Islam

 

 

 

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L'ISLAMISMO

 

1. PREMESSA

La religione islamica fu fondata nel VII sec. da Maometto (c. 575 - 632). Nata nella zona centrale della Penisola Arabica, conobbe un'espansione rapidissima, imponendosi nell'arco di circa un secolo in Medio Oriente, nell'Africa Settentrionale, nella Penisola Iberica ed in Persia, sull'onda dei travolgenti successi militari degli Arabi. Oggi è uno dei culti più diffusi: si calcola che i suoi seguaci abbiano nettamente superato il miliardo e che, se le attuali tendenze demografiche si confermeranno nei prossimi anni, siano destinati ad aumentare ancora in maniera considerevole.
Storicamente l'Islam, insieme all'Ebraismo, è la religione non cristiana che ha esercitato i maggiori influssi sulla nostra cultura. Nel corso del Medioevo la civiltà musulmana si è mantenuta all'avanguardia nei campi più svariati: dalla matematica alla filosofia, dall'architettura alla medicina, dall'arte della navigazione alla tecnica militare. In tutti questi ambiti gli europei hanno imparato molto dagli arabi.
Durante l'epoca moderna la civiltà europea ha conosciuto una crescita impetuosa, che le ha consentito di affermare la sua supremazia in tutto il mondo. Contemporaneamente l'Islam nel suo complesso è entrato in una fase di decadenza sempre più accentuata, riducendosi in uno stato di subordinazione nei confronti delle potenze occidentali. Solo nel secondo dopoguerra alcuni stati musulmani hanno potuto raggiungere una situazione di benessere, grazie al processo di decolonizzazione ed allo sfruttamento di ingenti risorse petrolifere.
Negli ultimi decenni si è sviluppata una nuova forma di contatto: il crescente flusso migratorio dai paesi poveri ha condotto, e conduce tuttora, in Europa milioni di musulmani, rendendo il confronto tra le religioni cristiana ed islamica di stretta attualità.

 

2. MAOMETTO

Muhammad (poi latinizzato in Maometto) nasce nel 570 d.C circa alla Mecca da famiglia nobile, appartenente all’importante tribù dei Coreisciti, ma non troppo facoltosa. Orfano in tenera età per la morte di entrambi i genitori, è affidato al nonno e poi allo zio Abu Talib, grazie al cui aiuto diventa mercante. Sembra che questa attività lo abbia portato a compiere numerosi viaggi, che avrebbero avuto un ruolo di rilievo nella sua formazione culturale e spirituale. Intorno ai venticinque anni viene assunto dalla ricca vedova Khadigia, che sposa dopo qualche anno. Raggiunta ormai la piena tranquillità economica, egli può dedicarsi alla preghiera ed alla meditazione.
L'evento decisivo della sua esistenza si verifica quando, probabilmente nella notte compresa tra il 26 e il 27 del mese di ramadan del 610, riceve la rivelazione divina attraverso l'arcangelo Gabriele (Corano, sura 2,97), che gli trasmette l’intero Corano. Poco dopo comincia la sua attività pubblica, proclamandosi profeta del vero ed unico Dio ed invitando i suoi concittadini alla conversione (33,40).
Il suo messaggio monoteistico è in aperto contrasto con la religione araba, politeistica, che riconosce divinità astrali quali Luna, Sole e Venere e venera idolatricamente pietre, alberi ed altri oggetti, messi in relazione con le varie divinità, con le forze della natura e con gli antenati. La sua predicazione provoca una spaccatura alla Mecca, centro religioso di primo piano e sede di un importante santuario: da un lato si forma intorno a lui un gruppo di convinti seguaci, che accolgono il monoteismo tipico della sua dottrina; dall'altro lato la maggioranza della popolazione rimane legata al culto tradizionale ed ai suoi numerosi idoli. La rivalità tra le due fazioni diviene sempre più acuta e pericolosa: nel 622 Maometto ed i suoi fedeli fuggono nella città di Yathrib (chiamata poi Medina = città del Profeta). Si tratta della cosiddetta Ègira (= migrazione), episodio ritenuto tanto fondamentale nella storia dell'Islam da essere scelto come punto di partenza dell'era musulmana.
Ottenuto il controllo di Medina, Maometto raccoglie numerosi adepti e si prepara al ritorno alla Mecca, che avviene trionfalmente nel 630, in seguito ad una vittoriosa spedizione militare. Due anni dopo muore a Medina.

 

3. IL CORANO

Il Corano è il libro sacro della religione musulmana (dall'arabo quran = recitazione). Contiene la rivelazione che Dio ha rivolto a Maometto e che questi ha poi comunicato ai suoi discepoli. Dapprima tramandato oralmente, il Corano viene messo per iscritto dopo la morte del Profeta, trovando la sua versione definitiva durante il regno del terzo califfo (vicario e successore di Maometto), Utman (644-656).
Dal punto di vista letterario, l'opera appare priva di una struttura logica ben definita: gli elementi della dottrina islamica vi sono disseminati in modo non sempre coerente, ed i centoquattordici capitoli che la compongono (detti sure) sono disposti approssimativamente secondo il criterio della lunghezza in ordine decrescente (la sura più lunga è la 2a, con duecentoottantatrè versetti; le più brevi sono la 103, la 108 e la 110 con tre versetti). Le sure coraniche vengono distinte in due grandi sezioni: quelle dette “meccane”, costituenti circa due terzi del libro, risalgono al primo periodo della predicazione di Maometto, che ha come teatro La Mecca e si conclude con l’égira; quelle dette “medinesi” sono state composte dopo il 622 nella città di Medina. Le prime sono più brevi e si trovano verso la fine del testo, mentre le seconde, in cui si dedica ampio spazio alle questioni giuridiche e normative, sono più lunghe e poste nella prima parte del libro.
Per i Musulmani il Corano ha Dio come unico autore (10,37), e quindi assume un valore assoluto per l'uomo, al quale è concesso soltanto un atteggiamento di totale sottomissione alla parola della divinità (in arabo Islam significa "sottomissione", e Musulmano deriva da muslìm = fedele, sottomesso). Esistono scuole teologiche che studiano il testo coranico, ma più che altro allo scopo di ordinarne ed illustrarne i contenuti in modo efficace e difenderlo dagli avversari, senza procedere ad un approfondimento razionale dei dogmi islamici paragonabile a quello effettuato dalla teologia cristiana (è lo stesso Corano ad invitare gli uomini a non pretendere di capire cose che vanno al di là della loro comprensione: 3,7). Ritenendo che ogni parola del libro sacro sia di origine esclusivamente divina, i Musulmani restano molto legati alla lettera del testo e non utilizzano i metodi esegetici che i cristiani applicano alla Bibbia. Pertanto ancora oggi nell’Islam molto rari, ed in genere fortemente avversati, sono i tentativi di sottoporre il Corano ad un’interpretazione storico-critica.
Quanto ai contenuti, il Corano non propone una teologia particolarmente originale. Oltre che dalla cultura araba tradizionale, esso appare profondamente influenzato da Ebraismo e Cristianesimo (che Maometto conosceva forse anche grazie ai viaggi compiuti in gioventù), come risulta da una lettura anche superficiale del testo. I riferimenti alla Bibbia, infatti, sono davvero molto numerosi; basterebbe a questo proposito ricordare che dei venticinque profeti di cui parla il Corano, ben ventuno sono personaggi biblici. Grande rilievo hanno figure quali Abramo, Mosé, Maria e Gesù, che sono citati spesso ed oggetto di grande venerazione, pur se subordinati a Maometto, l'ultimo e più importante profeta di Dio.

Se il Corano è il libro sacro dell’Islam, l’unico a costituire la rivelazione divina, non poca importanza riveste per i Musulmani un altro testo antico, la Sunna (= usanza, consuetudine, tradizione), composta da cinque libri risalenti al IX secolo (cui alcuni aggiungono un sesto libro). Si tratta della raccolta degli hadìth (= “detto” o “fatto”), i racconti di episodi della vita di Maometto, ricostruiti grazie a catene di attestazioni che arrivano sino ad un testimone suo contemporaneo.
Poiché il Corano spesso si limita, anche per questioni di rilievo, ad offrire indicazioni di carattere generale - o comunque non sufficientemente precise da risolvere tutti i problemi ed i dubbi presentatisi successivamente -, il ricordo delle parole e delle azioni del Profeta ha consentito dopo la sua morte di definire regole di comportamento più precise e circostanziate. Con il passare del tempo tale forma di tradizione si è affermata come lo strumento principale per completare sul piano normativo le disposizioni coraniche, configurandosi come la seconda fonte scritta, dopo il Corano, della sharìa(= “via maestra”), la legge islamica.
La Sunna tratta materie di varia natura, spaziando da argomenti religiosi, quali la teologia (con riferimenti alla professione di fede ed ai profeti) e il culto (con indicazioni specifiche dedicate all’attuazione concreta dei Cinque Pilastri dell’Islam), a tematiche legate alla quotidianità, ed in particolare ai rapporti economici e commerciali (compravendite e contratti), alla vita familiare (matrimonio e figli), all’amministrazione della giustizia (reati e pene).

 

4. LA TEOLOGIA

Gli elementi dottrinali veramente importanti della religione musulmana non sono numerosi e vengono espressi con chiarezza. Quest’ultimo aspetto ha forse favorito la rapida, seppur inizialmente contrastata, diffusione dell'Islam presso popolazioni non molto evolute dal punto di vista culturale, come le tribù nomadi della Penisola Arabica: la fede di Maometto consentiva un notevole progresso sul piano morale e spirituale nei confronti delle credenze precedenti, e nello stesso tempo era facile da apprendere e dettava norme di comportamento ben definite. Ma non bisogna dimenticare che anche i sudditi dei grandi imperi bizantino e persiano, in parte eredi di civiltà e culti antichi e prestigiosi, aderirono massicciamente alla fede dei conquistatori musulmani, spintivi presumibilmente non solo da ragioni di carattere economico e politico, ma anche dalla semplicità del nuovo credo, che peraltro non doveva apparire a cristiani ed ebrei troppo lontano dalla religione d’origine.
Analizziamo brevemente i più rilevanti elementi della teologia coranica.
- Monoteismo assoluto
L’unicità e unità di Dio (Allah, che in arabo significa "Dio") è la verità di fede fondamentale dell’Islam. Allah è onnipotente e creatore di tutto ciò che esiste (6,102), trascendente (cioè del tutto diverso e superiore, totalmente altro dalle creature) (112,1-4), personale, onnisciente (57,1-4), giudice e rimuneratore (3,56-57), clemente e misericordioso (1,1; cfr. anche 59,22-24). A Lui sono attribuiti novantanove nomi, che i musulmani recitano facendo scorrere tra le dita i grani di una sorta di rosario (subha).
- Maometto
Egli è l'uomo scelto da Dio per trasmettere agli altri la Sua rivelazione definitiva (7,158), è il sigillo dei profeti (33,40).
- Le creature
Ciò che esiste è frutto della libera azione creatrice di Dio (44,38). Al vertice della creazione vi sono gli esseri dotati di vita spirituale, vale a dire angeli, demoni, ginn e uomini. Gli angeli sono incorporei e tra le loro funzioni vi sono quelle di adorare Dio e portare i suoi messaggi agli uomini (Gabriele trasmette la rivelazione di Dio a Maometto: 2,97). I demoni, tentatori e tormentatori dei malvagi (19,83; 43,36), sono guidati da Iblis, l’angelo (o ginn) che ha rifiutato di obbedire a Dio (2,34). I ginn, presenti già nelle credenze arabe preislamiche, sono spiriti che vivono sulla terra e possono essere buoni o cattivi, e saranno pertanto giudicati da Dio non diversamente dagli uomini.
L’uomo, come tutte le altre creature, è totalmente sottomesso a Dio, il suo destino è nelle mani di Allah dalla nascita alla morte (3,26; 6,17-18). Gli viene tuttavia riconosciuta una dignità straordinaria, quella di vicario (o rappresentante) di Dio sulla terra, che lo pone per certi aspetti al di sopra degli angeli (2,30-34).
- Giudizio finale e vita dopo la morte
La morte fisica, alla quale nessuno può sfuggire, è solo una realtà temporanea, perché sarà seguita dalla risurrezione (4,87). Nel giorno del giudizio verranno valutate le azioni degli uomini e ciascuno riceverà ciò che gli spetta (teoria della retribuzione). Dio pronuncerà allora una sentenza inappellabile: i buoni, posti alla sua destra, saranno accolti in paradiso, i malvagi, alla sua sinistra, subiranno la dannazione eterna (7,8-9; cfr. la sura 56, dedicata a resurrezione e giudizio finale).
Il Corano illustra inferno e paradiso con immagini estremamente realistiche, tanto che l'aldilà musulmano sembra presentarsi talvolta come una prosecuzione della vita terrena, in cui le gioie ed i dolori mantengono la loro materialità. Così i dannati bruceranno in una fornace (74,27-29), mentre i salvati vivranno per sempre in uno splendido giardino, ricco di ombra e di corsi d'acqua, si ciberanno di frutti prelibati e godranno della compagnia di meravigliose fanciulle (44,51-55).
Simili descrizioni dei piaceri paradisiaci sono difficili da accettare per la mentalità cristiana. Bisogna comunque evitare il grossolano errore di ridurre l'aldilà musulmano ad un livello di mera sensibilità, sottovalutandone la ricchezza spirituale. Se infatti varie volte il Corano attribuisce ai beati piaceri sensibili, afferma anche che questi saranno solo apparentemente simili a quelli sperimentati nel mondo presente (2,25). Inoltre, e soprattutto, si precisa che il premio più elevato per chi andrà in paradiso sarà la vicinanza di Dio (75,23) e il suo compiacimento (9,72).

 

5. LA MORALE

Il Corano non si limita a definire le grandi verità teologiche che abbiamo esaminato, ma detta anche un insieme di norme che orientano la vita dei fedeli nell’ambito morale, giuridico e liturgico . Poiché il fondamentale principio di comportamento cui ci si deve attenere è quello dell’obbedienza assoluta a Dio ed a Maometto (3,32), ogni credente è tenuto a rispettare il codice dettato dal libro sacro. Le regole basilari non sono molte - essenzialmente quelle contenute nei Cinque Pilastri - e devono essere applicate con serietà ma senza zelo eccessivo (7,31; in 5,87-88 si invitano i credenti a godere, seppur con moderazione, delle cose buone che Dio ha loro donato; per una sintesi del modello di comportamento proposto dal Corano v. 2,177).
Esaminiamo partitamente i cosiddetti Cinque Pilastri dell'Islam - professione di fede, preghiera, elemosina, digiuno, pellegrinaggio -, guida costante di ogni buon musulmano.
1. Professione di fede
Consiste nell’affermazione lapidaria dei due dogmi fondamentali dell’Islam: l’esistenza di un unico Dio e il ruolo di Maometto quale profeta di Dio (7,158). La formula che esprime queste due verità viene ripetuta durante la preghiera giornaliera.
2. Preghiera
Il Corano considera la preghiera come un obbligo primario e una pratica necessaria per ricevere l’aiuto divino (25,77). Ai credenti si raccomanda di dedicarvisi più volte al giorno (11,114; 17,78), tenendo il capo rivolto verso la Mecca (2,144). Le preghiere quotidiane, il cui numero venne fissato a cinque presumibilmente dopo la morte di Maometto, devono essere recitate in momenti prestabiliti: prima dell'alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto ed alla sera. Fu inoltre definito, sulla base delle indicazioni coraniche, il complesso rituale che deve essere osservato in tali circostanze, attraverso minuziose prescrizioni riguardanti non soltanto le parole da pronunciare, ma anche gli atti da compiere e le posizioni del corpo da assumere.
E’ il muezzin, dalla vetta del minareto (sorta di campanile che sorge presso la moschea) a proclamare l’appello alla preghiera, che può essere recitata ovunque ci si trovi nei momenti stabiliti per essa, anche se l’ambiente più consono per rivolgersi a Dio è la moschea, in cui l’assemblea si riunisce per la preghiera del mezzogiorno del venerdì (divenuto in tempi recenti giorno di festa dei Musulmani, memoriale del ritorno di Maometto alla Mecca nel 630) (62,9). In ogni moschea la direzione della Mecca (qibla) è indicata da una nicchia (mihrab) ricavata in una parete.
3. Elemosina
Ne esistono di due tipi: l’elemosina obbligatoria o legale, che rientra tra i Cinque Pilastri (zakàh), e quella volontaria (sadaqa). Ogni buon Musulmano che ne abbia la possibilità (2,219) deve donare una parte della propria ricchezza ai poveri (9,60), secondo il comandamento divino (2,254). Dal punto di vista religioso l’elemosina ha una funzione purificatrice (9,103) e serve ad espiare i peccati (2,271); chi la effettua sarà premiato da Dio (2,272-274). E’ anche espressione del senso di appartenenza alla comunità e riveste una particolare importanza sul piano sociale, in quanto consente di attenuare le tensioni generate dagli squilibri economici tra i diversi ceti.
La legge islamica ha successivamente dettato norme specifiche atte a stabilire l’entità dell’elemosina legale, che concernono tanto i prodotti di agricoltura e allevamento, quanto le merci ed i metalli preziosi (oro e argento); per quanto riguarda queste due ultime categorie, essa ammonta al 2,5 % del valore totale.
4. Digiuno
Il Corano impone un rigoroso digiuno diurno durante il Ramadàn, nono mese del calendario lunare islamico (2,185): dall'alba al tramonto i credenti devono astenersi totalmente da cibo, bevande e rapporti sessuali (2,183-187). L’importanza attribuita al mese di Ramadan è dovuta al fatto che in esso cadono gli anniversari di eventi molto significativi per la storia dell’Islam, quali la rivelazione divina ricevuta da Maometto (2,185; 44,3-4) e il suo ritorno vittorioso alla Mecca nel 630.
Poiché i musulmani adottano un calendario lunare che si articola in dodici mesi di ventinove o trenta giorni ciascuno, per cui l’anno risulta essere di undici giorni più breve rispetto a quello solare, non esiste legame fisso tra i loro mesi e le stagioni. Quando il Ramadan cade in estate, le pratiche penitenziali ad esso connesse, non facili da rispettare negli altri periodi dell’anno, diventano particolarmente gravose a causa delle molte ore di luce e del caldo.
La legge islamica, sviluppando alcune indicazioni del Corano (2,183-184), individua le categorie di persone che sono dispensate dal digiuno - quali malati, viaggiatori, donne in gravidanza - e stabilisce le modalità da seguire per rimediare all’inosservanza del precetto (digiunando in un periodo successivo o compiendo opere di beneficenza a favore dei poveri).
Lo scopo del digiuno è essenzialmente quello di favorire l'elevazione spirituale del credente, che nel corso del Ramadan testimonia la sua indipendenza dalle cose materiali e può così rivolgersi a Dio con rinnovato fervore.
5. Pellegrinaggio
Tutti i Musulmani che ne abbiano la possibilità sono tenuti ad effettuare, almeno una volta nella vita, il pellegrinaggio ai luoghi santi della Mecca (3,97). Si tratta di un'esperienza religiosa molto intensa, che si svolge nel rispetto di un complesso rituale. La pratica cultuale più nota è la circumambulazione della Kàaba, che consiste nel girare attorno, per sette volte in senso antiorario, all’edificio di forma approssimativamente cubica (il termine kàaba in arabo significa “dado”) nella cui parete di sud-est è incastonata la cosiddetta "Pietra Nera" (forse un meteorite).
Già nell’Arabia preislamica il pellegrinaggio era una pratica religiosa diffusa, e la devozione alla Pietra Nera è un elemento del culto tradizionale conservato dall’Islam. Fu lo stesso Maometto a confermarne il valore religioso, depurandola però dagli elementi idolatrici e pagani e inserendola nel contesto della nuova fede monoteistica. Così il Corano fa risalire la costruzione della kàaba ad Abramo ed a suo figlio Ismaele (2,125-127), che avrebbero agito per ottemperare alla volontà del Dio unico. Secondo la tradizione, inoltre, Dio avrebbe indicato il luogo sacro della Mecca addirittura ad Adamo, mentre sarebbe stato l’angelo Gabriele a donare ad Abramo la Pietra Nera, che, bianca in origine, si sarebbe annerita per i peccati degli uomini. In questo modo l’Islam si ricollega, per volontà del Profeta, ad un ipotetico monoteismo originario, che si sarebbe successivamente corrotto sino a degenerare nel politeismo idolatrico tipico della religione araba tradizionale.

I Cinque Pilastri, pur costituendo il fondamento della morale islamica, non ne esauriscono certamente i contenuti. Nel Corano, infatti, il fedele musulmano può trovare indicazioni anche minuziose sul comportamento da tenere in vari ambiti e situazioni, ampiamente integrate, come abbiamo detto, dalle disposizioni della Sunna. Ci limitiamo in questa sede a soffermare la nostra attenzione su due problematiche che rivestono un notevole interesse anche per la loro attualità: la guerra santa e la vita familiare, con specifico riferimento alla condizione della donna.
- La guerra santa
Uno dei principali doveri dei musulmani è quello di battersi per la propria fede, se necessario anche ricorrendo alle armi (2,244). Tale impegno può essere di natura pacifica (25,52), ma varie volte il Corano invita energicamente all'uso della forza contro i nemici dell’Islam (2,190-193; 2,244-246; 8,64; vari passi della sura 9). Si tratta della cosiddetta “guerra santa”, espressione con cui viene spesso tradotto il termine Jihàd, che in realtà significa letteralmente “sforzo” e denota un concetto più ampio, in quanto indica ogni forma di lotta, anche a livello interiore, sulla via di Dio, per la causa di Dio (2,190).
Non si tratta però di un mero incitamento al massacro degli infedeli: la guerra santa è regolamentata da norme ispirate ad una certa moderazione, che prescrivono di combattere solo se attaccati e di risparmiare coloro che rinunciano alla lotta armata (2,190-193). Una particolare clemenza è inoltre raccomandata verso la "Gente del Libro" - soprattutto ebrei e cristiani, devoti alla Bibbia -, di cui si riconosce la superiorità nei confronti dei fedeli di altre religioni. Mentre infatti i musulmani imponevano ai pagani di scegliere tra la conversione all'Islam e la morte, ai Popoli del Libro concedevano una terza possibilità: mantenere la propria fede pagando una tassa (9,29). Il tributo era in genere di entità piuttosto modesta, e doveva essere versato soltanto dagli uomini adulti in buona salute; ampie erano infatti le categorie esentate: bambini, donne, anziani, schiavi e poveri, compresi, quando si trovavano in tale situazione, i monaci. E’ probabile che la moderazione che caratterizzava queste norme abbia favorito le conquiste arabe ai danni degli imperi bizantino e persiano, che imponevano ai sudditi una gravosa fiscalità.
- Famiglia e condizione femminile
Nell’Islam l’istituzione familiare, e il matrimonio che ne è alla base, presentano caratteri che li differenziano in maniera non trascurabile dai modelli cristiani. Il matrimonio non riveste un particolare valore religioso, ma si configura essenzialmente come un contratto tra due persone consenzienti, che può essere rescisso per scelta dei contraenti (4,128-130) (anche se la volontà del marito ha un peso maggiore rispetto a quella della moglie). I rapporti familiari sono disciplinati dal Corano e dalla legge, che definiscono una rigida gerarchia, assegnando il ruolo preminente al marito.
Oggetto di discriminazioni appaiono ai non musulmani le donne, come risulta da un pur rapido esame di alcune delle disposizioni che le riguardano. La sura 4 al versetto 34 sancisce esplicitamente l’autorità maschile, motivandola con la preferenza accordata da Dio ad alcune creature e con il fatto che gli uomini mantengono le donne, e invita gli uomini a rimproverare e, in casi estremi, a picchiare le donne disobbedienti. Frutto della stessa mentalità appaiono anche le ben note regole sulla poligamia e quelle sull'eredità: ogni uomo può avere sino a quattro mogli (4,3); alla figlia femmina tocca una parte dell'eredità pari alla metà di quella che spetta al figlio maschio (4,11).
Il Corano è dunque un libro maschilista? Sembrerebbe difficile negarlo, dopo quanto abbiamo detto. Non bisogna però dimenticare che per valutare un’opera in modo corretto occorre metterla in relazione con la cultura e la mentalità dell’epoca in cui è stata composta. Se utilizziamo questo criterio dobbiamo rilevare che le norme che oggi riteniamo ingiuste e discriminatorie al tempo in cui furono emanate dovevano invece apparire innovative e tali da migliorare in modo non trascurabile la condizione femminile.
Assume un rilievo notevole il fatto che il Corano affermi la pari dignità tra i sessi sul piano religioso (33,35), in una società che, come quella dell’Arabia preislamica, conosceva la barbarica pratica di seppellire vive le neonate - condannata peraltro dal libro sacro (81,8-9; altri passi possono far pensare che lo stesso tragico destino fosse talvolta riservato anche ai neonati maschi: 6,137.140.151; 17,31). Ma anche analizzando più attentamente le norme cui abbiamo accennato si può trarre l’impressione che l’Islam abbia riconosciuto alle donne diritti che in precedenza non possedevano. La liceità della poligamia è in qualche modo temperata dalla clausola che impone all’uomo di comportarsi con giustizia nei confronti di tutte le sue mogli (4,3; poiché in 4,129 si afferma che è impossibile essere giusti con le proprie mogli anche volendolo, alcuni commentatori ritengono che in realtà il Corano vieti la poligamia). Si ammette inoltre che la donna, che nell’epoca pagana non aveva in pratica diritti di tipo economico, possieda dei beni autonomamente, stabilendo che essa debba ereditare (4,7) - seppur, come abbiamo detto, in misura minore rispetto agli eredi maschi - e ricevere una dote dal marito (4,4). Quanto al versetto già ricordato che consente all’uomo di esercitare il suo potere sulle donne anche con la forza (4,34), bisogna rilevare che esso ammonisce in seguito gli uomini affinché non maltrattino le donne che si comportano bene.
Rimane il fatto che ad un osservatore occidentale la mentalità e la prassi diffuse in prevalenza tra i musulmani sembrano ancora riservare alle donne un ruolo sostanzialmente subordinato . La causa principale di tale situazione va probabilmente ricercata nella tendenza ad applicare alla lettera le prescrizioni del Corano e di altre fonti tradizionali della legge islamica. Si è così determinata una sorta di cristallizzazione di un modello di società che, se nell’Arabia del VII secolo d.C. costituiva un ragguardevole passo avanti sulla via della civilizzazione, appare non più rispondente alle aspirazioni alla libertà e all’uguaglianza tipiche dell’epoca contemporanea.

 

6. ISLAM E CRISTIANESIMO

Nel corso della nostra trattazione abbiamo operato taluni confronti tra l'Islamismo ed il Cristianesimo, mettendo in luce tra l’altro l'esistenza di radici e tradizioni comuni di indubbia importanza. Vediamo ora di analizzare schematicamente i due ambiti in cui emergono con maggiore chiarezza gli elementi di continuità ma anche di evidente differenziazione tra le due religioni dal punto di vista teologico.
- Il monoteismo
Cristianesimo ed Islamismo sono - insieme all’Ebraismo, che ne costituisce in qualche modo la matrice - le grandi religioni monoteiste. Esse adorano un Dio unico, al quale riconoscono attributi in gran parte identici (v. fine pag. 2).
Ciò che differenzia realmente e profondamente l'Islamismo dal Cristianesimo sul piano dottrinale è il totale rifiuto dell'Incarnazione e della Trinità, che dà luogo ad un monoteismo estremamente rigido, da noi già definito "assoluto".
L'idea secondo cui Dio ha assunto la natura umana è per i musulmani assurda e blasfema, perché implica a loro giudizio una sorta di corruzione della natura divina, un’umiliazione di Dio, che secondo i cristiani si è abbassato sino ad assumere la natura umana. Il Corano, pur esprimendo a varie riprese stima e venerazione per Gesù, considerato un grande profeta (61,6), nega risolutamente la sua divinità (5,72; 4,171).
Altrettanto inaccettabile è il dogma della Trinità, che si scontra con la fede musulmana nell’unità ed unicità di Dio (5,73). Occorre notare che secondo il dogma cristiano le tre Persone divine non contraddicono l’unicità di Dio. Inoltre il concetto coranico della Trinità cristiana appare decisamente inesatto, e finisce per appiattirsi su di una sorta di triteismo (i cui membri, tra l'altro, sarebbero il Padre, Gesù e Maria: 5,116; secondo alcuni commentatori Maometto avrebbe inteso in questo caso criticare l’eccessiva importanza attribuita al culto della Madonna da parte di alcune sette cristiane della sua epoca).
- L'ispirazione e l’interpretazione dei testi sacri
Cristianesimo ed Islamismo credono entrambi che Dio si sia rivelato agli uomini, e che tale rivelazione sia stata  affidata alla parola scritta, ma le loro dottrine divergono a proposito delle modalità che hanno portato alla formazione dei testi sacri.
I cristiani ritengono che la Bibbia sia frutto dell'ispirazione dello Spirito Santo, cioè di un intervento di Dio che ha indotto alcuni uomini a mettere per iscritto la Sua parola, senza con questo annullare la loro personalità . Tra i diversi  libri della Bibbia, dunque, si possono individuare differenze dovute al carattere, alla mentalità ed alla cultura degli autori umani, o all'ambiente ed alle condizioni storiche in cui costoro sono vissuti. Per questo si considera un serio e meditato lavoro di interpretazione del testo sacro - che porti ad individuare il messaggio divino realmente espresso dalle parole scritte da uomini ispirati da Dio - non solo utile, ma talvolta indispensabile per comprendere in modo corretto la rivelazione divina.
I musulmani pensano invece che il Corano sia stato affidato da Dio, tramite l'arcangelo Gabriele, ad un unico uomo, che non avrebbe fatto altro che ripetere fedelmente le parole della rivelazione (2,97). Maometto non viene quindi considerato l'autore del Corano, che è di origine esclusivamente divina (10,37-38). Ciò favorisce un'interpretazione di tipo prevalentemente letterale del testo sacro: la parola di Dio, così come è espressa nel Corano, deve essere accettata senza riserve da ogni credente. Di conseguenza i musulmani rifiutano in genere di sottoporre il Corano a quell'analisi storico-critica che consentirebbe, tra l’altro, di attenuare gli effetti di prescrizioni che oggi appaiono superate o talvolta addirittura disumane, come le norme sulla guerra santa e sulla condizione femminile, alle quali abbiamo già fatto riferimento, nonché certe disposizioni sull'amministrazione della giustizia, ed in particolare l’applicazione di pene quali l’amputazione per il furto (5,38) e cento frustate per l’adulterio (24,2; peraltro la sharìa ha inasprito ulteriormente questa misura, comminando la pena di morte).

La situazione attuale
Un rapidissimo excursus sulla storia degli ultimi quattordici secoli sarebbe sufficiente a mostrare come i rapporti tra Cristianesimo ed Islamismo siano stati non di rado conflittuali, o quanto meno improntati a reciproca diffidenza. Ciò a causa non soltanto delle differenze esistenti sul piano teologico, ma anche di svariate ragioni di ordine politico, economico, culturale ed etnico.
La situazione attuale appare in rapida evoluzione. Tra i più gravi motivi di tensione citiamo:
- il diffondersi del fondamentalismo islamico, che, a partire soprattutto dal 1979 (data della conquista del potere in Iran da parte del movimento religioso guidato dall'ayatollah Khomeini), ha contagiato numerosi paesi musulmani, non esclusi quelli che in precedenza avevano compiuto passi significativi sulla strada della modernizzazione (Algeria, Turchia, Egitto);
- la massiccia e talvolta incontrollata emigrazione verso l'Europa di cittadini di stati musulmani in cerca di lavoro, che ha provocato episodi di intolleranza, sfruttamento e delinquenza comune, dando luogo ad una convivenza talvolta problematica.
- l’instabilità determinata dai tragici attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e Washington, seguiti dagli interventi contro il terrorismo da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati; alcuni interpretano tali eventi come segni di uno scontro incipiente tra la civiltà islamica e quella occidentale, espressione del nuovo bipolarismo che avrebbe sostituito quello tra paesi capitalisti e paesi comunisti, ormai superato a causa del disfacimento dell'Unione Sovietica;
- le tensioni legate all’irrisolta questione palestinese ed in particolare al destino di Gerusalemme, città santa per le tre grandi religioni monoteistiche.
Nonostante tutto questo, è lecito nutrire qualche concreta speranza per il futuro.
Innanzitutto, non è detto che le numerose occasioni di contatto tra i fedeli delle due religioni portino inevitabilmente ad esiti negativi: a volte, frequentandosi più da vicino, si impara a conoscersi meglio ed a rispettarsi reciprocamente.
In secondo luogo, il rischio di nuove guerre, che oggi appare concreto, può rendere l’impegno per la ricerca della pace il terreno di incontro di uomini di buona volontà di ogni schieramento.
Infine, l'atteggiamento dei cristiani nei confronti dei fedeli delle altre religioni si è evoluto, ed è in genere maggiormente improntato al rispetto ed alla ricerca della pacifica convivenza. Illuminanti sono a questo proposito le parole che il documento conciliare Nostra Aetate (del 28 ottobre 1965), sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane, dedica all'Islamismo: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio [...] Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani  e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a diffondere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (n.3).
Non mancano nemmeno da parte musulmana voci che invitano alla pace ed al rispetto reciproco. Bisogna auspicare che la mentalità fondamentalista, che appare oggi diffusa nell’Islam, possa essere superata a vantaggio di un atteggiamento moderato, che, basandosi se possibile su di un'interpretazione meno rigida e letterale del libro sacro e della tradizione, favorisca un dialogo sereno con i cristiani. Lo stesso Corano può offrire spunti per una simile prospettiva, allorquando prefigura la salvezza per tutti i credenti nell’unico Dio (2,62; 5,69).

 


Il termine “esegesi”, di origine greca, indica l’attività di interpretazione di un testo.

Mentre i cristiani considerano Gesù Dio fatto uomo, i musulmani ritengono Maometto soltanto un uomo.

Il termine “liturgia” indica l’insieme delle cerimonie e dei riti propri di una certa religione.

Si tratta di una generalizzazione che può prestare il fianco a rilievi critici, non foss’altro che per la diffusione dell’Islam in aree molto lontane tra loro dal punto di vista geografico e culturale, che si differenziano anche per gli stili di vita adottati. Non è questa tuttavia la sede per procedere alle pur opportune distinzioni, e sembra innegabile che una “questione femminile” esista e sia oggi uno dei principali punti di attrito tra la mentalità musulmana e quella occidentale (e cristiana).

A questo proposito la Costituzione Dogmatica Dei Verbum (documento promulgato dal Concilio Vaticano II il 18 novembre 1965 e dedicato alla divina rivelazione) afferma: “Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte” (n.11; sul tema dell’ispirazione e interpretazione della Bibbia si vedano anche i nn. 12 e 13).

 

Autore: non identificabile dal documento (se conoscete l'autore inviateci un e-mail)

Fonte: http://www.liceoparodi.it/DOCENTI/arnuzzo/ISLAM.doc

 

CONOSCERE L'ISLAM

 

L’intento di questo articolo è quello di offrire al lettore spunti di riflessione su un tema come quello dell’Islam, che per la sua complessità e molteplicità richiederebbe, per essere esaustivo, un luogo  concettuale e di elaborazione che va al di là di quello che può offrire lo spazio di un articolo. Nella consapevolezza del limite che questa trattazione avrà, si citeranno autori e opere che potranno completare e chiarire i vari punti affrontati.
Tranne che negli studi specialistici, si è sempre guardato all’Islam come ad un blocco unico, monolitico. L’Islam è invece qualcosa di variegato, multiforme, basti pensare alle diversità tra sunniti e sciiti o alle diverse “confraternite sufi”.  Pertanto, per affrontare in modo conciso tale tema, si cercherà di presentare gli elementi che tali correnti hanno in comune, tentando, dove è possibile, di mostrare i punti di contatto con il Cristianesimo e le diverse interpretazioni che sono state elaborate a riguardo.
Iniziamo dal termine utilizzato per denominare questa religione: nell’Islam non esiste una parola corrispettiva alla nostra per definire la propria religione. L’universo del mondo religioso islamico è dentro a due parametri: uno è il din (indica religione, ma etimologicamente significa “debito da pagare a qualcuno”) e l’altro è la stessa natura umana, che, in quanto creata da Dio, fa sì che ogni soggetto nato sia configurato islamicamente, in quanto il precostituito di ogni uomo è già ordinato e prefigurato all’Islam . Questi due termini, insieme a prassi e dawlah (“statalità”), indicano l’universo islamico. Il compimento di questi elementi dà vita alla politica, all’economia politica di Dio nella storia, cioè alla costruzione della “città virtuosa”.
E’ per questo che quando si parla di Islam occorre parlare di “ortoprassi” e non di etica,  perchè per essere musulmani bisogna essere configurati nell’ortoprassi. Per comprendere il significato di tale concetto bisogna capire che l’Islam è una domanda di guida dell’esistere, di indicazione di via, ma non è domanda su Dio, la cui credibilità si fonda sulla fede del Veridico che si chiama Allah. E’ etica da Dio, non di Dio, che non diventerà mai ethos. La connotazione etica è quella dell’abd, il servo, nelle mani del suo Padrone che deve accettare la shari’a. La domanda non è prettamente religiosa: da Dio il credente è sottomesso al Veridico. Il rapporto tra l’uomo e Dio è determinato da un Patto che viene liberamente offerto dal Signore all’uomo. L’uomo, “schiavo e servo di Allah”  una volta che ha accettato di diventare credente è chiamato a mettere in pratica le disposizioni che ha ricevuto da Allah.
L’idea del patto non solo è alla base dei rapporti tra Dio e gli uomini, ma viene estesa e serve a fondare anche le altre relazioni sociali, per esempio quale dev’essere il rapporto con il potere temporale dei khalifa, cioè i vicari del Profeta, o con l’imam, cioè la guida dei credenti o perfino la guida tra musulmani e non.
La shari’a, cioè la “Legge rivelata da Dio”, deve essere presa dal credente come guida nella manifestazione pratica della sua fede e della sua condotta, in vista della ricompensa finale nell’aldilà. La shari’a trova il suo fondamento e la sua autorevolezza dal Corano e dalla sunna, cioè la “Tradizione” profetica composta dagli hadit, cioè i “detti e i fatti” del Profeta.
Essa distingue tra gli ibadat e i mu’amalat.
Gli ibadat sono le norme che riguardano le manifestazioni del rapporto tra uomo e Dio e sono essenzialmente i cosidetti 5 “pilastri dell’Islam”, gli arkan al-din, che rimangono eterne e immutabili. A ciò si aggiunge la shahada, cioè la “proclamazione libera individuale e pubblica della proposizione enunciatrice della fede, “non c’è dio se non Dio e Muhammad è il Suo inviato” , che è l’unico vero dogma dell’Islam e ribadisce e conferma l’unicità assoluta di Dio, mentre tutti gli altri sono  doveri fondamentali, cioè obblighi collettivi che regolano la vita del fedele e riguardano prassi e non dogmi. Perciò, riallacciandoci a quello che era stato precedentemente anticipato, si deve parlare di “ortoprassi”, cioè di esistenza di una base comune di pratiche e rituali, piuttosto che di ortodossia intesa come perfetta conformazione e accettazione di dogmi e credenze . Queste prassi rituali sono: la preghiera,  l’astinenza (Ramadan), il pellegrinaggio e  l’elemosina.
Tra gli obblighi collettivi, a cui si devono conformare gli uomini, viene indicato anche quello del Jihad. La parola Jihad significa “sforzo su di sé in vista del perfezionamento morale e religioso”. Ha connotazioni complesse e almeno tre significati: combattimento contro se stessi, lotta per l’espansione dell’Islam (dunque combattimento contro gli infedeli) e combattimento contro i cattivi musulmani (“sempre, lotta sulla via di Dio.” ).
Gli mu’amalat, invece, stabiliscono le norme che devono guidare le azioni e le relazioni del credente con gli altri esseri umani e vanno a coprire tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica della comunità. Non sono eterni e immutabili come gli arkan al-din e, quindi, possono cambiare in base ai diversi tempi e luoghi, ma sempre in conformità allo spirito della shari’a. In linea teorica, secondo una visione diacronica, è riconosciuta la possibilità dell’attuazione di diverse forme di Islam. Ciò che viene considerato basilare in questa possibile diversificazione è il fatto di tenere fermi gli arkan al-din.
Il termine “Corano”, invece, indica “ripetizione ad alta voce, proclamazione, recitazione” ed è considerata come la Rivelazione per eccellenza che supera tutte quelle precedenti perché le conferma e le convalida. Se si vogliono trovare corrispondenze di strutture tra il l’Islam e il Cristianesimo, nello schema islamico il Corano, che è “Parola di Dio”, ha un ruolo corrispondente a quello del “Logos cristiano” . Quindi il ruolo corrispettivo della Bibbia per l’Islam è quello svolto dalla Tradizione cioè dalla sunna e dagli hadit. In questa logica appare chiaro come il fulcro nell’Islam sia il Corano, così come quello del Cristianesimo sia Gesù.
Per l’Islam Gesù è il perfetto musulmano perché dentro alla via si è sottomesso alla shari’a. I testi del Corano su Gesù si riferiscono all’Annunciazione, alla nascita, ai miracoli, ma non riconoscono la Trinità. Tengono quindi una posizione anti- trinitaria. A livello storico il problema della natura di Gesù non era ancora risolto quando il Corano si inserì in questa disputa aperta e prese posizione contro i Concili, dicendo che Gesù era un profeta. Quindi il Corano non vuole dare un’altra lettura cristologica ma nello stesso tempo non è anticristiano: è intervenuto in un dibattito enunciando una propria tesi. Nabi “profeta” e rasul “inviato” sono apposizioni che accompagnano il nome di Gesù indicandolo come un profeta, che è, poi, il tema più in voga nel contesto religioso arabico che non conosceva ancora i concili tenutisi sulla natura uomo/Dio.
Ciò che dà credibilità a Gesù come profeta, è il suo legame con i precedenti e la medesimità di quello che dice è la continuità con quello che hanno detto gli altri profeti prima di Lui. Quindi è un profeta e la modernità rispetto ai suoi predecessori è che in Lui si manifesta l’Onnipotenza di Dio: i miracoli in nome di Dio è un segno della potenza di Allah che lo differenzia dai precedenti. Muhammad, che è il vero di Maometto, è, invece, il sigillo che chiude la profezia. Allora nella circolarità del profetismo Muhammad chiude il profetismo. Gesù  è quindi il garante del monoteismo e professa la sottomissione di ogni uomo.  Ma non è Figlio, Egli è invece segno della Parola di Allah. Qui nasce il problema: il Corano ha una diversa idea di monoteismo e perciò esclude la dottrina trinitaria.
Nell’Islam non esiste il concetto di teologia come inteso in occidente, ma di kalam (discorsività) e nella storia dell’Islam è difficile distinguere tra filosofia e “discorsività”, tanto che i due temi si sovrappongono in senso apologetico per dare  fondamento all’ortoprassi. Non esiste una scienza speculativa teologica, ma la scienza per eccellenza per l’Islam è il diritto. Il kalam è, quindi, fatto per noi, e non per i credenti. E’ qui che troviamo il passaggio dall’unicità di Dio all’unità di Dio. Infatti c’è l’unicità interna di Dio per il principio che Dio non può essere frazionato ontologicamente. Gesù non è stato generato dal Padre e, per quanto riguarda la sua morte, momento più importante, non muore ma è tirato via dalla storia. Egli è dentro nell’argomentazione profetica non perché è Dio ma perché è profeta. Concludendo data la complessità e la specificità con cui l’Islam si manifesta occorre guardare questa forma e pratica di esperienza religiosa attraverso una chiave di lettura che non sia occidentale perché non è possibile comprenderla attraverso le nostre categorie concettuali.
Marzio Gatti

 

Bibliografia

Etienne Bruno, L’islamismo radicale, Rizzoli Milano 1988
Rizzardi G., Il dialogo possibile: i cristiani di fronte all'Islam oggi, Sciascia 2005
Rizzardi G., Il linguaggio religioso dell'Islam, Glossa 2004
Rizzardi G., Domande cristiane sull'Islam nel Medioevo, Lussografica 2001
Rizzardi G., L. Massignon (1883-1962). Un profilo dell'orientalista cattolico, Glossa 1996
Rizzardi G., La spiritualità islamica, Studium 1993
Rizzardi G., Introduzione all'Islam, Queriniana 1992
Rizzardi G., La sfida dell'Islam, Casa del Giovane 1993
Vercellin Giorgio, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi Torino 2002

 


I contrasti tra questi sono così radicati da scatenare rappresaglie e violenze. Vengono sistematicamente riportate sui media notizie di attacchi reciproci tra le due comunità.

Corano VII, 172

Vercellin G., Istituzioni del mondo musulmano

Vercellin Giorgio, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi Torino 2002

Bruno Etienne, L’islamismo radicale, Rizzoli Milano 1988, pag. 152.

Vercellin Giorgio, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi Torino 2002, p. 51-52

 

Fonte: http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/PagineDiocesi/AllegatiTools/146/Islam.doc

Autore : non identificabile dal documento

 


 

Islam

L’islamismo
Tratto dal libro C. Gobbetti  “Nel Silenzio del Mistero”
§ 502 Generalità
L’islamismo indica l’insieme di credenze fondate sul Corano, diffuso da Maometto.
Il Simbolo dell’Islam è una mezza luna accanto a una stella a cinque punte.
La mezza luna, oltre a ricordare la notte in cui a Maometto apparve l’angelo Gabriele che gli dettò il Corano, secondo alcuni studiosi potrebbe ricordare il culto precedente a Maometto verso il Dio Luna, che proteggeva i nomadi nel deserto. La stella a cinque punte simboleggia il pianeta Venere che, nella cultura araba, prima di Maometto, serviva come orientamento notturno nel deserto.

  • La divinità musulmana.

Il nome dell’unico Dio nella religione islamica è Allah. In altre lingue semitiche, ad esempio la Bibbia, Allah significava “Dio” (ElIlu, ecc.). Il primo articolo del credo musulmano recita: «Non c'è altro Dio (ilah) che Iddio (Allah)».
Nei confronti dell'Universo, Allah è il Creatore e Signore assoluto. Nei confronti dell'uomo è il Misericordioso.
La posizione dell'uomo nei riguardi di Allah è di assoluta dipendenza.

  • Il giorno sacro.

Il giorno sacro scelto da Maometto è il venerdì, per distinguersi dal rito ebraico che celebra il sabato e dal rito cristiano che celebra la domenica.
Al venerdì si prega nella moschea: la funzione, introdotta da una predica, per essere valida deve essere celebrata alla presenza di almeno 40 uomini.

§ 503 Vita di Maometto
Maometto nacque nel 570 d.C. alla Mecca, una città in cui transitavano le carovane che dalla Siria andavano nello Yemen e proseguivano per l’India.
Già dai tempi antichi la Mecca era un luogo sacro perchè vi era la Ka’Ba, l’edificio a forma di cubo (donde il nome) che racchiude nel muro esterno orientale una venerata “pietra nera” probabilmente un meteorite che gli arabi credevano mandata da Dio. Il culto della Ka’ba risale a molto prima di Maometto: era dedicato al Dio Hubal e ad altre divinità le cui immagini erano collocate all'interno del santuario. Maometto, quando conquistò la Mecca, distrusse tutti gli idoli presenti nella Ka’ba, per poi inserirla nella sua religione. Predicò che la Ka’ba era il più antico tempio di Dio, la cui edificazione veniva attribuita ad Abramo. Il padre di Maometto si chiamava Abdalah, la madre Amina. Purtroppo Maometto rimase orfano molto giovane: il padre morì prima della sua nascita, la madre quando egli aveva solo 6 anni. I parenti che lo adottarono ricoprivano l’incarico di custodi della Ka’ba e dei pellegrinaggi.  Da giovane Maometto era un commerciante; fu scelto come agente d'affari da Khadigiah, una ricca vedova che poi lo sposò e visse con lui ventitré anni dandogli sette figlie. Quando Khadigiah morì, Maometto ebbe nove mogli e molte figlie. La sua unica sfortuna, secondo la cultura araba, fu di avere solo figlie femmine.
Maometto conosceva molto superficialmente le religioni ebraica e cristiana, tuttavia, sin da giovane, era incline al misticismo: amava la solitudine e la meditazione. Parlò sempre con rispetto di Gesù di cui però non accettò la crocifissione. I musulmani non credono che Gesù sia stato crocifisso. Verso i quarant'anni cominciò ad avere quelle “rivelazioni da Dio” che lo faranno diventare il fondatore di una nuova religione rigidamente monoteista. Si narra che gli apparve l’angelo Gabriele, gli mostrò un libro e gli comandò di leggerlo. Ma Maometto non sapeva leggere. Tuttavia si narra che egli cominciò a recitare a memoria i versetti di quel libro, che diventerà il testo sacro dell’islamismo: il Corano (Qur'an, messaggio).
I primi a credere in lui furono la moglie Khadigiah, il cugino ‘Ali, il saggio mercante notaio della Mecca Abu Bakr e il servo Zaid. Tali uomini diventeranno suoi successori dopo la sua morte.
Maometto si considerava il “profeta”, ma all’inizio non ebbe molti seguaci disposti ad ascoltarlo e a credergli. Anzi proprio alla Mecca venne osteggiato dalla tribù dei Quraish (o coreisciti) a cui egli stesso apparteneva. Essi godevano in quell'ambiente una posizione preponderante.
Era l’anno 622 d.C. quando Maometto dovette rifugiarsi a Yatrib, la città che fu poi chiamata Medina.
La fuga, in arabo higra (egira), diede inizio all’islamismo; quell’anno fu assunto come anno zero nella cronologia islamica. A Medina Maometto costituì una governo di Dio (teocrazia) di cui egli era il capo spirituale e temporale assoluto. Questo sviluppo, religioso e politico al tempo stesso, lo portò a meditare sull’importanza di formare un unico popolo completamente svincolato da ogni legame tribale, unito sotto la sua guida nella fede dell’unico Dio (Allah).
Il primo notevole scontro di Maometto fu quello con i Quraish: la battaglia di Badr vinta dai musulmani restò famosa nella tradizione islamica e da essa Maometto trasse motivo per definire la “guerra santa” (gihad) come un dovere religioso. La guerra si svolse con fasi alterne, ma alla fine, nel 630, Maometto riconquistò la Mecca. Nel 632 il profeta, quasi prevedendo la sua prossima morte, rivolse ai fedeli il “discorso del commiato” proclamando la sacralità del territorio della Mecca. L'improvviso aggravarsi della malattia gli impedì di continuare nel suo compito, che fu affidato al fedelissimo Abu Bakr.
Maometto morì a Medina l’8 giugno del 632 d.C.. Gli succedette appunto il suo fedele amico Abu - Bakr che divenne il primo califfo, cioè “successore” del Profeta.

§ 504 La religione: il culto
La precettistica del culto si riduce ai cosiddetti “cinque pilastri” della fede:

  • la professione di fede,
  • il versamento della “decima” alla comunità,
  • recitare le cinque preghiere giornaliere alla stessa ora, con gli stessi gesti rivolti verso la Mecca;
  • il digiuno del mese di ramadan
  • il pellegrinaggio alla Mecca.

§ 505 Il ramadan
Il ramadan è il mese in cui Dio ha inviato la rivelazione al Profeta e pertanto va distinto dagli altri mesi con un comportamento particolare e ritualizzato.
Il digiuno e l’astinenza sessuale durante il ramadan non vanno intesi come “rinunce” in onore di Dio, ma piuttosto come rovesciamento dell'ordine delle abitudini. Il divieto di mangiare e di avere rapporti sessuali vale solo per le ore diurne, mentre di notte tutto è permesso; l'attività mondana, normalmente svolta di giorno, in questo periodo eccezionale si svolge di notte.

§ 506 Pellegrinaggio alla Mecca
Ogni musulmano deve compiere almeno una volta nella vita il pellegrinaggio alla Mecca. E’ la continuazione, in chiave islamica, dell’antico culto pagano rivolto a una pietra nera racchiusa in una costruzione cubica (Ka'ba) della città.

§ 507 La fede Si richiama a tre fonti:

  • il Corano (rivelazione esplicita),
  • la Sunnah o la tradizione sul comportamento di Maometto (rivelazione implicita)
  • il consenso della comunità.

La formula più nota che sintetizza la credenza islamica è la shahadah: «Non vi è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo Profeta». Nell’islamismo è fondamentale credere nell'immortalità dell'anima. Si crede nell'aldilà come Paradiso (Giannah o Firdaus) e come Inferno (Geenna), a cui si è destinati secondo i meriti conseguiti in vita. Anche nell’islamismo, come nel cristianesimo, si crede nella fine del mondo e nel Giudizio universale. Nella fede islamica si considerano gli angeli come esseri intermedi tra Dio e gli uomini. Allah li ha formati di luce; non hanno sesso e trascorrono il tempo lodando Dio in Cielo.
Gabriele è l’angelo che ha avuto il compito di trasmettere a Maometto la rivelazione divina. Iblis è il diavolo, un angelo decaduto per non aver voluto adorare Adamo. Si crede in certi spiriti, detti ginn, probabilmente di origine pagana.

§ 508. Il Corano
Il testo sacro dell'Islam è il Corano (arabo Qur’ân, libro della dichiarazione di Dio). Secondo la fede musulmana contiene le rivelazioni fatte da Allah al profeta Maometto e da questi dettate ai suoi scrivani.
In realtà il Corano venne fissato per scritto intorno al 650: dopo circa venti anni dalla morte di Maometto. L’ordine di scriverlo venne dal califfo ‘Uthman’ e da una commissione presieduta da un segretario del profeta, Zaid ibn Thabit. Anche nel cristianesimo i vangeli sono stati scritti da testimoni oculari di Gesù dopo qualche anno dalla sua morte.
Il Corano è suddiviso in 114 preghiere (capitoli), dette surah,di varia lunghezza, ordinate, a eccezione della prima, dalle più lunghe fino alle più corte. Sono suddivise in versetti (arabo aya), anch'essi di varia lunghezza. Ogni surah è preceduta, a eccezione della nona, dalla formula detta basmala, “In nome di Allah clemente e misericordioso”. Secondo la fede islamica, autore del Corano è Allah stesso, il quale l'avrebbe rivelato a Maometto per mezzo dell'arcangelo Gabriele. Prima del Corano “terrestre” esisteva un Corano “celeste” (detto Umm al-kîtab, Madre della Scrittura) iscritto nella cosiddetta “Tavola Custodita”. I commentatori islamici del Corano riconoscono diversi periodi di composizione: 3 della Mecca e 1 di Medina.
§ 509 La moschea
La moschea è il luogo di culto islamico. Nei tempi più antichi non era riservata unicamente alla preghiera in comune, ma aveva anche le funzioni del majlìs, il “parlamento” delle tribù arabe.
Nelle moschee oltre a insegnare il Corano, si discutevano i problemi della comunità, si esercitava la giustizia e si conservava il tesoro.
Dall’alto dei minareti i müezzin pronunciano l'adhan, l’invito alla preghiera nei cinque appuntamenti del giorno.
Il richiamo per le preghiere veniva fatto in origine dal tetto degli edifici; solo più tardi si impiegarono a questo scopo delle alte torri (i minareti), che avevano anche lo scopo di testimoniare la vittoria dell'Islam.
L'esigenza liturgica richiede che i fedeli siano orientati, durante la preghiera, in file parallele verso la Mecca.
In ogni moschea vi è una “nicchia” (mihrab) più o meno profonda (in origine veniva semplicemente disegnata) che serve per segnalare la qibla, ossia la direzione della Mecca verso cui deve essere rivolto il viso dei fedeli in preghiera.
Nelle moschee vi è il minbar, specie di pulpito per la predica del venerdì, il giorno festivo dei musulmani. Di solito è in legno (talvolta anche in pietra o marmo) e si trova alla destra dove vi è quella particolare nicchia mihrab con la qibla che indica la direzione della Mecca.
La moschea si ispira al modello della casa di Maometto.
E’ di solito costituita da un ampio cortile (sahn), spesso quadrato, circondato su tre lati da portici e sul quarto da una sala di preghiera con corridoi paralleli al muro dove vi è la qibla. Al centro del cortile, o in un locale vicino, vi è un impianto per le abluzioni rituali.

§ 510 La Sunna e i sunniti
La Sunna è la tradizione delle regole dell'Islam che fanno capo non al Corano, ma alla vita e alle opere di Maometto. Le norme della Sunna vengono ricavate dai detti di Maometto e dal suo comportamento.
La Sunna completa il Corano o ne fa le veci quando mancano passi coranici adeguati alle circostanze.
I sunniti sono i seguaci della Sunna. Secondo i sunniti nessuno può succedere a Maometto, perchè solo Maometto può essere il “sigillo dei profeti”.
Il Califfo (successore del profeta) può solo agire in stretta dipendenza dal Corano. Vengono scelti i Califfi tra i membri maschi della tribù dei quraish a cui apparteneva Maometto.
Gli sciiti sono i seguaci di ‘Alì, cugino e genero di Maometto.
Può essere iman (califfo o teologo giurista autorevole) solo un discendente di Maometto attraverso la figlia Fatima e suo marito ‘Alì.
Gli sciiti respingono la Sunna e formano la confessione islamica ufficiale dell’Iran. Professano dottrine segrete e misteriose.
Fra le minoranze musulmane ricordiamo i drusi.
§ 511 Profeti e inviati
Nell’islamismo si fa distinzione tra profeti e inviati:

  • i profeti, per lo più biblici, sono coloro che hanno avuto il compito di conservare il vero culto ad Allah;
  • gli inviati hanno avuto il compito di trasmettere la rivelazione di Dio (Allah), i suoi messaggi.

La serie dei profeti inizia con Adamo, prosegue fino a Gesù e si chiude con Maometto considerato l'ultimo Profeta e Inviato di una serie di personaggi che nel Corano sono 25 ma che, secondo la tradizione, raggiungono la cifra di 124.000. Maometto viene anche detto nel Corano Khatam (Suggello o sigillo).

  • L’Ayatollah (miracolo di Allah).

E’ il titolo onorifico in uso nei Paesi islamici di fede sciita attribuito alle supreme autorità religiose, dotate di profonda competenza teologica e di speciali qualità umane e civili, tali da farne veri e propri capi carismatici: l'ayatollah Khomeini (1900 - 1989) ha dominato la scena politica dell'Iran.
Khomeini divenne famoso per la sua intensa propaganda politica contro il regime dello scià (titolo del sovrano dell'Iran). Fu il capo dei tradizionalisti sciiti iraniani; dall'esilio francese condusse la fase finale della rivoluzione islamica, che culminò con la fuga dello scià da Teheran e il ritorno in Iran di Khomeini, accolto trionfalmente il 1º febbraio 1979. Khomeini viene anche ricordato per la lunga e sanguinosa guerra contro l'Iraq (1980-88).
Destò scalpore la condanna a morte lanciata contro lo scrittore indiano Salman Rushdie, considerato blasfemo per il contenuto del libro “Versetti satanici”.

§ 512 I sufi
I Sufi sono i “Santi” o i mistici islamici. Il nome sufismo serve per indicare le pratiche spirituali dell’islamismo. Un tempo i sufi si ritiravano dal mondo per dedicarsi alla contemplazione di Allah, mediante ascesi e mortificazioni. Attorno a essi in qualche modo si polarizzava la religiosità del popolo, in un alone di stima e venerazione. Considerati come “santi”, se ne venerarono le tombe. Attorno a tali maestri del cammino spirituale islamico, si formarono dei gruppi di discepoli. A partire dal sec. XIII, diedero luogo a veri e propri ordini monastici. Nel fenomeno generale del misticismo va compresa l'azione di quei “santoni”, noti col nome di dervisci, che raggiungevano l'estasi mediante danze estenuanti, musiche, autoferimenti e ripetizione meccanica di formule sacre. Alla spiritualità pratica si deve aggiungere quella intellettuale filosofica o teologica, e soprattutto quella poetica, che ha dato vita a una vasta letteratura.

§ 513 Il sistema politico
È strettamente legato al sistema religioso: i due ambiti non si possono separare. L'insegnamento del Corano, oltre a dirigere l'orientamento politico di tutto il mondo musulmano, impone le sue leggi.
Le due idee più interessanti di questo sistema politico - religioso sono quelle della guerra santa e del califfato.
La guerra santa (gihad) è considerata dai musulmani come il sesto pilastro della fede, da aggiungere ai cinque fondamentali. E’ un dovere sociale.
I nemici che si convertono alla fede islamica sono accolti nella comunità dei fedeli; sugli altri si esercita o la “conquista per forza” o la “conquista per trattato”. In questo secondo caso, i “popoli del Libro” (ebrei e cristiani) divengono “protetti” pagando un'imposta fondiaria; più tardi, questa concessione si allargherà anche agli idolatri. I “protetti” conservano il possesso della terra e il diritto di praticare il loro culto.
La comunità musulmana è governata da un khalifa o imam (califfo). Egli è il successore o meglio il “vicario” di Maometto nell'esercizio delle funzioni politiche e giudiziarie.
Si riconosce nel califfo il titolo di imam, il capo religioso, il difensore della fede e il persecutore degli eretici. Durante l'Impero ottomano il sovrano era il sultano; il califfato era soltanto una carica religiosa. Poco dopo l'abolizione del sultanato (1922), fu abolito dai Turchi anche il califfato (1924).
Nel 1926 l'Egitto tentò di restaurare la carica e si tenne per questo una conferenza degli Stati islamici; ma il tentativo si concluse con un nulla di fatto. L’Imam è il titolo dato in origine a colui che dirigeva le preghiere (“sacerdote”), passato poi a designare il capo supremo dell'Islam secondo i musulmani di fede sciita. L'Imam è l'infallibile interprete della volontà di Allah.

Cap. 11
Islamismo e cristianesimo

§ 514. Il Corano e la Bibbia
Il Corano ha profonde radici derivate dalla cultura religiosa ebraica. Le storie della Bibbia presenti nel Corano sono state molto rielaborate; ne riportiamo qualche esempio.
Alcune preghiere del Corano recitano la creazione di Adamo ed Eva, aggiungendo che il peccato originale risale ad Eva, la quale, prima del frutto, offrì del vino proibito dalla legge islamica. A tutte le donne come discendenti di Eva, furono inflitte dieci punizioni tra cui le mestruazioni, le doglie, il parto.
Secondo il Corano, l’odio tra Caino ed Abele era nato a causa di una bella donna, gemella di Abele, che Caino intendeva sposare.
Il suggerimento a Caino per la sepoltura sarebbe stato un corvo.
Il personaggio biblico Seth , figlio di Adamo ed Eva, imparò a dividere il tempo in ore e giorni, visse 912 anni e costruì la Ka’ba.
Spesso Maometto viene identificato con Noè il quale, salendo sull’arca, ordinò il digiuno per scongiurare il diluvio. Da questi esempi si può ben notare come siano distorte le opinioni che i musulmani hanno sulla Bibbia, ma anche i cristiani sul Corano.
Nel Corano Gesù, detto Isa, è il figlio di Maria ed è semplicemente una creatura inviata da Dio per portare il messaggio di un libro: il vangelo.
Gesù è solo un “inviato” ai figli d’Israele, penultimo profeta prima di Maometto. Non si crede che Gesù sia stato crocifisso, e ancor meno nella sua resurrezione nè che sia il salvatore del mondo come incarnazione del Figlio di Dio nella Trinità .
Tuttavia i musulmani credono che Gesù sia “Parola di Allah” , misteriosamente salvato da Dio.
Isa (Gesù) tornerà sulla terra alla fine dei tempi e, durante il suo giudizio, smentirà i seguaci che l’hanno voluto divinizzare.
Nel Corano vi è solo qualche punto in comune con il Gesù dei vangeli, spesso differisce per quanto nega, per quanto non dice, per quanto afferma.
Il Corano cita spesso Maria: è una delle quattro donne “elette” insieme a Fatima (figlia di Maometto), a Khadigia e A’isa, due delle mogli del profeta. I musulmani, come i cristiani, credono nella verginità di Maria, la madre di Gesù, verso la quale hanno un profondo rispetto.

§ 515. L’islamismo e il Concilo Vaticano II
Il Concilio Vaticano II considera in tale modo la religione musulmana:
“Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale.” (Lumen Gentiun cap. II, n. 16)

“La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce.
Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione.
Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio giudicherà secondo i meriti tutti gli uomini risuscitati.
Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.” (Nostra Aetate n. 3)

Ricordiamo ai lettori che alcune sure (preghiere) del Corano possono essere recitate anche dai cristiani cattolici per il loro contenuto non contrastante con la dottrina cattolica.
Ricordiamo inoltre che se la dottrina cattolica invita al confronto e alla preghiera con i musulmani, non significa che essi sono altrettanto disponibili con i cattolici.

G. Cionchi - M. De Falco Marotta Il Dio dell’Uomo: il cattolicesimo in dialogo con le altre religioni ed. Paoline 1987.

I drusi sono una minoranza e godono di particolari autonomie politiche, conquistate con la violenza contro Turchi, Arabi e Cristiani. Sono generalmente pastori, agricoltori a forte struttura patriarcale.Oggi sopravvivono nel Libano dove per lungo tempo esercitarono una grande influenza politica e religiosa. A essi si dovettero le stragi di cristiani degli anni 1845-60, che costrinsero gli Europei a un intervento armato nel Libano. Essi lottarono tenacemente contro i Francesi, ai quali venne affidato il mandato sul Libano dopo la I guerra mondiale. Si arresero soltanto nel 1927. Nella travagliata storia del Libano contemporaneo, i Drusi sono stati spesso protagonisti di sanguinosi scontri. Dalla metà degli anni Settanta hanno opposto le fazioni cristiane alle diverse milizie islamiche.

L’Imam è anche un discendente di ‘Ali, il genero di Maometto, ma non è un semplice mortale, perché assistito in modo particolare da Dio (come vogliono gli zaiditi). Gli sciiti duodecimani, detti particolarmente imamiti per l'importanza fondamentale che annettono alla dottrina dell'imam, sono così chiamati perché fissano gli imam in numero di 12, di cui l'ultimo è “nascosto”; in sua vece detiene il potere temporale un “capo del tempo”, come veniva chiamato dai fedeli lo Shah di Persia.

Seth. Nacque da Adamo ed Eva dopo l'uccisione di Abele e il suo nome è il grido uscito dalla bocca della madre, felice di avere un nuovo figlio che le ricordasse il buon Abele. Secondo la Genesi (4,25) Seth avrebbe iniziato il culto a Yahwèh.

Corano sura 5,75 3,49; 5,111 ecc).

Corano sura 4, 157; 19, 34s;  112, 3; 9, 30s.

Corano sura 3,39 - 45; 4,171.

Corano sura 4, 159; 5,116.

Nella Sura 3,47 e nella 21,91 si sottolinea la verginità di Maria.

 

Fonte: http://www.governolo.it/Dispense/2_quadrimestre/-%203%20Sup%20Islamismo%20tratto%20da%20Nsm.doc

 

ISLAMISMO

MAOMETTO

            Il fondatore dell’Islamismo è Maometto. Nacque intorno all’anno 570 d.c. alla Mecca. Illetterato, ma profondamente intelligente, ebbe la fortuna di sposare una ricca vedova, Khadigia, di cui era cammelliere. Verso il 610, ebbe una particolare esperienza religiosa: secondo il suo racconto, gli apparve in visione l’angelo Gabriele che gli annunciò la missione di dover predicare come profeta l’esistenza di un unico Dio, l’imminenza del giudizio e la necessità di convertire gli infedeli con la guerra santa.

            Ora, la penisola araba era abitata da pastori nomadi e beduini, per lo più credenti in molteplici divinità: di conseguenza era molto fiorente, soprattutto alla Mecca, dove si conservava la Khaaba, o Pietra Nera, che si diceva portata in terra dall’Angelo Gabriele, un ricco commercio di statuette di idoli ed oggetti superstiziosi. Poiché la predicazione di Maometto incontrava successo presso i semplici fedeli, i Commercianti, sentendosi minacciati, tentarono di uccidere Maometto e si sollevarono contro di lui. Così il profeta, il 15 luglio del 622, fu costretto a fuggire dalla Mecca a Medina, e da questo giorno per gli islamici comincia l’Egira, o Era Mussulmana, da cui cominciano a contare il tempo.

            A Medina la parola del Profeta incontrò un grande successo : egli dapprincipio si considerava l’Ultimo Rivelatore, che dopo Mosè e Gesù veniva a restaurare le prerogative del Dio Unico, ed ingenuamente propose ad Ebrei e Cristiani di unirsi sotto l’Islamismo. All’inizio, infatti, sostenne che la religione Cristiana e quella Ebraica tendevano naturalmente a quella Islamica, e quindi erano delle religioni con molti elementi buoni e giusti. Ma quando il suo tentativo di conciliazione fallì, iniziò a sostenere con virulenza che Ebrei e Cristiani avevano tradito la parola di Dio annunciata dai Profeti Mosè e Gesù ed avevano pervertito il vero Islam, per cui andavano considerati come infedeli e o si convertivano, o andavano sterminati. Solo a lui, Maometto, Dio aveva rivelato e dettato la sua parola, che sotto sua dettatura, solerti scrivani riportarono nel Corano, e che qui vi era la vera fede.

            Il successo di Maometto fu determinato dal fatto che egli cercò di conciliare la cultura araba, i suoi usi e costumi, con la fede nell’unico Dio, facendo rientrare in maniera vincente nella tradizione Islamica gli usi e costumi del suo popolo. Così ben presto rientrò vittorioso alla Mecca ed iniziò una conquista religiosa della penisola araba che fu allo stesso tempo anche politica. La religione si diffondeva fulmineamente, dando unità alla nazione araba, fino a quel momento divisa, che riconosceva Abramo, padre di Ismaele, il suo patriarca. Intanto, l’8 giugno del 632, Maometto moriva, ma l’incendio era ormai accesso.

            Dopo di lui Abu-Bekr domò le tribù arabe ribelli e il califfo Omar fondò l’impero arabo teocratico, con legge civile e legge religiosa coincidenti, e così autorità civile, militare e religiosa.

 

Fonte: http://www.parrocchiapoggiosannita.it/documenti/utili/RELIGIONE/MAOMETTO.doc

 

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