Psicologia sociale della famiglia

 


 

Psicologia sociale della famiglia

 

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LEZIONE 01/10/2007

 

L’OGGETTO “FAMIGLIA” NELLE SCIENZE PSICOSOCIALI

 

La Psicologia Sociale della Famiglia propone una lettura della famiglia nuova rispetto a quella clinica o evolutiva. Queste ultime considerano la famiglia come un contenitore di relazioni e come la fautrice del benessere o del malessere di un soggetto mentre la Psicologia Sociale della Famiglia osserva la famiglia come “soggetto”.

La famiglia come oggetto di studio è recente; non è stato un oggetto indagato da molto tempo anche se c’è sempre stata nello sfondo delle varie teorie e ciò perché non è mai stata pensata e messa a fuoco come oggetto di studio primario. L’interesse per la famiglia come oggetto di studio si è sviluppato attraverso gli studi sui bambini i quali, a loro volta, si sono evoluti solo dopo che l’oggetto “bambino” è divenuto oggetto specifico di studio a sé stante in quanto pensato come tale.
Purtroppo prospettive diverse ritagliano oggetti diversi e affinché la famiglia possa diventare oggetto psicologico occorre che ci sia una centratura sulla famiglia come oggetto specifico a sé stante. Tale centratura sulla famiglia avviene attraverso il passaggio dagli oggetti che si trovano dentro alla famiglia alla famiglia stessa intesa come “soggetto”.

Dall’emergere dell’oggetto bambino alla famiglia, supposta al di là di esso.
In principio la famiglia è stata percepita come un’entità “supposta” dietro al bambino e talmente influente da determinarne le sorti psichiche. Questo pensiero caratterizza il paradigma ereditario/familiare, causativo e rigidamente deterministico il quale ritiene che la famiglia esercita un condizionamento deterministico sul bambino per cui diventa la causa di ciò che si osserva nel bambino stesso. Assegna molta importanza a ciò che viene acquisito geneticamente.

Tale paradigma è stato sostituito negli anni ’30 dall’imporsi del paradigma ambientalista inversamente deterministico. In esso la famiglia viene ricondotta a povertà di stimoli perché è l’ambiente più o meno ricco che causa ciò che si osserva e si indaga nel bambino. In particolare la famiglia viene osservata e letta direttamente attraverso le categorie della interazione e della relazione.

Tale paradigma è stato arricchito dal contributo dato dalla psicoanalisi, in particolare da Freud (1913) che considera il bambino come “resto pulsionale nell’adulto”. Freud non indaga la famiglia ma la legge soltanto al fine di capire le pulsioni o “resto pulsionale” che si manifestano nell’età adulta in quanto considera la famiglia come l’origine delle stesse. Maiocchi poi (1985) parla di Complesso di Edipo come ciò che sigla l’infanzia come evento familiare. Tale lettura si arricchisce con il contributo di Erikson (1950) che introduce gli stadi di sviluppo psicosessuale.

 

LO STEREOTIPO PUEROCENTRICO

Lo stereotipo puerocentrico caratterizza la seconda metà del secolo scorso e porta a concepire il bambino come oggetto fragile e modellabile, vittima di repressione adulta e specchio del comportamento altrui.
(S                                     R)

In particolare la madre viene considerata il soggetto principale artefice di questa creatura e quindi viene colpevolizzata in quanto ritenuta “artefice” della felicità / infelicità del bambino.
Il padre viene ritenuto fondamentale perché è colui che determina la differenza in termini di condizioni evolutive in adolescenza e perché incide sulla madre attraverso il tipo di relazione che instaura con essa.

Dalla centratura sulla madre si passa alla centratura sulla famiglia.
La famiglia però è letta e ridotta unicamente a influenza della madre sul bambino, modellato e condizionato dagli adulti. Il bambino viene visto come un’immagine vuota e come l’esito del rapporto causa/effetto in quanto svuotato della sua soggettività. Queste concezioni generano un paradigma di tipo causativo e lineare.

Inoltre la famiglia viene vista come un’immagine vuota e condizionata dal sociale ampio e forte. I due paradigmi che hanno studiato la famiglia in questo senso e che hanno portato a leggere la famiglia in modo funzionale sono due:

il MARXISMO e il FUNZIONALISMO

i quali considerano la famiglia come un elemento organico della società. Non viene considerata come un soggetto ma come un contenitore sociale.
In particolare:
la famiglia viene considerata come una entità psicologica supposta e
la famiglia viene considerata come una entità sociologica prodotta.
Questi due paradigmi hanno portato a concepire una famiglia tanto invocata, come causa per le funzioni che gioca, quanto inafferrabile.

Il costituirsi della famiglia come oggetto di studio delle scienze psicosociali è stato reso possibile dalla scomparsa del paradigma causativo a favore del paradigma di interazione.
Quest’ultimo porta ad applicare uno sguardo circolare sui fenomeni che prevede una interazione continua tra di essi e induce a chiedersi come un fenomeno interagisce con gli altri e come contribuisce al manifestarsi del contesto in cui avviene. Il “sociale” e la “relazione” assumono il ruolo di costruttori dell’identità e non solo di scenario o sfondo in cui l’identità di sviluppa.
La conseguenza di tale paradigma è la istituzione di altri punti di vista tra i quali quello che considera la famiglia come un campo interdisciplinare. In particolare Kurt Lewin studia la famiglia in termini di “campo di relazioni”, un insieme di forze costantemente in adattamento e in aggiustamento perché su di essa agiscono fattori di diverso tipo: personologico, micro e macro sociale,culturale e storico.

 

LEZIONE 03/10/2007

 

LA FAMIGLIA TRA IDENTITA’ E MUTAMENTO

 

Due sono state le domande fondamentali che hanno segnato il percorso storico-teorico della riflessione delle scienze psicosociali sulla famiglia:
-        la domanda sull’identità “Che cos’è la famiglia?”
con la quale ci si chiede come può essere definita;
-        la domanda sul mutamento familiare “Come si evolve la famiglia?
con la quale ci si chiede come cambia.

I due apporti teorici che hanno contribuito a rispondere alla domanda sul come definire la famiglia sono:                

  • la teoria sui gruppi che considera la famiglia come un piccolo gruppo;
  • la teoria dei sistemi che considera la famiglia a sistema.

I due apporti teorici che hanno contribuito a rispondere alla domanda sul come cambia la famiglia sono:
-        la Stress and Coping Theory la quale studia come vengono affrontati dalla famiglia gli eventi stressanti;
-        l’Approccio dello Sviluppo.

Ci si pongono queste due domande perché negli anni Novanta si assiste ad una parcellizzazione delle teorie in miniteorie troppo numerose con la conseguenza che risulta assai difficile giungere ad una interpretazione univoca dei risultati delle ricerche sulla famiglia. La sfida che ci si pone oggi è quella di trovare un paradigma di riferimento “forte” che risponda a queste due domande.
A tal fine si parte da una concezione di famiglia come sistema e si cerca di arricchirlo con il polo etico e il polo affettivo.

 

COME DEFINIRE LA FAMIGLIA: FAMIGLIA E PICCOLO GRUPPO

Dagli anni ’50 la famiglia è stata definita un piccolo gruppo e ciò a partire dallo studio dell’oggetto infanzia che ha consentito di spostare l’attenzione sulla dinamica relazionale quale causa del benessere o malessere del singolo e quindi di analizzare l’individuo nel contesto in cui è immerso e non solo nella sua individualità.
Dal paradigma causativo si è passati al paradigma di interazione / circolarità.
Tutti questi passaggi storici da un concetto ad un altro concetto più evoluto sono molto importanti perché hanno portato a cambiare lo sguardo con cui il singolo viene osservato.

Molto importante per la definizione della famiglia come piccolo gruppo è il contributo di Kurt Lewin. La sua Teoria del Campo postula che il campo è quella totalità dinamica dei fatti coesistenti nella loro interdipendenza.
Il concetto di totalità dinamica è relativo al fatto che il cambiamento di una parte interessa anche tutte le altre per effetto dell’interdipendenza tra i suoi membri.
Lewin affermava che il gruppo è diverso dai singoli perché i singoli insieme producono un al di là che va oltre all’individualità per cui
il gruppo è un fenomeno, non la somma dei fenomeni,
è qualcosa di più, o meglio di diverso, dalla somma dei suoi membri.

La sua definizione di gruppo si adatta perfettamente alle caratteristiche sia strutturali sia di funzionamento della famiglia e all’esigenza di creare una lettura del singolo che vada oltre all’individuo e che comprenda anche il suo sociale che non è soltanto fisico ma soprattutto emozionale e relazionale. Questo perché le persone con cui un individuo si relaziona possono non essere presenti fisicamente ma essere presenti nella storia del soggetto.
Tali concetti introducono un punto di vista relazionale che risulta innovativo per quei tempi dominati dalla tendenza a ridurre i fatti sociali alla semplice somma dei comportamenti individuali.
Tuttavia una particolare attenzione al punto di vista relazionale viene manifestata più da parte dei terapeuti e meno da parte degli psicologi sociali i quali erano prevalentemente concentrati sugli studi sui gruppi artificiali che presentano alcune caratteristiche simili alla famiglia e altre no.

DE GRADA (1999) individua i criteri di gruppalità applicabili al gruppo familiare e i seguenti punti in comune tra il gruppo e la famiglia:
-        l’eccedenza rispetto alle persone che lo compongono perché sia la famiglia che il gruppo sono qualcosa di più, o meglio di diverso, dalla somma delle loro singole parti;
-        l’interdipendenza dei suoi membri tale per cui la non partecipazione di un membro della famiglia ad un evento che chiama in causa tutta la famiglia sarà comunque considerata come una sua non presenza invece di non essere considerata proprio;
-        la presenza di interazioni frequenti orientate al raggiungimento di uno scopo comune che distingue il gruppo della collettività. Infatti il gruppo, a differenza della collettività, è caratterizzato dalla conoscenza tra i suoi membri, dalla interazione continua ed inoltre dallo scopo che è sempre comune a tutti i suoi membri.
-        Il sentimento del “noi” inteso come la consapevolezza da parte di ciascuno dei membri di sé e degli altri come parti che compongono un “tutto”.        È il sentimento con il quale ci si sente di appartenersi reciprocamente e che permette di riconoscere che si è in due.
In particolare Brown afferma che affinché ci sia un gruppo è necessario che ci sia una duplice percezione: interna, tra di noi membri del gruppo o della famiglia, ed esterna, nei confronti delle oltre persone o sociale.
-        La presenza di ruoli e compiti e quindi la presenza di una struttura organizzativa orizzontale che attribuisce i ruoli e divide i compiti.
-        La presenza di una gerarchia o asse verticale perché come nei gruppi si crea sempre una gerarchia di potere sulla base di aspetti diversi tipo gli status o le posizioni sociali, anche nella famiglia emerge una gerarchia verticale in relazione ai diversi ruoli assunti.
-        La presenza di una struttura normativa che definisce l’ideologia e la cultura del gruppo perché come i gruppi si danno una serie di norme che devono essere rispettate ed accettate da tutti i suoi partecipanti, anche all’interno della famiglia si osserva una specifica struttura fatta di norme e di divieti specifici.
-        Il senso di appartenenza inteso come quel legame riconosciuto che vincola reciprocamente i soggetti. Nella famiglia si manifesta con la gelosia ed il senso di esclusività che determinano i confini ben marcati di cui la famiglia deve essere dotata per essere distinta dall’esterno e come, del resto, avviene anche per il gruppo.

Le differenze tra i piccoli gruppi e la famiglia sono:

NEL

PICCOLI GRUPPI

FAMIGLIA

Tipo di gruppo.

Artificiale

o con un elevato grado artificiale.

Naturale infatti si afferma che la famiglia è la forma sociale primaria perché svolge alcune funzioni fondamentali senza le quali la società stessa non potrebbe vivere.

Manipolazione da parte del ricercatore.

Massima.

Minima. Infatti si afferma che la famiglia è il setting naturale per eccellenza perché non è possibile assegnare i ruoli o fare uscire ed entrare da essa i suoi membri.

Scopi.

La produttività e l’efficienza.

1) Lo sviluppo dei singoli membri e della famiglia come un “tutto”. Si tratta dello scopo primario della famiglia che consiste nel  preservare il legame che unisce i membri in un “tutto” e nel farlo evolvere.
2) L’assolvimento dei compiti intergenerazionali.
La famiglia ha una dimensione intergenerazionale perché incrocia più generazioni le quali hanno tutte delle responsabilità proprie e sono unite da un legame particolare. Tale legame fa in modo che ciascun membro della famiglia non solo “prende” ma “da” ed in particolare restituisce quanto ha ricevuto andando avanti nella sua vita familiare. Quindi riceve all’interno di una dimensione di scambio a cui è legato.

La gestione del potere.

Nei piccoli gruppi è esercitata dalla leadership.

Nella famiglia è suddivisa tra i membri, a seconda dei ruoli da essi ricoperti e della posizione intergenerazionale occupata.
In adolescenza questa dimensione di potere e la sua legittimazione cambia e deve essere maggiormente giustificata rispetto a ciò che avviene con un bambino di sette anni.

La dimensione temporale.

Non è per nulla significativa nei gruppi ad hoc ed ha un’importanza solo marginale nei gruppi di lavoro. Questo perché nei gruppi le relazioni finiscono oppure si trasformano e i membri possono decidere di restare o di uscire dal gruppo stesso.

E’ di importanza cruciale per la famiglia la quale viene per questo definita “un piccolo gruppo naturale con storia”.
Perché la famiglia “ha” una storia e “crea” una storia. Ha una sua storia specifica e personale da quando si crea ma anche prima perché nel qui ed ora si porta la storia familiare che ci ha preceduto. Crea una storia perché ciò che connota la famiglia è la generatività.

In sintesi tutto ciò porta ad una identità della famiglia che viene individuata in questi due aspetti:
a)      nel suo essere gruppo naturale e primario per eccellenza con le caratteristiche tipiche dei gruppi;
b)      nell’avere delle sue specificità per quanto riguarda la struttura, i fini e la dimensione temporale.

 

COME DEFINIRE LA FAMIGLIA: FAMIGLIA E SISTEMA

L’incontro tra la Teoria dei Sistemi e la famiglia è avvenuto agli inizi degli anni ’50 non sul terreno teorico o di ricerca ma sul terreno della terapia a seguito della esigenza di molte discipline di trovare delle concettualizzazioni in grado di tener conto della complessità del reale, superando la settorialità degli studi e la superspecializzazione.
In particolare si sentiva l’esigenza di modelli interpretativi globali.

Negli anni ’30 la Teoria dei Sistemi di von BERTALANFFY introduce le tre categorie di concetti: interazione, transizione e organizzazione che permettono di giungere ad affermare che la realtà della famiglia è complessa e sfugge alle semplificazioni del meccanismo e alla frammentazione specialistica dell’indagine scientifica. L’interesse si sposta verso la famiglia che viene vista come un flusso di relazioni in cui gli individui sono immersi.
All’interno della pratica clinica e della ricerca ad essa connessa si inizia a considerare, osservare e trattare le famiglie anziché gli individui isolati evidenziano così che lo spostamento per eccellenza che avviene è lo spostamento di attenzione dai fattori intrapsichici ai fenomeni interpersonali. Lo sguardo non è più soltanto individuale ma è rivolto all’interazione.

L’applicazione dei principi della Teoria dei Sistemi alla pratica terapeutica ha portato alla ridefinizione del SINTOMO PSICHICO DELL’INDIVIDUO che ora viene letto come qualcosa che dipende dalla situazione relazionale che l’individuo vive, soprattutto all’interno della sua famiglia anziché essere una proprietà esclusiva del soggetto singolo che manifesta il sintomo stesso. In pratica ciò che è patologico non è più l’individuo bensì le relazioni che l’individuo vive le quali possono creare sofferenza psicologica.
L’uomo viene considerato come qualcosa che è costruito dalle relazioni e “creato” nei suoi significati da esse, passando da ricevente ad emittente di informazioni.
In questa rilettura:
-        acquista centralità la comunicazione;
-        la psichiatria viene ridefinita in termini di teoria e analisi della comunicazione perché anche la patologia  viene considerata una fonte di comunicazione storica.
In particolare la patologia viene considerata un linguaggio la cui comprensibilità è basata sul sistema di codificazione e di decodificazione in cui si realizza.
Quindi per comprendere la patologia è necessario conoscere questo sistema in cui si realizza ossia è necessario essere capaci di leggere le relazioni all’interno delle quali la patologia si manifesta, i messaggi che ci si scambia e le informazioni che si ricevono con esse.

Le concezioni sistemiche della famiglia presentano due caratteristiche di base::
-        sottolineano che la famiglia è più della somma delle due parti;
-        enfatizzano le interazioni dinamiche reciproche tra le parti e le dimensioni contestuali, sociali e culturali all’interno delle quali le famiglie si formano e crescono.

L’incontro tra la prospettiva sistemica e lo studio della famiglia è stato favorito da due teorie:
-        la CIBERNETICA.
-        la TEORIA DEI SISTEMI.
La Cibernetica:
1)      è processuale;
2)      si occupa soprattutto di comunicazione e di controllo.
         Tra i suoi concetti principali ci sono quello di retroazione o feedback in base al quale le unità che formano un sistema cibernetico danno e ricevono sempre un messaggio di ritorno nei confronti del messaggio emesso o ricevuto. In questo modo il messaggio ritorna sempre all’emittente modificandolo.

La Teoria dei Sistemi:
-        è strutturale;
-        i suoi concetti che descrivono la struttura del sistema sono: la non sommatività, la causalità circolare, l’equifinalità, l’omeostasi e la morfogenesi.

1)      La NON SOMMATIVITA’.
La famiglia costituisce un sistema diverso dalla somma delle sue parti / individui che deriva dall’interconnessione dei suoi membri.
2)      La CAUSALITA’ CIRCOLARE.
Le azioni comunicative dei familiari si influenzano reciprocamente.
Ogni azione è anche, a sua volta, un effetto o una reazione di un’altra azione.
3)      La EQUIFINALITA intesa come imprevedibilità.
Le condizioni iniziali di un sistema non determinano rigidamente il suo stato finale.
Infatti, a partire da condizioni iniziali simili, due famiglie possono evolvere verso stati finali molto diversi tra di loro e viceversa due famiglie con funzionamenti simili possono avere avuto delle condizioni iniziali molto diverse tra di loro.
4)      La OMEOSTASI.
Il sistema familiare attua dei meccanismi stabilizzatori che tendono a riportare i comportamenti dentro ad una fascia contenuta di oscillazioni e ad evitare dei cambiamenti particolarmente destabilizzanti. La equifinalità e la omeostasi sono i due concetti più importanti e più pertinenti per la teoria della famiglia.
5)      La MORFOGENESI.
E’ la capacità che ha la famiglia di produrre dei cambiamenti organizzativi stabili e profondi, ad esempio relativi al livello organizzativo e alle regole di base.
Ad esempio l’adolescenza dei figli può indurre a dei cambiamenti strutturali profondi in termini di poteri, di regole e di equilibri di distanze.
Il funzionamento rigido è disfunzionale e non si adatta alle esigenze che mutano e mutate mentre la famiglia ha queste capacità.

In conclusione la teoria familiare sistematica è sempre stata ancorata soprattutto alla clinica e all’intervento terapeutico e da essa sono emersi diversi approcci e modelli di intervento.

Per quanto molteplici e diversificati, tutti questi modelli possono comunque essere ricondotti a due linee:

  • la linea strutturale in cui il singolo componente della famiglia è visto come compreso in una rete di relazioni che si cristallizzano in strutture relazionali all’interno delle quali egli è definito dai suoi rapporti con tutti gli altri;
  • la linea processuale che vede la famiglia come un flusso di relazioni in cui gli individui sono immersi.

Quindi nella definizione di famiglia come sistema esiste l’interrogativo su “Che cos’è la famiglia” inoltre essa definisce l’aspetto relazionale della famiglia, ma non ne tratta il proprium distintivo.

 

LEZIONE 08/10/2007

 

COME CAMBIA LA FAMIGLIA: FAMILY STRESS AND COPING THEORY

 

I riferimenti teorici che studiano i cambiamenti della famiglia sono diversificati a causa dei vari eventi che possono investire la famiglia e che sono riconducibili a fattori appartenenti sia alla dimensione temporale; ad esempio la nascita di un figlio, sia alla dimensione sociale, ad esempio gli eventi storici. I due modelli teorici che hanno cercato di dare una risposta alla domanda “Come cambia la famiglia?” sono:
-        la Family Stress and Coping Theory che si concentra sugli eventi imprevedibili, o cambiamenti esterni, che la famiglia può incontrare nel suo cammino;
-        l’Approccio dello Sviluppo che si estende anche agli eventi prevedibili e normativi, o cambiamenti interni, che caratterizzano il percorso della famiglia come i figli che crescono, l’invecchiamento dei genitori e la morte.
Questi due aspetti del cambiamento familiare poi si uniranno nell’approccio relazionale – simbolico che considera sia gli eventi prevedibili sia gli eventi imprevedibili.

Negli Anni ’60 la Family Stress and Coping Theory si concentra sulle tematiche della crisi familiare e della reazione del nucleo familiare agli eventi stressanti ossia a tutto ciò che dall’esterno incide sul funzionamento e sul percorso normale della famiglia.
Il riferimento al mondo esterno è quindi fondamentale perché l’evento stressante è collegato a qualcosa che arriva dall’esterno.
Successivamente inizia a prendere in considerazione le abilità adattive della famiglia e il coping inteso come stile attivo di fronteggiamento di eventi stressanti isolati.
In particolare il termine di coping si riferisce alla capacità di “far fronte a”, “fronteggiare” e al suo interno rientrano tutte le modalità che la famiglia utilizza per affrontare gli eventi stressanti che si presentano.
Esso è basato sul presupposto che la famiglia è dotata di un insieme di capacità adattive o risorse che possono consentirle di fronteggiare totalmente oppure solo parzialmente gli eventi stressanti portatori di cambiamento.
Tale paradigma porta a riconoscere la famiglia come socialmente competente cioè in possesso di risorse e di abilità per affrontare gli stress sia interni che esterni.

Diversi sono gli autori che appartengono a questa teoria.
HILL propone il modello ABCX in cui:
-        X rappresenta la crisi;
-        A rappresenta l’evento stressante;
-        B rappresenta la capacità della famiglia di reperire le risorse;
-        C rappresenta il significato attribuito o la percezione dell’evento.
Secondo tale modello la crisi (X) è il risultato dell’interazione tra un evento stressante (A), la maggiore o minore capacità della famiglia di reperire le risorse (B) e il significato che la famiglia attribuisce all’evento stressante o percezione dell’evento (C).
Il processo di riadattamento della famiglia dopo l’impatto con l’evento stressante prevede tre periodi: un periodo di disorganizzazione, un periodo attivo di ricerca e il raggiungimento di un nuovo livello di organizzazione.
Il modello di Hill è un modello innovativo i cui concetti chiave sono la parola risorsa e la parola stress.
Egli non parla di assenza di risorse perché per lui non si tratta di un possesso di risorse ma di una capacità di reperire le risorse che è legata alle capacità che la famiglia ha di vedere e saper riconoscere le risorse che possiede e, di conseguenza di saperle utilizzare.
BURR introduce i concetti di “vulnerabilità allo stress” e di “potere rigenerativo”.
La vulnerabilità allo stress è la diminuzione, l’assenza o la paralisi delle risorse ed è direttamente influenzata dalla definizione che la famiglia dà della situazione.
E’ legata ad una dimensione di forza, di pienezza e di consapevolezza di sé che la famiglia può possedere e che la espone meno ai fattori stressanti e al rischio di patologia.
Egli ritiene che più la famiglia ha risorse e più sarà immune dalla vulnerabilità.
Il potere rigenerativo indica la capacità del sistema familiare di ristabilirsi dalla disgregazione causata da un evento stressante.
E’ quel potere che, dopo una fase di crisi dovuta ad un evento stressante che porta la famiglia a subire una destrutturalizzazione, permette alla famiglia stessa di innescare lo specifico meccanismo per riadattarsi.
In pratica tale crisi porta alla nascita di un organismo maggiormente adattato al contesto.
ANTONOVSKY definisce il paradigma “salutogenico” in opposizione al “paradigma patogenico”.
Egli sottolinea come la crisi non è assolutamente negativa perché, al contrario, da essa la famiglia può uscirne con forze maggiori utilizzando le sue capacità di ricreare benessere.

Tutti questi modelli portano ad un passaggio dell’attenzione dai sintomi del disagio ai sintomi del benessere e ad interrogarsi sui meccanismi e sulle risorse che consentono alle famiglie di “stare bene” anche nelle situazioni di stress.
In pratica ribaltano la visione centrata sulla patologia e sul malessere che portava a studiare esclusivamente il malessere per capirlo e curarlo, e la spostano verso i sintomi del benessere concentrandosi sulle risorse che la famiglia possiede.
Anche dal punto di vista delle ricerche ci si posta a studiare e indagare ciò che caratterizza la salute della famiglia sana e “normale” e non soltanto la famiglia “patologica” o “sintomatica”.

Dalla fine degli anni ’70, l’interesse maggiore della Family Stress and Coping Theory si sposta più sul coping familiare che sugli eventi stressanti.
MC CUBBIN e PATTERSON propongono il modello FAAR secondo il quale ogni famiglia attraversa nel tempo dei cicli ripetuti caratterizzati dalle seguenti tre fasi: il funzionamento, la crisi e l’adattamento.
La fase di funzionamento è un periodo della vita familiare relativamente stabile e prevedibile durante il quale la famiglia riesce a far fronte alle richieste interne ed esterne utilizzando le capacità di cui dispone.
E’ caratterizzato da una relativa serenità e fluidità.
La fase di crisi emerge quando la famiglia è sottoposta ad una serie di sfide che superano le risorse che possiede e che creano uno squilibrio che richiede dei profondi cambiamenti nell’organizzazione familiare.
Può essere legata sia a dei cambiamenti interni sia a degli eventi esterni; due esempi di cambiamento interno sono l’adolescenza e il lutto improvviso che portano il nucleo familiare ad attivare un processo fisiologico attraverso il quale si adatta per affrontarli.
La fase di adattamento è un processo fisiologico che porta il nucleo familiare a riattivarsi per “fare fronte a”, rivedendo l’intero sistema familiare al fine di riadattarlo.
E’ la fase più importante per la ricerca perché da essa emergono le risorse che la famiglia ha a disposizione e che utilizza per fronteggiare gli eventi destrutturanti.

Negli ultimi anni l’attenzione è stata rivolta al legame tra:
-        coping e senso di coerenza e
-        coping e sostegno sociale.
Per quanto riguarda il legame tra coping e senso di coerenza, Antonovsky ritiene che le abilità di coping di una famiglia dipendono dal suo senso di coerenza.
Il senso di coerenza è un costrutto che viene indagato per scoprire quanto un soggetto crede che esista un senso nel mondo e quanto crede di poter trovare la strategia di adattamento di fronte ad ogni evento stressante destrutturante perché ritiene che nel mondo ci sia coerenza e tutto abbia un senso.
Esso è predittivo del malessere e del benessere legato alle capacità di adattamento soprattutto nelle famiglie affidatarie ed in particolare un maggiore indice di coerenza è indice di una maggiore capacità di adattamento al mondo esterno.
Questo perché, se si percepisce il mondo esterno in modo amichevole, si riuscirà ad aprirsi maggiormente nei suoi confronti e quindi nei confronti del sociale in generale.
Le ricerche condotte suggeriscono che le abilità di coping di una famiglia sono maggiori se i suoi membri hanno una visione ottimistica e realistica della vita ed hanno fiducia nel mondo esterno.
Per quanto riguarda il legame tra coping e sostegno sociale, numerose ricerche hanno dimostrato come il sostegno sociale contribuisce a diminuire gli effetti negativi di una situazione stressante e favorisce l’attivazione delle risorse che la famiglia possiede.
Questo perché maggiore è il contesto sociale in cui un soggetto interagisce e maggiore è il suo sentimento di essere supportato e di conseguenza maggiore sarà la sua apertura nella richiesta di aiuto sociale.

Molto importanti per la Family Stress and Coping Theory sono:
a)      la definizione del termine “evento stressante.
b)      la concettualizzazione delle risorse familiari.

a)      La definizione del termine “evento stressante.
Bisogna distinguere i concetti di “evento stressante”, “stress” e “crisi”.
Con il termine di “evento stressante” o “evento critico” si intende qualsiasi evento perturbante in grado di provocare un cambiamento nel sistema familiare; ad esempio un evento catastrofico, drammatico, imprevisto e indesiderabile come la guerra.
L’evento stressante può essere misurato in base ad alcune sue caratteristiche oggettive o indicatori però, di per sé, non può essere considerato un predittore del livello di stress che potrà provocare nella famiglia.
Lo “stress” non è una qualità intrinseca all’evento, bensì è una funzione della risposta che la famiglia dà all’evento.
Viene definito come la tensione residua che il sistema familiare non è stato in grado di risolvere.
Essendo una modalità di risposta e di reazione all’evento stressante, lo stress è una variabile assolutamente soggettiva.
La “crisi” è definita come la disorganizzazione del sistema e deriva dalla sua inabilità ad attingere alle risorse.
L’evento stressante può portare a diversi livelli di stress però diversi livelli di stress possono convivere senza portare necessariamente ad una crisi.
Per questo si dice che la crisi è un “possibile” esito di una condizione di stress.
La letteratura più recente ritiene che possa essere considerata “crisi” anche una singola fase di disorganizzazione del sistema e non esclusivamente la disorganizzazione totale del sistema.
Le confusioni concettuali e metodologiche dovute alla scarsa misurabilità o quantificazione dell’evento stressante hanno portato ad una SOLUZIONE PERCETTIVA in cui ciò che conta è la percezione che la famiglia ha dell’evento stressante.
Esistono due categorie di eventi stressanti che possono indurre i cambiamenti nella famiglia:
-        gli eventi normativi che sono attesi e prevedibili.
Non sono desiderabili ma sono prevedibili; come la morte.
-        Gli eventi non normativi che sono inattesi e per nulla o difficilmente prevedibili.
Due esempi sono un incidente oppure una vincita al gioco.
Ci si interroga sul “perché alcune famiglie sono più abili a fronteggiare gli eventi stressanti e utilizzano il loro potere rigenerativo in modo più efficace e rapido?” e ciò con il duplice scopo di riuscire a prevedere come reagiscono le famiglie di fronte agli eventi stressanti e di riuscire a capire che cos’è che fa la differenza.
Per rispondere a tale domanda sono state proposte due diverse linee teoriche.
1)      La contemporaneità di più eventi stressanti utilizzata come indicatore per capire quanto la famiglia è in grado di sopportare gli eventi stressanti.
Essa studia se la famiglia reagisce meglio o peggio in relazione alla contemporaneità di più eventi stressanti.
2)      La contemporaneità di eventi stressanti “orizzontali” e “verticali”.
Secondo la quale ciò che appare più decisivo nel fronteggiare gli eventi stressanti è la contemporaneità degli eventi stressanti “orizzontali” e “verticali”.
In questa teoria, con il concetto di evento stressante verticale si introduce il riferimento alla dimensione storica e intergenerazionale che viene trasmessa come eredità nei diversi membri della famiglia.
E’ formata da quegli eventi, modalità di legami e valori che il soggetto riceve dalla propria storia verticale, ossia dalle generazioni che lo hanno preceduto, e che inevitabilmente porta con sé nell’affrontare gli eventi stressanti orizzontali.
Ad esempio un evento di separazione dai genitori a causa della loro morte prematura mal gestito sul piano verticale, può riemergere sul piano orizzontale nel corso di particolari eventi come l’allontanamento del figlio adolescente oppure la nascita del figlio.
Questi momenti particolari potrebbero essere vissuti con difficoltà perché fanno tornare alla mente alcuni ricordi legati all’evento stressante che era stato vissuto sul piano verticale.
Non bisogna infatti dimenticare che la famiglia “ha” una storia e “crea” una storia non solo perché ha degli antenati ma perché nel qui ed ora ogni membro della famiglia porta ciò che appartiene al suo passato.
Quindi le dimensioni temporali che devono essere analizzate sono due: una verticale legata al tempo storico e una orizzontale legata al tempo che si svolge nel presente.

b)      La concettualizzazione delle risorse familiari.
Le risorse familiari possono essere risorse individuali, ad esempio il numero di amici che ogni membro della famiglia possiede, e risorse del sistema le quali sono più afferenti alla dimensione della relazione.
Se per coping si intende il saper fronteggiare le difficoltà allora il concetto di risorse assume importanza nel senso di saper vedere le risorse disponibili nei singoli, nel sistema e nel contesto, saperle organizzare e saperle utilizzare per gli scopi desiderati.
Non si intende e non si riferisce al concetto di possesso di un bene oggettivo, come lo status o il denaro, bensì all’abilità organizzativa della famiglia.
E’ importante tenere presente che è sempre tutta l’intera famiglia o sistema che affronta l’evento stressante e non solo la coppia; ad esempio nelle pratiche di adozione si chiede la visione dei nonni perché si parte dal presupposto che, come la nascita di un figlio, anche l’adozione di un figlio deve essere inserita all’interno del sistema famiglia per cui l’eventuale morte prematura dei genitori adottivi deve poter essere sostituita dalla presenza di nonni adeguati.
Tutto ciò ha portato all’obiettivo di misurare le abilità di coping per predire la risposta allo stress.

OLSON (1979) ritiene che le famiglie a basso stress sono connotate da risorse nelle seguenti sei aree:
1)      l’accordo familiare;
2)      la corretta gestione dell’economia familiare;
3)      l’efficace comunicazione;
4)      la valorizzazione della personalità del partner;
5)      la realizzazione di attività piacevoli nel tempo libero;
6)      l’efficacia nel perseguire pratiche a favore della propria salute.
Egli evidenzia come più la famiglia possiede delle capacità adeguate in queste sei aree e meno sarà colpita dagli eventi stressanti.

PRATT (1976) definisce con il termine di “famiglia energetica” la famiglia connotata dalla capacità organizzativa interna di flessibilità dei ruoli e di condivisione del potere.

REISS e OLIVIERI (1980) indicano nell’abilità di soluzione dei problemi o “problem solving” la risorsa familiare fondamentale per affrontare ogni evento stressante.

Quindi lo stile di coping e le abilità di problem solving vengono presi ancora una volta in considerazione per evidenziare come l’analisi delle strategie di coping presenta un versate di tipo cognitivo – emotivo ed un versante di tipo comportamentale – pragmatico.

Un altro fattore di promozione del coping è il ruolo della rete sociale e del sostegno sociale come fattori e meccanismi adattivi che fungono da

 

“MODULATORI DELLO STRESS”.

Per sostengo sociale si intende tutto ciò che fornisce un sostegno emotivo e un aiuto e che si fonda sul senso di appartenenza ad una rete sociale.
Gli enti che offrono un sostegno sociale alla famiglia possono essere sia informali, come la parentela o il vicinato, sia formali, come i servizi e le istituzioni.
In particolare la rete sociale e il sostegno sociale vengono considerati fondamentali non solo come bacino in cui la famiglia può trovare un aiuto ma anche come modulatori di stress perché la percezione di poter contare su di un sostegno sociale da al soggetto una ulteriore dose di fiducia nelle proprie capacità e delle maggiori capacità di fronteggiamento degli eventi stressanti.
Tutto questo processo è teso a raggiungere un equilibrio nelle due relazioni che sono primarie:
-        le relazioni tra gli individui e il sistema familiare;
-        le relazioni tra il sistema familiare e la comunità locale.

 

LEZIONE 10/10/2007

 

COME CAMBIA LA FAMIGLIA: APPROCCIO DELLO SVILUPPO

 

L’Approccio dello Sviluppo basa il suo concetto di cambiamento familiare sull’idea che la famiglia è una realtà sociale che evolve attraverso il superamento di stadi precisi e definiti lungo il suo ciclo vitale.
A differenza di quanto sostenuto dalla Family Stress and Coping Theory, l’Approccio dello Sviluppo considera il cambiamento come qualcosa di automatico perché è inserito all’interno di un percorso prevedibile e per nulla traumatico che è formato da stadi precisi e definiti.
In particolare il percorso di crescita che il soggetto deve vivere è ritenuto prevedibile perché è l’evoluzione naturale di quella traccia che ogni famiglia inevitabilmente deve seguire.

La famiglia viene intesa come un’organizzazione di persone in continua crescita e cambiamento, impegnate reciprocamente a portare a termine diversi compiti di sviluppo nel corso del suo ciclo di vita.
E’ proprio l’assunzione di precisi compiti di sviluppo che consente alla famiglia di far fronte ai cambiamenti che si presentano insieme alla riorganizzazione dei ruoli di ciascun membro.
Essa è caratterizzata da una evoluzione storico-temporale che rende il cambiamento automatico e inevitabile, lungo un ciclo di vita punteggiato da eventi normativi e prevedibili.
In tale dimensione storico-temporale intrecciata il tempo di vita individuale diventa il tempo di vita familiare perché mentre i genitori invecchiano, i figli crescono intrecciando le loro storie e dando vita alla storia della famiglia.
Quindi l’Approccio dello Sviluppo cerca di spiegare il cambiamento della famiglia chiamando in causa questa dimensione storico-temporale e non soltanto gli eventi imprevedibili e traumatici provenienti dall’esterno come aveva fatto la Family Stress and Coping Theory.

Nel corso degli anni l’Approccio dello Sviluppo ha avuto un CAMBIAMENTO DI PROSPETTIVA caratterizzato dai seguenti passaggi:
a)      da un insieme di cicli di vita individuali considerati come appartenenti ad ogni singolo membro della famiglia e non collegati tra di loro
b)      si è passati all’interdipendenza dei compiti e degli esiti.
In questa fase i teorici ammettevano che esistevano dei cicli di vita individuali ma questi venivano considerati intrecciati e quindi interdipendenti.
Di conseguenza anche gli esiti che producevano venivano considerati come interdipendenti.
c)      Per arrivare infine al concetto di “compito di sviluppo” inteso come “compito evolutivo congiunto”.
L’ultima concettualizzazione ritenuta più completa è quella che considera il “compito di sviluppo” come “compito evolutivo congiunto”.
Si tratta di un compito evolutivo perchè è un compito di crescita intesa nel senso di formazione di un nuovo organismo riadattato che emerge dal superamento di un evento destrutturante, ed è congiunto perché interpella tutto il sistema familiare e accomuna tutti i membri della famiglia.
Questa definizione in principio era applicata soltanto ai compiti di sviluppo relativi al periodo dell’adolescenza mentre oggi si ritiene che possa essere applicata ad ogni tipo di compito evolutivo che la famiglia è chiamata ad affrontare nei diversi momenti della sua storia familiare.
Esempio di domanda aperta:           “Cosa si intende per compito evolutivo congiunto?”

La DUVALL (1948), autrice della Teoria dello Sviluppo, propone per la prima volta la suddivisione del ciclo di vita familiare in otto stadi indicando per ognuno di essi i relativi compiti di sviluppo.
I tre criteri da lei proposti per suddividere il ciclo di vita in stadi e per individuare i cambiamenti lungo il ciclo di vita sono:
-      i cambiamenti nelle dimensioni della famiglia dovuti all’acquisizione o alla perdita di componenti della famiglia stessa, ad esempio le nascite, i matrimoni dei figli che portano all’ingresso in famiglia di generi o nuore, le adozioni, la morte, l’allontanamento del figlio da casa e l’adolescenza;
-        il cambiamento di età del figlio maggiore perché si ritiene che il figlio maggiore costringe la famiglia ad aprirsi, a cambiare e a riadattarsi mentre con il secondo figlio la famiglia tende a comportarsi come aveva già fatto con il primo;
-        i cambiamenti nello status lavorativo di chi contribuisce al sostentamento della famiglia.
Questo criterio è meno marcato nella nostra cultura e più tipico della cultura americana.
Altri criteri che dovrebbero essere presi in considerazione per individuare i cambiamenti della famiglia lungo il ciclo di vita sono il genere dei membri della famiglia e l’età dei genitori.

Questi tre criteri portano ad evidenziare che il CICLO DI VITA FAMILIARE è, per forza, INTERGENERAZIONALE perché comprende sempre almeno tre generazioni ed è formato dall’intreccio dei compiti evolutivi che le caratterizzano.
E’ proprio tale intreccio che permette alla famiglia di crescere.

Il ciclo di vita familiare intergenerazionale fa sorgere delle IMPLICAZIONI INTERGENERAZIONALI legate alla funzione della “generazione di mezzo”.
La generazione di mezzo può essere descritta come il ponte tra gli anziani e i giovani e come quella generazione che “da in avanti per ricevere indietro” ossia per ricevere dopo nel tempo.
Si tratta della dimensione intermedia all’interno della famiglia su cui gravano delle aspettative di cura da parte dei figli e che gioca il ruolo di regia.
Tuttavia il suo ruolo di regia è centrale fino a quando i figli giocano, a loro volta, il ruolo di “figli” ma nel momento in cui essi crescono la “generazione di mezzo” diventa la “generazione di anziani”.

Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 appaiono con chiarezza i LIMITI dell’Approccio dello Sviluppo rappresentati:
-        dalla difficoltà a spiegare il cambiamento tra uno stadio e l’altro perché l’attenzione è concentrata sugli eventi e sui ruoli che si verificano all’interno di ciascun stadio mentre i processi che si realizzano nel passaggio tra uno stadio e l’altro non vengono presi in esame;
-      dal fatto che il cambiamento sembra un passaggio automatico, generato dalla presenza di un evento critico.
Il ciclo di vita della famiglia viene inteso come una specie di percorso obbligato formato da una serie di fasi predeterminate per cui l’Approccio dello Sviluppo sembra analizzare più la fase statica che la fase di cambiamento.
-      Dall’analisi minima delle possibili difficoltà inerenti la transizione da una fase all’altra del ciclo di vita familiare perché si ritiene che ogni evento critico faccia passare automaticamente la famiglia da uno stadio allo stadio successivo.
       Di conseguenze viene lasciato poco spazio anche alla considerazione dei processi psicologici, individuali e collettivi.
Il PARADOSSO che ne risulta è che il modello dell’Approccio dello Sviluppo spiega meglio la stabilità strutturale piuttosto che i periodi di cambiamento.

I limiti di schematismo e di rigidità nel concepire il cambiamento all’interno della famiglia vengono poi superati grazie alla possibilità di ampliare la prospettiva originariamente formulata attraverso:
a)      il confronto con la Teoria Generale dei Sistemi che porta all’apertura, al posto della chiusura, dei confini familiari nei confronti del sistema sociale.
Viene così riconosciuta la natura sociale della famiglia che evolve non solo in funzione dell’età e della sua ampiezza ma anche in funzione delle aspettative della società.
L’ambiente sociale diventa quindi, all’interno dell’Approccio dello Sviluppo, una componente essenziale per capire il funzionamento della famiglia.
b)      La collaborazione con professionisti impegnati nell’intervento sociale e clinico che porta alla creazione di un approccio  temporale multigenerazionale.
Con questo termine si intende il fatto che, per capire la situazione di una famiglia nel presente è necessario seguire un percorso a ritroso lungo le generazioni di modo che gli eventi importanti che caratterizzano lo sviluppo familiare vengono colti nelle loro connessioni intergenerazionali.
c)      Il confronto con la Family Stress and Coping Theory che favorisce lo spostamento dell’attenzione dagli elementi strutturali della famiglia a quelli di “processo” evidenziano la discontinuità che caratterizza il passaggio da uno stadio all’altro del ciclo di vita.
Si comincia a prestare maggiore attenzione ad individuare i fattori che agevolano o appesantiscono il passaggio da uno stadio all’altro del ciclo di vita nonché ai meccanismi di coping che vengono utilizzati dalla famiglia per diminuire gli effetti negativi degli eventi.

Da tutto ciò emerge come la convergenza tra l’Approccio dello Sviluppo e la Family Stress and Coping Theory ha portato a rivolgere l’attenzione non solo agli elementi descrittivo / strutturali della famiglia ma anche agli elementi del processo familiare e ai processi di adattamento attivo.
In particolare ci si interroga sui fattori che facilitano o ostacolano il passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita familiare e si avviano delle specifiche ricerche per individuare tali fattori.
Inoltre ci si interroga sul perché alcune famiglie gestiscono adeguatamente il passaggio e altre, invece, producono il sintomo.
Questo porta alla creazione di ipotesi di funzionamento “normale” e di conseguenti modelli di funzionamento “disfunzionale”, “disadattivo” e “patogenico”.

All’interno della prospettiva integrata della Family Stress and Coping Theory e dell’Approccio dello Sviluppo, BOSS (1992) sostiene che il compito evolutivo per eccellenza è il gestire le ambiguità dei confini familiari interni ed esterni nelle fasi di transizione.
Un periodo di ambiguità nei confini familiari interni ed esterni è normale nelle fasi di transizione per cui il punto centrale diventa quello di capire il grado e la durata di questa ambiguità che se è eccessiva oppure se dura per un periodo di tempo troppo lungo può compromettere la capacità di riorganizzazione della famiglia.
Boss ritiene che le fasi di transizione si creano sia a causa di eventi interni, sia a causa di eventi esterni e che il processo di riorganizzazione che la famiglia deve compiere è simile in entrambi i casi perché anche eventi interni assolutamente normali e prevedibili possono essere portatori di una carica di stress notevole.

Un esempio dell’evoluzione della prospettiva del ciclo di vita è rappresentato dal modello sistemico dello sviluppo umano proposto da CARTER e McGOLDRICK - FIGURA 1.1 – pagina 35 del libro.
Il punto di partenza di questo modello è la definizione della famiglia come sistema emozionale plurigenerazionale e la considerazione che il movimento della famiglia nel proprio ciclo di vita non è lineare perché bisogna sempre tenere in considerazione l’incrocio dei desideri e delle aspettative delle tre generazioni che vivono in contemporanea.
Nel modello di Carter e McGoldrick l’interazione che esiste tra i tre livelli sistemici individuale, familiare e culturale viene rappresentata lungo due dimensioni temporali diverse:
-        la dimensione verticale costituita dal tempo storico;
-        la dimensione orizzontale costituita dal tempo che si svolge nel presente.
Dalla figura che rappresenta il modello è possibile notare come la famiglia è collocata in uno spazio intermedio tra l’individuo e la cultura per sottolineare la sua funzione di regolatore dei rapporti che intercorrono tra l’individuo stesso e il contesto socioculturale.
Infatti l’individuo, che ha un proprio ciclo di vita, è collocato all’interno di una famiglia d’origine che, a sua volta, ha un suo ciclo di vita familiare e che è inserita in un contesto sociale più ampio che è costituito sia dagli eventi attuali o “dimensione orizzontale”, sia dalla storia culturale o “dimensione verticale”.

Alla luce dei due approcci e rispondendo alle domande fondamentali sull’identità e sul mutamento della famiglia possiamo dire che:
1)      la famiglia è un “Microsistema sociale e plurigenerazionale in evoluzione” con delle proprie caratteristiche che non sono date dalla semplice somma dei suoi membri;
2)      la famiglia è ritenuta capace, grazie alla sua capacità di coping, di reagire agli stress, prevedibili e imprevedibili che può incontrare nel suo percorso;
3)      l’entrata, l’uscita e lo sviluppo dei membri della famiglia costituiscono degli eventi critici prevedibili in base ai quali è possibile periodizzare il tempo familiare;
4)      la crescita della famiglia, intesa come riorganizzazione del sistema familiare, è legata al suo effettivo superamento di tali eventi critici.
L’attenzione quindi è rivolta ad individuare i compiti di sviluppo importanti che caratterizzano le singole fasi e i processi utilizzati dalla famiglia nei momenti di transizione per effettuare una sua riorganizzazione efficace.

Riassumendo:
Gli ANNI ’80 sono caratterizzati dai modelli rappresentazionali di come un determinato fenomeno funziona e mostrano interesse soltanto per la famiglia normale.

Questo perché sono connessi all’interesse dei clinici e dei ricercatori che è principalmente rivolto alla famiglia “normale” invece che alla famiglia “patologica” o “sintomatica”.

Essi ruotano attorno a poche variabili che, a seconda della loro combinazione, danno luogo ai diversi tipi di famiglie.

Gli ANNI ’90 sono caratterizzati dalla sfiducia nel riuscire a reperire dei modelli e delle regolarità.

Si assiste pertanto ad una parcellizzazione dei fondamenti teorici in mini-teorie con la conseguenza che risulta difficile arrivare sia ad una interpretazione univoca dei dati, sia al confronto e alla generalizzabilità dei risultati ottenuti.
Una considerazione ricorrente tra gli studiosi della famiglia diventa perciò quella relativa alla cosiddetta “ateoreticità” delle ricerche sui temi familiari le quali si fondano su modelli la cui teoria di riferimento è poco esplicita.

ORA, in un panorama teorico così descritto, è urgente il riprendere a porsi le domande sull’identità e sui cambiamenti della famiglia perché solo rispondendo ad esse potremo essere in grado di “distinguere tra ciò che è famigliare e ciò che non lo è” e, di conseguenza, interpretare i meccanismi che regolano il funzionamento e i cambiamenti della famiglia.

 

LEZIONE 12/10/2007

IDENTITA’ E CAMBIAMENTO FAMILIARE: IL PARADIGMA RELAZIONALE – SIMOLICO
Le domande di fondo da cui parte il paradigma relazionale – simbolico sono sempre quelle relative all’identità e al cambiamento familiare.

 

DEFINIZIONE DI FAMIGLIA

Il paradigma relazionale – simbolico definisce la famiglia come quella specifica e unica organizzazione che lega e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano.
Dal momento che organizzare significa trasformare le diversità per renderle delle unità senza annullarle, il definire la famiglia come una organizzazione permette di unire le due esigenze fondamentali che la caratterizzano e che sono quelle della stabilità e del cambiamento.
In particolare la famiglia organizza tre tipi di relazioni che, nella generazione del patto familiare, vanno a fondersi per raggiungere l’obiettivo e il progetto intrinseco della famiglia che è la generatività.
Le tre differenze originarie e fondamentali dell’umano che la famiglia lega sono:
-        quella tra i generi maschile e femminile creando il legame coniugale;
-        quella tra le generazioni creando il legame tra genitori e figli;
-        quella tra le stirpi ossia l’albero genealogico materno e paterno creando il legame tra parentele.
Le stirpi sono le storie familiari che nella generazione del patto coniugale vanno a fondersi.
La famiglia trasforma le diversità di questi tre livelli senza annullarle perché le riconosce ed individua le modalità di connessione che può applicare alle stesse.
Un punto fondamentale che permette di distinguere ciò che è famiglia da ciò che non lo è proprio questa SPECIFICITA’ RELAZIONALE.
I due assi relazionali su cui la relazione familiare si organizza e che vengono intrecciati sono:
-        quello coniugale o orizzontale che si basa sulla differenza di gender o identità socioculturale del sesso;
-        quello parentale – filiale o verticale.
Il termine “parentale” comprende sia i genitori sia i parenti legati alle famiglie di origine dei coniugi per cui comprende sia la differenza tra genitori e figli, sia la differenza tra le stirpi di appartenenza.

La famiglia ha come obiettivo e progetto intrinseco la GENERATIVITÀ ed organizza relazioni di parentela con la duplice valenza del generare e dell’essere generati.

Parlare di GENERATIVITÀ significa fare riferimento alla concezione di ERIKSON (1982) che la considera come la particolare capacità dell’adulto di superare i compiti evolutivi di sviluppo andando oltre alla propria storia e oltre sé stesso e con una apertura verso la comunità.
Questo concetto è ben più ampio di quello di procreazione perché la famiglia non si limita a procreare ma genera e umanizza ciò che nasce da lei e ciò che si lega in lei.

APPROCCIO RELAZIONALE - SIMBOLICO: IL RELAZIONALE

Spesso si trovano usati come sinonimi i termini di interazione e di relazione mentre la distinzione tra interazione e relazione è fondamentale.
L’INTERAZIONE viene definita come l’influenza reciproca che i partner o i soggetti esercitano sulle loro azioni rispettive quando si trovano in presenza fisica immediata gli uni degli altri.
In questa prospettiva l’azione esercitata dagli attori è di fatto un’azione congiunta.
In essa il riferimento è immediato ad un qui ed ora specifico e ad una influenza reciproca perché l’interazione è caratterizzata da un’azione congiunta che però non richiede necessariamente la presenza fisica dei soggetti perché oggi si parla di interazione anche quando si utilizzano le chat.
Quindi l’interazione è un qualcosa che può essere soggetta a:
-        osservazione per conoscere ciò che i soggetti costruiscono nell’azione congiunta;
-        classificazione;
-        modellizzazione nel senso di descrizione.
La relazione al contrario:
-        precede e contiene l’interazione anche se però l’interazione retroagisce sulla relazione.
-        Ha degli aspetti di legame o re-ligo e degli aspetti di riferimento di senso o re-fero.
Con il termine “re-ligo” ci si riferisce all’insieme dei legami e degli obblighi che un soggetto riceve e che lo vincolano mentre con il termine “re-fero” ci si riferisce alle modalità di relazione che si condividono all’interno della famiglia.
-        Non si può osservare come si osserva l’interazione, ma si può solo inferire.
-        Lega i membri della famiglia tra loro attraverso la loro storia familiare.
-        Ha sempre una dimensione intergenerazionale perché la storia alla quale i membri della famiglia sono legati è la storia delle generazioni da cui essi provengono e che li ha fisicamente e psichicamente generati.
-      E’ caratterizzata dalla connessione tra i tempi permessa da un intreccio che va fatto emergere.
Questa connessione evidenzia come ci si può sentire in relazione con un soggetto considerato particolarmente significativo per la propria storia individuale anche se esso non è presente nella dimensione spazio-temporale.
Perciò la relazione, a differenza dell’interazione che è contestualizzata nel qui ed ora, è contrassegnata da tempi lunghi e dalla connessione tra di essi.

 

 

Tutto ciò può essere riassunto così:

Il LIVELLO SIMBOLICO
è costituito dai bisogni e dai compiti universali.

 


Il LIVELLO RELAZIONALE
è fondato sulla natura del legame tra gli individui.

Il livello simbolico e il livello relazionale sono
registri inferibili, non sono osservabili.
La relazione guida lo scambio ed il suo
Intrecciarsi con l’interazione permette
la rinegoziazione delle relazioni.

            Il LIVELLO INTERATTIVO
            è fondato sugli scambi
            comunicativi nel “qui ed ora”.

Il livello interattivo è un registro osservabile.

LE CARATTERISTICHE DEI LIVELLI DI ANALISI DELLA FAMIGLIA
I due livelli di analisi della famiglia sono quello interattivo e quello relazionale che si differenziano per le loro caratteristiche specifiche ed in particolare presentano:


Differenze nella

Il livello interattivo

Il livello relazionale

Specificità

E’ centrato sull’analisi delle interazioni tra i coniugi, tra i fratelli e tra i genitori e i figli.

E’ centrato sull’analisi della qualità dei legami tra i coniugi, tra i fratelli e tra le generazioni.
Essa viene allo scoperto soprattutto nei momenti di passaggio critici.

Ambito di
rilevazione

Rileva le routine quotidiane e le sequenze di situazioni tipiche.
Le routine quotidiane sono i  comportamenti ripetitivi che strutturano la vita quotidiana.
Quando essi vengono investiti di un significato diventano dei rituali che veicolano affetto, riconoscimento ed appartenenza e che permettono di comprendere in maniera più profonda l’interazione e quindi di passare al livello dell’interazione stessa.

Rileva le transizioni familiari, le cerimonie e i rituali.

Temporalità

Presente.
E’ contestualizzata nel qui ed ora.

Connessione tra passato, presente e futuro.
Presenta dei tempi lunghi.

Il campo relazionale della famiglia è sempre almeno trigenerazionale e i compiti evolutivi familiari a cui devono rispondere i membri di una famiglia sono differenti dalle prescrizioni di ruolo.
Quindi la relazione eccede sia l’interazione, sia il ruolo, sebbene non possa prescindere affatto de esse.
Questo perché la dimensione interattiva prevede l’assunzione di ruoli nel “qui ed ora” e le prescrizioni di ruolo ad essi connesse rinviano alla necessità di attuare dei cambiamenti nel momento presente come ad esempio la necessità di gestire un conflitto in atto in questo momento con il figlio.
Quindi le prescrizioni di ruolo sono collegate al piano dell’interazione e dello scambio.
Invece i compiti evolutivi familiari non sono riconducibili alle prescrizioni di ruolo perché vanno ben oltre la loro superficialità temporale e non sono neanche riconducibili al livello e alle modalità di scambio e di interazione perché chiamano in causa un cambiamento strutturale profondo.
Infatti si tratta di trasformazioni profonde di secondo livello che prevedono delle sfide e che rinviano al concetto di morfogenesi intesa come la capacità posseduta dal sistema familiare di riorganizzazione e di riadattamento del suo meccanismo di funzionamento che consegue ad un evento critico e che da origine ad un nuovo organismo riadattato.
Quindi i compiti evolutivi familiari riequilibrano il sistema familiare e sono profondi perché sono a livello della relazione.

GLI AMBITI DELLA RELAZIONE FAMILIARE
FIGURA 2.1 – pagina 51 del libro.
E’ possibile distinguere quattro ambiti della relazione familiare.
La RELAZIONE CONIUGALE, o legame tra coniugi, si esprime nella forma di un patto ed è un dispositivo della trasmissione intergenerazionale.
La RELAZIONE FRATERNA, o legame tra fratelli, rappresenta una fonte sia di solidarietà, sia di rivalità.
Se i genitori riescono ad attribuire a ciascun figlio il proprio valore senza tuttavia negare le diversità degli stessi, si riesce a costruire una relazione fraterna positiva mentre se i genitori attribuiscono dei privilegi e dei ruoli rigidi ai figli è possibile che si costruisca una relazione fraterna caratterizzata da sentimenti di rivalità, di ingiustizia e di rancore.
La RELAZIONE INTERGENERAZIONALE, o legame tra genitori e figli e legame tra stirpi di appartenenza, è l’asse verticale che collega le generazioni tra di loro.
Su tale asse è possibile distinguere due tipi di scambi:
-        gli scambi che si effettuano tra genitori e figli;
-        gli scambi che si effettuano tra le famiglie di origine e la nuova famiglia e che quindi si estende al legame tra la stirpe materna e la stirpe paterna.
La RELAZIONE TRA FAMIGLIA E COMUNITA’, o legame di intermediazione, è legato al concetto che la famiglia interagisce con la comunità o sociale organizzato.
Se la famiglia viene concepita completamente sganciata dal contesto si rischia di tralasciare degli aspetti importanti che agiscono su di essa.
Questi quattro ambiti della relazione familiare sono tra di loro profondamente connessi ed in particolare l’asse verticale-intergenerazionale è collegato all’asse orizzontale-coniugale.
Vedere “Il campo relazionale familiare” - FIGURA 2.2 – pagina 53 del libro.
E’ per questo che l’approccio relazionale – simbolico considera la COPPIA COME un DISPOSITIVO DI MEDIAZIONE INTERGENERAZIONALE.
Essa rappresenta il punto di snodo tra le diverse generazioni e il punto di connessione delle loro diversità.
La coppia non ha soltanto la funzione di ricevere e di trasmettere ma gioca anche il ruolo fondamentale di mediazione.
La sua funzione attiva di mediazione si evidenzia a partire dai soggetti della coppia che riconoscono la loro storia, ossia ciò che hanno ricevuto, la rileggono e selezionano, con un processo di negoziazione reciproca, ciò che vogliono trasmettere e riproporre.
Di conseguenza le loro storie personali familiari ne risultano rielaborate.
In particolare si dice che la coppia “rimescola le carte delle storie familiari ricevute” e crea una nuova storia che trasmette in avanti perché ciò che la coppia riceve non lo trasmette in modo automatico in avanti ma lo rielabora e lo rimescola al fine di trasmettere una sua nuova storia.
Per questo si parla di dispositivo di mediazione e non solo di dispositivo di ricevimento e di trasmissione.
Ciò è molto importante se si pensa alle eredità negative che possono essere trasmesse perché, dal momento che sono sottoposte ad un processo di mediazione, è possibile riuscire a prendere le distanze da esse.
Ed in particolare quanto più la coppia è in grado di trasformare le eredità, tanto più sarà psichicamente generativa mentre quanto più la coppia subirà o dimenticherà le eredità, tanto più ci sarà la inibizione della generatività.
Esempio di domanda aperta:           “Perché la coppia è un dispositivo di mediazione?”
Esempio di risposta aperta:              Perché non solo riceve e trasmette ma rimescola ciò che ha ricevuto per trasmetterlo in modo diverso e nuovo attraverso una rielaborazione delle storie familiari originali e la creazione di una nuova storia.

 

APPROCCIO RELAZIONALE - SIMBOLICO: IL SIMBOLICO

Il termine simbolico viene utilizzato come:
-        una struttura latente di senso e
-        una struttura invariante che attraversa le diverse forme storiche della famiglia e che è tipica della specie umana.
Mentre la relazione è ciò che lega i membri della famiglia tra di loro a livello profondo ed è specifica di ogni famiglia, la dimensione simbolica è la struttura invariante che attraversa le diverse forme storiche di famiglia ed è tipica della specie umana.
Essa si manifesta attraverso il linguaggio e le forme della cultura.
Quindi ci sono delle qualità proprie che devono essere rispettate perché ci sia veramente la famiglia e che vengono definite da Scabini e Cigoli (2000) con il termine di “Il famigliare”.
In particolare Scabini sottolinea l’utilizzo della lettera “G” nella parola “famigliare” per evidenziare questa dimensione simbolica così pregnante che tutte le famiglie esprimono anche se con delle modalità molto diverse.
Le due qualità simboliche della relazione familiare sono:
-        gli ASPETTI AFFETTIVI il cui prototipo è il matris – munus ossia il dono della madre che dà la vita, la protegge e la contiene.
Dal momento che si riallacciano al concetto di dono, essi non sono una certezza ma comportano una apertura di rischio.
Questo POLO AFFETTIVO è legato al dare credito, è la risorsa nativa del legame ed è fondato sulla FIDUCIA – SPERANZA.
Dobbiamo ad Erikson la sottolineatura dell’importanza della fiducia all’interno dei legami familiari.
Il polo affettivo è tipico di ogni legame familiare perché in ogni famiglia c’è la dimensione della cura, dell’affettività e dell’eros.
-        Gli ASPETTI ETICI il cui prototipo è il patris – munus ossia il dono del padre che guida, regola e spinge in avanti.
Questo POLO ETICO è legato agli obblighi morali che attraversano le generazioni ed è fondato sulla GIUSTIZIA - LEALTA’.
Dobbiamo a Nagi e Spark la sottolineatura dell’importanza degli aspetti etici dei legami familiari.
Il polo etico rinvia ad una dimensione di legame come vincolo ossia al sentirsi legati e al riconoscere di essere legati.
Oggi questa dimensione etica è fragile perché predomina la dimensione affettiva che provoca una fragilità della figura paterna e della capacità di trasmettere ai giovani il rispetto nei confronti degli adulti.

 

I legami familiari hanno le seguenti caratteristiche:

-        sono fortemente vincolanti e con limitati gradi di libertà perché nessuno può scegliere in quale famiglia nascere ed in fondo anche la scelta del partner ha dei vincoli sociali e psichici legati storie dei soggetti;
-        sono gerarchicamente strutturati perché la famiglia non è un gruppo di pari;
-        sono definiti sia da aspetti affettivi di cura, sia da aspetti etici di lealtà, di vincolo e di responsabilità.
Per cui la cura rinvia agli aspetti affettivi mentre la lealtà rinvia agli aspetti etici.
Nessun altro tipo di legame possiede contemporaneamente tutte queste caratteristiche.

 

LEZIONE 15/10/2007

Il termine CURA è riferito al versante o polo affettivo e deriva dalla Teoria dell’Attaccamento che considera le cure materne fondamentali per lo sviluppo del bambino.
La concezione di cura di tale teoria ha avuto due estensioni su due piani differenti:
-        una estensione orizzontale tra familiari adulti.
Essa riguarda il rapporto tra i partner all’interno della coppia per cui è basata su di uno scambio alla pari all’interno di una posizione simmetrica.
In questo caso la cura va nella direzione della valorizzazione dell’altro.
-        Una estensione verticale all’interno della trasmissione intergenerazionale.

         Con essa il termine cura viene applicato sia alla cura prestata dai genitori ai propri figli, sia alla cura retrospettiva ossia alla cura dei genitori rispetto ai propri stessi genitori.

         Per cui il concetto di cura si estende anche alle generazioni precedenti creando così il concetto di trasmissione intergenerazionale.

 Il “prendersi reciprocamente cura” dimostra un interesse preferenziale per l’altro che può assumere due diversi significati:

-        il CARING FOR.
Con questo termine si intende il “fare qualcosa per l’altro” nel senso di gesti materiali di accudimento reciproco.
Si tratta di azioni pratiche e strumentali.
-        Il CARING ABOUT.
Con questo termine si intende “avere a cuore l’altro” che diventa oggetto di cura ma non pratica.
Si tratta di azioni che hanno la valenza di gratuità e che sono finalizzate sia a manifestare l’interesse preferenziale per l’altro, sia a valorizzare l’altro.
Quindi non sono azioni strumentali.
La dinamica sottostante all’interesse preferenziale per l’altro è il movimento o dinamica interpersonale di reciprocità rappresentato dal donare – dal ricevere e dal ricambiare.
Questo movimento si avvia con una spinta o slancio del donare che parte sempre con un gesto gratuito che gratifica il donatore e che prevede il riconoscimento di ciò che si è ricevuto da parte del beneficiario e la voglia di ricambiare.
Infatti le varie forme di cura hanno sempre sottostante la gratuità del donare e il riconoscimento di ciò che si è ricevuto.

Le relazioni familiari si snodano quindi tra il dare, il ricevere e il ricambiare ed ogni tipo di relazione è impegnata in una sua forma specifica di cura.
Ciò che connota le relazioni familiari è proprio questo “impegno nella cura” che denota sia il polo etico attraverso il termine “impegno” inteso come assunzione di responsabilità, sia il polo affettivo attraverso il termine “cura”.
Sembra una contraddizione perché, essendo un’espressione affettiva non dovrebbe essere il frutto di un impegno ma dovrebbe essere spontanea e gratuita.
L’impegno alla cura cambia nei diversi cicli di vita e ciò si evidenzia in particolare durante l’adolescenza la quale è caratterizzata da due diverse necessità dell’adolescente: da una parte la necessità di staccarsi dalla famiglia d’origine e dall’altra parte la necessità di mantenere con la stessa una nuova forma di cura che non sia più quella infantile e che permetta di rispettare l’impegno alla cura assunto.

Scambio simbolico e forme di cura nelle relazioni familiari – Figura 2.5 – pagina 61 del libro.
Ogni tipo di relazione è impegnata in una sua forma specifica di cura ed in particolare:
-        la relazione coniugale ha, come compito simbolico, la cura della reciprocità.
La cura della reciprocità è caratterizzata dalla simmetria, non è una cura basata su un legame di dipendenza, prevede lo spazio per l’eros, la sessualità e l’affettività e dovrebbe prevedere anche uno spazio per il riconoscimento della diversità.
-        La relazione genitoriale ha, come compito simbolico, la cura responsabile.
I gesti che vengono compiuti attraverso la cura responsabile possono essere sia strumentali che non strumentali e sono finalizzati ad accompagnare l’altro nel suo percorso di crescita.
Si tratta di un’assunzione di responsabilità nei confronti di qualcuno che dipende quindi è basata su un legame di dipendenza.
-        La relazione tra stirpi ha, come compito simbolico, la cura dell’eredità.
La cura dell’eredità non è a livello materiale ma a livello psicologico perché è intesa come il riconoscimento di quanto si è ricevuto a livello psicologico e che continua ad alimentarsi e ad esserci nel presente.
Quindi c’è una dimensione di continuità intergenerazionale che trova espressione nel dono ricevuto e ricambiato.

Il termine LEALTA’ è riferito al versante o polo etico ed è collegato alla conseguenza immediata di riconoscere di essere all’interno di un legame che porta all’assunzione di un impegno e di una responsabilità verso gli altri.
Si tratta di impegni di lealtà verso i membri della famiglia e verso la storia intergenerazionale.
In particolare BOSZORMENYI – NAGY e SPARK (1973) vedono la famiglia attraversata dal “famigliare” costituito da “Fibre invisibili ma solide” che legano tra loro i soggetti e le generazioni.

La metafora del donare e del ricevere spostata sul versante del debito porta a parlare di dialettica di impegni e di debitori e creditori.
Questo perché l’aver ricevuto qualcosa crea una sorta di debito in chi l’ha ricevuto e porta il beneficiario a riconoscere a sé stesso di aver ricevuto quel qualcosa; ad esempio il comportamento dei genitori che danno ai figli crea automaticamente nei figli il senso di debito legato al fatto di averlo ricevuto.
Questa dimensione di scambio non deve essere considerata come uno scambio sociale bensì è uno scambio simbolico.
E’ uno scambio che va al di là delle azioni pratiche e fisiche, che si manifesta con forme diverse sul piano simbolico e che spesso non è ripagato con la stessa “moneta”.
La differenza importante tra le due tipologie di scambio è quindi che lo scambio simbolico non quantifica mentre lo scambio sociale quantifica.

Inoltre lo scambio sociale è dilatato nel tempo.
Lo scambio tra i genitori e i figli oltre che nel presente deve essere letto anche nell’arco multigenerazionale tenendo conto sia delle esigenze e dei diritti che provengono dalle generazioni passate, sia delle conseguenze che queste possono avere sulle generazioni future.
Così il rapporto tra genitori e figli vive di un bilanciamento etico intergenerazionale.
I genitori, dando le cure ai figli, in parte ripagano i loro genitori per quello che a suo tempo hanno ricevuto.
Si tratta di un RECIPROCITA’ DIFFERITA con la quale si restituisce in avanti più che indietro, o meglio si restituisce o trasmette in avanti ciò che si è ricevuto indietro.
In questa concezione di scambio la reciprocità non è dunque a breve termine ma piuttosto è una reciprocità di tipo simbolico a lungo termine perché l’individuo dona in questo slancio di gratuità sapendo che potrebbe non ricevere mai.
La stagnazione si crea non solo quando non si da ma anche quando si da in modo calcolato senza creare generatività.

Il limite di questa posizione è lo sbilanciamento sul versante etico, sulla necessità di compiere il proprio dovere, su una specie di “altruismo prescrittivo” e sul senso di giustizia intergenerazionale.
In particolare si rischia di accentuare troppo il versante etico e ciò potrebbe portare ad un eccessivo senso del debito e dell’impegno fino ad arrivare a sentirsi oppressi dal debito.
Inoltre essa non attribuisce importanza all’aspetto affettivo che costituisce l’altro polo del legame.

L’arricchimento di tale posizione arriva dall’incontro con la Teoria di GODBOUT (1992).
La categoria centrale di questo approccio è il DONO e al proposito i suoi autori parlano di “sistema del dono”.
Il dono è inteso come un obbligo libero e come  l’espressione di un atto fiduciario fondato sulla gratuità che caratterizza il versante affettivo.
A questo punto c’è gratuità nel rendere e non c’è coercizione.
Infatti nella dinamica di coppia si da non perché si riceve ma perché si desidera dare; chi da all’interno della coppia sa che l’altro riconoscerà ciò che gli è stato dato e che restituirà ciò che ha ricevuto con le sue forme e soprattutto con i suoi tempi.
Per questo si parla di dono al servizio del legame.
GODBOUT (1992) in particolare considera il dono come costitutivo del legame familiare.
Il dono è infatti la caratteristica del legame incondizionato.
Inoltre ritiene che il legame si alimenta attraverso azioni che prestano fiducia all’altro, non su azioni di calcolo, quindi è fondato sulla imprevedibilità e sul rischio.
Di conseguenza, in questo approccio la fiducia diventa un elemento costitutivo dello scambio.

Il “sistema del dono” spiega la dinamica dello scambio all’interno della famiglia solo se si mantiene vivo il doppio versante di dono – debito.
Infatti nella polarità dono – debito si ritrovano sia la componente affettiva, sia la componente etica ed in particolare con questa dinamica:
-        il dono fiducioso rappresenta la componente affettiva del legame familiare che ha alla sua origine la GRATUITA’.
Se la gratuità è assente ci si trova di fronte a persone che non sono in grado di donare e sfruttano l’altro.
Ma il dono convive con l’altra faccia della medaglia cioè con
-        il debito di riconoscenza che rappresenta la componente etica del legame familiare che ha alla sua origine il debito.

Esistono due tipi di restituzioni nel tempo:
1)      la restituzione che è intrinseca all’atto del donare e che rinvia al piacere del donare.
E’ un arricchimento del donatore che crea la gratitudine del beneficiario e la ricreazione del legame.
Essa è immediata ed è fondata sul piacere del donare che crea la gratitudine del beneficiario; un esempio tipico sono i gesti di cura che la madre mette in atto per il figlio.
Nella dinamica di coppia i gesti di cura dell’altro gratificano primariamente chi li compie.
2)      La restituzione reale che si manifesta:
         -        1)      nella cura della generazione anziana e
                  2)      nel generare a propria volta, donando ad una generazione nuova.
I genitori, in quanto a loro volta figli, hanno ricevuto la vita in dono ed ora la donano ai loro figli creando una generazione nuova.
Nelle famiglie sane ci si identifica con la fonte del dono e si è spinti a donare a propria volta non solo per obbligo morale ma perché si è mossi dal desiderio di restituire.
Da un punto di vista psichico è quindi fondamentale e cruciale l’identificazione con la fonte come benefica cioè donativa e gratuita.
Laddove c’è la difficoltà ad identificare e riconoscere la fonte come benefica e gratuita, sarà più difficile donare in avanti perché non si sentirà il bisogno di ricambiare.
Soltanto il sentirsi riconoscenti consente di muoversi pienamente in avanti.
Tutto ciò è rappresentato molto bene dalla frase: “La cura circola non mediante il ritorno alla fonte, ma giù attraverso le generazioni”.

In sintesi si può affermare che il familiare è la peculiare struttura simbolica che attraversa interazione e relazione…… SLIDE NON FINITA
I legami familiari presentano sia aspetti di dono che di debito e vivono di una reciprocità differita.
Chi dà in tempi lunghi riceve laddove il dare all’origine non è mosso da calcolo, ma assume in sé quello che Beavers (1982) definisce “il rischio” dell’amare e dell’essere amati.
Il restituire non chiude la partita ma la ripropone in avanti, in una trasmissione intergenerazionale.
La reciprocità è quindi nei tempi lunghi e può essere realizzata soltanto se è sostenuta dalla fiducia e dalla speranza nel legame.
Esse permettono la gratuità perché chi dona sa che ciò che ha donato verrà restituito in avanti.

 

LE TRANSIZIONI FAMILIARI

Per transizioni familiari si intendono i passaggi chiave che fanno emergere la struttura relazionale simbolica della famiglia.
Sono momenti fondamentali perché in essi emerge l’essenza dei legami familiari.
Hanno un potere destabilizzante e mettono alla prova il patto relazionale e l’organizzazione del sistema.
Le transizioni hanno due caratteristiche particolari:
-        sono denormativizzate perché si tratta di cambiamenti che la famiglia può conoscere in relazione ad eventi che non sono necessariamente normativi e prevedibili;
-        sono sganciate dalla ritualità perché sono passaggi che oggi tendono ad essere sempre più sganciati da un riconoscimento sociale.
Quindi vengono vissute soprattutto in termini individuali con dei percorsi determinati in modo autonomo dai soggetti coinvolti.
Inoltre attualmente si sta sviluppando un interesse per le “microtransizioni” ossia per i piccoli cambiamenti che le famiglie compiono costantemente e che denotano l’offuscamento dei “marcatori di passaggio” che erano socialmente riconosciuti e che segnavano le transizioni.
Le transizioni implicano un processo di transizione che ha un suo TIMING.

 

Vedere “Il timing della transizione” – Figura 2.6 – pagina 64 del libro.

Questo timing parte da un evento che provoca il passaggio e che dà sempre luogo ad un periodo iniziale di disorganizzazione.
A questo periodo segue un periodo di ricerca di soluzioni.
Da questa fase la famiglia può uscirne con diverse soluzioni non sempre positive tra le quali troviamo: la riorganizzazione, la dissoluzione e lo stallo.
Il timing delle transizioni non prevede solo una dimensione temporale ma anche e soprattutto una dimensione sociale definita come “orologio sociale o tempo sociale”.
L’orologio sociale o tempo sociale è dettato da tutti i soggetti che vivono la nostra stessa vita e si incrocia con il tempo storico ed evolutivo.
Esso porta la famiglia a riconoscere come i cambiamenti sono necessari per attuare un suo adeguamento sociale per cui la mancanza di cambiamenti fa sentire la famiglia diversa rispetto al tempo di vita sociale e la conduce ad interrogarsi sul perché di tale differenza.
Le transizioni non sono un semplice passaggio da una posizione ad un’altra posizione perché esse implicano che qualcosa sia lasciato per raggiungere uno scopo.
Questo passaggio finalizzato comporta l’assolvimento di diversi compiti di sviluppo da parte delle generazioni familiari coinvolte nella transizione stessa.

 

LEZIONE 19/10/2007

La transizione non può essere considerata come qualcosa che automaticamente determina un passaggio cruciale nella storia della famiglia perché l’evento critico non basta a determinarlo.
Ad esempio: non necessariamente la nascita di un figlio può fare della coppia due genitori perché potrebbe accadere che la coppia non faccia spazio al figlio e quindi alla generatività intesa come la capacità di prendersi cura di ciò che è stato generato in modo responsabile.
I processi o le modalità che consentono di effettuare il passaggio e che rendono possibile la “transitabilità” sono:
1)      la regolazione delle distanze;
2)      la trasmissione intergenerazionale.
Sono due processi che riconducono al concetto di riconoscimento di una continuità pur nella discontinuità o diversità, la quale ultima è dovuta all’analisi che i membri, all’interno della relazione coniugale, fanno per decidere ciò che deve essere mantenuto e ciò che deve essere cambiato rispetto alle loro storie familiari.
1)      LA REGOLAZIONE DELLE DISTANZE.
Il primo compito fondamentale per effettuare la transitabilità è la regolazione delle distanze che porta a chiedersi “Come la famiglia organizza e mantiene il suo territorio?”.
La famiglia organizza e mantiene il suo territorio attraverso la messa in discussione e il riequilibrio delle distanze nei seguenti tre piani diversi:
a)      la distanza interpersonale si può riscontrare in tutte le tipologie di relazione e può portare ai seguenti tre modelli di famiglie:

  • le famiglie disimpegnate in cui la distanza è eccessiva e porta alla perdita del legame perché l’impegno emozionale tra i membri della famiglia è molto basso;
  • le famiglie invischiate in cui c’è l’assenza della distanza perché l’impegno emozionale tra i membri della famiglia è molto alto ed inoltre non c’è lo spazio evolutivo;
  • le famiglie connesse in cui la distanza è equilibrata e l’impegno emozionale tra i membri della famiglia è moderato.

b)      Le distanze intergenerazionali rinviano al concetto di distanze tra sottosistemi; ad esempio tra la diade e la famiglia di origine oppure tra la diade e i figli.
E’ un concetto molto importante perché ogni sottosistema deve essere legato ma sufficientemente distante e può essere di tre diversi livelli:

  • distanza elevata;
  • distanza ridotta;
  • distanza azzerata.

         Ad esempio la distanza intergenerazionale è elevata quando si forma la coppia coniugale perché ogni membro di essa è portato a prendere una distanza elevata dalla famiglia di origine mentre poi diventa ridotta quando la coppia crea un figlio.
Un altro esempio è relativo alla relazione che i genitori hanno con i figli durante la fase dell’adolescenza in cui l’uscita di casa del figlio adolescente necessita di una distanza elevata che però si riduce nel momento in cui i figli passano alla condizione di adultità.
Quindi la distanza è posta in relazione con le diverse fasi del ciclo di vita familiare.
c)      La distanza tra la famiglia e l’ambiente esterno porta alla creazione di un confine con l’ambiente esterno che separa la coppia da esso.
Questo confine si accentua con la nascita del figlio però poi diminuisce con la prima occasione di socializzazione del figlio stesso come l’ingresso nell’asilo nido o nella scuola materna e si riduce ancora di più con l’adolescenza.
A questo proposito Boss afferma che il compito evolutivo per eccellenza della famiglia è il gestire le ambiguità dei confini familiari interni ed esterni nelle fasi di transizione.
La regolazione della distanza tra la famiglia e l’ambiente esterno porta alla creazione di tre tipologie di famiglie:

  • con stile centripeto caratterizzato dalla tendenza di legare i membri tra di loro e tenerli dentro alla famiglia;
  • con stile centrifugo caratterizzato dalla tendenza di espellere i membri della famiglia al di fuori dei suoi confini;
  • famiglie bilanciate caratterizzate da livelli centrali sia per la coesione sia per la flessibilità.

2)      LA TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE.
Il secondo compito fondamentale per effettuare la transitabilità è la trasmissione intergenerazionale.
Essa rinvia ad un elemento di continuità legato al riconoscimento di ciò che si è ricevuto ossia al bagaglio che le generazioni precedenti trasferiscono e comunicano alle generazioni seguenti.
A tale proposito Cigoli sostiene che la famiglia trasmette inevitabilmente qualcosa che il soggetto deve riconoscere perché è un segnale di consapevolezza a cui segue la decisione di ciò che lui decide di tenere e di trasmettere e di ciò che decide di eliminare.
La trasmissione intergenerazionale avviene sui seguenti tre livelli:
1)      la trasmissione dell’appartenenza che avviene attraverso il cognome.
Si tratta di un aspetto esterno e di un dato simbolico che però ha una importante implicazione soprattutto nel caso di affidi o di doppio cognome.
2)      La trasmissione delle tradizioni, dei valori e degli orientamenti.
In questo caso il figlio li può assumere sia nello stesso modo in cui vengono proposti dai genitori e quindi ripeterli, sia con un moto di contrapposizione e di rifiuto che marcano la presa di distanza da essi ma che, in ogni caso, dimostrano che è avvenuta una trasmissione.
3)      La trasmissione dell’eredità materiale.
Nonostante si tratti di qualcosa di materiale è pur sempre un modo per riconoscere l’essere dentro oppure l’essere fuori dalla famiglia perché anche il passaggio di cose materiali porta al riconoscimento dell’appartenenza ad un legame.
Con la spartizione delle cose materiali si spartisce sempre anche una storia in quanto non è l’oggetto in sé che lo rende sociale ma è il significato che viene dato all’oggetto stesso a renderlo tale.
Accanto a questi tre livelli c’è un quarto elemento che caratterizza la trasmissione intergenerazionale e che è rappresentato dal fatto che anche gli eventi sono soggetti a passaggi.
Perciò anche gli eventi vengono trasmessi con le relative modalità di gestione e con i relativi significati attivati dagli eventi stessi.
Ad esempio la modalità di gestione della perdita e del distacco che può riemergere nella nuova famiglia quando si presenta un evento che ha la forza di rievocarla.
Inoltre il passaggio transgenerazionale è mediato da alcuni aspetti di struttura quali il genere e l’ordine di genitura.
Con il concetto di ordine di genitura si intende il fatto che, generalmente, sul primo figlio i genitori creano delle aspettative di riscatto sociale mentre sul secondo figlio i genitori creano delle aspettative di cura e di investimento affettivo.
Per questo, di solito, i primi figli hanno delle carriere migliori.
La trasmissione dell’eredità è caratterizzata dall’assenza di determinismo in quanto l’eredità non passa automaticamente da una generazione all’altra ma attraverso il filtro della coppia.
Per questo la coppia è considerata un nuovo dispositivo di elaborazione vivo che ha i propri gradi di libertà nel determinare lo sviluppo mentale della generazione successiva.
In particolare la coppia rimescola le carte relative alle storie di origine dei singoli membri, media e prende le distanze all’interno di uno spazio di rilettura che permette di uscire dal determinismo.
Non si tratta quindi di una ricezione passiva e di una trasmissione meccanica dalle generazioni precedenti alle generazioni successive.
La trasmissione non fluisce automaticamente da una generazione all’altra ma attraverso il dispositivo di mediazione che è la coppia.
Per questo la qualità della relazione coniugale viene considerata una importante variabile che è in grado di mediare l’influenza della storia passata.
Più alto è il supporto reciproco all’interno della coppia coniugale e più alta è la capacità di mediazione.

PROCESSO DI DIFFERENZIAZIONE / DISTINZIONE E PROCESSO DI LEGITTIMAZIONE
La coppia compie due processi di base che accompagnano la famiglia in tutte le sue fasi di sviluppo e che si collocano sia sul versante affettivo sia sul versante etico.
Essi sono:        il processo di differenziazione / distinzione e il processo di legittimazione.
Il versante affettivo si denota con:
-        il processo di differenziazione che riguarda il singolo membro della famiglia.
Permette al singolo membro di costruire la propria identità staccandosi dalla famiglia ed emergendo come soggetto unico.
-        Il processo di distinzione che riguarda la famiglia e i suoi sottosistemi.
Permette alla nuova famiglia di costruire la propria identità distinguendosi dalle famiglie e dalle generazioni precedenti.
Se questo processo affettivo riesce, può verificarsi sul versante etico:
-        il processo di legittimazione che avviene dopo il riconoscimento dell’altro e del legame con lui che porta a legittimare la sua funzione.
Il legittimarsi come coniugi o come genitori è indispensabile per mantenere la stima in sé e nella propria funzione.
Così l’altro può assumere il suo ruolo perché gli vengono riconosciuti i suoi compiti; ad esempio la legittimazione del figlio come genitore porta al riconoscimento dell’autorità genitoriale assunta dal figlio a seguito della nascita del nipote.

I COMPITI DI SVILUPPO INTERGENERAZIONALI
Si parla di compiti di sviluppo intergenerazionali perché i compiti di sviluppo riguardano tutte le generazioni compresenti all’interno della famiglia.
Questi compiti hanno una valenza sia sul piano affettivo, sia sul piano etico.
E’ possibile quindi individuare i principali compiti che i membri della famiglia devono affrontare nelle diverse posizioni di coniugi, di genitori, di figli e come membri di una comunità sociale, sottolineandone gli aspetti affettivi e gli aspetti etici.
Inoltre per ogni fase del ciclo di vita ci saranno degli aggiustamenti inerenti ad entrambi gli aspetti e alle diverse posizioni.
Schema dei compiti di sviluppo nelle diverse transizioni - FIGURA 2.7 – pagina 69 del libro.

 

LA FAMIGLIA E LE SUE TRASFORMAZIONI

Gli aspetti del cambiamento della famiglia nel contesto italiano che influenzano lo sviluppo della stessa sono:
1)      la crescente fragilità coniugale;
2)      il consistente calo della natalità;
3)      la permanenza prolungata dei giovani adulti in famiglia;
4)      l’allungamento della vita;
5)      l’effetto dei trend socio-culturali sulle transizioni “chiave” della famiglia.

1)      LA CRESCENTE FRAGILITÀ CONIUGALE.
La vita di coppia oggi è caratterizzata dalla fragilità del legame coniugale che ha molteplici cause.
Le principali cause che rendono la coppia fragile sono:
-        il cambiamento del concetto di matrimonio che è passato da un fatto sociale ad una impresa personale.
In passato il matrimonio era considerato uno strumento di affermazione sociale mentre oggi è sempre di più una scelta personale vissuta in maniera più piena e consapevole.
-        La coppia è diventata autoreferenziale.
In particolare al centro dell’attenzione si pone la coppia e la sua relazione che scambiano poco con l’esterno perché tendono a viversi in uno spazio totalmente privato.
L’assenza di riferimento sociale porta la coppia ad una estrema personalizzazione e la rende svincolata da aspettative sociali.
Inoltre rende la coppia povera e debole perché la porta ad avere pochi riferimenti esterni visto che diventa un riferimento unico a sé stesso.
Non c’è vincolo ma non c’è neppure supporto.
-        Lo sbilanciamento della relazione di coppia sul versante affettivo a scapito del versante etico.
In generale la dimensione degli affetti è prevalente rispetto alla dimensione dell’impegno per cui diventa possibile poter uscire da un legame quando la sola dimensione affettiva viene a mancare.
Invece un tempo si rimaneva insieme per rispettare l’impegno assunto anche quando non c’era più la dimensione affettiva.
-        L’indebolimento degli aspetti di vincolo.
Le famiglie di oggi sono caratterizzate dalla facilità di scelta circa l’entrata e l’uscita dal legame senza considerare le conseguenze che queste entrate ed uscite possono avere sui diversi membri della famiglia, ad esempio sui figli, e quindi senza proteggere chi è coinvolto.
-        Le alte aspettative reciproche.
Oggi si assiste ad un alto investimento nel rapporto di coppia.
Il partner così raccoglie la totalità delle aspettative dell’altro membro della coppia e ciò comporta un aumento del rischio di delusioni a seguito della mancata soddisfazione delle stesse e di sovrainvestimento nel legame di coppia.
-        Il calo del controllo sociale.
Dal momento che si investe troppo nel legame coniugale, oltre al calo del controllo sociale si assiste anche alla mancanza di un aiuto o supporto sociale che possa condividere le difficoltà.
-        La ricerca del benessere personale.
Oggi nel rapporto di coppia si cerca principalmente la propria felicità personale e il soddisfacimento dei propri bisogni affettivi piuttosto che costruire un “noi” finalizzato a realizzare un progetto comune.
La conseguenza di ciò è che si sta insieme fino a quando il legame da qualcosa.
I tre POSSIBILI ESITI di questa coppia fragile sono:
1)      il rinnovare il legame di coppia che dimostra come questo tipo di evoluzione può avere anche degli esiti positivi se c’è una dimensione affettiva più forte perché porta alla valorizzazione della coppia.
Ad esempio la doppia carriera ha permesso il ristabilirsi di una affettività che non prevede più la gerarchia del passato.
2)      Lo stare insieme “rassegnato” che protegge dalla solitudine.
3)      La separazione.
In questo panorama sociale che vede la coppia sempre più fragile bisogna tuttavia osservare che, paradossalmente, la coppia oggi è, più che in passato, un referente centrale per la società per tre motivi:
-        perché con l’aumento della vita media è aumentato anche il tempo di vita in coppia;
-        perché oggi la coppia è responsabile di compiti che prima erano assunti dalla famiglia allargata;
-        perché la coppia oggi si assume delle responsabilità che prima erano trattate nel sociale; ad esempio la trasmissione dei valori.
Infatti prima, con la famiglia allargata, c’era minore chiarezza di confini mentre adesso se la coppia trasmette dei valori lo fa con convinzione non più perché lo fanno tutti.
Nonostante l’aumento delle separazioni e dei divorzi, i giovani considerano il matrimonio come una meta altamente desiderabile e si rappresentano da adulti in coppia.
Ossia per loro il matrimonio è visto come un’aspirazione a cui tendere.

2)      IL CONSISTENTE CALO DELLA NATALITÀ.
La transizione alla genitorialità oggi è caratterizzata sia da aspetti strutturali sia da aspetti socioculturali.
Gli aspetti strutturali della transizione alla genitorialità sono:
1)      la riduzione delle nascite.
Per quanto riguarda l’andamento dei tassi di fecondità italiani, dopo il baby boom degli anni Sessanta, le nascite sono diminuite drasticamente.
Ciò colloca l’Italia nel primato di denatalità come frutto delle politiche sociali che non hanno messo a disposizione delle risorse che permettano di conciliare le nascite al lavoro.
2)    L’innalzamento dell’età delle primipare e la contrazione del periodo di fecondità a pochi anni.
Ciò da una parte è la conseguenza dello slittamento in avanti del matrimonio e dall’altra parte è la conseguenza della tendenza della coppia a definire i tempi della transizione alla genitorialità.
Il primo figlio oggi arriva tardi perché il periodo dai 20 anni ai 30 anni è diventata una fase di sperimentazione in cui c’è l’assenza del desiderio dell’assunzione di responsabilità legata alla nascita di un figlio.
Tale responsabilità viene ormai assunta solo al termine del periodo di fecondità.
3)      La caduta delle nascite di ordine superiore a due figli.
Rispetto alla generazione precedente si è ormai diffuso il modello del figlio unico.
Gli aspetti socioculturali della transizione alla genitorialità sono:
1)      il grande valore attribuito al figlio per cui la logica del bambino quasi precede la logica di coppia.
In questo periodo in cui il legame matrimoniale tende ad essere sempre più instabile, la debolezza della coppia sembra essere rimpiazzata dalla solidità del legame con il figlio.
Il figlio viene così sovrainvestito e considerato come elemento di completezza della propria personalità.
2)      La perdita dei connotati generazionali della filiazione e l’enfatizzazione degli aspetti di realizzazione personale.
3)    Il fatto di poter controllare la procreazione che porta a passare dal figlio rimandato al figlio a tutti i costi.
Da un lato si ha una situazione di controllo volontario che porta a rimandare la ricerca di un figlio per passare poi all’altro lato caratterizzato dalla volontà estrema di avere un figlio a tutti i costi.
Il controllo della procreazione rischia di appiattire la generatività, porta a considerare il figlio come un “oggetto” ricercato a tutti i costi e denota l’assenza di spazio per un terzo membro all’interno della coppia.

3)      LA PERMANENZA PROLUNGATA DEI GIOVANI ADULTI IN FAMIGLIA.
Il fenomeno sociale della “famiglia-lunga” caratterizzata dai figli giovani-adulti che non vanno mai via di casa, provoca il fenomeno nuovo nella nostra società della convivenza di due generazioni adulte nella stessa famiglia.
La transizione alla condizione adulta ha assunto le seguenti caratteristiche:
-        è un passaggio lento, graduale e caratterizzato da molte “microtransizioni”;
-        è legata all’attenuazione del valore simbolico del passaggio; come per esempio il 18° compleanno oppure il fidanzamento;
-        è caratterizzata dalla diffusione del paradigma della sperimentazione e della reversibilità delle scelte.
Infatti questa latenza permette di sperimentare sia sul piano affettivo sia sul piano lavorativo e permette ai giovani di evitare di fare delle scelte definitive “troppo presto” nella loro vita.
I giovani italiani stanno a lungo in famiglia perché ci stanno bene e non sentono il bisogno di uscirne.
C’è quindi una condizione di “comodità” …… SLIDE NON COMPLETA
tale per cui il vivere in famiglia offre più vantaggi che svantaggi.
Oggi la transizione alla condizione adulta è caratterizzata dal fatto che
più che emanciparsi dalla famiglia

i giovani si emancipano nella famiglia.

L’esito di questa lunga transizione alla condizione adulta è la perdita del ritmo del succedersi delle generazioni.
In particolare si assiste ad un allungamento delle fasi e alla compresenza di più generazioni adulte all’interno della stessa famiglia.
Prima il marcatore del passaggio alla adultità era l’uscita di casa mentre oggi i marcatori sono altri e ciò crea il rischio dello stallo.
La spiegazione del fenomeno della famiglia lunga è perciò da ricercare in cause sociali e psicologiche.
Le principali cause sociali sono: il prolungamento dell’iter scolastico, l’alto tasso di disoccupazione e la difficoltà a reperire degli alloggi a costi bassi.
La principale causa psicologica è l’eccessivo investimento dei genitori sul figlio.

4)      L’ALLUNGAMENTO DELLA VITA.
Oggi l’età anziana è caratterizzata:
-      da una transizione lunga e complessa che racchiude al suo interno diversi passaggi critici come il pensionamento e la malattia;
-      dal passaggio graduale da una posizione di centralità nelle relazioni ad una posizione più ritirata e dipendente; anche se si hanno ancora diverse risorse e potenzialità;
-        dal mutato equilibrio delle generazioni che determina una trasformazione qualitativa del processo di invecchiamento, sia per quanto riguarda le dinamiche interne alla famiglia, sia per quanto riguarda le relazioni tra la struttura familiare e la struttura sociale.
Infatti uno stesso evento critico che caratterizza la generazione anziana, può essere affrontato diversamente dalla famiglia a seconda della transizione che la generazione successiva sta affrontando; ad esempio figli adulti con dei bambini piccoli oppure figli adulti con adolescenti.

5)      L’EFFETTO DEI TREND SOCIO-CULTURALI SULLE TRANSIZIONI “CHIAVE” DELLA FAMIGLIA.
Gli effetti che gli attuali trend socioculturali possono esercitare sulle transizioni che caratterizzano la vita della famiglia sono:
a)      nella transizione alla coniugalità ed alla genitorialità: il tempo breve.
Come si è visto si tratta di due transizioni che si concentrano in un tempo relativamente breve.
Infatti si assiste ad un aumento dell’età media del matrimonio e al fatto che la coppia tende a concentrare la nascita dei figli nei primi anni di matrimonio.
b)      Nella transizione all’età adulta: il tempo prolungato.
Questo perché la transizione all’età adulta non è più segnata da marcatori di passaggio precisi ma da “microtransizioni”.
c)      Nella transizione alla condizione anziana: una lunga stagione di coppia.
La lunga stagione di coppia in questo caso è dovuta all’allungamento dell’età media e alla concentrazione di poche nascite.
Quindi nella nostra realtà sociale emerge un tipo di famiglia che potrebbe essere definito “famiglia adulta multigenerazionale”.
Si tratta di una famiglia caratterizzata dalla presenza di più generazioni adulte contemporaneamente con i connessi rischi di inferenze dovuti alla presenza concomitante di diverse transizioni critiche che coinvolgono le diverse generazioni.

 

LEZIONE 22/10/2007

 

IL LEGAME CONIUGALE E LE SUE TRANSIZIONI

Nel corso degli anni si è assistito a dei cambiamenti della concezione del matrimonio.
Nel lontano passato il matrimonio era il frutto di una alleanza tra le famiglie che intervenivano nella scelta del coniuge, successivamente è diventato uno strumento e un affare di successo sociale, fino ad essere oggi fondamentalmente una forma di autorealizzazione espressiva personale.
Oggi infatti nel rapporto di coppia si cerca più che altro la propria felicità personale e ciò causa una maggiore concentrazione della dimensione affettiva a scapito della dimensione etica.
Nella privatizzazione del rapporto di coppia, è come se la coppia vivesse in uno spazio totalmente privato, svincolato da appartenenze sia di stirpe sia socioculturali e non dovesse rispondere ad altri che a se stessa.
Il cambiamento di concezione del matrimonio ha fatto si che anche il “fidanzamento” ha perso i connotati di rito di passaggio.
La relazione coniugale si fonda su un patto fiduciario di reciprocità che ha nel matrimonio il suo atto esplicito e il suo rito di transizione.
Il patto fiduciario di reciprocità comincia con la scelta del partner, nel corso del suo sviluppo porta i coniugi al riconoscimento reciproco e si esplicita con il matrimonio.
Quindi il matrimonio è l’evento critico che dà vita alla coniugalità.
Per molto tempo il legame coniugale non è stato considerato un evento critico di passaggio mentre poi lo è diventato e si è cercato di individuarne i relativi compiti di sviluppo.
L’obiettivo della transizione al legame coniugale è
il dar vita e mantenere nel tempo il patto coniugale
e richiede l’assunzione dell’impegno alla cura del legame coniugale.
Alcuni autori hanno parlato di PATTO SEGRETO per evidenziare la mescolanza di bisogni e di aspettative che i partner pensano di soddisfare nel rapporto di coppia.
In particolare per patto segreto si intende l’incastro di un insieme di bisogni, aspettative e tendenze reciproche che riconoscono nell’altro la possibilità di soddisfacimento.
Nella creazione del patto coniugale ogni partner porta con sè un insieme di bisogni, aspettative ed esigenze personali e riconosce e trova nell’altro partner la possibilità di vedere soddisfatti questi suoi bisogni, aspettative ed esigenze personali.
Tale incastro non viene dichiarato esplicitamente ma è posto alla base della scelta dei due coniugi.
E’ importante perché a partire da esso è possibile capire le aspettative che un partner ha posto nell’altro partner e che, se non sono soddisfatte, possono portare al malessere della coppia.
Quindi l’andare ad indagare le aspettative non soddisfatte permette di rinegoziarle ed eventualmente di intervenire con una terapia di coppia per migliorare gli aspetti del legame coniugale che procurano malessere.
La coppia è un NOI o “WENESS” che va al di là dei confini psichici individuali e che rinvia necessariamente ai due aspetti di:
-        comunanza / somiglianza;
-        differenza / alterità.
La dimensione del “WENESS” permette ai due coniugi di riconoscere che si appartengono e di individuare sia ciò che li accomuna e li rende simili per molti aspetti, sia ciò che caratterizza le loro diversità.
Cruciale per la costituzione della coppia è il passaggio dall’innamoramento all’amore e la modalità con cui la coppia affronta il disincantamento.
L’innamoramento tende a definire l’altro in base agli aspetti di somiglianza e alle attribuzioni positive mentre l’amore si fonda sulla reciprocità e sulla capacità di vedere anche gli aspetti deboli dell’altro.
Affinché si crei il patto coniugale è necessario proprio questo passaggio dall’innamoramento all’amore che avviene attraverso il riconoscimento della differenza e della alterità che permette di operare il disincantamento ossia di prendere consapevolezza di ciò che è l’altro e della sua diversità.
Il processo di disincantamento non porta ad annullare l’attrazione che unisce i due coniugi, anzi permette di tenerla viva all’interno di un legame di confronto con l’altro.
E’ un passaggio forte che lascia presupporre la necessità di non fondare il legame coniugale solo sull’esigenza derivante dal polo affettivo.
Infatti la dimensione affettiva deve essere mantenuta viva e per farlo occorre la dimensione etica dell’impegno alla cura e della volontà di coltivare il legame coniugale.
Quindi nel passaggio all’amore non c’è una contrapposizione tra la dimensione affettiva e la dimensione etica anzi la dimensione affettiva richiede una volontà di attuazione che trova proprio nell’impegno alla cura dato dalla dimensione etica.
Il mantenere vivi sia gli aspetti affettivi che gli aspetti etici del patto è un lavoro che tocca ad ogni coppia coniugale.
Nel tempo due sono stati i costrutti a cui è stata prestata particolare attenzione:
-        la qualità della relazione a cui è legata la soddisfazione coniugale.
Essa traduce la dimensione affettiva di attrattiva e cura reciproca ed è intesa come un indicatore del benessere della coppia quando è positiva e del malessere della coppia quando è negativa.
-        La stabilità della relazione intesa come impegno a mantenere e a rispettare il patto coniugale.

         Essa traduce la dimensione etico-noramtiva.

Queste due dimensioni devono essere sempre presenti contemporaneamente per generare il patto coniugale contraddistinto dalla soddisfazione coniugale reciproca e dal benessere.
Qualità e stabilità della relazione sono ritenuti fortemente connessi per cui è solo l’apporto di entrambi che permette di raggiungere l’obiettivo della transizione.

 

Qualità della relazione                                                        Stabilità della relazione


Patto coniugale

 

Valenza affettiva                                                                  Valenza etico-normativa

Attrattiva: cura reciproca                                                    Impegno a rispettare

                                                                                             il patto

I COMPITI DI SVILUPPO COME CONIUGI

 

 

ASPETTI AFFETTIVI

ASPETTI ETICI

I COMPITI DI SVILUPPO COME CONIUGI

Prendersi cura dell’altro, della sua specificità e differenza di genere e di storia familiare (1).

Riconoscere il valore dell’altro e legittimarlo come coniuge (3).

Attuare un movimento di reciprocità nelle varie sfere della vita (2).

Impegnarsi per il mantenimento della relazione (4).

(1) La dimensione affettiva viene alimentata con gesti di cura, di conferma e di valorizzazione dell’altro e della sua specificità.
In essa si inseriscono tutti gli aspetti di armonia e dello star bene nel legame.
Inoltre la dimensione affettiva presuppone anche il riconoscimento della diversità di genere e di storia familiare dell’altro.
La diversità si presenta sotto vari aspetti; ad esempio negli spazi individuali, nei modi di pensare, nei rapporti con le famiglie di origine e nelle amicizie.
(2) La reciprocità va al di là e supera la pariteticità ossia l’essere paritetici e a volte non passa neppure da essa.
Questo perché la reciprocità rinvia al riconoscimento del valore dell’altro e si intreccia al polo etico che prevede, oltre al riconoscimento dell’altro anche la sua legittimazione come coniuge.
(3) Per legittimare l’altro come coniuge bisogna riconoscere la priorità del legame coniugale rispetto al legame con la famiglia d’origine.
Ciò è possibile attraverso la regolazione delle distanze che porta ad anteporre l’altro e a posporre la famiglia d’origine.
(4) Il mantenimento della relazione sia attua con l’impegno di entrambi i partner a mantenere vivi il dialogo, il confronto, la discussione e la comprensione.
A tale scopo è importante che la coppia riesca a trovare il tempo per sé stessa anche quando ciò può risultare difficile a causa, ad esempio, della nascita di un figlio.
I temi delle ricerche che hanno esaminato il legame coniugale sono:
-        le credenze e le aspettative;
-        le attribuzioni;
-        l’intimità,
-        la comunicazione;
-        il supporto;
-        l’impegno o il commitment.
-        LE CREDENZE E LE ASPETTATIVE.
In particolare le ricerche hanno evidenziato che il fatto di possedere delle aspettative realistiche sul matrimonio permette di raggiungere un più elevato soddisfacimento coniugale.
Perciò aspettative né troppo elevate né troppo basse favoriscono un buon rapporto coniugale.
-        LE ATTRIBUZIONI.
L’approccio che ha studiato le attribuzioni di tipo causale sostiene che ogni persona possiede una modalità di attribuzione causale che lo porta a spiegare i comportamenti degli altri utilizzando particolari cause.
Questa sua modalità è legata ad un bias di difesa del sé con il quale si tende a non applicare su sé stessi le attribuzioni causali applicate sugli altri.
Ciò si riscontra all’interno della coppia dove i coniugi mettono in atto delle modalità di attribuzione causale differenziate.
Le modalità con cui i coniugi spiegano i comportamenti che si verificano nella coppia risultano essere strettamente connesse alla qualità e alla stabilità della relazione e, di conseguenza, alla soddisfazione coniugale.
Anche se la connessione tra attribuzione e soddisfazione coniugale è biunivoca e presenta una circolarità, sono più le attribuzioni che determinano e spiegano la soddisfazione piuttosto che la soddisfazione che determina e spiega le attribuzioni.
-        L’INTIMITÀ.
Rinvia ad una dimensione propriamente affettiva del legame, al sentirsi vicino non soltanto dal punto di vista fisico e alla capacità di confidarsi utilizzando i sentimenti.
L’intimità presenta dimensioni diverse che vengono valorizzate in modo differente da ogni coppia perché ogni coppia ha un suo funzionamento e una sua distribuzione delle risorse tale per cui può avere delle risorse più forti in certe aree rispetto ad altre.
-        LA COMUNICAZIONE.
Rinvia al duplice livello di comunicazione:
-        la comunicazione strumentale intesa come la capacità di risoluzione dei problemi o problem solving e quindi la capacità di riuscire a trovare delle soluzioni appropriate agli stessi;
-        la comunicazione emotiva intesa come condivisione delle emozioni e come capacità di aprirsi all’altro e di rivelare se stessi; quindi si tratta di qualcosa che non è strumentale.
E’ importante che la comunicazione funzioni bene in entrambi i livelli.
Alcuni studi evidenziano come la comunicazione può essere considerata una vera e propria strategia di mantenimento della qualità della relazione coniugale perché permette di negoziare le differenze presenti all’interno della relazione.
Su di essa investono molti programmi di enrichment coniugale perché la considerano una competenza utile per gestire i momenti di crisi.
-        IL SUPPORTO.
Rinvia al non sentirsi soli, al sentirsi valorizzati, sostenuti in quello che si fa, protetti e aiutati.
Si può trattare di un supporto sia pratico, sia psicologico ed è inteso come la particolare capacità non solo di dare ma anche di ricevere sostegno.
Alcuni studi evidenziano delle differenze di genere secondo cui sembra che le mogli, più dei mariti, dimostrano un bisogno di supporto.
E’ probabile che le donne, dal momento che danno di più negli aspetti di cura del versante genitoriale rispetto ai mariti, si creino maggiori aspettative di supporto e quindi si aspettino maggiori cure dal partner per colmare lo sbilanciamento e realizzare la reciprocità.
-        L’IMPEGNO o IL COMMITMENT.
Rinvia alla volontà di coltivare il legame.
L’impegno è definito in vari modi ed in particolare come:
-        la rappresentazione interna dell’orientamento a lungo termine del rapporto;
-        l’intenzione personale a continuare la relazione;
-        il sentirsi psicologicamente legati ad essa;
-        lo sforzo di assicurarle continuità e di migliorarne la qualità.
Inoltre può essere rappresentato come un costrutto formato dalla seguenti tre dimensioni:
-        attrattiva costituita dal sentire di volere che la relazione continui per i benefici che comporta;
-        etico-normativa costituita dai valori relativi all’importanza del rapporto e dai sentimenti di obbligo e di fedeltà;
-        costrittiva costituita dai fattori esterni che rendono difficile interrompere la relazione.
L’impegno ha due versanti:
-        l’impegno verso il legame come istituzione;
-        l’impegno verso l’altro.
Questo perché nella relazione coniugale non esistono solo i due partner ma anche il legame tra i due che richiede un suo specifico spazio ed una sua specifica attenzione.
Inoltre l’impegno sarebbe accresciuto da:
-        una elevata soddisfazione;
-        un basso valore attribuito alle alternative alla relazione;
-        elevati investimenti nella relazione quali la reciproca conoscenza, il tempo, le confidenze, gli sforzi, gli amici comuni, i figli e i beni materiali comuni.

 

I COMPITI DI SVILUPPO COME FIGLI

 

 

ASPETTI AFFETTIVI

ASPETTI ETICI

I COMPITI DI SVILUPPO COME FIGLI

Instaurare un nuovo tipo di legame con le famiglie d’origine tramite il processo di distinzione di coppia (1).

Riconoscere il salto di posizione dalla condizione di figlio alla condizione di coniuge (2).

Attuare un nuovo equilibrio della lealtà con priorità di quella coniugale su quella intergenerazionale (3).

(1) Il processo di distinzione di coppia è fondato sul confronto – scambio tra la neocoppia coniugale e le coppie coniugali delle famiglie d’origine.
Questo processo ha inizio con la scelta del partner, si consolida con la costruzione del patto coniugale e ha uno snodo importante con la nascita dei figli.
Se il processo di distinzione di coppia riesce, si ha il riconoscimento della storia familiare e l’impegno a proseguirla con degli apporti innovativi.
Se il processo fallisce si possono avere i due seguenti esiti patologici:
-        la rottura del legame con la famiglia d’origine con cui la coppia si sente totalmente diversa dalla precedente;
-      la ripetizione del legame con la famiglia d’origine con cui la coppia ripete il modello precedente senza riviverlo.
Quindi la riuscita del processo di distinzione di coppia richiede, da parte dei coniugi, un processo di regolazione delle distanze con le famiglie d’origine.
Si tratta di un compito evolutivo congiunto perché presuppone che i figli riequilibrino le distanze con i genitori e che i genitori riconoscano il nuovo ruolo dei figli.
Tutto ciò può avvenire solo con la ridefinizione delle modalità di scambio e di comunicazione con le famiglie d’origine e non con la rottura del legame con esse che deve continuare, deve essere riconosciuto e deve essere coltivato.
In pratica la coppia deve riconoscere la sua continuità nella sua discontinuità o diversità.
(2) Dal punto di vista etico occorre capire quale è il legame che ha una priorità in termini di diritti e di doveri ossia che deve venire per primo.
(3) Il processo di reciproca legittimazione prevede uno spostamento di lealtà che fa arretrare la posizione di figli per fare emergere la posizione di coniugi attuando così un nuovo equilibrio della lealtà caratterizzato dalla priorità della lealtà verso il proprio coniuge.
Ciò vale non solo per i figli ma anche per i genitori che devono accettare che il figlio è, prima di tutto, un coniuge.
Dalle ricerche è emerso come la modalità di relazione con le famiglie d’origine è legata anche alla differenza di genere.
Di solito la cura del legame con le stesse è affidata alla femmina con il rischio che, se la femmina non è equilibrata nel riconoscimento delle stirpi, si ha la prevalenza di una stirpe sull’altra.
Viene così a mancare l’equilibrio tra le stirpi che aiuta a costruire una relazione coniugale sana.
A tale riguardo Haws e Mallinckrodt sostengono che sia i mariti che hanno livelli di indipendenza molto bassi, sia i mariti che hanno livelli di indipendenza molto alti, manifestano dei problemi di adattamento matrimoniale.
L’equilibrio di lealtà tra la nuova coppia e la famiglia d’origine dipende anche da come l’uomo e la donna entrano nella famiglia dell’altro perché se non si ha l’accoglienza dalla famiglia del partner si crea un’area di esclusività dannosa per la coppia.

 

I COMPITI DI SVILUPPO COME MEMBRI DI UNA COMUNITA’ SOCIALE

Sia il marito che la moglie portano con sé all’interno della coppia oltre alle loro famiglie d’origine, anche una rete di relazioni sociali formali e informali.
Per cui il primo compito di sviluppo dei partner come membri di una comunità sociale è quello di riconoscere le appartenenze reciproche alle reti sociali sia formali, sia informali di entrambi e costituire una nuova rete relazionale condivisa.
Quindi accanto alle due reti amicali distinte è importante che si crei una rete amicale condivisa che permette di sentirsi parte di una stessa comunità sociale.
Resta comunque importante anche la possibilità di mantenere una parte della rete amicale non condivisa che costituisce una risorsa importante soprattutto nei momenti di crisi e di transizione.
Molte ricerche hanno evidenziato come durante il primo periodo di vita matrimoniale si assiste ad un progressivo allontanamento dei partner dalla rete amicale per dedicare la maggior parte delle energie e del tempo libero alla coppia.
Tale periodo è poi seguito da un movimento doppio con cui da una parte si assiste all’inserimento della coppia nelle reti amicali e dall’altra parte si assiste al riconoscimento dell’unicità della relazione di coppia.
Il secondo compito di sviluppo dei partner come membri di una comunità sociale è quello di superare l’autorefenzialità e prendere coscienza della responsabilità sociale delle scelte di coppia.
Le scelte della coppia non sono un fatto “privato” perché hanno degli effetti sulla comunità sociale ed in particolare una dimensione progettuale che porta la coppia ad uscire “fuori di sé” e a diventare “generativa” in senso lato.

GESTIRE IL CONFLITTO E SAPER NEGOZIARE: UN “COMPITO RICORRENTE”
Il compito coniugale per eccellenza è l’impegnarsi a rinnovare, riformulare e rilanciare il patto coniugale nei passaggi chiave del ciclo di vita della famiglia.
Froma Walsh (1988, 87) afferma: “Le persone hanno bisogno di tre matrimoni: in giovinezza un amore romantico e appassionato; per allevare i figli un rapporto con responsabilità condivise; più tardi nella vita un rapporto con un compagno con forti capacità affettive e di accadimento reciproco. Piuttosto che di nuovi partner le persone hanno bisogno di cambiare il contratto relazionale a seconda delle diverse fasi del ciclo di vita, dal momento che le cose necessarie per il soddisfacimento all’interno di un rapporto cambiano nel corso del tempo anche al variare dei requisiti familiari.”.
Il saper trasformare il patto coniugale e mantenerlo vivo nel tempo è, in modo particolare, la sfida odierna a seguito della instabilità che caratterizza oggi il patto coniugale.
E’ un compito difficile che sottopone i coniugi ad affrontare prove, crisi e conflitti.
Non sempre il conflitto è necessariamente portatore di malessere nella coppia perché rinvia ad un confronto delle diversità.
Il conflitto diventa così un’occasione ed un luogo per rinnovare, riformulare e rilanciare il patto coniugale.
Ciò che è importante non è il conflitto in sé ma è la modalità con cui il conflitto viene gestito.
Esso può assumere caratteristiche diverse a seconda che sia inserito in una relazione cooperativa o in una relazione competitiva.
La relazione cooperativa permette la negoziazione e la risoluzione del problema e quindi una regolazione positiva del conflitto.
Gli stili relazionali cooperativi sono:
-        la NEGOZIAZIONE è un’azione congiunta con cui entrambi i partner tentano di raggiungere un obiettivo comune;
-        il COMPROMESSO è un’azione congiunta che ha alla base un accordo comune ed in cui è più presente la componente della rinuncia rispetto alla negoziazione;
-        l’ACCONDISCENDENZA è la tendenza a soddisfare maggiormente i bisogni del coniuge piuttosto che i propri;
-        lo STILE AFFILIATIVO è attuato con atti di riconciliazione e con atti di appello; per esempio il ricordare l’amore reciproco;
-        l’ABILITA’ DI PROBLEM SOLVING è la capacità sia di circoscrivere il problema in modo tale che non attacchi la relazione, sia di riuscire a risolverlo.
La competizione esalta l’opposizione tra le parti, porta a forme ancora più negative di scambio e quindi ad una espansione del conflitto.
Gli stili relazionali competitivi sono:
-        l’AGGRESSIVITA’ VERBALE con cui l’altro viene affrontato nel conflitto solo attraverso l’attacco personale;
-        la VIOLENZA FISICA viene utilizzata quando le modalità verbali sono insufficienti e anche in questo caso si tratta di uno stile che non è centrato sul contenuto del conflitto ma sull’attacco alla persona con cui si è in conflitto;
-        la COERCIZIONE e il DOMINIO portano a rivendicare solo il proprio punto di vista con atti di rifiuto, forme di abuso di potere e ricatti.
STILI RELAZIONALI COOPERATIVI E COMPETITIVI - FIGURA 4.1 – pagina 113 del libro.
Ci sono alcuni stili che possono agevolare la negoziazione del conflitto e che però, se sono estremizzati nella loro assenza o eccesso, possono avere degli effetti negativi.
Questi stili sono:
-        l’EVITAMENTO inteso come la scelta di non affrontare il conflitto.
Se l’evitamento è assente può essere associato ad un comportamento aggressivo; se l’evitamento è eccessivo può portare alla mancanza di intimità e di comunicazione nella coppia ma se l’evitamento è circoscritto, è una strategia positiva.
L’evitamento, visto che risente di fattori culturali, ha avuto un andamento curvilineo tale per cui in passato era più diffuso e portava i coniugi ad evitare di analizzare gli aspetti conflittuali della relazione.
-        L’IMPEGNO inteso come la volontà di voler affrontare il conflitto a tutti i costi per ricercare una soluzione.
Se l’impegno è assente può essere associato alla volontà di voler espandere il conflitto creando una escalation dello stesso; se l’impegno è eccessivo può diventare una modalità di relazione troppo rigida ma se l’impegno è moderato, è una strategia positiva.
Quindi sia l’evitamento che l’impegno devono essere presenti ma in forma moderata.
Molte ricerche hanno evidenziato l’importanza della variabile genere sulla tendenza ad utilizzare i diversi stili di conflitto.
In particolare gli uomini tendono ad utilizzare maggiormente l’evitamento mentre le donne tendono ad utilizzare maggiormente l’impegno.
Oggi l’attenzione degli studiosi della coppia si sta rivolgendo sempre meno all’esame del singolo stile di conflitto e sempre di più all’esame dei cosiddetti patterns conflittuali pericolosi ossia degli abbinamenti di stili possibili che si possono verificare nella coppia e che possono dare vita a delle modalità di interazione particolarmente pericolose.
I patterns conflittuali pericolosi sono:
-        il pattern demand – withdraw o esigente / evitante in cui un partner, di solito la donna, è particolarmente esigente e l’altro partner tende a ritirarsi dalla relazione;
-        il pattern di reciprocità negativa o aggresivo / attaccante in cui lo stile aggressivo / attaccante di un partner si combina con uno stile analogo dell’altro partner.
Uno dei comportamenti che è stato definito pro-relationship è stato individuato nell’ACCOMODAMENTO ossia nella tendenza a reagire ai comportamenti distruttivi dell’altro in modo costruttivo.
Si tratta di un meccanismo relazionale che non è spontaneo ma richiede uno sforzo di volontà da parte di chi lo utilizza che sposta l’interesse rivolto a sé stesso per lasciar posto all’interesse per la cura della relazione.
Ciò che permette questo spostamento è la trasformazione della motivazione che porta i coniugi a “guardare oltre” e a “perdonare”.
Quindi il “guardare oltre” significa andare oltre la fissità delle posizioni tenendo conto degli eventuali effetti negativi che il conflitto può avere non solo a breve termine ma anche a lungo termine.

 

Fonte: http://appunti.buzzionline.eu/downloads/socialefamigliacp0809.doc
Autore del testo : Marco

 

 


 

Psicologia sociale della famiglia

 

Riassunto e sintesi PSICOLOGIA DEI LEGAMI FAMILIARI
Eugenia Scambini, Raffaella Iafrate

Capitolo primo – La famiglia tra identità e mutamento

Due sono state le domande fondamentali che hanno segnato il percorso storico-teorico della riflessione delle scienze psicosociali sulla famiglia:
-           la domanda sull’identità “Che cos’è la famiglia?”
con la quale ci si chiede come può essere definita;
-           la domanda sul mutamento familiare “Come si evolve la famiglia?”
con la quale ci si chiede come cambia.

I due apporti teorici che hanno contribuito a rispondere alla domanda sull’identità sono:
1.   la Teoria dei piccoli gruppi che considera la famiglia come il piccolo gruppo di Lewin
2.   la Teoria dei sistemi che considera la famiglia a sistema

I due apporti teorici che hanno contribuito a rispondere alla domanda sul mutamento sono:
1.   la Stress and Coping Theory la quale studia come vengono affrontati dalla famiglia gli eventi stressanti normativi e non normativi, prevedibili e non prevedibili
2.   l’Approccio dello Sviluppo

Ci si pongono queste due domande perché negli anni Novanta si assiste ad una parcellizzazione delle teorie in miniteorie troppo numerose con la conseguenza che risulta assai difficile giungere ad una interpretazione univoca dei risultati delle ricerche sulla famiglia. La sfida che ci si pone oggi è quella di trovare un paradigma di riferimento “forte” che risponda a queste due domande.
A tal fine si parte da una concezione di famiglia come sistema e si cerca di arricchirlo con il polo etico e il polo affettivo nell’approccio relazionale-simbolico delle autrici del libro.

 

COME DEFINIRE LA FAMIGLIA:
Famiglia e piccolo gruppo – la Teoria dei piccoli gruppi

Dagli anni ’50 la famiglia è stata definita un piccolo gruppo.
Molto importante per la definizione della famiglia come piccolo gruppo è il contributo di Kurt Lewin. La sua Teoria del Campo postula che il campo è quella totalità dinamica dei fatti coesistenti nella loro interdipendenza. Il concetto di totalità dinamica è relativo al fatto che il cambiamento di una parte interessa anche tutte le altre per effetto dell’interdipendenza tra i suoi membri.
Lewin affermava che il gruppo:

  • È qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri
  • Ha struttura e fini peculiari e relazioni particolari con gli altri gruppi
  • È l’interdipendenza tra i suoi membri che ne definisce l’essenza
  • Può definirsi come totalità dinamica

La sua definizione di gruppo si adatta perfettamente alle caratteristiche sia strutturali sia di funzionamento della famiglia e all’esigenza di creare una lettura del singolo che vada oltre all’individuo e che comprenda anche il suo sociale che non è soltanto fisico ma soprattutto emozionale e relazionale. Tali concetti introducono un punto di vista relazionale che risulta innovativo per quei tempi dominati dalla tendenza a ridurre i fatti sociali alla semplice somma dei comportamenti individuali.
Tuttavia una particolare attenzione al punto di vista relazionale viene manifestata più da parte dei terapeuti e meno da parte degli psicologi sociali i quali erano prevalentemente concentrati sugli studi sui gruppi artificiali che presentano alcune caratteristiche simili alla famiglia e altre no.
De Grada (1999) individua i criteri di gruppalità applicabili al gruppo familiare e i seguenti punti in comune tra il gruppo e la famiglia:
-           la presenza di interazioni frequenti orientate al raggiungimento di uno scopo comune che distingue il gruppo della collettività.
-           Il sentimento del “noi” inteso come la consapevolezza da parte di ciascuno dei membri di sé e degli altri come parti che compongono un “tutto”.    
-           La presenza di una struttura organizzativa orizzontale che attribuisce ruoli e divide i compiti.
-           La presenza di una struttura organizzativa verticale, con comparsa di status.
-           La presenza di una struttura normativa che definisce l’ideologia e la cultura del gruppo.

Le differenze tra i piccoli gruppi e la famiglia sono:

 

PICCOLI GRUPPI

FAMIGLIA

Tipo di gruppo

Artificiale

Naturale

Manipolazione

Massima

Minima

Scopi

Produttività e Efficienza

1)     Lo sviluppo dei singoli membri e della         famiglia come un “tutto”.
2)     L’assolvimento dei compiti intergenera-        zionali.

Dimensione
del potere

Leadership

Prevalenza della relazione tra pari e presenza di figure che gestiscono la leadership

Dominanza e responsabilità a seconda del ruolo e della posizione intergenerazionale occupata.
Presenza di diversi livelli generazionali con dominanza della coppia genitoriale.

Dimensione
temporale

- Non è per nulla significativa nei gruppi ad hoc
- Di qualche rilevanza nei gruppi di lavoro.
- Le relazioni finiscono o si trasformano quando termina il compito.

È di importanza cruciale.
La famiglia è anche definita “un piccolo gruppo naturale con storia”.
- Importanza della storia passata e presente e della prospettiva futura.
- Le relazioni sono virtualmente permanenti.

In sintesi tutto ciò porta ad una identità della famiglia che viene individuata in questi due aspetti:
a)         nel suo essere gruppo naturale e primario per eccellenza con le conseguenti caratteristiche tipiche dei gruppi (totalità dinamica, interdipendenze)
b)         nell’avere sue specificità per quanto riguarda la struttura, i fini e la dimensione temporale

 

COME DEFINIRE LA FAMIGLIA:
Famiglia e sistema – la Teoria dei sistemi

L’incontro tra la Teoria dei Sistemi e la famiglia è avvenuto agli inizi degli anni ’50 non sul terreno teorico o di ricerca ma sul terreno della terapia a seguito della esigenza di molte discipline di trovare delle concettualizzazioni in grado di tener conto della complessità del reale, superando la settorialità degli studi e la superspecializzazione.
In particolare si sentiva l’esigenza di modelli interpretativi globali.
L’applicazione dei principi della Teoria dei Sistemi alla pratica terapeutica ha portato alla ridefinizione del SINTOMO PSICHICO DELL’INDIVIDUO che ora viene letto come qualcosa che dipende dalla situazione relazionale che l’individuo vive, soprattutto all’interno della sua famiglia anziché essere una proprietà esclusiva del soggetto singolo che manifesta il sintomo stesso. In pratica ciò che è patologico non è più l’individuo bensì le relazioni che l’individuo vive le quali possono creare sofferenza psicologica.
Le concezioni sistemiche della famiglia presentano due caratteristiche di base:

  • sottolineano che la famiglia è più della somma delle due parti;
  • enfatizzano le interazioni dinamiche reciproche tra le parti e le dimensioni contestuali, sociali e culturali all’interno delle quali le famiglie si formano e crescono.

L’incontro tra la prospettiva sistemica e lo studio della famiglia è stato favorito intorno agli anni quaranta da due teorie: 1.         la CIBERNETICA (Wiener 1948)   
2.         la TEORIA DEI SISTEMI (von Bertalanffy 1969)
La Cibernetica:
1)         è processuale;
2)         si occupa soprattutto di comunicazione e di controllo.
Tra i suoi concetti principali ci sono quello di retroazione o feedback in base al quale le unità che formano un sistema cibernetico danno e ricevono sempre un messaggio di ritorno nei confronti del messaggio emesso o ricevuto. In questo modo il messaggio ritorna sempre all’emittente modificandolo.

La Teoria dei Sistemi:
-           è strutturale;
-           i suoi concetti che descrivono la struttura del sistema sono: la non sommatività, la causalità circolare, l’equifinalità, l’omeostasi e la morfogenesi.
1)         La NON SOMMATIVITÀ.
La famiglia costituisce un sistema diverso dalla somma delle sue parti/individui che deriva dall’interconnessione dei suoi membri.
2)         La CAUSALITÀ CIRCOLARE.
Le azioni comunicative dei familiari si influenzano reciprocamente.
Ogni azione è anche, a sua volta, un effetto o una reazione di un’altra azione.
3)         La EQUIFINALITÀ intesa come imprevedibilità.
Le condizioni iniziali di un sistema non determinano rigidamente il suo stato finale.
Infatti, a partire da condizioni iniziali simili, due famiglie possono evolvere verso stati finali molto diversi tra di loro e viceversa due famiglie con funzionamenti simili possono avere avuto delle condizioni iniziali molto diverse tra di loro.
4)         La OMEOSTASI.
Il sistema familiare attua dei meccanismi stabilizzatori che tendono a riportare i comportamenti dentro ad una fascia contenuta di oscillazioni e ad evitare dei cambiamenti particolarmente destabilizzanti. La equifinalità e la omeostasi sono i due concetti più importanti e più pertinenti per la teoria della famiglia.
5)         La MORFOGENESI.
È la capacità che ha la famiglia di produrre dei cambiamenti organizzativi stabili e profondi, ad esempio relativi al livello organizzativo e alle regole di base.

In conclusione la teoria familiare sistematica è sempre stata ancorata soprattutto alla clinica e all’intervento terapeutico e da essa sono emersi diversi approcci e modelli di intervento. Per quanto molteplici e diversificati, tutti questi modelli possono essere ricondotti a due linee:
1.   la linea strutturale in cui il singolo componente della famiglia è visto come compreso in una rete di relazioni che si cristallizzano in strutture relazionali all’interno delle quali egli è definito dai suoi rapporti con tutti gli altri;
2.   la linea processuale che vede la famiglia come un flusso di relazioni in cui gli individui sono immersi.

Quindi nella definizione di famiglia come sistema esiste l’interrogativo su “Che cos’è la famiglia” inoltre essa definisce l’aspetto relazionale della famiglia, ma non ne tratta il proprium distintivo.


COME CAMBIA LA FAMIGLIA

I riferimenti teorici che studiano i cambiamenti della famiglia sono diversificati a causa dei vari eventi che possono investire la famiglia e che sono riconducibili a fattori appartenenti sia alla dimensione temporale; ad esempio la nascita di un figlio, sia alla dimensione sociale, ad esempio gli eventi storici. I due modelli teorici che hanno cercato di dare una risposta alla domanda “Come cambia la famiglia?” sono:
-           la Family Stress and Coping Theory che si concentra sugli eventi imprevedibili, o cambiamenti esterni, che la famiglia può incontrare nel suo cammino;
-           l’Approccio dello Sviluppo che si estende anche agli eventi prevedibili e normativi, o cambiamenti interni, che caratterizzano il percorso della famiglia come i figli che crescono, l’invecchiamento dei genitori e la morte.
Questi due aspetti del cambiamento familiare poi si uniranno nell’approccio relazionale–simbolico che considera sia gli eventi prevedibili sia gli eventi imprevedibili.

COME CAMBIA LA FAMIGLIA:
Family Stress and Coping Theory

Negli Anni ’60 la Family Stress and Coping Theory si concentra sulle tematiche della crisi familiare e della reazione del nucleo familiare agli eventi stressanti ossia a tutto ciò che dall’esterno incide sul funzionamento e sul percorso normale della famiglia. Il riferimento al mondo esterno è quindi fondamentale perché l’evento stressante è collegato a qualcosa che arriva dall’esterno.
Essa è basata sul presupposto che la famiglia è dotata di un insieme di capacità adattive o risorse che possono consentirle di fronteggiare totalmente oppure solo parzialmente gli eventi stressanti portatori di cambiamento. Tale paradigma porta a riconoscere la famiglia come socialmente competente cioè in possesso di risorse e di abilità per affrontare gli stress sia interni che esterni.

Hill propone il modello ABCX in cui:
Secondo tale modello la crisi (X) è il risultato dell’interazione tra un evento stressante (A), la maggiore o minore capacità della famiglia di reperire le risorse (B) e il significato che la famiglia attribuisce all’evento stressante o percezione dell’evento (C). Il processo di riadattamento della famiglia dopo l’impatto con l’evento stressante prevede tre periodi: un periodo di disorganizzazione, un periodo attivo di ricerca e il raggiungimento di un nuovo livello di organizzazione.

Burr introduce i concetti di “vulnerabilità allo stress” e di “potere rigenerativo”.
- La vulnerabilità allo stress è la diminuzione, l’assenza o la paralisi delle risorse ed è direttamente influenzata dalla definizione che la famiglia dà della situazione. È legata ad una dimensione di forza, di pienezza e di consapevolezza di sé che la famiglia può possedere e che la espone meno ai fattori stressanti e al rischio di patologia.
- Il potere rigenerativo indica la capacità del sistema familiare di ristabilirsi dalla disgregazione causata da un evento stressante. È quel potere che, dopo una fase di crisi dovuta ad un evento stressante, permette alla famiglia stessa di innescare lo specifico meccanismo per riadattarsi.

Antonovsky definisce il paradigma “salutogenico” in opposizione al “paradigma patogenico”.
Egli sottolinea come la crisi non è assolutamente negativa perché, al contrario, da essa la famiglia può uscirne con forze maggiori utilizzando le sue capacità di ricreare benessere.

Tutti questi modelli portano ad un passaggio dell’attenzione dai sintomi del disagio ai sintomi del benessere e ad interrogarsi sui meccanismi e sulle risorse che consentono alle famiglie di “stare bene” anche nelle situazioni di stress. Dal punto di vista delle ricerche ci si posta a studiare e ciò che caratterizza la famiglia sana e “normale” e non soltanto la famiglia “patologica” o “sintomatica”.
Dalla fine degli anni ’70, l’interesse maggiore della Family Stress and Coping Theory si sposta più sul coping familiare che sugli eventi stressanti.

McCubbin e Patterson propongono il modello FAAR secondo il quale ogni famiglia attraversa nel tempo dei cicli ripetuti caratterizzati dalle seguenti tre fasi: il funzionamento, la crisi e l’adattamento.

  • La fase di funzionamento è un periodo della vita familiare relativamente stabile e prevedibile durante il quale la famiglia riesce a far fronte alle richieste interne ed esterne utilizzando le capacità di cui dispone. È caratterizzato da una relativa serenità e fluidità.
  • La fase di crisi emerge quando la famiglia è sottoposta ad una serie di sfide che superano le risorse che possiede e che creano uno squilibrio che richiede dei profondi cambiamenti nell’organizzazione familiare.
  • La fase di adattamento è un processo fisiologico che porta il nucleo familiare a riattivarsi per “fare fronte a”, rivedendo l’intero sistema familiare al fine di riadattarlo. È la fase più importante per la ricerca perché da essa emergono le risorse che la famiglia ha a disposizione e che utilizza per fronteggiare gli eventi destrutturanti.

Negli ultimi anni l’attenzione è stata rivolta al legame tra:
-           coping e senso di coerenza
-           coping e sostegno sociale
Per quanto riguarda il legame tra coping e senso di coerenza, Antonovsky ritiene che le abilità di coping di una famiglia dipendono dal suo senso di coerenza. Il senso di coerenza è un costrutto che viene indagato per scoprire quanto un soggetto crede che esista un senso nel mondo e quanto crede di poter trovare la strategia di adattamento di fronte ad ogni evento stressante destrutturante perché ritiene che nel mondo ci sia coerenza e tutto abbia un senso.
Le ricerche condotte suggeriscono che le abilità di coping di una famiglia sono maggiori se i suoi membri hanno una visione ottimistica e realistica della vita ed hanno fiducia nel mondo esterno.
Per quanto riguarda il legame tra coping e sostegno sociale, numerose ricerche hanno dimostrato come il sostegno sociale contribuisce a diminuire gli effetti negativi di una situazione stressante e favorisce l’attivazione delle risorse che la famiglia possiede. Questo perché maggiore è il contesto sociale in cui un soggetto interagisce e maggiore è il suo sentimento di essere supportato e di conseguenza maggiore sarà la sua apertura nella richiesta di aiuto sociale.

Molto importanti per la Family Stress and Coping Theory sono:
a)         la definizione del termine evento stressante
b)         la concettualizzazione delle risorse familiari

 

COME CAMBIA LA FAMIGLIA:
Approccio dello Sviluppo

L’Approccio dello Sviluppo basa il suo concetto di cambiamento familiare sull’idea che la famiglia è una realtà sociale che evolve attraverso il superamento di stadi precisi e definiti lungo il suo ciclo vitale. A differenza di quanto sostenuto dalla Family Stress and Coping Theory, l’Approccio dello Sviluppo considera il cambiamento come qualcosa di automatico perché è inserito all’interno di un percorso prevedibile e per nulla traumatico che è formato da stadi precisi e definiti.

La famiglia viene intesa come un’organizzazione di persone in continua crescita e cambiamento, impegnate reciprocamente a portare a termine diversi compiti di sviluppo nel corso del suo ciclo di vita. È proprio l’assunzione di precisi compiti di sviluppo che consente alla famiglia di far fronte ai cambiamenti che si presentano insieme alla riorganizzazione dei ruoli di ciascun membro. Quindi l’Approccio dello Sviluppo cerca di spiegare il cambiamento della famiglia chiamando in causa questa dimensione storico-temporale e non soltanto gli eventi imprevedibili e traumatici provenienti dall’esterno come aveva fatto la Family Stress and Coping Theory.

Nel corso degli anni l’Approccio dello Sviluppo ha avuto un cambiamento di prospettiva caratterizzato dai seguenti passaggi:
a)         da un insieme di cicli di vita individuali considerati come appartenenti ad ogni singolo membro della famiglia e non collegati tra di loro
b)         si è passati all’interdipendenza dei compiti e degli esiti
c)         per arrivare infine al concetto di “compito di sviluppo” inteso come “compito evolutivo congiunto”.
L’ultima concettualizzazione ritenuta più completa è quella che considera il “compito di sviluppo” come “compito evolutivo congiunto”. Si tratta di un compito evolutivo perchè è un compito di crescita intesa nel senso di formazione di un nuovo organismo riadattato che emerge dal superamento di un evento destrutturante, ed è congiunto perché interpella tutto il sistema familiare e accomuna tutti i membri della famiglia.

La Duvall (1948), autrice della Teoria dello Sviluppo, propone per la prima volta la suddivisione del ciclo di vita familiare in otto stadi indicando per ognuno di essi i relativi compiti di sviluppo.
I tre criteri da lei proposti per suddividere il ciclo di vita in stadi e per individuare i cambiamenti lungo il ciclo di vita sono:
-     i cambiamenti nelle dimensioni della famiglia dovuti all’acquisizione o alla perdita di componenti della famiglia stessa, ad esempio le nascite, i matrimoni dei figli che portano all’ingresso in famiglia di generi o nuore, le adozioni, la morte, l’allontanamento del figlio da casa e l’adolescenza;
-     il cambiamento di età del figlio maggiore perché si ritiene che il figlio maggiore costringe la famiglia ad aprirsi, a cambiare e a riadattarsi mentre con il secondo figlio la famiglia tende a comportarsi come aveva già fatto con il primo;
-     i cambiamenti nello status lavorativo di chi contribuisce al sostentamento della famiglia. Questo criterio è meno marcato nella nostra cultura e più tipico della cultura americana.

Questi tre criteri portano ad evidenziare che il CICLO DI VITA FAMILIARE è, per forza, INTERGENERAZIONALE perché comprende sempre almeno tre generazioni ed è formato dall’intreccio dei compiti evolutivi che le caratterizzano.
È proprio tale intreccio che permette alla famiglia di crescere.
La generazione di mezzo può essere descritta come il ponte tra gli anziani e i giovani e come quella generazione che “da in avanti per ricevere indietro” ossia per ricevere dopo nel tempo. Si tratta della dimensione intermedia all’interno della famiglia su cui gravano delle aspettative di cura da parte dei figli e che gioca il ruolo di regia. Tuttavia il suo ruolo di regia è centrale fino a quando i figli giocano, a loro volta, il ruolo di “figli” ma nel momento in cui essi crescono la “generazione di mezzo” diventa la “generazione di anziani”.

Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 appaiono con chiarezza i limiti dell’Approccio dello Sviluppo:
-           difficoltà a spiegare il cambiamento tra uno stadio e l’altro perché l’attenzione è concentrata sugli eventi e sui ruoli che si verificano all’interno di ciascun stadio mentre i processi che si realizzano nel passaggio tra uno stadio e l’altro non vengono presi in esame;
-           dal fatto che il cambiamento sembra un passaggio automatico, generato dalla presenza di un evento critico.
Il ciclo di vita della famiglia viene inteso come una specie di percorso obbligato formato da una serie di fasi predeterminate per cui l’Approccio dello Sviluppo sembra analizzare più la fase statica che la fase di cambiamento. Il paradosso che ne risulta è che il modello dell’Approccio dello Sviluppo spiega meglio la stabilità strutturale piuttosto che i periodi di cambiamento.
I limiti di schematismo e di rigidità nel concepire il cambiamento all’interno della famiglia vengono poi superati grazie alla possibilità di ampliare la prospettiva originariamente formulata attraverso:
a)      il confronto con la Teoria Generale dei Sistemi che porta all’apertura, al posto della chiusura, dei confini familiari nei confronti del sistema sociale.
b)      La collaborazione con professionisti impegnati nell’intervento sociale e clinico che porta alla creazione di un approccio  temporale multigenerazionale.
c)      Il confronto con la Family Stress and Coping Theory che favorisce lo spostamento dell’attenzione dagli elementi strutturali della famiglia a quelli di “processo” evidenziano la discontinuità che caratterizza il passaggio da uno stadio all’altro del ciclo di vita.

Da tutto ciò emerge come la convergenza tra l’Approccio dello Sviluppo e la Family Stress and Coping Theory ha portato a rivolgere l’attenzione non solo agli elementi descrittivo/strutturali della famiglia ma anche agli elementi del processo familiare e ai processi di adattamento attivo.
In particolare ci si interroga sui fattori che facilitano o ostacolano il passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita familiare e si avviano delle specifiche ricerche per individuare tali fattori. Inoltre ci si interroga sul perché alcune famiglie gestiscono adeguatamente il passaggio e altre, invece, producono il sintomo.

Un esempio dell’evoluzione della prospettiva del ciclo di vita è rappresentato dal modello sistemico dello sviluppo umano proposto da Carter e McGoldrick.
Il punto di partenza di questo modello è la definizione della famiglia come sistema emozionale plurigenerazionale e la considerazione che il movimento della famiglia nel proprio ciclo di vita non è lineare perché bisogna sempre tenere in considerazione l’incrocio dei desideri e delle aspettative delle tre generazioni che vivono in contemporanea.
Nel modello di Carter e McGoldrick l’interazione che esiste tra i tre livelli sistemici individuale, familiare e culturale viene rappresentata lungo due dimensioni temporali diverse:
-           la dimensione verticale costituita dal tempo storico;
-           la dimensione orizzontale costituita dal tempo che si svolge nel presente.

La famiglia è collocata in uno spazio intermedio tra l’individuo e la cultura per sottolineare la sua funzione di regolatore dei rapporti che intercorrono tra l’individuo e il contesto socioculturale. Infatti l’individuo, che ha un proprio ciclo di vita, è collocato all’interno di una famiglia d’origine che, a sua volta, ha un suo ciclo di vita familiare e che è inserita in un contesto sociale più ampio che è costituito sia dagli eventi attuali o “dimensione orizzontale”, sia dalla storia culturale o “dimensione verticale”.

Alla luce dei due approcci e rispondendo alle domande fondamentali sull’identità e sul mutamento della famiglia possiamo dire che:
1)         la famiglia è un “Microsistema sociale e plurigenerazionale in evoluzione” con delle proprie caratteristiche che non sono date dalla semplice somma dei suoi membri;
2)         la famiglia è ritenuta capace, grazie alla sua capacità di coping, di reagire agli stress, prevedibili e imprevedibili che può incontrare nel suo percorso;
3)         l’entrata, l’uscita e lo sviluppo dei membri della famiglia costituiscono degli eventi critici prevedibili in base ai quali è possibile periodizzare il tempo familiare;
4)         la crescita della famiglia, intesa come riorganizzazione del sistema familiare, è legata al suo effettivo superamento di tali eventi critici.

L’attenzione quindi è rivolta ad individuare i compiti di sviluppo importanti che caratterizzano le singole fasi e i processi utilizzati dalla famiglia nei momenti di transizione per effettuare una sua riorganizzazione efficace.

Riassumendo:

Gli ANNI ’80 sono caratterizzati dai modelli rappresentazionali di come un determinato fenomeno funziona e mostrano interesse soltanto per la famiglia normale.
Questo perché sono connessi all’interesse dei clinici e dei ricercatori che è principalmente rivolto alla famiglia “normale” invece che alla famiglia “patologica” o “sintomatica”. Essi ruotano attorno a poche variabili che, a seconda della loro combinazione, danno luogo ai diversi tipi di famiglie.
Ad esempio Olson nel modello circonflesso parla di coesione, flessibilità e comunicazione.

Gli ANNI ’90 sono caratterizzati dalla sfiducia nel riuscire a reperire dei modelli e delle regolarità.
Si assiste pertanto ad una parcellizzazione dei fondamenti teorici in mini-teorie con la conseguenza che risulta difficile arrivare sia ad una interpretazione univoca dei dati, sia al confronto e alla generalizzabilità dei risultati ottenuti. Una considerazione ricorrente tra gli studiosi della famiglia diventa perciò quella relativa alla cosiddetta “ateoreticità” delle ricerche sui temi familiari le quali si fondano su modelli la cui teoria di riferimento è poco esplicita.

ORA, in un panorama teorico così descritto, è urgente il riprendere a porsi le domande sull’identità e sui cambiamenti della famiglia perché solo rispondendo ad esse potremo essere in grado di “distinguere tra ciò che è famigliare e ciò che non lo è” e, di conseguenza, interpretare i meccanismi che regolano il funzionamento e i cambiamenti della famiglia.

 

Fonte: http://appunti.buzzionline.eu/downloads/socialefamigliacp0809libro.doc

autore del testo : Marco

 

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