Eucaristia

 

 

 

Eucaristia

 

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Catechismo

 

 

Eucaristia

 

Eucaristia: Termine greco che significa: atto di ringraziamento. Quando si celebra l'Eucaristia si ricordano i gesti e le parole di Gesù nell'ultima Cena e si fa memoria della sua passione, morte e risurrezione cioè si celebra la Pasqua. Attraverso la preghiera eucaristica, pronunciata dal sacerdote, Gesù si rende realmente presente nel segno del pane e del vino che diventano il suo Corpo e il suo Sangue.

 

Fonte : http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_diocesi/166/2003-11/14-71/Vocabolario.rtf

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Eucaristia

L’Eucaristia è al vertice dell’itinerario di iniziazione alla fede cristiana. Si diventa:

  • col BATTESIMO membri del popolo di Dio, re, sacerdoti e profeti con Cristo, figli di Dio, rigenerati a vita nuova, messi in condizione di fare la scelta fondamentale di vita per Cristo e la sua Chiesa
  • con la CONFERMAZIONE portatori dello Spirito Santo, pienamente partecipi della missione della Chiesa, disposti a vivere sotto la guida dello Spirito, resi capaci di comprendere il significato della vita di Gesù insieme con la forza per imitarlo
  • con l’EUCARISTIA membri dell’assemblea che celebra Cristo, presente nella sua Chiesa con la sua Parola e col suo mistero pasquale in pienezza: morte, risurrezione, glorificazione, dono dello Spirito.

Questi tre sacramenti danno al credente la sua tipica, essenziale dimensione cristiana.

Ai fedeli, rigenerati attraverso i sacramenti dell’iniziazione, è proposto di vivere ogni giorno sul modello di Cristo, diventare sempre più come lui, dare al Padre il culto spirituale perfetto imparando da Gesù.
La vera liturgia si celebra vivendo le varie situazioni dell’esistenza con lui e come lui, facendo la volontà del Padre, per il bene degli uomini. 
Il culto non può dunque limitarsi ai riti, ma deve continuare nella vita concreta. I sacramenti infatti sono il cuore dell’esistenza cristiana, ma non sono superiori alla vita d’amore, bensì le sono interiori, la animano, ne costituiscono la fonte di vitalità.

Come mai, dei tre sacramenti dell’iniziazione, solo l’Eucaristia è ripetuta e con regolare ritmo settimanale?

a) Battesimo e Cresima imprimono un carattere, un segno spirituale indelebile, quindi sono celebrati una volta sola.
L’immagine del carattere è presa dall’usanza romana di marchiare sul corpo del soldato il contrassegno dell’imperatore o del generale di cui era subalterno, per esprimere il rapporto permanente di appartenenza del soldato all’imperatore, come dello schiavo al padrone o della pecora al pastore.
Applicata in ambito cristiano, quest’immagine indica consacrazione permanente a Cristo, creazione di un rapporto con Dio totalmente nuovo e indistruttibile.

b) Se il Battesimo è partecipazione al mistero pasquale di morte e risurrezione di Cristo, se la Cresima è effusione dello Spirito di Pentecoste, l’Eucaristia rinnova continuamente questa nostra immersione nel mistero pasquale, invoca ogni volta su di noi lo Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un corpo solo e un sacrificio perenne gradito al Padre.

c) Non si diventa cristiani una volta per tutte. Occorre perseverare nella strada intrapresa, crescere nella fede, speranza e amore, continuare ad ascoltare la Parola di Dio e convertirsi per vivere, come Gesù, una vita tutta “eucaristica” (= lode a Dio e servizio ai fratelli). L’Eucaristia è proprio il sacramento che accompagna la vita del credente, nutre la sua esistenza, resa nuova dal dono di Dio e dalla forza del suo Spirito d’amore.

d) Il fatto che l’Eucaristia, sacramento dell’iniziazione, sia celebrata settimanalmente, mette ben in chiaro che l’iniziazione cristiana non è mai conclusa sul piano dell’esistenza. I suoi sacramenti ci fanno cristiani in senso pieno, ma per poter effettivamente vivere con Cristo per il bene di tutti, la nostra fragilità ha bisogno di energia, di sostegno. È necessario crescere, cambiare vita alla luce di Cristo, recuperare i valori della fede.
e) La celebrazione domenicale realizza il nostro incontro personale con Cristo, Parola ed Eucaristia. Se vissuta comunitariamente con umiltà, accoglienza, ascolto, obbedienza verso il Padre, diventa  sorgente della forza, indicazione del modo di vivere, coinvolgimento pieno nella vita donata di Cristo.

f) Ogni celebrazione offre un progetto di vita cristiana: traccia davanti a noi un preciso percorso, mostra chi dobbiamo diventare, proponendo ogni volta una meta da raggiungere.

g) L’Eucaristia è al centro della vita del credente, la plasma, ne verifica l’indirizzo di fondo. Il cristiano si riconosce non da un rito estraneo alla vita, bensì dall’impegno concreto di testimoniare la fede creduta e celebrata. “La tentazione dei credenti è quella di soggiacere ad un ritualismo che possa garantire una salvezza; in realtà la liturgia cristiana richiede una trasformazione della vita stessa per mezzo della carità divina: così Dio viene glorificato” (A.Vanhoye).

“Lo scopo per cui l’uomo esiste non è quello di perdersi nelle lodi di Dio; può anche farlo, ma non è la cosa più difficile e più importante. Ciò che Dio attende è che porti avanti il progetto creativo e salvifico, affidato alla sua solerzia e alle sue cure… Finché la terra produce triboli e spine, la lode che sale verso il creatore è irrilevante… Il vero liturgista non è tanto chi presiede o partecipa a un bel rito, quanto chi si affatica a eliminare le spine che nascondono l’opera di Dio” (O. da Spinetoli: Chiesa delle origini, Chiesa del futuro, p.196)

h) Sappiamo che la parola eucaristia vuol dire ringraziamento, o meglio rendimento di grazie. Ma la cosa essenziale non è il nostro ringraziare Dio, perché l’Eucaristia non nasce da ciò che noi diamo a Dio, bensì da ciò che Dio dà a noi in Gesù Cristo. Infatti è il Padre che:

  • convoca i suoi fedeli in assemblea
  • parla alla sua Chiesa per comunicare il suo progetto e suscitare una risposta di fede e di vita
  • continua a realizzare il suo piano di salvezza attuandolo nei sacramenti
  • rinnova di volta in volta la sua alleanza con la comunità per condurla a vivere come suo popolo
  • ci ammette alla comunione con sé

VOCABOLARIO EUCARISTICO

Tra i molti termini usati nel corso della storia per indicare questa celebrazione, analizziamo i più comuni, forse a noi più familiari:
CENA DEL SIGNORE: termine usato in 1Cor.11,19-20. Consiste in un convito con annessa Eucaristia.
DOMINICUM, in uso in Africa e a Roma, poteva indicare tre diverse realtà:

  1. il rito eucaristico (convivium dominicum di Tertulliano)
  2. il luogo della riunione
  3. il giorno del Signore (domenica)

EUCARISTIA (Lc.22,17; 1Cor.11,24; Didachè 9-10.14): di per sé indica la preghiera di rendimento di grazie, ma finisce con l’estendersi alla cena del Signore nel suo insieme; anzi, diventa il nome più diffuso in oriente e in occidente.
FRACTIO PANIS, lo spezzare il pane (Lc.24,35; At.2,42.46; 20,7.11; 27,35; Didachè 14,1). Riprende un rito della cena pasquale ebraica, ma con significato nuovo, legato alla Pasqua di Cristo.
LITURGIA: dal IX sec, nel rito bizantino, è il nome dell’Eucaristia, ma anche del culto cristiano in genere.
MISSA: dal V sec. in occidente ha preso il sopravvento sugli altri nomi per intendere l’intera celebrazione. Si tratta di un termine tecnico militare o giuridico, equivalente a CONGEDO, l’ora di sciogliere l’adunanza (ad es.: un soldato stat ad missam, cioè sta di guardia in attesa del cambio). In ambito cristiano indica:

  • il rinvio dei catecumeni alla fine della liturgia della Parola (S. Agostino: post sermonem fiat missa catechumenorum)
  • il rinvio dei fedeli al termine della celebrazione (S. Benedetto: dopo la recita dell’orazione, missae fiant, cioè si dia il congedo)

Come si è giunti a designare l’insieme dei riti e preghiere del culto domenicale col nome di missa o missae?
Gli studiosi non concordano sulla sua origine.
In ogni caso, tradurre missa est con “la messa è finita” o dare a questa espressione il significato di missione affidata a chi ha partecipato all’Eucaristia, non è esatto.
Il termine messa, nel senso di azione eucaristica, si incontra con certezza per la prima volta in S. Leone Magno († 461), che scrive al patriarca di Alessandria di celebrare una seconda missa, se una non basta.
SACRIFICIUM, spesso combinato con messa (sacrificio della messa), è usato molto nel medioevo
SANTISSIMO: la santa Eucaristia conservata nel tabernacolo, esposta all’adorazione nell’ostensorio, portata in processione e utilizzata per benedire i fedeli
VIATICO: l’Eucaristia offerta ai morenti come “provvigione per il viaggio”.

All’interno della celebrazione domenicale, la liturgia della Parola è stata chiamata in diversi modi:
PRIMA PARTE DELLA MESSA: così però si rischia di dividere troppo la Parola dall’Eucaristia
PARTE DIDATTICA: in realtà non è solo insegnamento, ma un modo di presenza del Signore
LITURGIA DEI CATECUMENI: titolo archeologico. Oggi ha senso usare questa terminologia nelle assemblee liturgiche comprendenti dei catecumeni.

SVILUPPO DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL CORSO DEI SECOLI

1. GESÚ ha innestato l’ultima cena in un rito ebraico, in memoria del suo passaggio da questo mondo al Padre.

2. In EPOCA APOSTOLICA (fino al 90 circa) la celebrazione riproduce il rito compiuto da Gesù:
- Benedizione sul pane, comunione al corpo di Gesù, pasto (agape, segno di unione fraterna)
- Benedizione sul vino, comunione al sangue di Gesù.
Successivamente il pasto-agape è anticipato e i due riti di benedizione unificati: la benedizione di pane e vino è seguita dalla comunione al corpo e sangue.
Il documento più antico sulla cena del Signore è 1Cor.11,23-26 (del 54-57 d.C.). A Corinto la cena del Signore non è celebrata per sentimentalismo (ripetere le azioni compiute da Gesù mentre si avviava alla morte), ma in risposta al comando fate questo in memoria di me, come annuncio della sua morte vittoriosa.

3. In EPOCA POST-APOSTOLICA (circa 90-175) conosciamo lo schema della celebrazione eucaristica in base alla testimonianza di GIUSTINO nella I Apologia, del 150-155, cap.65 e 67:

  • Lettura del Profeta
  • Lettura delle Memorie degli apostoli
  • Omelia di chi presiede
  • Preghiera universale e bacio di pace (sigillum orationis)
  • Presentazione di pane, vino, acqua
  • Preghiera di ringraziamento al Padre, per il Figlio e lo Spirito Santo, con amen finale dei fedeli
  • Comunione
  • Offerte (colletta per i poveri)

4. Dal 175 circa all’inizio del IV sec. la celebrazione si svolge come è testimoniato dalla Traditio apostolica, scritta in greco da IPPOLITO intorno al 215. Questa riporta il testo della più antica preghiera eucaristica documentata, precisando che lo si può utilizzare con una certa libertà, senza doverlo recitare a memoria.
È l’epoca della spontaneità e dell’improvvisazione. Di fatti anche la Didachè affermava che bisogna lasciar fare la preghiera liturgica secondo la capacità di chi presiede.
La liturgia battesimale ed eucaristica si svolge nelle case. La lingua utilizzata fino a tutto il III sec. è il greco, al quale poi subentra il latino.

5. Dopo la PACE DI COSTANTINO (313) la celebrazione cambia:
- BASILICHE: sostituiscono le domus ecclesiae; non sono templi con la cella della divinità ma sono strutturate con le sedi nell’abside, la mensa, l’ambone, i banchi per i presbiteri.
- INSEGNE DEI VESCOVI: Costantino dona a papa Silvestro il palazzo lateranense; concede la cappa magna delle processioni imperiali, la mitra e le vesti imperiali per la celebrazione, l’anello imperiale, il trono.
Alcuni elementi derivano dal cerimoniale di corte: canto di saluto per il pontefice al momento dell’ingresso, grande mobilitazione di assistenti ecclesiastici e laici, loro continuo movimento, molteplici segni di onore rivolti al pontefice, dal bacio della mano a quello dei piedi. I vescovi diventano dei dignitari civili.
- MOVIMENTO DALLA DIVERSITÀ ALL’UNITÀ RELATIVA nella liturgia, soprattutto per combattere le eresie. C’è una ricca produzione di formulari, di preghiere eucaristiche, tra le quali il Canone romano.
- INFLUENZA PAGANA SULLA LITURGIA con l’introduzione di:

  • Refrigerium: pasto consumato sulla tomba come forma di comunione con il defunto (proibito da S. Ambrogio nel IV sec.)
  • Preghiere solenni arricchite da numerosi attributi divini (infinito, ineffabile, incomprensibile…)
  • Litanie: tipica forma romana di risposta alle preghiere (te rogamus audi nos, libera nos Domine)
  • Bacio dell’altare, delle immagini sacre, gesto di riverenza pagano.

- SOSTITUZIONE DI FESTE PAGANE come:

  • Natalis invicti, festa del sole, con il Natale del Signore, luce vera
  • Cara cognatio = commemorazione degli antenati, la cui autorità era rappresentata dal loro seggio, il 22 febbraio. Diventa la cattedra di S. Pietro (cattedra = seggio riservato al vescovo quando presiede l’assemblea liturgica).

6. Nei secoli V-VII, epoca della LITURGIA ROMANA CLASSICA, si compilano i primi libri liturgici ufficiali: sacramentari antichi (raccolte di preghiere sacerdotali), lezionari (brani della Sacra Scrittura destinati alla liturgia), antifonari (libri dei canti), ordines (libri cerimoniali).
Nel V-VI sec. si diffondono le MESSE VOTIVE, celebrate per ottenere da Dio il soddisfacimento di un desiderio – votum – per un reale bisogno, come carestie, alluvioni, terremoti, peste, guerra. Si ricorre alle messe votive come ad un mezzo infallibile di intercessione per ottenere da Dio ciò di cui si ha bisogno: nasce la “devozione alla messa” simile a quella rivolta ai santi.
Dal V-VI secolo comincia a diradarsi la frequenza alla comunione sacramentale:

  • la si rimanda in attesa di una maggiore purezza interiore
  • si suggerisce l’astinenza dai rapporti coniugali per alcuni giorni prima della comunione
  • si arriverà a vietare la comunione alle donne durante il ciclo mestruale

 

7. Nei secoli VIII-X si diffonde la LITURGIA FRANCO-GERMANICA.
Al tempo di Pipino e di Carlo Magno (768-814) la liturgia romana è portata nel regno dei Franchi, dove assimila elementi tipici di quell’ambiente. Al posto della sobria brevità romana, si impone un linguaggio sentimentale e commovente e si predilige l’azione drammatica.
- Si diffonde l’interpretazione allegorica della messa, che identifica:

  • lettura della Parola di Dio = passione di Gesù
  • consacrazione = morte (corpo e sangue separati!)
  • commixtio = risurrezione (corpo e sangue di nuovo uniti!)

- Prevale la devozione privata. È l’epoca in cui si sviluppano le apologie, preghiere pronunciate sottovoce dal sacerdote per tutta la messa, esprimenti la forte coscienza del peccato, il bisogno di perdono, l’angoscia di fronte al giudizio di Dio. Queste preghiere riempiono gli spazi sempre più ampi occupati dai canti corali.
- Segni di riverenza alla consacrazione: incenso, campanelli, genuflessioni. Fino al 700 il gesto preferito per esprimere rispetto e onore era l’inchino. Fra il 700 e il 1000 la genuflessione, usata nel cerimoniale di corte, è trasferita in ambito ecclesiale e diventa quasi regola assoluta.
- Assimilazione della cultura nordica: benedizione degli strumenti delle ordalie, usati per provare l’innocenza di una persona; messe per gli energumeni (= posseduti dal demonio); benedizioni di luoghi, cose, capi dell’abbigliamento liturgico…
- Evoluzione del rito della messa per influsso franco-germanico:

  • scomparsa dell’omelia, del congedo dei catecumeni, della preghiera dei fedeli
  • recita del Canone sottovoce per rispetto alla santità delle parole di questa preghiera
  • introduzione di nuovi riti nelle celebrazioni della Settimana Santa:

Processione solenne la domenica precedente la Pasqua
Lavanda dei piedi il giovedì santo
Adorazione della croce il venerdì santo con improperi, ecce lignum crucis
Benedizione del fuoco e del cero pasquale, acclamazione lumen Christi, Exultet.
Dal 1048 inizia una serie di papi germanici. La liturgia franco-germanica raggiunge anche Roma.

8. Nei secoli XII-XIII si compilano i “messali plenari”, risultato della fusione in un solo volume di tutti i libri necessari per la celebrazione eucaristica (Ordo con la descrizione del rito; Antifonario con la parte musicale per cantore o schola cantorum; Epistolario per il lettore; Evangeliario per il diacono; Sacramentario per chi presiede, con le preghiere presidenziali).
I diversi libri, destinati ai singoli ministri, ormai non hanno più ragione di esistere, perché si va diffondendo la messa privata del solo sacerdote, assistito al più da un inserviente.
La messa privata diventa pian piano il modello ispiratore di ogni tipo di messa: dato che nella messa privata il sacerdote recita tutti i testi, nella celebrazione col popolo fa lo stesso e pronuncia comunque per conto proprio anche le parti proclamate ad alta voce dai ministri.
I fedeli sono sempre più passivi: le risposte previste dal rito sono riservate al ministrante. La preghiera dei presenti è individuale e riservata.
Il vero senso del rito eucaristico è ignorato. L’attenzione è richiamata sulla presenza reale del corpo di Gesù.
La comunione sacramentale è sempre più rara e ha luogo:

  • prima o dopo la messa e non durante
  • con la sola specie del pane data in bocca (non più sulla mano)
  • stando in ginocchio
  • usando pane non lievitato sotto forma di piccole ostie

Nel XII sec entra nel Canone l’elevazione dopo la consacrazione per dar modo ai fedeli di “vedere l’ostia”.
Guardare l’ostia con devozione prende il posto della comunione sacramentale nella prassi del popolo di Dio.
Il Concilio Lateranense IV (1215) sancisce che si faccia la comunione almeno una volta l’anno, a Pasqua.
La devozione dei fedeli durante la messa si concentra sull’umanità di Gesù, in particolare sulla Passione.

9. CONCILIO DI TRENTO (1546-1563)
Prevale la mentalità “rubricistica” (= puntuale osservanza di norme, rese obbligatorie, fisse, immutabili).
In circa 40 anni, dopo il concilio, nascono i nuovi libri liturgici “romani” (= approvati da Roma, dalla Santa Sede, unica competente in materia liturgica), validi per tutte le diocesi di rito latino, ad eccezione di quelle con una loro tradizione liturgica, antica di almeno 200 anni.
L’unico messale, obbligatorio per tutto l’occidente, rende le celebrazioni rigidamente fisse e clericali.
La cultura religiosa del periodo è caratterizzata da:

  • manifestazioni esterne di grandezza, trionfalismo. La liturgia è occasione di festa con organo, canti, polifonia, coro; un “concerto musicale con accompagnamento di messa”! (card. Newman)
  • grande passione per le espressioni artistiche, pie devozioni, festività, pellegrinaggi, processioni
  • festa principale il Corpus Domini: processione con stendardi e guardie d’onore, col Santissimo portato trionfalmente per le vie e culminante nella benedizione eucaristica
  • l’altare perde importanza a favore del tabernacolo che lo sovrasta
  • al centro della celebrazione c’è il SS. Sacramento; l’elevazione diventa il culmine della messa!
  • l’adorazione a Cristo nel tabernacolo, la devozione al suo Cuore e alla sua Passione, il culto a Maria dicono al popolo molto più della liturgia, diventata un affare esclusivo del clero e difficile da capire
  • il popolo perde il senso della liturgia (= comunione santificatrice al mistero di Cristo)
  • mentre il sacerdote “dice messa” di spalle, i fedeli eseguono canti, rosario, meditazioni, devozioni
  • solo in tre momenti (offertorio, consacrazione, comunione) i fedeli, richiamati dal campanello, volgono la loro attenzione al rito per recitare alcune giaculatorie raccomandate 
  • la partecipazione diventa quasi nulla; si pratica la “comunione spirituale”

La liturgia nata da Trento è rimasta immutata per circa quattro secoli, mentre storia e società cambiavano.

Sarà il CV II (SC 21) a distinguere nella liturgia:

  • una sostanza IMMUTABILE, di origine divina, legata alla presenza e all’azione di Dio nella storia della salvezza
  • parti MUTABILI, espressione della vita e cultura umana. Queste hanno bisogno di adattamento all’evoluzione culturale e di riforma aperta al progresso legittimo (SC 23).

Voler bloccare la liturgia nella sua formulazione tridentina è fuori della storia.
Dimenticare il CV II è contro la storia. 

10. Secolo XVIII: ILLUMINISMO, italiano e cattolico.
Al tempo del Barocco la liturgia aveva assunto toni sfarzosi. Contro questo carattere esagerato, contro la fissa uniformità liturgica, qualcosa comincia a muoversi. Si riprende pian piano ad affermare che la liturgia appartiene a tutto il popolo di Dio e non al solo clero.
C’è il richiamo alla semplicità, il rifiuto di forme devozionali, lo sforzo di una maggiore istruzione religiosa dei fedeli. Però non si dà il giusto risalto al primato dell’azione di Dio nella liturgia.
Fino ad allora per consuetudine i fedeli si comunicavano solo alle messe celebrate all’altare del Sacramento e non a quelle cui “assistevano”. Contro tale uso si comincia a discutere:

  • sull’aspetto conviviale proprio di ogni messa
  • sul legame comunione-sacrificio
  • sul diritto dei fedeli all’offerta e alla comunione
  • sul carattere sacerdotale di tutti i fedeli

Nascono varie proposte in campo liturgico:

  • ricercare la semplicità con eliminazione di ogni fronzolo inutile
  • ritornare al pluralismo liturgico
  • portare i fedeli ad una partecipazione soggettiva e oggettiva alla messa.

Uno dei tentativi più drammatici di riforma liturgica viene attuato in Toscana in seguito al SINODO DI PISTOIA del 1786. I suoi punti fondamentali sono:

  • importanza della chiesa parrocchiale, della sua celebrazione domenicale, anche per le religiose
  • celebrazione, se possibile, di una sola messa
  • omelia dopo il Vangelo
  • comunione con ostie consacrate nella stessa messa
  • riduzione dell’uso di strumenti musicali nella celebrazione
  • attiva partecipazione dei fedeli al sacrificio eucaristico
  • uso della lingua parlata accanto al latino
  • lettura annuale di tutta la Sacra Scrittura
  • minore stima per la messa privata
  • primato della domenica
  • unicità dell’altare (rimozione di quelli laterali)
  • riforma delle devozioni (soppressione di molte novene e altre forme simili di pietà, condanna del rosario durante la messa, devozione al Sacro Cuore definita “pericolosa” perché “non si può dividere il Signore in varie parti”).

I decreti del Sinodo esprimono una salutare reazione agli usi del tempo, un tentativo di purificazione del culto. Ma il tono generale, antiromano, anticuriale e l’imposizione della riforma a clero e fedeli, impreparati a recepirla, ne hanno determinato il fallimento.

11. Secolo XIX – ROMANTICISMO
È epoca di RESTAURAZIONE, di rigida reazione all’Illuminismo, caratterizzata da:

  • rigetto delle innovazioni introdotte in quel periodo
  • ritorno diffuso alle pratiche devozionali
  • rifiuto di ogni riforma liturgica
  • prevalenza di un conservatorismo tradizionalista

Ciò non impedisce comunque che inizino a farsi strada dei segni di rinnovamento, soprattutto il risveglio del senso storico e la ricerca dell’origine e del significato della liturgia (riti, gesti, oggetti, vesti, feste…), a partire dai monasteri benedettini di Francia, Belgio e Germania.
Sono i primi passi del MOVIMENTO LITURGICO.

12. Secolo XX.
Il movimento liturgico prende l’avvio in Belgio col Congresso di Malines del 1909. Si riscoprono le antiche fonti liturgiche e, con ciò, il significato originale, l’evoluzione, l’essenza profonda della liturgia. Si cerca di adattarla al nostro mondo di oggi, in modo che il popolo riesca a comprendere e a partecipare ai santi misteri.

È intrapresa una serie di iniziative per avvicinare il popolo alla celebrazione eucaristica, come:

  • l’edizione dei messalini per il popolo
  • la diffusione della “messa dialogata”
  • l’introduzione di canti in lingua popolare

Il lavoro compiuto in 50 anni dal movimento liturgico, sia sul piano teologico (natura e significato della liturgia), sia sul piano pratico delle realizzazioni e delle possibilità, sfocia nel CV II.
Sarà proprio il Concilio Vaticano II ad accogliere e rendere operative le proposte del movimento liturgico, riconosciute di valore decisivo per tutta la Chiesa. Si afferma la convinzione che la liturgia, nelle sue celebrazioni e nei suoi testi, nel suo linguaggio e nei suoi gesti, nel suo senso vero e nel suo legame con la fede e la vita, deve poter essere compresa ed eseguita dal popolo cristiano come avveniva nei primi secoli della Chiesa (T. Klauser).

Nel 1969 è pubblicato l’INSTITUTIO GENERALIS MISSALIS ROMANI (IGMR), contenente principi e norme per la celebrazione della messa. Al capitolo II, parte III, elenca le singole parti della messa:
Riti di introduzione 
Liturgia della Parola 
Liturgia eucaristica
Riti di conclusione

 

RITI DI INTRODUZIONE

“Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità e si dispongano ad ascoltare con fede la Parola di Dio e a celebrare l’Eucaristia” (IGMR cap.II, 24).

Sappiamo da S. Agostino (354-430) che la celebrazione eucaristica  iniziava con estrema semplicità: entrato in basilica, il vescovo salutava i fedeli, poi si sedeva per ascoltare le letture.

Oggi, i riti di introduzione comprendono:

  1. Canto d’ingresso
  2. Bacio dell’altare e saluto ai fedeli
  3. Atto penitenziale
  4. Kyrie eleison
  5. Gloria
  6. Preghiera presidenziale, chiamata colletta.

a. Canto d’ingresso
Nato in oriente, è stato introdotto in occidente nel V sec. da papa Celestino I per accompagnare la processione dei ministri verso l’altare e introdurre al senso della festa o del tempo liturgico.
Il canto può essere sostituito dalla recita di un’ANTIFONA, il cui contenuto tende a sintetizzare il mistero che sta per essere celebrato.
Fin da queste prime battute si è chiamati a cogliere il significato simbolico di quanto si compie nel rito:

  • riunione dei fedeli, al suono delle campane, non per soddisfare ad un precetto, ma per rispondere alla comune chiamata del Padre, col bisogno di lui e per inserirsi sempre più nel Mistero Pasquale
  • processione dei ministri in mezzo alla comunità riunita, come segno del cammino della Chiesa incontro a Cristo
  • canto d’ingresso, per “dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico e della festività e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri” (IGMR 25).

b. Bacio dell’altare e saluto ai fedeli
All’altare, segno di Cristo, si rende omaggio con un inchino profondo, un bacio ed eventualmente con l’incensazione (IGMR  27).
Il sacerdote va alla sede presidenziale. Tutti fanno il SEGNO DELLA CROCE per iniziare:

  • mettendosi alla presenza di Dio
  • facendo un atto di fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo
  • ricordando il proprio Battesimo
  • richiamando la croce di Cristo salvatore.

Colui che presiede rivolge il SALUTO alla comunità riunita (IGMR 28) per metterla di fronte:

  • al mistero di Cristo presente nell’assemblea (Mt.18,20; 28,20)
  • al mistero della Chiesa, visibile e riunita nella celebrazione
  • a Dio Padre che convoca e accoglie i suoi figli

A questo punto è raccomandata una breve, semplice, sobria, incisiva MONIZIONE per introdurre al mistero  celebrato, mediante un accenno a ciò che è la messa o ad un suo aspetto particolare o al giorno liturgico.

c. Atto penitenziale
L’atteggiamento giusto col quale ogni credente, ogni comunità deve porsi davanti a Dio è riconoscersi peccatori, bisognosi di perdono.
Il peccato è sorgente di ogni divisione, compromette la comunione con Cristo e coi fratelli. La coscienza di essere peccatori deve spingere a cambiare e a cercare la riconciliazione: tutto questo lo esprimiamo nell’atto penitenziale.
Se tale atto non ha valore sacramentale in senso stretto, ha tuttavia un grande significato spirituale e pedagogico, perché associa il senso del peccato a una grande fiducia nella misericordia del Padre (ECC 40).
Non dimentichiamo che l’assemblea eucaristica è il luogo in cui Dio Padre realizza in Cristo la nostra riconciliazione. Riprenderemo questo argomento parlando del sacramento della Riconciliazione e del suo rapporto con l’Eucaristia.
Nei libri liturgici più antichi era previsto un semplice gesto (flessione del capo o prostrazione ai piedi dell’altare) compiuto in silenzio dal presbitero. Col tempo si è aggiunta un’apologia (Confiteor), invocazione privata del sacerdote e dei ministri ai piedi dell’altare.

La riforma attuale introduce una novità estendendo l’atto penitenziale a tutta l’assemblea. I fedeli esprimono, insieme a colui che presiede, l’umile confessione dei peccati e la fiduciosa richiesta del perdono.
La serietà di questo atto esige che i presenti siano educati a compiere un rapido esame della loro situazione davanti a Dio per prendere coscienza dei loro peccati individuali e comunitari.

L’atto penitenziale si svolge in quattro momenti:

  • invito a riconoscere i propri peccati
  • pausa di silenzio per rientrare in se stessi
  • richiesta di perdono a Dio e ai fratelli
  • preghiera di assoluzione (IGMR 29)

L’atto penitenziale, posto prima delle letture, sottolinea che la comunità è chiamata a prepararsi interiormente ad accogliere il Signore che si fa presente nella liturgia della Parola e parla all’assemblea.
Questo atto può essere sostituito dal rito di aspersione dell’acqua benedetta in ricordo del Battesimo: gesto indicativo di quella continua purificazione, cui è chiamato il cristiano, morto al peccato e risorto con Cristo a vita nuova nel Battesimo.

d. Kyrie eleison (IGMR 30)
È un’invocazione a Cristo Signore per implorare misericordia. Non si tratta di un’ulteriore domanda di perdono dopo l’atto penitenziale, perché il suo contenuto è più vasto, il suo orizzonte è universale.
Già nel mondo pagano si era soliti indirizzare l’invocazione Kyrie eleison all’imperatore o alla divinità come acclamazione d’onore e non come richiesta di perdono.
Dalla seconda metà del IV sec. nelle chiese d’oriente è in uso una preghiera universale in forma litanica: ad ogni invocazione si risponde Signore, pietà
Verso la fine del V sec. questa preghiera litanica è accolta anche a Roma, dove sostituisce la preghiera dei fedeli “classica” (quella ancora in uso al venerdì santo), alla fine della liturgia della Parola.
Nei secoli VIII-X la preghiera dei fedeli scompare del tutto. Sembra sia rimasta solo questa litania, ma anticipata prima delle letture e ridotta alla semplice ripetizione del ritornello.

A volte l’invocazione Signore pietà è arricchita da tropi, cioè dall’aggiunta di frasi - e di melodie, quando il testo liturgico è cantato – esprimenti una particolare supplica penitenziale, in forma di dialogo tra chi presiede e il popolo. Diventa un modo di compiere l’atto penitenziale (es: “Signore, mandato a salvare i contriti di cuore, abbi pietà di noi” “Signore, pietà”). In questo caso, dopo la preghiera di assoluzione, non si recita il Kyrie eleison.

e. Gloria (IGMR 31)
inno antichissimo, già in uso nella liturgia al IV-V sec. Allora, però, e per lungo tempo, solo il vescovo intonava questo inno, solo a Natale. Difatti inizia con Lc.2,14, cioè con l’inno di lode a Dio per la nascita di Gesù (di questa parte del Gloria, il nuovo messale ha conservato, per motivi pratici, il testo tradizionale e non ha adottato la versione più fedele ai testi originali  “…e pace in terra agli uomini che Dio ama”).
In seguito, la recita del Gloria è estesa alle domeniche e alle feste dei martiri, ma resta riservata al vescovo fino all’XI sec. Solo allora è data facoltà anche al presbitero di intonare questo inno.
Oggi si canta o si recita nelle domeniche (tranne che in Avvento e Quaresima), nelle solennità, nelle feste e in particolari celebrazioni più solenni come un matrimonio o l’anniversario della dedicazione della chiesa.

La prima strofa esprime la glorificazione di Dio Padre: lo si loda, benedice, adora, si rendono grazie.
La seconda strofa è di supplica a Cristo Signore, Agnello di Dio, Figlio del Padre, il solo Santo, il solo Signore, il solo Altissimo, perché abbia pietà di noi.
L’invocazione a Cristo si conclude ricordando la SS. Trinità.

f. Preghiera colletta (IGMR 32)
è la preghiera conclusiva dei riti di introduzione. È chiamata colletta (= riunione), in quanto raccoglie la preghiera silenziosa di ciascun fedele.
Sembra sia stata introdotta al tempo di S. Leone Magno (440-461). In precedenza, la prima preghiera nella messa era la preghiera dei fedeli, in risposta all’ascolto della Parola di Dio. La colletta è invece preparazione all’ascolto della Parola di Dio e alla sua attuazione quotidiana.

Dopo l’invito “preghiamo”, c’è un momento di silenzio, durante il quale i fedeli sono chiamati a:

  • prendere coscienza di trovarsi alla presenza di Dio
  • rendersi conto di essere uniti in assemblea
  • formulare nel proprio intimo la preghiera personale

Poi chi presiede, facendosi interprete di tutti, pronuncia la colletta. Il contenuto di questa orazione esprime il carattere della celebrazione appena iniziata, col riferimento al mistero celebrato o al tema delle letture.
Oggi, con l’aggiornamento del nuovo messale, effettuato nel 1983, sono state introdotte delle nuove collette, in più stretto rapporto con le letture di ogni ciclo del Lezionario (A, B, C).
La colletta è una delle tre grandi orazioni presidenziali rivolte al Padre. Come le altre, è chiusa dalla frase “…per Cristo nostro Signore” o simili. In questo modo la Chiesa prega “nel nome di Cristo”, cioè con la sua mediazione (se chiederete al Padre qualcosa nel mio nome, egli ve la darà: Gv.16,23).È lui a trasmettere le nostre parole al Padre; anzi, è lui stesso ad entrare in azione per esaudire la nostra attesa (cfr.Gv.14,13).
Notiamo, per inciso, la regola osservata dalla liturgia romana pura, nel formulare le preghiere: SEMPER AD PATREM DIRIGATUR ORATIO, cioè la Chiesa Romana nella liturgia prega il Padre, per il Figlio, nello Spirito.

Al termine il popolo risponde AMEN, cioè:

  • fa sua la preghiera che il sacerdote ha presentato al Padre a nome di tutti
  • s’impegna a raggiungere la meta comune, indicata dalla preghiera presidenziale.

Si concludono così i riti di introduzione. Sotto la guida del presidente, i fedeli:

  • si sono messi alla presenza di Dio con animo umile e pentito
  • si sono costituiti in assemblea
  • sono entrati nel clima di preghiera della celebrazione
  • sono pronti per l’ascolto della Parola di Dio, l’offerta, la comunione al sacrificio di Cristo.

Entrare in chiesa dopo il compimento dei riti iniziali o, peggio, durante la proclamazione della Parola di Dio, al di là dell’indiscutibile disturbo ai fedeli già coinvolti nell’azione liturgica, toglie la possibilità di assumere il giusto atteggiamento davanti a Dio e alla sua Parola.

 

LITURGIA DELLA PAROLA

Nel 150 d.C. - come abbiamo già visto - Giustino, al cap.67 della sua I Apologia, indirizzata ad Antonino Pio, descrive brevemente la liturgia della Parola del suo tempo:

  • lettura dei profeti e delle memorie degli apostoli
  • omelia, tenuta dal προεστώς (proestòs = colui che presiede)
  • preghiera
  • bacio di pace

È evidente che la liturgia della Parola ha subito l’influsso della sinagoga.

La celebrazione giudaica del sabato mattina comprendeva:
1. SHEM’A: preghiera composta da tre testi (Dt.6,4-9; 11,13-21; Num.15,37-41).
2. LETTURE: una dalla Torah e una dai Profeti (comprendenti anche Giosuè, Giudici, Samuele e Re). Chi presiedeva dava l’indicazione sulla lunghezza dei brani.
3. MIDRASH: spiegazione della Parola con un’applicazione spirituale per l’assemblea. Lc.4,16: Gesù legge Isaia e fa il midrash. In quanto laico, Gesù non poteva leggere dalla Torah, ma solo dai profeti.
4. SALMI: il sabato mattina si cantavano i salmi dell’Hallel (112-116 e 135) e il popolo rispondeva alleluja dopo ogni versetto.
Seguiva lo SHEMONEH ESREH, detto anche preghiera delle 18 benedizioni, qualcosa di simile alla nostra preghiera di intercessione. Chi presiedeva proponeva le varie intenzioni; il popolo, orientato verso Gerusalemme, rispondeva ad ognuna sii benedetto Signore.
5. BENEDIZIONE: il sacerdote, con la destra alzata, benediceva il popolo con le parole di Num.6,24-26 (Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore volga su di te il suo volto e ti conceda pace). Tutti rispondevano amen.
6. COLLETTA per i poveri.

Noi ignoriamo la scelta delle letture nella Chiesa e il loro numero prima di papa Gregorio Magno (590-604).
All’inizio si mettevano dei segni al margine del libro per indicare inizio e fine del brano destinato ad una data celebrazione. La lettura del singolo libro della Sacra Scrittura era continua o semicontinua. Nelle domeniche di Quaresima le letture erano meglio legate tra di loro.
In seguito i brani destinati alla lettura liturgica sono stati raccolti in due diversi libri: EVANGELIARIO ed EPISTOLARIO.

Fino al CV II è stato in uso il lezionario del messale di Pio V, in cui manca gran parte della S. Scrittura. Le letture domenicali erano due, sempre le stesse tutti gli anni.
Nei giorni della settimana si ripetevano le letture della domenica, se non si celebrava la festa di un santo.
Non erano previste letture per i sacramenti, se celebrati al di fuori della messa.

CRITERI PER LA RIFORMA DEL LEZIONARIO AL CONCILIO VATICANO II

1) Siano presentati ai fedeli il mistero di Cristo e la storia della salvezza
2) La Chiesa prenda coscienza che il mistero di Cristo oggi si compie nella vita della Chiesa e di ogni fedele
3) Siano presentate le norme della vita cristiana e si aprano i tesori della Parola di Dio, specie nell’omelia
4) Si colga l’unità tra AT e NT verso il compimento della storia della salvezza in Cristo (Pasqua)
5) Luogo ideale per presentare il mistero di Cristo attraverso le letture è l’anno liturgico
6) La Parola di Dio nella liturgia deve essere PROCLAMATA. Proclamare è rendere pubblico, annunciare una notizia, acclamare, confessando la propria fede in colui che è all’origine di quel messaggio, rivelare ora ciò che Dio vuole comunicare.

L’aggiornamento attuale ha tenuto conto della struttura della liturgia della Parola nelle Chiese ortodossa, ispanica, riformata; per la qual cosa si è ricorsi al consiglio di esperti.
È stato deciso un ciclo domenicale di tre anni con tre letture; e un ciclo feriale di due anni per la prima lettura e di un anno per il vangelo, con due sole letture.

Nelle domeniche per annum la prima lettura, dall’AT, è stata scelta a partire dal vangelo, mentre la seconda segue un suo percorso, spesso senza rapporto con le altre due, essendo una lettura semicontinua di un libro del NT.
Nei cosiddetti tempi forti (Avvento, Quaresima, Tempo pasquale) anche la seconda lettura è stata scelta in armonia con le altre due.

Il lezionario feriale è diventato del tutto indipendente da quello festivo ed è basato su una lettura semicontinua. Solo in Avvento e Quaresima, prima lettura e vangelo sono armonizzati tra di loro.

Il lezionario dei santi comprende due serie di letture: il proprio e il comune dei santi.
Una lettura è detta “propria” quando contiene il nome del santo.
La serie per il “proprio” è predisposta per solennità, feste o memorie, specie se per tali ricorrenze sono disponibili testi propri.
La serie per il “comune” è molto più ampia: vengono riportati i brani più adatti per i diversi ordini di santi e brani che si riferiscono in genere alla santità, con ampia possibilità di scelta.

STRUTTURA DELLA LITURGIA DELLA PAROLA nella celebrazione domenicale

- Prima lettura dall’AT (= profeta, preparazione), tranne nel tempo pasquale, quando si leggono gli Atti degli apostoli
- Salmo responsoriale, risposta dell’assemblea alla Parola di Dio appena ascoltata
- Seconda lettura, dal NT (= apostolo, prolungamento nella storia). Introduce nel clima delle prime comunità e mostra come la loro vita è rischiarata dalla luce di Cristo risorto e animata dall’azione del suo Spirito
- Acclamazione al vangelo, orientata alla lettura che segue. Consiste nell’alleluja più un versetto e, in tempo di Quaresima, da un’acclamazione più un versetto.
- Vangelo (= realizzazione, compimento in Cristo)
- Omelia
- Credo o Simbolo (niceno-costantinopolitano o apostolico): entrato nella celebrazione dopo il X sec.; prima, la vera professione di fede era la preghiera eucaristica al Padre, per Cristo, nello Spirito, conclusa dall’amen.
- Preghiera universale o dei fedeli: nasce dall’ascolto della Parola di Dio e si apre all’umanità. È preghiera di domanda, di invocazione, espressione della speranza cristiana e non preghiera di ringraziamento.  

RUOLO DEL LETTORE E ATTEGGIAMENTO DELL’ASSEMBLEA NEL DIALOGO LITURGICO

Chi proclama i brani della Parola di Dio non è un semplice “lettore”,  ma svolge un compito PROFETICO:
attraverso la sua voce, Dio stesso comunica il suo messaggio per rinnovare con noi la sua alleanza, per suscitare la nostra risposta di fede, per incidere nella nostra condotta di vita.

Il lettore è a servizio dell’assemblea nel proclamare la Parola di Dio: mentre annuncia una notizia, confessa la propria fede nel valore di quella notizia e in colui che la invia.

Commentando il Sal.49 (Dio verrà in modo manifesto e non tacerà), S. Agostino nel sermone 17,1scrive:
“Sull’ambone è salito il lettore, ma è lui (Cristo) che non tace. Parla l’esegeta. Se dice cose esatte, è Cristo che parla. Se Cristo tacesse, io stesso non vi potrei dire queste cose. E non tace neanche per mezzo della vostra bocca, perché, quando cantavate, era lui che parlava. Egli non tace. E allora bisogna che noi ascoltiamo, però con gli orecchi del cuore; perché è facile ascoltare con gli orecchi della carne”

Attraverso il lettore si rende presente nell’assemblea Cristo, Parola di Dio. Perciò questo ministro:
- si prepara tecnicamente e usa gli strumenti necessari perché la lettura possa essere seguita e compresa
- proclama con voce chiara e distinta, con proprietà, senza fretta, con le dovute pause, rispettando il senso, la punteggiatura, gli accenti, la pronuncia; non legge le intestazioni delle letture (es: “prima lettura”)
- legge dal Lezionario, perché anche i libri liturgici devono avere una loro dignità (OLM 35-37)
- legge con convinzione perché legge con fede, sapendo cosa sta proclamando, facendo da tramite e non da barriera a colui che parla
- legge pubblicamente un brano solo se lo ha meditato prima e ne coglie il senso, per esprimerlo con efficacia
- ha familiarità con la Parola di Dio, studia e medita le Sacre Scritture
- ragazzi e ragazze dovrebbero essere chiamati a leggere normalmente non prima della professione di fede (card. Martini)
Unico intermediario tra il Signore e la sua comunità è colui che proclama la Parola a voce alta, chiara, solenne. È lui, e non un foglietto, lo strumento che rivela ora ciò che Dio vuole comunicare.

L’atteggiamento giusto del credente di fronte a Dio che parla è ascoltare con fede, disponibilità, apertura, adesione a lui. Inizia così, accogliendo la sua parola, la comunione con Cristo.
L’ascolto è già preghiera, perché apre al dialogo col Padre; anzi, è più che pregare: ascoltare è meglio che il sacrificio (1Sam.15,22). Sostare in ascolto è un comando e una beatitudine: ascoltate oggi la sua voce, non indurite il cuore (Sal.95,8); beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (Lc.11,28).
L’ascolto avviene in forma comunitaria: proprio nella proclamazione liturgica, all’interno dell’assemblea ecclesiale, Cristo è presente nella sua Parola.

Dio parla per essere ascoltato e per provocare una risposta. L’ascolto così diventa dialogo. La liturgia della Parola è tutta un dialogo tra Dio e il suo popolo, se l’assemblea partecipa attivamente mediante:

a. le acclamazioni, esprimenti la gioia della comunità nell’accogliere il Signore presente e la sua parola:

  • Rendiamo grazie a Dio (dopo la I e la II lettura) per il dono della Parola, per aver compreso la sua Parola, perché si aderisce alla Parola ascoltata
  • Gloria a te, Signore, prima e Lode a te o Cristo, dopo il Vangelo. È il rinnovato atto di fede in Cristo, presente durante la proclamazione del Vangelo.

b. le altre risposte, cioè:

  • il ritornello del salmo responsoriale
  • il canto al Vangelo
  • la professione di fede (Credo)
  • la preghiera dei fedeli

c. la risposta esistenziale, non limitata alle parole, ma concretizzata in:

  • momenti di silenzio, meditazione, contemplazione, inizio del dialogo personale col Signore, confronto della propria vita con la Parola di Dio appena udita
  • decisione e impegno di mettere in pratica la sua Parola, segno che la si è ascoltata, compresa, accolta
  • conversione della vita, spinti dalla Parola celebrata. È la prova che la nostra risposta alla Parola di Dio è autentica. È la risposta che più conta!

La Parola di Dio crea le disposizioni idonee a celebrare l’Eucaristia, muove a conversione, purifica, suscita o intensifica la fede, la speranza e l’amore. Ravviva la coscienza dei vincoli di comunione esistenti tra i membri dell’assemblea e di quelli con Cristo e con la Trinità.

La liturgia della Parola nella messa non deve essere considerata solo come un preambolo alla celebrazione sacramentale, ma è già COMUNIONE A CRISTO, nella fede e nell’adesione d’amore, tanto efficace e tanto necessaria quanto la comunione eucaristica.
L’ascolto con fede della Parola di Dio genera in noi l’obbedienza di fede, cioè l’atteggiamento vissuto da Gesù per tutta la sua vita fino al dono totale di sé.
Parola ed Eucaristia formano un unico atto di culto: ricevere il Corpo di Cristo significa accogliere anche il suo Vangelo.

Per poter suscitare nei fedeli il bisogno e l’ascolto credente della Parola:
- è necessaria la catechesi biblica per mettere in grado ogni battezzato di prender parte attivamente alla liturgia della Parola
- è raccomandabile la preparazione infrasettimanale delle letture della domenica (ECC 78)
- sono utili le monizioni, brevi interventi del presidente o di un animatore per aiutare l’assemblea a cogliere il senso vero di ciò che sta per essere proclamato.
Le monizioni non sostituiscono la catechesi liturgica, che deve svolgersi in altra sede e in altri momenti.
Non sono “piccole omelie” ma richiami brevi, densi di significato, ben preparati, fatti con tono di voce familiare, pensati per richiamare l’attenzione sull’essenziale, dando la chiave unificante delle tre letture, in modo da aiutare “l’assemblea a un più attento ascolto della parola di Dio, suscitando in loro la fede e un atteggiamento di recettività volonterosa” (OLM 15).
- si devono curare con impegno tutti gli strumenti che facilitano la comunicazione della Parola
- va eliminato ciò che può distrarre i fedeli, anche se è cosa santa, come le confessioni.

VALORE DELLA PAROLA DI DIO NELLA LITURGIA DOMENICALE

Non è :  elemento decorativo o didattico o preparatorio, quindi facoltativo ai fini della “validità”

  • semplice ripetizione di parole antiche, o ricordo di eventi lontani e sganciati dal presente
  • istruzione sulle cose di Dio
  • oggetto di studio o di indagine

Ma è  nell’esperienza di fede:

  • INCONTRO e DIALOGO di Dio col suo popolo
  • EVENTO SACRAMENTALE, che

dona lo Spirito a chi accoglie la Parola del Signore
alimenta  la fedeltà e l’obbedienza a Dio nei fedeli disposti a portarla nella loro vita
introduce nel mistero della fede che si sta celebrando
suscita nei credenti la ricerca dei modi per viverlo nel quotidiano

A queste condizioni la celebrazione della Parola di Dio assume valore sacrificale, diventa SACRIFICIO SPIRITUALE, obbedienza di fede, resa possibile dallo Spirito, che agisce attraverso la Parola proclamata e accolta e il pane condiviso.
All’interno della liturgia i fedeli vanno aiutati ad entrare in sintonia coi sentimenti di Cristo (cfr.Fil.5,1), il servo che si è offerto facendosi obbediente fino alla morte. Oltre alle monizioni, il Messale prevede un altro tipo di intervento: l’OMELIA.

 

OMELIA

Il verbo greco ομιλέω significa converso, ho familiarità con, mi trattengo. Così il termine ομιλία vuol dire conversazione, familiarità, riunione.
È il discorso, tenuto da chi presiede la celebrazione liturgica, dopo la lettura della Parola di Dio. L’omelia non è un elemento secondario e accessorio, ma componente costitutiva della liturgia della Parola.

È sotto gli occhi di tutti, clero e laici, il problema reale di come fare concretamente l’omelia e, prima ancora, di avere ben chiare la sua natura e le sue finalità.

C’è infatti chi la considera come:

  • un PENSIERO sul Vangelo
  • una PREDICA più o meno moraleggiante
  • una semplice SPIEGAZIONE dei testi
  • una CATECHESI in senso stretto
  • una scuola di DOTTRINA cristiana

In realtà non è né discorso morale, né esegesi, né catechesi.
I documenti del Magistero continuano ad insistere che l’omelia è ATTUALIZZAZIONE della Parola di Dio per una determinata assemblea, in un preciso contesto celebrativo.

SC 35,2: “fa parte dell’azione liturgica…Attinga anzitutto alle fonti della S. Scrittura e della liturgia, poiché essa è l’annuncio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza..”

SC 52: “Si raccomanda vivamente l’omelia, che è parte dell’azione liturgica. In essa nel corso dell’anno liturgico vengono presentati i misteri della fede e le norme della vita cristiana”.

INTER OECUMENICI (Istruzione applicativa del 1964): “Per omelia, da tenersi dal testo sacro, si intende la spiegazione di qualche aspetto delle letture della S. Scrittura o di altri testi dell’Ordinario o del Proprio della messa del giorno, tenendo in debito conto il mistero celebrato e le particolari esigenze degli ascoltatori”.

OLM 41 (del 1981): “Colui che presiede…con l’omelia…guida i fratelli al rendimento di grazie per i fatti mirabili da Dio compiuti; alimenta la fede dei presenti per ciò che riguarda quella parola che nella celebrazione, sotto l’azione dello Spirito Santo, si fa sacramento; li prepara infine a una fruttuosa comunione e li esorta ad assumersi gli impegni della vita cristiana”.

OLM 24 assegna all’omelia le seguenti funzioni:

  • esporre i misteri della fede o le norme di vita cristiana
  • far diventare la Parola, insieme con l’Eucaristia, quasi un annuncio delle mirabili opere di Dio
  • annunciare il mistero pasquale di Cristo
  • rendere presente ed efficace Cristo nella sua Chiesa
  • spiegare la Parola di Dio annunciata o un altro testo liturgico
  • guidare la comunità a partecipare attivamente all’Eucaristia
  • spingere i presenti ad esprimere nella vita ciò che hanno ricevuto mediante la fede
  • rendere più efficace la celebrazione della Chiesa e la proclamazione della Parola

ES 69 (del 1973) sottolinea cosa non deve essere l’omelia:
“non la predica moraleggiante, non il fervorino untuoso e vuoto, non il pezzo più o meno retorico d’occasione, né, tanto meno, l’elucubrazione erudita, ma la vera omelia ex testu sacro, cioè: l’esposizione semplice e pertinente, che cali nell’esistenzialità dell’assemblea le multiformi ricchezze del mistero di Cristo e del rito sacro in atto. «Con l’omelia il ministro competente annuncia, spiega e loda il mistero cristiano che si celebra, perché i fedeli lo accolgano intimamente nella loro vita e, a loro volta, si dispongano a testimoniarlo nel mondo» (RdC 29)”.

EN 43: Paolo VI delinea le caratteristiche dell’omelia, “semplice, chiara, diretta, adatta, profondamente radicata nell’insegnamento evangelico e fedele al magistero della Chiesa, animata da un ardore apostolico equilibrato che le viene dal suo proprio carattere, piena di speranza, nutriente per la fede, generatrice di pace e di unità. Molte comunità, parrocchiali o di altro tipo, vivono e si consolidano grazie all’omelia di ogni domenica, quando essa ha tali qualità”.

ECC 43 (del 1983): “Da una parte essa attualizza il messaggio biblicotenendo conto sia del mistero celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta (cfr.IGMR 41). Dall’altra è l’unico mezzo per spezzare il pane della Parola alla massa dei battezzati, non raggiunti dalle altre iniziative di catechesi”.

LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI (del 1995)”Segue l’omelia, che svolge una funzione attualizzante, come l’intervento di Gesù nella sinagoga di Nazaret, dopo la lettura del testo di Isaia: Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita coi vostri orecchi (Lc.4,21). Non dovrebbero mancare riferimenti a situazioni concrete, a esperienze e testimonianze di vita cristiana, per guidare i fedeli ad esprimere nella vitaciò che hanno ricevuto nella fede (SC 10)”.

RdC 52: “La Parola di Dio deve apparire ad ognuno come un’apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori e insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni. Diventerà agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della vita”.

Qualità dell’omelia:
Presentazione del mistero di Gesù partendo dalle letture o da un testo liturgico, cioè una conversazione semplice e familiare, capace di arrivare al vissuto dell’assemblea e di suscitare in chi ascolta una risposta di fede e di lode, di fronte al mistero di Cristo, annunciato dalla Parola e celebrato nel segno liturgico.
Nel racconto dei due di Emmaus (Lc.24,14-15) Gesù si avvicina e spiega loro… Parla a persone concrete con le loro attese, speranze, delusioni, esperienze, difficoltà di fede e le aiuta a scoprire il senso degli eventi vissuti, a scoprire la sua presenza al loro fianco, a crescere nella fede, a diventare suoi annunciatori.

La Parola di Dio nella liturgia è Gesù stesso che si rivolge al suo popolo per unirlo a sé in comunione di vita.
L’omelia è un aiuto ai fedeli perché entrino nel dialogo vivo col Signore. È come dare un volto, una voce, un cuore a Gesù che parla. Non può bastare una predica generica, impersonale, distaccata, moraleggiante, avulsa dal vissuto, una lezione astratta o un ritaglio di tempo più o meno lungo per parlare di tante cose.

Nella liturgia della Parola, non rievochiamo un messaggio rivolto da Dio agli uomini nel lontano passato, ma celebriamo una realtà di oggi perché “parla lui stesso mentre nella Chiesa vengono lette le Sacre Scritture”.
Compito del predicatore è far sperimentare che la Parola di Dio non si esaurisce nelle “parole della Bibbia”, sapendo che il suo messaggio sempre attuale si compie lì, in quel momento, per quella comunità, chiamata ad accoglierlo, a farsi trasformare e ad esso ispirare la vita quotidiana.

Perciò deve sforzarsi di interpretare e dare risposta agli interrogativi e alla vita stessa dei fedeli, facendo apparire con chiarezza ciò che Cristo vuole trasmettere e donare oggi per dare un senso nuovo all’esistenza.

L’omelia è viva esposizione della Parola di Dio, nel senso che deve essere legata alla vita. Cioè:

  • interpreti la vita attuale e i segni dei tempi alla luce della rivelazione, perché in essi si attua il progetto di salvezza di Dio
  • applichi il messaggio biblico alle circostanze concrete della vita non solo per suscitare una risposta di fede all’interno della celebrazione, ma soprattutto perché sia assunto da tutti come norma di vita

La qualità dell’omelia dipende molto dalla sua preparazione: innanzitutto dalla preparazione personale di chi dovrà tenerla, ma possibilmente dalla preparazione effettuata in gruppo.
La migliore omelia è frutto di meditazione ed espressione d’amore per la Parola di Dio, coglie l’essenziale del messaggio, passa attraverso la personale partecipazione del predicatore, il quale lo assimila come valore vitale per sé stesso prima che per gli altri. Egli non soffoca la parola di Dio: piuttosto la continua e la precisa lasciando trasparire la sua fede, la sua convinzione.
Occorre attenzione alle persone cui è indirizzata quella Parola di Dio, sensibilità per rispondere ai loro bisogni, volontà di servire alla crescita della loro fede, usando un linguaggio comprensibile a tutti.

A questo scopo, l’omelia svolge una funzione essenziale per superare la distanza culturale dai testi biblici e per far giungere il messaggio evangelico ai diversi membri dell’assemblea.
Non può limitarsi alla spiegazione dei testi, alla loro traduzione in linguaggio attuale, bensì deve condurre i presenti ad entrare nel mistero di Cristo, a confrontare la loro vita col messaggio reso attuale, a sentirsi implicati nel discorso, che li riguarda personalmente e li coinvolge come comunità, a rispondere con la preghiera, col rendimento di grazie, col cambiamento di vita.
Non può “intrattenere” l’uditorio confermandolo nelle sue convinzioni religiose, ma piuttosto puntare al rinnovamento e alla costruzione della comunità, spingere all’azione nel senso voluto dalla Parola di Dio.

Svolgendo questa attività, detta ERMENEUTICA, l’omelia informa, sollecita, fa pensare mentre esorta ciascuno a decidersi di fronte al messaggio che il Signore rivolge alla sua Chiesa. 
La risposta più autentica di chi ascolta con fede è LA VITA CHE SI CONVERTE, sulle orme di Cristo.

La comunicazione che si realizza mediante l’omelia risulta però “incompleta”, in quanto manca la risposta dell’assemblea. Il predicatore non ha la possibilità di verificare se e come i presenti hanno ricevuto, decodificato e interpretato il messaggio.
La forma tipica dell’omelia è quella del monologo, che non rende l’assemblea veramente partecipe. C’è chi arriva a proporre di trasformarla in un dialogo e chi auspica almeno che sia preparata in gruppo.
Si potrebbe creare qualche occasione di incontro ecclesiale per confrontare fraternamente l’effettiva ricezione della predicazione liturgica da parte dei fedeli e per raffinare sempre più l’“arte” dell’omelia.

 

CREDO

ECC 44: “A Dio che ha parlato, i fedeli…rispondono poi col Credo, un che esprime la totale adesione alla Parola ascoltata, che rinnova e rilancia le promesse battesimali e che fa entrare in comunione di fede con Dio. Così la comunità non solo confessa la sua fede, ma esprime la volontà di conformare la vita a ciò che crede e di impegnare nella missione ogni sua forza e disponibilità. Dopo l’ascolto della fede, l’obbedienza della fede…”.

Credo è la parola iniziale della formula con cui l’assemblea professa la sua fede. Per questo è anche detta professione di fede, ma anche simbolo di fede (= segno di riconoscimento del cristiano).

Le forme attualmente in uso sono:
a) SIMBOLO APOSTOLICO: usato a Roma dal III sec., è così chiamato perché rispecchia l’insegnamento degli apostoli.  Breve, semplice, è una professione di fede nelle principali verità del cristianesimo, un’esposizione sintetica dell’opera della salvezza incentrata nella Trinità, e dei frutti della redenzione.

b) SIMBOLO NICENO-COSTANTINOPOLITANO: formula orientale di professione di fede, in armonia con gli insegnamenti dei concili di Nicea (325) e Costantinopoli (381), introdotta nella messa in oriente nel VI sec., è stato accettato a Roma solo nel 1014. Risente delle controversie dottrinali dell’antichità cristiana: si distingue per l’insistenza sulla natura divina di Cristo e sul mistero dell’incarnazione e per lo sviluppo della sezione riguardante lo Spirito Santo.

c) In alcune circostanze, quali la Veglia pasquale e la celebrazione del Battesimo o della Cresima, la professione di fede è espressa in forma di domande e risposte.

IGMR 43: “Il Simbolo o professione di fede, nella celebrazione della messa, ha lo scopo di suscitare nell’assemblea, dopo l’ascolto della parola di Dio nelle letture e nell’omelia, una risposta di assenso, e di richiamare alla mente la regola della fede, prima di dare inizio alla celebrazione dell’Eucaristia”.

Concretamente, la risposta di fede a ciò che si è ascoltato dovrebbe potersi esprimere con parole proprie e adeguate al messaggio ricevuto, ma nel rito tale risposta di fatto viene espressa con una formula di adesione.
La ripetizione della regola della fede diventa “professione di fede” attuale solo se preceduta dall’ascolto attento della Parola di Dio che ispiri la vita.

 

PREGHIERA UNIVERSALE o DEI FEDELI

ECC 44: “In questa prospettiva di dialogo tra Dio e il suo popolo assume speciale rilievo la preghiera universale, nella quale il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. Pregare gli uni per gli altri…è la forma suprema di carità, perché fa appello all’aiuto del Signore che trascende le povere risorse di cui noi disponiamo…deve caratterizzarsi soprattutto per la sua universalità. Il suo orizzonte è la Chiesa universale e il mondo intero”.
È detta universale, in quanto aperta ai grandi interessi del regno di Dio; manifesta l’ansia dei credenti per la Chiesa e per tutte le necessità dell’umanità.
È l’attuazione pratica della raccomandazione di S. Paolo di pregare “per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere” (1Tim.2,1-2); abitualmente si prega:

  • per le necessità della Chiesa
  • per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo
  • per coloro che si trovano in difficoltà
  • per la comunità locale (IGMR 46).

Si può adattare maggiormente la successione delle intenzioni in alcune celebrazioni particolari, come matrimonio,confermazione, esequie ecc. 

È detta pure dei fedeli, cioè riservata ai battezzati. Anche oggi, i catecumeni eventualmente presenti devono essere congedati dopo l’omelia.
I fedeli presenti, nutriti dalla Parola di Dio e facendo eco a questa, esercitano il loro sacerdozio battesimale mentre pregano per l’umanità, condividendo gioie e speranze, tristezze e angosce di tutti.
È preghiera d’intercessione, di supplica al Padre per le necessità di tutti; è frutto dell’azione della Parola di Dio nel cuore dei fedeli.
Non necessariamente il contenuto delle letture deve entrare nella formulazione delle intenzioni di preghiera, ma vuol dire che la Chiesa, presentando al Padre bisogni e speranze del mondo, riesce a leggerli alla luce della Parola ascoltata.

Il presidente dell’assemblea guida la preghiera con:

  • monizione iniziale = invito a pregare
  • orazione finale = sintetica offerta e conclusione delle intenzioni proposte.

Le intenzioni sono proposte da uno o più fedeli, nel rispetto di questo speciale genere letterario:

  • siano brevi ed incisive: basta dire per chi si prega e cosa si domanda, senza lunghe descrizioni o prediche
  • evitino banalità e polemiche
  • siano legate tra loro per non ripetere inutilmente più volte la stessa intenzione
  • seguano una certa unità di stile (forma diretta o indiretta; formula di aggancio alla risposta dell’assemblea).

L’invocazione comune dopo ogni intenzione esprime la preghiera e la partecipazione attiva di tutta l’assemblea.
In IGMR 16 si dice che alcune “parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea: sono soprattutto l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale e la preghiera del Signore (Padre nostro)”. 
Ma, mentre la professione di fede si attua nella recita del Credo con una formula fissa, la preghiera dei fedeli si apre all’espressione creativa. In celebrazioni di gruppo è più facile proporre intenzioni con spontaneità. Nelle assemblee più grandi è bene prepararle prima, ma, per quanto è possibile, esprimano la fede e la preghiera di quella particolare comunità.

 

Fonte : http://digilander.iol.it/amicalucis/eucarestia.doc

Parola chiave per google : eucaristia tipo di file :doc

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