Il mito di Ulisse

 


 

Il mito di Ulisse

 

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Il mito di Ulisse

La figura di Ulisse in Omero

Che Omero sia esistito o meno, certamente la tradizione che ha saputo donarci è di inequiparabile valore, base della cultura occidentale, oltre che punto focale dell'epica greca. La sua figura di Ulisse è legata ai miti pagani della Grecia antica ed è tra l'altro lo stesso identico personaggio ripreso a sua volta da Dante nella Commedia e Pascoli, che curiosamente lo fanno morire in modi simili, con un naufragio in entrambi i casi. Il figlio di Laerte è l'unico personaggio della tradizione Omerica a ricevere aggettivi atti ad indicare un'intelligenza di elevatissimo grado. Essere ingegnoso e astuto, Ulisse ha la peculiarità di non gettarsi mai a capofitto, come i suoi compagni, nelle battaglie che ogni giorno gli vengono poste innanzi. Accanto alla sua essenza di guerriero previdente ed implacabile, è basilare sottolineare il tema dominante dell'Odissea, il viaggio, tema letterario valutato, rivalutato e forse ultimamente svalutato dall'uso diffuso ai più diversi e distanti autori letterari. Aristotele osserverà che la base dell'opera è semplice ed unica: un uomo vuole tornare in sé e ci riesce solo dopo varie prove, sottolineando l'aspetto introspettivo dell'epopea, non solo un viaggio attraverso i mari ma un'esplorazione del proprio animo. Risiede solamente in questo la vera divisoria che separa Ulisse da Enea: Enea erra per Roma, Ulisse per se stesso. Contrapposti all'eroe non vi sono semplici uomini, ma un Dio in persona, Nettuno, o Poseidone a seconda della tradizione a cui si fa riferimento, alla cui onnipotenza Ulisse non potrà opporre che il suo fermo progetto di ritorno, misto ad una grande esperienza ed un coraggio ed una fedeltà negli altri dei ammirabile, date le peripezie a cui va incontro. E' in sostanza questa sua voglia di ritorno, da Penelope e nella sua Itaca, che fanno dei numerosi episodi del viaggio solo brevi istanti destinati a finire. Il soggiorno da Circe esplica al meglio questo concetto, come accade con l'incontro di Nausicaa. 

L’Ulisse di Dante (Inferno, XXVI)

Dato che Ulisse occupa nell'epopea dantesca un ruolo di secondo piano, non tanto nei confronti degli altri dannati quanto nei confronti delle necessità "tecniche" e narrative della Commedia, è cosa prevedibile il suo subordinamento alla narrazione e allo stile classico di Dante negli incontri con i dannati dei vari gironi. Negli abissi infernali Ulisse è quindi un condannato alla sofferenza eterna,  e non riferirà all'insaziabile visitatore (Dante,) le sue mirabili imprese nella mitica guerra troiana, né tanto meno il macchinoso e sofferto ritorno all'amata Itaca, già raccontato con invidiabile maestria da Omero, ma la storia della sua morte.

"...Nel suo ultimo viaggio, egli andò verso il monte del Purgatorio, che Dio pose come promessa di salvezza prima ancora che Cristo venisse a redimere gli uomini e che, quindi, non può essere raggiunto da nessuno, tanto più se pagano o peccatore. E' lo stesso viaggio che ora sta compiendo Dante: ma se il primo, confidando solo in se stesso, fallì, il secondo riuscirà sorretto dall'aiuto della grazia..."

Ulisse, quindi, che in vita visse di tanti onori e riconoscimento è condannato all'inferno anche per la sua esistenza pagana (cosa che tra l'altro denota una mentalità abbastanza chiusa per i tempi moderni, comunque giustificabile per via della datazione dell'opera dantesca). Ma quale fu la vera motivazione che relega Ulisse  all'inferno? Essenzialmente è il cattivo uso dell'ingegno, usato dal singolo per rincorrere i suoi interessi privati con la frode verso il prossimo, l'abuso dell'intelligenza, dono gratuito di Dio, in controcorrente alle norme etiche e religiose.

Confronto tra il volo folle di Ulisse e il viaggio di Dante

Facendo raccontare la sua avventura ad Ulisse, Dante crea in lui una sorta di doppio. Entrambi, in effetti vanno verso il Purgatorio, che però raggiungono attraverso cammini opposti: se il poeta fiorentino vi giunge mediante una ascensione etico - spirituale, l'eroe greco si affida ad un desiderio insaziabile di conoscenza, che non è elevazione etica ma accumulo di conoscenze. Inoltre al cammino ascendente di Dante si oppone il cammino in "orizzontale" di Ulisse, che procede ignorando volutamente gli dei, tanto quelli pagani (come si capisce dall'attraversamento delle colonne d'Ercole e dal furto della statua di Atena) tanto quello cristiano che non conosce. C'è quindi una netta opposizione fra la concezione del mondo spirituale legata a Dante e quella pratica legate ad un avventuriero quale è Ulisse.

 

 

L'Ulisse di Pascoli

Il popolare poeta italiano, in questa composizione poetica riunisce sotto una maschera di moderno stampo i temi classicheggianti di un Ulisse che è di fatto ripreso dalla tradizione omerica. E' qui trattato il suo secondo viaggio, che assume l'andamento di un pellegrinaggio funebre. Il forzuto e implacabile eroe greco, una volta tornato ad Itaca,  trascorre la vita invecchiando accanto all'amata moglie, in attesa di un qualcosa di indefinito e che non riesce a decifrare. Passati dieci anni, decide di colmare il vuoto creatosi nella sua anima con un ultimo viaggio, una seconda odissea verso i luoghi visitati la prima volta, da consumarsi con i vecchi compagni superstiti. Ma nulla è più come prima, in mortale assonanza con un risvolto del "tutto scorre"di Eraclito: non più Sirene ad ammaliare i viaggiatori, non la fatidica Circe, ma solo fredde ceneri e morte. Giunge infine a Calipso, dove la sua nave affonda tra i flutti uccidendo i compagni di ventura e lasciando ad Ulisse solo il soffio di  vita necessario a giungere a riva, per poi spirare, stremato, sulla sabbia, senza aver nemmeno visto Calipso, ma lei, il cui nome in greco significa "nasconditrice", nasconde il cadavere del suo vecchio amante. Se da una parte questa poesia è vicina alla tristezza e al nichilismo che accomuna buona parte della letteratura di fine secolo, da un secondo punto di vista appare punto di congiunzione di umana pietà e nostalgia e dolcezza. E tutto fa credere che l'autore abbia voluto offrire al lettore, con l'immagine del corpo nascosto, un futuro di pace e felicità per l'eroe greco.

 

L'Ulisse di Joyce

Romanzo della scrittore irlandese James Joyce, scritto tra il 1921 e il 1924. Questa opera ha un posto fondamentale nella storia del romanzo: essa segna il punto decisivo di rottura con la tradizione ottocentesca, spezzando le strutture del linguaggio e gli schemi intellettuali che lo limitavano e lasciando irrompere, attraverso il flusso di coscienza, il caos del subcosciente inesplorato con una libertà ed un'audacia per quel tempo assolute. La trama riproduce una giornata qualunque di Mr Bloom, un ebreo dublinese procacciatore di pubblicità, senza figli e tradito dalla moglie, che vaga alla ricerca di un figlio, mentre il giovane artista Stephen Dedalus, tormentato dal rimorso per la morte della madre, è alla ricerca di un padre spirituale. La storia ricalca l'antico mito omerico e trasforma il protagonista in una specie di eroe moderno, combattuto fra le misere contraddizioni della vita quotidiana. Ma qui non ha importanza la trama, come susseguirsi di avvenimenti ed incontri: ciò che conta è la descrizione minuziosa di Dublino, con le sue strade, bar, ospedali, cimitero, biblioteca, l'accurata orchestrazione dei dialoghi, l'umanità dei personaggi e soprattutto l'uso sottile delle alternanze dei piani stilistici (dal monologo interiore al flusso di coscienza, e alla parodia degli stili più vari). Alla fine della giornata e del romanzo ci si rende conto che la prospettiva si è allargata e Ulisse arriva ad abbracciare ogni aspetto della totalità dell'esperienza umana: il microcosmo Dublino è allusivo del mondo intero, il dramma dei singoli personaggi diventa il dramma di ognuno, alla ricerca di se stesso e di una definitiva presa di coscienza.

 

 

L’Ulisse di Tennyson

L'Ulisse di Tennyson appare molto simile a quello del Pascoli, in quanto in esso ritroviamo lo stesso carattere di malinconia e il bisogno di ripartire e  di ricominciare che sente il re seduto davanti al suo focolare. Il ricordo del passato avventuroso, sofferto ma anche pieno di gioia, fa risvegliare il vero spirito di Ulisse, che vuol "bere la vita sino alla feccia". La vita che il re conduce dopo il suo ritorno in patria è poi straziante, quella di un uomo famoso per il mondo grazie alle sue imprese che si trova nella situazione di dover governare gente che non conosce il suo nome, nome che si era acquistato nel piano di Troia che ricorda ancora come spazzato dal vento. Ed è da questa riflessione che emerge il primo topos dell'opera: il fatto che il porsi un fine nella vita sia stupido, il fermarsi sia l'inizio della fine, di un periodo dell'esistenza che conduce sempre più in basso. L'anima esperta di ogni uomo dovrebbe dunque seguire il suo istinto, il suo volere, e seguire la conoscenza inconoscibile, per l'eternità.

Perciò Ulisse lascia tutto al figlio Telemaco (da notare che chi sia il personaggio narrante viene esplicato solamente ora in maniera chiare), che ha un compito diverso dal suo, cioè il governare ed il civilizzare gente selvaggia, educandola all'utile ed al bene. Ma in verità che  cosa sono l'utile e il bene? Un grande problema è aperto ora da Tennyson, in quanto molto spesso ciò che noi chiamiamo bene diverge dal ciò che riteniamo utile. Questo richiamo alla filosofia classica è asservito senza dubbio al rimembrare quale sia l'epoca, il momento al quale l'opera è riferita, nobilitandola nella sua culturalità. Naturalmente non è possibile neppure trascurare la differenziazione  e divisione dei compiti fra gli esseri umani, in quanto Ulisse deve viaggiare, un dovere che appare essere quasi emanato da un divino superiore.

La parte conclusiva mette infine in luce quale sia lo spirito del re. Egli vede nel mare un suo antico compagno, quasi come coloro che sempre saldi lo accompagnarono nel viaggio sino alla morte. La nostalgia è qui dominante, in quanto Ulisse è pronto a ripartire e le vele sono già gonfie di vento, portando alla mente il ricordo di quei giorni in cui ancora giovane fu costretto ad abbandonare lungamente la patria. E sa di non essere più come allora, ma è conscio anche del fatto che se la forza fisica cambia, la tempra dura degli eroi non muta mai.

 

L’ "ULISSE" DI UMBERTO SABA

Nella mia giovinezza ho navigato

lungo le coste dalmate. Isolotti

a fior d'onda emergevano, ove raro

un uccello sostava intento a prede,

coperti d'alghe, scivolosi, al sole

belli come smeraldi. Quando l'alta

marea e la notte li annullava, vele

 

sottovento sbandavano più al largo,

per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno

è quella terra di nessuno. Il porto

accende ad altri i suoi lumi; me al largo

sospinge ancora il non domato spirito,

e dalla vita il doloroso amore.

 

Nell'immagine di Ulisse il poeta paragona la sua storia. Una storia non conclusa, incapace di placarsi in un approdo sereno, ma ancora protesa in una ricerca travagliata e senza fine.

Infatti, il racconto delle navigazioni giovanili assume un significato simbolico: quegli isolotti squallidi e perigliosi, che di giorno risplendono al sole come gemme e di notte sono una vera insidia per gli scafi dei naviganti, sono un’immagine della vita, sentita come solitudine e aspro travaglio, e tuttavia amata per il suo fascino (BELLI COME SMERALDI). Ma da questa immagine alcuni critici hanno constatato la possibilità di passare dalla visione splendente della vita illuminata dal sole, alla serenità di un sentimento giovanile che ha una visione spensierata dell’esistenza. Ma navigando senza una meta, che orienti la navigazione, si fa sempre più presente l'insidia notturna in cui si nascondono i fitti isolotti, rilevando così il rischio quotidiano cui va incontro l'uomo vivendo giorno per giorno le tappe del proprio viaggio. Così la maturità consapevole del poeta ricerca nostalgicamente quelle isole solitarie, accetta il destino di solitudine e di lotta, anche se non più allietate dalle illusioni fervide della giovinezza; sente, in quel navigare periglioso, nella ricerca ardua e nel dolore, la suprema dignità dell'uomo.

Assistiamo così all'identificazione del poeta con l'eroe greco come appare nel verso 10, dove l'autore definisce il proprio regno " terra di nessuno", riferendosi al nome greco di Ulisse.

Anche Saba, come Ulisse, non attende riconoscenza o consolazione, non trova rifugio in un porto, che offre agli altri, che si adagiano nelle piccole certezze, le sue gioie e la sua promessa di pace. Invece l'indomato spirito del poeta, proteso alla conquista di una moralità più vera, va’ alla scoperta di un autentico significato del vivere, non importa se è lontano e forse irraggiungibile. Ma la vita è nel perenne contrasto tra amore e dolore. Anche se si vede la tristezza in questa constatazione, si sente però la dignità austera del non domato spirito, che spinge il poeta ha ricercare una meta più alta.

Singolare è l'ossimoro conclusivo rappresentante la lotta, pur nella continua sofferenza, in "per raggiungere in vita piccoli cambiamenti e piccoli progressi".

Interessante è al tal proposito l'opinione di E. GIOANOLA:

E' " l'altissimo testamento spirituale di Saba "; la rievocazione dei viaggi nell'Adriatico, compiuto come mozzo nell'adolescenza, diventa, per il vecchio poeta, parabola dell'inesausto itinerario dell'uomo nell'esistenza, a somiglianza dell'antico mito di Ulisse, fino alla vecchiaia indomito ricercatore di cose e terre nuove. Il "non domato spirito" (e si noti l'intonazione da melodramma verdiano di questa espressione) spinge ancora a largo le vele del poeta, non avendo mai permesso "il doloroso amore" della vita una navigazione da piccolo cabottaggio".

 

Fonte: http://digilander.libero.it/leo.eli/classe%20V_MATERIALI/MATERIALI_ITALIANO/LETTERATURA_PERCORSI/006_La_figura_di_Ulisse.doc

Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/leo.eli

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