Storia delle religioni appunti e riassunto

 


 

Storia delle religioni appunti e riassunto

 

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.

 

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

 

Storia delle religioni appunti e riassunto

 

Storia delle religioni

 

Appunti integrati con testi di approfondimento

 

Lezione del 21 Ottobre 2009

 

La lezione scorsa abbiamo elencato le finalità dello studio della storia delle religioni. Indagare sulle religioni del mondo attuale, su quelle storiche (o scomparse), su quelle tribali.

In particolare, l’importanza dello studio delle religioni tribali è principalmente di natura antropologica. Si tratta di manifestazioni che mostrano l’attitudine ed il bisogno di religiosità espresso dall’uomo, il loro studio presenta il vantaggio di confrontarsi con un fenomeno religioso senza il filtro culturale della teologia.

Questo genere di studi nasce, accademicamente, intorno al 1877 in Olanda, subito dopo in Francia. E’ del 1880 la prima rivista specializzata pubblicata a Parigi.

 

Tra i primi studiosi possiamo ricordare: Cornelius Tiele, James Frazer, Wilhelm Schmidt

 

1 – Cornelius Tiele, olandese, produsse il primo manuale di storia delle religioni.

 

2 – Ma il primo grande contributo fu quello di James Frazer, scozzese 1854-1941, attraverso il suo testo “Il ramo d’oro”. Nonostante un’impostazione di fondo errata, Frazer contribuì notevolmente allo sviluppo della disciplina. Il suo errore fu quello di basarsi  su una visione determinista dello sviluppo umano legato al contesto religioso. Affermava, infatti, che il senso religioso nasceva, agli albori della storia, sotto forma di rituali magici, poi sviluppati in credenze religiose, e successivamente abbandonati per lasciar posto al pensiero razionale ed alla scienza. Attualmente si considera superata questa visione soprattutto perché le diverse forme possono convivere e non sono legate da un’evoluzione temporale predeterminata. La stessa complessità del pensiero non è un fenomeno necessariamente crescente nella storia di una civiltà.

Però, al di là di questo, la grande intuizione di Frazer fu quella di ipotizzare il processo che ha originato la dinamica dei fenomeni rituali. Lo studioso identificò alcuni tratti comuni nelle usanze di civiltà anche molto lontane tra loro e che certamente non avevano avuto contatti. In particolare le società esaminate condividevano il fatto di attribuire importanza cruciale ad alcune fasi temporali nella vita degli individui, che trovavano anche corrispondenza nel ciclo naturale delle stagioni, e ciò accadeva nello stesso modo in culture anche molto diverse. Le schematizzò così:

 

Queste società consideravano critici i passaggi legati alla nascita, pubertà, matrimonio e morte. Si tratta di momenti in cui l’individuo passa da uno stato ad un altro e, per la difficoltà in cui si viene a trovare, ha bisogno dell’intera saggezza del gruppo. Ed il gruppo gli giunge in soccorso attraverso la creazione di rituali simbolici, quindi codificati. Si tratta di riti di iniziazione, in cui l’individuo viene temprato sottoponendolo a prove che comportano un dolore a cui deve resistere per uscirne rafforzato e pronto ad affrontare la sua nuova fase vitale.

Per esempio, sia in Australia che in America si sono riscontrati riti tribali di ingresso nella fase di pubertà in cui il giovane doveva vivere isolato ai margini di una foresta, in condizioni disagiate messe in atto attraverso  iper ed ipo-stimolazione, allo scopo di sollecitare stati onirici. L’iniziazione, infatti, terminava quando sopraggiungeva in sogno l’immagine del totem o dello spirito protettore che avrebbe accompagnato il giovane nelle sue attività future di caccia o di guerra, fondamentali per la vita e la difesa della sua comunità.

La produzione di rituali - come forma di agire non direttamente utilitaristico, in quanto produce contenuti culturali ed esistenziali - tende a ridursi nelle società più evolute. Però ha avuto un ruolo sostanziale perché è stato solo attraverso la creazione di miti e di riti che l’uomo ha potuto rapportarsi con l’alterità. Non era possibile interloquire con il trascendente se non attraverso strumenti in grado di superare la corporeità e l’utilitarismo.   

Il lavoro dello storico comparato delle religioni consiste soprattutto in questo, nell’andare alle radici del comportamento umano e trovare motivazioni e aspetti comuni.

 

3 -  Wilhelm Schmidt, infine, fu un sacerdote missionario. Attraverso i suoi studi, concluse che spesso società considerate primitive avevano un concetto di Dio più spirituale del nostro: non ne avevano un’immagine o una rappresentazione antropomorfa, non lo chiamavano padre, e lo consideravano un’entità dotata di un maggior grado di astrazione rispetto ad altre culture più evolute. Si trattava di uno spirito che aveva generato il creato, dotato di una visione etica a cui era opportuno e giusto adeguarsi.

Sulla base di questi studi teorizzò anche un principio che definì del Dio ozioso. In molte società, indipendentemente dal grado di evoluzione, si sviluppò un’immagine divina inizialmente intraprendente, che si occupò della creazione e dell’organizzazione del creato, ma che poi si allontanò dall’uomo lasciando il posto al politeismo o più in generale al culto di forme divine inferiori, più vicine alla condizione ed alla forma umana.

L’interpretazione che viene data dalle popolazioni in cui è maturata questa visione, è che Dio si è allontanato dall’uomo per stimolare in lui la ricerca ed il senso mistico, e per dar luogo alla nascita ed allo sviluppo del fenomeno religioso.

 


Lezione del 30 Ottobre 2009

Il metodo comparativo, nello studio delle religioni, pone le sue basi nella revisione critica del punto di vista occidentale dei concetti di MITO – RITO – SACRO – RELIGIONE – DIO, sulla base delle ricerche inerenti la cultura e le tradizioni tribali. Per questo, nel momento in cui ci si appresta a definire antropologicamente il fenomeno religioso, è necessario superare qualsiasi preconcetto eurocentrista.

 

L’origine della religione è preistorica, e la sua storia possiamo suddividerla in tre grandi periodi:

1 Dalle origini al V – VI secolo a.C. (politeismo). In questa fase vi è un’identificazione di fondo tra istituzione politica e religione.

2 Dal V – VI secolo a.C. al XIX secolo. Riformatori religiosi: Budda, Zoroastro, Profeti, Orfici/Pitagorici, etc.. L’accento si pone sul vissuto interiore, non più sul cosmo.

3 Dal XIX secolo in poi. E’ considerata una fase transitoria, la religione assume connotati terapeutici (guarigione).

 

Ora dobbiamo definire il monoteismo, e l’unico modo per farlo è come negazione del politeismo, allora vediamo le sue origini.

 

Nei popoli senza scrittura (tutto il periodo pre-monoteista) il mito rimanda ad un tempo fuori dalla storia (o mitico) in cui esseri sovraumani hanno generato i fenomeni e le realtà su cui si basa la vita umana concreta. Questa genesi del mito la si può riscontrare con molta somiglianza in tutti i continenti, rivelando quindi una somiglianza di fondo nella dinamica di generazione del significato. Alcuni esempi:

 

  • in tutte le tradizioni è condivisa una visione della condizione mortale come conseguenza di una colpa originaria commessa nel tempo del mito
  • nel tempo del mito, l’Essere supremo condivideva l’esistenza con gli uomini poi, a seguito di una colpa originaria, se ne è allontanato. La realtà in cui viviamo è conseguente al suo allontanamento
  • sempre nel tempo del mito, la terra era piana, priva di montagne, mari, fiumi, terremoti, e sempre in conseguenza della colpa originaria è poi divenuta com’è nel tempo storico (quello in cui viviamo)

 

La FESTA, come il rito, in ogni cultura, nasce proprio per sospendere il tempo storico e tornare temporaneamente nel tempo del mito per rinsaldare l’identità del gruppo e trovare nuove energie per affrontare la realtà. Per esempio si è riscontrato che nelle civiltà vicine al Polo Nord, i mesi di luce vengono utilizzati per attività materialmente utili (caccia, pesca, costruzione delle abitazioni, etc.) mentre i mesi di oscurità sono utilizzati per riti non utilitaristi ma che, sospendendo temporaneamente il tempo storico per tornare a quello del mito, hanno utilità culturale (quindi identità del gruppo, valori morali, etc.).

Questo intervallarsi di sacro e profano avveniva anche nell’era romana, lo studio comparato consiste proprio nel cercare analogie e dedurre comportamenti e dinamiche simili. Un altro degli scopi che si prefigge lo studio comparativo è anche ritrovare il significato originario di alcuni termini e la trasformazione occorsa  nel tempo. Un esempio è dato dalle antinomie PURO/IMPURO SACRO/PROFANO, per quanto riguarda il loro significato originario, riporto un estratto dell’enciclopedia Encharta che mi sembra abbastanza chiaro:

 

“Le origini del termine 'sacro' nelle lingue ebraica, greca e latina riportano al significato di 'separato'. Caratteristica comune di chi opera a contatto con il divino è l'essere separato dal resto della comunità: i luoghi di culto sono infatti generalmente appartati o recintati, gli oggetti sacri non possono essere destinati ad altri usi e funzioni, e chi officia il rito o fa da tramite con il divino (sacerdote o sciamano) vive una vita separata dalla collettività fin dall'inizio del suo apprendistato. Lo stesso concetto di separazione si ritrova nella coppia puro-impuro, dove l'impuro condivide con il sacro la caratteristica di venire isolato dal contesto sociale e di suscitare una sorta di timore; ma vi si oppone in quanto l'impurità preclude il contatto con il divino.”

 

Dal giudaismo in poi la corrispondenza SACRO -> IMPURO e PROFANO - > PURO risulterà invertita. Sull’inversione dei significati torneremo nelle prossime lezioni.


Lezione del 6 Novembre 2009

Affronteremo, a partire da questa lezione, i temi legati a

A) MITO

B) SACRO

C) SACRIFICIO

 

A) MITO

Cercheremo di ricostruirne le dinamiche e le implicazioni a partire da un mito ITTITA (civiltà del vicino oriente del II millennio a.C.) posto in parallelo con un testo biblico (1 Sam 11).

Il racconto del mito ittita, denominato Illuyankas,  è questo:

 

 

Il brano biblico è questo:

1 Samuele 11

 1Poi Nahash l'Ammonita andò ad accamparsi contro Jabesh di Galaad. Allora tutti quelli di Jabesh dissero a Nahash: «Fa' alleanza con noi e noi ti serviremo».

 2Nahash l'Ammonita rispose loro: «Io farò alleanza con voi a questa condizione: che io cavi a tutti voi l'occhio destro, per gettare così disonore su tutto Israele».

 3Gli anziani di Jabesh gli dissero: «Concedici sette giorni perché possiamo mandare messaggeri in tutto il territorio d'Israele; e se non verrà nessuno a salvarci, ci arrenderemo a te.

 4Così i messaggeri vennero a Ghibeah di Saul e riferirono queste parole davanti al popolo; allora tutto il popolo alzò la voce e pianse.

 5Or ecco Saul tornava dalla campagna dietro i buoi. E Saul disse: «Che cosa ha il popolo, che piange?». Gli riferirono allora le parole degli uomini di Jabesh.

 6All'udire quelle parole, lo Spirito di DIO investì Saul, e la sua ira si accese grandemente.

 7Così prese un paio di buoi, li tagliò a pezzi e li mandò in tutto il territorio d'Israele per mezzo di messaggeri, dicendo: «Così saranno trattati i buoi di chi non seguirà Saul e Samuele». Il terrore dell'Eterno cadde sul popolo, ed essi uscirono come un sol uomo.

 8Saul li passó in rassegna a Bezek, ed erano trecentomila figli d'Israele e trentamila uomini di Giuda.

 9Dissero quindi ai messaggeri che erano venuti: «Così direte agli uomini di Jabesh di Galaad: "Domani, quando il sole comincerà a scaldare, avrete liberazione"». I messaggeri andarono a riferire questo agli uomini di Jabesh, che si rallegrarono.

 10Allora gli uomini di Jabesh dissero agli Ammoniti: «Domani verremo da voi e ci farete tutto quello che vi piacerà».

 11Il giorno seguente, Saul divise il popolo in tre schiere, che penetrarono in mezzo all'accampamento nemico durante la vigilia del mattino e fecero strage degli Ammoniti fino al caldo del giorno. Quelli che scamparono furono dispersi e di loro non ne rimasero neppure due assieme.

 12ll popolo allora disse a Samuele: «Chi è che ha detto: "Dovrà Saul regnare su di noi?". Dateci quegli uomini e li metteremo a morte».

 13Ma Saul rispose: «Nessuno sarà messo a morte in questo giorno, perché oggi l'Eterno ha operato una grande liberazione in Israele».

 14Poi Samuele disse al popolo: «Venite. andiamo a Ghilgal e là rinnoviamo il regno».

 15Così tutto il popolo andò a Ghilgal e là davanti all'Eterno in Ghilgal, fecero Saul re. Là offrirono davanti all'Eterno sacrifici di ringraziamento; e là Saul e tutti gli uomini d'Israele si rallegrarono grandemente.

 

Proviamo a tracciare una comparazione tra il mito ed il testo biblico sulla base del testo di Alessandro Catastini (fotocopie professore).

Nel mito di Illuyankas: il Dio Uragano è il Signore delle acque piovane, il drago di quelle sotterranee, ed il loro scontro ha come obiettivo il controllo delle acque, necessarie all’agricoltura e quindi alla vita. Ci troviamo quindi in un contesto di mitologia cosmogonica. Da notare che nel mito non è presente una dinamica religiosa, il dio Uragano non è venerato da alcuna civiltà, è un espediente per sostanziare il fenomeno naturale (acqua) nel linguaggio del mito.

In 1 Sam 11 si narra l’invasione del re ammonita Nachash contro le città israelite della Transgiordania, questa sarà impedita dal re Saul che organizzerà un’alleanza tra le città per impedire l’avanzata del nemico comune.

La corrispondenza che si può ipotizzare dalla comparazione dei due racconti è questa:

 

MITO                                                 RACCONTO BIBLICO

Dio Uragano                                    Città israelitiche

Il drago Illuyankas                          Il re ammonita Nachash

Il figlio del Dio Uragano                 Il re Saul

 

Anche le diverse fasi dei due racconti riflettono un parallelismo: il conflitto iniziale, la mutilazione (artificio letterario nel caso del racconto storico), la rivalsa, etc.

Il Dio Uragano è immagine dell’ordine legittimato per via divina e combatte contro il drago immagine del caos. E’ in virtù di questo che il testo vetero-testamentario decide di ricalcare la stessa struttura: per legittimare il potere del re Saul affermando la natura divina del suo ruolo. Notare anche l’assonanza tra i nomi del drago Illuyankas e del re ammonita Nachash.

Nel libro di Neemia, in seguito, si utilizzerà la stessa simbologia acquatica per legittimare il contrario di ciò che viene asserito in 1 Sam 11, cioè la fine della monarchia.

E’ interessante notare come il testo biblico abbia sostanziato il parallelismo con il mito attraverso un espediente letterario, quello della mutilazione, in sé non strettamente necessario alla narrazione, ma che richiama alla mente, anche solo in forma inconscia, l’immagine mitica.

Il mito veniva festeggiato dagli ittiti nel loro capodanno (Purulli) e questo legittima periodicamente, e quindi tramanda, il ruolo fondante del re che, ogni hanno, si rende garante delle risorse necessarie alla vita ed alla produzione ma intercede anche presso gli dei per garantire l’ordine naturale oltre che quello sociale ed economico. Un identico ruolo legittimante, di riflesso, riveste il testo biblico. Esso è inoltre finalizzato alla ripetizione nel rito del tempo del mito: un esempio ancora più evidente è il racconto dell’Esodo, il passaggio del popolo d’Israele nel deserto verso la terra promessa, che rimanda anch’esso alla riconquista dell’acqua, e che viene ritualizzato nei festeggiamenti liturgici del periodo della Pasqua ebraica . In sostanza attraverso il mito (radice: dire) ed il rito (radice: fare) troviamo gli strumenti per rapportarci con l’alterità. E’ in questo ambito che si colloca la polemica millenaria tra mythos e logos.

 

La linea che possiamo intravedere, in definitiva, è questa: nel testo biblico troviamo una storicizzazione del mito, che a suo volta attinge ai cicli naturali ed agli archetipi della cultura umana. D’altra parte, la Bibbia continua il suo percorso attraverso il Nuovo Testamento e gli scritti e le interpretazioni che giungono fino ai giorni nostri. Identificare questo percorso che ci riconduce senza interruzioni alle nostre origini è uno degli obiettivi del nostro studio.

Il mito, quindi, documenta come avviene il passaggio da natura a cultura a partire dagli elementi comuni alle diverse etnie, documentando, quindi, quanto vi è di condiviso tra gli uomini, gli archetipi alla base del pensiero. Nel caso proposto il cammino che è possibile tracciare è:

 

  • Un archetipo comune a tutti i popoli è l’opposizione   CAOS – ORDINE
  • Questo possiamo identificarlo come base dell’opposizione NATURA – CULTURA
  • Nel mito ittita si è sostanziato nella lotta DRAGO – URAGANO

 

Nello studio dei miti si può procedere attraverso 3 diversi paradigmi (attenzione, da verificare):

 

1 – FORMALISTICO, il mito è visto per classificare la realtà, è una visione che mette a fuoco l’agire culturale rispetto al mondo naturale. In questo contesto rientra lo studio delle rassomiglianze che si identificano tra la sintassi di una lingua e quella della generazione del significato che avviene, ad esempio, nella genesi e nella trasformazione di un mito nel tempo.

2 – SEMANTICO, o ermeneutico, rimanda al vissuto sociale o politico

3 – ARCHETIPICO, ricerca quanto vi è di comune, l’unità minima sintattica del significato (mitema), che è presente ovunque, in ciascuna civiltà.

 

 

C) SACRIFICIO (solo alcuni accenni, sarà trattato nelle prossime lezioni)

La radice è Sacrum facere. Possono essere cruenti (solo offerte) o non cruenti.

L’offerta, che avviene in entrambi i casi, può essere intesa come scambio,  per ottenere qualcosa, o dono gratuito. 

Più complessa è la questione del mangiare, perché in alcuni casi troviamo la combustione totale della vittima (OLOCAUSTO), in altri la cottura, con la consumazione del grasso che si volatilizza verso l’alto, e il cibarsi delle carni attraverso un rito di COMUNIONE che rafforza la coesione del gruppo, in forma non violenta, da ripetersi periodicamente per la sopravvivenza stessa del gruppo.

Troviamo, inoltre, il caso del CAPRO ESPIATORIO, un rito violento in cui un animale viene fatto morire di stenti nel deserto. Anche questo caso si configura come un processo per il mantenimento della pace sociale nella comunità, perché il carico di violenza che inevitabilmente si accumula trova la sua neutralizzazione nella designazione di una vittima sacrificale.

 

Lezione del 13 Novembre 2009

 

Ribadiamo l’importanza del mito. Gran parte dei miti sulla nascita del cosmo raccontano, in realtà, l’uomo. Nel mito è sempre riconoscibile una natura pragmatica del racconto, mai un principio speculativo. La ragione risiede nel fatto che per i popoli primitivi è necessario capire pragmaticamente la realtà, per questo hanno sempre una mitologia ma mai una teologia. Se vogliamo, anche nel Vangelo di Marco troviamo uno stile pragmatico, operativo, rivolto a produrre conversioni attraverso strategie retoriche. In questi popoli il mito ha sempre un rapporto con il rito, ma nel mondo classico no, erano spesso cantati da poeti e cantori.

 

C’è una caratteristica particolari dei miti di origine indiana: al centro c’è l’uomo, destinatario della salvezza è l’uomo. In altre società no: per i greci era il cosmo, per gli ebrei era Israele.

In india no, basti citare ad esempio il concetto di karma, un demone che su accumulazioni negative rinasce nuovamente male.        [il discorso non è stato poi portato a termine]

Proviamo a fare una classificazione dei tipi principali di mito:

  • Combattimento: all’inizio c’è il caos poi emerge una potenza mitica, l’ordine cosmico
  • Caduta: contengono una speranza, sono escatologici, proiettati nel futuro. Esempio: foresta amazzonica, popolazione Tupi Guarani, c’è un mito che parla di una terra senza male da cui provenivano i loro avi, per loro esiste anche geograficamente e periodicamente migrano verso nord.
  • Sacrificio della potenza divina: un Dio si sacrifica per consentire la creazione del mondo. Questo giustifica anche il sacrificio umano (risarcitorio) nei confronti di Dio.
  • Embriologici: nascita del cosmo, come nasce l’individuo. Vita è intesa come Parola (progetto spirituale) quindi vapore, acqua, fango (v. mito creazione con argilla, animata dal soffio divino). Dio è essenza vitale, acqua, non come l’archè del mondo greco, ma proprio il concetto concreto, perché il mito ha carattere pragmatico. Quindi l’uomo è creato della stessa sostanza del cosmo, i due misteri riflettono l’uno l’altro. In Ezechiele, come in altri miti, nella visione del carro Dio si rende visibile come uomo.

 

Storia delle religioni appunti e riassunto


Lezione del 25 Novembre 2009

Ciò che affronteremo in questa lezione è tracciare un parallelismo tra l’innovazione introdotta in occidente dal Cristianesimo e un radicale mutamento avvenuto in India intorno al VII - VIII secolo a.C. Si tratta di un argomento che viene approfondito dal testo fotocopiato distribuito agli allievi.

 

Iniziamo il percorso analizzando quella che viene denominata Mistica Giovannea. Nel Vangelo di Giovanni, un testo sacro finalizzato all’evangelizzazione dei discepoli, viene proposto un modello: Cristo si identifica in Dio Padre, e ai discepoli è richiesto di identificarsi in Cristo che in questo modo realizza un ponte che unisce l’uomo alla dimensione divina. E’ un caso molto evidente di un paradigma introdotto in occidente dal Cristianesimo: l’identificazione dell’uomo con Dio, la somiglianza, l’unione mistica. E questo si riflette anche nel Sacramento dell’Eucaristia, come riflesso del principio generale, mutuato dall’antropologia, che dietro ogni mito esiste un rito che lo attualizza. I testi, inoltre, sono sempre un riflesso della prassi delle comunità entro cui sono nati, il Vangelo di Giovanni riflette la Cristologia del Logos e la dialettica del vedere, credo in quanto vedo, vedere con gli occhi dell’interiorità, anche questa è l’evidenza di un altro principio generale secondo cui i testi riflettono la prassi spirituale, il culto, delle comunità che li ha prodotti.

 

Passiamo ora al contesto indiano. Anche nella tradizione spirituale indiana troviamo che la conoscenza si trasmette attraverso un rapporto stretto maestro-discepolo, il quale è a sua volta tenuto a tramandare la conoscenza che riceve. Questo ricorda non solo la predicazione di Gesù ma anche le scuole filosofiche della Grecia classica. Ma c’è una somiglianza ancora più evidente, e la troviamo nel modo particolare di concepire Dio nella religione monoteista. Ma esaminiamo con ordine i passi principali della storia religiosa indiana.

Intorno al XX secolo a.C. l’india fu invasa dagli Arii, una popolazione proveniente dall’area dell’attuale Afganistan che introdussero una raccolta di testi sacri chiamati Veda. Questi testi tramandavano una tradizione politeista, in cui gli dei sono nettamente separati dall’uomo nelle caratteristiche e nel destino, principalmente nel fatto di essere immortali. Ma, come dicevamo, intorno al VII-VIII secolo a.C. la religione muta ed assume il carattere monoteista. Siamo ora in presenza di un unico Dio più vicino, cui l’uomo può tendere, identificarsi misticamente, nascono miti sulla vita eterna dopo la morte corporale. Anche la denominazione stessa del sacerdote, Bramino, ha la stessa radice etimologica di Brahman, forza o realtà cosmica, con cui poi in seguito si indicherà Dio stesso.

Questo tipo di contatto tra l’umano e il divino viene ad interrompere la tradizione precedente dei misteri, che affermava l’impossibilità di descrivere razionalmente il contatto con il divino. Avvicinandosi ai misteri, infatti, si viveva un’esperienza unicamente emotiva, non comunicabile. La novità indiana consisteva proprio nell’affermare che questa separazione umano/divino può cadere. Ciò che avviene in India è anche evidente dal processo di spiritualizzazione dei fenomeni sacrificali, questi infatti ora si svolgono attraverso l’identificazione sacerdote-vittima-divino, dando al sacrificio il carattere di Comunione tramandato fino ai nostri giorni.

Il sacrificio, nei popoli senza scrittura, era legato al cibo, cioè alla vita. Nei riti legati alla caccia, durante la distribuzione della selvaggina, una parte era sempre destinata alla divinità e non utilizzata. Al ringraziamento (dono) si univa poi l’espiazione del complesso di colpa per aver causato la morte degli animali. In questo modo ci si purificava del male, esattamente come accadeva nel rito del capro espiatorio, condensare il male sociale in un animale, che in questo modo diveniva impuro, prima di abbandonarlo al suo destino nel deserto.

Quella del sacrificio è una dinamica ricorrente in ogni pensiero religioso, ed è legata anche ai miti sull’origine dell’universo. In India il mito sull’origine dell’universo, il sacrificio cosmico, racconta di un uomo primordiale, Dio, che nell’atto di creare l’intero cosmo, con un atto mentale, si svuota di ogni energia e muore. Il suo corpo viene disperso e costituisce le diverse parti del creato, oltre che le diverse Caste in cui si divide la popolazione. Il sacerdote ha il ruolo di operare la riunificazione delle parti, e lo fa attraverso il sacrificio, riattualizzando l’atto creativo, identificandosi con la vittima sacrificale e quindi con Dio.

L’identificazione uomo/Dio introdotta con il monoteismo e quella sacerdote/Dio/vittima introdotta contestualmente nel sacrificio, rappresentano due facce della stessa medaglia. Approfondiremo questo aspetto nella prossima lezione.

 

Storia delle religioni appunti e riassunto


Lezione del 9 Dicembre 2009

Nel mondo indoeuropeo il concetto di verità come rivelazione sembra sempre esistito, è costituito dalla comunicazione attraverso la parola ha quindi una forma profetica. Nelle altre religioni non si riscontrava, per esempio nella religione pagana di Roma gli Dei si mostravano attraverso i segni, che si interpretavano con l’arte della divinazione.

Vediamo alcuni aspetti che mostrano diversi modi di intendere questa verità profetica:  Gesù è stato testimone della verità. Maometto si definisce l’ultimo dei profeti nella Sura 33 del Corano (espressione prelevata dal Vangelo di Tommaso). Sia il Corano (VII sec.) che il Vangelo di Tommaso (II sec.) hanno 114 parti, sia l’uno che l’altro non hanno uno schema narrativo. Anche la religione Manicheista (III sec.) aveva al suo interno il concetto di “ultimo dei profeti” prelevato da Tommaso. Il Vangelo di Tommaso è stato il testo ufficiale della Chiesa di Mesopotamia e Siria (il Cristianesimo si è diffuso in tre forme: latino, greco, giudeo-cristiano, a cui faceva riferimento la Chiesa di Mesopotamia e Siria). Maometto si richiama ad Abramo. Etc.

Le correlazioni sono quindi molto evidenti.

 

Ātman è un termine sanscrito che indica l'essenza. E’ necessario, per lo gnosticismo indiano nascente, cercare l’essenza del divino nell’uomo, e cercarla attraverso un cammino, un cammino che inizia conoscendo sé stessi (come nel Vangelo di Tommaso). Questa identità (divino/umano) è a sua volta identica alla sillaba OM (il suono originario)

 

Da Internet (ma sono argomenti affrontati nella lezione):    Brahman presso la filosofia Vedānta e successivamente nella scuola Yoga Induista, rappresenta l'aspetto di immutabilità, di infinito, di immanenza e di realtà trascendente, l'Origine Divina di tutti gli esseri.

 

Il Brahman è tutto e l'Atman è Brahman. L'Atman, il Sé, ha quattro stati o condizioni.

Il primo è la CONSAPEVOLEZZA (conoscenza del proprio io)
Il secondo è scendere dentro sé ad occhi aperti, conoscere i propri sogni
Il terzo è la vita nello stato di sonno della coscienza silenziosa dove la persona non ha desideri né sogni. Questa condizione di sonno profondo è quella di unità, un ammasso di coscienza silenziosa fatta di pace e che gode della pace. ANNULLAMENTO DELLA DISTINZIONE SOGGETTO/OGGETTO
Quarto : Quando l’atman si trova in queste condizioni la coscienza silenziosa è onnipotente, onnisciente, il sovrano interiore, la sorgente di tutto, l'inizio e la fine di tutti gli esseri. Si annulla il tempo (distinzione presente/passato/futuro) . si raggiunge la conoscenza delle leggi che regolano il Karman ed il samsara che lo lega a questo mondo.
Il quarto stato è quello dell'Atman nel suo stato più puro: la vita risvegliata della coscienza suprema. Non è né coscienza esteriore né coscienza interiore, né semi-coscienza, né coscienza di sonno, né coscienza e neppure incoscienza. E' l'Atman, lo stesso Spirito, che non può esser visto o toccato, che è al di sopra di ogni distinzione, al di là del pensiero e ineffabile. L'unione con lui è la prova suprema della sua realtà. E' la fine dell'evoluzione e della non-dualità. E' pace e amore.

Questo Atman è la Parola eterna OM. E' composto da tre suoni: A, U, e M, che sono i primi tre stati di coscienza, e questi tre stati sono i tre suoni.

Il primo suono, A, è il primo stato, della coscienza di veglia, comune a tutti gli uomini. Lo si trova nelle parole Apti, 'conseguire', e Adimatvam, 'esser primo'. Colui che conosce questo ottiene in verità la realizzazione di tutti i suoi desideri, e primeggia in tutte le cose.

Il secondo suono, U, è il secondo stato, della coscienza del sogno. Lo si ritrova nelle parole Utkarsha, 'che si eleva', e Ubhayatvam, 'entrambi'. Colui che conosce questo accresce la tradizione della conoscenza e ottiene equilibrio. Nella sua famiglia non nascerà mai qualcuno che non conosca il Brahman.

Il terzo suono, M, è il terzo stato, della coscienza del sonno. Lo si ritrova nelle parole Miti, 'misura', e nella radice Mi, 'finire', che dà luogo ad Apiti, 'il fine ultimo'. Colui che conosce questo misura tutto con la mente e ottiene il Fine ultimo.

La parola OM come suono unico è il quarto stato della coscienza suprema. E' al di là dei sensi ed è la fine dell'evoluzione. E' non dualità e amore. Va con il suo sé verso il supremo Sé colui che conosce questo, colui che conosce questo.

 

 

Questi quattro stati li troviamo nel Vangelo di Tommaso, dove assume la stessa rilevanza il rapporto maestro-discepolo. E’ necessario un gurù, un asceta, un rinunciante, per i quattro passi, e le Upanisad sono espressioni di questi asceti, e sono il prototipo della vita monastica in India.

Il maestro rivela la verità ed il discepolo deve identificarsi con il maestro sino a divenire maestro di sé. I discepoli di Cristo devono identificarsi con Lui, sino ad interiorizzarlo, eliminando la dualità, in questo consiste la salvezza.

 

Sia nelle Upanisad che nel cristianesimo gnostico espresso dal Vangelo di Tommaso abbiamo che:

 

  • la conoscenza porta alla salvezza, chi conosce se stesso conosce il tutto, e questa conoscenza supera qualsiasi dualismo (in Tommaso lo vediamo quando costruisce una figura di asceta che ricerca la verità per quella che è, senza incrostazioni culturali).
  • la rinuncia al mondo è l’unica via che apre alla gnosi (conoscenza salvatrice)
  • vi è un rifiuto del rito, il vero rito è interiore (interiorizzazione del sacrificio)
  • la non dualità (interiorizzazione di Cristo – identità atman-brahman)

 

BUDDA (che significa risvegliato) nega il Brathman e l’Atman, nega l’esistenza di un sé immortale nell’uomo, e nega ogni forma di gnosi, accetta invece il Karman ed il Samsara (migrazione dell’anima).

 

Per esemplificare, si potrebbe azzardare un parallelismo: l’induismo assomiglia al cattolicesimo, ed il buddismo al protestantesimo (che si caratterizza per lavoro interiore e pochi riti). Un esempio nell’arte: Rubens, cattolico (passionale, carnale, nelle sue opere). Rembrandt, protestante (psicologico nelle sue opere). Giuditta e Oloferne, nel primo vi è una rappresentazione passionale, nel secondo si mostra il dramma interiore.

 

Nel Buddismo si parla di nirvana, che non è un luogo da ricercarsi altrove, ma qui e ora, che è possibile vedere con occhi diversi (questa visione la troviamo nel Vangelo di Tommaso ed anche in quello di Giovanni, la gnosi è quindi un processo interiore che produce un risveglio).

 

Lezione dell’ 11 Dicembre 2009

 

Esaminiamo alcune regole metodologiche:

 

 

Le religioni possono essere:

 

  • ETNICHE: come lo Shintoismo, non conosce un fondatore. Le religioni politeiste. La religione del Dharma da cui discende l’Induismo.

 

  • FONDATE: La storia eurasiatica conosce nove fondatori  Akhenaton (culto del Dio Aton, Egitto), Mosè (giudaismo), Zarathustra (madzeismo), Gesù (Cristianesimo), Mani (Manicheismo), Muhammad (Islamismo), Buddha (Buddismo), Confucio (confucianesimo), Taoismo )

 

Mosè (ebraismo rabbinico, anche se non tutta la storia ebraica ha visto il riconoscimento di Mosè come fondatore). Nel giudaismo troviamo due prospettive comuni a molte altre religioni: il giudaismo ortodosso e quello liberal.

Nel giudaismo ortodosso (quello delle sinagoghe) il libro sacro è la Torah che è costituita da Pentateuco, libro dei salmi, torah orale (per esempio quello raccolto nel Talmud)

 

Anche nell’Islam e nel Cattolicesimo troviamo TESTO + TRADIZIONE (interpretazioni esegetiche codificate)

Ogni religione è un sistema vivente fondato su verità rivelata e sua interpretazione. Nella tradizione rabbinica la verità rivelata è sempre interpretata (nell’ebraico antico mancano le vocali, quindi nel momento in cui è vocalizzata è interpretata). Il cammino religioso è quello di tentare un’interpretazione legata al momento storico, per riprodurre il significato originale, ma il significato è solo alla fine del cammino.

Che significato dà la Bibbia al divino? Esodo 3,14 : Cammino, quindi rivelazione storica. Dio si rivela storicamente, il nome di dio ha in sé il divenire della storia, aperto ad un’interpretazione che si approfondisce nella storia. La verità è una ma quando si vocalizza si pluralizza.

Se così non fosse, il Cristianesimo farebbe a meno dell’Antico Testamento, perché è nella Storia del nome di Dio il cammino (dire che AT e NT sono slegati sarebbe gnosticismo). Il cammino è comune a tutte le religioni rivelate, invece nel concetto filosofico di essere non è presente questo dinamismo.

 

Ciascun fondatore non vuole creare dal nulla ma riscoprire una verità originaria. Maometto si riallaccia all’AT e riscopre Abramo, si definisce l’ultimo dei profeti (dopo Mani, Gesù, Davide, Mosè, Abramo)

 

Anche nel Buddismo c’è un’idea di riforma. E’ una religione fondata che vuole riformare l’induismo (religione etnica) eliminando le immagini ed alcune devozioni. Budda si auto comprende come il fondatore di una regola di vita monastica, all’interno della religione delle Upanisad, si tratta di un movimento laico. Quindi in senso stretto Budda non è il fondatore del buddismo come lo conosciamo oggi. Vediamo perché:

C’è un problema di testi, la biografia di Budda è ampiamente leggendaria, le prime biografie sono scritte 200 anni dopo la morte (la più famosa è di Asvagosha, monaco Buddista II sec. a.C. poi dopo rielaborata nel periodo del re di Kushana, capitale del Pakistan)

 

Le notizie su Budda arrivano da due tradizioni:

 

Quella del nord, Mahayana (laici, salvezza allargata), grande veicolo, la più antica, proviene da GANDHARA (tra Pakistan ed Afganistan). Da qui partono testi poi ritrovati in Tibet, Cina, Giappone, che erano stati buddisti

 

Quella del sud, Hinayana, piccolo veicolo, Ceylon, Sri Lanka, considerata UFFICIALE. Chi si salva è il monaco (salvezza ristretta), è il buddismo della Thailandia

 

Per ricostruire Budda occorre un approccio comparativo tra i diversi testi, in lingue diverse, perché del Buddismo in India non rimane nulla, perché dopo 500 anni dalla fondazione la religione viene espulsa. Resta solo in Sri Lanka, dove si recano i Buddisti ortodossi per prelevare le notizie. Qui abbiamo il canone in lingua Pali che raccoglie Sutra, Parole, Regole, Gesti, Codice etico. E’ un canone che ricorda quello ebraico, esteso e frazionato.

 

Nel GANDHARA, invece, è rimasta l’arte, i testi iconografici, che sono i testi più antichi. (Arte del GANDHARA: monumenti funerari circondati da immagini con storie e dottrina sul Budda) .

 

Quindi: la tradizione del nord è la più vera, parla di un Budda vissuto più tardi, 320, 340 a.C. dopo i filosofi greci, da qui gli derivano le influenze filosofiche. La tradizione del sud afferma che Budda è vissuto nel VI secolo a.C.

Ma è realmente importante che non ci siano testi originali? No, Budda ha dato un esempio poi imitato in un lungo processo storico, questi concetti sono stati scritti alcuni secoli dopo e si è formato un canone.

 

I 4 momenti del budda (legati a 4 luoghi) sono:

 

  • Nascita (palazzo reale)
  • Fuga (dal palazzo reale, per vivere nella foresta). Ha 4 incontri: un vecchio, un malato, un morto ed un monaco, che tracciano i passi di un cammino di conversione, di allontanamento dal mondo (CONCETTO ESTRANEO ALL’INDUISMO)
  • Illuminazione (l’albero)
  • Prima predicazione (parco delle gazzelle, vicino Benares)

 

La morte è sopraggiunta a 80 anni.

Nel GANDHARA c’è una preesistenza del Budda, ogni epoca ha avuto un Budda, quello che conosciamo è solo l’ultimo.

 

Lezione del 18 Dicembre 2009

Di Budda (Siddarta) occorre conoscere: biografia e dottrina. Entrambi hanno una traduzione iconografica. L’immagine con cui si raffigura la condizione dell’uomo è il fiore di loto (e rende il buddismo molto simile al cristianesimo).

Il fiore di loto nasce in un ambiente umido, stagnante, fangoso (la vita è vista come contaminazione) ma crescendo si eleva verso l’alto. Il fiore normalmente non si apre, lo fa solo se colpito da un raggio di sole che riesce a penetrare la fitta foresta.

Quindi vi è un principio simile alla grazia: gli sforzi umani ad elevarsi è necessario un intervento esterno, quindi non vi è auto redenzione, ma un cammino da compiere e la capacità di ricevere un contributo dall’esterno. Ma si tratta di un trascendimento senza trascendenza, ad accomunarlo con le altre religioni è la spiritualità. Il buddismo non fa teologia, tace, Dio appartiene al silenzio, di Lui si può dire solo ciò che non è.

In ogni monastero c’è una stupa, letteralmente reliquiario, contiene simbolicamente le reliquie del Buddha. A livello simbolico rappresenta il corpo di Buddha, la sua parola e la sua mente che indicano il sentiero dell’illuminazione.

La base è circolare e su di essa sono dipinte le 4 verità, cioè un’analisi della condizione umana: la vita è sofferenza. Tutto è dolore ma Buddha, presentandosi come medico, trova nel desiderio e nell’attaccamento alle cose la sua causa.

Le 4 verità:

Duhkha – si soffre rendendosi conto che tutto è destinato a finire (nascita, malattia, morte, vecchiaia)

Samudaya – la sofferenza nasce dentro di noi perché cerchiamo la felicità in ciò che è transitorio (desiderio di oggetti sensuali, desiderio di essere, desiderio di non essere)

Nirodha – per liberarsi dalla sofferenza occorre liberarsi dall’attaccamento alle cose e alle persone, e rinunciare alla ricerca di ciò che è transitorio

Marga – è la strada per avvicinarsi al nirvana, il nobile ottuplice sentiero

 

La base, con le 4 verità, sorregge una sorta di cupola che rappresenta il cosmo ed anche la possibilità di elevarsi per uscire dal malessere, in questo senso rappresenta anche il Dharma, l’insegnamento del Buddha, che si configura come un sentiero descritto solo fino al punto in cui inizia il cammino personale, individuale, sul quale non si dice nulla (nella stupa è rappresentato da ulteriori forme sovrapposte più snelle che si elevano)

I sentieri indicati nel buddismo sono 8 (nobile ottuplice sentiero):

 

SAGGEZZA:

1) retta visione (dottrina, riconoscere le 4 verità)

2) retta intenzione (non lasciarsi condizionare da desiderio e attaccamento)

MORALITA:

3) retta parola (astenersi dalla menzogna e dall’ipocrisia)

4) retta azione (evitare sofferenza per sé stessi ed altri)

5) retta sussistenza (sostenere la propria vita senza causare sofferenza propria o altrui)

MEDITAZIONE:

6) retto sforzo (abbandonare gli stati non salutari e cercare quelli salutari)

7) retta presenza mentale (tener sgombra la mente da brama e attaccamento)

8) retta concentrazione (corretto atteggiamento interiore nella meditazione)

 

Nel monastero buddista vige una disciplina. La mattina il monaco esce per procurare il cibo (tutto ciò che abbiamo lo riceviamo). E’ anche questa una conseguenza della

dottrina del vuoto: è un’illusione pensare di avere un sé, siamo l’aggregazione di cinque elementi che si dissolvono dopo la morte

  • La parte corporea o sensibile
  • La sensazione (ciò che crea piacere o dolore)
  • Ciò che percepisce e crea la comprensione del mondo
  • Le predisposizioni che originano dal Karma (cioè il samskara)
  • La coscienza

 

Quindi il buddismo non ammette l’atman e quindi la sua potenziale identità con il brathman, non ha anima immortale, non ha identità.  Crede nella reincarnazione ma non è l’anima a reincarnarsi.

Il buddismo è azione: con l’azione spirituale è necessario eliminare l’azione del Karman (che è azione o effetto dell’azione)

Ma la via dell’azione conduce alla via della conoscenza che deve annullare la nescenza (illusione) ed è legata al nucleo del 1° insegnamento del Buddha, cioè: il vuoto.

 

L’impegno quotidiano è accettare il triplo corpo del Buddha:

  • Corpo del Dharma (insegnamento, il Buddha è parola)
  • Corpo del piacere (contemplazione)
  • Corpo terreno, storico, solo un’immagine del corpo del dharma

 

Riassumendo: tutto è illusione, tutto è vuoto, ciò che conta è il Karma, l’amore per gli altri, l’azione che contrasta il desiderio, fare il vuoto dentro per ricevere il tutto. Anche la rinuncia a parlare di Dio, affermando solo ciò che non è, è anch’essa un riflesso della dottrina del vuoto.

Ma al di là di questi aspetti che ci distanziano molto dall’universo buddista, è necessario cogliere il nucleo positivo che ci riavvicina, quella particolare idea della condizione umana che viene rappresentata attraverso l’immagine del fiore di loto.

 

Lezione dell’8 Gennaio 2010

La storia delle religioni, secondo il criterio che utilizziamo, ha lo scopo di mettere in luce le relazioni storiche tra le religioni, perché nessuna di esse nasce dal nulla. L’Islam è l’ultima nata tra le grandi religioni monoteiste, sono quindi molti i contributi che ha ricevuto da Cristianesimo ed Ebraismo. Così come il monoteismo di Zaratustra ha un debito nei confronti dell’india, in particolare per il maggior peso che, le religioni indiane, hanno dato alla dimensione spirituale interiore dell’uomo.

La lezione di oggi ha come oggetto l’Islam all’interno di un discorso sul profetismo, una dimensione che non troviamo in India, né in Giappone, né in Cina.

Se osserviamo una moschea notiamo come la struttura interna è costruita in modo da ricordare un oasi nel deserto. Troviamo un numero molto elevato di colonne, novecento nella moschea di  Cordoba, capitelli superiori che ricordano foglie di una palma, ed i pavimenti ondulati per richiamare l’immagine delle dune. Rivela quindi la nostalgia di un’origine, un’origine nascosta, uno spazio paradisiaco immaginato, anche nel Corano, come un’oasi dove trovare refrigerio dalla calura del deserto. Il centro della moschea è il Mihrab, che indica la direzione della Mecca ed in cui siede il lettore del Corano.

I primi musulmani pregavano verso Gerusalemme, questo lascia già intendere come l’origine del culto abbia legami con il mondo giudaico. Vediamo perché.

Articolo del Corriere della Sera. Per un breve periodo Maometto ordina ai fedeli di pregare rivolti verso Gerusalemme. Dura solo 17 mesi. Il lasso di tempo che, secondo il calendario occidentale, segue la sua emigrazione dalla Mecca a Medina nel 622 dopo Cristo. Perché lo fa? Come mai all' improvviso tradisce l' antica tradizione araba di celebrare il sacro monolito nero della Mecca? «Maometto è in difficoltà, non riesce a farsi accogliere tra le tribù beduine, i mercanti meccani gli fanno la guerra, e lui cerca il sostegno degli ebrei. Come poco più tardi i califfi cercheranno di ingraziarsi i cristiani costruendo la moschea della Roccia a Gerusalemme con mosaici riportanti i nomi di Gesù, Maria e i Padri della Chiesa», sostiene Ghazi Bisheh, uno dei più noti archeologi giordani. È un momento di grandi potenzialità, tutto è aperto, fluido: guerra santa e dialogo, crociata o sincretismo religioso. L' Islam si sta ancora formando, vorrebbe accogliere in sé ebraismo e cristianesimo, se ne presenta come sintesi, continuatore. «Ma gli ebrei lo rifiutano. Bisanzio resta ostile. Superato il periodo di difficoltà a Medina, Maometto ha una rivelazione divina. È Allah a ordinargli quella che in arabo liturgico si chiama la kibla, la direzione della preghiera, che deve tornare a orientarsi dove andavano in pellegrinaggio anche i pagani pre-islamici: la Mecca. E così cade ogni tentativo di compromesso con gli ebrei». «Passarono pochi anni dalla morte del Profeta - ricorda Bisheh -, e subito a Damasco e Amman le moschee guardarono alla Mecca. Anche a Gerico e sulle rocce ventose del Monte Nebo, lo stesso luogo in cui già ebrei e cristiani commemoravano la tomba di Mosè e da dove lui guardò la Terra Promessa, anche qui la nuova moschea si orientò in senso opposto». Le basiliche cristiane restano orientate con l' altare a est, le sinagoghe verso Gerusalemme. Da allora la kibla (direzione nell’atto di pregare) assurge a principio di identità per ogni musulmano. E il primo impero islamico lo allargherà, tra il 661 e il 750, verso tutto il Medio Oriente e anche oltre, partendo dalla capitale a Damasco, passando per Amman sino a Fez e Cordova.

Maometto, agiato e colto mercante, ad un certo punto della sua vita ebbe delle chiamate che gli rivelarono il testo del Corano, le chiamate durarono 23 anni, ma non creò una narrazione, piuttosto un insieme di frammenti, le sure. La sua chiamata rientra nel modello profetico narrato dalle scritture di Ezechiele, mostrando anche in questo aspetto l’intreccio delle origini comuni.  Maometto mette insieme, nel Corano, tre caratteristiche che troviamo anche nel Giudaismo pre-rabbinico:

  • Monoteismo
  • Progetto di riforma politica basato sulla giustizia sociale
  • Si autopresenta come profeta, inviato dal Dio unico

Quindi ad un’esperienza personale, la fede in un Dio misericordioso, si unisce l’esigenza di tradurre il senso di giustizia in progetto sociale. Le regole sono:

Dio giudicherà i giusti (comunità dei fedeli, la umma) ed i non giusti (infedeli, che non credono nel Dio unico) a cui sarà comminata la morte, dall’interpretazione letterale di questo principio ha origine l’estremismo islamico e la jihad (guerra santa).

Lo schema Progetto-profeta-giudizio-punizione è tipicamente vetero-testamentario.

Proviamo a tracciare quindi un nuovo parallelo tra le religioni monoteiste:

  • Lo specifico dell’ebreo è appartenere al popolo eletto
  • Lo specifico del cristiano è Gesù, presente nell’Eucaristia
  • Lo specifico del musulmano è ascoltare e recitare il Corano, che significa interiorizzare la parola di Dio, così come nell’Eucaristia il cristiano interiorizza la Parola di Cristo

Ad unire ebrei e musulmani è la concezione radicalmente sacrale del libro in sé che ne impedisce la traduzione.  Il divieto di traduzione, poi, si riflette ed assolutizza nel divieto di interpretare.

 

Rispetto all’argomento trattato è importante ricordare:

  • La figura di Maometto nella prospettiva dell’esperienza biblica
  • Maometto dichiara di aver ricevuto una missione: restaurare la Parola del Dio unico, perché era stata tradotta, quindi corrotta, da Giudei, Cristiani e gnostici. Il suo progetto è di tornare alla rivelazione ricevuta da Abramo e proseguire la sua strada intrapresa attraverso Ismaele. La rivelazione di Maometto è la stessa ricevuta dai suoi predecessori: Noè, Abramo e Lot, davide e Salomone, Giovanni Battista e Gesù.
  • Maometto distingue tra Rasul (semplici profeti come lui) e Nabi (inviati che hanno portato un libro). I Nabi sono Salomone, Davide, Gesù. Maometto ritiene che Gesù abbia lasciato degli scritti, oggi riteniamo che si riferisse ai Vangeli apocrifi.

 

Il Corano ritaglia un grande spazio a Gesù. Parla della sua vita, morte e risurrezione in senso docetico, termine con il quale ci si riferisce alla versione dei testi gnostici secondo cui Cristo non sarebbe morto sulla croce perché non catturato, e quindi sostituito con un’altra persona. Il motivo per cui il Corano rifiuta la teologia della Croce è perché nega la sofferenza, perché questa non ha valore in sé ma è inaccettabile, il dolore è qualcosa di assurdo che va solo vendicato. In conseguenza di ciò, tra i 99 attributi di Dio citati nel Corano non figura l’amore (inteso come misericordia e perdono) perché Dio non perdona, giudica.

Manca anche la distinzione tra lettera e spirito. Quella, per intenderci, che ha portato alla frase Evangelica “L’uomo non è stato creato per il sabato, ma il sabato per l’uomo”. Nel corano troviamo, invece, innumerevoli volte la parola islam, che significa appunto obbedienza, intesa come indiscutibile. Questa forma di legalismo, inteso come interpretazione letterale,  è presente nello stesso modo anche nella lettura ebraica della Bibbia.

 

Dobbiamo distinguere tra diritto coranico ed etica coranica:

Diritto coranico: Discende dall’interpretazione legalistica che giuristi e teologi hanno dato al Corano. Quindi si giustifica l’uccisione dell’apostata dell’Islam, la lapidazione, le esecuzioni pubbliche, l’infibulazione obbligatoria etc. Si tratta del diritto islamico, prima molto diffuso, attualmente in vigore solo in Yemen, Arabia, Iran.

Etica coranica: Valgono per l’umma, la comunità dei fedeli. Si tratta dei cinque pilastri (comandamenti) che ricordano il progetto sociale egualitario.

1.La testimonianza di fede ; 2.Le preghiere rituali; 3.Il digiuno durante il mese di Ramadan; 4.L'elemosina canonica; 5.Il pellegrinaggio alla Mecca

Nel mese del ramadan è avvenuta la prima rivelazione, quindi la discesa del Corano sulla terra, in questo mese è obbligatorio fare elemosina per un valore compreso tra il 2 ed il 10 % del proprio reddito.

All’etica si è affiancato un diritto intransigente, anche se in molte nazioni, come in Indonesia, assume un volto più moderato.

Il problema che non ha consentito all’Islam di evolvere verso forme più mature è stata l’assenza di una filosofia che parallelamente introducesse la razionalità nei processi interpretativi e di una filologia storica, cioè uno studio dei testi che tenesse conto anche del tempo in cui questi sono nati ed hanno assunto quelle specifiche forme.

 

 

Storia delle religioni appunti e riassunto

 

Lezione dell’15 Gennaio 2010

CINA e GIAPPONE

Le religioni che si sono maggiormente diffuse in Cina sono Buddismo, Taoismo e Confucianesimo, ma è stato il Buddismo ad imprimere il suo carattere alle altre. Ripercorriamo brevemente alcuni aspetti del Buddismo.

Nasce come regola monastica, per poi assumere i tratti di religione modificata a partire dall’Induismo. A partire dal VII, VIII secolo d.C. inizia l’espansione dell’Islam ed assistiamo ad una fuga dall’India del Buddismo, suo luogo di origine, favorita anche dal crescente nazionalismo Indu. Il cosiddetto Buddismo del nord, quindi, si ritira in Tibet e si trasforma (mahayana, buddismo del grande veicolo). Il tibet rappresenta l’archivio dei testi buddisti, qui furono tradotti e diffusi, e in questo modo approdarono in Cina. e Giappone.

Il buddismo viene spesso definito come via di mezzo, per il suo porsi a metà tra l’ascetismo dimensione terrena. La figura di Gesù, nei testi centroasiatici, è indicata con il nome FO che significa illuminato, risvegliato, vediamo in quale senso viene utilizzato questo termine. I 4 elementi di base del buddismo sono:

  1. Risveglio (è il nirvana che si ottiene qui ed ora. Può ricordare, in un certo senso, il racconto di Nicodemo, Gv 3,1-21, "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio".)
  2. Cammino (ottuplice sentiero, decondizionare l’uomo dall’ego, guarirlo dalla passività)
  3. Dharma (letteralmente zattera, insegnamento del Buddha, che si configura come un sentiero descritto solo fino al punto in cui inizia il cammino personale)
  4. Non-io, Dio non personale è un elemento che lo allontana dal Cristianesimo, non vi è il concetto di persona, ed inoltre ciò che si richiede al seguace è di abbandonare il proprio ego. Ad ogni modo, anche il Cristianesimo, sul piano filosofico, dovrà aspettare il IV secolo per far proprio il concetto di persona.

Il filosofo buddista Nagarjuna (II sec d.C.) afferma che le cose, essendo reciprocamente condizionate, non hanno realtà in sé. Non c'è un soggetto e un oggetto. Nessuna cosa è esistente in sé: esiste in quanto in relazione con le altre. La sua individualità e singolarità è una supposizione erronea. Del mondo dell'esperienza non si può, in verità, predicare nulla: esso è contraddittorio e nessun concetto è valido per spiegarlo. Nagarjuna cerca di ridurre all'assurdo ogni possibile teoria. È un criticismo estremo che afferma la relatività di ogni pensiero e di ogni essere: come ogni cosa non ha un'esistenza reale e il suo essere è puramente apparente, così nessun concetto è indipendente. Pensare è supporre sempre una relazione; quando il processo dialettico ha dimostrato l'insostenibilità logica di tutto il pensato, quella cessazione o arresto è il vuoto,la vacuità, l'inesprimibile, al di là di ogni designazione.

Sempre per cercare un parallelismo con il Cristianesimo possiamo pensare alla kenosi di cui parla San Paolo. (Lettera ai Filippesi: «Cristo spogliò se stesso (ἐκένωσε, ekénōse)» Nel linguaggio neotestamentario kenosi esprime l'"autosvuotamento" del Logos divino nell'incarnazione, nella realtà della sua ubbidienza verso il divino Padre, nella cosciente accettazione della sua morte)

L’esperienza di Budda non è raccontabile, infatti non è raccontata né rappresentata. Quindi Dio è un’esperienza, non una persona, ma non è assolutamente una religione atea.

Una conseguenza dell’assenza della “persona” si riflette nella negazione dell’immortalità dell’anima.

E’ un elemento in comune alle diverse religioni di Cina e Giappone la rilevanza che si dà al vuoto ed al silenzio.

Per capire l’idea religiosa della Cina possiamo rifarci alla stele di Xi’an, che è un testo scritto dai monaci Nestoriani Siriaci, quindi cristiani, che cerca di presentare la figura di Gesù in termini familiari alla spiritualità dell’estremo oriente asiatico, per diffondere il Vangelo, e lo fanno con il linguaggio che può essere meglio accolto. E’ un esempio di cristologia interreligiosa, dove Cristo viene presentato come:

  1. Messia: presenta se stesso come la via della pace sofferente e al tempo stesso luminosa, salva perché è luce, che coincide con la voce più profonda della coscienza
  2. Maestro: alla maniera di Lao-Tzo (v. seguito), esprime la “non azione” buddista ma che è anche cardine del Taoismo
  1. Bodhisatva: (bodhi=illuminazione) si tratta di un missionario laico, uno dei principi del buddismo Mahayana (la compassione è una caratteristica propria del Mahayana), una persona che ha rinunciato al nirvana per sé per mettersi al servizio degli altri

Quindi si una un linguaggio più o meno Manicheo (punto 1), Taoista (punto 2), e Buddista (punto 3).

Quindi la stele ha certamente anche un influsso manicheo, religione che aveva introdotto un linguaggio interreligioso. I manichei al centro hanno Cristo (luce/coscienza) ma un Cristo gnostico.

Vediamo ora qualche caratteristica del TAOISMO:

Possiamo iniziare distinguendo un Taoismo inteso come religione popolare, tramandata da millenni, ed un taoismo filosofico la cui figura di spicco è LAO TZU (VI sec. a.C.) autore del testo fondamentale TAO-TE-CHING

Questa pagina non contiene appunti dalla lezione ma un testo prelevato da http://www.kungfuchang.it per chiarire i principi di Taoismo e Confucianesimo

Mentre Confucio accettava la società in cui viveva ed insegnava i metodi per renderla migliore, un'altra scuola di pensiero negava tale società e cercava la salvezza al di fuori di essa.Questa scuola è il Taoismo la cui idea fondamentale consiste nell'identificazione con la Natura e con la sua Via.

Secondo i taoisti ciò che deriva dall'uomo è l'origine della sofferenza, ciò che proviene dalla Natura è invece fonte di felicità.

Il Confucianesimo è una filosofia pratica perché opera entro i limiti della società, il Taoismo invece, almeno nella sua forma originale, è una filosofia mistica.

Le due correnti filosofiche, benché rivali, si completavano a vicenda e contribuirono a conferire al popolo cinese un giusto equilibrio fra misticismo e realtà pratica.


Lao Tzu. Le idee di Lao Tzu sono raccolte in un piccolo grande libro, il Tao Te Ching, ossia “Il Libro della Via e della Virtù” che, secondo la critica moderna, fu redatto parecchio tempo dopo la morte del filosofo, forse nel terzo secolo a. C..

 

Il Taoismo è la filosofia del Tao. Tao letteralmente significa “Via” e costituisce l'idea fondamentale di tutta la filosofia cinese, ma con diverse sfumature di significato a seconda della scuola di pensiero.

Nel Confucianesimo il Tao acquista un significato morale: esso consiste nell'amare le persone e nell'osservare i riti ed i rapporti umani. Il Tao di Confucio si avvicina dunque alla nostra idea astratta di "dovere" e si può considerare come la legge morale tramite la quale il Cielo mantiene in ordine la Terra e gli uomini.

Per Lao Tzu, invece, il Tao ha un significato molto più ampio in quanto si identifica con la realtà suprema stessa; esso è al di sopra del Cielo e non si può adeguatamente definire.Per i taoisti il Tao è la fonte ed il principio di tutto ciò che esiste; è un principio “sopra morale” che è insito nella Natura e che la regola. L'uomo può realizzarsi appieno solo quando si abbandona al Tao e si identifica con esso. L'uomo, per identificarsi con la Natura, deve diventare spontaneo; le sue azioni non devono essere forzate.
Le azioni forzate sono in disaccordo col Tao e solo se ogni cosa viene lasciata andare secondo la sua strada naturale vi sarà armonia nell'Universo.
Non bisogna imporre la propria volontà, i propri desideri alla Natura, non dobbiamo fare alcuno sforzo, non dobbiamo avere alcun fine anche perché:

 

“Il Tao non fa nulla e tuttavia compie ogni cosa”.

 

Questo è il famoso principio del Wu Wei che può essere tradotto con “non-azione”, “assenza di attività”.

Ricapitoliamo ora gli aspetti principali dell’ISLAM

ed anzitutto vediamo come le tre grandi religioni monoteiste affrontano la distinzione indicata spesso con lettera/ spiritocioè che rapporto esiste tra testi sacri e spirito

Cristianesimo: Per San Paolo “la lettera uccide lo spirito” solo se ci si arresta ad essa, fermandosi dunque al significato letterale. Per S.Agostino, che cita San Paolo, La dottrina appunto dalla quale riceviamo il comandamento di vivere sobriamente e rettamente è lettera che uccide, se non ci assiste lo Spirito che vivifica. Infatti le parole: La lettera uccide, lo Spirito dà vita 11, non si devono intendere soltanto come ammonizione a non prendere in senso letterale ciò che è stato scritto in senso figurato e di cui sarebbe assurdo il senso letterale; ma, intuendo il loro significato simbolico, cerchiamo di nutrire l'uomo interiore con una interpretazione spirituale

Per l’ebraismo la lettera è la Torah, lo spirito è costituito dalla Torah orale, poi trascritto in Talmud, Misna, etc.

Per l’Islam la lettera è il Corano, lo spirito è la Sunna, cioè la comunità. Ma solo i Sunniti accettano questo principio. Gli sciiti no.

In ogni testo sacro occorre distinguere tra un’interpretazione giuridica ed una allegorica.

Il Corano, in particolare, ha 3 livelli di lettura:

  1. Parla al popolo che lo interpreta alla lettera
  2. Ai giuristi che lo leggono in chiave non mitica, ed estrapolano regole di osservanza sociale
  3. Ai filosofi, che lo leggono secondo lo spirito, non alla lettera. Per loro il vero Corano è quello celeste, scritto nei cieli e raggiungibile solo con l’interpretazione. E’ un’immagine che hanno mutuato dalla figura del profeta-scrittore del’AT

Storicamente ha prevalso la seconda chiave di lettura, quella giuridica, legalista, e questo è alla radice dei fenomeni come i regimi antidemocratici e l’estremismo. La prevalenza dei giuristi, rispetto ai filosofi, nell’interpretazione del Corano, è nata storicamente con la sconfitta della posizione di Averroè, filosofo arabo vissuto in Spagna nel XII secolo d.C.

Da wikipedia (argomento trattato anche dalla prof. Maisano): Storicamente, Averroè fu importantissimo per le sue traduzioni e commenti delle opere di Aristotele, che in Occidente erano state quasi completamente dimenticate (prima del 1150 solo pochissime opere aristoteliche erano accessibili nell'Europa latina). Il recupero della tradizione aristotelica in Europa deve moltissimo alla traduzione in latino degli scritti di Averroè, iniziata nel XII secolo. Fra gli altri, Tommaso d'Aquino fu influenzato dalle idee di Averroè; il filosofo cristiano lo riteneva così importante da non chiamarlo per nome, bensì "il Commentatore", con la stessa deferenza con cui chiamava Aristotele "il Filosofo". Averroè, con il libro L'incoerenza dell'incoerenza, difese la filosofia aristotelica dalle critiche avanzate dall'altro grande pensatore islamico al-Ghazali nel suo testo L'incoerenza della filosofia. Al-Ghazali arguì che l'aristotelismo, soprattutto quello presentato negli scritti di Avicenna, si dimostrava un modello ricco di contraddizioni e non rispettava gli insegnamenti dell'Islam. Averroè dimostrò che entrambe le accuse di al-Ghazali erano infondate, sostenendo che l'interpretazione di Avicenna aveva distorto il pensiero aristotelico.
Nell'opera del Kitāb fasl al-Maqāl appoggiò il lavoro di indagine dei filosofi, ritenendolo non foriero di blasfemia e di miscredenza. Averroè affermò che tra religione e filosofia non vi è alcuna conflittualità, poiché le eventuali divergenze, sono riconducibili solo a differenze d'interpretazione, o meglio le due discipline perseguono due strade per raggiungere la stessa verità: quella religiosa si basa sulla fede e non può essere testata e non richiede una particolare formazione per capirla, mentre quella filosofica è riservata a una élite di pochi intellettuali, capaci di approfondire studi difficili.
Nel modello di pensiero metafisico averroista, è stato contemplato il concetto di esistenza che precede l'essenza, chiave di lettura fondamentale dell'interpretazione esistenzialista, in reazione al concetto avicenniano di essenza anteriore all'esistenza.[2]

I filosofi, sostenne Averroè, hanno il pieno diritto di studiare la religione utilizzando gli strumenti della ragione, perché l'Islam non lo vieta.
Nella sua disquisizione sull'anima, si soffermò sulla duplice natura di quest'ultima, suddivisa in una parte individuale non eterna, e in una divina, condivisa da tutti gli essere umani. Durante l'ondata di fanatismo religioso che attraversò al-Andalus alla fine del XII secolo, egli fu esiliato e tenuto sotto controllo fino alla morte. Molte delle sue opere di logica e metafisica furono distrutte dalla censura. La morte di Averroè, in esilio, si può considerare come simbolo della fine della cultura liberale nella Spagna islamica.

Tuttavia, l’Islam ha presenti al suo interno componenti più spirituali come il sufismo

Da wikipedia: il Sufismo è la forma di ricerca mistica (da "Mysticos", cioè "pertinente l'iniziazione") tipica della cultura islamica. Il sufismo viene a volte definito come l'unione antica del cristianesimo e del neoplatonismo, che diede vita ad una forma di ricerca interiore, il misticismo dell'Islam.

Il sufismo è la scienza della conoscenza diretta di Dio; le sue dottrine e i suoi metodi sono derivati dal Corano, anche se il sufismo utilizza concetti derivati da fonti tanto greche come persiane antiche e indù. Quindi, malgrado le idee prese in prestito da culture e religioni precedenti, si può affermare che l'essenza del sufismo sia prettamente islamica.

La grande diffusione del sufismo non è tuttavia sempre vista di buon occhio dai musulmani ortodossi che ne sospettano talora una deriva antinomistica che porterebbe a trascurare il dispositivo formale della Legge religiosa in modo considerato arbitrario e peccaminoso.

 


 

Fonte: http://aula6.altervista.org/storiareligioni.doc

Sito web da visitare: http://aula6.altervista.org

Autore del testo:

Storia delle religioni - Professor Mantovani – A.A. 2009-2010 –

Parola chiave google : Storia delle religioni appunti e riassunto tipo file : doc

 

Storia delle religioni appunti e riassunto

 

 

 

Visita la nostra pagina principale

 

Storia delle religioni appunti e riassunto

 

Termini d' uso e privacy

 

 

 

 

Storia delle religioni appunti e riassunto