Autismo

 


 

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Autismo

 

Storia dell’AUTISMO

 

Di Riccardo Grassi Ricercatore Istituto IARD di Milano

 

È solo da pochi anni che la psicopatologia grave della fanciullezza viene studiata con l’attenzione e l’importanza che merita, in quanto depositaria di numerose informazioni sui meccanismi psicomentali legati allo sviluppo dell’individuo.

E’ infatti solo dal 1980, con la pubblicazione del DSM-III (APA, 1980), che il disturbo autistico viene incluso in una classificazione diagnostica come entità clinica separata ed indipendente.   

La parola "autismo" deriva dal greco "autús" che significa "se stesso” e, come malattia o modello particolare di struttura psichica, si evidenzia drammaticamente per l’isolamento, l’anestesia affettiva, la scomparsa dell’iniziativa, le difficoltà psico-motorie, il mancato sviluppo del linguaggio.

Accanto a queste espressioni, di per se già disturbanti e fortemente disabilitanti, gli autistici dimostrano una importante incontinenza emotiva che si espleta con urla, corse afinalistiche, ipercinesie, a volte aggressività, angoscia e terrore.

Con la pubblicazione del DSM-IV il disturbo autistico viene inserito fra i disturbi generalizzati dello sviluppo, cioÉ fra quei disturbi caratterizzati da una grave e generalizzata compromissione in diverse aree dello sviluppo.

L’inclusione dell’autismo in questa categoria diagnostica può essere meglio compresa ripercorrendo a ritroso la storia dei tentativi classificatori della psichiatria di fronte alla complessità e varietà del disagio mentale.

Portare l'attenzione al percorso dello sviluppo del concetto di autismo e della sua definizione può risultare interessante per comprendere la complessità e polivalenza che oggi il termine "autismo" esprime.

Ad inizio secolo per formulare una diagnosi di psicopatologia di un bambino oppure di un adolescente ci si avvaleva di schemi diagnostici pensati e sviluppati per soggetti adulti e basati su una categorizzazione tripartita della patologia mentale, che comprendeva: schizofrenia, malattie affettive e nevrosi.

Il primo inquadramento diagnostico dei disturbi “psicotici” ad insorgenza molto precoce può essere attribuito a Krapelin, che aveva ricondotto tutti i casi di psicosi infantile al gruppo della demenza precoce.

Il termine autismo viene utilizzato per la prima volta nel 1908 da Eugen Bleuer (1857-1939), psichiatra svizzero tra i primi sostenitori dalla teoria psicoanalitica, per riferirsi ad una particolare forma di ritiro dal mondo, causata, comunque sempre, dalla schizofrenia.

Egli modificò, infatti, il concetto di schizofrenia individuandone un importante sintomo nel ritiro dalla vita sociale strutturata nel sé, come egli osservava negli adulti schizofrenici.

Secondo Bleuer (1908), l'autismo era caratterizzato da un restringimento delle relazioni con le persone e con il mondo esterno, così estremo da escludere qualsiasi cosa eccetto il SÈ proprio della persona.                                                      

Ma É solamente nel 1943 che Leo Kanner (psichiatra infantile) utilizzo il termine autismo per indicare una specifica sindrome da lui osservata in 11 bambini che chiamò autismo precoce infantile, e che ancora oggi, nella sua forma più classica, porta il suo nome.

Kanner descrisse i suoi pazienti come tendenti all’isolamento, autosufficienti, felicissimi se lasciati soli, “come in un guscio”, poco reattivi in ambito relazionale; la maggior parte di loro apparivano muti o con un linguaggio ecolalico, alcuni mostravano una caratteristica inversione pronominale (il “tu” per riferirsi a loro stessi e l’”io” per riferirsi all’altro), molti avevano una paura ossessiva che avvenisse qualche cambiamento nell’ambiente circostante, mentre altri presentavano specifiche abilità molto sviluppate (memoria di date, ricostruzione di puzzles, ecc.) accanto, però, ad un ritardo mentale generalizzato.

Kanner con lo studio degli undici bambini aveva ipotizzato "un'innata incapacità a comunicare" degli autistici quale causa di tale comportamento di chiusura.

Da tale prima ipotesi l'autore si allontanò negli anni seguenti.

Kanner e suoi collaboratori, partendo dall’analisi delle famiglie che si presentavano alla loro attenzione, fecero la deduzione avventata che i genitori (specie la mamma), troppo "freddi, distaccati e perfezionisti, privi di senso dell'umorismo e che trattavano le persone sulla base di una meccanizzazione dei rapporti umani", fossero, con il loro comportamento, la causa dell'autismo dei figli.

Kanner, però, non aveva tenuto conto che le famiglie che arrivavano alla sua attenzione non rappresentavano affatto la generalità delle famiglie con casi di autismo, ma solo una esigua parte di esse.

Dovevano passare più di trent'anni perché un ricercatore, Sanua, utilizzando una corretta metodologia statistica, potesse confutare la tesi del "genitore-frigorifero", "autismogeno".

L’autore comunque, già prima degli studi di Sanua, aveva ritrattato la sua ipotesi, rivolgendo le proprie scuse ai genitori dei bambini autistici per averli ingiustamente colpevolizzati.

Kanner, parlando di autismo infantile, scrisse: "…fin dal 1938, é giunto alla nostra attenzione un numero di bambini le cui condizioni differiscono cosÏ marcatamente e unicamente da qualsiasi altra riportata finora, che ogni caso merita - e, spero, eventualmente riceverà - una dettagliata considerazione delle sue affascinanti particolarità" (Trad. da L. Kanner, 1943).

In questo modo, per la prima volta, venne definito un gruppo particolare di soggetti, affetti da una sindrome particolare.

I casi di Kanner presentavano, nei primi anni di vita, disturbi che erano caratterizzati da:

 

  • ·        "an extreme autistic aloneness", nel senso di un rimanere mentalmente soli.

Kanner scrisse a proposito di Frederick, un suo paziente: "…se lo lasciavo solo egli si divertiva davvero... Non l'ho mai visto piangere per richiamare l'attenzione..."; la madre di Charles, un altro piccolo paziente di Kanner, disse: "Non riesco a 'raggiungere' il mio bambino ... Non mi presta attenzione o mostra di non riconoscermi quando entro nella stanza ... La cosa più impressionante é il suo distacco e la sua inaccessibilità ...";

  • ·        "an anxious obsessive desire for the preservation of sameness", osservata nella ripetizione di semplici movimenti o espressioni e pensieri; in elaborate routine; in una estrema  limitatezza di interessi.

"…Fino a un certo punto”, diceva la madre di Frederick, “gli piace rimanere attaccato alle stesse cose. Su una delle librerie di casa si trovavano tre pezzi in un certo ordine. Ogni volta che questo veniva cambiato, lo riportava sempre al vecchio ordine. Dall'età di sei anni riesce a contare fino alle centinaia e a leggere i numeri, ma non ha alcun interesse nei numeri se sono applicati agli oggetti ...".

A proposito di Virginia, Kanner diceva: "La bambina si divertiva per ore mettendo insieme le figure dei puzzle, unendoli fino a comporli …gradualmente ha mostrato una marcata tendenza verso lo sviluppo di uno speciale interesse che ha completamente dominato le sue attività quotidiane ..."; e a proposito di Charles: "Da quando aveva un anno e mezzo, ha iniziato a impiegare ore a far ruotare giocattoli e i tappi delle bottiglie e barattoli ...".

  • ·        la presenza di "islets of hability" quali una memoria meccanica eccellente, la capacità di ricordare strutture e sequenze complesse, un vocabolario stupefacente, fuorchÈ per l'uso dei pronomi.

Donald, come riferisce l’autore: "Era stato incoraggiato dalla famiglia a imparare e recitare poesie corte, e aveva imparato anche i Ventitré Salmi e le venticinque domande e risposte del Catechismo Presbiteriano ...".

E Charles: "Poteva distinguere diciotto sinfonie. Riconosceva il compositore non appena iniziava il primo movimento ..."; Elaine, invece: "Leggeva molto bene, ma leggeva velocemente, mescolando le parole, non pronunciando chiaramente, e non dando l'enfasi giusta. La quantità di informazioni che possedeva era davvero vasta e la sua memoria pressoché infallibile ...".

 

Kanner, diversamente da Bleuer, credeva che ”… questi bambini fossero giunti nel mondo con un’innata incapacità di formare il tipico contatto affettivo, biologicamente determinato, con le persone, proprio come altri bambini presentano innati handicap fisici o intellettuali".         

La longevità di Kanner gli permise di descrivere anche l'evoluzione a distanza della sindrome che da lui aveva preso il nome.

Gli stessi undici bambini oggetto del primo lavoro del '43 furono rivisitati oltre trent’anni dopo.

Purtroppo però quei soggetti non erano più bambini ripiegati su se stessi, con presunte buone potenzialità nascoste, ma gravi handicappati mentali adulti, in molti casi con elementi psicotici gravissimi.

Nella maggior parte dei casi si trattava di soggetti ora istituzionalizzati e totalmente dipendenti, con l'eccezione di pochissimi che erano sÏ autosufficienti e in grado di svolgere e mantenere un lavoro, ma con grandi disturbi delle capacità relazionali e di socializzazione.

Il dato iniziale ottenuto con questo primo studio di Kanner, circa la gravità della prognosi a distanza dell'autismo infantile precoce, venne successivamente riconfermato da un ulteriore studio dell’autore che prendeva in considerazione tutti i 96 soggetti diagnosticati come autistici, che aveva potuto osservare durante la sua lunga carriera.

 

Hans Asperger, quasi contemporaneamente a Kanner, ma indipendentemente da lui,  utilizzò il termine “autistichen psychopathen” (Asperger, 1944) per definire un disturbo che interessava una determinata popolazione infantile con sintomatologia in gran parte simile a quella descritta da Kanner per i suoi soggetti, ma con capacità cognitive nettamente superiori.

Asperger ipotizzò che, alla base del disturbo dei propri soggetti, ci fosse un disturbo nel contatto allo stesso profondo livello dell'affetto e/o dell'istinto.

L’autore, come Kanner, sottolineò le difficoltà nell'adattamento sociale dei suoi pazienti e osservò i loro interessi isolati.

Entrambi diedero particolare attenzione alle stereotipie motorie o linguistiche di questi bambini, cosÏ come alla marcata resistenza al cambiamento; entrambi furono impressionati da occasionali e stupefacenti prestazioni intellettuali di questi soggetti, in aree però molto ristrette.

I soggetti di Asperger erano caratterizzati da una forma di pensiero concreto, dall’ossessione per alcuni argomenti, dall’eccellente memoria e spesso da modalità  comportamentali e relazionali eccentriche.

I bambini affetti dalla Sindrome di Asperger possono diventare individui funzionanti ad alto livello, in grado di mantenere un lavoro, di essere ben inseriti nel contesto sociale e di vivere in maniera indipendente.

Asperger individuò però tre importanti aree nelle quali i suoi soggetti differivano da quelli di Kanner:

 

  • 1.                 linguaggio: i soggetti di Asperger avevano un eloquio scorrevole. Nei soggetti di Kanner, invece, non si aveva linguaggio o esso non era usato in maniera "comunicativa";
  • 2.                 motricità: nella opinione di Kanner, i bambini risultavano "impacciati" solo rispetto a compiti di motricità complessa; secondo Asperger essi lo erano in entrambi, motricità complessa e fine
  • 3.                 capacità di apprendere: Kanner pensava che i bambini mostrassero prestazioni più elevate quando apprendevano in maniera meccanica, quasi automatica; Asperger li descriveva invece come "pensatori astratti".

 

Nell'idea di Asperger e di Kanner ci si trovava di fronte, fin dalla nascita, a un disturbo importante che implicava problemi estremamente caratteristici.

Alla fine si configurarono due quadri diagnostici differenti: l'autismo di Kannere la Sindrome di Asperger, anche se la somiglianze tra le due sono notevoli tanto che HappÈ (1994) si chiede se per caso la sindrome di Asperger non sia piuttosto '' un'etichetta per tutte le persone autistiche con QI relativamente elevato''.

Nel ventennio successivo alle osservazioni di Kanner, anche grazie all'impostazione teorica di quest'ultimo, furono le teorie psicodinamiche il principale punto di riferimento nello studio dell'autismo.

Gli autori di impostazione psicodinamica indirizzarono i loro sforzi per indagare la possibilità che la sindrome autistica fosse dovuta ad una alterazione del rapporto madre-bambino.

Bettelheim (1967) fu uno dei primi autori a interessarsi a questo argomento sviluppando il concetto di “madre frigorifero” per descrivere un tipo di rapporto caratterizzato da carenza di contatto fisico, pratiche alimentari anomale, difficoltà nel linguaggio e/o nel contatto oculare con il figlio.

Nell’ottica dell’autore il bambino, percependo nella madre un desiderio (reale o immaginario) di annullarlo, verrebbe colto dalla paura di annientamento da parte del mondo, dal momento che questo é rappresentato proprio dalla madre, dalla quale si difenderebbe proprio con l'autismo.

L'autismo sarebbe perciò, in quest'ottica, un meccanismo di difesa.

Pur restando sempre alla base del modello psicodinamico, questo concetto subì delle modifiche in relazione ai sempre crescenti indizi che sembravano implicare un substrato biologico nella sindrome.

Già nel 1959 Goldstein propose di considerare l'autismo come un meccanismo di difesa secondario ad un deficit organico, '…'espressione di meccanismi di difesa messi in atto passivamente allo scopo di salvaguardare l'esistenza del malato in situazioni di pericolo e di angoscia insopportabili'' (1959).

A partire dagli anni '60 però le critiche al modello psicodinamico, accusato di colpevolizzare ingiustamente i genitori, si fanno sempre più forti.

I genitori di bambini con autismo infatti non mostravano tratti patologici o di personalità significativamente diversi da quelli di bambini non affetti.

Il primo autore a sostenere in modo sistematico che la causa della sindrome autistica non fossero i genitori, ma che il disturbo avesse una base organica É stato Rimland; per l’autore, infatti, l’autismo era causato da alterazioni morfologiche e funzionali a base organica.

Ne scaturì l'approccio organicista, che cercava d'individuare alterazioni organiche alla base della sindrome.

Nonostante la varietà di elementi raccolti congruenti con quest'ipotesi, non ne é stato ancora isolato uno in particolare che possa essere considerato come caratteristico di tutte le forme di autismo, tanto che attualmente si é portati a credere che non esista un ''unico autismo'', ma che in questa categoria siano invece comprese diverse patologie e manifestazioni sintomatiche provocate da diverse cause organiche.

Negli anni settanta M. Rutter (1978) specificò ulteriormente il quadro descritto da Kanner, individuando, attraverso uno studio comparato di bambini autistici e bambini con altri tipi di disturbo, alcuni sintomi tipici dell'autismo infantile.

Questi comprendono: un’incapacità a sviluppare rapporti sociali, una particolare forma di ritardo nello sviluppo del linguaggio con presenza di ecolalia e inversione pronominale e vari fenomeni rituali e compulsivi.

Rutter, inoltre, sottolinea che circa i tre quarti dei bambini con autismo hanno anche un ritardo mentale.

Sul finire degli anni '80 fu proposto anche un modello cognitivo basato sulla teoria della mente, proposta da Uta Frith.

L’autrice ipotizza che nell'autismo la disfunzione cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi consista in un'incapacità di rendersi conto del pensiero altrui, sarebbe, cioé, carente o assente proprio la teoria della mente.

Nel 1979 Wing e Gould distinsero tre diverse tipologie di persone affette da autismo: gli isolati, abbastanza simili ai pazienti descritti da Kanner; i passivi, soprattutto nei confronti dell'ambiente circostante; e i bizzarri, socialmente attivi, ma con comportamenti incongruenti e inconsueti.

Da uno studio degli stessi autori (1979) é emerso che disturbi della socializzazione, della comunicazione e dell'immaginazione hanno la tendenza ad apparire insieme piuttosto che in maniera isolata.

Dal momento che questa caratteristica é particolarmente evidente nell'autismo, da allora si preferì diagnosticarlo in base a queste tre aree sintomatiche.

Questo metodo di classificazione rischia perÚ di non tener conto di altri aspetti peculiari del disturbo, se pure non presenti nella totalità dei pazienti, quali le ''savant abilities'', le stereotipie, i comportamenti autostimolatori (come dondolarsi) e la preoccupazione ossessiva per il mantenimento dell'immutabilità degli ambienti o delle abitudini.

Il concetto di autismo ha dunque subito nel corso di mezzo secolo notevoli modifiche, come il passaggio da un'unica sindrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità crescente, ad uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi molto diverse.

Nelle classificazioni successive a quella di Kanner sembra intravedersi il tentativo di svincolarsi dalla sua classificazione e di abbandonare cosÏ la concezione che vede l’autismo inserito nel gruppo delle schizofrenie.

Nella nuova classificazione internazionale, infatti, l'autismo é compreso nei disturbi dello sviluppo, con una componente organica altamente probabile, anche se non ancora individuata con sicurezza.

Definire l’autimo come un disturbo generalizzato dello sviluppo, permette in ogni caso di “sdrammatizzare” l’ineluttabilità della malattia e di focalizzare l’attenzione sulla compromissione del processo di crescita del bambino, senza sviluppare vissuti di cronicità, impotenza e immodificabilità, che desta una diagnosi quale quella di schizofrenia

Data l'alta variabilità delle manifestazioni comportamentali ad esso associate, la classificazione del disturbo é divenuta sempre più generale.

Per questo motivo già nel DSM III-R (1987) venivano distinte tre principali aree di alterazione comportamentale (sul modello di Wing e Gould): interazione sociale, comunicazione e repertorio di interessi.

A tutt'oggi l'eziologia dell'autismo rimane sconosciuta ed é per questo motivo che i due manuali diagnostici più utilizzati continuano a basare i criteri di riconoscimento su indicatori comportamentali..

In quasi mezzo secolo di ricerche, si sono susseguiti alterchi e dibattiti, ma ancora oggi l’origine e lo sviluppo patogenetico dell’autismo non sono noti, anche se, da qualche tempo la maggior parte degli studiosi inizia a concordare sull’idea di una multifattorialità delle cause (psico-neuro-biologiche).

 

 

 

 

 

                                               CLASSIFICAZIONI

 

 

La classificazione americana del DSM-III-R (1987) per i disturbi dell’infanzia:

 

  • ·        Ritardo mentale (lieve, moderato, grave, gravissimo, non specificato) (in asse 2)
  • ·        Disturbi generalizzati dello sviluppo (Disturbo autistico, Non Altrimenti Specificati (NAS)
  • ·        Disturbi specifici dello sviluppo (Disturbi delle capacità scolastiche(calcolo, espressione scritta, lettura), Disturbi del linguaggio e dell’eloquio (articolazione dela parola, linguaggio espressivo, ricezione del linguaggio), Disturbi delle capacità motorie (NAS, coordinazione), Altri disturbi dello sviluppo NAS) (in asse 2)
  • ·        Disturbi con comportamento (da deficit dell’attenzione con iperattività, della condotta(di gruppo, solitario con aggressività, indifferenziato), oppositivo-provocatorio)
  • ·        Disturbi d’ansia della fanciullezza e dell’adolescenza (da ansia di separazione, di evitamento della fanciullezza o dell’adolescenza, da iperansietà)
  • ·        Disturbi dell’alimentazione (Anoressia nervosa, Bulimia nervosa, Pica, Disturbi da ruminazione dell’infanzia, NAS)
  • ·        Disturbi dell’identità di genere (Disturbo dell’identità di genere della fanciullezza, transessualismo, Disturbo dell’identità di genere della fanciullezza o dell’età adulta tipo non transessuale, NAS)
  • ·        Disturbi da tic (Tourette, Disturbo cronico da tics motori o vocali, Disturbo transitorio da tic, NAS)
  • ·        Disturbi delle funzioni evacuative (Encopresi funzionale, Enuresi funzionale)
  • ·        Disturbi dell’eloquio non altrimenti classificati (farfugliamento, Balbuzie)
  • ·        Altri disturbi dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza (mutismo elettivo, Disturbi dell’identità, Disturbo reattivo dell’attacamento dell’infanzia e della prima adolescenza, Disturbo da stereotipia/abitudine, Disturbo da deficit dell’attenzione indifferenziato).

 

 

La classificazione americana del DSM IV (1994) per i disturbi dell’infanzia:

 

  • ·        Ritardo mentale (lieve, moderato, grave, gravissimo, non specificato) (in asse 2)
  • ·        Disturbi dell’apprendimento (Disturbi della lettura, Disturbo del calcolo, disturbo dell’espressione scritta, Disturbo dell’apprendimento NAS)
  • ·        Disturbo delle capacità motorie (Disturbo di sviluppo della coordinazione)
  • ·        Disturbi della comunicazione (Disturbo dell’espressione del linguaggio, Disturbo misto dell’espressione e della ricezione del linguaggio, Disturbo della fonazione, Balbuzie, Disturbo della comunicazione NAS)
  • ·        Disturbi generalizzati dello sviluppo (Disturbo autistico, Disturbo di Rett, Disturbo disintegrativo della fanciullezza, Disturbo di Asperger, Disturbo generalizzato dello sviluppo NAS)
  • ·        Disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente (Disturbi da deficit di attenzione/iperattività, Disturbi da deficit di attenzione/iperattività NAS, Disturbo della condotta, Disturbo oppositivo provocatorio, Disturbo da comportamento dirompente NAS)
  • ·        Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione dell’infanzia o della prima fanciullezza (Pica, Disturbo di ruminazione, Disturbo della nutrizione dell’infanzia o della prima fanciullezza)
  • ·        Disturbi da tic (Disturbi di Tourette, Disturbo cronico da tic motori o vocali, Disturbo transitorio da tic, disturbo da tic NAS)
  • ·        Disturbi della evacuazione (Encopresi, Enuresi non dovuta ad una condizione medica generale)
  • ·        Altri disturbi dell’infanzia, della fanciullezza o della adolescenza (Disturbo d’ansia di separazione, Mutismo selettivo, Disturo reattivo dell’attacamento dell’infanzia o della fanciullezza, Disturbo da movimenti stereotipati, Disturbi dell’infanzia, della fanciullezza o della adolescenza NAS)

 

Il DSM, come é noto, é una classificazione diagnostica e statistica curata dall’American Psychiatric Association, giunta alla sua quarta edizione, che riguarda soprattutto i disturbi mentali dell'adulto e ha una parte dedicata a quelli che insorgono nell'infanzia e nell'adolescenza.

Le psicosi dell’infanzia sono definite sotto la categoria Disturbi generalizzati dello sviluppo, che comprende:

- Disturbo autistico

- Disturbo di Asperger

- Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza

- Disturbo di Rett

- Disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato

Le caratteristiche di definizione del disturbo autistico del DSM-III-R  sono mantenute nel DSM-IV, ma i singoli criteri diagnostici sono stati modificati per i seguenti motivi:

  • ·        migliorare l’utilità clinica riducendo il numero di criteri da 16 a 12 e aumentandone la chiarezza;
  • ·        aumentare la compatibilità con i criteri diagnostici per la ricerca dell’ICD-10;
  • ·        restringere la definizione dei casi per una maggiore conformità con il giudizio clinico, con il DSM-III e con l’ICD-10.

Anche la richiesta di una età di esordio prima dei 3 anni, omessa nel DSM-III-R, É stata ristabilita per conformità con l’uso clinico e per aumentare l’omogeneità di questa categoria.

 

I criteri diagnostici per il Disturbo autistico, secondo il DSM IV sono:

 

Un totale di 6 (o più) voci da 1), 2), e 3), con almeno 2 da 1), e uno ciascuno da 2) e da 3):

 

A. 1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:

a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione sociale;

b) incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo;

c) mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per. es. non mostrare, portare, nÈ richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse);

d) mancanza di reciprocità sociale ed emotiva;

 

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno uno dei seguenti:

a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica);

b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;

c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;

d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;

 

3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione

b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici

c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)

d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

 

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età:

  • ·        interazione sociale,

2)  linguaggio usato nella comunicazione sociale, o

  • ·        gioco simbolico o di immaginazione.

 

C. L'anomalia non É meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della fanciullezza.

 

Un'altra condizione autistica, descritta nel 1944 dall'austriaco Hans Asperger, con il nome di psicopatia autistica, viene classificata dal DSM IV con il nome di Disturbo di Asperger .

Nei bambini con questa patologia il comportamento autistico viene osservato verso i 3-4 anni, dopo un periodo in cui lo sviluppo psicomotorio, quello del linguaggio e il livello intellettivo sono sostanzialmente adeguati. In questo disturbo ciò che risulta man mano più compromessa É la capacità di relazione sociale e la varietà degli interessi sociali.

I bambini con Disturbo di Asperger risultano in genere di intelligenza normale.

 

Il Disturbo disintegrativo della fanciullezzaé una categoria diagnostica che viene denominata, all'interno di altre classificazioni, come Sindrome di Heller o psicosi disintegrativa. Circa la prevalenza non ci sono dati epidemiologici chiari, anche se si ritiene che questo disturbo sia molto raro e più presente nei maschi. A differenza del Disturbo autistico, questo disturbo esordisce dopo un periodo di sviluppo apparentemente normale nei primi due anni a cui segue:

 

A. Perdita clinicamente significativa di capacità di prestazione già acquisite in precedenza (prima dei 10 anni) in almeno due delle seguenti aree:

1) espressione o ricezione del linguaggio

2) capacità sociali o comportamento adattivo

3) controllo della defecazione e della minzione

4) gioco

  • ·        abilità motorie

 

B. Anomalie del funzionamento in almeno due delle seguenti aree:

1) compromissione qualitativa dell'interazione sociale (per es., compromissione dei comportamenti non verbali, incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei, mancanza di reciprocità sociale o emotiva)

2) compromissioni qualitative della comunicazione (per es., ritardo o mancanza del linguaggio parlato, incapacità di iniziare o sostenere una conversazione, uso stereotipato e ripetitivo del linguaggio, mancanza di giochi vari di imitazione)

3) modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, incluse stereotipie motorie e manierismi.

 

Il Disturbo di Retté una malattia neurologica che colpisce soltanto le bambine che esordisce in genere verso la fine del primo anno, dopo un periodo in cui lo sviluppo della bambina É apparentemente normale.

Questo disturbo, descritto per la prima volta dall'austriaco Andreas Rett nel 1966, comporta un ritardo dello sviluppo e assume, nelle prime fasi della malattia, le caratteristiche tipiche del comportamento autistico; gli aspetti autistici, tuttavia, in genere scompaiono con la crescita. La caratteristica fondamentale di questo disturbo é l'aprassia, particolarmente accentuata nelle mani, che la bambina muove continuamente in modo stereotipato, come se le stesse lavando; questo comportamento é permanente durante la veglia e scompare durante il sonno. In genere il linguaggio é assente, la deambulazione difficoltosa, e spesso É presente l'epilessia. Non esistono dati sulla prevalenza, anche se si evidenzia una frequenza molto più bassa rispetto al Disturbo autistico. La presenza del disturbo nelle sole bambine, insieme al tipo di esordio ed evoluzione e ai tipici movimenti stereotipati consentono la diagnosi differenziale nei confronti di altri Disturbi generalizzati dello sviluppo.

 

L'ultima categoria utilizzata dal DSM IV É quella del Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato.

Questaé una categoria residua con cui andrebbero diagnosticati tutti quei bambini che pur presentando una grave e generalizzata compromissione dello sviluppo sociale e relazionale, comportamenti stereotipati e compromissione della comunicazione verbale e non verbale, non rientrano in nessuna delle categorie specifiche descritte sopra. In questa categoria viene compreso anche l’Autismo Atipico dell'ICD 10.

 

Ogni classificazione nosografica introduce chiarezza, ma ogni sistema dimostra anche distinzioni sostanziali. Per es. il DSM III e IV sono validi per la coerenza e l’osservazione empirica della condotta, ma omettono la psicopatologia simbiotica (Mahler, 1968).

 

 

La Classificazione della Organizzazione Mondiale della Sanità - ICD10

 

L'International Classification of Disease É una classificazione internazionale di tutte le malattie curata dall’O.M.S., che contiene una sezione dedicata ai disturbi psichiatrici.

Le psicosi infantili vengono classificate nella categoria delle Sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico che comprende:

- Autismo infantile

- Autismo atipico

- Sindrome di Rett

- Sindrome Disintegrativa dell’Infanzia di altro tipo

- Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati

- Sindrome di Asperger

- Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico

- Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico.

 

Molte delle categorie utilizzate per le Sindromi da alterazione globale dello sviluppo sono completamente sovrapponibili a quelle dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo descritte dal DSM IV.

CiÚ vale in particolare per l'Autismo Infantile definito come il Disturbo autistico del DSM IV, la Sindrome di Rett (Disturbo di Rett), la Sindrome disintegrativa dellinfanzia di altro tipo (Disturbo disintegrativo della fanciullezza), Sindrome di Asperger (Disturbo di Asperger), la Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico (sovrapponibile al Disturbo generalizzato dello sviluppo N.A.S. del DSM IV, in cui perÚ É compreso anche il quadro dell Autismo atipico).

L Autismo Atipico viene differenziato dall'Autismo infantile perchÈ pur essendoci una compromissione dello sviluppo, anomalie nell'interazione sociale e nella comunicazione e stereotipie di comportamento, queste si evidenziano anche dopo i tre anni (Atipicità nell'età di esordio), oppure, pur evidenziandosi prima dei tre anni, non soddisfano completamente tutti i tre gruppi di sintomi principali (Atipicità nella sintomatologia), analoghi a quelli indicati al punto B. dei criteri per il Disturbo Autistico del DSM IV.

Un altra categoria che compare nell'ICD 10 e non nel DSM IV É quella della Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati, che descrive bambini con ritardo mentale grave e medio (Q.I. inferiore a 50), gravi problemi di iperattività, deficit attentivo e, molto spesso, comportamenti stereotipati. Questa sindrome si associa con vari deficit dello sviluppo, globali o specifici. Viene tuttavia considerata dallo stesso ICD 10, come mal definita, di incerta validità nosologica.

Per completezza, infine, bisogna accennare ad una ulteriore categoria diagnostica residua proposta dall'ICD 10, quella di Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico.

Pur basando i propri criteri nosografici prevalentemente su indicatori di tipo comportamentale, il DSM-IV e l’ICD 10 sono i sistemi classificatori più diffusi e utilizzati e sui quali vi É maggior consenso fra gli operatori del settore.

A nostro avviso, perÚ, un loro grande limite risiede nell’incapacità di questi strumenti di tenere in debita considerazione la persona nella sua globalità, le sue percezioni e le sue interazioni psico-relazionali.

 

 

Manifestazioni e disturbi associati al disturbo autistico, secondo il DSM-IV

 

 

Caratteristiche descrittive e disturbi mentali associati:

 

Associata alla diagnosi di autismo, si riscontra spesso anche una diagnosi di ritardo mentale(QI 35-50), anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive, che di solito si presentano in modo irregolare.

I soggetti con disturbo autistico sono spesso iperattivi, hanno difficoltà a mantenere l’attenzione, possono essere impulsivi e a volte aggressivi, avere eccessi di collera e manifestare comportamenti autolesivi.

Possono essere presenti anomalie dell’umore o dell’affettività e scarsa capacità di valutazione dei rischi.

 

Caratteristiche collegate a età, genere e familiarità:

 

Nel Disturbo Autistico la natura della compromissione dell'interazione sociale può cambiare nel tempo e puÚ variare a seconda del livello di sviluppo del soggetto.

Nei bambini in età infantile vi può essere incapacità di stare in braccio; indifferenza o avversione all'affetto o al contatto fisico; mancanza di contatto visivo, di risposta mimica, o di sorrisi finalizzati al rapporto sociale; e mancanza di risposta alla voce dei genitori. Di conseguenza, inizialmente i genitori possono preoccuparsi che il bambino sia sordo.

I bambini piccoli con questo disturbo possono trattare gli adulti come intercambiabili oppure possono attaccarsi meccanicamente ad una determinata persona.

Nel corso dello sviluppo il bambino può diventare maggiormente disponibile ad essere coinvolto passivamente nell'interazione sociale, e può anche diventare più interessato alla stessa. Comunque, anche in questi casi, il bambino tende a trattare le altre persone in modi inusuali (per es., aspettandosi che le altre persone rispondano a domande rituali in modi specifici, avendo uno scarso senso dei confini delle altre persone, ed essendo eccessivamente intrusivi nell'interazione sociale).

Nei soggetti più grandi, le prestazioni che comportano memoria a lungo termine (per es., orari dei treni, date storiche, formule chimiche, parole esatte di canzoni ascoltate anni prima) possono essere eccellenti, ma le informazioni tendono ad essere ripetute più e più volte, a prescindere dall'adeguatezza dell'informazione rispetto al contesto sociale. Il tasso del disturbo É da 4 a 5 volte maggiore nei maschi che nelle femmine. Le femmine con questo disturbo hanno comunque maggiori probabilità di avere un Ritardo Mentale più grave.

Studi epidemiologici suggeriscono che l’incidenza del disturbo autistico sia di 2/5 casi su 10.000 soggetti.

E’ stata riscontrato un maggior rischio di sviluppo del disturbo autistico fra i fratelli di soggetti autistici.

 

Diagnosi Differenziale:

 

Il Ritardo mentaleo l’intelligenza borderline coesistono spesso con l'autismo. Individui con ritardo mentale profondo e severo, possono avere varie caratteristiche solitamente associate con l'autismo, in particolare i movimenti stereotipati.

Idisturbi specifici dello sviluppo, particolarmente i disturbi evolutivi del linguaggio, possono mimare l'autismo e le condizione correlate. Nei bambini con disturbi del linguaggio, i deficit primari sono solitamente nell'area del linguaggio o della comunicazione, con le abilità sociali ben preservate.

Il Disturbo di Rett differisce dal disturbo autistico per la sua caratteristica distribuzione tra i sessi e per il tipo di deficit; a differenza dell’autismo, prevalentemente maschile, il Disturbo di Rett si presenta con maggiore frequenza fra la femmine.

Nel Disturbo di Rett si può notare un rallentamento della crescita del cranio, la perdita di capacità manuali finalistiche già acquisite e l’insorgenza di movimenti del cranio scarsamente coordinati. Le difficoltà relazionali presentate dai soggetti con Disturbo di Rett, a differenza di quelle tipiche degli autistici, hanno carattere transitorio.

Il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza differisce dal disturbo autistico perchÈ presenta modalità caratteristiche di regressione dello sviluppo dopo almeno due anni di sviluppo normale, a differenza del primo o cui primi segni possono essere notati già nel primo anno di vita. Nel caso non siano disponibili informazioni sullo sviluppo precoce o quando non é possibile avere informazioni sullo sviluppo normale, si dovrebbe fare diagnosi di disturbo autistico.

Il Disturbo di Asperger differisce dal Disturbo Autistico per la mancanza di ritardo nello sviluppo del linguaggio.

La schizofrenia con esordio nella fanciullezza si sviluppa dopo anni di sviluppo normale, infatti solo occasionalmente ha la propria strutturazione nella prima infanzia. Di solito vi è una storia di sviluppo precedente relativamente normale con la strutturazione poi delle allucinazioni caratteristiche e delle trasformazioni della realtà tipiche della schizofrenia. Una mancanza di sviluppo sociale tipico é, comunque, spesso parte della storia precedente la malattia.

La diagnosi di schizofrenia puÚ essere aggiuntiva a quella di disturbo autistico se un soggetto autistico presenta le caratteristiche di quest’ultima con sintomi della fase attiva caratterizzati da deliri o allucinazioni.

Nel Mutismo selettivo non troviamo la grave compromissione dell’interazione sociale e le modalità ristrette di comportamento, inoltre le capacità comunicative risultano essere adeguate almeno in alcune situazioni.

La storia e la presentazione del mutismo elettivo sono piuttosto differenti da quelle dell'autismo. Sebbene i bambini con autismo siano spesso muti, il loro mutismo non é mai di natura 'selettiva'.

Il Disturbo stereotipato del movimento é caratterizzato da manierismi motori (stereotipie) e ritardo mentale. Se il bambino risponde ai criteri per uno dei disturbi pervasivi dello sviluppo, una diagnosi di questo tipo viene immediatamente scartata.

La Demenzaha occasionalmente la propria strutturazione nell'infanzia. Nel caso in cui il bambino soddisfi i criteri completi per disturbo disintegrativo della fanciullezza, può essere fatta, oltre a questa diagnosi, anche quella medica, specifica sulle cause della demenza. Il modello tipico di demenza con strutturazione nell'infanzia É il progressivo deterioramento delle funzioni mentali e motorie.

Il Disturbo ossessivo compulsivo (OCD) é presente in alcuni bambini con interessi e comportamenti non usuali. Le abilità sociali sono comunque preservate, così come quelle linguistiche e comunicative. Quando nell'OCD sono presenti deficit delle abilità sociali o della comunicazione, essi sono qualitativamente diversi da quelli dell'autismo.

Il Disturbo di personalità schizoide É caratterizzato da un isolamento relativo, con però l'abilità a relazionarsi normalmente in alcuni contesti. I disturbi della personalità non sono comunque diagnosticati prima dei 18 anni di età dal corrente standard del DSM-IV.

Il Disturbo di evitamento di personalità é caratterizzato da ansietà nel contatto con le diverse situazioni sociali.

Il Disturbo reattivo dell'attaccamento di solito segue una storia di violenza o abuso molto gravi; i deficit sociali del disturbo reattivo dell'attaccamento tendono a scomparire notevolmente in risposta ad un ambiente più appropriato.

 

 

 

 

 

 

 

IPOTESI EZIOLOGICHE

 

 

 

 

Gli aspetti biologici:

 

Sono state proposte numerose teorie e spiegazioni sulle cause delle psicosi infantili, e in particolare dei Disturbi Autistici. Al momento, non esiste, comunque, alcuna teoria o spiegazione condivisa da tutti gli studiosi. Negli ultimi anni una parziale convergenza si é avuta sull' idea della multifattorialità delle cause, intendendo con ciò l'idea che al manifestarsi di una psicosi nel bambino contribuiscano più fattori, sia di tipo organico- genetico sia di carattere psicologico- ambientale.

Pur essendo state riscontrate solo in una piccola percentuale di casi (circa il 10%) alterazioni organiche, sono molti i sostenitori di un’”ipotesi organica” del disturbo autistico.

In alcuni casi la patologia autistica é una conseguenza di altre malattie organiche, quali per esempio, la sclerosi tuberosa, la fenilchetonuria, alcune malattie neurocutanee (per es. la ipomelanosi di Ito) , la rosolia intrauterina e altre.

Le molte ricerche effettuate miravano a ricercare:

  • ·        alterazioni genetiche: numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato una familiarità per tale disturbo che associata all’evidenza di una maggiore incidenza nei soggetti di genere maschile e all’alta percentuale di ricorrenza nei gemelli monozigoti, hanno permesso che si ipotizzasse una base genetica per tale disturbo.

Nei soggetti autistici, le varie ricerche hanno evidenziato in una significativa percentuale di casi , la modificazione di un gene a carico del cromosoma 7, che comporterebbe delle alterazioni nello sviluppo della corteccia cerebrale.

Tuttavia le ricerche non concordano mai completamente, rendendo così, inattendibile la loro validità.

  • ·        alterazioni funzionali: la maggior parte delle ricerche che riportano dati relativi al’EEG di soggetti autistici, hanno riscontrato una maggiore frequenza di anomalie del tracciato elettroencefalico, e nello specifico rallentamento focale, punte, scariche parossistiche punta-onda;

Tuttavia, le ricerche effettuate non hanno permesso di individuare caratteristiche significative generalizzabili; risulta  infatti evidente una certa variabilità dei parossismi osservati e la diversità delle localizzazioni;

  • ·        alterazioni morfostrutturali: gli studi effettuati con TAC e RM riportano risultati contrastanti. E’ stata ipotizzata una alterazione del cervelletto, riscontrabile in una ipoplasia del verme posteriore a carico dei lovbi VI e VII. Altre ricerche hanno messo in evidenza delle anomalie dell’ippocampo e dell’amigdala, attribuendo al sistema limbico una importante implicazione nei casi di autismo. E’ stata messa in evidenza nelle persone autistiche la presenza ridotta di cellule del Purkinje, inibitori della produzione di serotonina i cui livelli ematici sono, talvolta, effettivamente alterati in questi casi. Altre ipotesi ritengono che l’autismo sia dovuto ad una non normale differenziazione del cervello nelle ultime fasi di sviluppo;
  • ·        alterazioni biochimiche: in diversi casi é stata riscontrata una disfunzione dopaminergica, responsabile proprio delle funzioni dell’attenzione, dell’emozione, della percezione e del comportamento, tutte alterate nell’autismo. Un’altra seri di studi suggerisce la presenza di elevati livelli di oppioidi endogeni nel SNC dei bambini autistici.

 

 

L’Approccio Etologico:

 

Il contributo più rilevante relativo all’approccio etologico all’autismo é stato quello dei coniugi Timbergen all’inizio degli anni ’70.

Il comportamento del bambino viene descritto utilizzando alcuni concetti etologici, in particolare quelli di "sistema funzionale principale" e di "conflitto motivazionale".

Gli etologi, in particolare, hanno strutturato il loro metodo di osservazione considerando simultaneamente in modo obiettivo e sistematico, tanto i comportamenti e le espressioni del singolo, quanto ciÚ che accade nell'ambiente circostante. Ciò non si traduce però soltanto in pura descrizione; i Timbergen, infatti, oltre a classificare i vari comportamenti, li interpretano attribuendo loro significati ben precisi.

I Timbergen hanno definito “sistema funzionale principale” l’insieme dei comportamenti utili per raggiungere uno scopo, i cui più importanti sistemi sono l’”avvicinamento” e l’”evitamento”.

L’avvicinamento comprende il movimento diretto verso l'altro, l'avvicinamento esitante, il "movimento che tradisce la semplice intenzione di avvicinarsi".

L’evitamento che comprende la fuga, il semplice arresto di un movimento di avvicinamento, il girarsi dall'altra parte o anche solo il distogliere lo sguardo.

I comportamenti di questi due sistemi principali sono governati, in genere, da due categorie di cause: le condizioni interne (come la presenza di certi ormoni nel caso del comportamento sessuale) e gli eventi esterni (per es. la presenza di un partner).

I comportamenti di questi due sistemi sono influenzati dalle condizioni esterne e dalle condizioni interne del soggetto; é ovvio poi che le condizioni interne determinano il grado di disposizione del soggetto a reagire agli stimoli esterni, producendo così la “motivazione” ad agire. Tanto più intensa é la motivazione, tanto più debole potrà essere lo stimolo esterno necessario ad attivare un certo comportamento.

Nell’autistico troviamo la messa in atto simultanea dei due sistemi funzionali, attivando in questo modo un “conflitto motivazionale”, che determina comportamenti contemporanei di avvicinamento e di allontanamento come il dondolarsi, oppure i soggetti autistici rimangono immobili irrigidendosi.

Nonostante l’esitazione prevalga nel bambino autistico, si possono notare, se gli si concede il tempo di adattarsi alle situazioni nuove, comportamenti di avvicinamento, sotto forma di sguardi di traverso, ammiccamenti, gioco cooperativo.

Nel bambino autistico sullo sfondo di un quasi permanente il conflitto motivazionale, domina la tendenza a ritirarsi e, a livello emotivo, l’ansia.

Il conflitto motivazionale sarebbe presente, secondo i Timbergen, in molti dei manierismi e delle stereotipie in cui movimenti di avvicinamento e allontanamento si alternano formando un unico sistema funzionale. E’ questo il caso per es., del bambino che si dondola, ora avvicinandosi ora allontanandosi, oppure del bambino che rimane immobile, come l’animale bloccato tra il comportamento di fuga e quello dell’attacco.

Ciò che secondo gli autori é determinante, anche per il ritardo di sviluppo che in genere si accompagna all’autismo, é che questo quadro clinico si struttura vivendo a lungo in un simile stato conflittuale.

Tanto più questa condizione si protrae, tanto più per il bambino diventa difficile uscire dalla condizione autistica.

I Timbergen sostengono che l’autismo sarebbe determinato da una serie di fattori che possono intervenire in vari momenti delle prime fasi di sviluppo, nella vita prenatale, durante il parto o eventi post-natali. Le influenze genetiche sono importanti nella determinazione di una differente predisposizione, ma ciò che provocherebbe la sindrome autistica sono condizioni esterne che possono avere influito negativamente sui genitori.

 

La Teoria della Mente:

 

Alla fine degli anni ’80, Uta Frith ipotizzò che l’autismo deriverebbe da una disfunzione cognitiva che comporterebbe una “incapacità di rendersi conto del pensiero altrui”, mancherebbe cioé una “teoria della mente”; secondo l’autrice, l’autismo si baserebbe su un’incapacità di attribuire all’altro stati mentali come conoscenze o credenze, a causa probabilmente di un danno alla capacità metarappresentazionale, con una conseguente compromissione dei processi di mentalizzazione da cui risulta un pensiero concreto, basato esclusivamente su eventi della realtà direttamente osservabili.

La teoria della mente si riferisce alla incapacita' di capire che gli altri individui hanno il loro proprio personale punto di vista nei riguardi del mondo. Molti individui autistici non comprendono che altri possano avere pensieri, piani e prospettive diverse dalle loro. Per esempio, chiedendo ad un bambino autistico di mostrare la foto di un'animale ad un altro bambino, invece di girare la fotografia verso l'altro bambino, il bambino autistico potrebbe mostrargliene il dorso. In questo esempio, il bambino autistico puo' vedere la foto, ma non capisce che l'altro bambino ha una differente prospettiva o punto di vista.

Secondo numerosi autori la teoria della mente si strutturerebbe intorno ai 12-13 mesi e che ciò avvenga attraverso la comparsa di due precursori: la capacità di rappresentazione condivisa e di comunicazione intenzionale.

Queste funzioni risultano deficitarie nei bambini autistici allo stesso modo di altre funzioni più evolute, come attuare e comprendere giochi di finzione e riconoscere false credenze.

 

L’Impostazione Psicodinamica:

 

Diversi autori di impostazione psicodinamica si sono occupati di autismo, tra loro possiamo ricordare M. Klein, M. Mahler, F. Tustin.

In queste classificazioni l'aspetto descrittivo é secondario (mentre é prevalente per DSM IV e ICD 10), ed é privilegiato un'approccio psicopatologico-dinamico.

Bettelheim, vedeva  la causa dell’autismo nella percezione da parte del bambino di una ostilità con intenzione distruttiva nei suoi confronti da parte della madre, che non dobbiamo dimenticare rappresenta per il bambino il mondo intero.

L’autismo sarebbe quindi la reazione al timore di annullamento, e si manifesterebbe tramite la creazione di barriere e difese atte a mantenerlo fuori dal mondo e dai suoi pericoli.

Un’autrice che ci ha lasciato un contributo di notevole spessore culturale e clinico é Margaret Mahler.

La Mahler ha costruito una teoria delle psicosi infantili (e dell'autismo in particolare) che mette in primo piano un elemento comune a tutti gli autori di linea psicodinamica, quello del rqpporto madre-bambino.

 

La nascita biologica e la nascita psicologica del bambino non coincidono nel tempo; la nascita psicologica del bambino, secondo la Mahler, si svolge lentamente attraverso un processo di separazione-individuazione, che riguarda soprattutto l'esperienza del proprio corpo e il rapporto con l'oggetto d'amore primario, la madre.

Partendo dalla sua teorizzazione, la Mahler avanza delle nuove ipotesi sulla psicopatologia; in particolare, secondo l’autrice, si assiste allo sviluppo di una psicopatologia nel processo di separazione-individuazione quando il bambino é incapace di rispondere o adattarsi a stimoli che provengono dalla figura materna oppure reagisce con panico di fronte a ogni percezione di reale separazione. In altre parole il bambino non riesce ad organizzarsi intorno al rapporto con la madre vista come oggetto esterno d’amore.

La nascita psicologica di un individuo coincide con il processo di separazione-individuazione; la separazione si attua nell’emergere del bambino da una fusione simbiotica con la madre, mentre l’individuazione si attua nell’assunzione da parte del bambino di proprie caratteristiche individuali.

Durante i primi mesi di vita del bambino si possono osservare due fasi attraverso le quali passa e che possono essere considerate come i precursori del processo di separazione-individuazione:

  • ·        la fase autistica normale: dalla nascita fino al secondo mese di vita, nella quale il neonato é protetto dalle stimolazioni eccessive, in una situazione analoga a quella prenatale, in modo che ne sia facilitata la crescita fisiologica. In tale fase, l’organismo mira a pervenire ad un equilibrio omeostatico ed il bambino é fondamentalmente una realtà fisiologica, mentre non é ancora nato psicologicamente.
  • ·        la fase simbiotica: dai due ai cinque mesi, in cui il bambino si abitua progressivamente al rapporto con la realtà sino a conquistare una propria identità.  In questa fase la fusione allucinatoria del bambino con la madre, sancisce la nascita psicologica del bambino.

Le psicosi del bambino vengono interpretate dalla Mahler come deformazioni psicopatologiche di queste normali fasi di sviluppo dell’Io e delle sue funzioni nell’ambito del suo rapporto con il primo oggetto esterno, la madre.

Gli apparati dell’Io che di solito emergono dalla matrice di un rapporto con una figura materna normalmente disponibile, non si sviluppano o i nuclei dell’Io non si integrano.

Da questa situazione possono emergere due forme di psicopatologia:

  • ·        Bambini autistici, che si comportano come se la madre non esistesse;
  • ·        Bambini che hanno una organizzazione simbiotica e si comportano come se la madre fosse una parte di loro, e cioé non separata.

Questo precoce disturbo della relazione madre-figlio non va necessariamente imputata ad una incapacità o patologia della madre; é infatti difficile, secondo l’autrice, dire quale parte abbiano nell’eziologia dell’autismo, anche i fattori ambientali e quelli intrinsechi del bambino.

 

 

Il Modello Sistemico:

 

A partire dagli anni 50, grazie ai contributi fondamentali di G. Bateson e del suo gruppo si è andata affermando una visione dei disturbi psichiatrici ( a cominciare dalla schizofrenia), come conseguenti a dinamiche relazionali e comunicative disturbate all'interno della famiglia. La teoria del doppio legame (Bateson, 1956)in particolare sosteneva che l'essere sottoposti nel tempo a comunicazioni paradossali in cui un messaggio veniva dichiarato ad un livello, e contemporaneamente smentito, ad un altro, creava le condizioni per l'esordio di un disturbo psichiatrico. Ciò era valido soprattutto quando il destinatario di tali comunicazioni era un figlio.

Questa concezione delle malattia mentale, supportata anche dallo studio della videoregistrazione di sedute con la famiglia, éstata formalizzata utilizzando la Teoria Generale dei Sistemi di L. Von Bertalanffy.

A livello pratico ciò si é tradotto nello sviluppo della terapia familiare e quindi nel coinvolgimento nelle terapie dell'intero gruppo familiare.

Secondo la visione sistemica, il processo interattivo familiare che porta alle psicosi del bambino vede il susseguirsi, nell'arco di tempo che copre tre generazioni, di una serie di rapporti tra i vari individui in cui domina la frustrazione e la delusione. L'ipotesi principale é che "…i genitori dei bambini psicotici fossero prigionieri di un rapporto carico di sofferenza che aveva preceduto la nascita del bambino. Tale sofferenza aveva ‘catturato’ la disponibilità creativa della madre, lasciandola vuota e incapace di far fronte alle pressanti richieste del figlio".

Il modello sistemico chiama in causa direttamente la madre, così come già gli autori psicoanalitici avevano fatto. La differenza sostanziale con la concezione psicoanalitica sta nel fatto che le difficoltà emotive della madre vengono inserite in un contesto in cui sia il marito sia la famiglia d'origine sono attori significativi.

Il processo che conduce alla psicosi vedrebbe, infatti, un iniziale situazione in cui la coppia, costituitasi per cercare delle gratificazioni affettive, compensative dei rapporti deludenti (e carichi di sofferenza) con la famiglia d'origine, si trova ben presto in una situazione di "stallo" in cui ciascuno si ritrae emotivamente all'altro, portando con se una serie di delusioni e risentimenti, evitando tuttavia di dichiarare apertamente questi reciprochi sentimenti. Il tutto é accompagnato da una sorta di "predizione negativa" sull'esito del matrimonio, non completamente accettato, se non addirittura avversato, da parte delle famiglie di origine.

In questa situazione in cui domina il rancore reciproco nasce il bambino, che viene coinvolto e "triangolato" nello stallo coniugale, arrivando anzi ad essere elemento stabilizzante del gioco preesistente. Il bambino cresce così in un contesto in cui la madre é frustrata del rapporto con il partner e insicura nel suo rapporto con il bambino, anche perché non viene sostenuta dalla propria madre che, anzi, la critica per la scelta del partner e per la sua inadeguatezza.

Il bambino sperimenta quindi un rapporto frustrante con la madre, la cui immagine negativa gli viene anche confermata dall'atteggiamento del padre e dagli altri famigliari.

Come il padre il bambino si sente insoddisfatto e frustrato e, quindi, come autorizzato a rifiutare il rapporto con lei. Il padre d'altra parte, si rivela un alleato interessato, che con il suo atteggiamento tollerante, permissivo e, a tratti seduttivo, sotteraneamente "istiga" il bambino contro la moglie.

L’autismo sarebbe la manifestazione della resistenza del bambino di fronte a questo tipo di dinamiche relazionali della coppia genitoriale.

Il bambino autistico quindi, al di la della sua apparente passività, é anch'egli attore di un dramma familiare in cui domina l'inautenticità e la strumentalità della relazione.

Bisogna sottolineare come queste ipotesi sul gioco familiare non esclude necessariamente un’origine organica del disturbo del bambino: la dinamica familiare tuttavia sarebbe differente da quelle che si possono osservare nelle famiglie dei bambini con deficit organico, non psicotici.

 

 

 

Fonte: http://autismo.inews.it/coselautismo/Autismo%20-%20Riccardo%20Grassi.doc

Sito web da visitare: http://autismo.inews.it/

Autore del testo: Di Riccardo Grassi Ricercatore Istituto IARD di Milano

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Autismo e scuola

 

Scuola e Alunno con Autismo
Riflessione sul modello italiano “Integrazione: Scuola e Alunno con autismo”

Ed eccoci ad un problema centrale “Scuola e Autismo”.
Puntualmente come ogni anno, all’inizio dell’anno scolastico, si sentono e si leggono articoli riguardanti nomine, insegnati di sostegno, cattedre, certificazioni, ecc., in realtà dovremmo occuparci di Marco, Alessia, Simone a scuola e non in generale di leggi, di bambini con autismo o di pedagogia, psicopedagogia, ecc.
Alcune riflessioni a proposito meritano perciò attenzione e dibattito.

C’è fra tutti noi cittadini e soprattutto noi genitori di bambini con autismo, una forte apprensione associata a speranza e grandi attese relativamente alla qualità della prospettive educative e della vita di relazione che i bambini e i ragazzi con autismo sperimenteranno all’interno di un contesto altamente specifico come è la scuola.
La scuola, seconda soltanto alla famiglia come luogo educativo e di permanenza, è certamente un momento fondamentale per il ragazzo, la famiglia e la società.
La scuola è anche per ora la sola realtà “istituzionale” che, nel bene e nel male, si è fatta carico del problema “autismo”, ed inoltre, è anche quella che quotidianamente impatta, in modo diretto e continuato, con le difficoltà vere del singolo bambino certificato, investendo attenzione e risorse nella gestione di un processo, quello dell’integrazione, mai troppo chiarito, i cui traguardi e le cui metodologie sono state dalla scuola stessa più inventate ad hoc che apprese e applicate. Al suo interno, la scuola ha consentito, ad insegnanti, bambini e alunni con disabilità, una esperienza reciproca e troppo spesso, a tale istituzione, è stato attribuito e ingiustamente richiesto, un impegno eccedente finalità e possibilità intrinseche. Frequentemente si è confuso il suo ruolo pedagogico e sociale, con il percorso riabilitativo vero e proprio di molte disabilità. Nonostante questo fraintendimento molti insegnati si sono distinti in questa sfida con stupefacenti adattamenti e ottimi risultati ma molti sono anche gli errori, molti i silenzi, le ingiustizie, le intolleranze, le discriminazioni, i muri di gomma...

La scuola è un diritto e un dovere

La scuola è la vita, la vita di ogni uomo nella collettività, al di là della sua condizione, del suo stato di salute, della sua specificità, della eventuale sua non abilità o disabilità. Il soggetto è nella scuola come “individuo”, non come “normo-dotato” o come affetto da “autismo”, o da “audiolesione”, ecc. La scuola mette in relazione persone differenti che si scambiano informazioni, su sé, sugli altri e sulle cose e nessuna etichetta, nessuna caratteristica, peculiarità, origine, religione, diagnosi, dovrebbe modificare in senso negativo o deprivativo tale scambio.
In questa ottica la legge 104 del 1992 prevede la scolarizzazione di tutti i minori in situazione di handicap, bambini con autismo compresi. Altre norme ancora sono state emante per assicurare questo diritto e sarebbe bene conoscerle per potersi sorprendere nel vedere come questo obiettivo risulti tuttavia così difficoltoso.

Scolarizzare non significa semplicemente “accesso”.

La scolarizzazione non si riduce all’accesso, all’inserimento in una classe ma produce, quale elemento nobile e qualificante, integrazione, come percorso che dalla aspecificità delle finalità di gruppo e delle formule di principio, mediante un insieme di adattamenti reciproci, guidati dai docenti, giunga all’individualità degli alunni, consentendo loro delle esperienze significative,sia nell’apprendere che nel socializzare.

Cosa assolutamente dobbiamo pretendere dalla scuola?


Ein particolare, noi genitori di soggetti con autismo, “cosa possiamo pretendere?,E una volta che lo avremo stabilitopotremo anche domandare “Realizza la scuola ciò che è corretto pretendere?”, ed eventualmente “Perché non lo può fare?”

Per legittimare simili quesiti sarebbe importante dimensionare a livello nazionale il fenomeno autismo e sindromi correlate, comprendendo all’interno di questo eterogeneo gruppo, a causa delle diverse classificazioni utilizzate dai vari professionisti relativamente a tali diagnosi, anche i casi di psicosi infantile. Le dimensioni del problema ci potrebbero far capire meglio come ci dobbiamo organizzare per pretendere risposte sempre più qualificate e specifiche.

Dimensioni del problema

I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole pubbliche d’Italia, in base ai dati dei provveditorati agli studi (oggi CSA), dati ricavati dalle diagnosi ufficiali rilasciate dai Servizi Sanitari, relativi all’anno 2001-2002, riferiscono un numero di casi complessivo di 8062 alunni così certificati, e cioè 140 casi circa per milione di abitanti; suddivisi in 64/milione con diagnosi di autismo, e 75/milione con diagnosi di psicosi infantile. Attenzione questi sono i dati relativi agli alunni disabili certificati rispettivamente, autistici o psicotici, presenti nelle scuole in Italia in un preciso periodo di tempo e non i dati riferiti alla totalità dei casi presenti sul territorio nazionale.


DIAGNOSI DI AUTISMO E PSICOSI INFANTILE (dati CSA 2001-2002)

Diagnosi di Autismo

Scuola materna 21/ milione di abitanti (1220 bambini certificati autistici)
Scuola elementare 22/ milione di abitanti (1276 bambini certificati autistici)
Scuola media 15/ milione di abitanti ( 870 bambini certificati autistici)
Scuola secondaria superiore o II° grado 7/ milione di abitanti ( 406 bambini certificati autistici)


Diagnosi di Psicosi infantile

Scuola materna 20/ milione di abitanti (1160 bambini certificati psicotici)
Scuola elementare 20/ milione di abitanti (1158 bambini certificati psicotici)
Scuola media 19/ milione di abitanti (1102 bambini certificati psicotici)
Scuola secondaria superiore o II° grado 16/ milione di abitanti ( 928 bambini certificati psicotici)


Come potete vedere i valori numerici rispettivi, autistici e psicotici, sono pressochè sovrapponibili. Se però sono paritetici in partenza (scuole materne), divengono dismogenei successivamente a causa dei ritiri, poiché, con il passare degli anni, i bambini autistici scolarizzati diminuiscono in modo significativo, in generale (valore assoluto) e persino rispetto ai soggetti certificati come psicotici. I bambini con diagnosi di psicosi mantengono fortunatamente una forte presenza anche nella scuola secondaria. Questo dato ci dice però che le cose vanno particolarmente male per i soggetti con autismo. Non è infatti il migliorare dell’incidenza della diagnosi che li fa scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive difficoltà nell’integrazione.

E’ solamente l’andamento severo della sindrome autistica che può giustificare la negatività di questi riscontri?

Noi genitori non lo crediamo.
I dati mostrano che per l’autismo la scolarizzazione è anche meno precoce, forse perchè le diagnosi arrivano un po’ più tardi, o entrambe le cose, rispetto alle psicosi (lieve aumento dei casi nelle scuole elementari). Ma questo dato è strano perchè le psicosi si affermano tipicamente in età decisamente più avanzata rispetto al sospetto di autismo. Questo dimostra inconfutabilmente che molte diagnosi di autismo vengono fatte molto tardi. Altre elaborazioni dei dati forniti dal CSA evidenziano anno dopo anno, un incremento costante dei casi, per ambedue le diagnosi, anche se di poche unità per milione, e tale andamento mostra un aumento maggiore a favore delle certificazioni di autismo rispetto a quelle di psicosi infantile in un rapporto pressochè doppio (il che fa pensare ad una corrrezione di diagnosi). Questo starebbe per un aggiustamento dei criteri diagnostici e per una sempre maggior conoscenza dell’autismo, più che per una diminuizione reale della patologia psicotica.
Appare veritiero però che questa fotografia “scolastica” del problema, pur significativa, offra valori decisamente sottostimati rispetto ai quadri patologici in questione nella loro interezza. Da una parte perché questi dati non comprendono i casi, con PDD e altre patologie border-line, quelli non ancora certificati, e dall’altra perché il provveditorato non rileva tutti i possibili pazienti o i loro spostamenti e, non ultimo, perchè manca nel conto il numero di chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola (orfani o “a tutela sospesa”), oppure c’era ed è uscito e di chi si aggiungerà a costoro nell’anno appena iniziato.
Questi sono i dati da cui noi dobbiamo partire per capire quanta voce in capitolo abbiamo rispetto ai circa 50.000 insegnati di sostegno operanti in Italia e per impegnarci a non rinunciare in alcun modo e per nessuna ragione al profondo valore di scolarizzare.

Integrazione

Esiste anche una profonda differenza tra inserimento e integrazione.

Il presupposto di base, quando si parla di autismo, è comprendere che siamo di fronte ad un disturbo complesso e le risposte possibili saranno dunque complesse. Le situazioni sono molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, come problematiche differenti, in un’ottica di specificità. I riduzionismi non aiutano a capire la realtà delle persone, perché ne prendono una piccola parte e la fanno diventare il tutto. Consapevoli delle difficoltà insite nella specificità, è bene ribadire che noi genitori di alunni con disabilità cognitivo-comportamentalesappiamo bene, e lo vogliamo ribadire, che la scuola non è il luogo deputato alla terapia propriamente detta per i disturbi dei nostri figli.

Noi semplicemente vogliamo realizzare ciò che è previsto dalla legge: apprendimento ed integrazione.
Vogliamo per i nostri figli esperienze significative, socializzazione, ampliamento delle capacità comunicative e relazionali, apprendimenti seppur minimi, mirati a favorire l’autonomia attraverso competenze e abilità essenziali, dando qualità alla loro esistenza. Sappiamo anche che, nell’ambito di questo progetto complesso e difficile, tutte le esperienze sono importanti ma questo non significa che tutte siano valide e, secondo il principio della rete, in un’ottica si scambio delle informazioni tra scuole, si dovrebbero socializzare le esperienze prestando ascolto a quelle riconosciute come esemplari e che possano essere utili e a disposizione di tutti. Non serve compartecipare soluzioni del problema solo se “esaustive, radicali o miracolose” ma semplicemente aiutare gli operatori a non sentirsi isolati all’interno della propria azione didattica “in divenire”, aprendo loro un orizzonte di riferimento più vasto.

L’integrazione è qualità di vita in comune ed è un fenomeno sicuramente complicato, i cui obiettivi vanno perseguiti non separatamente tra loro ma sperimentati in un’ottica di globalità. L’integrazione si realizza attraverso una esperienza comune o allargata, quando cioè tutti, operando insieme, si aiutano reciprocamente a migliorare la competenza culturale, relazionale e comunicazionale dei singoli nel gruppo.

Non da soli dunque si affronta l’integrazione, e verrebbe da dire “tanto meno l’autismo”.

Le condizioni essenziali affinchè esista integrazione sono:

Tutti divengano interpreti di uno stesso progetto, tutti debbono essere coinvolti, non solo l’insegnante di sostegno, ma tutti: il docente e il dirigente, i collaboratori scolastici, la famiglia, i medici, i paramedici, gli alunni, tutti….
Si deve operare in modo sinergico. Ciascuno deve impegnarsi per quanto gli compete, in una connessione stretta e continua con gli altri per fare un lavoro comune. Ciascuno faccia la sua parte e ciascuno si nutra e si rafforzi dell’esperienza integrative di tutti gli altri del gruppo e di coloro che sono altrove.
Integrazione significa anche “responsabilità”. Ciascuno ha la propria.






Sappiamo tutti che per consentire l’integrazione vera, non formale, nella scuola e nella società, specialmente dell’alunno con autismo, se vogliamo realmente farci carico di questo, risulta fondamentale ripristinare concetti squisitamente etici, un po’ desueti in questa civiltà patinata ed egocentrica; quello della responsabilità personale, di responsabilità attiva, di impegno individuale e di gruppo, di dovere morale. Non è affatto vero infatti che noi esistiamo perché qualcuno ci ha generato, la nostra umanità esite perchè un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto carico, s’è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi. Dimenticare questo è dimenticare il senso della nostra vita.

“Approccio positivo”

Dal punto di vista psicopedagogico educativo, l’unico approccio corretto per promuovere l’integrazione dei bambini autistici è un “approccio positivo.
Positività non significa semplicemente che non si debbano più usare modelli di tipo disfunzionale, cioè quelli che partono dal proporre e ricostruire ciò che non funziona bene, ma anche e soprattutto che con questi bambini si deve procedere e costruire a partire dalla loro positività, dai loro interessi, da ciò che loro propongono e manifestano, facendo spazio alla spontaneità, nella congruità e rafforzando ciò che è adeguato, spendibile, equiparato all’età, prestando attenzione a gratificare ciò che è armonioso e coerente con la situazione e gli intenti comuni del gruppo, in un cammino di piacere nel fare le cose, di rinforzo dei comportamenti produttivi e funzionali.
Positività significa non lasciarli senza proposte, significa che con questi bambini non si può utilizzare il “no” fine a se stesso, il “no” e basta, il “no” senza spiegazioni, senza soluzioni sostitutive. A questi bambini va insegnata l’alternativa alla negazione, al divieto, a ciò che non è permesso, alla frustrazione di vedersi negato qualcosa. Questi bambini non possono essere obbligati a un comportamento, a una risposta, né a una socializzazione, né si possono enfatizzare in loro soluzioni abilitative eccessivamente specializzate o univoche, rinunciando o addirittura soffocando una globalità indispensabile, con interventi volti ad un recupero complessivo e ad una “non” formale integrazione.
La coercizione non aiuta il bambino autistico. Servono altre strategie, serve formazione, pazienza, tranquillità, disponibilità, anticipazione. Vie che privilegino la positività esistente in loro nelle diverse situazioni, che sfruttino i punti forti presenti nella realtà dell’altro, che richiamino l’impegno di tutti gli operatori nel realizzare un progetto partecipato di vera qualità della vita.




Linee guida fondamentali per avviare l’integrazione dei bambini autistici.

Alla scuola si dovrebbe giungere con requisiti minimi indispensabili già acquisiti dall’alunno certificato: l’attentività, l’attenzione condivisa, la capacità di scambio e la reciprocità nelle intenzioni, la motricità grossolana e fine, la comprensione del linguaggio, alcune autonomie di base, ecc.
Questo non sempre avviene, anzi raramente il bambino autistico è così opportunamente attrezzato e uno dei primi compiti della scuola, ai vari livelli, è quello di sapersi informare adeguatamente presso i diretti responsabili della presa in carico (specialisti neuropsichiatri infantili; esperti della problematica) sull’esistenza di questi prerequisiti e quindi valutarli, individuarli, quantificarli e monitorarli. Se assenti o carenti, la scuola deve assicurarsi il permanere dell’alunno certificato in percorsi atti a fornire ed adeguarlo a queste competenze essenziali.
La relazione medica deve essere informazione utilizzabile per gli insegnanti e dire loro cosa riconoscere e cosa è meglio fare ed evitare, ma soprattutto deve legittimare la forma di intervento pedagogico che verrà poi proposta.
L’altro, il bambino autistico, non è un esempio di patologia, l’altro è una persona da conoscere nella sua totalità, nella sua qualità di essere umano e come tale non ha di per sé obblighi di trasformazione in qualcosa di meglio.

L’intervento educativo nella scuola dovrebbe poi favorire:

l’acquisizione di un linguaggio
(in qualunque forma possibile privilegiando quello verbale, non verbale, corporeo, scritto, ecc.)
lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente
la promozione di competenze strumentali di base
la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe
l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.

Il successo degli interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi di altre variabili:

Precocità di avvio alla scolarizzazione, (favorire l’inserimento educativo precoce dei bambini autistici già negli asili nido, nelle scuole materne), sempre e solo se gli interventi erogati sono adeguati (questi due concetti non andrebbero mai disgiunti).

Competenza di tutti operatori, tutti quelli coinvolti, non solo scolastici, tutti, dalla sanità, scuola, società, servizi, tutti quelli coinvolti.

L’integrazione si realizza producendo culturae consenso.

Servono persone molto preparate, sotto il profilo, medico, pedagogico, sociale, ecc.
Se ci si riferisce ad un soggetto autistico si ha bisogno di insegnanti di sostegno che conoscano benissimo i capisaldi della pedagogia (per esempio le metodiche di Schopler, alcuni metodi di condizionamento operante, metodi di comunicazione aumentativa e alternativa, ecc). Insegnamenti fondamentali.che devono far parte del bagaglio professionale di chi si avvicina all’handicap cognitivo-relazionale e che poi saranno utilizzati e adattati in modo conforme al caso specifico.

Disponibilità affettivo-comunicativa degli insegnanti, che è specifica e di cui bisogna se ne assumano personale e piena responsabilità

Fiducia nell’ottenimento degli obiettivi che pertanto debbono essere realistici.

Ottimismo nella verità, non piaggeria o entusiasmo da ciarlatani

Coinvolgimento forte dei genitori e familiari, che debbono realizzare una continuità di obiettivi e strategie anche in casa.


E’ necessario partecipare come genitori, insieme agli altri operatori coinvolti, alla stesura del progetto educativo-pedagogico dei nostri figli, un progetto individualizzato, realistico, effettivo, e che la legge recita come condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti, flessibile ed utile nel metodo e nei tempi. Dovrà avvalersi di un uso proprio dei materiali e di un uso corretto degli spazi, valutando sistematicamente i risultati per correggere gli errori o potenziare i progressi

Lavoro di rete, di coordinamento e di integrazione degli interventi per mezzo di alleanze positive tra i vari operatori, tra servizi diversi, tra medici e insegnanti, tra assistenti sociali medici e insegnanti, tra dirigenti scolastici e responsabili dei servizi socio sanitari.
Mettersi insieme per dare risposte utili.
I genitori da soli, la scuola da sola, i medici da soli, possono ottenere meno di quanto sarebbe possible. L’ottica essenziale è quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e con l’organizzazione interna della scuola e del sociale.




L’istituzione scolastica, con l’avvento dell’autonomia didattica,non è più vincolata ad un modello permanente di funzionamento e può, di volta in volta, decidere secondo i bisogni degli allievi, quali forme organizzativo-didattiche siano le più funzionali rispetto all’intervento scelto; non c’è più un vincolo, un modello definito da seguire. L’avvio della devolution inoltre ridurrà sempre più le competenze del ministero della sanità e della pubblica istruzione facendo emergere nuovi interlocutori per il mondo della scuola: regioni, province, comuni, enti locali, ecc.

Il successo dell’inserimento è correlato alla personalizzazione, non l’autismo dunque ma Michele, Alessia, il bambino e la sua specificità.

Il successo formativo, non dipende solo dall’insegnante o solo dalle capacità dell’alunno, ma è una co-costruzione che si realizza attraverso l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati, graduali, progressivi, attraverso tentativi e aggiustamenti continui degli apprendimenti.
E’ essenziale passare in fretta da una logica individuale, quella che vede tutto il possibile in una sola figura professionale, ad una visione allargata, all’obiettivo comune nello sforzo di tutti.
E’ sbagliato pertanto pensare che simile progetto dipenda esclusivamente dall’insegnante di sostegno.
Anni di graduatorie ‘non’ di merito hanno mandato al massacro persone innocenti in entrambe le trincee. E’ ormai fondamentale il passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno, con i “sostegni”, come insieme di strumenti, operatori ed energie, coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai veri operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare l’integrazione dei nostri figli. Sono sostegni la comunità, il gruppo sociale e scolastico, il gruppo-classe, il tutoring, i materiali necessari e specifici; sono un sostegno l’uso specifico e alternativo e l’organizzazione degli spazi, la documentazione e i corsi di formazione, gli incontri tra operatori coinvolti, con i medici, con i genitori, i video con valutazioni collettive, periodiche, ecc. I sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre realtà, anche altri enti, altre istituzioni che ad esempio debbono preoccuparsi di fornire la scuola dei materiali indispensabili alla realizzazione di un percorso integrativo.







Nelle classi dove è presente il bambino autistico è indispensabile:

Conoscere bene il bambino
Conoscere bene la patologia, le sue cause, le sue caratteristiche, le difficoltà che produce.
La disabilità deve essere conosciuta senza pregiudizi, per poterla accogliere nel gruppo, dal latino cum prendere, cioè “prendere con sé”.
3. Conoscere le strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili in generale.
Le conoscenze cliniche e pedagogico didattiche specifiche sono oggi così stimolanti ed accessibili che non è più possibile accettare l’improvvisazione o l’ignoranza in questa direzione. Il problema della pedagogia dell’autismo non è diverso da una regione all’altra, da una scuola all’altra, è un intervento terapeutico internazionale. È una pedagogia mondiale.
Formulare e condividere con tutto il gruppo operativo il piano d’intervento e il progetto
educativo elaborato per quel bambino.
Conoscerne i dettagliati dell’intervento e strutturare la sua realizzazione mantenendo
un’ampia disponibilità alla necessaria flessibilità.
5. Agire nella quiete. Armarsi tutti di disponibilità, calma e tranquillità.
6. Preparare prima l’accoglienza, il lavoro da effettuare, strutturando spazi, tempi, materiali.
7. Anticipare le attività da svolgere (calendario attività) o la proposta (simbolicamente). Parlare in modo chiaro, semplificato e fare un parco uso delle parole come se fossero preziose chiavi per capire il mondo. Assicurarsi di essere comprensibili e soprattutto di essere compresi. Non usare esemplificazioni verbali, sinonimi, metafore ma essere sempre diretti, espliciti, univoci, coerenti, contestuali, supportando la parola con gesti, immagini, modelli...
8. Partire con attività gradite o che suscitino interesse. Inframezzare le diffocoltà con i piaceri.
9. Controllare e fornire adeguati stimoli senso-percettivi utilizzando un solo canale sensoriale per volta, in modo graduale, concreto, intensivo e ripetuto con assiduità, rettificandone l’utilizzo ogni volta che non funziona perfettamente.
10. Introdurre stimolazioni ed esercizi senso-percettivi utilizzando progressivamente più canali sensoriali, in modo graduale e ripetibile, adattando i compiti alla qualità risultati.
11. Proporre stimoli in quantità limitata (si può lavorare un minuto solamente su un’attività, e spesso è già un successo che quel minuto non sia andato sprecato) ma che siano di alta significatività (è bene interrompere una attività quando c’è il massimo successo in modo da renderla appetibile per una nuova proposta, appena un’attimo più lunga, il giorno dopo).
12. Preparare moltissime attività per una singola competenza (rischiare nuovi apprendimenti). Non tediare ma mantenere alto l’interesse con il successo e il piacere.
13. Organizzare attività con il gruppo; dapprima utilizzando proposte conosciute e praticate nell’uno a uno (bambino-adulto) sostituendo l’istruttore adulto con un coetaneo, e successivamente aprire vistosamente ai coetanei. Favorire liberamente la partecipazione spontanea all’attività del gruppo-classe, nel modo più fiducioso, coinvolgendo in reciprocità gli interlocutori.
14. L’impostazione metodologica deve essere giustificata, legittimata, validata, chiara e soprattutto documentata con registrazioni e video affinchè possa essere valutata nel suo divenire e nella sua efficacia dal punto di vista educativo. Sono i particolari di un intervento che lo trasformano qualitativamente.

Vi sono ostacoli e tanti possono essere interni all’alunno con autismo… ma troppo spesso sono esterni.

E’ certo che da una scuola priva di aule, dove mancano banchi o insegnanti (cosa non così inverosimile in certe zone del nostro paese), non è possibile pretendere l’ottimizzazione di un percorso educativo. Nella stragrande maggioranza dei casi però le risposte adeguate dovrebbero essere possibili.

Due o tre cose su cui non si può più transigere.

Per le specifiche caratteristiche neurobiologiche, gli inteventi educativi negli alunni autistici, devono svolgersi in un setting che preveda stabilità psicologico-ambientale e questo è risaputo nel mondo intero. Non si può più tollerare che l’esperienza della scolarizzazione dei nostri figli si trasformi in un sicuro meccanismo di regressione, di dolore, di confusione assoluta.
Su questa elemento di stabilità spaziale e strutturale fondamentale, si fonda il progetto di integrazione del bambino con autismo nella scuola.

Va fatta una battaglia durissima, giusta e necessaria, da parte di noi genitori, assieme agli insegnanti che sulla loro pelle l’hanno capito e con i medici che lo prescrivono. Ci sono delle precise responsabilità di legge dei comuni, proprietari delle scuole dell’obbligo, e delle province, proprietarie delle scuole superiori, quando gli spazi in cui dovrebbere integrarsi i nostri figli non sono previsti, non sono sufficientemente individuati, non sono sufficientemente ampi o bene illuminati. L’amministrazione centrale e locale deve inoltre comprendere in modo definitivo non solo questo ma anche il principio di continuità ancora continuamente calpestato dalle logiche occupazionali e con giustificazioni non pedagogiche ma spesso rivoltanti nella loro imperscrutabilità.

Erogare interventi educativo pedagogici adeguati.

Quando si può parlare di interventi adeguati?
Quando l’intervento erogato rispetta un codice che riguarda specificamente il soggetto autistico. Setting, continuità, preparazione, formazione, progettualità, condivisione, collegamento con il gruppo, tutela, disponibilità, tranquillità, verifiche, ecc.
Quindi la scuola che cosa fa?
Al momento fa quello che è in condizione di fare, in alcuni casi meglio, in altri peggio, in generale ancora troppo poco se parliamo proprio di autismo e scolarizzazione. Mi pare fondamentale se non altro in prospettiva futura affermare che il ruolo della scuola deve essere migliorato.
Ci vuole cultura. Ci vuole formazione.
Si deve passare da una formazione privata, costosa, elittaria, ad una formazione obbligata, sistematica e pubblica indirizzata e aperta a tutti (anche per coloro che già presenziano nelle strutture del territorio). L’università si deve impegnare a fornire formazione specialistica continua sull’handicap per i medici, per gli insegnanti, per i genitori. La provincia e i provveditorati dovrebbero attivarsi per la formazione. L’associazionismo dei genitori dovrebbe tornare garante di un primato del pubblico per i servizi necessari e fondamentali, lavorando nell’interesse esclusivo dei minori chiamati a vivere la qualità dell’integrazione, non preoccupandosi esclusivamente dell’affermazione delle proposte del proprio specialista o dell’insegnante di Marco o Matteo.
AUTISMO: COSA RICHIEDERE ALLA SCUOLA

Alla SCUOLA si richiede QUALITA’ e non quantità.

Se pensate che un bambino con autismo o con altri disturbi dello sviluppo possa essere inserito in ambiente scolastico sin dal primo giorno ad orario pieno, allora non conoscete questa sindrome.
L’inserimento dovrà essere necessariamente graduale e prevedere un’attenta strutturazione di spazi, modalità e tempi, delle moltissime attività da effettuare. L’immersione nel mondo scuola, seppure strutturata, dovrà essere attentamente monitorata, secondo la capacità di adattamento del bambino con disabilità e non certo secondo un’ipotesi di delega a tempo pieno all’istituzione di turno.
Ricordate che ritirare il piccolo bambino anche solo dopo un’ora di lezione, nei primi giorni, mantenendo elevato il livello di tolleranza e di interesse per ciò che viene proposto, significherà non doverlo necessariamente ritirare, persino definitivamente, più tardi, nè costringerlo ad aggravamenti e a penose alternative alla partecipazione (permanenza in vuoti corridoi o rimbombanti aule di ginnastica…) per frustrazione da insuccesso, da confusione, per eccesso esperienziale o per stanchezza, intolleranza.
E’ essenziale che il permanere a scuola sia sempre produttivo e di alto livello qualitativo. È certamente meglio che la scuola non lasci sperimentare, al bambino con disabilità, disagio, angoscia, frustrazione, fallimento, o consentirgli di scoprire modalità improprie di rifiuto, di allontanamento da essa.


QUALITA’


Qualità significa:

NON AVERE PREGIUDIZI
AVERE CALMA, DISPONIBILITA’, TRANQUILLITA’,
SAPERE BENE COSA “FARE”
e soprattutto
SAPERE COSA “NON-FARE”








COSA E’ L’AUTISMO

È un disturbo cerebrale complesso, i cui meccanismi e le cui cause sono ancora poco chiare, che sembra condizionare ed alterare profondamente l’utilizzazione corretta delle informazioni che giungono dall’esterno associata ad altre difficoltà. Molti livelli psicologico-neuro-funzionali sembrano disfunzionali ed incongrui rispetto alle classiche tappe dello sviluppo psicologico. Conseguentemente il bambino non è in grado di comprendere, distinguere, codificare spontanemente, oppure utilizzare in modo coerente le informazioni che gli giungono dall’ambiente. E’ confuso e invaso da un intricato e spesso intollerabile insieme di sensazioni difficilmente gestibili. Questo suo vivere in un caos sensoriale gli impedisce di partecipare, relazionarsi, capire, apprendere, avere iniziative ed elaborare i dati conseguenti a queste esperienze come succede normalmente agli altri bambini così da preferire il permanere in un sorta di basso e ripetitivo livello esecutivo e recettivo. Questa enorme difficoltà di ricezione, di utilizzazione adeguata delle informazioni e di produzione diventa vuoto di informazioni e povertà di performance. Vuoto che si esprime in mancanza di interessi, di linguaggio, in solitudine, agitazione, ritardo intellettivo, ritualità, incapacità di relazione e comportamenti inadeguati se non proprio inopportuni. Questo non significa che i bambini con disturbi cognitivo-comportamentali, non desiderino liberarsene, né che le competenze carenti non le si possa insegnare loro,nè che vi siano limiti insuperabili ad un compenso.
Lo sforzo di tutti è di rendere chiaro ciò che viene richiesto e proposto e di condurre progressivamente questi bambini verso una selezione, un ordine nell’apprendere e una normalizzazione del vivere con se stessi e gli altri, eliminando ciò che è di disturbo in questo cammino sia che venga dall’esterno, sia che dipenda dal problema biologico-neurofunzionale condizionante.












SAPERE COSA “FARE”


Accogliere un bambino con autismo o malattie correlate significa adottare le dovute strategie, significa sapere cosa “fare”:

COSA RICHIEDERE ALL’AMBIENTE

LUOGHI, TEMPI E ATTIVITA’ DA EFFETTUARE
DEBBONO ESSERE SEMPRE PROGETTATI PRIMA

1 - STRUTTURAZIONE DEL LUOGO
Significa organizzare e definire stabilmente alcuni spazi “protetti” all’interno della scuola.
Luoghi specifici, utili ad una ottimale realizzazione delle attività da svolgere in un rapporto uno a uno;
uno – piccolo/grande gruppo, identificati secondo le caratteristiche del bambino e
gli obiettivi educativi per lui individuati.
“Protetto” significa: configurato, adeguato, tranquillo.
Significa OCCASIONALMENTE organizzare e definire rapidamente ulteriori “spazi protetti” per adeguarsi ad attività diverse, nuove. Significa anche individuare segnali convenzionali, a disposizione del bambino, che lo mettano “in sicurezza” rispetto a una condizione di difficoltà o di minaccia, quando occasionalmente è fuori dagli spazi protetti. La progressiva estensione in senso dinamico del concetto di spazio “protetto” consente l’elaborazione di una individualità nello sperimentare, nell’esplorare e di una flessibilità operativa assai utile per uno sviluppo psicologico futuro.

2 - STRUTTURAZIONE DEL TEMPO
Sulla base delle caratteristiche del bambino e degli obiettivi educativi per lui individuati si debbono progettare, condividere, valutare gli insegnamenti da proporre.
Questo significa organizzare e definire prima, in generale e nel quotidiano, i tempi, le attività da proporre e eseguire; come effettuare la loro misurazione, registrazione, nonchè programmare le valutazioni periodiche da effettuare sugli apprendimenti per elaborare nuove pianificazioni e strategie.
Bisogna preparare prima ciò che serve (attendere è difficile e le modalità di attesa e riposo vanno insegnate) e anticipare quanto da eseguire con opportuni elenchi e tabelloni, definendo con chiarezza inizio e fine di ogni attività. Ci si preoccuperà di introdurre flessibilità nella loro proposta, nel continuarle e sospenderle, coinvolgendo l’alunno nelle attività di riordino.

NB. L’organizzazione dello spazio e del tempo dovrà essere pianificabile, comprensibile e visibile anche per il bambino (calendari attività; tabelloni ecc...)

3 - STRUTTURAZIONE DELLE ATTIVITA’
In base alle competenze già acquisite da un bambino e valutate attentamente quelle in emergenza si definiscono gli obiettivi da raggiungere, le competenze su cui lavorare.
Per ogni competenza se si progetteranno alcune attività che la riguardino, si prepareranno i materiali e le strategie per meglio effettuarla.
È utile disporre di più attività per singola competenza, evitando di annoiare, o di prolungare eccessivamente una proposta, mettendosi nella condizione migliore per mantenere alta l’attentività e l’adesione a quanto proposto. È opportuno inoltre iniziare sempre con una proposta gradita e poi le novità. Si spieghi bene cosa verrà esattamente richiesto al bambino, visualizzando e verbalizzando chiaramente il nome e le modalità esecutive della nuova attività, l’accesso e l’uscita da questa nuova competenza.
L’esecuzione delle attività, la risposta ad esse, la partecipazione a quanto proposto deve essere puntualmente premiata (variando ed estinguendo progressivamente gli aiuti e i premi) prestando molta attenzione a quanto si sta realmente e magari inconsapevolmente premiando in quell’istante; e mano mano che l’impegno e le capacità si manifestano, si inseriscano punteggi (tabelle con gettoni adesivi) per ottenere gratificazioni finali (scelte dallo stesso bambino e consistenti in concessioni speciali che lo riguardino) o proponendo contratti in cui esito sia di grande soddisfazione.
Non bisogna mai dimenticare di enfatizzare enormemente il piacere di effettuare e concludere bene un compito affinchè divenga esso stesso il vero premio.


COSA RICHIEDERE ALLE PERSONE

1 - COSA E’ RICHIESTO ALLE INSEGNANTI

FIDUCIA in sé stessi e nel bambino
DEDIZIONE, DETERMINAZIONE & CONTINUITA’
PREPARAZIONE, FORMAZIONE e AFFRANCAMENTO DAI PREGIUDIZI
(Es. di pregiudizi radicati quanto falsi: handicap irreversibile; sempre ritardo mentale grave; averbalità; aggressività; asocialità; autolesionismo, bambini pericolosi, difficili, ecc. )
I pregiudizi confondono e impediscono il riconoscimento che l’autismo è una disfunzione e non un male senza soluzione. Avere nella scuola un bambino con autismo è come avere un bambino con diabete. Così come una classe intera è informata e si ferma di fronte ad un malore di un bambino con diabete per soccorrerlo, per la stessa ragione dovrebbe “fermarsi” se un alunno con autismo, non riesce a comprendere quanto gli è richiesto, per soccorrerlo.

2 - ELIMINARE il “NO” e la frase “QUESTO NON SI FA”

La negazione e basta… non serve a questi bambini.
Non possono riempire un vuoto con un vuoto. Ma vale per essi la sostituzione, l’alternativa. (ad es. Se un bambino ama rubare la gomma dagli astucci dei coetanei e magari romperla, ridendo felice, è perché qualcuno, in precedenti occasioni, lo ha rincorso, lo ha catturato togliendogli di mano il prezioso oggetto, con grande partecipazione emotiva della classe intera. Le caratteristiche assunte dall’esperienza, magari casuale, l’hanno resa interessante, rinforzandola. Per modificarla ora è necessario impoverirla riducendone gli effetti (estinzione per indifferenza), Responsabilizzata la classe intera sul problema e sulla strategia per risolverlo, risulterà opportuno lasciare che il bambino completi la sua azione nel disinteresse di tutti e appenna si sarà fermato fargli una precisa richiesta: “Dammi la gomma”. In una successiva occasione gli si darà l’opportunità di sperimentare lo stesso comportamento facendo in modo che prima egli formuli la richiesta: “Posso avere la tua gomma?” e si enfatizzerà questa modalità: “Bravo che chiedi la gomma. Eccoti la gomma”… Promettimi che non la mordi.”
Servirà poi offrire alternative: “Adesso vai alla lavagna ma non prendere la gomma dall’astuccio di Marco”, come anticipazione del comportamento corretto. “Bravo che non hai preso la gomma”.
E infine verificare se il comportamento problema si è estinto offrendogli opportunità di dimostrarlo senza più rinforzi.

Una azione negata va giustificata e subito sostituita con un’altra azione o con una proposta alternativa, altrettanto funzionale ma adeguata, giustificata, guidata, magari facilitata all’inizio, premiata.
Va sempre spiegato il perché non si fa l’azione negata.
Lo si può fare verbalmente oppure disegnando delle vignette che spieghino visivamente quanto va fatto piuttosto che quanto non va fatto, oppure in alternativa vanno spiegati gli effetti di queste due contrapposte scelte, sia sul bambino, sia su chi gli sta attorno.
(es. Non gridare perché tutti scappano mentre quando chiedi quello che vuoi tutti tornano
felici e sorridenti a consegnartelo
).

In certe situazioni la negazione può trovare accoglienza se la sua formulazione viene opportunamente anticipata con una spiegazione,
(es. non ci fermiamo perché il negozio oggi è chiuso).

Quando si deve far fronte a comportamenti “inaccettabili” vale sempre la regola dell’analisi attenta del fenomeno nel suo complesso, di ciò che lo precede e di ciò che lo segue; le vie di soluzione passano dall’estinzione, dalla sostituzione con alternative opportune, dall’anticipazione, dalla proposta di modalità corretta, dal contratto.
Questo significa che un comportamento problema non deve ottenere mai una attenzione “palese – emotiva” che lo riempia di valori, effetti, efficacia quel comportamento, involontariamente “rinforzandolo”.
L’attenzione ci deve essere per proteggere l’alunno ma “mascherata” da indifferenza.
(es. Il bambino in macchina batte la testa contro il finestrino, magari in seguito a urti occasionali a causa del movimento della macchina che in qualche maniera gli sono piaciuti, oppure perché vorrebbe il finestrino aperto, ecco che sarà opportune mostrare indifferenza per proporre pochi istanti dopo la conclusione dell’azione, con la massima calma e chiarezza si chiede alla bambina di sedersi bene e di allacciare la cintura.: “… brava che ti sei seduta bene al tuo posto. Se vuoi aprire il finestrino devi solo chiedere: Posso aprire il vetro? Non serve battere la testa”. Se la bambina non riesce a chiederlo gli si dà l’ordine: “Apri il finestrino” Poi gli si chiede di chiuderlo. Dopo averla gratificato per il comportamento corretto, un adulto si siede dietro con lei e la aiuta a formulare la richiesta di aprire il finestrino in varie occasione mettendola però contemporaneamente in sicurezza esecutiva).

Se la situazione vi sfugge o vi preoccupa, chiamate un esperto, oppure inviategli un video di quanto accade, prima, durante e soprattutto dopo.










COSA SI CHIEDE AL BAMBINO.

QUALSIASI COMPETENZA E’ ACQUISIBILE DA UN BAMBINO CON AUTISMO.
MEGLIO SE E’ UNA ABILITA’ o UNA COMPETENZA SPENDIBILE, FUNZIONALE, UTILE A MIGLIORARE LA PROPRIA INTEGRAZIONE PIUTTOSTO CHE DI RARA UTILIZZAZIONE.
CERTAMENTE CI VUOLE TEMPO E IMPEGNO MA TUTTO PUO’ ESSERE INSEGNATO.

“SE UN BAMBINO FALLISCE, NON E’ SBAGLIATO IL BAMBINO, MA LA RICHIESTA CHE GLI E’ STATA FATTA OPPURE SIETE SBAGLIATI VOI”.

SE C’E’ INSUCCESSO OCCORRE SEMPLIFICARE, SCOMPORRE MODIFICARE LA RICHIESTA PER RENDERLA ACCESSIBILE. RENDERE ESEGUIBILE UN COMPITO CONSENTE AL BAMBINO DI DIVERTIRSI E DI OTTENERE GRATIFICAZIONE DA CHI GLI E’ ATTORNO E DALLE COSE CHE FA.
RENDERE ESEGUIBILE NON SIGNIFICA TRASFORMARE LA VITA IN QUALCOSA DI STUPIDO, MA CONSENTIRE AL BAMBINO DI NON DIVENTARE UNO STUPIDO.


SE IL BAMBINO HA SUCCESSO OCCORRE ANDARE OLTRE
:

1)
con ALLENAMENTO,
2) ACCELERAZIONE,
3) GENERALIZZAZIONE
4) IMPLEMENTARE


NB. In molte situazioni accade che se un compito è svolto molto bene dal bambino, che risulta interessato e tranquillo per un discreto intervallo di tempo, l’identico compito (es. un puzzle) viene proposto di routine al bambino, e persino di continuo. Uno dei problemi di cui soffrono questi bambini è la ritualizzazione e la adesività, modalità che consentono loro di gestire apparentemente meglio quanto accade nel mondo altrimenti caotico e difficile che ruota attorno a loro, ma che li lega ad una routine devastante. La propensione al ripetersi e al permanere eccessivamente su una stessa attività, non li trasforma in geni e non va spronata in esclusiva, né tollerata ma invece usata come strumento per far lavorare meglio il bambino
(es. ti lascio fare il puzzle che ti piace tanto, un minuto, poi lo sospendiamo, lasciandolo lì in bella vista, per disegnare o per dire la filastrocca… e dopo tutte queste attività, lo riprendiamo per altri due minuti).

La flessibilità e l’armonia nelle competenze (e non l’eccesso) è un obiettivo importantissimo nella soluzione dell’autismo.
Possiamo usare il SE-POI, cioè se farai questo (attività desiderata dall'insegnante), poi potrai fare quest’altro (attività desiderata dal bambino).

La semplificazione degli insegnamenti non può significare lentezza. La lentezza nelle proposte esaspera anche i soggetti con disabilità, produce noia, aggrava il ritardo possibile. È importante mantenere tempi tecnici di esecuzione di un compito più vicini possibile alla normalità, accelerando progressivamente le modalità esecutive. L’allenamento aiuta l’apprendimento. La generalizzazione quando una competenza è realmente appresa non ha bisogno di esercizi specifici per manifestarsi anzi direi che è la dimostrazione stessa dell’apprendimento e della consapevolezza di quella competenza. Implementare significa progredire, lentamente ma progredire. Persino rischiare qualcosa in più, qualche piccolo fallimento, piuttosto che divenire eccessivamente stazionari.


PREREQUISITI

Il prerequisito di ogni richiesta al bambino, da parte delle insegnati o dei compagni, deve essere la sua ATTENZIONE che inizia con lo “sguardo reciproco”, anche se per pochi secondi (occhi negli occhi, mantenendo una corretta distanza). Durante o dopo lo sguardo reciproco (attentività ottenuta), si fanno le richieste. Le richieste possono essere verbali, oppure verbali associate ad immagini.


VERBALIZZAZIONE

Qualsiasi azione o richiesta va accompagnata o formulata “verbalmente” (es. “Guardami(da eliminare presto)… Consegna i quaderni alle tue compagne”) mostrando chiaramente, se necessario oppure solo inizialmente, il compito da eseguire. Utilizzare ulteriori supporti alla richiesta verbale, quali l’indicazione con l’indice, con lo sguardo, con la direzione della testa, con l’uso di un’immagine fotografica di quanto richiesto – è di aiuto ma questo va progressivamente ridotto. La richiesta deve essere formulata in modo chiaro, semplice, diretto, contestuale, senza ambiguità o doppi sensi, con modalità e velocità di voce normali e moderate. Nello stesso modo oltre ai suggerimenti si possono utilizzare rinforzi (“bravo”…; “campione”…; ecc.; quelli che si usano anche per i coetanei) e premi (specialmente gettoni di ricompensa per acquisire il diritto a una merendina, che potrebbe poi coincidere con quella che viene data a giusto orario, e a tutti). Anche nei soggenti non-verbali la vita richiederà costantemente “comprensione del linguaggio verbale degli altri” ed è per questo che verbalizzare ciò che si sta proponendo ha un peso abilitativo elevatissimo. Questo inoltre serve ad abituare il bambino ad essere “attento” a ciò che gli si propone, alle richieste, o a ciò che succede attorno a lui e che l’attenzione premia.

NB. In senso più generale non si premia l’azione effettuata ma l’attentività e un altro importante obiettivo è prolungarne i tempi di questa, progressivamente. Abituare il bambino a mantenersi attento significa consentirgli di partecipare, osservare e apprendere qualsiasi competenza sino alla migliore normalizzazione possibile.

Ogni richiesta spontanea fatta dal bambino, se formulata in forma verbale corretta, intelleggibile, va prontamente esaudita anche se esula dalla situazione in cui ci si trova o su cui ci si applica (es. sta disegnando e chiede di andare in bagno. Si interrompe e lo si porta subito in bagno). Questo per consentire a lui la comprensione dell’utilità del linguaggio verbale.
Qualsiasi richiesta fatta, se scarsamente o solo parzialmente verbalizzata, oppure addirittura non verbale, seppur comprensibile, va sempre trasformata in richiesta verbale intelleggibile; va espressa dall’operatore con voce chiara e in modo semplice; va suggerita; va richiesta in imitazione e solo poi eseguita.
Meglio rinforzare il linguaggio verbale con il linguaggio del corpo, dei segni, delle convenzioni, (es. rispondo sì, muovendo la testa; chiedo “perché?” usando il segno con la mano; ecc.). Secondo gli esperti oltre l’80% del linguaggio tra gli uomini non è verbale e pertanto questa dimensione della comunicazione va attentamente insegnata ai bambini, persino quelli autistici.

Ogni apparente distrazione, per seguire un accadimento attorno a lui (attenzione ad un fenomeno inatteso), con interruzione delle attività in essere, (es. passaggio di un aereo nel cielo; il girarsi al richiamo di un amico, ecc.) dovrà essere gratificata per far comprendere al bambino che l’attenzione va prestata anche al mondo attorno, anche contemporaneamente a ciò che si sta facendo.

La capacità di formulare parole corrispondenti ad immagini (esercizi iniziali) potrà successivamente divenire breve descrizione di ciò che è attorno. Le ecolalie non vanno utilizzate (estinzione) ma trattate come stereotipie, (es. Se un bambino formula continuamente la stessa domanda non è affatto interessato alla sua risposta ed inoltre perde il significato del chiedere e del ricevere una risposta).
Formulare VERBALMENTE descrizioni di ciò che si sta vedendo o facendo, oppure che si sta per fare; ovvero dare risposte a ciò che viene chiesto è l’avvio ad una comunicazione verbale completa.
Se la verbalizzazione dell’azione è troppo tardiva, si procede ugualmente all’azione, sfruttando la sua esecuzione come momento per riformulare, facilitandolo, la richiesta o la descrizione nel modo verbale e gestuale dovuto.
Successivamente, quando le richieste e la comprensione del linguaggio saranno raggiunte, e ci si rivolge al bambino per esaudire una sua richiesta, si potrebbero introdurre due opzioni-risposta affinchè lui scelga, facendo attenzione a porre la richiesta meno allettante per ultima: “vuoi una caramella o un mestolo?” (l’elemento disturbatore all’inizio d’essere completamente inaccettabile, estraneo alla proposta).
Il bambino ‘non molto attento’ seppur in grado di comprendere il linguaggio tende a recuperare e ripetere l’ultima parte dell’offerta ma il disappunto di non ottenere quanto realmente desiderato aumenterà la sua attenzione alla successiva formulazione della richiesta. Quindi non gli si offre solo la possibilità di effettuare una scelta autonoma ma lo si abitua ad elevare, ad un livello attentivo più adeguato, la verbalizzazione.

Qualsiasi richiesta fatta al bambino con disabilità, dovrà essere formulata dapprima verbalmente e se possibile associata con il linguaggio del corpo (es. “Ci sediamo per la lezione” e se intendo con ciò fermarmi in una stanza, mi debbo sedere); poi con suggerimenti fisici (es. indicare con lo sgardo; avvicinargli l’oggetto in questione), aiuti che saranno progressivamente eliminati.
Usate premi meno intrusivi possible (es. No ad alimenti; caramelle…) e diluite in molti gettoni-ricompensa le azioni per ottenere un premio.

MA COMUNQUE se il bambino, al terzo tentativo, non esegue quanto gli si richiede, LO SI FACILITA E SI COMPLETA SEMPRE L’ESECUZIONE DI QUANTO RICHIESTO. Questo per far comprendere il legame fra richiesta verbale e azione e per impedirgli la frustrazione nell’esecuzione fallita di un compito (cosa diversa dalla frustrazione prodotta dal corretto rifiuto di un capriccio… Frustrazione quest’ultima che non gli fa male e che sarà poi prontamente diluita con una nuova proposta).
Nella verbalizzazione per semplificare un concetto evitate esempi, metafore e allegorie. Potreste creare molta confusione. Anche frasi interrogative generiche: “Hai capito?”, ”Sei pronto?”, “Andiamo?” vanno sostituite con interrogazioni che facciano pensare: “Hai capito cosa facciamo ora o non hai capito?”, ”Sei pronto per andare a fare una passeggiata o ti aspetto?”, “Andiamo in chiesa o restiamo qui nel giardino?” Ricordate che anche altre frasi astratte o di rito sono da evitare perchè incomprensibili se non contestualizzate (es. Cosa provi?; Cos’è l’amore?; ecc.).



ADEGUATEZZA E COMPORTAMENTI PROBLEMA

Favorire qualsiasi partecipazione o relazione con altri purchè “adeguata”, “consona” alla situazione.

Favorire l’attenzione a ciò che fanno gli altri bambini.

Es.:
coinvolgerlo con frasi del tipo:

A) “Guarda che stanno facendo. Facciamo anche noi il girotondo?”
“Chiedi che si fermino!”. Chiedi: “Fermatevi, voglio giocare!”.

“Chiedi ora a Francesca e Michela che ti diano la mano”- ”Ok “Giro, giro tondo…”
D) Guarda cosa fa Giorgia, aiutala a raccogliere le foglie”.
E) “Guarda cosa scrive alla lavagna Michele” e, se particolarmente semplice e concreto quanto scritto, “scriviamo anche noi quello che ha scritto Michele”; oppure “disegnamo quello che ha scritto: es. APE,” ecc.)

Guidare verso comportamenti corretti, adeguati, circostanziati, convenzionali usando una immersione nel contesto gradualissima, attenta ad aumentare l’esperienza conformemente alla accettazione in adeguatezza di questa.

NB. Ricordare che il comportamento adeguato va richiesto e preteso non solo dal bambino con disabilità ma anche da chi sta attorno a lui, adulto o coetaneo che sia. Da comportamenti inadeguati di un coetaneo, o di un adulto (anche se in generale non appaiono così gravi perché noi siamo abituati a pensare come normodotati, capaci di una valutazione di merito retrospettiva) possono originare “per imitazione” o per lo stimolo sensoriale che li ha accompagnati, comportamenti problema, o comportamenti inadeguati che, una volta appresi, sono poi di difficile rimozione.
Un bambino con autismo che ti dà uno schiaffo è un bambino che lo ha ricevuto.

IMITAZIONE

Promuovete l'imitazione dei coetanei ogni volta che è possibile
:

La possibilità-capacità di imitazione è una caratteristica innata e sempre presente nella condizione autistica per cui il binomio ATTENZIONE - IMITAZIONE apre percorsi abilitativi immensi.
Usate come modello i suoi coetanei sia per ottenere comportamenti adeguati, sia per insegnare.

Dall’ingresso all’uscita della scuola potete creare una gara organizzata di esempi pratici.
L’imitazione è uno strumento meraviglioso. Qualsiasi cosa gli volete insegnare affiancategli due sue amichette, una per parte, e fategli vedere come gli altri fanno quella cosa.
Es.: - Siediti come è seduta Simona.
- Disegnate questa cosa sul foglio come disegna…
- Alzate tutti la mano quando volete rispondere alle mie domande.
- Jacopo alza la mano, come gli altri, prima di dirmelo.

Correggetelo gentilmente ma puntualmente se infrange regole per le quali i suoi pari risultano corretti evidenziando il loro comportamento.
Promuovete l'apprendimento del nome degli altri alunni e la competenza nel chiamarli per interagire in attività e relazione con i suoi pari.

Es.: - Saluta i tuoi amici. Ciao…
Consegna a Maria il quaderno… e dille che il voto del compito è…

Richiedete che dialoghino fra loro a turno. Predisponente compiti in cui siano descritti dialoghi. Insegnante che le domande corrispondono a risposte. Selezionate per lui quelle più semplici, quelle più concrete, e ponetegliele o fategliele porre, facendo rispettare i turni.

Come ti chiami?
Come stai?
Che classe fai?
Dove abiti?
Hai visto che tempo fa oggi?
Che bella maglietta hai! Di che colore è?
Mi piacciono i tuoi pennarelli nuovi. Me ne dai uno?
Daresti a Marisa quello verde.

Aiutatelo a chiedere sempre quello di cui ha o avrebbe bisogno.

Es: Ora la maestra darà ad ogni bambino uno strumento musicale.
Cosa si farà con questo strumento? Guarda cosa fa Amelia.
Si siede, mette lo strumento sul tavolino e aspetta il segnale della mestra.
Aiutatelo a dire:- Starò seduto e suonerò al segnale.-

Poi premiatelo: Bravissimo: la maestra ti dirà quando devi suonare.

Lavorate sull'espansione delle formalità di relazione insegnado i "saluti", il sorridersi, lo sguardo reciproco nel dialogo, il modo di parlarsi, di mostrare gli oggetti, i compiti, facendo apprendere cosa dire quando ci si incontra, quando si va a passeggio, quando si va a fare la spesa, quando si fa un compito, quando si risponde alla mestra, come si dice quando non si capisce o si vorrebbe risentire quanto è stato richiesto.
Incoraggiate la conversazione tra loro insegnando a chiedere a un altro bambino di sedersi accanto a lui per la colazione o nella pausa gioco. Aiutatelo mentre conversa con gli altri bambini: ha bisogno di suggerimenti nell'interazione con i pari. Coinvolgete gli altri bambini e complimentatevi con loro per un buon lavoro come vi complimentate con lui. Se si presenta l’occasione in cui sia naturale che un pari lo corregga, incoraggiare il pari a farlo in modo chiaro, pacato e adeguato.
Es. Invece di dire “non spingere” dite “Bambini dovete toccarvi più piano”. Invece di “Non urlare,” direte “Parlate più piano”e fatene un esempio. Es. Se bighellona fuori dalla fila, dite: “Anita dì a Jacopo di sbrigarsi e prendilo per mano”.
Premiatelo sempre quando spontaneamente fa richieste o avvia lui per primo con qualcuno una conversazione durante un gioco o negli apprendimenti e lavorate per espanderla. Premiatelo quando lui nomina spontaneamente classificandoli gli oggetti che vede e riconosce. Espandete la competenza con descrizioni semplici di funzioni e caratteristiche secondarie.


TRANQUILLITA’, PACATEZZA, TOLLERANZA
e poi ricordate.

Se qualcosa non va o vi complica la vita… procedere con calma e ricominciare.

CHI CONTROLLA CHI?

Ricordare che il controllo della situazione, del progetto, degli obiettivi lo avete VOI e non il bambino. Serve autorevolezza in serenità. L’autorevolezza sta nell’assumervi la responsabilità di essere guida e nella chiarezza e nel valore di ciò che proponete. Lo scopo non è il controllo del bambino, il contenerlo, il far passare il tempo ma bensì: consentire al bambino ad esperienze utili, significative e produttive.








COSA RICHIEDERE AGLI ALTRI BAMBINI DURANTE LE ORE DI SCUOLA RISPETTO AL BAMBINO CON DISABILITA’:

Adeguatezza.

Fare attenzione a non urtarlo, non abbracciarlo, tironarlo, sbatterlo, spingerlo, evitare di urlare, ecc. ma essere “modelli di adeguatezza”, adoperando modalità comportamentali corrette, al fine di insegnare al bambino con difficoltà cognitivo-comportamentali come ci si guarda, ci si presenta, ci si parla; come ci si saluta, come si progetta assieme un compito, come lo si esegue, ecc.
Quindi informate la classe che mantenere un comportamento adeguato è un bene.
Che essere indifferenti a capricci, stereotipie o comportamenti impropri è un bene per il bambino con autismo; mentre è un bene dirgli bravo quando si comporta bene.

Spiegate prima, al bambino certificato, cosa succederà e come dovrà comportarsi (anticipare) e se inadeguato aiutatelo con vignette, con gli esempi dal vivo messi in opera dai coetanei e loro imitazione; con la riduzione esplicita del numero di gettoni premio guadagnati; con l’indifferenza assoluta rispetto a quanto non va bene. Abbiamo visto già come i comportamenti problema non vanno mai trasformati in momenti di comunicazione attiva, transitiva, oppure rinforzati con risposte che (anche se inavvertitamente) forniscono quanto desiderato dal bambino.
(es. Se ill bambino grida e subito si corre da lui, o ci si gira tutti verso di lui; se la classe ride rumorosamente ad un suo comportamento improprio… lui trasformerà tale risposta al suo comportamento in una possibilità interessante di attirare l’attenzione divertita degli altri su di sé, in un piacere, e memorizzerà quel modo per ottenere).
Sappiate inoltre che molti comportamenti problema vengono eliminati semplicemente “appesantendoli”: per esempio, una ecolalia (es. due coniglietti; due coniglietti…)si interrompe introducendo quesiti sulla stessa: “Come fanno i coniglietti a scappare dal lupo? Mostrami come corrono i coniglietti? Di che colore sono i coniglietti?Disegnamo due coniglietti”
o “introducendo un controllo dall’esterno” specie in stereotipie o comportamenti che terminano con un rinforzo (anche inconsapevole) per poi essere ripetute (Es. Il bambino appena fuori dalla classe corre a toccare tutti gli estintori della scuola, sino a che viene catturato o riceve l’ordine di non farlo. Poi ricomincia. Sarà bene non catturarlo, nè redarguirlo ma introdurre ordini attinenti. Ora esci e tocchi tre volte il secondo estintore mentre non tocchi il primo. Sei pronto, vai… Ora che l’hai fatto vieni qui e vestiti. Domani cambieremo la richiesta e ti lascerò toccare gli estintori in un altro modo (anticipazione e introduzione di scostamento temporale), ecc. Fino all’estinzione del comportamento.
Giochi vocali particolari con l’uso di una stessa parola accentuata impropriamente in una sua parte, tanto da farla sembrare un urletto, va riproposta in modo corretto… (es. “prin…” diverrà “Dì bene: principe”).
Giochi motori tipo stereotipie possono essere appesanti così da trovare soluzione.
(es. se il bambino con disabilità si sfrega la testa o ha altre attività motorie inopportune, ecco che gli si proporrà uno schema motorio più complesso da eseguire: fai questo, fai così ecc. secondo una attività motoria grossolana, di una certa durata, ma preparata prima, così da essere competenti, veloci ed efficaci quando ci sarà da proporla. Esistono attività utili anche agli altri bambini e che si possono eseguire assieme: mimare una poesia significativa).
Queste strategie possono irritare ma tale effetto significa anche che il bambino è agganciabile e comprende benissimo la richiesta che lo impegna diversamente.

Ogni comportamento problema va interrotto prontamente quanto adeguatamente.


Premiatelo quando è opportuno ed adeguato e siate indifferenti quando non lo è.
(Es. appena sta seduto bene e in silenzio durante la lezione della maestra. Di nuovo dopo un po’ di tempo).
Incoraggiatelo con complimenti quando si comporta adeguatamente

Quando il bambino realizza con successo qualcosa, andatene fieri e compiacetevi per un lavoro ben fatto da entrambi. Poi il giorno successivo, datevi un altro obiettivo, dimenticandovi del precedente successo. Compiacersi va bene ma si può ottenere di più.

L’importante è non pensare che solo cose banali e di modesta rilevanza possano essere proposte perché così si anticipa e si amplifica la realizzazione del divario tra questi bambini e i coetanei.Siate sempre presenti ma cercate di renderlo autonomo.

Fare bene non è così complesso come si è soliti pensare, né richiede un’enorme bagaglio formativo ma piuttosto un attrezzatura mentale “pronta” e una speciale attenzione nell’analisi di quanto succede e di come stanno andando le cose. Attenti anche alle soluzioni pratiche, alle piccole strategie da adottare, un particolare riguardo ai principi secondo cui ci si deve muovere.
Siate disponibili al confronto con gli altri operatori, con i genitori, senza paura di giudizi o critiche perché il lavoro da fare è molto e nessuno sa fare tutto da subito o da solo.

Quello che invece non si dovrebbe dimenticare ma che non viene mai detto, è che ogni volta che non ci si impegna, che si lascia andare… si è perduta un’occasione, un’opportunità di aiutare un bambino, domani un uomo, ad esistere oggi tra i bambini e domani tra gli uomini.



COSE DA NON FARE

Non permettete a voi stessi, come genitori, operatori, insegnanti di ruolo e di sostegno di rimane intrappolati nella routine della classe: i vostri obiettivi sono un po’ diversi da quelli degli altri docenti: le competenze e l’integrazione come occasione di normalizzazione con e attraverso coetanei.
Non permettetevi di utilizzare le stesse cose, gli stessi materiali, sempre nello stesso ordine, ogni giorno.
State attenti ad eliminare la rigidità degli alumni con disabilità e lavorate perché accettino meglio i cambiamenti.
Non permettete loro di utilizzare comportamenti inappropriati per attirare la vostra attenzione ma ricordate che per loro è naturale utilizzarli e non sono pienamente consapevoli della loro rilevanza o dei loro effetti. Gli effetti dei comportamento problema li costruite voi.
Non consentite anarchia, né confusione.
Completate sempre i compiti prefissati, magari riducendo i tempi di lavoro e preoccupatevi che si concludano o si sospendano nel massimo del successo.
Fate preparare e riordinare secondo modalità normali.
Coinvolgete altri bambini nelle stesse competenze.

Non permettete il permanere in solitudine, anche se quel particolare bambino sembra volerlo.
Attivatevi per ottenere interazione: non imparerà mai a giocare, a studiare o a condividere qualcosa con gli altri se li evita e se non glielo insegnate.

Non costruite handicap sull’handicap.
Non cercate di evitare alcune situazioni solo perché ritenete che siano difficili per lui. Adattatele a lui.
Lavorate proprio sulle sue difficoltà, sfruttando la negatività per costruire positività, incoraggiando le sue capacità.
Non confondete la calma con la lentezza o la noia. Lavorate e insegnate a velocità normale. Non proteggetelo troppo. Costruite il suo diventare indipendente.


CONTINUITA’

E’ un obiettivo, non una certezza. Impegniamoci affinchè diventi un’opportunità.

Non dimenticate il confronto con i genitori.
Trasferite con coraggio un ottimo lavoro in un ambiente in cui magari non si fa altrettanto. Trasferite alle strutture, che non lo sanno ancora fare le corrette modalità apprese per effettuare e continuare un ottimo lavoro.
Comunque vadano le cose il confronto continuo è bene: il bambino ci guadagna.
FASE I
INTERAZIONE - ADEGUATEZZA

1) Aiutate anche fisicamente il bambino a partecipare a tutte le attività
Concentrate l'attenzione nel fargli imparare le prime regole essenziali
(mettersi in fila, stare seduto; stare in silenzio).
Non aiutatelo più… quando è capace.

2) Aiutate il bambino nell’apprendimento in parallelo e in gruppo.
Aiutate il bambino ad espandere la durata della attenzione e della relazione
Aiutate il bambino ad agire con gli altri bambini

3) Insistete sul "sapersi comportare" durante la lezione
Aiutatelo ad usare correttemente i materiali di lezione
Aiutatelo ad usare correttamente i quaderni e i libri
Aiutatelo a seguire la lezione alla lavagna.

4) Premiatelo molto per i comportamenti appropriati

La lezione della maestra, quando tutti devono stare attenti, è un momento molto difficile per i nostri bambini.
Inizialmente pretendete che il bambino sieda composto e in silenzio per pochissimo tempo. Prefiggetevi un obiettivo alla sua portata. Rinforzate moltissimo se raggiunge questo obiettivo poi lasciatelo distrarsi e uscite ma scegliete voi il tempo di uscita anticipando la scelta del bambino possibilmente. Assegnate compiti motori al bambino (Es. Consegnare quaderni fogli matite; cancellare la lavagna) frapponendo queste attività allo stare seduto.
Il giorno successivo pretendete l'attenzione alla lezione per più tempo (un minuto; due minuti) da cui voi estrarrete (con una strategia comune e condivisa con la mestra) un elemento chiaro per disegnarlo, continuando questa procedura finchè il bambino è capace di sedersi appropriatamente per tutto il tempo deciso (purché sia a lui utile) e di seguire parte della lezione.
Se i capricci disturbano la classe, appena questi si sono interrotti, potete tranquillamente allontanarvi con il bambino dalla classe (dovrete sembrare voi a decidere e non il comportamento del bambino ad avere specifiche conseguenze), ma solo per PROPORRE UN RIPOSO, che va insegnato, oppure un ALTRO LAVORO (magari più facile per lui); e subito dopo, in altra sede, qualcosa di più complicato; meglio se con un compagno presente, che funga da modello… ma mai "premiare" il suo comportamento negativo, rinforzandolo, con il disimpegno, o tollerando un comportamento inadeguato o solitario. Dovrete anche prevedere intervalli di riposo e insegnare ad attendere strutturando la situazione e usando specifiche posture.





FASE II

VERBALIZZAZIONE
1) Promuovete sempre l'uso del linguaggio verbale (e non)
Lavorate con il piccolo gruppo sui dialoghi formali e con la maestra e i compagni organizzate una brevissima lezione “finale” con domande e attività specifiche per il bambino con autismo, a cui partecipino in modo corale tutti, ma in cui il protagonista sia lui. Richiedete il contatto oculare quando parla o gli viene rivolta la parola, un saluto o una richiesta.
Aiutatelo a rispondere correttamente alla maestra e agli altri bambini.
A questo momento finale fate precedere e seguire un tempo breve di normali prestazioni molto adeguate al programma degli alunni. Insegnategli il modo in cui può chiedere agli altri qualcosa o direttamente alla maestra (alzare la mano).

2) Prefiggetevi il raggiungimento di comportamenti appropriati nella classe. Organizzate per seguire il lavoro del gruppo e in gruppo. Fate in modo che partecipi a progetti, competenze strutturate e libere. Insegnategli come essi si riordina la cartella, il banco, la classe.

3) Aiutate l’interazione.
L'insegnante di sostegno deve diventare l’amica degli altri bambini.
Gli altri bambini di conseguenza vorranno stare vicino a lei e quindi intorno al bambino in difficoltà. Il premio per un successo scolastico dei bambini normodotati potrebbe essere quello di poter stare con il bambino certificato, divenendo protagonisti di una esperienza comune. L'insegnante deve aiutare continuamente il bambino a partecipare, ascoltare e parlare con gli altri bambini in modo appropriato.















FASE III

Perseguire: ADEGUATEZZA, PRECISIONE, COMPETENZA E DURATA.

Nei casi più evoluti:

1) Prefiggetevi piu indipendenza durante le attività. Richiedete al bambino di guardare il tabellone calendario delle attività e di seguire la lezione, limitando i coetanei, per sapere cosa succederà o si farà dopo (non ditegli cosa deve fare). Richiedete al bambino più verbalizzazione e iniziate a pretendere che entri nei discorsi, dapprima con semplici parole chiave, inerenti e facilitate nella formulazione e poi spontanee, alzando la mano per partecipare alle discussioni di classe. Assicuratevi che il bambino canti tutte le canzoni, reciti le poesie, anche a turno, ecc. insieme alla classe.

2) Aumentate la frequenza dell'interazione spontanea con gli altri bambini. Incoraggiatelo a fare domande e a rispondere alle domande degli altri sempre piu elaborate. Pretendete che attiri l'attenzione degli altri prima di parlargli toccandoli o chiamandoli per nome. Incoraggiatelo a condividere. Promuovete speciali amicizie anche fuori orario scolastico con i compagni di classe. L'insegnante utilizzi il bambino come suo speciale aiutante in modo che gli altri lo ammirino per le sue qualità.

















Riassunto delle regole generali

1. Discutere, Preparare, Condividere e Seguire un Progetto
-Strutturare l’ambiente
-Strutturare gli avvenimenti, modalità e tempi e i singoli esercizi
-Informare su ruoli e attività, le altre persone o bambini coinvolti
-Proporre con gradualità e strategie
2. Tranquillità, Disponibilità, Comprensione, Calma e Buon umore,
Lasciare i problemi a casa
3. Preparare e Predisporre gli strumenti; eventualmente coinvolgere il bambino nella preparazione e nel riordino
4. Non consentire tempi morti ma piuttosto strutturare le attese in maniera adeguata alla tolleranza del bambino, insegnando ad attendere, o a rispettare il proprio turno
5. Anticipare ciò che succederà e quanto si richiede
6. Cercare e ottenere lo Sguardo e l’attenzione; prolungare lo sguardo reciproco a 3 - 5 secondi
7. Perseguire: Adeguatezza, Precisione, Competenza, Durata e Coinvolgimento (motivazione)
8. Richiedere cose secondo obiettivi pre-definiti. Non produrre richieste esorbitanti le capacità e se irrosolte occorre semplificare
9. Formulare le richieste in maniera chiara, semplice, pacata, a tono di voce moderato. Verbalizzare sempre in modo da far comprendere ciò che si richiede e si compie
10. Pretendere, invogliare, attendere la risposta o l’esecuzione della consegna per tempi adeguati e poi completare
11. Individuare, visualizzare, definire inizio e fine degli esercizi da compiere
12. Facilitare i compiti. Avviarli e lasciarli compiere nella maggiore autonomia possibile
13. Introdurre nel rapporto uno a uno, il ruolo del compagno, sfruttando l’imitazione, la turnazione, lo scambio. Introdurre progressivamente il rapporto con il gruppo.
14. Fare in modo che ogni attività divenga un successo, un piacere
16. Ridurre progressivamente suggerimenti o premi
17. Favorire e premiare l’attenzione prestata a ciò che succede nell’ambiente, anche incidentalmente, al di fuori del compito.
Favorire e premiare qualsiasi richiesta (ad eccezione di premi organizzati secondo
gettoni premio) se formulata correttamente anche extra-situazione.
Favorire la spontaneità
19. Non creare esclusione dalle attività o rallentamento nell’esecuzione di richieste
Lateralizzare (favorire l’uso della sola mano destra – o sinistra, se mancino -) nelle
attività di rito
Seguire l’ordine di scrittura (da sinistra a destra; dall’alto al basso) nelle attività
grafiche e di lettura o interpretazione di immagini
22. Strutturare ma non ritualizzare. Proporre le attività della giornata o prodursi in
proposte alternative secondo strategie opportune
23. Premiare sempre i comportamenti corretti. Non considerarli mai ovvi e scontati.
24. EVENTUALI STEREOTIPIE non debbono significare interruzione di un programma
ma andranno trascurate o interrotte adeguatamente (per la loro gestione è opportune
rivolgersi ad esperti).
25. MAI REAGIRE IN MANIERA PUNITIVA AI COMPORTAMENTI PROBLEMA, NE’ MAI RINFORZARLI CON INTERVENTI ECLATANTI, nemmeno inavvertitamente, né renderli comunicazione fruibile o motivo di concessione di richieste (chi controlla chi?). Si agirà secondo le strategie comportamentali dettate dagli esperti
26. Riferire sull’andamento e confrontarsi
27. Essere pronti a ricominciare d’accapo ogni volta lo si renda necessario
28. Ricordare che la flessibilità del bambino va costruita attraverso la flessibilità degli
interventi. Essere coerenti con quanto proposto non significa non poter progettare diversificazione.




 

Fonte: http://www.autismoonline.it/scuolaautismo/Scuola%20e%20Alunno%20con%20Autismo.doc

Sito web da visitare: http://www.autismoonline.it/

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