Alcool etilico

 

 

 

Alcool etilico

 

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ALCOOL

 

L'alcol alimentare (alcol etilico o etanolo), presente in diversa concentrazione nelle bevande alcoliche, è una sostanza che deriva dalla fermentazione degli zuccheri contenuti nella frutta (il vino), oppure degli amidi di cui sono ricchi cereali (la birra) e tuberi.


Le bevande alcoliche sono costituite per la maggior parte da acqua, e per la restante parte da Alcol etilico o etanolo.


La presenza di alcol in quantità variabile è comune a tutte le bevande alcoliche. Quelle ottenute per fermentazione come la birra e il vino contengono quantità di alcol piuttosto basse: 3-8% per la birra, 10-15% per il vino.Quelle ottenute per distillazione (es. acquaviti) contengono in media il 40-60% di alcol mentre quelle ottenute per miscelazione o macerazione (es. liquori) possono contenerne dal 27% fino al 70%.

L’etanolo è una sostanza estranea all’organismo: viene assorbito già nelle prime porzioni del tratto gastro-intestinale, entra nel sangue, quindi si distribuisce in tutti i liquidi corporei, per raggiungere infine il fegato.


Il corpo umano è abbastanza in grado di sopportare l’etanolo senza evidenti danni, purchè si rimanga entro i limiti di un “consumo moderato”, e cioè non più di 2/3 Unità Alcoliche al giorno per l’uomo, non più di 1 / 2 per la donna, e non più di 1 negli anziani.
Una Unità Alcolica (U.A.) corrisponde a circa 12 grammi di etanolo; una tale quantità è contenuta in un bicchiere piccolo (125 ml) di vino di media gradazione, o in una lattina di birra (330 ml) di media gradazione o in una dose da bar (40 ml) di superalcolico.
L’alcol possiede un proprio valore energetico (7 kcal per g) ed in questo senso deve essere considerato un nutriente anche se le sue calorie vengono in gran parte disperse dall’organismo sotto forma di calore.
Non esistendo la possibilità di deposito per l’alcol nell’organismo, esso deve essere rapidamente metabolizzato. L’eliminazione avviene principalmente attraverso i polmoni (respiro – odore di alcool), i reni (urina), e in piccola parte (circa 10%) attraverso la traspirazione cutanea.
La principale via di metabolizzazione dell’alcol passa comunque attraverso il fegato, che non per niente è l’organo principalmente a rischio nel consumatore cronico (cirrosi epatica).
La capacità degli enzimi presenti nel fegato di trasformare l’etanolo è limitata: si calcola che, in condizioni normali, in una persona adulta sana, il fegato trasformi circa mezza unità di alcol ogni ora. Quindi un bicchiere di birra da 330 ml o un bicchiere di vino da 125 ml vengono metabolizzati in circa 2 ore.
E’ meglio bere alcolici a stomaco pieno, perché questo fa sì che l’etanolo sia assorbito più lentamente e che diminuisca la quantità che entra nel circolo sanguigno.

La concentrazione dell’etanolo nel sangue dipende da vari fattori:
- quantità ingerita;
- modalità di assunzione (digiuno o durante i pasti);
- peso;
- sesso (le donne sono più vulnerabili);
- quantità di acqua corporea;
- capacità individuale di metabolizzare l’alcol;
- abitudine.
A seconda della quantità ingerita, ovvero delle concentrazioni che l’alcol raggiunge nel sangue, si hanno determinati effetti sull’organismo:
1. lesioni epatiche;
2. mentre se ingerito in quantità modesta può stimolare la secrezione del succo gastrico ed aumentare la motilità dello stomaco, dosi elevate sono al contrario inibenti;
3. azione depressiva sul sistema nervoso centrale. Sotto l’azione dell’alcol, dopo una breve fase di eccitazione, si riducono progressivamente la destrezza manuale, la discriminazione visiva ed uditiva, si abbassa la percezione tattile, diminuisce la velocità di risposta motoria e risultano compromesse le facoltà di memoria, critica e apprendimento;
4. effetti sulla termoregolazione: nei soggetti esposti al freddo l’alcol aumenta la perdita di calore. Infatti la sensazione di fugace riscaldamento dopo l’assunzione di etanolo dipende da una transitoria vasodilatazione cutanea, che favorisce un’ulteriore termodispersione;
5. diminuzione della vascolarizzazione dei muscoli;
6. aumenta la produzione di lattato;
7. elevato valore calorico: 1 litro di vino contiene mediamente 80-90 g di alcol, pari a circa 550-630 calorie.

 

Il meccanismo di azione dell’alcool
Dopo essere stato ingerito, l’alcool viene assorbito dal tratto digerente; passa poi nel sangue e raggiunge il fegato dove viene metabolizzato.
L’assorbimento è rallentato dalla presenza nello stomaco di cibi, soprattutto se ricchi di grassi.
Come già indicato, l’eliminazione avviene attraverso i polmoni, i reni e la traspirazione cutanea.
L’alcool inizialmente non metabolizzato resta in circolo, raggiungendo tutti i corpi cellulari e attraversando la barriera ematoencefalica e placentare.
L’alcool agisce soprattutto come depressore dei centri cerebrali superiori, cioè quelli che hanno soprattutto azione inibitoria, e quindi il suo effetto iniziale è la stimolazione.
Riducendo le tensioni e le inibizioni, il soggetto proverà una sensazione di ebbrezza, un sentimento di benessere e potrà sentirsi facilitato nelle relazioni sociali.
A dosi più elevate, però l’alcool inizia prima ad interferire con i processi ideativi e di pensiero; poi va ad interessare la coordinazione motoria, l’equilibrio, la parola e la vista.
L’alcool ha anche la capacità di attutire il dolore e, in dosi maggiori, di indurre sedazione e favorire il sonno. Quando la percentuale di alcool nel sangue supera valori importanti, le reazioni possono essere molto gravi arrivando alla perdita di coscienza e alla morte.

 

La dipendenza da alcool.
Al di là dell’intossicazione acuta legata ad un episodio sporadico, vi è la ben più grave condizione di dipendenza da alcol, caratterizzata da una situazione clinica molto simile alla tossicodipendenza da droghe.
Infatti presenta i due meccanismi tipici della tolleranza e delle reazioni di astinenza.
Per alcoolismo si intende un disturbo a genesi multifattoriale (bio-psico-sociale) associato all’assunzione protratta di alcool etilico capace di produrre una sofferenza multidimensionale che si manifesta in modo diverso nei vari individui.
Si ritiene che l’alcoolista parta, normalmente da un quadro problematico precedente all’evento della dipendenza; diventando poi dipendente dalla sostanza, perda ulteriormente contatto con il controllo cosciente delle proprie azioni. La dipendenza diventa così inevitabilmente portatrice di ulteriori problematiche legate a tutti gli ambienti di vita del soggetto (famiglia, ambiente lavorativo, vita sociale).
L’alcolismo cronico, oltre ad un deterioramento psicologico, comporta un grave danno fisiologico. Quasi ogni tessuto e ogni organo del corpo ne è interessato.
Si può andare incontro a malnutrizione grave che porta ad una diminuzione del complesso delle vitamine del gruppo B, con grave perdita della memoria.
Altre complicazioni note sono l’ipertensione, l’infarto, le alterazioni a carico delle ghiandole endocrine e le emorragie dei vasi capillari, che sono responsabili del rossore del viso.
Dato che l’alcol non metabolizzato è in grado di raggiungere anche la placenta, un forte consumo di alcol durante la gravidanza può determinare un ritardo dello sviluppo del feto e del neonato, e può causare malformazioni del cranio, facciali e degli arti, nonchè un ritardo mentale.

 

Fonte: http://www.isgallarate.it/public/sys.insegnanti/MaterialeDidattico/173657ALCOOL.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Alcool etilico

Patologia da alcool etilico

 

In questa breve trattazione vengono illustrate le principali modalità con cui l’alcool etilico può danneggiare diversi organi e tessuti ed in modo particolare il fegato, dove l’alcool stesso viene in gran parte metabolizzato e dove quindi si esplica la sua azione tossica.

Fin dall’antichità le bevande alcoliche venivano tenute in grande considerazione come elementi di completamento degli alimenti e come mezzo gratificante delle riunioni e dei contatti, soprattutto tra membri della stessa famiglia e tra amici, anche nel campo degli scambi commerciali.  In altre parole, a cominciare dalla scoperta delle bevande del tipo della birra dell’antico Egitto fino all’elaborazione del vino e dei superalcolici, l’alcool ha spesso fatto parte delle nostre abitudini conviviali e degli scambi amichevoli e sociali.  Tuttavia le bevande alcoliche hanno sempre rappresentato un pericolo, soprattutto dovuto alla dipendenza fisica e psicologica che possono creare. 
E’ difficile poter stabilire un preciso limite tra l’entità nell’uso delle bevande alcoliche nel campo della perfetta salute, rispetto alla tendenza a sviluppare fenomeni tossici a carico del sistema nervoso centrale e di altri organi, in primo luogo del fegato, considerando nello stesso tempo il pericolo di sviluppare un reale dipendenza dall’alcool stesso. 
Sulla patologia da alcool, come rilevato da molti Autori moderni e dal nostro gruppo di ricerca, è da considerare il fatto che realmente l’alcool può sviluppare un’attività tossica diretta  a carico delle cellule del fegato, del sistema nervoso centrale, del pancreas, dell’apparato digerente e dei vasi ematici. Ma è sempre difficile escludere in assoluto la partecipazione di altri fattori, tra cui il meno esplorabile è quello virale. 
Fino al 1990, infatti, molte forme di epatopatia cronica venivano semplicemente etichettate come epatopatia da alcool.  A questo primo fattore si è poi aggiunto il fattore rappresentato soprattutto dal virus C dell’epatite cronica, una volta stabilito che queste due fattori, tra loro molto diversi, possono tuttavia concorrere nel provocare danni epatici anche irreversibili. 
E’ stato del resto già confermato scientificamente come l’uso e soprattutto l’abuso di bevande alcoliche favorisce in modo notevole la proliferazione e l’aggressività del virus C, mentre per l’epatite da virus B le prove non sono ancora del tutto affidabili.  Dato che, tuttavia, in tutto il mondo esistono più di 200 milioni di portatori di virus C, metà dei quali affetti da epatopatia cronica, si è posto subito il problema di cosa possa avvenire in Italia.  Nel territorio nazionale sono presenti non meno di 2 milioni di portatori di questo virus, che risulta relativamente resistente alla terapia virale.
Altro elemento di certezza è rappresentato dal fatto che il modesto abuso alcolico non viene in genere denunciato e l’abitudine di bere bevande ad alto o basso contenuto alcolico può rappresentare senz’altro un’abitudine a sfondo sociale, come avviene in molti campi del commercio e anche in caso di scambi culturali.  In questo caso si sviluppa una popolazione che, sebbene non importante dal punto di vista numerico, è tuttavia sempre a rischio elevato e riconoscibile nei cosiddetti “socialdrinkers”. 
In pratica, quindi, possiamo avere un numero consistente di pazienti che consumano bevande alcoliche in compagnia di altri durante scambi culturali o sociali, senza pensare che quest’abitudine possa essere pericolosa.  Ciò si verifica soprattutto al di fuori del normale pasto, cioè subito prima di esso per quanto riguarda gli aperitivi e subito dopo per quanto concerne l’uso dei cosiddetti digestivi a contenuto alcolico generalmente più elevato.  In queste condizioni l’abuso alcolico può non essere ritenuto, tale per cui molti soggetti continuano a bere quantità di bevande alcoliche che essi non ritengono pericolose. 
Come insegna l’esperienza clinica, è talora difficile ottenere l’astensione assoluta da questo tipo di soggetto, ma ciò può essere reso indispensabile nel caso che il paziente sia già portatore di un’infezione virale cronica, in modo particolare da virus C. 
Un altro campo in cui le bevande alcoliche devono essere completamente abolite riguarda la steatosi epatica, soprattutto quando la steatosi accompagna una sofferenza perenchimale del fegato, dimostrata dall’elevazione delle transaminasi.  In questo caso i segni di sofferenza epatica in molto casi regrediscono con l’astinenza assoluta, il che realmente conferma che esiste una popolazione a rischio che presenta spesso un sovvrapeso corporeo con i segni ecografici dell’accumulo di grasso nel fegato, ciò che va appunto sotto il nome di steatosi
La completa astinenza delle bevande alcoliche è particolarmente utile sia nel caso che esistono segni di un processo epatitico anche non virale (la cosiddetta steato-epatite) sia che invece sia espressione di una semplice degenerazione del fegato da accumulo di trigliceridi.  Fra l’altro, in questi casi, l’astensione dalla bevande alcoliche può contribuire a ridurre il peso corporeo e a ripristinare un metabolismo normale.  Infatti, negli altri casi la steatosi di per sé può essere espressione di quella che viene definita come resistenza insulinica e cioè scarsa sensibilità all’insulina normalmente prodotta dal pancreas e che si trova nel sangue circolante a livelli normali o addirittura aumentati. 
Nei soggetti suddetti, continuare nell’abuso o anche nell’uso delle bevande alcoliche non permette il ripristino di un normale equilibrio metabolico e quindi spinge il paziente verso la manifestazione tipica della cosiddetta sindrome X o sindrome metabolica.  In quest’ultima, infatti, oltre all’obesità, all’intolleranza insulinica e alla steatosi si può sviluppare anche una sindrome ipertensiva per cui il paziente è ormai costretto ad effettuare restrizioni sia dietetiche che igieniche che lo sacrificano molto di più rispetto alle normali precauzioni rappresentate dalla semplice astensione dalle bevande alcoliche.
Per quanto concerne la pericolosità della patologia da alcool è da sottolineare come negli Stati Uniti sono state accertati 12.000 casi di morti per abuso alcolico per ogni anno di osservazione, mentre la sopravivenza a 10 anni dalla diagnosi di epatopatia alcolica non supera il 7%.  Per quanto concerne l’Inghilterra, in alcune casistiche di pazienti affetti da cirrosi epatica la patologia da alcool etilico è considerata responsabile fino all’80% dei casi. 
A questa evoluzione così drammatica concorrono tuttavia altre concause, di cui la più importante è rappresentata dalla già citata infezione cronica da virus C delle epatite.   Pur considerando tale partecipazione alla patologia epatica, si può senz’altro affermare che, almeno in Italia, l’abuso alcolico rappresenta l’unica causa o quella prevalente in 15.000 soggetti che ogni anno muoiono per cirrosi epatica. 
I sistemi metabolici che sono alla base dell’attivo catabolismo dell’alcool etilico sono rappresentati nell’uomo soprattutto dall’alcool-dedrogenasi e dal cosiddetto MEOS (microsomal ethanol oxiding system).  Il primo sistema è quello determinante e più attivo per valori di alcolemia non elevati e cioè inferiori a 50 mg/100 ml di sangue.   Per i valori superiori interviene nel secondo sistema metabolico basato soprattutto sull’attività del citocromo p450. 
In questo sistema metabolica si verifica la rapida trasformazione dell’alcool etilico in acetaldeide, che deve essere successivamente ossidata ad acetato in una frazione di tempo molto breve.  Infatti, è proprio l’acetaldeide che rappresenta una molecola particolarmente pericolosa perché capace di provocare rash cutanee, tachicardia e talora shock, fenomeni questi facili da osservare in alcune popolazioni asiatiche, nelle quali il sistema enzimatico è difettoso. 
Oltre al fegato, anche la mucosa nell’apparato digerente riesce a neutralizzare l’alcool etilico, soprattutto nei soggetti di sesso maschile.  Questo effetto metabolico, detto di primo passaggio, sembra tuttavia ridursi nei soggetti che sono diventati etilisti cronici. 
Per quanto riguarda il rapporto preciso fra l’assunzione delle bevande alcoliche e l’epatopatia in genere si ritiene che l’assunzione di una quantità di alcool compresa tra i 40 e gli 80 grammi al giorno, possa essere già ritenuta pericolosa, tanto che dopo 10 anni la prevalenza di epatopatia dovuta all’alcool diviene elevata. 
I fattori che possono favorire la tossicità dell’alcool sono rappresentati soprattutto dall’aggiunto di anidride carbonica alla bevanda alcolica, come avviene ad esempio per gli aperitivi.  Per effettuare un rapido calcolo del contenuto in grammi di alcool per litro è bene ricordare in pratica una gradazione alcolica di 12 corrisponde a circa 10 grammi di alcool.  Pertanto è possibile contenere il consumo di alcool soprattutto se la bevanda viene assunta a stomaco pieno, mentre questa diviene molto più pericolosa se contiene additivi chimici o conservanti.  Altro problema rappresentato dalla birra, anche se a bassa gradazione, e dai digestivi e superalcolici il cui contenuto in alcol è sempre superiore ai 15-20 gradi.
In conclusione, un buon bicchiere di vino può essere un utile stimolante per l’appetito e digestione a fine pasto in soggetti che non abbiano già una sofferenza epatica, per i quali è bene evitare ogni bevanda alcolica, sia per quanto riguarda la steato-epatite che le varie forme di epatite cronica soprattutto se dovute ad infezione cronica da HCV.

                                                                                                                  Autore: Prof. Paolo Gentilini

Fonte: http://ilf.dfc.unifi.it/contributi_scientifici/Patologia%20da%20alcool%20etilico%20-%20Prof.%20Gentilini.doc

 

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