Wolfgang Amadeus Mozart opere vita riassunto breve

 

 

 

Wolfgang Amadeus Mozart opere vita riassunto breve

 

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Wolfgang Amadeus Mozart

Compositore nato a Salisburgo nel 1756, figlio del violinista Leopold e di Anna Maria Pertl, mostra fin da piccolo la sua predisposizione alla musica, così come la sorella Anna. Entrambi esprimono una tale e indiscutibile attitudine per le sette note, da indurre il padre a rinunciare a qualsiasi impegno professionale per dedicarsi a insegnare musica esclusivamente ai figli. A quattro anni suona il violino e il cembalo, ed è omai assodato che la sua prima composizione risale a qualcosa come solo due anni dopo. Conscio delle doti straordinarie del figlio, il padre porta Wolfang e la sorella, soprannominata Nannerl, in viaggio per l'Europa dove entrambi hanno modo di esibirsi nei salotti ma, soprattutto, di venire a contatto con i fermenti artistici che circolano in Europa. L'infanzia di Mozart è un crescendo di episodi sbalorditivi. Ne è un esempio un aneddoto riportato da Stendhal: "Mozart padre tornava un giorno dalla chiesa in compagnia di un amico; a casa trovò suo figlio impegnato a scrivere musica "Che stai facendo, figliolo?", gli chiese. "Compongo un concerto per clavicembalo. Ho quasi finito il primo tempo." "Vediamo un po' questo scarabocchio." "No, vi prego; non ho ancora finito". Ciononostante il padre prese il foglio e mostrò al suo amico un groviglio di note che si riuscivano a stento a decifrare a causa delle macchie d'inchiostro. A tutta prima i due amici risero bonariamente di quello sgorbio; ma ben presto, dopo che Mozart padre lo ebbe osservato con un po' di attenzione, i suoi occhi rimasero a lungo fissi sulla carta, e alla fine si riempirono di lacrime d'ammirazione e di gioia. "Guardate, amico mio", disse commosso e sorridente, "come è tutto composto secondo le regole; è un vero peccato che questo brano non si possa eseguire: è troppo difficile e nessuno potrà mai suonarlo".Seguono gli studi a Salisburgo nel corso dei quali Amadeus compone la "Finta semplice", piccolo capolavoro teatrale di una mente che proprio nel teatro partorirà in età adulta le massime espressioni del genere. I viaggi, ad ogni modo, proseguono instancabili, tanto che finiranno per minare la sua già fragile salute. Bisogna infatti considerare, in primo luogo, che i viaggi dell'epoca si svolgevano su umide e pericolanti carrozze, che percorrevano fra l'altro strade dissestate e precarie. Celebri, ad ogni modo, molti dei suoi pellegrinaggi e in particolare le sue "visite" italiane. A Bologna conosce padre Martini, mentre a Milano si avvicina alle composizioni di Sammartini. A Roma, invece, ascolta le polifonie ecclesiastiche, mentre a Napoli prende coscienza dello stile diffuso in Europa. In questo periodo fa allestire con successo "Mitridate, re di Ponto" e "L'Ascanio in Alba". Finita l'esperienza italiana, torna a Salisburgo e precisamente al servizio dell'iroso arcivescovo Colloredo. Quest'ultimo, oltre ad essere sostanzialmente poco interessato alla musica non è affatto ben disposto nei confronti del compositore, tanto che, paradossalmente, lo lascia spesso viaggiare piuttosto che commissionargli nuove opere o approfittare del suo genio per sentirlo suonare. Viaggia dunque verso Parigi insieme alla madre (che muore proprio in quella città), toccando Manheim, Strasburgo e Monaco e scontrandosi per la prima volta con insuccessi professionali e sentimentali. Deluso, torna a Salisburgo. Qui compone la bellissima "Messa dell'Incoronazione K 317" e l'opera "Idomeneo, re di Creta", molto ricca dal punto di vista del linguaggio e delle soluzioni sonore. Sulla spinta del successo ottenuto, si libera dell'opprimente e antipatico arcivescovo Colloredo, dando inizio così ad una carriera di musicista autonomo, aiutato dalla proverbiale "pedata" dell'arcivescovo (uno degli episodi più umilianti della vita del genio salisburghese). Si può dire che è proprio con Mozart che il ruolo del musicista nella società comincia a svincolarsi dal servilismo che l'aveva sempre caratterizzato, anche se questo processo sarà portato al massimo compimento, e definitivamente, da Beethoven. Non bisogna dimenticare, infatti, che all'epoca i compositori o i maestri di cappella, sedevano al tavolo insieme alla servitù ed erano perlopiù considerati dei semplici artigiani piuttosto che artisti nel senso moderno del termine. Anche in questo caso, sarà Beethoven a "riabilitare" con forza la categoria. Grazie alla nuova carriera, insomma, si stabilisce insieme alla neo sposa Costanze a Vienna, città ricca di fermenti ma culturalmente assai conservatrice, anche se attraversata dalle menti più innovatrici, contraddizione che sembra appartenere alla sostanza di questa città. L'ultimo decennio della sua breve esistenza è per Mozart il più fecondo e foriero di immensi capolavori. I contatti con impresari e i pochi agganci con l'aristocrazia (favoriti dal successo dell'opera buffa "Ratto dal serraglio") gli permettono un'esistenza precaria ma dignitosa. Fondamentale è il suo incontro con il librettista Da Ponte che darà vita agli immortali capolavori teatrali conosciuti anche con il nome di "trilogia italiana" (chiamata in questo modo per via dei libretti appunto in lingua italiana), ossia "Le nozze di Figaro", "Don Giovanni" e "Così fan tutte". Successivamente, compone altre due opere per teatro, il "Flauto magico" (in realtà un "Singspiel", ovvero un ibrido fra teatro cantato e recitato), considerato il momento di avvio del teatro tedesco e la "Clemenza di Tito", in realtà un passo indietro stilistico di Mozart per venire incontro ai gusti retrivi del pubblico viennese, ancora legato ai soggetti storico-mitologici e incapace di apprezzare l'abissale scandaglio dei sentimenti erotico-amorosi affrontati nelle opere precedenti. Infine, non si può tralasciare di parlare del contributo mozartiano alla musica strumentale. Nel suo "Una storia della Musica" (Bur), Giordano Montecchi sostiene che "Mozart ha dato il più grande contributo alla storia della musica per i suoi concerti per pianoforte, se non altro perché in sua assenza gli altri generi, come la sinfonia e la musica da camera, sono state ben rappresentate anche da altri compositori con apporti ugualmente determinanti. Sarebbe stato, insomma, sostituito da qualche altro suo contemporaneo; non però nel campo dei concerti pianistici dove Mozart deve essere considerato come "Pigmalione supremo e insostituibile". Il 5 dicembre del 1791, all'una di notte, si spegne all'età di soli 35 anni una delle più alte espressioni dell'arte (musicale ma non solo) di tutti i tempi. A causa delle avverse disponibilità economiche i suoi resti verranno tumulati in una fossa comune e mai più ritrovati. Le cause della sua morte restano a tutt'oggi un rompicapo difficilmente risolvibile. Di recente Mozart è anche diventato fenomeno di costume, alimentato dal celebrato film di Milos Forman "Amadeus" (1985), tanto che una vera e propria "mozartmania" ha contagiato anche chi, prima di allora, non aveva mai ascoltato la musica del maestro austriaco. Ricordiamo che la presenza della K e della numerazione è dovuta alla classificazione, in ordine cronologico, delle opere mozartiane, compiuta da Ludwig von Köchel nel suo catalogo pubblicato nel 1862.

IL FLAUTO MAGICO

In genere, «Il Flauto magico» viene considerato come uno spettacolo fiabesco, in cui Mozart affermò la sua fede non soltanto nella massoneria ma anche nel futuro dell'opera tedesca. In realtà, come sempre negli ultimi lavori mozartiani, la concentrazione di vari stili mira a superare la secolare distinzione dei generi musicali e teatrali.
È difficile affermare che «Il Flauto magico» rappresenti soltanto una fase del teatro musicale tedesco; in realtà, è un'opera nazionale in virtù di tutti gli elementi popolareschi, fiabeschi, meravigliosi che sono anche strettamente legati alla lingua e alla forma del Singspiel; ma dal punto di vista musicale è il riepilogo dell'esperienza mozartiana, ne contiene tutti gli aspetti sublimati e, come la restante arte dell'ultimo Mozart, non ebbe eredi immediati né diretti. Rappresenta soltanto la perfezione di una breve e fulminante carriera d'artista, con la quale si conclude il secondo Settecento e se ne celebra la straordinaria varietà di generi musicali in una sintesi universale.

 

Fonte: http://www.studenti.it/download/scuole_medie/Wolfgang%20Amadeus%20Mozart.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Wolfgang Amadeus Mozart opere vita riassunto breve

 

Franz Joseph Haydn: nasce in Austria nel 1732, nel 1761 avviene il fortunato incontro con il principe Paolo Esterhazy che lo nomina maestro di cappella presso la sua corte. Le sue composizioni sono pubblicate e diffuse in tutta Europa. Haydn è considerato il padre della sinfonia. Il suo modo di scrivere la musica è perfettamente classico e la sua produzione è monumentale (108 sinfonie ecc..)

Wolfgang Amadeus Mozart: nasce a Salisburgo nel 1756, è stato uno dei più grandi geni musicali di tutti i tempi. A 4 anni sapeva già suonare e comporre pezzi per clavicembalo. A 12 anni compone la prima opera teatrale “La finta semplice”. La sua produzione musicale fu imponente (49 sinfonie, 64 sonate, 40 lieder ecc..) e in soli 35 anni di vita. La sua ultima composizione fu una Messa da requiem (K626) rimasta incompiuta. Morì in povertà nel 1791.

Ludwig Van Beethoven: nasce a Bonn nel 1770, a soli 8 anni si esibisce già in concerti pubblici. Attorno al 1800 iniziano i sintomi della sordità che lo portano col tempo ad abbandonare l’attività di esecutore per dedicarsi esclusivamente alla composizione. Nell’arco di tempo compreso tra il 1820 e il 1827 (anno in cui morì) compone le sue più grandi opere, tra cui: gli ultimi quartetti, una Missa Solemnis e la Nona Sinfonia (l’ultima) (“Per Elisa” è forse la composizione più famosa).

Giuseppe Verdi: nasce a Roncole di Busseto nel 1813, nel 1839 a Milano riesce a far rappresentare alla scala la sua prima opera ”Oberto conte di San Bonifacio” con cui inizia il suo successo. Con Verdi l’opera lirica subisce una notevole evoluzione, abolisce le ricercatezze decorative estranee alla vicenda e concentra l’attenzione del pubblico sulle azioni e sui personaggi. Durante il Risorgimento il grido “Viva Verdi” diviene il grido di indipendenza (Viva Verdi = Viva Vittorio Emanuele re di Italia).
La sua composizione continua fino a tarda età, quasi 80enne completa il “Falstaff”, unica opera buffa del suo repertorio. Opere più note: Nabucco, Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata, Aida e Otello.

Richard Wagner: nasce a Lipsia nel 1813, le sue prime opere non vengono accolte con entusiasmo, Wagner sta introducendo una vera rivoluzione tanto nella trama quanto nella musica dell’opera:
1) musica e versi sono tutt’uno, il compositore deve scrivere personalmente anche i testi (libretti)
2) l’orchestra non accompagna solo le arie e i duetti ma sostiene con una sinfonia l’intera opera
3) nella musica emergono i “leit-motive” temi ricorrenti associati ad un personaggio o una situazione
Il successo arrivò tardi per Wagner ma poi fu enorme ed inarrestabile. Alla sua morte chiese di essere sepolto a Bayeruth, vicino al teatro che aveva tanto voluto e amato. Opere principali: Tannhauser, Il vascello fantasma, Tristano e Isotta, Parsifal e la tetralogia L’anello del Nibelungo costituita da: L’oro del reno, La Valchiria, Sigfrido e il crepuscolo degli Dei.

Franz Schubert: nasce a Vienna nel 1797, a 11 anni diventa cantore nel collegio del coro della cappella imperiale, nel frattempo studia composizione col maestro Salieri e inizia a scrivere i primi Lieder. Nel marzo 1828 conosce il vero successo durante un concerto di sue composizioni, ma muore qualche mese più tardi a 31 anni. Composizioni più importanti: 9 sinfonie tra cui la famosa n.8 detta “Incompiuta” e circa 600 lieder, inoltre la famosissima “Ave Maria”.

Felix Mendelssohn Bartholdy: nasce ad Amburgo nel 1809, a 9 anni viene già considerato un piccolo Mozart, nei 4 anni seguenti compose il “XIX Salmo”, brani per organo, pianoforte, fughe e sinfonie.
Diresse nel 1829 “La Passione secondo Matteo” di J.S.Bach. A 26 anni si stabilisce a Lipsia dove fonda il conservatorio. Opere principali: “Rondò capriccioso”, Overture: “Sinfonia Italiana”e l’oratorio “Elia”

Robert Schumann: nasce a Zwickau (Germania) nel 1810, compositore, pianista e critico musicale, non può coronare il suo sogno di diventare un grande pianista a causa di esperimenti insensati a cui si sottopose per perfezionare la sua tecnica pianistica che gli causano la perdita dell'uso dell'anulare della mano destra, si dedica allora alla composizione. Ricordiamo le 4 Sinfonie e la numerosa produzione per pianoforte tra cui “Scene infantili” e gli oltre 50 lieder.

 

Fryderyk Chopin: nasce in Polonia nel 1810, studia pianoforte presso il conservatorio di Varsavia. Nella musica di Chopin dedicata esclusivamente al pianoforte c’è il senso della patria e della nazione, l’uso di temi tradizionali e popolari come Polacche e Mazurke (ne scrisse 58), infine i famosi Notturni.
Fu definito “il poeta del pianoforte”.

Franz Liszt: nasce a Raiding (Ungheria, ora Austria) nel 1811, inizia gli studi musicali sotto la guida del padre. Nel 1823 si trasferisce a Parigi dove inizia un’intensa attività concertistica, di compositore e di musica per pianoforte. Nel 1848 si stabilisce a Weimar dove ricopre il posto di maestro di cappella dell’orchestra di corte presso il duca di Sassonia. Nel 1866 Papa Pio IX gli conferisce l’ordine di Abate. Le composizioni principali sono: la raccolta “Anni di pellegrinaggio” per pianoforte, 12 Poemi sinfonici e 2 Concerti per pianoforte e orchestra.

Il Gruppo dei Cinque: segna la svolta della musica russa, intorno al 1860 5 musicisti decidono di rivalutare le proprie tradizioni musicali: Cui, Balakirev, Aleksander Borodin, Nicolaj Rimskij-Korsakov e Modest Mussorgskij. Rimskij-Korsakov nella sua veste di professore di conservatorio è quello che esercita la maggiore influenza. Ebbe molti allievi fra cui Ottorino Respighi. Mussorgskij invece influenza musicisti di altri paesi come Debussy.

Petr Ilic Ciaikovski: nasce a Viatka (Russia) nel 1840, nel 1862 lascia l’occupazione di avvocato per iscriversi al conservatorio di Pietroburgo. Nel 1865 termina gli studi e intraprende la carriera di compositore. Le sue composizioni non vengono inizialmente molto apprezzate dal pubblico, come l’Overture “Romeo e Giulietta” che in seguito diviene molto famosa. Ciaikovski trascorre gli ultimi 15 anni di vita viaggiando all’estero, e questo è il periodo più produttivo. La sua produzione musicale è assai vasta, comprende: opere liriche, balletti (“Lago dei cigni”, “Schiaccianoci”), Sinfonie, Concerti solisti e composizioni orchestrali tra cui il “Capriccio italiano”.

Arnold Schonberg: nasce a Vienna nel 1874, opera un profondo rinnovamento musicale, egli si avvicina sempre più alla “atonalità”, nella quale sopprime tutte le regole dell’armonia classica. Il suo primo capolavoro liberamente atonale è il “Pierrot lunaire”nel 1912, che suscita dal grande entusiasmo alla violenta condanna. Fissate le regole di questo nuovo sistema atonale o “Dodecafonico” fonda nel 1904 la “Scuola di Vienna”. Durante la II guerra mondiale la musica di Schonberg viene messa al bando come “degenerata”, esiliandosi volontariamente in Francia e poi negli Usa continua la produzione musicale, ricordiamo: “Mosè ed Aronne” e soprattutto “Un sopravvissuto di Varsavia” nel 1947, rievocante lo sterminio nazista.
La musica dodecafonica o seriale si basa sul principio di assoluta equivalenza (armonica) dei 12 semitoni che compongono la scala cromatica. La “Serie” si basa su 3 norme precise:
1) si devono usare tutti i 12 suoni della scala cromatica in qualunque successione si preferisca
2) si deve evitare la ripetizione di un suono usato finchè l’intera serie dei 12 suoni non è stata esaurita
3) una volta fissata la serie i suoni si possono utilizzare sia orizzontalmente (per la melodia) che   
verticalmente (per l’armonia).

Igor Stravinskij: nasce a Pietroburgo nel 1882, studia composizione e orchestrazione, inizia a farsi conoscere musicando il balletto “L’uccello di fuoco” nel 1910. Negli anni successivi compone i balletti “Petroucka”(1911) e “La sagra della primavera”(1913). Si stabilisce in Svizzera dove compone “Histoire du soldat”. Poi in Francia allestisce il balletto “Pulcinella”. Successivamente si cimenta con l’oratorio “Oedipus rex”(1927), con i modi gregoriani “Sinfonia dei Salmi”(1930), con il melodramma “La carriera di un libertino”(1951) e con la musica dodecafonica.

Giacomo Puccini: nasce a Lucca nel 1858, esordisce con la sua prima opera “Le Villi” alla Scala di Milano nel 1884. Il successo arriva solo nel 1893 con l’opera “Manon Lescaut” al teatro Regio di Torino. Poi la “Boheme” nel 1896, è un successo mondiale. Nel 1900 va in scena “Tosca” e nel 1904 “Madame Batterfly”. Nel 1907 Puccini si reca negli Usa dove trova ispirazione per altre opere:
“La fanciulla del west”(1910), “La rondine”(1917) e il trittico formato da “Suor Angelica”,
“Il tabarro” e “Gianni Schicchi”, tutte composte nel 1918. L’ultima opera di Puccini è “Turandot” che rimase incompiuta a causa dell’improvvisa morte, a Bruxelles nel 1924. Puccini insieme a Ma scagni, Leoncavallo e Giordano è uno degli esponenti del Verismo italiano e sicuramente il maggiore dei 4.

 

Fonte: http://www.f3derico.altervista.org/musicisti.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

Il prodigio di Salisburgo: Wolfgang Amadeus Mozart


Wolfgang Amadeus Mozart fu il piú grande compositore dei tempi suoi, eccelso in ogni forma di musica: opera, sinfonia, concerto, musica da camera, vocale, pianistica, corale, tutto. Fu il miglior pianista e organista d'Europa e il direttore piú bravo. Se si fosse applicato, avrebbe anche potuto diventare il violinista migliore. Non c'era in realtà niente, in fatto di musica, che non potesse fare meglio di chiunque altro. Era capace di buttare giú un brano complicato mentre aveva in mente un'altra composizione; era capace di pensare tutto un quartetto per archi e di scrivere le singole parti prima di preparare la partitura completa; sapeva leggere perfettamente a prima vista qualsiasi musica gli venisse messa sott'occhio; riusciva a trascrivere nota per nota un lungo brano musicale dopo il primo ascolto. Visse trentasei anni appena, dal 27 gennaio 1756 al 5 dicembre 1791, e in quel breve lasso di tempo lasciò al mondo una musica che oggi brilla ancora dello stesso splendore degli ultimi anni del diciottesimo secolo.
Mozart fu uno dei bambini prodigio piú sfruttati della storia della musica, e ne pagò il prezzo. È ben raro che i bambini prodigio, una volta cresciuti, riescano a vivere una vita normale. Si sviluppano coltivando un particolare talento a spese di tutti gli altri, trascorrono il loro tempo quasi esclusivamente con gli adulti, la loro educazione generale è trascurata, ricevono troppe lodi. Vivono cosí un'infanzia deformata, e quasi sempre questo porta a una vita adulta deformata. La tragedia di Mozart fu che egli crebbe affidandosi in tutto e per tutto al padre e non seppe far fronte alla società e alla vita. Questo fatto era generalmente riconosciuto già ai tempi suoi. Nel 1793 Friedrich Schlichtegroll, il suo primo biografo, scriveva: « Se questo essere eccezionale diventò uomo prestissimo per quanto riguarda la sua arte, in quasi tutte le altre cose rimase sempre - l'osservatore imparziale deve dirlo - un bambino. Non imparò mai a amministrarsi. Non ebbe idea di quello che è l'ordine domestico, l'amministrare saggiamente, la moderazione e la saggia scelta dei piaceri. Sempre gli occorse una mano che lo guidasse ». Cinque anni dopo, in una biografia del 1798 Franz Niemetschek scrisse: « Quest'uomo, eccezionale come artista, non fu altrettanto grande nelle altre faccende della vita ». Gli uomini che scrissero queste osservazioni non erano ipocriti; non disapprovavano Mozart perché non era vissuto nel rispetto delle convenzioni. Sapevano semplicemente ciò che molti altri sapevano, e cioè che Mozart fu il peggiore nemico di se stesso.
Che Mozart fosse un musicista veramente eccezionale. nessuno l'avrebbe contestato, ai tempi suoi. A tre anni suonava già dei motivetti sul piano. Aveva un orecchio cosí delicato che i suoni troppo forti lo facevano soffrire fisicamente. E nell'intonazione non fu soltanto delicato, ma perfetto. A quattro anni era già in grado di dire ai musicisti adulti che i loro violini erano stonati di un quarto di tono. Sempre a quattro anni imparava un brano musicale in mezz'ora. A cinque suonava il piano con una bravura da sbalordire. A sei cominciò a comporre e il padre Leopold lo portò in tournée con la sorella Marianna (Nannerl). Nannerl, che aveva cinque anni piú di Wolfgang, era anche lei una bambina prodigio, anche se non dotata come il fratello. Leopold era buon musicista, violinista, vice-Kapellmeister della corte arcivescovile di Salisburgo e autore di un famoso trattato sul violino. Ma non aveva avuto un grande successo ed era deciso a fare di tutto perché quel genio del figlio si assicurasse il miglior posto possibile e, già che c'era, riempisse le casse della famiglia. Leopold voleva una vecchiaia sicura, e in seguito non cessò di additare questo obiettivo anche al figlio.
Cosí, dai sei anni in poi, Wolfgang, proprio negli anni formativi, viaggiò continuamente, esibito alle corti d'Europa, alle dotte accademie musicali, al pubblico. Diventato adulto fece altre tournées di concerti, col risultato di trascorrere quattordici dei suoi trentasei anni di vita lontano da casa. Da un certo punto di vista, non furono anni sprecati. Venne in contatto con tutti i musicisti piú importanti del tempo e con ogni tipo di musica, e coll'incredibile capacità di assorbimento che gli era propria ne fece tesoro. Il suo nome era su tutte le bocche, specialmente quando sbalordiva l'Europa con fantastiche imprese di bambino prodigio. La comunità musicale e scientifica scrisse su quel favoloso ragazzo un fiume di dotti articoli. Quando suonò a Parigi, non ancora settenne, il barone Friedrich Melchior von Grimm, che scriveva sulla
Correspondance Littéraire " impazzi d'entusiasmo. Mozart era ricorso a qualcuno dei trucchi che il padre aveva escogitato per lui, come suonare un piano con la tastiera coperta da un panno (la qual cosa non è poi molto difficile, ma è calcolata pour épater le bourgeois), leggere a prima vista, improvvisare, armonizzare melodie appena sentite, dando prova del suo orecchio assoluto, e cosi via. « Non sono sicuro, » scrisse Grimm « che questo bambino non mi faccia uscire di senno, se torno a sentirlo spesso; mi fa capire quanto sia difficile difendersi contro la pazzia, assistendo a un prodigio. Non mi sorprende piú che San Paolo abbia perduto la testa dopo la sua straordinaria visione. » Tutta l'Europa risuonava di lodi per questo meraviglioso fanciullo.
Un musicista provvisto di quelle doti non avrebbe avuto difficoltà a trovare un posto lucroso. Ma Mozart non ci riuscí mai, pur cercandolo tutta la vita, preferibilmente a corte e con uno stipendio cospicuo e sicuro. Crescendo, diventò un uomo complicato con una personalità complicata e un'abilità senza precedenti a farsi dei nemici. Era assolutamente privo di diplomazia, parlava impulsivamente, diceva quello che pensava degli altri musicisti (e di rado aveva da dirne bene), tendeva ad essere arrogante e schizzinoso e si fece pochi, veri amici nella comunità musicale. Aveva fama di essere frivolo e scervellato, capriccioso, ostinato. Noi, oggi, possiamo considerare con simpatia tutto ciò. Era Mozart; era veramente migliore di tutti i musicisti suoi contemporanei; sapeva veramente riconoscere le mediocrità che lo circondavano (e anche i grandi: per Haydn ebbe solo rispetto) e nei giudizi musicali non sbagliò mai. Ma tutto ciò non gli rese più facile la vita. Per di piú, fisicamente non era quel che si dice affascinante. Molto basso, con il volto dal colorito giallastro, butterato dal vaiolo; la testa troppo grossa per un corpo cosí esile. Era miope, aveva occhi azzurri piuttosto sporgenti, una folta chioma, naso robusto e mani grassottelle. (Quasi tutti i pianisti hanno avuto mani grassottelle con palme larghe e grande apertura tra pollice e indice. L'idea romantica che la mano di un grande pianista debba essere lunga, affilata e bella raramente trova riscontro nella realtà).
Per molti anni Mozart lottò per sottrarsi al controllo prepotente del padre. Tutta la storia dei rapporti tra i due dev'essere ancora raccontata da uno psichiatra capace, che capisca nello stesso tempo la musica e i tempi di Mozart. Leopold non era un uomo complicato. Era intelligente ma privo di fantasia e ostinato: un individuo preciso, pedantesco, bene organizzato, cauto, prudente e piuttosto avaro. Buon musicista, capi subito che il figlio era un genio; ma, con grande dolore, scopri anche che crescendo si rivelava impreparato ad affrontare la vita da pari a pari: perlomeno, la vita come la concepiva Leopold. Wolfgang, che in quei primi anni si era sempre affidato al padre, parve crollare quando gli venne meno quel puntello. Forse c'era in lui del risentimento inconscio. Forse voleva esprimersi come essere umano e non sapeva come fare. Forse era inevitabile che si sfrenasse, una volta liberato dalle redini. Quale che fosse il motivo, si rivelò come l'esatto contrario del padre: facilone, socievole, indisciplinato e influenzabile.
Leopold bombardava il figlio di saggi consigli. Rispetta il denaro. Non fidarti degli estranei. Non uscire mai di notte. Fai i tuoi piani prima di agire. Coltiva la gente giusta. Comportati con dignità. Ma se in Leopold c'era parecchio di Polonio, Wolfgang era Amleto con un bel po' di Micawber. Era eternamente indeciso e non sapeva cogliere le occasioni buone. Ma questo non lo preoccupava. Tutto si sarebbe aggiustato. Domani. Con Wolfgang era sempre domani. « A poco a poco la mia situazione migliorerà. » Scriveva sempre cosí al padre, ma i suoi sogni non si realizzavano mai. Ma che tormento era Wolfgang per Leopold! Buttava via il denaro, sprecava il suo talento, frequentava le persone sbagliate, non imparava a giudicare la gente. Ogni tanto Leopold gli scrive ammonendolo a guardarsi da quella sua facilità a simpatizzare con tutti. « Gli uomini sono malvagi! Piú invecchierai e piú frequenterai la gente, piú ti renderai conto di questa triste verità. » E implora Wolfgang di non farsi cosí facilmente intrappolare dalle adulazioni.
Ma Wolfgang continua a vivere alla sua maniera sventata. Probabilmente ha paura del padre. Certo è che le sue lettere sono evasive. Tutto si accomoderà presto. Sí, è vero, ha perduto del denaro. No, non ha fatto un buon contratto. Ma ha delle prospettive, delle grandi prospettive. Invano Leopold ammonisce che « le parole adulatrici, le lodi, le grida di “Bravissimo” non pagano né i mastri di posta né i padroni di casa. Perciò appena ti accorgi che non c'è modo di guadagnare, parti subito ». Spesso Leopold perde le staffe, specialmente quando Wolfgang gli scrive lettere vaghe, zeppe di virtuosi moralismi. « Al diavolo quelle tue frasi da oracolo e tutto il resto! » Leopold non vuol sapere che cosa ne pensa il figlio della vita. Vuol sapere se c'è in vista a no un buon posto, vuol sapere dove sono andati a finire quei ducati d'oro. Si preoccupa anche che le disinvolte abitudini sociali di Wolfgang lo rendano ridicolo. Soprattutto lo ammonisce di tenersi lontano dai musicisti! Sono agli ultimi gradini della scala sociale ed essere loro amici non rende. Tra i musicisti, certo, ci sono anche compositori importanti come Gluck, Piccinni e Grétry. Con questi, essere cortese e basta. « Puoi sempre essere perfettamente naturale con le persone di alto rango, ma con tutti gli altri comportati da inglese. Non devi essere cosí sincero e aperto con tutti. » Il povero Wolfgang probabilmente si spazientiva quando arrivava una lettera del padre. Brontolamenti, e nient'altro. Ovviamente, Leopold agiva con le migliori intenzioni del mondo. « Scopo dei miei ammonimenti è fare di te una persona onorevole. Sono milioni e milioni coloro che non hanno ricevuto l'immenso dono che Dio ha fatto a te. Che responsabilità! E che vergogna se un genio cosí grande dovesse naufragare! »
Ma tutto questo servi soltanto ad allontanare il figlio dal padre. Leopold non poteva cambiare i suoi principi; e Wolfgang, spinto da un genio musicale che esigeva un certo tipo di evoluzione, non poteva essere quel tranquillo, laborioso e parsimonioso borghese che il padre desiderava cosí ardentemente diventasse. Leopold rappresentava l'aurea mediocrità. Come poteva un Wolfgang Amadeus Mozart, che aveva dentro di sé i sogni del Don Giovanni e del Concerto per piano in do minore, ispirarsi a una prudente, aurea mediocrità? Perciò Leopold capi e non capi il figlio. Del suo carattere vedeva soltanto i difetti, e non riusciva a trovar contatto con un genio che era molto al di là delle sue capacità di comprensione. Non intuiva l'estrema sensibilità del figlio, non capiva che aveva bisogno enorme di incoraggiamento, di sim¬patia e di sostegno, e non di prediche e di lezioni. Certo, aveva quei difetti di carattere che Leopold non cessava di rammentargli. Ma molti di questi difetti si possono far risalire all'infanzia innaturale che gli fu imposta dal padre. E cosí i due, padre e figlio, si tormentarono reciprocamente in un classico rapporto di odio-amore, Leopold avrebbe toccato il cielo col dito se il figlio si fosse sistemato a Salisburgo come musicista di corte. Un posto del genere significava la sicurezza. Wolfgang, invece, detestava anche la sola idea di Salisburgo e di tutto ciò che aveva a che fare con quella città. Conosceva le proprie capacità e sapeva che in un piccolo centro di provincia erano sprecate. Non era tipo da combattere contro il mecenatismo. Quasi tutti i compositori avevano un datore di lavoro: la chiesa, la corte, un ricco protettore. Ma voleva un mecenate provvisto dell'immaginazione e dei mezzi necessari per permettergli di sfruttare le idee che gli tumultuavano in testa. Non avendolo trovato cercò di realizzare i suoi obiettivi artistici da solo, e fu tra i primi musicisti della storia a fare un passo cosí significativo, che richiedeva decisione e coraggio. Artisticamente riuscí, ma mori povero. In tutte le sue lettere, in mezzo a tante cose prive di senso c'è il ritratto di un creatore che si è assegnato una meta e intende raggiungerla. E si tenne sempre fedele a questa sua visione. Poteva comporre su ordinazione (e lo fece), poteva scrivere musica evasiva, ma non poteva scrivere musica mediocre. Mozart non si prostituí mai.
Le sue lettere sono sorprendenti, e costituiscono una lettura meravigliosa. Sono rivelatrici. Viaggiando molto, i Mozart si tenevano costantemente in contatto per lettera. Dapprima, ovviamente, era Leopold a scrivere a casa. Ma poi, diventato grande, fu Wolfgang a impugnare la penna. Le lettere permettono di ricostruire la sua vita e il suo pensiero: quelle lettere cosí complesse psicologicamente, cosí brillanti, cosí piene di acute osservazioni e scritte con tanta vivacità; quelle lettere nervose, piene di smargiassate; quelle ultime lettere, cosí tristi, quando si era ridotto a mendicare in maniera tanto degradante un prestito. Mozart aveva una grandissima intelligenza. Nelle lettere giovanili è fanciullesco e affettuoso: « Bacia 100.000.000 di volte le mani di mamma per me ». Poi ci sono quelle esuberanti e piene di ottimismo alla sorella. « Se vedi Herr von Schiedenhofen » - un amico di famiglia - « digli che canto sempre " Tralaliera, Tralaliera " e che non ho bisogno di mettere zucchero nella mia zuppa ora che non sono piú a Salisburgo. » Aveva quattordici anni quando scriveva queste parole ed era già un esperto veterano di tournées musicali. Non smise mai di viaggiare. Ci sono lettere a Salisburgo da Vienna, Monaco, Coblenza, Francoforte, Bruxelles, Parigi, Londra, Lione, Milano, Bologna, Napoli, Venezia, Innsbruck, Mannheim. Faceva sempre musica, ascoltava musica, parlava con i musicisti. Già a tredici anni, quando cominciò a comporre, era completamente maturo. Era già un professionista completo, e lo dimostra l'analisi di una rappresentazione tenutasi a Mantova nel 1770: « La prima donna canta bene, ma piano; e se non la si vedesse gestire non ci si accorgerebbe che sta cantando. Non sa aprir la bocca, e canta tutto piagnucolando ... La seconda donna a vederla pare un granatiere e ha infatti una voce robusta, e devo dire che non canta male ... Il primo uomo, il musico, canta bene, benché abbia una voce discontinua ». Da Bologna manda a casa una lettera in cui riporta, nota per nota, una cadenza cantata dalla soprano Lucrezia Agujari (che, dice, era arrivata a un do oltre il do di petto).
Nel 1777 Wolfgang parti per un lungo giro in compagnia della madre. Lo scopo era trovare un buon lavoro. Fu il primo viaggio senza il padre, e perciò il primo assaggio dell'indipendenza. Continuava a venirsene fuori con proposte quanto mai irrealizzabili, facendo impazzire il padre. In queste lettere da Monaco, da Mannheim e da Parigi spira aria di smargiassata; e poiché i progetti fallivano uno dopo l'altro, le smargiassate aumentavano. A Mannheim fece amicizia con la famiglia Weber. Non erano certo persone che potessero piacere a Leopold. Avevano pochi soldi, vivevano da bohémiens ed erano stati implicati in affari poco chiari e in processi. Il padre, Fridolin, era cantante, un basso, suggeritore e copista di musica al teatro di corte. Poi c'erano la madre, un figlio maschio e quattro figlie femmine. Alovsia Weber, che aveva diciotto anni quando Mozart la conobbe, aveva una bella voce e un futuro promettente come cantante d'opera. Se ne innamorò. Perfino la madre di Mozart, anima gentile, protestò. « Quando Wolfgang conosce persone nuove, vorrebbe immediatamente dare loro la vita e i beni. » L'ardente amicizia tra Mozart e i Weber fu temporaneamente interrotta quando Wolfgang e la madre ripartirono per Parigi. La madre mori in quella città nel 1778; Mozart dovette comunicare la notizia al padre, e lo fece con molta cautela. Ma il vecchio non si lasciò ingannare. Appena lesse la lettera in cui il figlio gli diceva che la mamma era molto malata, ebbe subito la sensazione che fosse morta.
Mozart non aveva piú motivo di restare a Parigi e tornò a Salisburgo, nel 1779, dopo essersi fermato a lungo dai Weber a Monaco. Aloysia era diventata prima donna al teatro dell'opera di quella città, e le cose si stavano mettendo bene per lei e per i suoi. Quando finalmente arrivò a casa, Mozart era molto abbattuto. Aloysia lo aveva piantato. Aveva un pesce piú grosso nella rete. No, a Salisburgo c'era ben poco che potesse rendere felice Mozart. Già da Parigi aveva mandato al padre una sorta di dichiarazione di indipendenza: « Un individuo di mediocre talento resterà una mediocrità, che viaggi o no ... ma uno dotato di un talento superiore (e senza immodestia non posso negare di possederlo) è sprecato se resta sempre nello stesso posto. Se l'arcivescovo si fidasse di me, renderei ben presto famosa la sua orchestra; di questo non c'è dubbio ... Ma c'è ancora una cosa che devo sistemare a Salisburgo, e cioè io non resterò a suonare il violino come una volta. Non voglio fare piú il violinista. Voglio dirigere al piano e accompagnare le arie ».
A Salisburgo Mozart si sistemò a corte come organista, ma la cosa gli pesava. Era sempre di malumore, rissoso e insubordinato. « Addomesticherò l'arcivescovo, e come mi divertirò! » Non era l'atteggiamento adatto a renderlo caro alla corte arcivescovile. Ma per quanto annoiato e abbattuto, continuò a comporre. A questo periodo appartengono le prime grandi opere della sua giovane maturità. Fino allora aveva scritto musica fluente e magistralmente costruita, ma niente di particolarmente impressionante. Ma adesso vennero la Messa dell'incoronazione e altre belle composizioni sacre, il grazioso Concerto in mi bemolle per due pianoforti e l'altrettanto graziosa Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra. Di colpo Mozart era diventato un grande maestro. Ebbe addirittura commissionata un'opera importante, l'Idomeneo, rappresentata a Monaco nel 1781. Si tratta di un'opera seria, su modello gluckiano e metastasiano. È generalmente fredda e formale, ma contiene pagine magnifiche, tra cui un quartetto vocale che è tra le cose sue piú profonde e ricche di fantasia. L'Idomeneo non è mai stata tra le opere piú popolari di Mozart. Nel diciannovesimo secolo e in gran parte del ventesimo è rimasta fuori repertorio. Ma negli anni recenti è stata ripresa da molti teatri d'opera.
L'anno dell'Idomeneo fu anche l'anno della, rottura con l'arcivescovo, il cui segretario, il conte Karl Arco, affrettò la partenza di Mozart con una pedata nel sedere. Mozart giurò vendetta, ma a distanza di sicurezza. « Sento di dovergli assicurare per iscritto che può cori fiducia aspettarsi da me un calcio nel sedere e per sovrappiú anche qualche ceffone. Perché quando sono insultato, devo vendicarmi. » Naturalmente non scrisse mai questa lettera. Il povero Mozart non aveva la stoffa dell'eroe.
Dopo le dimissioni, si stabili a Vienna. Non aveva denaro e pregò il padre di non aggravare le sue preoccupazioni scrivendogli lettere sgradevoli. A Vienna c'erano anche i Weber e Mozart andò ad abitare da loro. Il 15 dicembre 1781 scrisse una lunga lettera al padre. Dopo un incredibile preambolo sulla necessità di un giovane di prendere moglie, annunciò che era innamorato: « E ora, chi è l'oggetto del mio amore? Non una Weber, certamente? Proprio, una Weber! Ma non Josepha, non Sophie, ma Constanze, la mediana ... Non è brutta, ma è tutt'altro che bella. La sua bellezza consiste in due piccoli occhi neri e in una figura armoniosa. Non ha una intelligenza brillante ma ha abbastanza buon senso per adempiere ai doveri di moglie e di madre ... ». I peggiori timori di Leopold si erano avverati: dovette provare una gran rabbia impotente. Il figlio intendeva sposare una ragazza senza un soldo e appartenente a una famiglia di dubbia moralità. E infattii si sposarono, nell'agosto 1782. Constanze si rivelò frivola e civetta, cattiva amministratrice e incapace di aiutare il marito. Ma lui le volle bene, e pare che il matrimonio fosse felice, anche se Leopold non lo fu. Dopo il 1782 i rapporti tra Wolfgang e la famiglia paterna si raffreddarono notevolmente.
Per un po', le cose parvero mettersi bene. Mozart ebbe allievi e commissioni. L'opera Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) ebbe un successo incontrastato, quando fu presentata al Teatro nazionale, nel 1782. Seguirono un capolavoro dopo l'altro, in tutte le forme musicali. Nel 1786 conobbe Lorenzo da Ponte, poeta dei teatri imperiali, e dall'incontro nacquero tre grandi opere, Le nozze di Figaro (1786), Don Giovanni (1787), e Cosí fan tutte (1790). Le prime due ebbero un successo immediato a Praga e Mozart ottenne i piú nutriti applausi della sua vita. Quanto gli piaceva il successo! Il 2 dicembre 1787 fu nominato Compositore di camera dell'imperatore Giuseppe II, con uno stipendio di 800 gulden (contro i 2000 ricevuti da Gluck). A un calcolo approssimativo (le conversioni da una moneta all'altra hanno carattere di semplice congettura, a due secoli di distanza), 800 gulden ai tempi di Mozart equivalevano a circa 600.000 lire di oggi. Mozart accettò il titolo, ma era disgustato. « È troppo per quello che faccio, troppo poco per quello che potrei fare. » La questione dei guadagni di Mozart non è mai stata analizzata a fondo. Come compositore di opere di successo e acclamato virtuoso di piano, dovette guadagnare molto. Per quanto ne sappiamo guadagnò parecchio, ma nessuno sa realmente quanto. In ogni modo, se fece parecchio denaro lui e Constanze lo scialacquarono. Era sempre in movimento: cambiò casa undici volte in nove anni. Si fece massone. Negli ultimi anni della sua vita era sempre a corto di denaro e continuava a chiedere prestiti all'amico e compagno di massoneria, il ricco mercante Michael Puchberg. Generalmente Puchberg lo accontentava, pur sapendo, probabilmente, che non sarebbe mai stato ripagato. Nel 1788 Mozart gli chiese 2000 gulden per un anno o due « a un giusto interesse ». Ma se questo l'incomodava « allora vi prego di prestarmi fino a domani almeno un paio di centinaia di gulden perché il mio padrone di casa in Landstrasse è stato cosí importuno che per evitare incidenti spiacevoli ho dovuto pagarlo immediatamente, e questo mi ha messo in grosse difficoltà ». Più tardi le richieste diventarono quasi isteriche. Nell'ultimo anno di vita Mozart compose Die Zauberflöte (Il Flauto magico) che fu rappresentato per la prima volta il 30 settembre 1791, e che ebbe subito grande successo, fruttandogli presumibilmente del denaro. Ma una malattia renale, in un fisico logorato dal lavoro eccessivo, lo portò a prematura morte. Gli furono fatti i funerali più economici per quei tempi e venne seppellito non nella fossa dei poveri, come vuole la leggenda, ma in una fossa comune senza lapide nel cimitero di San Marco. Oggi nessuno sa dove riposano le sue ossa.
La musica di Mozart riesce insieme facile e difficile all'ascolto: facile per la grazia, l'infinita melodiosità, la chiara e perfetta struttura formale; difficile per la profondità, la sottigliezza, la passionalità. Sembrerà strano che si dica, di un compositore che cominciò a scrivere a sei anni e ne visse soltanto trentasei, che maturò tardi, ma è la verità. Poche composizioni, tra le sue prime, hanno per quanto eleganti, la personalità, la concentrazione e la ricchezza che caratterizzarono la sua musica dopo il 1781 (l'anno, e questo è significativo, della rottura definitiva con Salisburgo). Certe cose, come la piccola Sinfonia in sol minore (K. 183), con la sua teatralità piena di Sturm und Drang, o come la Sinfonia in la maggiore (K. 201) e quella in do maggiore (K. 338), fanno eccezione. (La « K » che si trova dopo il titolo delle opere di Mozart si riferisce all'enumerazione di Ludwig Köchel, che nel 1862 fece un catalogo cronologico completo delle sue composizioni.) Ma il 1781 segna il periodo della maturità, e dopo quell'anno tutto, praticamente, ciò che scrisse è nell'ordine del capolavoro.
A Vienna Mozart si trovò a suo agio, come se gli fosse stato tolto un grosso blocco psicologico. Cominciò a scrivere musica di una profondità, una sicurezza, una vivacità e una forza di gran lunga maggiori. Non tutti l'ammiravano. C'era chi la trovava ampollosa, troppo complicata, difficile a seguirsi. Perfino un professionista come Karl Ditters von Dittersdorf (1739-1799), eminente violinista e compositore che nel complesso ammirò Mozart, ne fu sconcertato. La sua mentalità convenzionale fu scossa, addirittura turbata; scrisse infatti: « Non ho mai conosciuto compositore che avesse cosí stupefacente ricchezza di idee. Vorrei quasi che non ne fosse stato cosí prodigo. Lascia l'ascoltatore senza fiato, perché si è a malapena riusciti ad afferrare un bel pensiero che un altro ancor piú affascinante lo scaccia, e cosí sempre, per cui alla fine è impossibile ricordare una qualsiasi di queste belle melodie ». (Noi del ventesimo secolo, con dischi, radio e concerti in cui Mozart è un pezzo forte del repertorio, tendiamo a dimenticare che nel 1780 neppure un musicista di professione poteva avere la certezza, quando sentiva un pezzo, che la prima volta non sarebbe stata anche l'ultima. I concerti non erano molti. Un brano nuovo doveva essere afferrato subito. Probabilmente non lo si stampava neppure. Solo con Beethoven e i romantici un compositore ebbe la ragionevole sicurezza di veder pubblicate tutte le sue principali opere.) Dittersdorf non fu il solo ad avere delle perplessità. Altri giudicarono la musica mozartiana « troppo carica di spezie », troppo « discordante » e le sue opere troppo riccamente orchestrate. « Troppo bello per le nostre orecchie, e con troppe, troppe note, mio caro Mozart » disse Giuseppe II.
L'evoluzione musicale di Mozart fu condizionata dal padre e da compositori come Johann Schobert, K. P. E. Bach e J. C. Bach. Furono anni, quelli, in cui il giovane Wolfgang creò un fiume di musica scritta nello stile galante, graziosa, ben delineata, melodiosa, ma non straordinaria. Il primo compositore che significò veramente qualcosa per lui fu Haydn; il giovane studiò i suoi sei quartetti dell'op. 33 con molta attenzione, e li prese a modello della superba serie di quartetti composta tra il 1782 e il 1785. Pieno di gratitudine, dedicò i sei quartetti al maestro austriaco. « Ho imparato da Haydn come si scrivono i quartetti » disse. Quando Haydn li senti, in casa di Mozart a Vienna, reagí con la generosità che gli era propria. « Davanti a Dio e da uomo onesto » esclamò rivolgendosi a Leopold Mozart « vi dico che vostro figlio è il piú grande compositore che mi sia noto di persona o di fama. »
Poi si fece sentire l'influenza di J. S. Bach e di Haendel, ma specialmente del primo Mozart arrivò alla musica di Bach grazie all'entusiasmo del barone Gottfried van Swieten. Ambasciatore in Prussia, il barone aveva conosciuto la musica di Bach e aveva riportato a Vienna copia di molte sue opere. (Era un entusiasta ammiratore anche di Haendel.) Mozart fece amicizia con lui nel 1781 e l'anno seguente scrisse al padre: « Ogni domenica alle dodici in punto vado dal barone van Swieten, dove non si suona altro che Haendel e Bach ». I1 barone gli prestava le partiture. « Quando Constanze ha sentito le fughe se n'è innamorata. Adesso non vuol sentire altro ... Bene, avendomi sentito spesso suonare fughe di mia invenzione, mi ha domandato se non ne avevo messo mai qualcuna sulla carta; e quando le ho risposto di no mi ha rimproverato perché non ho preso nota di certe mie composizioni in questa che è la piú artistica e bella di tutte le forme di musica. » Fu dopo che ebbe conosciuto Bach che nella musica di Mozart entrò una struttura polifonica. La polifonia mozartiana non è quella bachiana, ma Mozart fu ispirato da Bach a introdurre tutti i tipi di espedienti contrappuntistici, utilizzati con assoluta sicurezza. Il culmine è l'ultimo movimento della Sinfonia Jupiter, in cui dei tempi contrastanti vengono schierati, imbrigliati e lanciati al galoppo sulla dirittura finale in una delle composizioni più splendide, vibranti e entusiasmanti della storia della musica.
L'opera mozartiana richiederebbe un libro a parte. Mozart si interessò all'opera tutta la vita. Cominciò a comporre opere a tredici anni con La finta semplice, alla quale segui una serie ininterrotta: Bastien und Bastienne (Bastiano e Bastiana), Mitridate e un'altra mezza dozzina fino a Idomeneo, del 1781. Nessuna di queste opere, tranne l'imponente Idomeneo, è in repertorio oggi, anche se di tanto in tanto ne viene resuscitata qualcuna. Le opere mozartiane rimaste nel repertorio dei teatri dell'opera di tutto il mondo sono Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) (1782), Le nozze di Figaro (1786); Don Giovanni (1787), Cosí fan tutte (1790) e Die Zauberflöte (Il flauto magico) (1791). Sono tutte commedie, compreso Don Giovanni, che Mozart definí dramma giocoso. Prima dei tempi suoi erano state scritte molte opere comiche, ma poco significative. Mozart fu il primo a farne qualcosa che superava il semplice divertimento. Ci riuscí perché amava la gente, perché aveva dentro di sé una vena gaia, traboccante, e perché cercò di fare in modo che la sua musica spiegasse stati d'animo, situazioni e caratteri. Fu il primo psicologo dell'opera.
Mozart capi la supremazia della musica. In una lettera al padre scrisse che « nell'opera la poesia dev'essere assolutamente figlia obbediente della musica ». Ma con questo non intendeva dire che il libretto non fosse importante. Dedicò molto tempo alla ricerca di libretti che funzionassero. Tenne alle opere piú che a ogni altra cosa. Al padre scriveva, nel 1778: « Non dimenticare quanto desideri scrivere opere. Invidio tutti coloro che le compongono. Potrei addirittura piangere di contrarietà, quando vedo o sento un'aria ». Nel 1781 si mise a lavorare al Ratto, e le lettere ci danno un'idea rivelatrice del suo metodo. Parla dell'aria di Osmino e spiega al padre che via via che la rabbia del personaggio aumenta, « viene (proprio quando sembra che l'aria stia per finire) l'allegro assai, in una misura completamente diversa e in una tonalità differente; dovrebbe risultare molto efficace. Infatti come un uomo al culmine della rabbia travalica i confini dell'ordine, della moderazione e del decoro e dimentica completamente se stesso, cosí anche la musica deve dimenticarsi. Ma come le passioni, violente o no, non devono mai essere espresse in maniera tale da suscitare disgusto. e la musica, anche nelle situazioni piú terribili, non deve mai offendere l'orecchio ma piacere all'ascoltatore, ossia, in altre parole, non deve mai cessare di essere musica sono passato dal fa (la tonalità in cui l'aria è scritta) non a una tonalità molto lontana, ma a una affine; non però la piú affine, il re minore, ma una piú lontana, il la minore.
Poi Mozart parla dell'aria di Belmonte, O wie ängstlich (« Oh, con quanta ansia »). « Ti piacerebbe sapere come ho espresso, e anzi dato un'idea del palpitare del suo cuore? Con le ottave suonate dai violini. È l'aria prediletta da tutti coloro che l'hanno udita, e anche da me. L'ho scritta espressamente in modo che si adattasse alla voce di [Johann Valentin] Adamberger. Si sente il tremore, la titubanza; si vede come il seno palpitante comincia a gonfiarsi, e questo l'ho espresso con un crescendo. Si sente il mormorare e il sospirare, e questo l'ho indicato con i primi violini in sordina e un flauto che suonano insieme. » In un'altra lettera, fa alcune riflessioni sull'opera in generale: « Perché le opere comiche italiane piacciono dappertutto, nonostante quei lamentevoli libretti, e perfino a Parigi, dove io stesso sono stato testimone del loro successo? Solo perché la musica vi regna suprema, e quando la si ascolta si perdona tutto il resto. Certo, un'opera ha il successo assicurato quando la trama è ben costruita, le parole scritte unicamente per la musica e non ficcate a caso qua e là per ottenere qualche miserabile rima ... La cosa migliore di tutte è quando un buon compositore, che capisce il teatro e ha abbastanza talento per dare buoni suggerimenti, incontra un poeta abile, questa autentica fenice ... ».
Mozart a quel tempo (1781) non lo sapeva, ma stava per incontrare tra breve la sua fenice. Lorenzo da Ponte (si chiamava in realtà Emanuele Conegliano), nato nel 1749, un prete italiano che era stato costretto a lasciare il suo paese a causa di uno scandalo. Avventuriero e intrigante, si stabili a Vienna e nel 1783 diventò poeta del Teatro di Corte viennese per l'opera italiana. (Mori nel 1838 a New York, dove fu il primo insegnante di italiano al Columbia College. Scrisse un'autobiografia nella quale non parla, quasi, di Mozart.) Da Ponte e Mozart collaborarono per adattare all'opera la commedia di Beaumarchais Il matrimonio di Figaro. È sorprendente che un'opera dal soggetto cosí esplosivo - la storia di un aristocratico beffato da un paio di plebei di cervello fino - potesse essere rappresentata. La commedia originale conteneva i semi della rivoluzione, e gli osservatori piú dotati di buon senso, come la baronessa d'Oberkirch, lo capirono. Vedendo gran signori e nobili dame ridere alla commedia di Beaumarchais la baronessa osservò: « Un giorno lo rimpiangeranno ». Forse Mozart si considerava segretamente un Figaro? Non è impossibile.
Il matrimonio di Figaro apre la porta a un nuovo mondo dell'opera. È un lavoro scintillante che ha personaggi veri e la musica li rappresenta per quelli che sono: amabili, vani, capricciosi, egoisti, ambiziosi, indulgenti, pronti ad amoreggiare. Esseri umani, insomma, cui dà vita l'alchimia di una mente musicale sorprendentemente ricca di inventiva e piena di simpatia. Nel Figaro non c'è una nota sbagliata, non c'è una situazione che appaia falsa. Cosí fan tutte, per esempio, ha una partitura che è al livello del Figaro, ma il libretto scritto dal Da Ponte è una farsa: una farsa con un significato profondo, è vero, ma nondimeno il libretto ha una costruzione abbastanza artificiosa. Si tratta di un'opera adorabile, che però non ha l'umanità di quella che la precedette. Analogamente Il Flauto magico, in cui molti vedono la quintessenza della musica mozartiana, ha un libretto fiabesco di Emanuel Schikaneder che è pieno di simbologia massonica ma che, letto a sangue freddo, si risolve in una sorta di mistero ingenuo e goffo quale mai funestò la scena dell'opera. (Il disegno generale era quello delle commedie spettacolari che erano assai popolari tra il pubblico viennese del tempo.) Sul Flauto magico sono state proposte teorie di ogni genere. Nel 1866 un certo Moritz Alexander Zille affermò che era un'opera allegorica contro Leopoldo Il che perseguitava i massoni: Sarastro rappresenterebbe cosí Ignaz von Born, capo della massoneria austriaca, la Regina della Notte l'imperatrice Maria Teresa, nemica della massoneria, Tamino il predecessore di Leopoldo, Giuseppe II, ospitale con i massoni. E cosí via. Sono state avanzate altre teorie: ma qualsiasi cosa vi si voglia leggere, il libretto è insipido e zeppo di incoerenze. Nondimeno al pubblico viennese piacque molto. Fu di gran lunga il piú grande successo mai ottenuto da Mozart.
L'opera mozartiana che piú piacque al romantico diciannovesimo secolo fu Don Giovanni: che è infatti la piú romantica delle opere di Mozart, poiché è la piú seria, la piú possente e la piú soprannaturale (ai romantici piacevano specialmente la scena del cimitero e l'apparizione finale del Commendatore). Molti considerano Don Giovanni la più grande opera mai composta. L'ouverture ne suggerisce già l'atmosfera. Con qualche accordo di settima diminuita e una scala di re minore Mozart crea un senso di ansietà, di intensità, di angoscia e di orrore incombente. Verso la fine dell'opera la scala riappare e all'ascoltatore si rizzano i capelli sul cranio. È un effetto colossale ottenuto con il piú semplice dei mezzi. Non c'è da stupirsi se i romantici l'apprezzarono tanto. L'opera aveva una sua morale, e anche questo piacque ai sentimentali romantici, anche se non la capirono bene. Ciò che fa del dissoluto, cinico, decadente e abbastanza insipido Don Giovanni un autentico eroe, e anzi un eroe moderno, è l'essere disposto a morire per i suoi principi. « Pentiti! » grida l'apparizione del Convitato. « No! » esclama Don Giovanni. « Pentiti! » « No! » e l'inferno si spalanca. Piú tarda, Carmen è un'eroina dello stesso genere. Sa che Don José l'ucciderà, ma questo conta meno che il fatto di cedere a un uomo che disprezza. Come Don Giovanni, muore per un principio.
Non soltanto nell'opera, ovviamente, brillò il genio di Mozart, ma in ogni forma di musica. Il concerto per piano è una forma musicale che egli sviluppò dandole un respiro sinfonico, e dopo il Concerto in mi bemolle (K. 271) non ce n'è uno che non abbia quel particolare tipo di eloquenza, finezza e virtuosismo: alcuni allegri e sereni, come quello in si bemolle (K. 595) o quello in la maggiore (K. 488), anche con l'elegiaco movimento lento; altri cupi e romantici, come quello in re minore; altri ancora classici e nobili, come quello in do minore.
Le opere della maturità di Mozart costituiscono un elenco ineguagliabile: il Quintetto per clarinetto, il Divertimento in mi bemolle, la Messa in do minore, incompiuta, e il Requiem, anch'esso incompiuto, i due quartetti per piano, gli ultimi dieci quartetti per archi, i cinque grandi quintetti per archi, la Sinfonia concertante per violino e viola, la Serenata per tredici fiati, le ultime sei Sinfonie, il Concerto per clarinetto, l'Adagio e Fuga in do minore. Queste opere formano un insieme a parte, in cui la forma, l'espressione, la tecnica e il gusto sono elevati a vette prima mai toccate.
Mozart parlava e scriveva continuamente di « gusto » e per i musicisti che indulgevano agli effetti volgarotti o ruffianeschi non aveva che disprezzo. Ecco perché giudicò duramente il pianista Muzio Clementi - « un ciarlatano » - propenso a impressionare il pubblico con la sua tecnica, con le sue doppie terze, le sue ottave e i suoi virtuosismi. (Al giudizio di Mozart non fu forse estranea la consapevolezza che Clementi aveva un'abilità d'esecuzione pari alla sua, e forse maggiore.) Mozart fu un apostolo della proporzione. Questo non significa sterilità o inibizione, perché fu compositore estremamente pratico, attento all'effetto di un brano quanto Verdi o Liszt. Compose i concerti per piano per esibirsi il piú possibile e alcuni passaggi francamente virtuosistici furono calcolati per fare impressione al pubblico profano e sui competenti. Parlando dei concerti in si bemolle (K. 450) e in re (K. 451) disse che li considerava entrambi « buoni per far sudare gli esecutori ». Analogamente, come compositore di opere non ebbe esitazioni a comporre un'aria su misura per una determinata voce, o a semplificare la musica se era necessario per adattarla al cantante: lo fece, ad esempio, per Anton Raaff nell'Idomeneo. Raaff si trovava a disagio con certi arrangiamenti, e fu ben lieto di accontentarlo. Ma ciò che distingue sempre la musica di Mozart sono le sue proporzioni e la sua giustezza: il suo gusto, se si vuole. Questo, e un fondo inesauribile di melodia unito a un senso armonico estremamente audace. Senso dell'armonia ben sviluppato, sensibilità per la modulazione: sono queste le cose che rivelano infallibilmente un compositore importante. È la mediocrità che non osa avventure, che non ha la fantasia o il coraggio di passare da una tonalità all'altra. È la mancanza di ricchezza armonica a rendere noiosa, oggi, tanta musica del diciottesimo secolo, con quella eterna armonia tonica-dominante. Bach ebbe fantasia armonica, e cosí Mozart. Le continue e inaspettate deroghe ai manuali contribuiscono a rendere la musica di Mozart cosí affascinante e sempre nuova. In un'opera come la Sonata per violino in bi bemolle (K. 481), il primo movimento tocca le tonalità di la bemolle, fa minore, re bemolle, do diesis minore, la maggiore e sol diesis minore. Alcune composizioni per piano degli ultimi anni, come l'Adagio in si minore hanno un tessuto armonico che anticipa Chopin, tanto è varia la struttura delle tonalità.
La musica di Mozart pubblicata in vita dell'autore fu relativamente poca: 144 composizioni in tutto, in buona parte musica di poco impegno. Lasciò una messe enorme di autografi e improvvisamente la vedova, che non gli era mai stata di grande aiuto da vivo, diventò un'affarista di prim'ordine, vendendo a ottimo prezzo le partiture ma conservando gli autografi. Grazie al grande successo del Flauto magico, ci fu un grande boom di Mozart, dopo la sua morte, e la sua musica fu eseguita in molte occasioni, anche se non sempre come gli sarebbe piaciuto. Il Flauto magico, per esempio, fu rappresentato nel 1801 a Parigi col titolo di Les Mystères d'Isis. Il testo fu cambiato, le armonie furono modificate e nella partitura vennero introdotti brani di altre opere di Mozart e perfino di sinfonie di Haydn. Ma per quei tempi non c'era niente di insolito in questo modo di procedere. Il concetto di fedeltà allo spartito stampato sarebbe venuto molto più in là, nel ventesimo secolo. In ogni_ caso, Mozart fu costantemente frainteso dal diciannovesimo secolo. Lo chiamarono il Raffaello della musica, e lo considerarono un compositore rococò, elegante e delicato, che poi, come per caso, aveva composto il Don Giovanni. L'umanità e la forza che animano la sua musica passarono in gran parte inosservate.
Mozart non si suonò moltissimo nel periodo romantico. Quando lo suonarono, io fecero con tutte le esagerazioni e gli orpelli del romanticismo: dinamica enfiata, fraseggiare super-legato, equilibrio offuscato dalla pesante coloritura della massa degli archi. Solo dopo la prima guerra mondiale si fece un serio sforzo per ritornare al tipo d'esecuzione dei tempi suoi. Ma la battaglia non è stata ancora vinta, perché le orchestre tendono ancora allo squilibrio, rovinando la delicata scrittura strumentale. Non è questione di dimensioni delle orchestre. Mozart, come tutti i compositori, si entusiasmava quando sentiva la sua musica suonata da un'orchestra con tanti esecutori, ma voleva che il direttore compensasse il numero aggiungendo strumenti di estensione bassa in modo da bilanciare i violini. Nel 1781 senti una sua sinfonia suonata da un'orchestra molto numerosa, e ne scrisse al padre esultante: « La sinfonia risultò magnifica e ebbe il piú grande successo. C'erano quaranta violini; gli strumenti a fiato erano tutti raddoppiati, c'erano dieci viole, otto violoncelli e sei fagotti ». (I1 corsivo è mio.) Il punto è che i direttori del ventesimo secolo sono ancora portati a perdere le sonorità, gli equilibri e gli adattamenti che Mozart aveva nelle orecchie; analogamente, nessun grande piano da concerto, dal suono brillante, con i suoi bassi rombanti e la sua forza senza limiti, può dare un'idea della musica per piano di Mozart, composta per un piano Walther leggero e dalla portata dinamica modesta.
Naturalmente è impossibile ripetere le esatte condizioni in cui Mozart sentiva suonare la sua musica. Prima di tutto il la è salito di mezzo tono rispetto al suo. Se, con l'orecchio che aveva, sentisse la Sinfonia in sol minore eseguita in una tonalità che per lui sarebbe sol diesis minore, ne soffrirebbe fisicamente. (I musicisti che hanno una struttura auricolare altamente organizzata soffrono sentendo una musica suonata nella tonalità sbagliata. Sentono nello stesso tempo tutt'e due le tonalità, a un semitono o quello che sia di distanza, ed è un'esperienza snervante.) Anche gli strumenti sono cambiati. Resta ancora un mistero quali fossero i tempi all'epoca di Mozart. Che cosa intendeva, esattamente, per allegro o andante? Un altro problema è quello dell'improvvisazione. Le parti riservate al piano, nei suoi concerti, sono poco piú che lo scheletro di ciò che faceva quando era alla tastiera. Il lento del concerto detto dell'Incoronazione ne è un buon esempio: è scritto in una sorta di stenografa, con singole note nell'alto e nel basso. Mozart, suonando, completava l'armonia e abbelliva la nuda melodia. Come tutti gli esecutori del tempo non solo improvvisava continuamente le cadenze ma abbelliva la linea melodica. È un errore avvicinarsi alla sua musica prendendo come verbo ogni nota stampata. Spesso essa rappresenta, o dovrebbe rappresentare, soltanto l'inizio. Se le recenti ricerche nella prassi dell'esecuzione del diciannovesimo secolo hanno dimostrato una cosa, questa è che i nostri padri erano interpreti molto piú liberi di quanto non siano disposti ad ammettere i musicisti del ventesimo secolo.
In ogni caso, la musica di Mozart oggi è stata riabilitata, in larga misura liberata dalle errate concezioni di altre epoche. L'ometto di Salisburgo fu un miracolo. Piú proteiforme di Bach, musicalmente píú aristocratico di Beethoven, può essere considerato il piú perfetto, il meglio dotato e il piú naturale musicista che il mondo abbia mai conosciuto.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Il%20prodigio%20di%20Salisburgo.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Mozart, il flauto e il clarinetto: due legni verso l’Ade (e ritorno)

 

E pensare che sulle prime li volevo sgridare (benevolmente, s’intende),i ragazzi dell’Ensemble Renoir! Sì, perché quando, dopo avermi comunicato il bellissimo programma mozartiano che oggi ascolteremo, mi fecero sapere di aver scelto per il loro ensemble il nome del noto pittore impressionista, il mio pignolo e insopportabile carattere mi suggeriva di far loro notare l’incongruenza tra un repertorio settecentesco e un eponimo ottocentesco. “Renoir? Che c’entra Renoir con Mozart?” volevo stuzzicarli con voce chioccia. Ma poi, pensandoci bene, non ho potuto che ricredermi, e considerare che effettivamente le caratteristiche del Quartetto con flauto K 285 e del Quintetto con clarinetto K 581  si prestano volentieri a questo simpatico anacronismo. I due strumenti a fiato inseriti nell’ensemble di archi conferiscono infatti alle due partiture quel particolare colore, quella particolare luce che ben possiamo chiamare impressionistica. Sì, è tutta questione di luce: quella soffusa, chiara e mattutina del flauto, semplice e sincera nella sua vibrazione purissima; e quella lunare, opaca, notturna del clarinetto che sembra voler nascondere la propria vera natura dietro una cascata di vibrazioni secondarie, gli armonici dispari che per i misteri dell’acustica quasi ne sovrastano anche il suono fondamentale; così che vien quasi da stabilire facili contrapposizioni: il flauto e il clarinetto come strumento “pari“e strumento “dispari”, o  “destro” e “mancino”, o “celeste” e “terreno” o insomma, per dirla tutta, “angelico” e “diabolico”. Ma al di là delle semplificazioni, sarebbe comunque interessante fare uno studio del catalogo mozartiano partendo proprio dall’uso di questi due strumenti, osservare come poco per volta in orchestra all’oro vermiglio di oboi e corni si aggiungano l’argento del flauto e l’ambra del clarinetto. Il flauto, il suono spensierato dello stile galante (e delle feste galanti di Watteau), la voce argentina che sprigiona da tubi argentati,  lo strumento preferito dai colti dilettanti del secolo dei Lumi, da Rousseau a Federico il Grande, il più semplice dei legni, pur nella moderna versione metallica a chiavi e a traversiere, sempre riconoscibile come la syrinx di Pan e di tutti i fauni; al flauto Mozart sembrerebbe voler dedicare solo alcune opere giovanili, in ossequio alla moda e alle richieste dei committenti, come per esempio il Quartetto K 285, scritto per il ricco amatore olandese De Jean. Ricco, ma alla fine dei conti insolvente: voleva due quartetti e tre concerti, ebbe un concerto in meno e con disinvolta applicazione delle proporzioni prese la  mancanza di un quinto a pretesto per pagare meno della metà: hai voglia a spiegargli che anche solo due note di Mozart valevano il compenso intero… Tanto più che il Quartetto K 285, pur mostrandoci ancora l’allegra frivolezza di una estetica cortese e galante, certo già irrobustita dal dinamismo della cosiddetta “scuola di Mannheim” , è opera la cui vitalità, la cui inesauribile vena melodica, le cui geniali trovate coloristiche (il movimento centrale in si minore, con quella melodia sospesa sul pizzicato degli archi, ci fa davvero respirare l’atmosfera dell’Elisio, tanto è dolce) si ricordano a lungo con ammirato entusiasmo. Ciononostante, come dicevo, l’interesse di Mozart per il flauto potrebbe sembrare solo un omaggio dettato da esigenze di mercato, se non fosse che è proprio il dolce e puro incanto di un flauto (magico) a guidare benevolmente Tamino e Pamina attraverso le prove iniziatiche imposte loro dal gran maestro Sarastro per renderli degni di seguire virtute e conoscenza. Occorre dunque approfondire l’argomento.
Per il clarinetto invece la passione di Mozart fu tardiva, ma intensissima: questo suono misterioso della musica reservata per i riti massonici,  voce dell’interiorità, la cui amplissima estensione ci mostra la luce fredda della luna alta in cielo e il brivido caldo del riflesso nel pozzo più  profondo , nero ebano che emana suoni funerei, fu il timbro che accompagnò il salisburghese nell’ultimo suo periodo creativo, partendo dalle sempre più frequenti apparizioni nell’organico dei concerti per pianoforte e orchestra, e pensiamo ad esempio alla Siciliana del concerto K 488, dove è il clarinetto, pur dialogante con altri strumenti, a dare il colore dominante di quella semplice e malinconica melodia elaborata a canone che nell’equilibrio formale dovrebbe essere episodio secondario, ma che quasi trasforma il precedente Solo in una introduzione al proprio doloroso incedere. E poi, complice l’amicizia con il clarinettista e fratello di loggia massonica Anton Stadler (sì, anche Mozart era massone, ma all’epoca la Massoneria era una cosa molto seria, un luogo privilegiato d’incontro e di discussione per uomini colti e colmi di virtuosi ideali, mica la P2…), il nero strumento diventa protagonista assoluto di tanti capolavori: il Trio K 498, detto “dei birilli” perché leggenda vuole sia stato composto durante una partita a tale gioco; la musica funebre massonica K 477, in cui appare anche quel suo  lugubre parente che è il corno di bassetto; e poi il concerto K 622, e ancora il quintetto K 581, del quale un secolo dopo Brahms cercherà di emulare non solo l’organico, bensì anche l’affabile, ininterrotto tono di conversazione. Ecco, una conversazione serena, tra amici che si intendono facilmente alla prima parola perché sanno di avere qualcosa di non detto, e che non c’è bisogno di dire, che li accomuna, che mai alzano la voce, e i cui motti sono sempre garbati, e arguti, anche quando si venano di malinconia, questo sembra essere il segreto del Quintetto K 581, forse legato al pretesto dolce-amaro che ne fu esca, un ricevimento prenatalizio per raccogliere fondi a favore delle vedove dei musicisti viennesi - come dire le meno allegre, economicamente parlando,  tra le vedove . In quell’occasione, e come già era avvenuto per il Trio K 498, accanto all’amico Stadler  Mozart stesso suonava la viola, e per questo strumento, solitamente gregario  con funzioni di ripieno armonico, troviamo nel Quintetto un breve, ma gustoso momento solistico: la variazione in minore del brillantissimo ultimo movimento affida ad essa la conduzione della parte principale, che certo è improntata a quella svagata malinconia che il modo minore sempre porta con sé, ma che si vena anche di una sottile ironia nel momento in cui il pur patetico inciso viene ripetuto ben oltre le consuetudini, se non della buona musica, delle buone maniere: forse l’Autore voleva parodiare, e siamo ancora alla similitudine con la conversazione, il tipo del noioso che si lamenta sempre; oppure, ed è l’ipotesi che preferisco, sottolineava con il consueto spirito il fatto che per lui, grande pianista, la viola era strumento sul quale evitare grandi esibizioni di virtuosismo, anche a costo di ripetere sempre la stessa frase?
Poco fa, parlando del flauto, ho accennato alla Zauberflöte; ora che sono sul coté del clarinetto, non posso non parlare della Clemenza di Tito, dove le ance montate sull’ ebano sono in continua vibrazione, anche per importanti interventi concertanti in due delle Arie più monumentali, quella di Sesto nel primo atto e quella di Vitellia nel secondo. E se fosse proprio un parallelo tra questi due estremi capolavori, Zauberflöte e Clemenza di Tito, a spiegarci il senso della presenza di flauto e clarinetto nella creatività mozartiana? Come tutti i grandi artisti, Mozart è stato anche creatore di miti; o meglio, il mito, si sa, non si inventa, giace negli strati più profondi dell’animo umano a formare quella sorta di inconscio collettivo al quale tutti attingiamo nel tentativo di interpretare la realtà; gli artisti, semplicemente, sanno meglio di tutti raccontare, elaborare questo comune sentire. Uno dei miti più ancestrali, forse il mito per eccellenza, è quello legato all’eterno, ciclico alternarsi di morte e rinascita, e pensiamo a un percorso che da Gilgamesh attraverso gli Orfici , i Pitagorici e  Platone , influenza lo stesso Cristianesimo, e giunge in epoche più recenti fino alle visioni della Commedia dantesca e del Faust di Goethe (ma l’elenco potrebbe essere assai più nutrito). E se volessimo inserire le due Opere mozartiane  in questo percorso, non  potremmo forse pensare alla Clemenza di Tito come a un viaggio nell’Ade, a una archeologia di passioni che quanto più sono violente tanto più sanno di essere ombra e polvere, accompagnati in questo aspro e forte cammino dai cinerei  timbri di clarinetto e corno di bassetto? E il Flauto Magico, non potrebbe apparirci come il riveder le stelle all’uscita dalla selva oscura, guidati dalla purezza di una voce mai venata da ambiguità? Ma a questo punto, se la mia ipotesi è plausibile, di nuovo mi tocca sgridare (sempre benevolmente, s’intende) i ragazzi dell’ensemble Renoir: perché non si sono ispirati ad Arnold Böcklin e alla sua Isola dei Morti?…

 

.Quando un corpo sonoro (corda, colonna d’aria o altro) entra in vibrazione, al suono fondamentale prodotto dalla vibrazione dell’intera lunghezza si aggiungono i suoni parziali risultanti dalla vibrazione frazionata del corpo stesso. Quindi, se numeriamo con 1 il suono fondamentale, avremo un secondo armonico corrispondente alla vibrazione della corda divisa a metà, e che corrisponde all’ottava superiore; un terzo armonico dalla vibrazione di un terzo della lunghezza, che intonerà un intervallo di dodicesima rispetto al fondamentale, e via via con frazioni decrescenti (1/4,1/5 ecc.). Nel suono del clarinetto percepiamo soprattutto gli armonici 3,5,7 ecc; nell’oboe soprattutto gli armonici 2,4,6 ecc; nel flauto predomina invece il suono fondamentale.

A Mannheim, allora capitale del Palatinato, si sviluppò a metà del ‘700 presso la corte del Principe Elettore una vivace scuola di musica strumentale, legata soprattutto al nome di J. Stamitz, alle cui caratteristiche di dinamismo, vitalità, simmetria si ispirarono tutti i successivi maestri del Classicismo, compresi Haydn, Mozart e il giovane Beethoven.

Protagonisti dell’Opera Die Zauberflöte (Il flauto magico)

Mitico re Sumero (circa 2700 a.c.) protagonista di una saga legata al mito dell’immortalità.

Setta mistico-filosofica che si sviluppa in Grecia attorno al VI secolo a.c., seguaci del mitico cantore Orfeo, protagonista di diversi miti sul tema della morte e della rinascita.

Seguaci del filosofo Pitagora di Samo (VI secolo a.c.); oltre che scuola filosofica, il pitagorismo fu anche corrente mistico-religiosa fortemente influenzata dall’orfismo.

In tanti suoi dialoghi, il filosofo Platone (V/IV secolo a.c.) ci descrive in termini di altissima poesia le mistiche visioni di immortalità dell’anima di orfici e pitagorici.

 

Luca Schieppati

Fonte: http://lkschieppati.altervista.org/scritti_musicali/Mozart.doc

 

Wolfgang Amadeus Mozart opere vita riassunto breve

 

 

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