La Pasqua

 


 

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La Pasqua

PREMESSE

 

  • Pasqua è un vocabolo che richiama immediatamente un giorno di festa religiosa. Per i cristiani è il giorno santo della Risurrezione di Gesù Cristo; per gli ebrei, il grande giorno  dell’uscita dall’Egitto. In tutt’e due queste religioni, la Pasqua si esprime in una liturgia che si rifà ad un avvenimento.

Nessuna religione crea riti nuovi; spesso, invece, qualifica, modifica e perfeziona usanze precedenti con l’apporto di contenuti nuovi.
Così la Pasqua di Cristo è il contenuto nuovo della Pasqua ebraica, come la Pasqua ebraica è il contenuto nuovo della Pasqua degli agnelli.
Noi qui parliamo della Pasqua come esodo ebraico.

  • Il libro dell’Esodo narra, in un’unica epopea, l’evento pasquale unito ad altri importantissimi avvenimenti: la strage dei primogeniti, l’uscita dall’Egitto, lo spogliamento degli egiziani, gli azzimi. Nella narrazione si trovano elementi delle quattro antiche redazioni (J-E-D-P con altri frammenti redazionali), quasi a dimostrare l’importanza e la complessità di ciò che è successo e che viene tramandato.

Risulta chiaro che il racconto non è cronaca ma, accanto all’aspetto vagamente narrativo, vi è quello catechetico, liturgico, dottrinale e legislativo. Profeti, agiografi, sacerdoti e maestri del popolo hanno visto in quella Pasqua l’elemento fondante di tutta la realtà, la fede e la storia del popolo di Dio.
Il fatto storico è stato poi nei secoli arricchito di significati quanto più ampia e profonda ne divenne la comprensione. Potremmo dire, con linguaggio dei nostri giorni, che è una specie di flashback: al vissuto presente si innesta il ricordo e l’importanza di ciò che lo ha preceduto: ad esso ci si rifà, ovviamente magnificandolo.

IL VOCABOLO

 

Origine e variazioni del nome Pasqua:

  1. in aramaico è  PASHA (=PASKA), in ebraico è PESAH (=PESAK), che significa “passare”, “oltrepassare”, “saltare”. Pasqua significa dunque passaggio , transito, salto.

In greco fasek (fasek) è alterazione dell’ebraico pesak in pasek, ma più comunemente pasca – paska (paska).
In latino si trova PHASE (transitus) dall’alterazione ebraica pesak in pasek, ma abitualmente si ha PASCHA (dal greco) da cui l’aggettivo PASCHALIS.
In italiano PASQUA  (dal  latino e dal greco); in francese PÂQUE; in inglese: per gli ebrei si trova il vocabolo PASS OVER, che mantiene il significato di passare oltre, mentre dai cattolici viene usato EASTER (SUNDAY) come per i tedeschi OESTER (FEST), cioè festa orientale. È un antico…neologismo!

  1. si noti come le consonanti ebraiche, di origine sanscrita, siano alla base dei nostri vocaboli:

 

P

S

H

 

Pa

Ssa

Ggio

Italiano

Pa

Ssa

Ge

Francese

Pa

Ssa

Je

Spagnolo

Pa

Ss

 

Inglese

Per metonimia, poi, il vocabolo PASQUA è passato a significare non solo il passaggio (dall’Egitto alla libertà per il popolo ebreo, dalla morte alla risurrezione per Gesù Cristo), ma il rito che ricorda e celebra quel fatto. Pasqua è dunque anche il banchetto pasquale per cui si dice “mangiare la pasqua”. Non solo, ma pasqua è anche ciò che viene consumato in quel banchetto: l’agnello per gli ebrei, Cristo per i cristiani (cfr 1Cor. 5,7 “Pascha nostrum immolatus est Christus”. E’ “immolare la pasqua” ).
La prima pasqua, però, il più importante passaggio, è il passaggio di Dio (Es. 12,13).

 

  1. IL FATTO

È impossibile raccontare, dal testo sacro, che cosa storicamente avvenne in quella notte, anche perché la narrazione dell’uscita dall’Egitto ha due redazioni, quella della cacciata e quella della fuga, presentate in circostanze e con elementi diversi.
Si può comunque affermare che:

  • un gruppo di semiti, imparentati tra loro, uscì dall’Egitto.
  • Qualcosa successe che costrinse Faraone a lasciarli andare.
  • Un capo li guidò all’uscita e nel deserto fino alla terra di Canaan.
  • Non era chiara per essi la meta da raggiungere.
  • Già allora fu riconosciuto in questi fatti un intervento amoroso del loro Dio.
  • Da allora comincia una vita nuova per quelle popolazioni nomadi: diverse tribù stanno faticosamente diventando un popolo.
  • Tutto si compie e si perfeziona con l’insediamento nella terra dei Padri, la terra da cui erano anticamente partiti.
  • Straordinaria e determinante è stata l’esperienza del deserto e del Sinai.

 

IL RITO

 

La redazione sacerdotale (Es. 12,1-20) della cena pasquale è molto tardiva (sec. VI-V a.C.). Unisce al banchetto con l’agnello l’uso degli azzimi, che è certamente posteriore.
In realtà, non si sa quando iniziò quel rito. La Pasqua, infatti, non viene ricordata nell’antico codice dell’alleanza. Alcuni lo collocano all’entrata degli ebrei nella terra promessa, altri addirittura all’epoca del re Giosia (fine del VII secolo), dopo la scoperta del Libro della  Legge.
Comunque, esso si rifà all’uso antichissimo dei pastori che banchettavano con un agnello novello (festa degli agnelli) la notte prima della transumanza primaverile. Col sangue venivano asperse le tele della tenda per allontanare  gli spiriti maligni (ebraico MASKIT – Es. 12,13) dal gregge e dalle persone.
Il rito apotropaico, già noto prima dell’Esodo, è comune ancora oggi tra i nomadi dell’Africa (GABRA). Lo doveva essere anche ai semiti nomadi  e nell’Egitto.
Un agnello o un capretto maschio, di un anno, senza difetti, ucciso alla sera, arrostito sul fuoco, dissanguato, intero, doveva essere mangiato, senza rompergli nemmeno un ossicino, dalla comunità familiare, in piedi, con i fianchi cinti, i calzari ai piedi, il bastone in mano, in fretta, per poter presto partire il mattino seguente.
Insieme venivano mangiate erbe amare (indivia, cicoria e lattuga) cui poi vennero aggiunti un uovo sodo, un miscuglio di noci e mele grattugiate e impastate con vino e cannella. Il tutto (agnello,erbe, miscuglio) su un unico piatto; fuori dal piatto, sale e aceto o succo di limone, accanto al calice, o ai calici, del vino.
La sacra notte del banchetto pasquale era quella della luna piena (14° giorno) del mese di ABIB (cananeo) o delle spighe, poi chiamato NISAN (babilonese). Ciò che rimaneva, se rimaneva, doveva essere bruciato al mattino.

GLI AZZIMI (dal greco ça&zumh, senza lievito – in ebraico MASSOT) erano pani d’orzo non lievitato e indicati (dalla redazione D e P) come cibo complementare al banchetto pasquale. In realtà, non era cibo dei pastori, ma degli agricoltori cananei. Era per essi il rito dell’anno nuovo, quando si purificava la casa, da capo a fondo, eliminando ogni residuo di lievito (fermento) dell’anno precedente, e per una settimana si mangiava pane non lievitato. Doveva essere un inizio netto e nuovo: anno nuovo, orzo nuovo, lievito nuovo (ricordiamo 1Cor. 5,7: ”togliete via il lievito vecchio per essere pasta nuova poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”).
Evidentemente, le due feste di inizio anno (Pasqua e Azzimi) vennero unite quando gli ebrei (pastori) si insediarono definitivamente tra i cananei (agricoltori) e, come è noto, le feste della natura acquistarono un valore profondamente religioso.
Presso gli ebrei, alla fine le tre celebrazioni agricole e pastorizie:

  • Offerta delle primizie annuali, inizio mietitura (pane)
  • Ringraziamento dei frutti e delle messi raccolte
  • Vendemmia (vino) e completa raccolta annuale

divennero poi, rispettivamente:

  • Pasqua (PESAH-MASSOT) nel mese di Nisan (marzo-aprile, inizio d’anno), Festa del Passaggio di Dio e della liberazione del popolo. Inizio della storia ebraica. Cena pasquale.
  • Pentecoste  nel mese di Siwan (maggio-giugno), sette settimane dopo la Pasqua, cioè cinquanta giorni dopo; Festa della Alleanza al Sinai.
  • Tabernacoli (tende – SUKKOT) nel mese di Tisri (settembre-ottobre). Festa dei Preparativi per la partenza dall’Egitto e del soggiorno nelle tende (= tabernacoli) nel deserto (anche oggi, la famiglia ebrea che può, in questo giorno erige, presso la casa, una tenda di tela o di frasche).

 

SIGNIFICATO DEL RITO –MEMORIALE

L’ampio significato del rito pasquale è fissato scultoreamente dalla redazione sacerdotale: “Quel giorno sarà per voi un memoriale (zikkaron – anamnesis) e lo festeggerete come festa di JHWH: nelle vostre generazioni lo festeggerete come prescrizione perenne” (Es. 12,14). Lo stesso insegnamento – comando viene stabilito nella redazione deuteronomista: “Osserverete questo come una prescrizione per te e per i tuoi figli per sempre” (Es. 12,24).
“Memoriale” (zikkaron) è un vocabolo dal significato preciso nel testo biblico e amplissimo per i valori che contiene.
Di per se stesso, memoriale vuol dire ricordo, commemorazione, richiamo mentale, memoria. Ma la scrittura precisa che il memoriale non “si ha”, ma “si celebra”, “si fa”.
Celebrare il memoriale non è il ricordarsi, personale o collettivo, soggettivo e interiore, pubblico o privato, di un fatto, di un luogo, di una persona. È, invece, oggettivare, far presente realmente un fatto, un’azione di cui “si fa memoriale” nei gesti, nelle parole della solenne proclamazione rituale. È un rendere vivo, un rivivere un fare presente nella propria azione, nella propria persona, nella storia, quel che una volta è successo, facendolo ri-succedere in noi stessi.
Far memoriale non è ricordare il passato affinché non venga dimenticato, ma rendere il passato presente, vivendolo!
Il Dio che ha liberato il suo popolo, un certo giorno, in un certo luogo, in un certo modo, opera ora la stessa liberazione, oggi nel momento dello zikkaron (rito memoriale) in me, in noi, se accettiamo la SUA liberazione, che è totale, e ne diventiamo apostoli tra gli uomini.
Noi cristiani, nella celebrazione liturgica dell’Eucaristia domenicale, “celebriamo il memoriale della morte e risurrezione di Gesù” e annunciamo la sua morte fino a quando egli verrà, cioè riviviamo noi, personalmente e comunitariamente la sua risurrezione, risorgendo noi con lui a nuova vita, in lui, con lui, per mezzo di lui, operante ora in noi.

 

CONCLUSIONE

PASQUA è PASSAGGIO:

  • Dei pastori, che ‘passano’ dalla pianura alla collina.
  • Degli agricoltori, che ‘passano’a Dio le primizie
  • Di Dio, che ‘passa’ nel suo popolo
  • Del gruppo ebreo, che ‘passa’ dalla servitù di faraone al servizio di Dio, dalla sottomissione alla libertà.
  • Di Cristo, che ‘passa’ dalla morte alla vita, risorgendo
  • Del cristiano,  che nel Battesimo ‘passa’ dalla morte nel peccato alla vita nuova in Cristo e in Dio, nell’Eucaristia rivive in Cristo la sua morte e risurrezione e ogni giorno ‘passa da’ (=conversione, perfezionamento) ogni morte, ogni causa di morte, alla vittoria su ogni male per sé e per gli altri e consacra a Dio in Cristo il mondo intero.

PER CHI INCONTRA CRISTO E’ SEMPRE PASQUA!

 

Fonte: http://digilander.iol.it/amicalucis/Pasqua.doc

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