Autismo infantile sintomi e cause e altre informazioni utili

 


 

Autismo infantile sintomi e cause e altre informazioni utili

 

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Autismo infantile sintomi e cause e altre informazioni utili

SONO AFFETTO DA AUTISMO, ECCO CHE COSA MI PIACEREBBE DIRTI
Estratto dalla relazione di Angel Rivière, professore di psicologia evolutiva presso l’Università Autonoma di Madrid.
Ginevra, 21 novembre 1996

  1. Aiutami a capire, organizza per me un mondo strutturato e prevedibile
  2. Non parlare troppo, né troppo velocemente. Usa segnali chiari e semplici.
  3. Evita  gli ambienti disordinati, rumorosi e iperstimolanti
  4. Imponimi dei limiti: ho bisogno di una guida chiara, comprensibile, strutturata, non dell’anarchia.
  5. Non fare troppo affidamento sulle mie apparenti abilità:le mie capacità devono essere valutate oggettivamente.
  6. Dammi strumenti alternativi di comunicazione (gesti, pittogrammi, segni, …)
  7. Sii capace di condividere un piacere con me: ci sono molte più cose che ci possono unire che non dividere.
  8. Mostrami il senso di quello che mi chiedi di fare
  9. Fammi sapere se la mia condotta è adeguata o inadeguata: sono sensibile alle gratificazioni.
  10. Rispetta la mia solitudine, ma non troppo: mi piacciono le relazioni tranquille, amo le interazioni, quando sono chiare.
  11. Non obbligarmi a fare sempre le stesse cose, a rispettare le solite routines: l’autistico sono io, non tu.
  12. I miei problemi di comportamento non sono rivolti contro di te: non  mi attribuire cattive intenzioni
  13. Analizza le mie motivazioni spontanee: mi piace divertirmi, voglio bene ai miei genitori, sono contento quando riesco a fare le cose bene.
  14.  I miei atti non sono assurdi, per me hanno una logica, cerca di capirmi.
  15. sii positivo: sostituisci le attività senza senso, con attività funzionali.
  16. Non mi chiedere in continuazione cose che non sono capace di fare, aiutami ad essere più autonomo, ma non esagerare con l’aiuto.
  17. quando non faccio ciò che chiedi , non interpretare che “io non voglio”, ma che  “ non posso”
  18. Proponimi attività nelle quali io possa riuscire da solo, aiutami se vuoi insegnarmi cose nuove, ma non esagerare con l’aiuto
  19. Non darmi troppi farmaci
  20. Non paragonarmi sempre ai bambini “normali”. Anche se per me è difficile comunicare, ho dei pregi: non inganno mai, non capisco le sfumature sociali, ma non ho doppie intenzioni né sentimenti pericolosi. La mia vita può essere soddisfacente se è semplice e ordinata, tranquilla; se non mi chiedi in continuazione di fare cose troppo difficili per me.
  21. Accettami così come sono, sii ottimista, ma senza credere alle favole o ai miracoli: la mia situazione normalmente migliora con il tempo, anche se, per ora non esiste guarigione.

Tratto da: “ Disturbi generalizzati dello sviluppo”
F80.9 Disturbo della Comunicazione Non Altrimenti  Specificato (307.9)
Questa categoria diagnostica riguarda i disturbi della comunicazione che non soddisfano  criteri per alcun Disturbo della Comunicazione specifico; per esempio, un disturbo della voce (cioè un’anomalia dell’altezza, dell’intensità, della qualità, della tonalità o della risonanza vocale)

I disturbi generalizzati dello sviluppo sono caratterizzati da compromissione grave e generalizzata in diverse aree dello sviluppo: capacità di interazione sociale reciproca, capacità di comunicazione o presenza di comportamenti, interessi, e attività stereotipate. Le compromissioni qualitative che definiscono queste condizioni sono nettamente anomale rispetto al livello di sviluppo o dell’età mentale del soggetto: questa sezione contiene il Disturbo Autistico, il Disturbo di Rett, il Disturbo Disintegrativi della Fanciullezza, il Disturbo di Asperger e il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato. Questi disturbi sono di solito evidenti nei primi anni di vita e sono spesso associati  con un certo grado di ritardo mentale che, se presente, dovrebbe essere codificato  sull’Asse II. I Disturbi  Generalizzati dello Sviluppo si osservano talvolta con un gruppo vario di condizioni mediche generali (per es. anomalie cromosomiche, infezioni congenite, anomalie strutturali del sistema nervoso centrale). Se queste condizioni sono presenti, dovrebbero essere codificate sull’Asse III. Sebbene, termini come psicosi, o schizofrenia infantile siano stati usati in passato in riferimento ai soggetti affetti da queste condizioni, vi sono considerevoli prove a favore dell’opinione che i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo siano diversi dalla schizofrenia (per quanto un soggetto con Disturbo Generalizzato dello Sviluppo possa occasionalmente sviluppare in seguito la schizofrenia).

F84.0 Disturbo Autistico (299.00)
Caratteristiche diagnostiche
Le caratteristiche fondamentali del Disturbo Autistico sono la presenza sono la presenza di uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario dell’interazione sociale e della comunicazione e una notevole ristrettezza del repertorio di attività e di interessi: le manifestazioni del disturbo variano ampiamente a seconda del livello di sviluppo e dell’età cronologica del soggetto. Il Disturbo autistico viene talvolta riportato come “autismo infantile precoce, autismo infantile o autismo di Kanner”.
La compromissione dell’interazione sociale reciproca è macroscopica e perdurante. Può esservi compromissione notevole nell’uso dei diversi comportamenti non verbali ( per es. sguardo diretto, espressione del viso, posture corporee e gestualità) che regolano l’interazione sociale e la comunicazione (Criterio A1a) può esservi incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo (Criterio A1b), che può assumere diverse forme a seconda dell’età. I soggetti più piccoli possono avere uno scarso o nullo interesse nel fare amicizia. I soggetti più grandi possono essere interessati all’amicizia, ma mancare della comprensione delle convenzioni che regolano l’interazione sociale. Può esservi una mancanza di tentativi spontanei di condividere gioie, interessi o obiettivi con altre persone ( per es. non mostrare, portare o richiamare l’attenzione su oggetti che trovano interessanti) (Criterio A1c). può essere presente una mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per es. Non partecipare attivamente a semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o coinvolgere altri in attività solo come strumenti o aiutanti  “meccanici”) (Criterio A 1d). Spesso la consapevolezza che il soggetto ha degli altri è notevolmente compromessa. I soggetti con questo disturbo possono essere incuranti degli altri bambini (inclusi i fratelli), possono non avere idea dei bisogni degli altri o non accorgersi del malessere di un’altra persona).
Anche la compromissione della comunicazione è marcata e perdurante e riduce le capacità verbali e non verbali. Può esservi ritardo o totale mancanza, dello sviluppo del linguaggio parlato  (Criterio A2a). nei soggetti che parlano, può esservi notevole compromissione della capacità di iniziare o di sostenere una conversazione con altri (Criterio A2b) o un uso stereotipato o ripetitivo del linguaggio o linguaggio eccentrico (Criterio A2c). può esservi mancanza anche di giochi di simulazione vari e spontanei o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo (CriterioA2d). quando il linguaggio si sviluppa, l’altezza, l’intonazione, la velocità, il ritmo o la sottolineatura possono essere anomali (per es. il tono  di voce può essere monotono o contenere accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative) le strutture grammaticali sono spesso immature e  includono un uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo (per es. ripetizione di parole o frasi indipendentemente dal significato; ripetizione di ritornelli o di spot pubblicitari) o linguaggio metaforico (ossia, linguaggio che può essere capito chiaramente solo da coloro che hanno familiarità con lo stile di comunicazione del soggetto). Un’anomalia nella comprensione del linguaggio può essere evidenziata dall’incapacità di capire domande semplici, istruzioni o scherzi. Il gioco di immaginazione è spesso assente o notevolmente compromesso. Questi soggetti tendono anche a non dedicarsi a giochi semplici di imitazione o alle consuete occupazioni dell’infanzia o della prima fanciullezza oppure lo fanno solo al di fuori del contesto appropriato o in modo meccanico.
I soggetti con Disturbo Autistico hanno modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Può esservi dedizione assorbente per uno o più tipi di interessi stereotipati e ristretti che sono anomali o  per intensità o per focalizzazione (Criterio A3a); sottomissione del tutto rigida a d inutili abitudini o rituali specifici (Criterio A3b); manierismi, motori stereotipati e ripetitivi (Criterio A3c); o un persistente eccessivo interesse per parti di oggetti (Criterio A3d).
I soggetti con disturbo autistico mostrano una gamma di interessi notevolmente ristretta e sono spesso assorbiti da un singolo e ristretto interesse (per es. accumulare dati sulla meteorologia o statistiche sul football) possono mettere in fila giocattoli sempre nello stesso numero e nello stesso modo per più e più volte o mimare ripetutamente i gesti di un attore della televisione. Possono comportarsi in modo monotonamente uguale e mostrare resistenza o malessere per cambiamenti banali (per es. un bambino piccolo può avere una reazione catastrofica per un piccolo cambiamento nell’ambiente, come un nuovo paio di tende o una modificazione del posto a tavola) vi è spesso un asservimento ad inutili abitudini o rituali oppure un’insistenza irragionevole nel seguire certe routines ( per es. prendere ogni giorno esattamente la stessa strada per andare a scuola). I movimenti corporei stereotipati riguardano le mani (battere le mani, schioccare le dita) o l’intero corpo (dondolarsi, buttarsi a terra, oscillare) Possono essere presenti anomalie della postura ( per es. camminare in punta di piedi, movimenti delle mani o atteggiamenti del corpo bizzarri) questi soggetti mostrano un persistente, eccessivo interesse per parti di oggetti(bottoni, parti del corpo). Possono essere anche affascinati dai movimenti ( per es. ruote dei giocattoli che girano, aprire e chiudere la porta, un ventilatore elettrico o altri oggetti che ruotano rapidamente). Vi può essere intenso attaccamento ad alcuni oggetti inanimati ( per es. pezzo di spago oppure un elastico).
L’anomalia deve manifestarsi con ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree prima dei tre anni di età; interazione sociale, linguaggio usato per l’interazione sociale o gioco simbolico o di immaginazione (Criterio B). Tipicamente, non vi sono periodi in cui lo sviluppo sia stato inequivocabilmente normale, sebbene in alcuni casi siano stati riferiti 1 o 2 anni di sviluppo relativamente normale. In una minoranza dei casi, i genitori riferiscono una regressione nello sviluppo del linguaggio, che generalmente si manifesta come cessazione del linguaggio dopo che il soggetto ha acquisito 5-10 parole. Per definizione, se vi è un periodo di sviluppo normale, questo non lo si può estendere oltre i 3 anni di età. L’anomalia non deve essere meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativi della Fanciullezza (Criterio C).
Manifestazioni e disturbi associati.
Caratteristiche descrittive e disturbi mentali associati
Nella maggior parte dei casi, vi una diagnosi associata di Ritardo Mentale, di solito di entità moderata (QI 35- 50). Circa il 75% dei bambini con Disturbo Autistico funzionano  ad un livello di ritardo. Possono esservi anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive. Il profilo delle capacità cognitive è di solito irregolare, a prescindere dal livello generale di intelligenza ( per es. una bambina di 4 anni e mezzo con Disturbo Autistico può essere in grado di leggere, cioè, iperlessica). In molti bambini con disturbo artistico che funzionano ad un livello superiore, il livello della ricezione dei linguaggi (cioè, la comprensione del linguaggio) è inferiore a quello del linguaggio espressivo ( per es. il lessico). I soggetti con Disturbo Autistico possono avere una gamma di sintomi comportamentali come iperattività, scarso mantenimento dell’attenzione, impulsività, aggressività, comportamenti autolesivi e, specie nei bambini piccoli, eccessi di collera. Possono esservi risposte bizzarre a stimoli sensoriali (per es. un’alta soglia per il dolore, ipersensibilità ai suoni o all’essere toccato, reazioni esagerate alla luce, agli odori, affascinata attrattiva per certi stimoli). Possono esservi anomalie nell’alimentazione ( per es. limitazioni dietetiche, Pica) o nel sonno ( ricorrenti risvegli notturni con dondolamenti). Possono essere presenti anomalie dell’umore o dell’affettività (per es. riso sciocco o pianto senza apparente motivo, un’apparente assenza di reazioni emotive). Può esservi assenza di paura di fronte a pericoli reali  e un eccessivo timore di fronte ad oggetti innocui. Possono essere presenti svariati comportamenti autolesivi ( per esempio sbattere la testa o le dita, morsicare le dita, le mani, i polsi) nell’adolescenza o nella prima età adulta , i soggetti con Disturbo Autistico che hanno capacità intellettive di introspezione possono diventare depressi quando si rendono conto delle loro gravi compromissioni.

Reperti di laboratorio associati
Quando il Disturbo Autistico è associato con una condizione medica generale, si osservano i dati di laboratorio corrispondenti alla condizione medica generale. Sono state riferite differenze tra gruppi nella misurazione dell’attività serotinergetica, ma queste non hanno valore diagnostico per il Disturbo Autistico. Gli studi di visualizzazione cerebrale possono essere alterati in alcuni casi, ma non sono state chiaramente identificate caratteristiche specifiche. Le anomalie EEGrafiche sono comuni anche in assenza di disturbi convulsivi.
Reperti dell’esame fisico e condizioni mediche generali associati
Nel Disturbo Artistico possono essere rilevanti diversi sintomi o segni neurologici aspecifici ( per es. riflessi Primitivi, ritardato sviluppo della dominanza di lato). La condizione è talvolta osservata in associazione con una condizione neurologica o con un’altra condizione medica generale ( per es. encefalite, fenilchetonuria, sclerosi tuberosa, sindrome dell’X fragile, anossia alla nascita, rosolia materna). Nel 25% dei casi possono verificarsi convulsioni (specie durante l’adolescenza) quando sono presenti altre condizioni mediche generali, si dovrebbe codificarle sull’Asse III.
Caratteristiche collegate a età e genere
Nel Disturbo Artistico la natura della compromissione dell’interazione sociale può cambiare nel tempo e può variare a seconda del livello di sviluppo del soggetto. Nei bambini in età infantile vi può essere incapacità di stare in braccio; indifferenza o avversione all’affetto o al contatto fisico; mancanza di contatto visivo di risposta mimica o di sorrisi finalizzati al rapporto sociale e mancanza di risposta alla voce dei genitori. Di conseguenza, inizialmente i genitori possono preoccuparsi che il bambino sia sordo. I bambini piccoli con questo disturbo possono trattare gli adulti come intercambiabili oppure possono attaccarsi meccanicamente ad una determinata persona. Nel corso dello sviluppo il bambino può diventare maggiormente disponibile ad essere coinvolto passivamente nell’interazione sociale e può anche diventare più interessato alla stessa. Comunque, anche in questi casi , il bambino tende a trattare le altre persone in modi inusuali ( per es. aspettandosi che le altre persone rispondano a domande rituali in modi specifici, avendo uno scarso senso dei confini delle altre persone ed essendo eccessivamente intrusivi nell’interazione sociale) nei soggetti più grandi, le prestazioni che comportano la memoria  a lungo termine ( per es. orari dei treni, date storiche, formule chimiche, parole esatte di canzoni ascoltate anni prima) possono essere eccellenti, ma le informazioni tendono ad essere ripetute più e più volte, a prescindere dall’adeguatezza dell’informazione rispetto al contesto sociale. Il tasso del disturbo è da 4 a 5 volte maggiore nei maschi che nelle femmine. Le femmine con questo disturbo hanno comunque maggiori probabilità di avere un ritardo mentale più grave.
Prevalenza
Studi epidemiologici suggeriscono che il tasso del Disturbo Autistico sia di 2-5 casi su 10.000 soggetti.
Decorso
Per definizione, l’esordio del Disturbo Autistico si situa prima dei tre anni di età . In alcuni casi, i genitori riferiranno di essere stati preoccupati per il bambino fin dalla nascita o subito dopo, per la sua mancanza di interesse e nell’interazione sociale. Le manifestazioni del disturbo durante l’infanzia sono sottili e difficili da definire rispetto a quelle che si vedono dopo i 2 anni di età. In una minoranza di casi può essere riferito che il bambino si è sviluppato normalmente nel 1° anno di vita (o anche nei primi 2). Il Disturbo Autistico  ha un decorso continuo. Nei bambini in età scolare e nell’adolescenza, sono comuni recuperi di sviluppo in alcune aree ( per es. aumentato interesse nel funzionamento sociale quando il bambino raggiunge l’età scolare). Alcuni soggetti si deteriorano sul piano comportamentale durante l’adolescenza, mentre altri migliorano. Le capacità di linguaggio (per es. la presenza di eloquio comunicativo) e il livello intellettivo generale sono i fattori che più fortemente condizionano la prognosi definitiva. Gli studi di follow-up disponibili, indicano che solo una piccola percentuale di soggetti con questo disturbo riesce, nell’età adulta, a vivere e a lavorare in modo indipendente. In circa un terzo dei casi, è possibile un certo grado di indipendenza parziale. I soggetti adulti affetti da Disturbo Autistico con funzionamento più elevato continuano a mostrare problemi nell’interazione sociale e nella comunicazione, oltre a una notevole ristrettezza di interessi e di attività.
Familiarità
Vi è un maggior rischio di Disturbo Autistico tra i fratelli di  soggetti affetti da questo stesso disturbo.
Diagnosi differenziale
Nel normale sviluppo si possono osservare periodi di regressione dello sviluppo, ma questi non sono né così gravi né così prolungati come nel Disturbo Autistico. Il Disturbo Artistico deve essere distinto dagli altri Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Il disturbo di Rett differisce dal Disturbo Artistico per la sua caratteristica distribuzione tra i sessi  e il tipo dei deficit. Il Disturbo di Rett è stato diagnosticato solo nelle femmine, mentre il Disturbo Autistico si manifesta molto più frequentemente nei maschi. Nel Disturbo di Rett vi è una modalità caratteristica di rallentamento della crescita del cranio, la perdita di capacità manuali finalistiche già acquisite in precedenza e l’insorgenza di andatura o di movimenti del tronco scarsamente coordinati. Specie durante l’età prescolare, i soggetti con Disturbo di Rett, possono mostrare difficoltà nell’interazione sociale simili a quelle  mostrate nel Disturbo Autistico , ma queste tendono a d essere transitorie. Il Disturbo Autistico differisce dal Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, che presenta una modalità caratteristica di regressione dello sviluppo dopo almeno due anni di sviluppo normale. Nel Disturbo Autistico, le anomalie di sviluppo vengono  di solito notate nel primo anno di vita. quando non sono disponibili informazioni sullo sviluppo precoce o quando non è possibile documentare il periodo di sviluppo normale richiesto, si dovrebbe  fare diagnosi di Disturbo Autistico. Il Disturbo di Asperger può essere distinto  dal Disturbo Artistico dalla mancanza di ritardo nello sviluppo del linguaggio. Il Disturbo di Asperger non viene diagnosticato se sono soddisfatti i criteri per il Disturbo Autistico. La Schizofrenia con esordio nella fanciullezza  di solito si sviluppa dopo anni di sviluppo normale o quasi normale. Si può fare una diagnosi aggiuntiva di schizofrenia se un soggetto con Disturbo Autistico sviluppa le caratteristiche tipiche della Schizofrenia con sintomi della fase attiva caratterizzati da rilevanti deliri o allucinazioni che durano per almeno  1 mese. Nel Mutismo selettivo il bambino di solito mostra adeguate  capacità di comunicazione in alcuni contesti e non ha la grave compromissione nell’interazione sociale e le modalità ristrette di comportamento associate col Disturbo Autistico. Nel Disturbo della Espressione del Linguaggio  e nel Disturbo Misto della Espressione e della Ricezione del Linguaggio vi una compromissione qualitativa nell’interazione sociale e con modalità di comportamento ristrette, ripetitive e stereotipate. Talvolta è difficile determinare  se un’ulteriore diagnosi di Disturbo Autistico sia giustificata in un soggetto con Ritardo Mentale, specie se il Ritardo Mentale è grave o gravissimo. Una diagnosi aggiuntiva di Disturbo Autistico è riservata a quelle situazioni in cui vi sono deficit qualitativi delle capacità sociali e di comunicazione ed i comportamenti specifici caratteristici del Disturbo Autistico. Le stereotipie motorie sono caratteristiche del Disturbo Autistico; una diagnosi aggiuntiva di Disturbo dei Movimenti Stereotipati non va fatta se questi sono meglio giustificati come parte della sintomatologia del Disturbo Autistico.

 

Relazione con i criteri diagnostici per la ricerca dell’ICD-10
I gruppi di criteri e gli algoritmi diagnostici del DSM-IV e dell’ICD-10 sono all’incirca gli stessi. Nell’ICD-10, questo disturbo viene riportato come autismo infantile.
Criteri diagnostici per F84.0 Disturbo Autistico (299.001)

  • Un totale  di 6 (o più ) voci da (1) , (2) e (3) con almeno 2 da (1) e uno ciascuno da (2), (3):

 

    • compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:
      • marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti  non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione sociale;
      • incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo;
      • mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi e obiettivi con altre persone ( per es.  non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse);
      • mancanza di reciprocità sociale o emotiva;
    • compromissione qualitativa della comunicazione come manifestazione di almeno 1 dei seguenti:
      • ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato ( non accompagnato da tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica)
      • in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri
      • uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico
      • mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo
    • modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:
      • dedizione assorbente ad uno o più  tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione;
      • sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
      • manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo o complessi movimenti di tutto il corpo)
      • persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;
  • ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree con esordio prima dei tre anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.
  • L’anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza.

 

In relazione al quadro diagnostico presente nelle pagine precedenti vi suggeriamo la lettura dell’introduzione al testo di Eric Schopler-B. Mesibov Gary: “La comunicazione spontanea nell’autismo” per un iniziale inquadramento dei criteri di trattamento nella definizione degli interventi.

Evoluzione dell’idea di autismo
Nel nostro Paese il profondo cambiamento che ha trasformato nel resto del mondo le conoscenze sull’autismo e quindi il modo di vederlo e di trattarlo sta facendosi strada con un ritardo di qualche lustro e per di più in modo molto lento e contraddittorio. Anche qui, come nei Paesi anglosassoni, sono le associazioni dei genitori la principale forza che spinge al cambiamento: ma, diversamente da quanto è successo oltremanica e oltreoceano, una certa resistenza accademica (sia medica che psicologica) fa muro contro una rapida ed efficace presa d’atto dell’evidenza di nuove conoscenze… L’autismo è oggi  ritenuto un disturbo dello sviluppo, dovuto a difficoltà nel sistema nervoso centrale, con anomalie qualitative nelle aree della relazione sociale reciproca, della comunicazione verbale e non verbale, con un repertorio limitato e ripetitivo  di comportamenti e di interessi. Si definiscono colpite da autismo le persone che presentano queste caratteristiche ben descritte in forma criteriale dagli attuali manuali diagnostici internazionali DSM IV  ICD-10) prima dei tre anni di età. Altri  disturbi spesso molto simili che in qualcosa differiscono dall’autismo anche se le persone colpite hanno comunque difficoltà nelle abilità sociali e comunicative, rientrano con l’autismo nel gruppo dei disturbi generalizzati dello sviluppo. Le persone colpite da questi altri disturbi sono spesso considerate alla stregua degli autistici per quanto riguarda il trattamento e anche a loro si rivolge questo manuale.
La maggior parte delle persone autistiche presentano anche un ritardo mentale, soprattutto di grado medio, anche  se una minoranza consistente (il 25%) è di intelligenza normale o quasi normale; la persona autistica è quindi una persona con un tipo speciale di handicap. Non è il ritardo a caratterizzare l’autismo, ma le difficoltà  a comprendere e ad usare le modalità sociali e comunicative che invece di solito aiutano molto i bambini, normali e con handicap, a crescere.
È quindi importante che anche se le descrizioni della persona con autismo sono rimaste sostanzialmente costanti da Kanner (1943) a oggi, completamente diverso è ciò che si pensa sulla natura del disturbo: un handicap, non un rifiuto o un blocco psicologico. Ovviamente i genitori non hanno nulla a che fare con l’origine di questo disturbo: sono solo persone che a un certo punto scoprono che il loro bambino ha speciali difficoltà e sono costretti a riprogettare la loro vita alla luce di questo serio problema, esattamente come per gli altri handicap.

Il trattamento dell’autismo
Recentemente abbiamo assistito anche a grandi cambiamenti  nel trattamento di questo disturbo: oggi sappiamo che non esiste la cura (questo concetto, per chi si occupa di handicap, non sarà difficile da digerire); che quella che è stata  per anni ritenuta la terapia di elezione, la psicoterapia, è da ritenersi totalmente inefficace; che è però possibile, con quello che sappiamo su questo disturbo, puntare a un miglioramento delle capacità di adattamento delle persone colpite e quindi a significativi miglioramenti delle loro condizioni di vita.
Sappiamo anche che il miglior adattamento lo vedremo probabilmente nei bambini con più lieve ritardo mentale e con la presenza di linguaggio verbale, anche se non comunicativo; abbiamo verificato però che tutti i bambini colpiti, indipendentemente dalla gravità, sono capaci di imparare se si tiene conto delle loro speciali caratteristiche.
Ricerche controllate hanno portato alla definizione di quello che oggi è da ritenere il trattamento più efficace. Esso non è un singolo metodo o terapia: è un sistema integrato di interventi composto da:

  • diagnosi precoce congiunta a una chiara informazione alla famiglia;
  • accertamenti medico-biologici e monitoraggio delle condizioni mediche asso­ciate;
  • sostegno pratico e psicologico alla famiglia;
  • educazione del bambino;
  • servizi predisposti per l'intero ciclo di vita della persona;
  • coordinamento tra operatori e servizi interessati.

Immediatamente ci rendiamo conto che non esiste in Italia una struttura preposta a svolgere tutte le parti previste di questo sistema, ma ognuno di noi può vedere in quali parti del sistema svolge o può svolgere la sua azione. Nella vita dei bambini di cui ci interessiamo può essere molto importante che gli operatori riescano a pensare alla loro parte non isolata, ma dentro il sistema che compren­de tutte le altre. Nelle situazioni di difficile coordinamento è molto importante essere convinti che la nostra parte svolta bene può rendere più funzionante l'intero sistema.
Credo che qui sia utile una parola riguardo alle terapie. Tutto il mondo dell'handicap, ma quello dell'autismo in modo speciale, è percorso da «terapie di moda a seconda dei periodi». Come abbiamo visto, la moda della psicoterapia per l'autismo è calante, anche se l'investimento in questa pratica è ancora troppo alto, con ingenti perdite di tempo e di denaro; ma al calo della psicoterapia corrisponde l'ascesa di altre forme di intervento: ludoterapia, psicomotricità, ippoterapia, terapia con animali domestici, delfinoterapia, metodo Tomatis, auditory training, logopedia, comunicazione facilitata, diete, medicina omeopati­ca, metodo Delacato, la terapia farmacologica.
Quale atteggiamento assumere e che cosa pensare circa queste promesse di terapia? Semplicemente tornando a ciò che si sa, che l'autismo è un handicap, che nessuna terapia ha prodotto risultati nel senso della cura, che il sistema integrato sopra descritto è la linea da seguire e che è su quei sei punti sopra riportati che è necessario concentrare il massimo degli sforzi. Quindi, pensando che in ognuna delle terapie sopraelencate possono esservi delle buone idee, si può effettuare un'attenta analisi dei costi/benefici, valutando attentamente cosa ha da offrire una determinata attività nell'educazione di quel singolo bambino, e quindi decidere dell'opportunità di seguirla oppure sceglierne un'altra. Si dovrà valutare soprattutto se chi propone la terapia sia al corrente delle attuali conoscenze sull'autismo, sia conscio dei limiti della propria metodica e sia disposto a entrare nel sistema integrato che abbiamo descritto. Altrimenti, diffidare!

L'educazione del bambino autistico
Premessa importante: parliamo di educazione del bambino semplicemente perché nel ciclo di vita questo è il periodo naturale per l'educazione, e perché è comunque dall'educazione del bambino che bisogna cominciare. Ma, come ben sappiamo per tutti gli handicap, in realtà la necessità di educazione si estende ben oltre la fascia infantile e va fino all'età adulta, e per molte ragioni, anche diverse da quelle che consigliano un'«educazione permanente» per tutto il ciclo di vita per tutti noi. Per esempio, una persona con handicap impara con tempi diversi e può essere pronta a imparare solo dopo avere sviluppato determinati prerequisiti; questo può avvenire proprio nell'adolescenza o in età adulta. Inoltre, una persona con handicap può avere difficoltà a generalizzare gli apprendimenti e ciò fa sì che ogni cambiamento di ambiente di vita e lavoro richieda una nuova fase educativa. Il fatto di continuare l'educazione nell'età adulta è stato uno degli avanzamenti maggiori nel nostro modo di affrontare l'handicap, e questo vale particolarmente per l'autismo.
È quindi giunto il momento di prendere anche noi atto di quello che si sa in tutto il mondo, che per l'autismo «treatment is education». Il bambino vive la sua crescita inceppato da gravi deficit che gli impediscono di apprendere spontane­amente tutto ciò che un altro bambino impara da solo o tutt'al più con l'aiuto naturale di genitori, altri bambini, nonni, ecc. Abbiamo però la possibilità di insegnargli molto di quello che gli serve per vivere. La nostra educazione «artificiale» non potrà competere con il processo naturale sviluppo + apprendi­mento spontaneo, ma potrà comunque dare risultati utili in relazione alla dotazio­ne di partenza.
Altra questione importante: proprio per la rilevanza dell'educazione nella vita dei bambino e dell'adulto futuro, non vanno sprecate energie e tempo nel tentativo di insegnare al bambino abilità che fanno parte dei nostri abituali schemi o idee precostituite.
Le abilità da insegnare sono quelle che:

  • il bambino/adulto può imparare in quanto dispone delle abilità prerequisite necessarie;
  • sono utili per la sua vita nel suo ambiente;
  • sono la base di apprendimenti futuri che gli saranno utili per la sua vita da adulto.

Il compito dell'educazione, nell'autismo come negli altri handicap, è quello di incoraggiare un bambino ad apprendere sempre nuove abilità per vivere e conoscere il mondo. Per fare questo, l'educatore dispone di collaudate strategie e metodologie che ben si adattano allo scopo.
Si può quindi parlare, nel trattamento dell'autismo, di «approccio psicoedu­cativo». La conoscenza e l'accurata valutazione delle risorse e dei problemi di una persona e delle caratteristiche del suo ambiente di vita forniscono la base necessaria a un trattamento che fa leva da una parte sulle sue possibilità di apprendere nuove abilità, dall'altra sulle possibilità dell'ambiente di modificarsi per adattarsi alle caratteristiche della persona.
Così, ogni intervento terapeutico nei confronti del bambino autistico è in realtà educazione: incremento di abilità del bambino, educazione dei genitori a utilizzarle e promuoverle, apprendimento da parte degli esperti dei nuovi dati generali derivati dall'esperienza con questo singolo bambino, educazione della scuola o del centro diurno a vivere e convivere con il bambino e con altri simili a lui.
L'approccio TEACCH
E ora veniamo a qualche chiarimento necessario su chi ha scritto questo manuale, sull'ambiente in cui è nato e sull'insieme dell'approccio al bambino autistico in cui queste strategie sull'insegnamento della comunicazione spontanea sono inserite. Questo paragrafo sarà un po' lungo, perché il manuale tratta solo molto rapidamente i principi che reggono l'operato della divisione TEACCH e la metodologia educativa da essi usata, dato che tutto ciò è ben noto nell'ambiente dell'educazione speciale. Ciò per noi non è così scontato. Qualcosa è stato pubblicato in italiano,s ma credo valga la pena fornire qualche informazione in più, perché il nome TFACCH si sta già diffondendo da noi ma con molti fraintendimenti; i possibili malintesi rischiano di far ricadere l'approccio TEAC­CH, senza che lo meriti, proprio fra quei «metodi» pseudomiracolosi la cui sopravvalutazione abbiamo appena criticato.
Cos'è i l TEACCH
Prima di tutto cosa non è. Il TEACCH non è un metodo. Non è un tipo di trattamento per bambini autistici, non segue né indica una sequenza di tappe o esercizi dà seguire. TEACCH è un'organizzazione di servizi su base statale, creata nello Stato americano della Carolina del Nord, all'interno dell'Università, da Eric Schopler e dai suoi collaboratori circa trent'anni fa. Offre servizi alle persone con autismo e
alle loro famiglie; offre inoltre formazione e consulenza alle scuole. Le scuole si convenzionano con i centri TEACCH per avere la formazione e la supervisione al lavoro delle classi per bambini autistici situate all'interno delle scuole normali. I servizi TEACCH continuano poi anche per le età successive, rispondendo anche a necessità di abitazione e di lavoro per persone autistiche adulte. L'efficacia dei servizi prestati è stata misurata con varie ricerche controllate e si ha la percentuale  più bassa di persone autistiche ricoverate in istituzioni.
TEACCH è quindi una delle organizzazioni che applica interamente il sistema integrato di interventi prima descritto. La ricerca e l'elaborazione di strategie di educazione sono tra gli scopi dell'organizzazione (e questo manuale è uno dei suoi prodotti). Seguendo le sue strategie e i suoi principi TEACCH applica poi i metodi e le conoscenze più validi e aggiornati di educazione e trattamento, senza badare se sono elaborati in ambito TEACCH o da altri, collaudandone l'efficacia.
I principi della divisione TEACCH
Conoscenza dell'autismo: i deficit sociali, comunicativi e cognitivi del bambi­no fin dall'inizio della sua vita richiedono un intervento che offra i significati che da solo il bambino non è in grado di organizzare; il fatto che il disturbo, pur migliorando, duri tutta la vita, richiede un'offerta di servizi per il ciclo di vita, e di educare il bambino oggi alle necessità dell'uomo di domani; il fatto che ogni persona con autismo sia diversa dall'altra come caratteristiche e punti di forza impone un'estrema individualizzazione dell'intervento.

  • Collaborazione con le famiglie: secondo Schopler, i genitori sono i migliori esperti del loro bambino; essi sono capaci di individuare per lui le priorità e scoprire forme di educazione efficaci. Gli operatori professionali, d'altro canto, sono esperti di bambini in generale, di autismo e di trattamenti educativi speciali. I migliori risultati quindi provengono da un'efficace collaborazione tra i due tipi di esperti. La collaborazione tra genitori e operatori è inoltre fonte di reciproco sostegno, necessario quando il lavoro e la vita hanno caratteristiche di impegno gravoso, come nell'autismo, e quando serve esercitare un'adeguata pressione presso le amministrazioni per ottenere servizi migliori.
  • Scopo generale e fondamentale è favorire l'incremento di abilità: nel bambino, nel genitore, ma anche nelle persone che costituiscono l'ambiente di quel bambino e di quella famiglia, e nell'operatore che ha il compito di aiutarli. L'incremento di abilità, così inteso, porta al miglioramento della qualità della vita, permette il miglior adattamento possibile, da un lato insegnando al bambino abilità adattive, e dall'altro adattando l'ambiente alle necessità del bambino.
  • Modello teorico di riferimento cognitivo-comportamentale: esso informa tutto il mondo dell'educazione speciale, e garantisce un'educazione basata su dati; ciò che conta è disporre di un modello teorico che porti a un sistema in grado di connettere e di integrare le conoscenze che ci derivano dalla ricerca: quindi cognitivo-comportamentale, psicobiologico, evolutivo, sistemico.
  • Approccio generalista: l'autismo richiede che gli operatori siano formati a una mentalità non specialistica, ma generalista. È necessario, per intervenire efficacemente, essere in grado di vedere l'arco dei problemi nella sua interezza e nelle sue connessioni e saper immaginare le necessità del futuro. Ciò ci permette di scegliere priorità e di definire obiettivi realizzabili, con l'effetto di un miglioramento della qualità della vita e quindi della soddisfazione di tutti; la mentalità specialistica spesso diffusa porta invece a dedicarsi a terapie anche costose per poi abbandonare la persona alla sua delusione nel momento in cui queste terapie settoriali si rivelano inefficaci.

Metodologia

  • Individualizzazione. Attenzione! Schopler e colleghi non ci propongono un percorso rigido da applicare tappa per tappa a tutti i bambini con autismo. Ci insegnano e mostrano modi e strumenti per individuare priorità, obiettivi, punti di forza e stili di apprendimento tipici di un singolo bambino, così come priorità e punti di forza di una singola famiglia; modi e strumenti per insegnare al bambino aggirando le sue difficoltà.
  • Flessibilità. Questi modi e strumenti non sono definiti una volta per tutte, ma si modificano in base all'esperienza, ai risultati della ricerca, alle buone idee venute a operatori e genitori. Le modalità tecniche vanno messe al servizio del progetto, che è il miglioramento della qualità della vita.
  • Principio di indipendenza. II punto di equilibrio tra l'incremento delle abilità del bambino e l'incremento delle capacità dell'ambiente di rendersi adatto al bambino è l'esercizio indipendente, cioè senza Oda o aiuto, delle abilità possedute. Tale punto di equilibrio è la base per successivi passi in avanti. Gli sforzi di educatori, terapisti e genitori non sono quindi limitati all'insegnamento di nuove abilità, ma concentrati anche sulla facilitazione dell'uso indipendente, utile, significativo, il più possibile flessibile e spontaneo delle abilità possedute.
  • Diagnosi e valutazione. Una corretta diagnosi, secondo i criteri più aggiornati del DSM IV e dell'ICD10, è fondamentale per t'inizio di un piano di trattamen­to. È altrettanto fondamentale che già dal momento della diagnosi si costruisca la collaborazione con i genitori. Occorre rendere trasparenti i processi che portano alla diagnosi e utilizzare in modo esplicito e manifesto le informazioni che provengono dai genitori. Questo scopo si raggiunge utilizzando una stanza di osservazione a specchio unidirezionale, con i genitori che osservano il bambino insieme agli operatori, dalla stessa parte dello specchio. Inoltre, per la diagnosi, si utilizza la scala CARS che permette di controllare in modo accurato il giudizio clinico e di disporre di materiale preciso con cui svolgere il passo successivo: la spiegazione della diagnosi. Spiegare la diagnosi in modo scientificamente accurato e in un linguaggio che permetta al genitore di capire davvero ciò che gli stiamo dicendo è un altro elemento che facilita la collabo­razione successiva. Chiedendo la partecipazione dei genitori all'osservazione (e potendo ripetere alcune osservazioni grazie al videoregistratore) è più facile trovare il modo di rendere loro chiaro quali sono i comportamenti del figlio che giustificano la diagnosi di autismo. Con la scala CARS si ha un punteggio che ci permette di diagnosticare l'autismo e definirne la gravità.
  • È necessaria poi la valutazione sistematica delle abilità del bambino, sulla quale si definisce il suo profilo di sviluppo in aree essenziali: imitazione, percezione, motricità globale, motricità fine, coordinazione occhio-mano, performance cognitiva, performance cognitivo-verbale; e la valutazione formale dei comportamenti autistici, in cui si valuta la presenza di compor­tamenti devianti nelle aree: sensoriale, affettivo-relazionale, uso degli ogget­ti e del materiale, linguaggio. Ambedue le valutazioni vengono svolte con l'aiuto del test Profilo Psicoeducativo (PEP-Reuised) (Schopler et al., 1990). In alcuni casi la valutazione formale viene completata con la somministrazione di un reattivo di intelligenza delle abilità si completa quindi, nel corso della prima seduta e poi durante il lavoro educativo, con procedure di valutazione informale che consistono nell'identificazione delle abilità possedute da un bambino allo scopo di poter svolgere in modo indipendente un compito scelto per lui come obiettivo.

- Programmazione. Disponiamo ora di tutti i dati per proporre al bambino e alla famiglia degli obiettivi su cui lavorare. Una caratteristica della valutazione delle abilità con l'aiuto del PEP è quella di sapere quali abilità sono emergenti nel repertorio del bambino.                                         .
Un programma ben congegnato quindi: si svolgerà in tutti gli ambiti significativi di vita del bambino, casa, scuola, ambulatorio; sarà composto all'80% di compiti valutati al test come riusciti, cioè già presenti nel repertorio dei bambini, dei quali si promuove l'uso indipendente, al 20% di insegnamento di nuove abilità che risultano emergenti, e che saranno quindi apprese in breve tempo e relativamente con poca fatica.
È chiaro quindi che un programma ben congegnato non dedicherà alcuna parte di tempo al lavoro su abilità che alla valutazione sono risultate non riuscite. Questo permetterà di chiedere al bambino impegno su compiti a lui comprensibili, facilitando l'apprendimento e limitando i problemi di comporta­mento. Un lavoro difficile ma la cui importanza non deve essere sottovalutata è lo sforzo per impostare un programma che, una volta rispettato il principio sopra enunciato, si concentri non su astratte finalità di sviluppo ma su abilità che saranno concretamente utili al bambino nel suo ambiente e che saranno utili alla vita dell'uomo autistico di domani; abilità che la persona potrà esercitare in modo indipendente. Compiti semplici, necessari, utili, nelle aree fondamentali dell'autonomia, della comunicazione, del lavoro, del tempo libero. Concentrarsi su obiettivi in aree tradizionali dello sviluppo infantile è utile solo se questo può contribuire all'uso indipendente di un'abilità con significato e rilevanza funzionale, cioè concretamente utile nell'ambiente di vita della persona. Per esempio: prima di dedicarsi all'abilità emergente «Copiare sette lettere maiuscole», conviene dedicarsi all'apprendimento dell'abilità emer­gente «Chiedere aiuto con un gesto», data la maggiore rilevanza del secondo obiettivo in molti contesti di vita del bambino. È importante qui sentire e tener conto delle priorità dei genitori, condividere con loro le scelte di programma.
- Educazione strutturata. A questo punto insegnare abilità al bambino autistico è un'attività che si svolge secondo i comuni criteri dell'insegnamento: presen­tazione del compito, suggerimenti, rinforzo e motivazione, esercizio. Le carat­teristiche della patologia autistica ci obbligano però a offrire al bambino un aiuto che aggiri o compensi le sue tipiche difficoltà di apprendere. La difficoltà fondamentale per l'autistico è quella di ricavare e riconoscere un significato socialmente condiviso nelle varie attività: è questo significato che spesso funziona da «molla» per l'apprendimento dei bambini a sviluppo normale. La sua assenza o la difficoltà della sua costruzione ci costringe a progettare attentamente la struttura del nostro insegnamento per permettere al bambino autistico di utilizzare, per apprendere, le sue caratteristiche di memoria mecca­nica, ripetitività, adesione a routine, oltre alla buona motricità fine e globale, capacità percettive spesso fuori del comune, abilità visive che compensano quelle uditive spesso carenti. Lo spazio fisico deve essere quindi progettato per aiutare il bambino a capire dove si svolgono determinate attività; uno schema della giornata va definito e comunicato adeguatamente al bambino con mezzi adatti alla sua comprensione. Questi mezzi sono spesso visivi, come sequenze di fotografie o disegni, spesso visivo-tattili, come sequenze di oggetti; a volte parole scritte o agende, a seconda delle necessità del bambino. Egli può dunque comprendere quando è il momento di svolgere determinate attività, e quindi, una volta terminate, cosa fare dopo. Per ogni bambino viene quindi appron­tato uno schema di lavoro che con mezzi di facilitazione gli permetta di lavorare in modo indipendente. Ogni compito su cui il bambino dovrà eserci­tarsi per raggiungerne la padronanza potrà essere organizzato per presentargli con chiarezza i suoi aspetti rilevanti, in modo da permettergli di svolgerlo in modo del tutto indipendente, sganciato dai suggerimenti dell'educatore, che nel caso del bambino autistico possono diventare una trappola, distraendolo dalle variabili del compito. È bene quindi che i compiti «parlino da soli», suggerendo al bambino cosa fare e come. Lo schema di lavoro permetterà al bambino una chiara visualizzazione anche della quantità di lavoro da svolgere: per esempio i materiali di lavoro possono essere preparati in una vaschetta posta a sinistra del bambino, e messi in una vaschetta a destra quando sono stati completati: in questo modo il bambino ha rapidamente l'idea di quanto tempo avrà da lavorare. La difficoltà (e la sfida) per l'educatore è in questo caso quella di fornire al bambino il minimo di suggerimenti visivi o tattili sufficiente perché possa lavorare in modo indipendente, per permettergli di organizzarsi progressivamente il lavoro con maggiore completezza (pur sapendo che forse un certo grado di dipendenza da un'organizzazione del lavoro di tipo protesico sarà necessaria per tutta la vita); e inoltre quella di organizzare lavori che si modifichino continuamente fornendo difficoltà graduate superabili dal bambi­no, in modo da permettergli di svolgere il compito senza annoiarsi ma anche senza incontrare difficoltà per lui insormontabili.
II lavoro educativo nelle aree dell'intersoggettività (riconoscere l'esistenza dell'altro e di sé come soggetti in interazione), della comunicazione (inviare e ricevere messaggi) e delle abilità sociali (saper vivere in relazione alle diverse situazioni sociali) ovviamente non potrà svolgersi come lavoro indipendente, richiedendo l'interazione tra più soggetti; ma tener conto della necessità di inserire la pratica degli obiettivi scelti in queste aree all'interno di una chiara struttura, organizzando con chiarezza spazi, tempi, suggerimenti visivi o tattili, permetterà al bambino autistico di imparare qualcosa anche in queste che sono per lui le aree più irte di difficoltà. II principio generale quindi è che l'organiz­zazione di una chiara struttura e l'utilizzo di modalità visive o tattili per comunicare al bambino compiti o momenti della giornata, o sequenze di azioni, sono da considerare strumenti di facilitazione che permettono al bambino autistico di compiere quelle esperienze che a lui, come a tutti i bambini, sono necessarie per apprendere.
Gli  vengono rivolte e dalla mancanza di abilità sociali che gli impediscono di tener conto degli interessi delle altre persone. Buona parte dei problemi di comportamento sono quindi ridotti quando il bambino incontra un ambiente organizzato secondo i principi dell'educazione strutturata. Quando incontriamo comportamenti problema, è gestione dei comportamenti problema. La presenza nel repertorio del bambino autistico di comportamenti che disturbano o preoccupano le persone intorno a lui è cosa purtroppo ben nota: aggressività, comportamenti perico­losi, fughe, problemi dell'alimentazione e del sonno, stereotipie motorie e routine ossessive fanno tutte parte delle comuni descrizioni della patologia. È interessante il fatto che buona parte di questi problemi nascono dalla confusio­ne che l'ambiente presenta per il bambino autistico, dalla eccessiva difficoltà delle richieste che necessario chiederci prioritariamente quali abilità bisogna insegnare al bambino, e quali accorgimenti sono necessari nell'ambiente perché esso risulti al bambino più leggibile. In aggiunta a questo principio, quello della prevenzione, possiamo ricorrere, per sconfiggere o ridurre il disturbo derivato da determinati compor­tamenti, alle tecniche psicoeducative neocomportamentali:l'analisi funzionale, il rinforzo differenziale di forme alternative di comunicazione, l'estinzione, il timeout, ecc.
La formazione degli operatori
Due parole sulla necessità di formazione degli operatori che intendono effettuare un trattamento dei bambini autistici basato sull'approccio psicoeducativo.

  • Aggiornata conoscenza teorica dell'autismo. La conoscenza di ciò che oggi si sa sull'autismo non è «targata» TEACCH: è bene che l'operatore sia al corrente dei risultati della ricerca nel campo, di ciò che è solidamente condiviso dalla comunità scientifica internazionale. Le caratteristiche della definizione, le teorie eziologiche, le loro implicazioni, le conoscenze sul ritardo mentale e le altre sindromi associate, la storia naturale dell'autismo, gli elementi di prognosi sono basi solide per la lettura del comportamento di bambini apparentemente molto diversi l'uno dall'altro!
  • Aggiornata conoscenza teorico-pratica sullo sviluppo normale. Diagnosi e valutazione del bambino autistico sono fondate sul confronto con il bambino normale, anche se non in modo assoluto e rigido; il bambino autistico va comunque visto come un bambino che si sviluppa e cresce, il cui sviluppo va aiutato.

- Aggiornata conoscenza teorico-pratica sull'educazione speciale. Strumenti di valutazione; programmazione per obiettivi; educazione basata su dati; meto­di e tecniche per la modificazione del comportamento e per l'apprendimento senza errori; tecniche per l'integrazione; training di abilità sociali e altri tipi di interventi scientificamente fondati.
- Training intensivo e in itinere sull'educazione strutturata. Creazione di una mentalità pragmatica capace di manovrare le variabili dell'ambiente e i mate­riali educativi al servizio degli obiettivi da raggiungere. Pratica diretta con bambini, adolescenti e adulti con autismo con le caratteristiche più diverse: non si dimentichi che è sull'esperienza che si costruiscono le abilità più importanti dell'operatore.
Un'implicazione di un approccio eclettico è la necessità per gli operatori di sapersi vedere in qualche misura come «generalisti», esperti cioè delle caratteristi­che generali dell'autismo e delle necessità generali di vita, apprendimento e crescita delle persone da esso colpite. Gli operatori della divisione TEACCH provengono da molte discipline (educazione nella primissima infanzia, educazio­ne speciale, logopedia, fisioterapia, psicomotricità, psicologia, ecc.), ma vengono selezionati e assunti se sono dotati di «buone abilità sociali nella relazione con le famiglie, interesse e abilità nel lavoro con i bambini, abilità di pensare in modo critico, di scrivere e di parlare chiaro» (Lord et al., 1993).

III.2 Indicazioni di trattamento per bambini in età scolare
Come già accennato. L’età dei 6-7 anni segna un momento decisivo nella storia dei bambino autistico. Quando con l'età di 6-7 anni si rende necessaria l'iscrizione alla scuola elementare il passaggio da un ambiente meno strutturato e più flessibile (Scuola Materna) ad uno decisamente più strutturato ed organizzato secondo una logica curriculare (Scuola Elementare) comporta necessariamente una rivalutazione (da parte dei genitori e dello stesso tecnico) del quadro generale. La nuova realtà, infatti:

  • propone nuovi elementi di confronto,
  • stimola bilanci sii tutto il lavoro precedentemente svolto.
  • fornisce elementi per aumentare la consapevolezza delle reali capacità del bambino,
  • destabilizza equilibri precari.

A questa età, peraltro, si va caratterizzando in maniera sempre più definita i1 profilo proprio di ciascun bambino. Il bambino, cioè, sembra uscire da quella fase di globale disorientamento, che per molti aspetti conferiva un carattere di apparente omogeneità al quadro ("non vedo, non sento, non parlo"), e fornisce indicazioni più esplicite sul "suo" quadro neuropsichico, in termini di:

  • aspetti temperamentali;
  • grado di compromissione  relazionale
  • livello comunicativo;
  • competenze cognitive
  • eventuale presenza di problemi in co-morbidità.

In altri termini, a questa età la "popolazione" di bambini autistici, pur se caratterizzata da "comportamenti" che soddisfano i criteri diagnostici per una collocazione nosografica all'interno di un'unica categoria (Disturbo Autistico), mette in evidenza per ciascun bambino una serie di caratteristiche del tutto "originali", che rendono estremamente diversificato il comportamento adattivo. Relativamente al comportamento adattivo, si viene a definire una sorta di continuum, ai cui estremi si collocano, da un lato, gli autistici a basso funzionamento e, dall'altro, gli autistici ad alto funzionamento.
Su cosa bisogna agire ? (COSA)
Mentre nel periodo precedente (Età Prescolare) il carattere del progetto era prevalentemente "centrato sul bambino", cori una connotazione fortemente abilitativa (= far emergere le abilità), in questo seconda fase il carattere del progetto è sempre più "centrato sulla famiglia" e più in generale sul contesto ambientale, con finalità, comunque abilitative (= far emergere abilità), ma sempre più adattive (= utilizzazione delle abilità per favorire l'adattamento del soggetto all'ambiente in cui vive). Ne deriva che gli aspetti da prendere in considerazione per la formulazione del programma terapeutico riguardano:
1.    i genitori
2.   il bambino
3.   la scuola
È  evidente che anche in questo caso valgano le considerazioni esposte per il "periodo" precedente. È  possibile, cioè, che in rapporto alla variabilità fenotipica del quadre, possono venire a crearsi situazioni specifiche, che vanno opportunamente valutate e trattate.
Come si può agire su tali aspetti? (COME)
1. I genitori.
Il "come" agire è in relazione ad una serie di circostanze.

[A] Nel caso in cui il bambino venga per la prima volta al Servizio in questa età, bisogna mettere in atto nei confronti dei genitori il percorso formativo già descritto nella prima fase (informazione suggerimenti psicoeducativi     coinvolgimento attivo nel progetto).

[B] Nel caso in cui i genitori siano già seguiti dalla fase precedente e dimostrino una buona aderenza al progetto. bisogna "rinforzare" le loro risorse e prospettare i nuovi scenari che la fase 6 - 12 anni comporta. È necessario, in particolare, ribadire 1a loro centralità nel progetto terapeutico, il quale deve prevedere

  • una diversificazioni delle attività del bambino.
  • un'adeguata organizzazione delle stesse in accordo alle esigenze di tutti i membri del sistema famiglia,
  • un costante lavoro sulle autonomie.

Anche nelle situazioni più favorevoli. in cui sia garantita una soddisfacente rete dei servizi, la famiglia finisce inevitabilmente per essere il garante della continuità dei vari interventi nei diversi contesti in cui essi devono essere realizzati.

[C] Nel caso in cui i genitori siano già seguiti dalla fase precedente, ma presentino segni di "scoraggiamento", vanno messi in atto specifici provvedimento di sostegno.
In tali situazioni la tonalità emotiva prevalente è improntata alla delusione per veder vanificate una serie di aspettative e di speranze. Molto spesso, infatti, questa fase l'Autismo si realizza nella sua complessa drammaticità e riattiva nei genitori angosce sommariamente rimosse, comparse quando per la prima volta, nel periodo precedente, avevano sentito utilizzare il termine di "autismo" per descrivere i comportamenti del proprio bambino.
È evidente che tali dinamiche possono comportare tre rischi:
a) un malessere generale del sistema famiglia­
b) un impoverimento delle naturali risorse educative genitoriali,
c)una difficoltà di coinvolgere ”produttivamente” i genitori nelle successive fasi del progetto terapeutico. L'intervento sui genitori in questa fase, realizzabile attraverso una serie di incontri, deve mirare al "chiarimento" dei seguenti aspetti:

  • il successo del trattamento non sempre si identifica con una "guarigione", ma piuttosto con la possibilità di garantire il migliore adattamento possibile del soggetto al suo ambiente, che peraltro permette una buona qualità di vita del soggetto e dell'intero sistema famiglia. In effetti, dopo il primo periodo (Età prescolare), in cui anche il "tecnico” deve mettere in bilancio che nel ventaglio delle possibilità evolutive esiste quella che il bambino esca dalla categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, partire dai 6-7 anni tale possibilità diventa praticamente irrealizzabile. Bisogna, pertanto, lavorare nel favorire un'analisi della situazione in termini di realtà prospettando comunque ai genitori che un soddisfacente adattamento sociale è un obiettivo realisticamente perseguibile;
  • il persistere della sintomatologia autistica d’intensità uguale o anche superiore a quella rilevata nel periodo precedente, non significa che il bambino sta "peggiorando", ma indica che egli è ancora vulnerabile ed incapace di fronteggiare gli elementi di incostanza, instabilità e varianza che la nuova fase evolutiva comporta. Bisogna, pertanto, continuare a garantire una regolarità ed una prevedibilità delle esperienze, mediante atteggiamenti educativi non gravati da vissuti di disorientamento, sfiducia ed angoscia;
  • non esistono soluzioni magiche del problema. Ciò in pratica comporta la necessità di chiarire due ulteriori punti:
    • diffidare di interventi privi di evidenza scientifica che peraltro, si pongono come soluzioni miracolistiche per tutti i bambini, per tutte le età e per qualsiasi problema­
    • tener presente che la meta finale (un soddisfacente adattamento sociale) va realizzata attraverso un serie di traguardi intermedi, che se al momento possono sembrare scarsamente rilevanti, rappresentano alla lunga le pietre miliari per l'articolazione del progetto.

2) Il bambino.
Anche per il bambino, il "come" agire è legato ad una serie di circostanze. In tutti 1 casi, sia che si tratti d1 un bambino che per la prima volta raggiunge il servizio, sia che si tratti di una rivalutazione in rapporto alla nuova fase di sviluppo; il "come" agire dipende comunque dalla definizione del profilo funzionale, con un'analisi attenta delle sue aree di forza e delle sue aree di debolezza.

AREA COMUNICATIVA E SOCIALE

In linea generale:
[A] la presenza di una sintomatologia autistica di intensità pari o superiore a quella rilevabile nel periodo precedente (Età Prescolare), che si traduca in marcate difficoltà di aggancio relazionale e in persistenti deficit della comunicazione verbale e non verbale, comporta la necessità di lavorare sulle aree già indicate dell'attenzione congiunta e della capacità di usare i simboli. In tali situazioni, peraltro, il livello cognitivo risulta abitualmente deficitario. Relativamente alle strategie di intervento, considerando l'età e l'entità della compromissione  funzionale; il lavoro, svolto in accordo ad un programma "personalizzato", comporta che gli operatori conoscano i principi generali di tecnica di modifica del comportamento. Il lavoro, infatti, deve prevedere l'adozione di tali tecniche, che vanno tuttavia inserite nell'ambito di una dimensione affettivo-relazionale che permetta un apprendimento comunicativo-sociale derivante non solo dagli esercizi di per se stessi, ma dall'intero contesto. In tali situazioni il programma deve, inoltre, avvalersi delle indicazioni derivanti dalla Comunicazione Aumentativi e Alternativa (AAC).
Indipendentemente dalle strategie, gli obiettivi prioritari, in ordine curricolare,sono rappresentati da:

  • guardare alla persona quando viene chiamato per nome.
  • guardare un oggetto quando viene nominato,
  • prestare attenzione a chi parla.,
  • usare il contatto oculare per mantenere l'interazione,
  • imitare azioni semplici, suoni, parole,
  • attirare l'attenzione di qualcuno,
  • facilitare i comportamenti di richiesta.
  • dire no o fare gesti di diniego,
  • dire si o fare gesti di assenso,
  • salutare gli altri,
  • denominare 1e persone,
  • denominare le cose,
  • descrivere ciò che gli altri stanno facendo.

È evidente che in tali situazioni, gli apprendimenti accademici (lettura, scrittura, calcolo), che comunque vanno sollecitati, assumono una valenza "abilitativa" non di per se stessi, ma per le facilitazioni di tutta una serie di funzioni ad essi associate (attenzione, percezione, controllo motorio, aderenza a specifiche richieste, rinforzo intrinseco).
[B] Nelle situazioni in cui il bambino mostri un soddisfacente livello comunicativo-linguistico, che nella maggioranza dei casi coincide con un livello cognitivo nei limiti o poco inferiore alla norma; la variabile critica nel definire le caratteristiche dell'intervento è rappresentata dalla disponibilità all'aggancio relazionale.
[B.1.] Quando, infatti, la compromissione dell'interazione sociale risulti rilevante, il che si associa abitualmente con la presenza di comportamenti fortemente disadattivi, il programma deve prevedere un'adeguata organizzazione delle attività; un'organizzazione che possa favorire la partecipazione del bambino e stimolare la sua iniziativa. In tale contesto emotivo-relazionale, vanno implementati sollecitazioni centrate sugli apprendimenti accademici  sul linguaggio e più in generale sulla comunicazione sociale.
[B.2.]Quando la compromissione dell'interazione sociale risulti contenuta, va previsto un lavoro sulle competenze accademiche (lettura, scrittura e calcolo), integrato da programmi centrati sul linguaggio (strutture grammaticali. componente narrativa del linguaggio e pragmatica) e più in generale sulla cognizione sociale. Si tratta, in pratica, di aiutare il bambino a  “capire” e conoscere le regole che definiscono i rapporti interpersonali e più in generale le situazioni sociali.
In  termini curricolari gli obiettivi da perseguire sono  i seguenti:

  • facilitare la consapevolezza delle intenzioni, delle preferenze e delle esperienze altrui;
  • facilitare la capacità di raccontare le proprie esperienze relative ad eventi passati e futuri fornendo nel contempo informazioni sufficienti per l’ascoltatore
  • sviluppare l'abilità di mantenere e di modificare il tema di conversazione secondo la prospettiva dell'ascoltatore (per es., stimolarlo a prendere coscienza delle preferenze, dello stato emotivo; delle conoscenze di base di chi ascolta);
  • sviluppare l'uso del linguaggio per mediare e risolvere conflitti c/o divergenze di opinioni
  • sviluppare l'uso del linguaggio per esprimere sentimenti ed empatia con gli altri;

e per quel che riguarda gli aspetti:

  • facilitare l'uso di linguaggio più avanzato per esprimere le differenze di significato (per es.. le congiunzioni e le proposizioni subordinate);
  • incoraggiare l'acquisizione di convenzioni verbali per iniziare le interazioni, per interagire a turno e per terminarle;
  • incoraggiare l'acquisizione dei segnali non verbali e paralinguistici per rinforzare le intenzioni sociali (per es., lo sguardo, la posizione del corpo, il volume della voce);
  • aumentare l'abilità di interpretare ed usare il linguaggio in modo flessibile secondo il contesto sociale e i segnali non verbali dell'interlocutore (per es., parole con significati molteplici, linguaggio figurativo, sarcasmo)

AREA   DEGLI  INTERESSI   E   DELLE   ATTIVITÀ
In questa fascia di età i "sintomi" appartenenti al terzo elemento della triade dell'Autismo assumono particolare rilevanza e spesso interferiscono massivamente sul lavoro finalizzato a favorire l'emergenza di competenzenelle altre aree funzionali. Può trattarsi di stereotipie, dedizione assorbente ad interessi bizzarri-, condotte auto e/o eteroaggressive,
Il "come" agire dipende ancora una volta dal livello di funzionamento generale del soggetto.
[A] Nelle situazioni in cui persiste una marcata compromissione funzionale nelle aree della socialità; della comunicazione e delle funzioni cognitive, vanno considerate due possibilità.
[AA] La prima possibilità prevede che molti dei comportamenti disadattivi rilevati sembrano assumere una funzione comunicativa: essi, cioè, esprimono una situazione di forte attivazione emotiva di segno negativo (disagio) o di segno positivo (euforia). É evidente che in questi casi il lavoro terapeutico è finalizzato ad "insegnare" al bambino forme espressive maggiormente congruenti ed esplicite. che possano peraltro aumentare in lui la consapevolezza "di capire e di farsi capire''. Considerando l'età e l'entità della compromissione funzionale, le strategie da prendere in, considerazione devono ispirarsi ai principi dell'ABA e della AAC..
[AB] La seconda possibilità è rappresentata dalle situazioni in cui si realizza il carattere ripetitivo e perseverante tipico del funzionamento mentale di tipo autistico (dedizione assorbente ad un interesse e/o ritualizzazione di un'attività). In tali situazioni il "come" agire non è individuabile in un intervento esclusivamente centrato sul comportamento in questione, ma più in generale in un'adeguata organizzazione del setting, che preveda l'introduzione- di sollecitazioni alternative in grado di interrompere il circuito perseverante ed autosostenentesi, per ridirezionare l'attenzione sul nuovo stimolo. La scelta delle sollecitazioni alternative deve avvenire per "prova ed errore" e quando individuato lo stimolo rispondente allo scopo devono essere create su di esso sul tema per mantenere una flessibilità degli schemi mentali.
[B] Nelle situazioni in cui il livello comunicativo-linguistico risulti nel complesso soddisfacente, il terzo elemento della triade sintomatologica si realizza generalmente attraverso una dedizione assorbente a particolari interessi o la ritualizzazione di particolari attività. Il livello di sviluppo comporta che tali atipie  si configurino, in effetti, come contenuti ideativi perseveranti. Il "come" agire può in questi casi avvalersi del canale verbale per proporre al bambino contenuti ideativi diversificati o per favorire, quando possibile, una ristrutturazione del campo cognitivo.
In tutti i casi, quando i comportamenti disadattivi assumono particolare rilevanza va presa in considerazione l'opportunità di un trattamento farmacologico…...
3) La Scuola
La scuola rappresenta uno spazio privilegiato nel progetto terapeutico, in quanto oltre a favorire gli apprendimenti accademici (lettura., scrittura, calcolo) permette di realizzare una parte di quel più generale programma finalizzato al miglioramento dell'interazione sociale, all'arricchimento della comunicazione funzionale ed alla diversificazione degli interessi e delle attività. Peraltro, la presenza dei coetanei rende l'ambiente scolastico il palcoscenico naturale, in cui il soggetto può generalizzare acquisizioni e competenze favoriti in setting strutturati in maniera terapeutica (terapia psicomotoria; logopedia, educazione strutturata in un rapporto uno a uno)
[A] Nelle situazioni in cui persiste una marcata compromissione funzionale nelle aree della socialità, della comunicazione e delle funzioni cognitive, l'insegnante preposto alla presa in carico del soggetto deve "conoscere" le principali strategie di approccio (principi dell'ABA, dell'AAC, etc.) e, con l'aiuto degli operatori del Servizio, deve ad esse ispirarsi per la realizzazione degli obiettivi curriculari individuati in accordo alle esigenze del caso.
[B] Nelle situazioni in cui il livello comunicativo-linguistico  cognitivo risultano nel complesso soddisfacenti la variabile critica sul "come" agire risulta determinata dalla disponibilità relazionale.
[B.1] Nelle situazioni di marcata compromissione di aggancio relazionale, abitualmente associate a comportamenti disadattivi, diventa determinante il ruolo degli operatori del Servizio. Essi, infatti, d'accordo con operatori scolastici devono definire un dispositivo spazio-temporale adeguato e individuare le modalità affettivo-relazionali più idonee per favorire il lavoro sugli apprendimenti accademici.
[B.2.] Nel caso in cui il bambino presenti anche sul piano relazionale una soddisfacente possibilità di aggancio, il lavoro sugli apprendimenti accademici deve essere, comunque. integrato dalla valorizzazione dei momenti di interazione e scambio che la scuola solo può fornire per l'arricchimento della cognizione sociale- In questa prospettiva risultano particolarmente utili gli incontri con gli operatori del Servizio nell'ambito dei quali essi possano illustrare agli insegnanti obiettivi prioritari del progetto.

 

P.R.I.S.M.A., “Progetto per l'Integrazione Scolastica dei Minori Autistici” tratto da“Bollettino dell’ANGSA” anno XIX – n. 3/4/06

Premessa

La scuola è una tappa di primaria importanza nella vita di ogni uomo, al di là della sua condizio­ne, della sua specificità, della sua eventuale non abilità o disabilità. Nessuna etichetta, nessuna caratteristica o diagnosi può modificare in senso negativo questa affermazione.
La legge 104 del 1992, unitamente ad altre norme, disciplina le modalità che sono alla base della scolarizzazione di tutti i minori in situazione di handicap, soggetti con autismo compresi.
Sarebbe tuttavia superficiale, e soprattutto sbagliato, attribuire al termine "scolarizzare" il signifi­cato di mero "accesso". Ciò che deve essere perseguita è l'integrazione al più alto livello, intesa come percorso che ha come finalità prioritaria la maturazione di esperienze significative sia nel­l' apprendere che nel socializzare. Le nostre classi accolgono tutti i minori senza alcuna distinzione di disabilità. A guardare, per esempio, i dati del 2000/2001 si osserva che complessivamente gli alunni certificati in condizione di handicap, dalle materne alle superiori, sono stati 129.154, pari all' 1,56% del totale, con tassi di scolarità del tutto analoghi a quelli dei loro coetanei.
È ora utile dimensionare a livello nazionale il fenomeno autismo e sindromi correlate, compren­dendo all'interno di questo eterogeneo gruppo anche i casi di psicosi infantile, a causa delle diver­se classificazioni afferenti tali diagnosi.

 

Note sull'autismo

Le patologie dello spettro autistico determinano gravi disabilità sul versante sociale e permangono per tutta la vita. All'interno di questa categoria diagnostica si trovano soggetti molto diversi tra loro, con gradi di disabilità sociale e cognitiva estremamente diversificati. Si va, infatti, da un estremo in cui prevale la componente deficitaria collegata a un ritardo mentale grave, spesso asso­ciato a disturbi neurologici (primo, tra tutti, l'epilessia), ad un altro limite, in cui la sintomatologia assume i caratteri più vicini al disturbo della personalità, con livelli intellettivi nella norma o ad essa vicini.
Anche le capacità comunicative sono estremamente variabili, con soggetti privi di linguaggio e grave deficit di comprensione ed altri con buone capacità. L'alterazione sempre presente, in misu­ra maggiore o minore, è quella relativa all'interazione sociale.
L'autismo è considerato dalla Comunità Scientifica Internazionale come "Disturbo dello Sviluppo", che mina con diversa intensità e in differenti aree cognitive la naturale crescita del bambino (documento NINDS del `98 e dichiarazione IACAPAP 99/2000).
Colpisce in misura di 1/500 nati per le forme gravi e di 1/300 per le forme con tratti autistici. Di autismo non si guarisce, tuttavia le esperienze ventennali in altri Paesi, suffragate da studi scienti­fici, dimostrano che un trattamento precoce e intensivo basato sull'approccio psico-educativo, diventa lo strumento privilegiato per restituire ai bambini con autismo il diritto a un'esistenza migliore.

 

Dimensione del problema scuola-autismo

I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole pubbliche italiane, in base alle rilevazioni dei Provveditorati agli studi (oggi CSA), ricavate dalle diagnosi ufficiali dei Servizi Sanitari, rela­tive all'anno 2001-2002, risultavano complessivamente 8.062: 140 casi circa per milione di abitanti. Scorporando i dati si era in presenza di 64 casi/milione con diagnosi di autismo e 75/milione 100 con diagnosi di psicosi infantile.
Attenzione: questi erano i dati relativi agli alunni disabili certificati, rispettivamente, autistici o psicotici, presenti nelle scuole italiane in un preciso periodo di tempo e non i dati riferiti alla tota­lità dei casi presenti sul territorio nazionale.

 

DIAGNOSI    DI    AUTISMO    E    PSICOSI     INFANTILE
(DATI CSA 2001-2002)

 

Diagnosi di autismo

Scuola materna 21/milione di abitanti (1.220 bambini certificati autistici)
Scuola elementare 22/milione di abitanti (1.276 bambini certificati autistici)
Scuola media 15/milione di abitanti (870 bambini certificati autistici)
Scuola secondaria superiore 7/milioni di abitanti (406 bambini certificati autistici)
Diagnosi di psicosi infantile
Scuola materna 20/milione di abitanti (1.160 bambini certificati autistici)
Scuola elementare 20/milioni di abitanti (1.158 bambini certificati autistici)
Scuola media 19/milione di abitanti (1.102 bambini certificati autistici)
Scuola secondaria superiore   16/milioni di abitanti (928 bambini certificati autistici)
Come si evince facilmente i valori numerici rispettivi, di autistici e psicotici, sono pressoché sovrapponibili: paritetici in partenza (scuole materne), divengono disomogenei successivamente a causa dei ritiri poiché, con il passare degli anni, i bambini autistici scolarizzati diminuiscono in modo significativo.
Non è, tuttavia, una diagnosi più precisa che li fa scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive dif­ficoltà nell'organizzazione di una migliore integrazione.
Appare indubbio che questa fotografia scolastica del problema, pur significativa, offra valori deci­samente sottostimati rispetto ai quadri patologici in questione nella loro interezza. Da una parte perché i dati non comprendono i casi con altre patologie, dall'altra perché il provveditorato non rileva tutti i possibili pazienti o i loro spostamenti e, non ultimo, perché manca nel conto il nume­ro di chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola (orfani o a tutela sospesa), oppure c'era ed è uscito e di chi si aggiungerà a costoro ad anno iniziato.
In ogni caso questi sono i dati da cui dobbiamo partire, per capire quanta voce in capitolo gli allie­vi autistici abbiano in relazione ai circa 50.000 insegnanti di sostegno (di ruolo) operanti in Italia.

L'integrazione scolastica
L'integrazione è parte fondamentale del nostro sistema formativo. Il presupposto di base, quando si parla di autismo, è comprendere che siamo di fronte a un disturbo complesso e pertanto le rispo­ste possibili non potranno che essere complesse. Le situazioni sono molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, come problematiche differenti, in un'ottica di specificità. Consapevoli di questo si tratta di comprendere che integrazione vuol dire facilitare la socializzazione, creare esperienze significative, ampliare le capacità comunicative, favorire l'autonomia attraverso l'acquisizione di competenze e abilità essenziali. Ciò garantisce una migliore qualità di vita.
L'inserimento di allievi autistici nelle classi è un'opportunità non sufficiente, di per sé, a promuo­vere il conseguimento di competenze sociali e comunicative o a favorire lo sviluppo cognitivo ed emozionale, se non è sostenuto da un progetto educativo individuale adeguato.

Condizioni per una efficace integrazione

È indispensabile che:
1. tutti divengano interpreti di uno stesso progetto. Tutti debbono essere coinvolti. Non solo l'inse­gnante di sostegno, il consiglio di classe o il dirigente, i collaboratori scolastici o i compagni, la famiglia o i medici, gli psicologi o gli assistenti sociali, ma tutti;
2. si operi in modo sinergico. Ciascuno deve impegnarsi per quanto gli compete, in una connessio­ne stretta e continua con gli altri per fare un lavoro comune. Ognuno deve svolgere la sua parte, nutrirsi e rafforzarsi dell'esperienza integrativa di tutti gli altri componenti del gruppo e di coloro che sono altrove;
3. si introduca anche l'idea di "responsabilità". Sappiamo che per consentire l'integrazione vera, non formale, specialmente al ragazzo autistico, nella scuola e nella società, risulta fondamentale ripristinare concetti squisitamente etici, forse oggi un po' desueti: quello della responsabilità perso­nale e attiva, dell'impegno individuale e di gruppo, del dovere morale. Non è affatto vero che noi esistiamo perché qualcuno ci ha generato, la nostra umanità esiste perché un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto carico, si è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi. Dimenticare questo è dimenticare il senso della nostra vita.
Metodologie
Ai fini della promozione di una reale e proficua integrazione scolastica è opportuno prendere in considerazione:

  • gli obiettivi individualizzati rapportati a quelli della classe;
  • la risorsa compagni;
  • le nuove prospettive della didattica speciale.

Obiettivi individualizzati e obiettivi della classe
La possibilità di trascorrere parte del tempo in classe risulta facilitata se si riescono ad adattare gli obiettivi individualizzati a quelli curricolari. Questa operazione è, di fatto, più facilmente applica­bile ai primi livelli di scolarizzazione e su competenze più specifiche che fanno riferimento ai punti di forza degli allievi autistici (le cosiddette "isole di abilità"). A titolo di esempio possono diventare concrete le prospettive di lavoro comune su obiettivi di primo impatto (copia, incastri, collage ecc.), sulle abilità di calcolo, sulle competenze di memoria meccanica, ecc. Per l'allievo autistico, comunque, il semplice stare in classe può rappresentare di per sé un importante obiettivo relazionale, anche se impiega molto del suo tempo in attività individuali e ripetitive.
Strutturare la capacità di rimanere in ambienti poco prevedibili, mantenendo un comportamento non destabilizzante, è una meta educativa di notevole rilevanza. Oltre ciò, anche se le attività svol­te dalla classe non sono adatte al livello dell'allievo, può essere utile per alcuni periodi farlo "par­tecipare alla cultura del compito", cioè metterlo nelle condizioni di cogliere almeno alcuni ele­menti per apprezzare l'argomento che si sta trattando.
È importante prevedere, su obiettivi di maggiore rilevanza, la possibilità di un insegnamento uno ad uno, da svolgersi anche all'esterno della classe quando il tipo di lavoro da effettuare non è con­ciliabile con il suo svolgimento in un contesto che potrebbe risultare troppo stimolante (ad esem­pio per la presenza di stimoli distraenti). Tali momenti di uscita dalla classe dovrebbero però esse­re temporalmente limitati (di norma non superiori alle 10-12 ore settimanali) e programmati in maniera che possano ridursi con il progredire dell'azione educativa e dell'adattamento dell'alunno. Lo spazio per l'attività individuale dovrebbe essere organizzato secondo i principi dell'insegna­mento strutturato, tipici dell'approccio TEACCH, i cui connotati basilari - come vedremo - sono: strutturazione dello spazio e del tempo, personalizzazione dei programmi, integrazione e collabo­razione tra tutte le figure educative.

La risorsa compagni
Una delle principali chiavi di successo del processo di integrazione scolastica risiede nello stimo­lare rapporti di amicizia e aiuto da parte dei compagni. Essi, infatti, con l'immediatezza del loro modo di rapportarsi e la capacità di una sintonizzazione empatica, si pongono come figure partico­larmente idonee per attivare sequenze di interazione capaci di facilitare la crescita sociale dell'al­lievo autistico.
È evidente che questo ruolo, che possono svolgere i coetanei, è soprattutto potenziale. Si rende pertanto necessario un loro coinvolgimento attivo, attraverso la sensibilizzazione nei confronti di tematiche, che per la loro complessità, devono essere affrontate con modalità e strumenti adeguati se si vogliono "capire" le problematiche di chi si comporta diversamente dal resto della classe.
Le caratteristiche comportamentali e cognitive dell'autistico rendono molto complesso l'instaurar­si di rapporti interattivi di spessore significativo. In generale si possono, comunque, individuare una serie di accorgimenti per facilitare forme di aiuto e sostegno da parte dei compagni:

  • indicare abilità facilitanti la relazione;
  • programmare situazioni di tutoring;
  • lavorare alla creazione di un clima non competitivo per attivare esperienze di apprendimento comune.

 

Nuove prospettive della didattica speciale
Sono oggi svariate le opportunità offerte da una didattica che vuol "farsi" speciale per potere sod­disfare, il più efficacemente possibile, i particolari bisogni dei soggetti autistici.
Aspetti di notevole significato operativo sono quelli che indicano metodologie praticabili per favorire l'integrazione scolastica degli alunni affetti d'autismo. Citiamo:

  • l'utilità di promuovere in classe la conoscenza dell'handicap e dei deficit correlati;
  • la possibilità di avvalersi delle nuove tecnologie informatiche.

Promuovere la conoscenza dei deficit e dell'handicap in classe
Come già sottolineato, nel momento in cui viene stimolata una conoscenza adeguata ed una valo­rizzazione dei compagni è più facile che si attivino azioni di aiuto e sostegno.
Soprattutto con il soggetto autistico questo aspetto riveste un'importanza determinante, in quanto è necessario che i compagni capiscano che alcune particolarità comportamentali, quali le scarse, relazioni sociali o eventuali atteggiamenti aggressivi, non sono dovuti a "cattiveria" o a volontà di offendere, ma rappresentano le conseguenze di un deficit.
Nella classe frequentata da allievi autistici, la conoscenza del deficit deve chiaramente essere organizzata in maniera diversa. Si può andare da semplici spiegazioni degli aspetti principali della sindrome, alla visione di trasmissioni televisive sull'argomento o di film che hanno presentato mira­bilmente storie riferite a persone autistiche, alla lettura e commento di biografie di autistici di alto livello, fino allo studio scientifico delle conoscenze disponibili dell'autismo. Le stesse testimo­nianze, raccolte verbalmente o attraverso la scrittura di libri, di genitori di ragazzi affetti d'auti­smo, possono utilmente elevare i livelli di conoscenza di ognuno.
L'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche
L'utilizzo del computer nella didattica sta assumendo un rilievo considerevole nella scuola italia­na, anche se non sempre al proliferare dell'hardware si associano software adeguati alle esigenze. Le prospettive che si aprono per facilitare l'apprendimento del soggetto in situazione di handicap sono notevoli e riguardano sia aspetti curricolari (ad esempio esercitazioni sulle abilità strumentali di lettura, scrittura e calcolo), che la possibilità di gestire in maniera controllata progetti di recupe­ro e programmi prettamente riabilitativi.
Anche per l'allievo autistico l'informatica può costituire un'opportunità interessante, in grado di avvicinarlo alle attività svolte dal resto della classe. Si nota molto spesso che gli allievi sono moti­vati all'interazione con il computer, il quale permette di focalizzare l'attenzione per tempi prolun­gati su alcuni compiti e facilita la gestione di esercitazioni in maniera autonoma.
È sicuramente necessario fare riferimento a software particolari in relazione agli specifici obiettivi che vengono perseguiti. A questo proposito, va segnalato che gli strumenti multimediali di recente evoluzione, che utilizzano diversi codici (linguistico orale e scritto, iconico, musicale), possono creare, almeno all'inizio, una confusione nel processo di decodifica dell'allievo autistico, per cui può risultare utile il riferimento a software esercitativi meno elaborati. Con il passare del tempo, poi, in relazione al livello motivazionale dimostrato dall'allievo, si può        I decidere di optare per i programmi con una struttura multimediale i cui contenuti non siano pre­sentati solo in forma statica.
Principali strategie di intervento educativo
 Il programma TEACCH
L'adattamento dell'ambiente e delle attività alle esigenze del soggetto autistico consente di costruire un contesto molto strutturato, nel quale i punti di riferimento diventano visibili, concreti, prevedibili e accessibili. L'organizzazione dell'ambiente fisico proposto dal TEACCH non è chiaramente replicabile in maniera completa a livello di scuola comune. Alcuni accorgimenti possono comunque essere adot­tati, soprattutto se si verifica che gli stessi tendono a tranquillizzare il ragazzo autistico e a consen­tirgli una presenza maggiormente adattata all'interno della propria classe.
Potrebbe, ad esempio, essere delimitato con del nastro adesivo uno spazio dove viene collocato il banco dell'allievo, con vicino un armadietto o degli scaffali dove possa reperire i materiali neces­sari all'attività didattica. Lo stesso spazio può essere ampliato per coinvolgere altri banchi quando viene prevista un'attività per piccoli gruppi.
Gli spazi utilizzati per attività particolari - come la palestra, l'aula di musica, il laboratorio, ecc. dovrebbero essere chiaramente indicati, in modo che il soggetto possa familiarizzare con una disposizione che assume contorni meno caotici e, conseguentemente, più rassicuranti. Con il pas­sare del tempo ed il progredire dell'adattamento del bambino, questi accorgimenti potrebbero risultare non più necessari, per cui andranno progressivamente eliminati per conferire all'organizzazione una conformazione il più normale possibile.
Gli schemi visivi indicano all'allievo le attività da effettuare e la sequenza delle stesse, aiutandolo ad anticipare e prevedere i vari compiti. Sono generalizzabili anche a livello scolastico, per aiutar­lo a capire lo svolgersi della giornata e l'alternarsi di momenti di lavoro (individuale o di gruppo) a momenti di gioco.
I sistemi di lavoro e la precisa organizzazione dei compiti e del materiale forniscono agli allievi autistici le informazioni sulla tipologia di compito da portare a termine e sulle modalità d'esecu­zione. Nell'esperienza di integrazione scolastica una parte consistente del tempo del soggetto dovrebbe essere dedicata ad esercitazioni simili a quelle svolte dai compagni. In questo modo, anche se l'allievo autistico potrebbe insistere a svolgere le proprie attività in maniera autonoma e apparentemente non integrata con il resto della classe, tenderà comunque a strutturare un senso di appartenenza alla comunità. La precisa organizzazione dei compiti prevista dal programma TEACCH può essere utile anche per fornire occasione di esercitazioni autonome e ripetitive all'al­lievo, le quali, anche quando non determinano risultati importanti in chiave di apprendimento, possono risultare utili per l'aumento dei tempi di permanenza in classe.

 

tratto da “Metodi di intervento educativo”; Cosa sapere sull’autismo - Erickson -   cap.6, pag. 89
“L’autismo è una disabilità che dura tutta la vita e per la quale, a tutt’oggi, non esiste alcuna possibilità di guarigione completa. I bambini identificati “con autismo” potranno, infatti, migliorare in vario grado, ma il disturbo perdurerà sempre, almeno in parte. Quindi, perfino gli adulti autistici  più dotati sono spesso chiusi socialmente, restano inclini ad una intonazione della voce monotona e vengono percepiti come “differenti”.
           L’impossibilità di guarire non deve essere interpretata nel senso che queste persone non possono compiere progressi. La maggior parte dei bambini migliora infatti in modo significativo. Tuttavia, tali miglioramenti non avvengono per caso né si può dire che l’autismo sia un disturbo che viene superato crescendo. I progressi scaturiscono invece da programmi  educativi sistematici e strategie di intervento formulati con grande accuratezza. Temple Grandin, che fu diagnosticata come artistica da bambina e che nondimeno riuscì a diventare professionista di successo, attribuisce ai suoi insegnanti e terapisti il merito dei suoi miglioramenti…

Come possono essere usati i programmi educativi per migliorare le condizioni dei bambini  con autismo?
La maggior parte degli esperti che lavorano con bambini con autismo riconoscono che gli interventi educativi e didattici sono la chiave per il miglioramento. A causa della natura e della gravità della loro condizione, la maggior parte delle persone con autismo potranno trarre ben pochi vantaggi dalla psicoterapia. Ciò dipende dal fatto che raramente esse sono in grado di discutere i problemi e le preoccupazioni personali, compresi i sentimenti e le percezioni, con un terapeuta. Tali attività richiederebbero abilità cognitive e linguistiche molto al di là di quelle tipiche delle persone autistiche.
I programmi educativi invece si sono rilevati strumenti efficaci per lavorare con soggetti autistici  perché richiedono poche abilità prerequisite e forniscono un intervento diretto in aree di particolare necessità. In altre parole, un bambino che manchi di abilità di comunicazione e di linguaggio, e presenti problemi cognitivi e stereotipie (comportamenti autostimolatori), sarà incapace di discutere i suoi problemi con uno psicoterapeuta, ma risulterà adattissimo ad un programma educativo di recupero. Poiché i suoi problemi sono traducibili per un verso nell’incapacità di fare certe cose (comunicare, interagire con altre persone, …) e per l’altro nell’impegno eccessivo in comportamenti inappropriati (come agitare le mani per lunghi periodi, evitando in tal modo un coinvolgimento con gli altri), il “trattamento”  dovrebbe logicamente consistere nell’educare il bambino ad esibire comportamenti più produttivi e adattivi.  Nel contesto della programmazione mirata a  bambini e adolescenti con autismo, i percorsi didattico-educativi differiranno consapevolmente dall’educazione  e dall’istruzione che vengono impartite normalmente.   I metodi più fruttuosi non si concentreranno dunque tanto sui consueti curricolo scolastici, bensì su abilità più basilari come quelle dell’autonomia personale ( andare in bagno, tenersi puliti e ordinati), le abilità di autonomia sociale (leggere l’orologio, usare il denaro, il telefono e i mezzi pubblici), le abilità interpersonali (salutare, rispondere e interagire con gli altri), le abilità di comunicazione ( esprimere verbalmente o a gesti bisogni personali) e la formazione professionale (assemblare, raccogliere, imballare, ..). i bambini con autismo potranno talvolta imparare le abilità scolastiche di base: leggere, scrivere, contare, ma il più delle volte bisognerà rassegnarsi al fatto che essi acquisiscano soltanto abilità funzionali; per esempio, la capacità di leggere parole di elevata utilità pratica come “uscita” , “pericolo” …
I programmi educativi per bambini con autismo sono generalmente molto strutturati per consentire loro di comportarsi in modi più produttivi e adattivi.

Cosa si intende per “approccio strutturato” nell’educazione dei bambini con autismo?
I bambini autistici tendono ad apprendere più efficacemente in ambienti strutturati. “Struttura” in questo contesto significa che il programma è coerente e prevedibile, che è ben organizzato e che ha lo scopo di far sì che gli alunni comprendano il rapporto che esiste tra il loro comportamento e  le conseguenze che tale comportamento produce. Quindi, i vari adulti che lavorano con gli alunni che cercheranno gli stessi programmi, le stesse procedure, utilizzando strategie costanti e ben organizzate, come risultato gli alunni apprenderanno che, ogni volta che esibiscono un comportamento desiderabile e indesiderabile, a esso seguiranno conseguenze prevedibili (dopo essere riuscito a mettere insieme i pezzi del puzzle, il bambino potrà giocare con un giocattolo da lui preferito per alcuni minuti).

Quali sono gli elementi strutturali usati nei programmi per bambini  con autismo?
Alcuni elementi strutturali sono comuni a tutti i programmi per i bambini con autismo. Prima di tutto, la struttura dell’intervento educativo implica la chiara identificazione di obiettivi individualizzati. Ciò significa che ci si regolerà in modo che il programma  sia adatto alle necessità di quel particolare alunno. La struttura implica anche l’utilizzazione di una tecnica denominata concatenamento (insegnare un comportamento desiderato attraverso successive approssimazioni di quel comportamento, passo dopo passo, finchè il comportamento non è stato appreso nella sua interezza) per esempio, se l’obiettivo è quello di  insegnare ad un bambino a recarsi in modo indipendente dalla sua classe alla fermata dell’autobus e viceversa, si comincerà con l’insegnargli  il primo segmento del comportamento che potrebbe essere  “recarsi senza assistenza dal banco al portone d’ingresso della scuola; (se ciò risultasse troppo difficile, come prima tappa, “recarsi senza assistenza  dal banco al limitare della scalinata  posta sullo stesso piano”). Perché abbia successo è necessario che il concatenamento faccia seguire al coronamento di ogni tappa una consegna positiva, che il bambino comprenda le istruzioni che gli vengono fornite e che le attività e i materiali usati siano appropriati e si situino nella sua gamma di capacità e di necessità.
Un’altra caratteristica dei programmi strutturati è l’uso di routines costanti. Utilizzato per  ridurre l’incertezza nei bambini e per aiutarli a comprendere le varie fasi che si susseguono, questo elemento è particolarmente efficace per consentire ai bambini e  con autismo di comprendere e prevedere ciò che avviene nel loro mondo. Un terzo elemento strutturale è quello di far sì che l’ambiente fisico della classe sia idoneo al perseguimento di determinati obiettivi. Per esempio, si può far cambiare posto ad un compagno di banco che distrae il nostro alunno, o si può rivestire di gomma il pavimento che si trova sotto il banco in modo da ridurre la sua tendenza autostimolatoria alimentata dal rumore provocato dal suo battere i piedi. Inoltre, si può stabilire di assegnare certe aree a determinate attività. Un bambino potrebbe imparare che il lavoro di gruppo si svolge in certe aree della classe; che i compiti individuali vengono eseguiti in una struttura opportunamente predisposta simile ai tavoli di consultazione che si trovano nelle biblioteche; che la formazione prelavorativa ha luogo ad un tavolo posto in un angolo della classe, mentre il tempo libero viene passato in un’altra parte ancora o in cortile. Il fatto di assegnare le attività ad aree determinate può aiutare gli alunni a comprendere le aspettative dell’insegnante, riducendo così la confusione relativa a ciò che devono fare.
Man mano che gli alunni progrediscono, gli insegnanti tendono a ridurre questa assegnazione iniziale di certe aree a certe attività: pian piano, si aiutano i bambini a riconoscere  che le interazioni tra compagni possono avvenire anche in  un’area diversa da quella di “gruppo” e che i compiti individuali possono essere svolti in altri punti diversi dell’aula; tuttavia, perlomeno all’inizio, molti alunni con autismo trarranno giovamento  da questa programmazione di una rigida attribuzione degli spazi.

Quali abilità vengono insegnate ai bambini  con autismo?
Come dicevamo prima, i programmi educativi per bambini autistici devono essere individualizzati secondo i bisogni di ciascuno. Sarà quindi improbabile che due alunni autistici della stessa età seguano esattamente gli stessi programmi, poiché prevederanno attività e curricoli differenti a seconda delle loro specifiche necessità. Nonostante l’individualizzazione, comunque, i programmi per bambini  autistici enfatizzano generalmente sei aree di base:

    • lo sviluppo di comportamenti e di abilità interpersonali
    • le abilità di comunicazione e di linguaggio
    • l’autonomia personale e sociale
    • le abilità prelavorative
    • le abilità scolastiche
    • lo sviluppo motorio

Spesso  gli educatori insegneranno anche comportamenti collaborativi (ovvero la disponibilità a eseguire istruzioni), particolarmente ai bambini più piccoli e ai soggetti più gravi.
Sempre di più, i programmi per bambini  e adolescenti con autismo pongono l’accento sugli aspetti funzionali.  Vale a dire che gli alunni imparano comportamenti e abilità che potranno utilizzare realmente nella vita quotidiana. Usare il bagno, alimentarsi, tenersi puliti e ordinati, interagire socialmente, comunicare  e vivere nella comunità  sono abilità che vengono enfatizzate anche con i soggetti più gravi.

Che cosa implica l’insegnamento di comportamenti e abilità interpersonali?
I genitori e gli insegnanti dei bambini con autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo si preoccupano particolarmente di ridurre i comportamenti inaccettabili e devianti (come quelli autolesionistici o autostimolatori) e di incrementare nel contempo i comportamenti desiderabili che vengono manifestati con una frequenza troppo bassa (per  esempio: le interazioni appropriate con i compagni). Ancora una volta, però, i programmi individuali differiranno notevolmente   a seconda dei bisogni di ciascun alunno. Ma poiché quest’area è così importante e basilare negli interventi sui soggetti con autismo, essa  costituirà una parte  significativa di ogni curricolo. Un metodo fondamentale di intervento per conseguire tali obiettivi è quello della modificazione  del comportamento.        

Come vengono insegnate le abilità di comunicazione/linguaggio?
Come con le abilità interpersonali, quasi tutti i bambini con autismo mostrano problemi di comunicazione/linguaggio. Abbiamo spiegato che la verbalizzazione  si riferisce al procedimento con cui si formano e si usano i suoni orali; mentre, il linguaggio è un termine più generale che si riferisce a tutti i sistemi di comunicazione. I bambini con deficit del linguaggio possono essere del tutto incapaci di verbalizzare, in altri casi ripetono pappagallescamente quello che sentono e incontrano in genere difficoltà a comunicare con gli altri.
Come altre aree curricolari, i programmi di comunicazione/linguaggio vengono individualizzati conformemente ai bisogni di ogni alunno. Un bambino che abbia difficoltà nell’uso dei pronomi personali ( ad esempio: riferendosi a se stesso come “tu”) seguirà un programma molto diverso da un bambino che manche del tutto della verbalizzazione. Per gli alunni più deboli e per quelli che mancano della verbalizzazione, i programmi di comunicazione/linguaggio cominciano in genere insegnando loro a stare seduti al proprio banco, ad ascoltare l’insegnante, a stabilire il contatto oculare, a imitare un modello (per esempio: toccandosi la testa quando l’insegnante tocca la propria testa), a seguire consegne semplici (per esempio: “siediti”, “ vieni qua”) evitando di impegnarsi in comportamenti devianti. Non sorprende che la maggior parte degli esperti concordino sul fatto che, senza queste abilità di base, gli alunni non potranno apprendere  qualcosa di utile.
L’insegnamento del linguaggio agli alunni più deboli e a quelli incapaci di verbalizzare può comprendere anche il lavoro sull’uso di oggetti, in cui vengono mostrati agli alunni degli oggetti (una palla) insieme alla dimostrazione di come essi possano essere utilizzati e a suggerimenti verbali (“fai rotolare la palla”). Questo tipo di intervento espande generalmente  il linguaggio dei bambini preparandoli a programmi più avanzati.
Agli alunni più deboli e a quelli incapaci di verbalizzare può essere anche insegnata l’imitazione motoria e verbale. Essi imparano ad imitare i movimenti dell’insegnante (il bambino si tocca la spalla in risposta al fatto che l’insegnante si tocca la spalla) e i suoni che emette. L’imitazione dei suoni di base potrà poi svilupparsi in parole. Per esempio, allorché un bambino sia riuscito a dire “pa” imitando il modello, la sillaba potrà poi essere espansa in “papà”, in “pappa”, in “palla” e in altre parole dotate di significato.
Per gli alunni che non sono riusciti ad apprendere l’abilità del linguaggio verbale, possono essere utilizzati programmi di comunicazione non verbale. Tali programmi consistono nell’insegnamento del linguaggio dei segni o nell’uso di “tavole di comunicazione” con figure ed oggetti ai quali i bambini possono fare riferimento indicandoli per segnalare i loro bisogni. Anche altri sistemi di comunicazione basati sull’uso delle macchine da scrivere e soprattutto computer, trovano crescente applicazione perché consentono ad alcuni bambini di interagire con altre persone. Le tavole di comunicazione e i computer vengono considerati generalmente un’alternativa  definitiva alla comunicazione verbale; avviene però che questi sistemi stimolino la verbalizzazione e che alcuni bambini con autismo comincino a parlare dopo aver appreso i sistemi di comunicazione non verbale.
Anche i soggetti capaci di verbalizzazione ricevono un intervento sul linguaggio e sulla comunicazione. I programmi comprendono innanzitutto l’identificazione e il nominare oggetti e figure. Ad esempio: un insegnante mostra una palla e chiede all’alunno: “Cos’è questa?”. Naturalmente è necessario rinforzare subito gli alunni (con lodi oggetti graditi) ogni volta che sono riusciti a  identificare correttamente l’oggetto.
Da ultimo, i programmi di comunicazione e linguaggio vengono attuati da  una varietà  di persone in svariati ambienti. Essi non vengono effettuati soltanto dal logopedista in ambiente clinico; bensì, da numerose figure professionali o dai genitori sia a scuola che a casa, l’intervento della comunicazione è così importante ed è parte integrante dello sviluppo degli alunni autistici che gli insegnanti, i terapeuti e le altre persone che lo effettuano dovrebbero approfittare di tutte le occasioni e di tutti i luoghi in cui si trovano per praticarlo. Per garantire un approccio così generalizzato, spesso è utile che insegnanti, genitori e gli altri membri della famiglia che comprende il soggetto autistico consultino un logopedista in grado di suggerire procedure che possano essere utilizzate per stimolare la comunicazione e la verbalizzazione.

Quali sono le abilità di autonomia e come vengono insegnate ai bambini autistici?
Insegnare ai bambini con autismo abilità di autonomia personale (necessarie per soddisfare i propri bisogni, in attività come tenersi puliti e ordinati, lavarsi i denti, vestirsi, alimentarsi, andare in bagno) e di autonomia  sociale (come usare mezzi pubblici di trasporto, il telefono, il denaro o saper leggere l’orologio) li aiuta a rispondere positivamente alla loro disabilità e, in definitiva, a condurre una vita produttiva e normale. Spesso i bambini con autismo non riescono ad acquisire abilità normalmente padroneggiate dai loro pari (ad esempio, vestirsi da soli), rimanendo in tal modo dipendenti  da altre persone e di conseguenza più “handicappati” di quanto sarebbero in caso contrario. Per questo motivo, i programmi educativi dovrebbero insegnare queste abilità importanti per aiutare nel modo più diretto sia loro sia le famiglie a vivere una vita normale. Sarebbe opportuno che i genitori e gli altri familiari si preoccupassero di far inserire sempre nel programma educativo del loro bambino queste abilità di autonomia. Non tutti ne avranno bisogno; tuttavia, laddove siano carenti, queste abilità costituiranno una componente di enorme importanza.

Quali abilità prelavorative vengono insegnate ai bambini con autismo?
Molti bambini autistici potranno svolgere un lavoro in un  laboratorio protetto e alcuni in un ambiente normale. Gli esperti di inserimento lavorativo potranno fornire un utilissimo supporto per sviluppare la necessaria congruenza  tra le caratteristiche del lavoratore e ambiente di lavoro. In ogni caso, sarà opportuno insegnare il più presto possibile le abilità che risulteranno indispensabili dopo la fine del corso di studi, comprese quelle prelavorative.
La formazione professionale e lavorativa dei soggetti autistici dovrà essere altamente individualizzata. Quindi, alcuni studenti potranno essere istruiti nel campo della tecnica (usare il computer), mentre, per altri, ci si dovrà limitare ad una istruzione meno complessa (i rudimenti necessari per confezionare i pacchi). Tuttavia, esiste una serie di abilità comuni a ogni formazione professionale:

    • impegnarsi in un compito senza assumere atteggiamenti disturbanti;
    • imitare una serie di movimenti (assemblare le parti di un oggetto nello stesso modo in cui l’operazione viene eseguita dall’insegnante);
    • riuscire a compiere attività  di appaiamento a campione (apparecchiare una tavola nello stesso modo in cui ne è stata apparecchiata un’altra che viene mostrata);
    • portare a compimento con successo dei compiti di discriminazione (classificare una serie di oggetti  secondo la loro funzione o colore o dimensione;
    • ripetere in modo accurato e indipendente compiti specifici per un dato numero di volte.

Man mano che i bambini con autismo si avvicinano al completamento della scuola dell’obbligo, bisognerà pensare a corsi di formazione professionale e li si potrà aiutare con idonei programmi di transizione verso il mondo del lavoro, per consentire loro il raggiungimento del massimo di indipendenza nella vita adulta.
Quali abilità scolastiche vengono insegnate ai bambini con autismo?
Adattato alla misura in cui sono in grado di seguirlo, è fondamentale elaborare un programma di insegnamento simile a quello dei pari. Quindi, a livello elementare, il loro corso di studi prevederà  l’apprendimento della lettura, della scrittura, dell’aritmetica,… per gli alunni il cui programma deve  necessariamente discostarsi da quello dei compagni,potranno essere identificati degli obiettivi particolari. Ad esempio, si potrà focalizzare l’intervento sul riconoscimento di parole funzionali (“Uscita”, “pericolo”, “Divieto di accesso”, …) sulla capacità di scrivere il proprio nome e sull’uso del denaro dell’orologio o del telefono. Infine, per gli alunni più gravi, è chiaro che si potrà prescindere dall’apprendimento delle nozioni normalmente insegnate nei programmi scolastici e  quindi, invece di insegnare italiano, matematica, …. si cercherà di far comunicare appropriatamente questi alunni più difficili con gli altri e di far acquisire loro le principali abilità di autonomia.

Che cosa sono le abilità motorie e come vengono insegnate ai bambini e con autismo?
La parola  “motorio” si riferisce alla coordinazione, alla forza muscolare e al controllo e alla direzione dei muscoli del corpo. Benché  non tutti i bambini diagnosticati  “autistici” presentino problemi motori, va detto che tali deficit sono abbastanza comuni. Di conseguenza, molti alunni avranno bisogno di programmi individualizzati per migliorare la forza muscolare, la coordinazione fisica e la destrezza motoria. I programmi verranno elaborati preferibilmente da fisioterapisti o da fisiatri, ma potranno essere effettuati anche da altre persone come gli insegnanti, i genitori, altri membri della famiglia.
Oltre che da programmi specifici per porre rimedio ai problemi motori, gli alunni con autismo beneficeranno dell’educazione fisica e dei training in vari tipi di sport perché ciò permette loro di interagire con altri in situazioni di gioco, che sono quelle tipiche di tutti i bambini . Tali opportunità daranno loro la possibilità di sviluppare nuove abilità e interessi e di applicare le abilità già apprese a nuovi ambienti, come ad esempio il parco pubblico. Le attività motorie e fisiche dovrebbero far parte dei programmi di educazione di ogni ragazzo, prescindendo dall’età e dalla gravità della sua situazione.

 

Stereotipie e comportamenti problema: differenziare per comprendere, gestire e risolvere (tratto da: Autism Journal and Mental)

Retardation, ed. italiana. Proporre curricula abilitativi di fronte all'immensità dei disturbi e ostacoli educativi, tipici delle persone con autismo può sembrare inutile. Ciò nonostante risulta indispensa­bile affrontare i comportamenti disadattivi noti come stereotipie e comportamenti problema. Fare puntuali distinzioni è importante, per affrontare efficacemente l'Autismo e gli altri Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Infatti con il primo termine, stereotipia, si indica un disturbo assillante ma solitamente "non eccessivamente grave", mentre il secondo termine, comportamenti problema, è usato attualmente per qualsiasi tipo di produzione comportamentale "fortemente" disturbante o addirittura lesivo, stereotipie comprese.
II diffuso abuso e rimescolamento di concetti, frammenti e informazioni grossolane non aiuta a comprendere le difficoltà di queste persone e produce uno stallo propositivo, un senso di "custo­dia" quoad vitam e una paralizzante preoccupazione operativa nei caregiver. La discriminazione tra stereotipie e comportamenti problema discussa nell'articolo è utile perché consente una loro migliore comprensione, gestione e soluzione: si tratta di produzioni diverse che risentono di approcci abilitativi specifici e differenti. Modificare le stereotipie, interrompendole opportuna­mente con richieste e proposte "attentive", prelude, qualifica ed edifica qualsiasi efficace approc­cio abilitativo.
Introduzione
Che le persone con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo necessitino "tutte" di imponente e scrupo­loso intervento abilitativo individualizzato (meglio se precoce, inizialmente strutturato e poi, con­tinuato), indipendentemente dall'età del soggetto e dalla severità del caso, non sembra mai suffi­cientemente evidenziato. L'esperienza infatti ci insegna che non solo le condizioni più svantaggia­te ma anche i soggetti savant (ad alto funzionamento) incontrano quotidianamente difficoltà insor­montabili, capaci di ricondurli a una disabilità (solo apparentemente) sorprendente. Esiste la possi­bilità di "compensare" questi gravissimi limiti? Certamente sì: Serve quiete e un corretto interven­to educativo-comportamentale.                              
Quale intervento educativo-comportamentale praticare? Sono tutti validi, efficaci? Certamente no. Per rispondere in modo convincente ai solerti sostenitori degli approcci più diversi (es., Delacato; Doman; TED; Portage; TEACCH; ABA), è necessario partire da alcune riflessioni:

1. Perché, quando ancora non esistevano metodi abilitativi globali e condivisi, alcune madri furo­no comunque capaci di raggiungere ottimi compensi dei disturbi dello spettro autistico dei  figli? Miracolo, preveggenza o più semplicemente quelle ottime "maestre" intuirono distintamente come questi "bambini particolari" funzionavano (e funzionano) e come pertanto potevano (e pos­sono) imparare con successo?

2. La stessa identica spiegazione (l'utilizzo del modo giusto di accedere alla mente di un soggetto con autismo) dovrebbe ovviamente sostenere i metodi universalmente qualificati come "auspicabi­li" (ovvero: "Perché funzionano sempre gli insegnamenti strutturati secondo routine di item in successione?"). Non solo.

3. Lo stesso meccanismo "intelligente" ("...Eppure il mio ragazzo sta meglio!") dovrebbe ritrovar­si puntualmente espresso persino all'interno di altri metodi, quelli per così dire "non ortodossi", eppure praticati e resistenti a critiche pertinenti e severe, vuoi sull'estrema parzialità quanto appreso, vuoi sulla loro non funzionalità, illusorietà, estemporaneità, inopportunità o addirittura inutilità (es., metodi di stimolazione neurosensoriale; delfinoterapia; holding; ippoterapia; comu­nicazione facilitata; metodo Rapizza, ecc.).       

4. Perché la letteratura scientifica internazionale riporta una moltitudine di attività, peraltro assai disparate e incongrue fra loro, capaci di ridurre i comportamenti disadattivi espressi da questi pazienti? Tutte queste proposte (dando per veri gli esiti riportati), seppure con risultati controversi ai controlli e con effetti positivi non sempre così "apprezzabili" nella "durata", dovrebbero comunque contenere anch'esse il "meccanismo funzionante".

È possibile tentare una spiegazione razionale e univoca delle coincidenze, per così dire "trasversa­li", tra le esperienze appena elencate ma tra loro apparentemente contrapposte? A volte cogliere cosa accomuna potrebbe aiutarci quanto studiare le differenze. Individuare la "causa" del miglioramento delle condizioni prestazionali ed emotive complessive della persona con autismo, o della riduzione dei comportamenti problema, sarebbe affascinante. Comprendere "cosa" consente, ad "attività e proposte" assai differenti tra loro, di funzionare consentendo "apprendimenti", servireb­be a farci capire cosa c'è (anche nelle tecniche non validate scientificamente) di veramente "utile" e condivisibile. Individuato il marchingegno che le fa funzionare, cesserebbero le diatribe tra "fedeli" perché si comprenderebbero meglio i pregi e i limiti di ogni proposta.
Il libero uso di qualsiasi metodo o strumento, se utile a compensare il neuro-disfunzionamento individuale, risulterà possibile, infatti, solo dopo che si sarà compreso "cosa" funziona sempre e per ciascuno. Vediamo di fissare alcuni principi generali. Quando una persona con sindrome per­vasiva dello sviluppo è coinvolta in un percorso "attentivo" realizza "sempre e comunque" una riduzione "attuale" (misurabile in frequenza e gravità) dell'emissione comportamentale disadatti­va (dunque, poco importerà la qualità della proposta poiché qualsiasi proposta attentiva funzione­rebbe in tal senso).
L'attentività seppure indispensabile non è di per sé sufficiente per apprendere. Quando, a seguito di raggiunta attentività, si producono "competenze" (indipendentemente dalla gravità del caso e dall'intrinseco valore di quanto insegnato-appreso), per concretizzare un'abilitazione "vera" del soggetto, "chi insegna" ottiene risultati (numero di abilità) perché usa lo stesso comune e identico meccanismo "efficace" di insegnamento: l'insegnamento procedurale (che sfrutta l'apprendimento stereotipato il quale a sua volta rispecchia la caratteristica modalità di funzionamento di questi pazienti: l'aderire patologico alla stereotipia). Le abilità apprese-espletate si realizzano per inse­gnamento-apprendimento (due esperienze inscindibili, se effettive), in conformità a un determina­to procedere (in un certo senso monotono) che prevede facilitazioni attentive (ambiente protetto; rapporto uno a uno; un setting; un calendario delle attività; facilitazioni visive...), e, secondo le peculiarità del soggetto e gli obbiettivi voluti, specifici training "direzionati" mediante proposte strutturate (dimostrate, richieste, facilitate, suggerite, fatte imitare e premiate) di esecuzioni ripetu­te di singoli compiti in adeguata successione (secondo programmi-calendari di impegni temporo­spaziali successivi) e di attività proposte ed espletate come item distinti e concatenati.
A tutt'oggi la sola risposta ai precedenti quesiti, il comune denominatore rintracciabile, è dunque un doppio quanto inscindibile requisito: 1'attentività e l'insegnamento procedurale. È evidente che questa non è l'unica maniera funzionante di insegnare e apprendere delle persone con difficoltà cognitivo-comportamentale (es., il problem solving; la didattica per similitudine o per estrapolazio­ne logica; ecc.) ma appare evidente la necessità di migliori o migliorati livelli intellettivi.
Abbiamo usato l'aggettivo "procedurale" perché bene si addice alla forma che deve possedere l'insegnamento per funzionare, deve cioè rispettare un modus operandi che prevede semplicità, chiarezza, linearità e meccanismi sovrapponibili (indicazione; imitazione; matching; motricità fine e grossolana; recepimento e produzione di linguaggio, ecc.), secondo precise sequenzialità, seg­mento esecutivo per segmento esecutivo, che dovrà essere riproposto o ripresentarsi più volte per essere appreso.
L'apprendimento si realizza dunque quando l'insegnamento rispetta modalità che "ripercorrono" il condizionamento tipico di questi soggetti, che è la patologica e attrattiva adesività al comporta­mento stereotipato (l'immutabilità descritta da Kanner). Gli apprendimenti sono sempre "inizial­mente" stereotipati, preconfezionati, prevedibili (per manifestarsi necessitano di strutturazione, di setting; di stimolo di avvio; di reclutamento mediante indizio; di coerenza e compiutezza esecuti­va) e rimarranno rigidi a lungo.
La quantità delle competenze, la loro qualità, l'allenamento e la generalizzazione, gradualmente ridurranno questi limiti intriseci, ma mai del tutto. Questi pazienti potrebbero apprendere qualsiasi abilità, sempre che qualcuno insegni loro "procedure". (insegnamento direzionato: un concetto un po' più complesso della ben più famosa "strutturazione"); apprendono per piccole competenze in successione, proceduralmente, e questa modalità costituisce il deus ex machina che fa funzionare qualsiasi metodo oggi utilizzabile (al di là del suo intrinseco valore) o quanto di ogni tecnica fun­ziona sempre: Questa caratteristica è quanto accomuna ogni proposta capace di produrre attenzio­ne, interesse, apprendimenti, esecuzione imitativa, memorizzazione, pianificazione delle sequenze di una abilità (l'eventuale sua qualità abilitativa sarà un requisito da valutare indipendentemente dal suo "funzionare";dal suo risultare appresa e generalizzata?
Insegnare-apprendere competenze, sotto forma di procedure, non è ancora "raggiunta" abilitazione ma più semplicemente la base da cui partire affinché essa si avvii. [Ad es., ...far salire un ragazzo con autismo su un cavallo: se tale esperienza è strutturata adeguatamente, pub realizzare, prolun­gare e mantenere "attentività", interesse, piacere. La condizione aggiuntiva di compliance prodotta potrà essere premiata, rinforzata, potenziata, modulata, estesa (se attentamente monitorata e opportunamente elaborata con associate attività, pertinenti)... ma non dovrà mai assurgere a unica proposta abilitativa]; [Es. L'holding, la tecnica dell'abbraccio forzoso, riuscirà certamente a risve­gliare, a togliere il bambino piccolo dalle stereotipie (spesso poco evidenti a quell'età) e a renderlo per qualche istante "attento" a ciò che accade attorno ma, per risultare utile e produttiva, essa dovrà avviare altre attività di coinvolgimento, precedere altre proposte, approfittando e rendendo vantaggiosa la suscitata attenzione. Altrimenti qualsiasi evento attentivo (comunque ottenuto) non servirà ad abilitare quel bambino, che non potendo avvantaggiarsene autonomamente, non troverà nel "risveglio" elementi di interesse, e diverrà sempre più indisponibile, sempre meno collaboran­te].
II soggetto con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, dall'Autismo, all'Asperger, comprese le forme "non altrimenti specificate", se lasciato a se stesso passerebbe spontaneamente l'intera sua vita nell'aderire a stereotipi comportamentali, se non esclusivamente a vere e proprie stereotipie (terza area deficitaria della triade caratterizzante la sindrome). Solo saltuariamente sarebbe in grado di staccarsene,(spontaneamente o per intervento esterno, casuale o educativo) e di avvicinarsi al mondo, disponendosi a percepire ciò che lo circonda o che gli viene "adeguatamente" proposto. Lasciarlo perennemente in stereotipia o nel vuoto esecutivo-propositivo significa renderlo profon­damente adeso a tale condizione, sempre più in difficoltà a impegnarsi, incapace in modo ingrave­scente di partecipare, di apprendere in progressiva balia di inadatte produzioni (più o meno tolle­rabili), consegnandolo colpevolmente all'aspetto orrifico dell'autismo. La partecipazione attentiva a una proposta qualsiasi, se avviene (per impegno del disabile e per competenza degli abilitatori), si realizza sempre a discapito della produzione stereotipata (stereotipie) o del suo aderirvi. Questo è il modo corretto e proficuo di interrompere le stereotipie e "nulla osta" alla loro continua interruzione. Per una persona con autismo è più facile staccarsi dalla dimensione adesiva stereotipata (avvio dell'intervento educativo) accedendo ad attività (certamen­te assai più nobili) che non siano troppo dissimili da quelle tipiche del suo disfunzionamento cerebrale. Egli dunque (mediante proposte attentive, sfruttando le proprie e altrui competenze, la possibile strutturazione e la chiarificazione di quanto richiesto) aderirà più facilmente a pratiche con caratteristiche "interscambiabili" con quanto abbiamo visto solitamente permeare la sua mente: la ritualità, la dimensione stereotipata.
Dilemma: se l'intervento abilitativo si realizza per allontanamento dalle stereotipie (raggiunta attentività e suo progressivo perdurare nel tempo), attraverso l'insegnamento procedurale di apprendimenti in un certo senso "stereotipati", si corre il rischio di giungere nuovamente alla stes­sa condizione da cui si voleva uscire. Si realizzerebbe infatti uno scambio di sembianze, solo in parte vantaggioso (si sostituirebbero comportamenti disadattivi con modalità più utili e accettabili socialmente) perché permarrebbe comunque una dimensione rigida, stucchevole, procedurale, ingessata di performare.
Anche se quanto appreso fosse "utile" alla vita di quel soggetto (rendendolo meno “autistico", più contestuale, collaborante, tranquillo, adeguato a un esistere dignitoso) per poter parlare di inter­vento abilitativo "vero" quegli stessi insegnamenti (peraltro indispensabili) dovranno (infine) libe­rarsi dallo stereotipo esecutivo che li caratterizzerebbe, attraverso la "generalizzazione" (renden­doli possibili in qualsiasi situazione), la spontaneità esecutiva (senza bisogno di suggerimenti, di stimoli iniziali o in successione), rendendoli fluenti, gestiti in autonomia, e secondo scelta e moti­vazione (conquista abilitativa senz'altro più complessa).
Si deve avere, perciò, ben presente il rischio che si corre a mantenersi in superficie di un interven­to abilitativo, sia nel giudicarlo frettolosamente che negli esiti. Una volta trasferite nuove compe­tenze, usando un approccio certamente "procedurale", si deve verificare se queste sono reali o se sono l'ennesima "filastrocca" appresa bene ma priva di significato per chi così faticosamente l'ha imparata. [Es. Se un bambino ha appreso perfettamente il concetto di "davanti", "dentro" e "die­tro", per cui in qualsiasi situazione potrà fornire una risposta corretta se gli si chiede: "mettiti davanti a...", "cosa c'è davanti a..:', "mettilo davanti a...", troverete disarmante scoprire che non comprenderà affatto una frase del tipo "indicami il davanti della casa", "dimmi qual è il davanti della macchina"...]. Questa situazione è comune lavorando con persone con disturbo pervasivo dello sviluppo e ci dice che se l'impianto formale dell'insegnare-apprendere (procedurale) è utile, la sua sostanza però necessità di massima attenzione. [Es. Se tra le molte attività da proporre ho: quella del riconoscimento dei colori, io posso usare bene le tecniche procedurali conosciute: indi­cami il rosso, colora il rosso, dammi il rosso... oppure posso usarle con un'attenzione speciale, chiedendo al bambino di guardare: si inizia colorando di rosso un cartoncino, dicendo questo è il colore-rosso (evitando attentamente di usare il termine rosso separatamente dal termine colore o di distrarre dal concetto obbiettivo, usando una forma geometrica o un soggetto da colorare di rosso); Poi dirò "tocca il colore-rosso" senza alcuna alternativa visibile; si faciliterà il bambino al compito se in difficoltà; poi posizionandogli più vicino il cartoncino colorato gli si chiede "dammi il colo­re-rosso"... Nella primissima fase, non si potrà proporre di ritagliare il cartoncino o di incollarlo, ad esempio, perché questa gestualità confonderebbe l'apprendimento-obbiettivo]. Questo modo ponderato di procedere libera la routine procedurale dei suoi limiti e pericoli e consente apprendi­menti veri. Per ottenere (in fase iniziale) e mantenere alta la compliance (collaborazione) bisogna disporre di moltissimi insegnamenti-apprendimenti ben distinti fra loro (es., colore, forma, ricono­scimento visivo-verbale degli oggetti, produzione e controllo di suoni, motricità, ecc.); la loro varietà e il dosaggio li renderà gratificanti. Il bagaglio di un educatore dovrà essere essenzialmen­te multiplo, pronto, precostituito e saggiamente somministrato.
La durata di ogni singola proposta sarà direttamente proporzionale alla raggiunta e perdurante attentività e/o partecipazione e inoltre dovrà essere gestita in modo tale .da mantenere elevato l'in­teresse in essa riposto. I tempi di partecipazione attiva sono un criterio operativo interessante. Abilitare consiste nel disaffezionare il soggetto con Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) dal mondo stereotipato, attraverso l'apprendimento di competenze.
Abituare questi speciali soggetti a continue e puntuali interruzioni del loro permanere in stereoti­pia, allontanandoli dai meccanismi stereotipati di funzionamento del loro sistema mente, significa renderli "capaci" di sfuggire a questa fascinazione obbligata e patologica. Qualcuno afferma che se si elimina una stereotipia se ne presenta un'altra, -per dire che è tempo sprecato. Questo è un gravissimo pregiudizio. In pratica succede che la loro "corretta" interruzione produce nel tempo il loro modificarsi, sostituirsi, abbreviarsi e questo è un buon segnale perché alla fine scompaiono. Trascurarle tollerandole non produce miglioramento.
Dapprima ci si dovrà impegnare a interrompere "adeguatamente" le stereotipie (ottenere attenzio­ne e proporre attività). L'indotta tolleranza all'interruzione puntuale delle stereotipie estingue la ragione di esistere dei comportamenti problema emessi a tutela del permanere in stereotipia. Questa educazione continua a prestare attenzione alle nuove proposte produrrà flessibilità (allon­tanamento dal rituale; dall'immutabilità). La flessibilità è indice di un buon percorso abilitativo e del   definitivo abbandono dei comportamenti problema.
Non esistono stereotipie o modalità stereotipate "tollerabili" ma piuttosto tempi in cui necessaria­mente non ci si pub impegnare nell'allontanarsi da esse (l'abilitazione avrà  giocoforza delle inter­ruzioni, dei momenti di relax, di passaggio tra una attività e .un'altra, tra un situazione e una nuova).
Lentamente e progressivamente (dapprima per pochi istanti e poi via via sempre più a lungo), per ogni persona con DSA risulterà possibile interrompere e allontanarsi dalla dimensione attrattiva stereotipata, a patto che questo sforzo risulti "vantaggioso". Infine il soggetto sicuramente compe­tente dovrà impegnarsi a trasformare utilmente anche ciò che ha appreso (seppure in modo stereo­tipato), realizzando il possibile affrancamento (compenso) dall'autismo.
Insegnare-apprendere ha comunque un requisito fondante: 1'attentività (soggettiva, cosciente, coe­rente, condivisibile, sufficiente a produrre risposte o attività di volta in volta pertinenti, consape­voli, indotte dapprima, e in ultimo spontanee e autonome perché riconducibili a una coscienza di sé, del mondo, degli altri e a un impulso soddisfacente ad agire e sperimentare).
Attentività sufficiente, ottenuta casualmente o volutamente, e il suo progressivo perdurare nel tempo secondo opportune proposte esecutive, nei diversi spazi e situazioni, è ciò che funziona in senso abilitativo; sempre.
Bisognerà poi qualificare il "come-cosa-quanto-quando" si dovrà insegnare e sulla base delle com­petenze raggiunte pianificare l'integrazione in reciprocità (equilibrato convergere tra disabili e soggetti a sviluppo tipico).
La risposta o abilità del soggetto è sempre consona alla sua competenza attendeva, alla sua capacità di allontanarsi rapidamente e in modo prolungato dal "piacere patologico" della stereotipia o del comportamento stereotipato, spostando il propria vivere quotidiano all'interno di competenze (apprese o in apprendimento) che qualifichino il suo personale stile di vita.
Realizzare "abilitazione" non si concretizza con il semplice ottenimento di una o più risposte (anche se quelle volute e pertinenti) ma nella qualità che sta in esse. In un intervento abilitativo neuro-educativo-comportamentale, ottenere e prolungare 1'attentività, diventa fondante anche se di per sé non sufficiente. Ad essa deve seguire sempre l'insegnamento-apprendimento che all'ini­zio è procedurale e poi potrà evolvere in altre forme. Potremo dire con una semplificazione: "Ci vuole metodo", anziché disquisire sui metodi. Insegnare procedure "utili" sta poi, alla coscienza­intelligenza degli abilitatori.
Inoltre, al di 1à del dimostrato apprendimento di nuova competenza (che potrà restare in emergen­za o apparire in se stessa particolarmente pregevole), si dovranno concretizzare altri requisiti:

I. Coinvolgimento (engagement) reciproco concreto, progressivamente perdurante, dei protagoni­sti di un'esperienza comune. Pertanto, non solo "attenzione condivisa" ma "disponibilità", "moti­vazione", "interesse", "adesione spontanea o pronta", "soddisfazione", ecc. Qualità che si dovran­no mantenere anche nelle attività individuali, espletate autonomamente.

2. Capacità reciproca di cogliere, riconoscere, comprendere gli effetti "attuali" (misurabili) che 1'abilitazione in atto sta producendo, valutati istante per istante.

3. Capacità di espletare attività in autonomia, imparando a pianificare una propria vita, fatta di periodi di lavoro, di gioco, di pausa, di riposo.Un significativo criterio di "efficacia" di un intervento abilitativo è l'affermarsi di una progressiva durata della capacità attentiva e dello spontaneo permanere interessati e partecipativi alla propo­sta, ovvero all'affermarsi di adeguatezza al contesto, come espressione, anche qualitativa, della propria autonoma programmazione e gestione degli apprendimenti e dei comportamenti appresi. Un interessante e piacevole modo di comprendere quanto profonda sia la conoscenza del proble­ma autismo da parte di persone che affermano di essersi fatte una certa esperienza basta chiedere loro quale ruolo riveste l'operatore presente nel centro specializzato dove è ospitato il soggetto con autismo interpretato da Dustin Hoffman in Rain Man, sapete quel ragazzone che lo accoglie nella sua stanza a conclusione del film.
Dopo averli lasciati pensare e rispondere... ben pochi vi diranno che quell'uomo è lì per suggerire e avviare le attività della giornata, per fluidificarne la successione, per rendere possibile alla per­sona con autismo di riempirla di attività normalizzanti (apprese e da apprendere) così da viverla con un senso e uno stile altrimenti impossibile.

 

Riferimenti e risorse
Bibliografia

  • Aarons N. e Gittens T. (1994). É autismo? – Erickson: Trento
  • Baron – Cohen S.- Bolton P. (1998) Autismo. La conoscenza del problema. Phoenix: Roma http://www.editricephoenix.it
  • Cottini L.  (2002) Che cos’è l’autismo infantile. Carocci: Roma
  • Cottini L.  (2002) Educazione e riabilitazione dal bambino autistico. Carocci: Roma
  • Cottini L.  (2002) L’integrazione scolastica del bambino autistico. Carocci: Roma
  • Frith U. (1996) L’autismo: spiegazione di un enigma. Laterza: Bari
  • Grubar J.C. (trad. Visconti P.) (1996) Autismo ed integrazione. Phoenix: Roma
  • Hanau C. e Mariani Cerati D. (a cura di) (2003) Il nostro autismo quotidiano. Storie di genitori e figli. Erickson: Trento
  • Ianes  D. (a cura di) (1992) Autolesionismo, stereotipie, aggressività: Intervento educativo nell’autismo e nel ritardo mentale grave. Erickson: Trento
  • Peeters T. (1998) ed. It. (a cura di Visconti P.) Autismo infantile:orientamenti teorici e pratica educativa. Phoenix: Roma.
  • Shopler E et al. (ed. it. a cura di  C. Hanau)(1991) Strategie educative nell’autismo. Masson: Milano
  • Shopler E et al. (ed. it. a cura di  C. Hanau)(1995) Attività didattiche per autistici. Masson: Milano
  • Shopler E e  Mesibov G.B. (1998) Apprendimento e cognizione nell’autismo. Mc Graw Hill: Milano

 

  • Jordan R. e Powell S. (1997) Autismo e intervento educativo – Erickson: Trento
  • Bagalà S. Raso D., Vivanti D. (1999) L’autistico a scuola. Baruffa: Reggio Calabria

 

  • Powers M ( acura di) ( 1994) Autismo: Guida per genitori ed educatori. Cortina: Milano
  • Howlin P. Baron C. S., Hadwin J. (1999) Teoria della mente e autismo. Erickson: Trento

 

  • Micheli E. (1999) Autismo: verso una migliore qualità della vita. Baruffa: Reggio Calabria.

 

Fonte: http://www.snodocornate.brianzaest.it/download/autismo/Catalogazione%20e%20Diffusione%20dei%20Materiali%20di%20Angela%20Ornaghi/Archivio%20Pratiche%202004/autismo3b.doc

Sito web da visitare: http://www.snodocornate.brianzaest.it/

Autore del testo:A.Rivière

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