile per tutti gli uomini, la sua idea si riferisce al pensiero stoico secondo cui l’anima sopravvive dopo la morte, ma solo sino al momento della conflagrazione che distruggerà l’universo. Il suicidio viene visto, secondo la visione stoica della realtà, in un atto di liberazione del “carcere” del corpo. Seneca fa suo anche il pensiero stoico dell’analisi e la critica delle passioni (De ira, De clementia)
Fortuna
Nel Medioevo, Dante pone Seneca nel limbo fra gli “Spiriti magni”; nell’epoca della riforma viene letto e studiato da intellettuali come Calvino ed Erasmo; le tragedie senecane influenzeranno Alfieri e Foscolo.

 

Fedro
Vita
Abbiamo poche notizie biografiche su Fedro e derivano tutte dalla sua opera. Nato intorno al 15  a.C. in Tracia o Macedonia, giunge a Roma in età giovanile ed entra nella familia di Augusto che lo libera. Subi’ un processo da parte di Seiano, oggetto di alcune allusioni nelle sue favole. Mori’ senza aver ottenuto la notorietà.

Opera
Scrisse 94 favole in senari giambici, divise in 5 libri pubblicati separatamente. La favola costituisce un genere nuovo nella letteratura latina, ma già noto in Grecia; infatti egli prende ad esempio il favolista greco Esopo senza imitarlo passivamente, ma procedendo con l’attività di emulazione. Egli nei prologhi e negli epiloghi dichiara la sua originalità rispetto a Esopo: se Esopo ha trovato la materia, egli l’ha trasposta in senari, rielaborata e abbellita. Presenta una novità dei soggetti, infatti si stacca dalla favola esopica in cui i protagonisti erano tutti animali personificati in maniera elementare (volpe è furba, leone è malvagio); nelle favole di Fedro compaiono infatti anche figure umane, personaggi storici o mitologici.
L’intento di Fedro è dichiarato esplicitamente: “muovere il riso e stimolare la vita del saggio con una riflessione”; dunque la favola, attraverso la narrazione divertente, fornisce un insegnamento morale, ispirato al senso comune.
Emerge una critica ai vizi degli uomini che rientra in una visione pessimistica della realtà in cui il debole e l’onesto sono sempre vittime che non hanno possibilità di migliorare la loro condizione.
La struttura delle favole è semplice, c’è un vivace dialogo tra due personaggi in contrasto fra loro. La breve massima che riassume il contenuto e offre la chiave di lettura della favola si può trovare all’inizio o alla fine del brano.
Lo stile è medio, la sintassi regolare e lineare, e la lingua è soprattutto il  sermo cotidianus  in uso fra le persone colte.

  • Fortuna

Fedro non ebbe grande fortuna presso i suoi contemporanei; ignorato anche da Seneca, fu ricordato però da Marziale. Fu riscoperto soprattutto nel quattrocento in cui molti favolisti si ispirarono a lui tra cui Jean de La Fontaine.

Petronio
Vita
Non avendo notizie certe sull’identità, si usa identificare l’autore del Satyricon con un certo Petronio Arbitro grazie alla testimonianza degli Annales di Tacito.
Egli sarebbe stato un elegantiae arbiter (maestro di cerimonie) presso la corte di Nerone, e caratterizzato da una personalità eccentrica e gaudente. Fu coinvolto nella congiura dei Pisoni e si suicidò come Seneca e Lucano. Alcuni elementi che confermano questa ipotesi sono: la presenza di attori, gladiatori e cantanti dell’età neroniana; la presenza di liberti tra i personaggi (infatti nell’epoca di Nerone ebbero una buona visibilità pubblica); le allusioni ai lussi e agli eccessi della corte imperiale; la discussione della decadenza dell’eloquenza.
Il Satyricon
Un genere coposito
Il titolo presenta alcuni spunti di riflessione:

  • Satyricon in greco è genitivo e quindi si presuppone che il titolo originale potesse essere Satyricon libri che a sua volta può essere tradotto in due modi: “libri di storie di satiri” o “libri di storie satiriche”. Dato che i satiri, creature mitologiche bestiali e licenziose, sono del tutto assenti nell’opera, la seconda ipotesi è la più probabile.

E’ possibile quindi ricercare dei collegamenti con il genere lettario della satira. Lo stesso titolo può essere riconducibile alla parola latina satura, cioè “satira” come genere letterario. Infatti dalla satira luciliana e oraziana prende la ricerca di argomenti e registri linguistici quotidiani, la critica aspra dei vizi e il gusto della parodia letteraria. Dalla satira menippea trae la struttura del “prosimetrum” ,cioè è scritto parte in prosa e parte in poesia.
Tuttavia il Satyricon non può essere ricondotto solo al genere satirico in quanto, sebbene l’opera ci sia pervenuta mutila, il gran numero di personaggi, le ampie digressioni e i numerosi luoghi citati fanno pensare a un’opera di notevole estensione e quindi non può essere una vera e propria satira.
Effettivamente il Satyricon viene definito dagli storici uno dei primi “romanzi” della letteratura latina ma anche questa ipotesi è molto problematica. Alcuni sostengono che sia una parodia del romanzo greco: infatti essi presentano avventure e amori virtuosi e contrastati che si compiono attraverso azioni eroiche e peripezie; nell’opera di Petronio è presente una struttura comunque avventurosa, ma al centro ci sono legami omosessuali e una sessualità esplicita e eccessiva.
Sono presenti anche alcuni riferimenti all’Odissea di Omero: la presenza di una donna di nome Circe, l’allusione al gregge di Polifemo e all’antro del Ciclope.
Dal momento che è impossibile collocare quest’opera in un particolare genere letterario, si considera che Petronio abbia compiuto una cosciente mescolanza di generi diversi in un intento parodistico e sperimentale.
All’interno della narrazione sono inserite delle favole cinque novelle, cioè racconti popolari ricchi di elementi folkloristici e a volte magici.
Trama riassunta
La vicenda è incentrata sulla figura di Enclopio, narratore in prima persona, e dei suoi compagni Gitone, bellissimo e suo amante, e Asclito, rivale in amore. Essi sono quindi i “vertici” di un triangolo amoroso omosessuale. La parte precedente a quella che ci è pervenuta potrebbe essere ambientata a Marsiglia, dalla quale i due amanti fuggono verso l’Italia dopo aver suscitato l’ira del dio Priapo.
Qui inizia la parte che è giunta fino a noi.  Essi si ritrovano in una Graeca Urbs (alcuni l’hanno identificata con Pozzuoli, Cuma o Napoli) e dopo essersi ritrovati insieme,  passano le più contorte disavventure tra cui ricordiamo quella in cui si introducono di nascosto alla cena di un importante liberto arricchito, Trimalchione, per seguire il rettore Agamennone. Questa scena è la cosiddetta Cena Trimalchionis ed è una delle più riuscite. Nel finale la scena si sposta a Crotone dove la vicenda si complica e si intreccia ulteriormente.
Fantasia e Realismo
Alcuni aspetti del Satyricon, come la mancata contestualizzazione di alcuni luoghi (la Greca Urbs), o anche la stessa Crotone appaiono legati a un mondo più immaginario che reale; mentre altri come le strade, le piazze, le locande, i bordelli o le navi appaiono molto più riconoscibili al pubblico ed è per questo che si parla del “realismo” di Petronio. Sono realistici anche i personaggi che animano la narrazione per due motivi:

  • Esprimono la realtà davvero esistente al tempo, soprattutto quella bassa e degradata
  • Alcuni soggetti sociali alludono a figure e situazione politiche e sociali del tempo

Cena Trimalchionis
Questo episodio è stato ispirato sia dalla satira oraziana sia dal Simposio di Platone, richiamato da evidenti particolari. I protagonisti del romanzo riescono a ottenere, con vari espedienti, un invito a partecipare al banchetto offerto dal potente liberto ai suoi amici, spesso anche loro liberti arricchiti. Trimalchione rappresenta al meglio tutti gli eccessi della figura di Nerone. In questa scena si denota un’ossessione di Trimalchione verso la morte dalla sua attenzione verso il proprio testamento e la scena macabra del suo finto funerale inscenato al banchetto. E’una scena tutt’altro che lieta, infatti è pervasa da discorsi sulla morte e sulla caducità della vita. Essa si spinge a tal punto che gli invitati sono invogliati alla fuga dal banchetto. Quindi se realismo e fantasia sembrano convivere all’interno del Satyricon, sono presenti contemporaneamente anche le due finalità del romanzo: intrattenimento e riflessione.
Lingua e stile
La lingua del Satyricon è contraddistinta dal plurilinguismo, cioè l’utilizzo di diversi registri linguistici a seconda della situazione e dei personaggi.
Esso è visibile per due motivi:

  • L’utilizzo del “prosimetrum” cioè l’alternarsi di prosa e poesia
  • I personaggi parlano seguendo il linguaggio tipico della loro classe sociale; i personaggi colti usano un latino semplice ma elegante e i personaggi socialmente più bassi usano il sermo plebeius, caratterizzati da espressioni colloquiali.

Fortuna
Egli fu trascurato dai suoi contemporanei poiché non accontentava nessuno, non salvava né poveri né ricchi. Solo nell’ Umanesimo, quando fu ritrovata la Cena Trimalchionis si cominciò ad apprezzare la sua opera ed ebbe la fortuna che meritava. In Italia Gian Battista Marino riprese parti del Satyricon nel suo Adone e nella letteratura inglese, Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Gray” racconta dell’ammirazione che Dorian ha verso Petronio e il suo modo di vivere.

 

 

Lucano

  • Vita

Nasce a Cordova, in Spagna, nel 39 d.C. da Anneo Mela, fratello di Seneca. Egli è dunque il nipote di quest’ultimo. Come Seneca, giunse giovane a Roma dove apprese la disciplina stoica ed entrò nelle grazie dell’imperatore Nerone al quale dedicò anche una lode (Laudes Neronis). Il rapporto tra il poeta e l’imperatore si ruppe ed egli fu coinvolto nella congiura dei Pisoni e fu costretto al suicidio come Seneca. Morì ad appena 26 anni.

  • Opere

Come Seneca, Lucano sperimentò diversi generi letterari le cui testimonianze sono andate perdute.
La sua opera principale è senza dubbio il Bellum Civile.
Bellum civile
Noto anche come Pharsalia (“gli eventi di Farsalo”), è un poema epico che tratta della guerra civile tra Cesare e Pompeo, culminata proprio con la battaglia di Farsalo del 48 a.C.. Il testo si interrompe al X libro per la morte dell’autore. Il progetto originale era probabilmente di 12 libri, in linea con il modello dell’Eneide e del poema epico.
Sono presenti 3 personaggi principali, ognuno dei quali portatore di valori:

  • Cesare: viene visto in prospettiva molto negativa, come un tiranno. Egli è un monarca autocratico, troppo facile al furor, all’impatientia , e all’ira. Nel testo viene paragonato a un fulmine che colpisce violentemente e improvvisamente. Probabilmente avrebbe dovuto evocare la figura di Nerone.
  • Pompeo: egli ha sicuramente le simpatie del poeta; infatti egli è un difensore della repubblica e della libertas in generale. Tuttavia egli agisce in maniera passiva e poco incisiva. Inoltre mostra un eccessivo attaccamento alla ricchezza che la sua condizione nobiliare gli aveva garantito. Nel testo viene paragonato a una possente quercia che agisce solo con il nome, senza agire davvero. E’ una quercia che fa ombra solo con i suoi rami.
  • Catone l’Uticense: a lui dovevano essere dedicati i libri rimasti incompiuti. Egli rappresenta l’esempio di virtù e integrità morale che rappresenta con un forte impegno civile e dedicando la vita alla patria e alla difesa della libertas. Il suicidio con cui si toglie la vita non è una via di fuga dal mondo, ma un atto di protesta contro la tirannide cesariana e di rivendicazione della dignità umana, in accordo con la filosofia stoica alla quale aderiva.

Aspetti del tutto particolari del Bellum civile, rispetto agli altri poemi epici sono:

  • Assenza degli dèi: le divinità sono del tutto assenti nella vicenda, non interferiscono con le azioni dei personaggi. Sono citate nel testo solo per motivi di erudizione. Lucano non crede a una provvidenza o a un disegno divino ma mette in luce l’incidenza che ha la fortuna sugli eventi storici.
  • Necromanzia e irrazionale: sono presenti nel testo molte profezie e pratiche oscure legate allo studio di esseri morti fatte da maghi. Queste profezie sono spesso negative e nefaste, e ciò fa pensare che la concezione del mondo che ha il poeta è il bilico tra un “mondo allo sbando”, e una in cui c’è una realtà dominata da sventure.

Lingua e stile
Lo stile è aulico e sublime che accentua pathos e drammaticità. Il poeta utilizza spesso espressioni sentenziose e retoriche, espressioni antitetiche e ossimori. Il lessico è elevato e la sintassi caratterizzata da un periodare spezzato. C’è una particolare attenzione dell’autore verso i dettagli macabri e oscuri (racconta di uccisioni, stragi e torture) che mette in luce l’illogicità del reale, il rovesciamento dei valori tradizionali e il senso di smarrimento del pubblico.

Fortuna
Lucano ebbe una fortuna enorme nei posteri. Tra i suoi contemporanei fu apprezzato da Petronio che inserì passaggi del Bellum Civile nel suo Satyricon. Anche Marziale e Giovenale lodano Lucano per il suo grande successo. Nel Medioevo ebbe grande fama: Dante, nella Divina Commedia, lo colloca nel limbo, tra gli Spiriti Magni, e Petrarca si ispira a lui per la sua opera Africa. Anche Torquato Tasso si ispirò al Bellum Civile.

 

Persio
Vita
Nacque nel 34 d.C. a Volterra da una famiglia di rango equestre. Perse il padre a soli sei anni e ricevette un’educazione da sole donne. Fu inviato a Roma a imparare grammatica, retorica e filosofia. Divenne allievo di Anneo Cornuto, filosofo stoico e crebbe in un ambiente di tipo aristocratico,stoico e in opposizione aperta al regime di Nerone. Trascorre la sua vita in maniera isolata e dedita agli studi, occupandosi della sua opera principale, il libro delle Satire. Morì a soli 28 anni nel 62 d.C. per una malattia allo stomaco.

Opera
Scrisse solo un libro, composto da 6 satire, per un totale di 650 versi. Da un punto di vista strutturale, sembra che il poeta riprenda la satira oraziana e luciliana (satira a tema e satira di tipo epistolare), tuttavia egli attua diversi cambiamenti. Il rapporto di complicità che c’era tra Orazio e il suo pubblico, in cui l’autore faceva anche autoironia, viene sostituito da un rigido moralismo, di matrice stoica, col quale prende le distanza dalla società.
I temi delle satire sono: diatribici (“conosci te stesso”), argomenti letterari (in cui rivendica le sue scelte stilistiche, elogia il suo maestro Cornuto), descrizione di individui viziosi e corrotti, l’aurea mediocritas oraziana applicata alla ricchezza. In generale, egli si scaglia pesantemente contro i vizi che colpivano la società corrotta romana e lo fa utilizzando la moralità e la rigidità della filosofia stoica.
Argomenti delle satire:

  • Satira 1: argomento letterario, è un attacco alla vanagloria ai poeti contemporanei e ai servi che applaudono alle satire scritte dai loro padroni, anche se sono povere di ispirazione.
  • Satira 2: attacco agli uomini che si affidano al culto di una divinità per un interesse particolare e egoistico.
  • Satira 3: satira contro i giovani che si distolgono dagli studi filosofici per darsi alla vita di piacere e gaudente.
  • Satira 4: tema del “conosci  te stesso”; conoscersi è un valore fondamentale per ricoprire ruoli di responsabilità civile e morale.
  • Satira 5: ringraziamento rivolto al maestro Anneo Cornuto per gli insegnamenti ricevuti.

Lingua e stile
Lo stile è oscuro e difficile per scelta dell’autore. Sono complicati anche la sintassi e il lessico. Nelle Satire, Persio riversa tutta la sua tensione morale; non vi è dunque il linguaggio leggero che si trovava in Orazio. E’ un tono violento e duro. Egli dichiara apertamente di volersi rifare a Orazio e Lucilio , i fondatori della satira, ma da essi si distacca in diversi modi: soprattutto da Orazio, per la sfrontatezza e la durezza dei suoi contenuti. Per quanto riguarda l’aggressività delle sue satire si ispira a Lucilio, per l’ironia si rifà a Orazio. Il linguaggio utilizzato è ricco di metafore corpose, crude e corrosive che lo rendono espressivo e unico nella letteratura latina. A tal proposito introduce costrutti inconsueti e espressioni violente, accostando ad esempio termini presi da un lessico colto, a termini popolari o volgari (“saliva mercurialis” è l’acquolina in bocca che si ha quando si sta per concludere un affare e“pallentes mores” sono i costumi pallidi,malati).
Utilizza spesso lessico preso dal campo della medicina perché riteneva il compito dello scrittore di satire, alla stregua di quello di medico: egli doveva essere un terapeuta delle coscienze, si doveva occupare della morale dei cittadini. La sua iunctura (mettere insieme parole contrastanti) è diversa da quella oraziana, è una acer iunctura (aspra), quella oraziana è più morbida e leggera.

Fortuna
Persio ebbe un grande successo immediato tra i suoi contemporanei (es. Quintiliano dice che, se non fosse morto così giovane, avrebbe ottenuto ancora più successo). Nel Medioevo, Dante lo colloca nel Limbo,tra gli Spiriti Magni, insieme a Lucano, Orazio, Omero e altri. Nel Rinascimento venne messo da parte, dalla maggior parte dei letterati,per i suoi temi oscuri; tuttavia Parini si ispirò a lui per Il Giorno, e Monti tradusse tutte le sue opere.

Giovenale
Vita
Nacque ad Aquino (vicino a Frosinone) tra il 50 e il 65 d.C., ricevette una buona educazione retorica e esercitò l’avvocatura. Alcune fonti indicano come luogo della sua morte l’Egitto, dove era in esilio.

L’opera
Consiste in 16 satire suddivise in 5 libri, che non sono tutti giunti a noi. I critici hanno individuato nel corpus di satire di Giovenale due momenti distinti:

  • Indignatio: (libri 1-7) caratterizzata un tono forte e disgustato dai vizi della società
  • Un atteggiamento più distaccato e ironico, un tono più pacato

Nella seconda parte si fanno più forti le influenze della satira oraziana, più distaccata. Alcuni collegano questa trasformazione alla disillusione delle speranze di un miglioramento della società. Alla tensione morale dell’indignatio si sostituisce una visione più rassegnata e distaccata della realtà. Egli si scaglia contro le donne, che egli considera tutte prostitute e meretrici, e contro l’omosessualità dilagante (se un uomo potente avesse avuto un rapporto con un altro uomo senza subire, avrebbe mantenuto la sua virilità). E’ una satira più pesante e moralistica rispetto ai suoi predecessori; nei suoi componimenti Giovenale non scherza e non gioca col pubblico. La sua visione della vita è quella del ceto medio italico, che radici nella morale catoniana, sobria, contadina, repubblicana e xenofoba: ora, nella nuova Roma cosmopolita, egli assiste a uno sconvolgimento di questi valori e alla caduta di questa visione del mondo.

  • Uno dei temi più usati da Giovenale è la decadenza della nobilitas: l’antica nobiltà era stata in gran parte sterminata dagli imperatori più sanguinari, come Domiziano. Nella satira 4, Giovenale fa un ritratto di questa classe sociale, o meglio di ciò che ne rimane: uomini di valore ridotti a un gruppo di servili adulatori; al posto dei nobili ora ci sono i liberti arricchiti, i favoriti degli imperatori, gli stranieri (Greci) e i servi astuti.
    Secondo la sua visione, la società era basata sul denaro, sul commercio, sulla speculazione e l’esasperata ricerca del lusso; di conseguenza egli sottolinea ,con un forte pessimismo, gli elementi di collegamento con l’età precedente a quella contemporanea, più vicina alla sua visione del mondo.
  • Un altro tema importante è lo stato di cliente: Giovenale racconta la decadenza di questa figura, gli sgarbi e le discriminazioni che subisce un cliens dal suo padrone. Egli lamenta la sottomissione di questi “clienti”, costretti a subire prestazioni sessuali dal padrone e dalle sue donne senza potersi opporre.
  • Un altro tema caro a Giovenale è quello del matrimonio: questo istituto, considerato fondamentale da Giovenale, è affrontato nella satira 6 ed è influenzato dalla misoginia (odio verso le donne) del poeta verso le donne in generale. Il suo fine è quello di criticare il declino del matrimonio, causato dalla corruzione morale della donna, incapace di resistere al desiderio sessuale, e dalla debolezza del carattere dei mariti e della società in generale.

Lingua e stile
Il realismo di Giovenale, è inteso a rappresentare l’aspetto più negativo della realtà contemporanea, descritta con caratteristiche perverse e mostruose. Il sarcasmo è uno stile molto utilizzato, con punti di pathos molto alti. Il linguaggio poetico è di registro basso e colloquiale proprio della tradizione satirica, mescolato a un linguaggio alto e aulico e ad alcuni arcaismi.

Fortuna
La sua opera fu poco apprezzata dai contemporanei, e molto apprezzata dagli scrittori cristiani a causa dell’impianto morale dei suoi componimenti. Nel Medioevo viene apprezzato molto, soprattutto da Boccaccio. Elementi della sua poetica sono stati ripresi da Parini, Alfieri e Carducci.

L’Età dei Flavi (69-96 d.C.)
Sono i primi imperatori che non appartengono alla dinastia Giulio-Claudia, e quindi non potevano godere della condizione di discendenti diretti di Cesare e Augusto. I Flavi dovettero quindi legittimare il loro potere con la forza del diritto e militare (ciò è valido per Vespasiano e Tito, ma non per Domiziano che fu un tiranno spietato).
Contesto storico
Con Vespasiano, si ebbe la legittimazione del principato. Intraprese la carriera militare e, una volta al potere, regolò il ruolo dell’imperatore con la lex de imperio Vespasiani. Fu talmente contrario a Nerone e alla sua politica orientalizzante, che fece espellere da Roma intellettuali Greci e asiatici, e istituì scuole superiori pubbliche. Ottenne la vittoria definitiva sugli ebrei grazie all’azione del figlio Tito che distrusse e incendiò il tempio di Gerusalemme. La sua precisa politica economica fece risanare il deficit pubblico e ciò permise di costruire importanti opere architettoniche a Roma (Colosseo).
Tito aveva incrementato la sua fama grazie a imprese militari e alla morte del padre Vespasiano, salì al potere ma regnò per poco tempo. Di questi anni è l’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano, verso le quali l’imperatore si mostrò così generoso e disponibile che si guadagnò il titolo di “amore e la delizia del genere umano”.
Domiziano era il fratello dispotico di Tito, che si distinse per importanti imprese militari, rafforzo imprese militari e frontiere. Egli accentrò tutto il suo potere nelle sue mani, facendosi chiamare dominus  e deus. Il senato veniva svuotato sempre di più dei suoi poteri consultivi. Utilizzò tecniche violenze nella persecuzione contro i filosofi greci, cristiani ed ebrei. Una congiura, ordita dalla sua stessa moglie, mise fine alla sua tirannide nel 96 d.C.
Contesto culturale
La cultura al tempo dei Flavi fu pesantemente condizionata dal peso dell’istituzione imperiale. Infatti, sebbene gli imperatori avevano ricevuto una formazione militare, sapevano benissimo che la cultura serviva a formare nuove leve e mantenere alto il consenso verso il potere imperiale (letteratura del consenso)
L’età flavia fu caratterizzata da un nuovo interessa per la poesia epica (Stazio, Italico, Flacco), dove gli autori cercavano sempre di elogiare la casa regnante. Ciò dimostra che l’adulazione fosse un obbligo per i poeti che volessero una certa visibilità e fama da parte dell’imperatore. Il controllo da parte del potere imperiale sulla cultura favorì un “conservatorismo culturale” cioè un ritorno al classicismo, in contrasto con gli eccessi e le stravaganze dell’età neroniana.

Stazio
Vita
Nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d.C. da un maestro di retorica di ceto equestre. Si trasferì a Roma per sviluppare la carriera letteraria e partecipò a gare di poesia come gli Augustalia e i Ludi Albani dove vinse. Fu molto apprezzato dall’alta società romana e usava la letteratura come mezzo di sostentamento poiché non era di famiglia agiata. Dopo una sconfitta in una rivalità letteraria ai Ludi Capitolini, tornò a Napoli dove morì nel 96 d.C.

Opere
La sua produzione fu ampia.  Scrisse due poemi epici, la Tebaide e l’Achilleide, e una raccolta di componimenti d’occasione in cinque libri, le Silviae.
Tebaide: poema epici in 12 libri. Narra della lotta tra Eteocle e Polinice, due fratelli, figli di Edipo e Giocasta, per la conquista di Tebe. L’argomento appartiene al “ciclo tebano” ed era già stato trattato da Eschilo nell’antica Grecia (I sette contro Tebe), Sofocle ed Euripide.

 

Fonte: http://files.splinder.com/6ddc6c064f3d1ae316b34ccd1c771427.doc

Autore: Paolo Esposito

 

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