Depressione definizioni e sintomi

 


 

Depressione definizioni e sintomi

 

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Come provare ad uscire dalla depressione.


http://it.ewrite.us/come-uscire-dalla-depressione-21584.html

 

Uscire dalla depressione e dalla tristezza non solo è possibile, ma è doveroso!
Abbiamo una fondamentale responsabilità verso noi stessi che non dovremmo mai dimenticare. Ed ecco alcuni semplici passi,
che ci portano fuori da un mondo in bianco e nero verso un
mondo a colori. La vita è bella (anche se fa male) e vale la pena di viverla fino in fondo!
Allora, fuori dal tunnel!

 

Istruzioni
La depressione è un fenomeno complesso, che dipende da molti fattori. Non voglio banalizzarla né intendere sostituirmi ad un parere medico o psicologico, che anzi, consiglio caldamente in caso di depressione media o grave. Tuttavia, esistono alcuni semplici passi, che possono modificare in meglio qualsiasi tipo di depressione, senza effetti collaterali. E il miglioramento che possono produrre va molto al di là di quanto potremmo immaginare, partendo dalla semplicità del consiglio stesso.

Al lavoro, dunque!

 

1°PASSO - INIZIARE A FARE ATTIVITA’ FISICA

Sono ormai molti gli studi scientifici che hanno dimostrato in modo inconfutabile, l’importanza dell’attività fisica per uscire dalla depressione. In alcune ricerche si è addirittura confrontata l’attività fisica con l’effetto degli antidepressivi (SSRI - Inibitori della ricaptazione della serotonina. Quelli che adesso sono più usati e vanno per la maggiore, come ad esempio il Prozac o lo Zoloft). Ebbene, si è constatato che l’attività fisica manifesta un effetto più rapido dello psicofarmaco, nell’alleviare i sintomi della depressione, agisce prima e, soprattutto, il risultato rimane stabile nel tempo, ossia chi fa attività fisica regolare, mostra meno ricadute. Gli antidepressivi, di solito impiegano 15 giorni, prima di manifestare la loro attività, l’esercizio fisico agisce prima, 10 giorni spesso sono sufficienti per notare i primi risultati positivi.
Ciò che conta è la REGOLARITA’ e la COSTANZA dell’esercizio fisico, che deve protrarsi per almeno MEZZ’ORA ogni volta, per almeno DUE, TRE VOLTE a SETTIMANA. Non è necessario che si inizi con un esercizio fisico intenso, anzi è preferibile iniziare gradualmente, senza strafare, perchè il rischio se si fa troppo, è quello poi di doversi fermare, azzerando così i benefici raggiunti. Mai come in questo caso è vero il detto: “Chi va piano va sano e va lontano”. Occorre tenere presente questa regola, che potremmo sintetizzare con LDL. Ossia; Lentamente, Dolcemente, Lungamente.

*Individuiamo ciò che ci piace fare di più, che ci diverte.
*Poniamoci degli obiettivi realistici ed iniziamo gradualmente.
*Non facciamo diventare l’attività fisica un ulteriore dovere della nostra vita. Cogliamone l’aspetto ludico, divertente, rilassante.
*Non scoraggiamoci se qualche volta non riusciamo a seguire il programma che ci eravamo prefissati. Non condanniamoci, ma cerchiamo di fare meglio la prossima volta.
*30 minuti 2 o 3 volte alla settimana di attività fisica anche moderata (come addirittura camminare a passo medio) sono sufficienti per iniziare a vedere dei risultati.
*Occorre perseverare per almeno oltre 10 giorni.
*Costanza e perseveranza premiano più di un esercizio intenso, stressante e saltuario.

EFFETTI DELL’ATTIVITA’ FISICA SULL’ORGANISMO

1) aumenta la produzione di ENDORFINE (che come si sa favoriscono un senso di benessere generale).
2) diminuisce il livello di CORTISOLO (l’ormone dello stress) nel sangue, diminuendo così la sensazione di essere stressati, tesi, nervosi.
3) aumenta il livello di AUTOSTIMA
4) aiuta a vedere la vita con più OTTIMISMO.
5) aumentano i livelli di SEROTONINA (che è legata al miglioramento del tono dell’umore, alla regolazione dell’appetito e del sonno)

 

2°PASSO - ESPOSIZIONE LUCE SOLARE



Non è vero che il sole fa male. Anzi, è molto importante per la regolazione del tono dell’umore. Molti studi scientifici hanno evidenziato la correlazione tra mancanza di esposizione alla luce solare e depressione. Tant’è che esistono anche delle apposite lampade a spettro totale, cui esporsi in caso di mancanza di luce solare diretta (ad esempio le CHRONOLUX distribuite da Samarit Meditalia, oppure le CROMATICA di Nordelettronica). Questa terapia viene chiamata fototerapia e consiste nell’esposizione programmata per un periodo che progressivamente va da 30 a 120 minuti al giorno, ad una fonte di luce. Indicazioni all’uso della fototerapia:

*disturbo affettivo stagionale
*Depressione non stagionale
*Alterazione del ritmo sonno veglia
*Sindrome della fatica cronica
*Disturbi del sonno

L’esposizione alla luce solare o ad una lampada a spettro totale, modifica alcuni parametri biologici, come i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress), di melatonina (l’ormone che regola i ritmi sonno - veglia), e della serotonina (che è legata al tono dell’umore, alla regolazione dell’appetito, al ritmo sonno-veglia).

 

3° PASSO – RISOTERAPIA

Ridere fa bene all’umore e alla salute. Scioglie le tensioni, allevia lo stress, permette di superare i conflitti ed i momenti di impasse. Studi controllati hanno testimoniato che chi ride guarisce prima anche da malattie fisiche, ed ha meno ricadute. Norman Cousins in un libro ha documentato la sua esperienza di essere guarito da una grave e debilitante malattia con l’aiuto della risata. Come fare? Occorre programmare la visione di film comici, acquistare e leggere libri comici, circondarsi di persone allegre e con uno spiccato senso di umorismo. Provare per credere! L’effetto è garantito!

 

4° PASSO - INDIVIDUARE LE AREE PROBLEMATICHE DELLA PROPRIA VITA


e fare un elenco dei problemi più assillanti. Sceglierne uno (il più difficile, o il più facile, o il più urgente, il criterio di selezione non conta. Ciò che è importante è sceglierne uno), spezzettarlo in tanti passaggi intermedi ed affrontare ogni giorno un pezzetto del problema. Questo ci permette di risolverlo gradualmente e senza stress eccessivo. Vedrete quanto fa bene all’umore affrontare un piccolo mostro ogni giorno!

 

5° PASSO - AUMENTARE IL CONSUMO DI OMEGA 3


Spesso i livelli di assunzione di Omega3 (olio di pesce) nella nostra alimentazione sono carenti. Allora occorre supplementarli con Omega3 integratori alimentari. Si è visto che per la depressione la frazione EPA degli Omega 3 è molto più efficace della frazione DHA. Esistono in commercio integratori di Omega3 specifici per la depressione, contenenti una frazione di EPA 7 volte maggiore di quella con DHA. Per esempio MOREPA della Minami Nutrition che è prodotto in Belgio ed è acquistabile via internet. In alternativa, occorre arricchire la propria alimentazione con alimenti ricchi di Omega3, come ad esempio: alghe, pesce azzurro (gli sgombri sono più ricchi in assoluto di Omega3), salmone non di allevamento, semi di lino, olio di semi di lino e le noci.

 

6° PASSO - PET THERAPY

 

Avere un piccolo animale, aiuta a stare meglio e a guarire dalla depressione. Ce lo dicono molti studi scientifici condotti finora in tutto il mondo. La cosa migliore sarebbe avere un cagnolino. Portarlo fuori, a spasso, aiuta a socializzare e quindi ha un effetto antidepressivo aggiuntivo. Se un cagnolino è troppo impegnativo si può optare per un gatto, o per degli uccellini. Al limite una pianta. Ma attenzione, se si prende un animaletto occorre agire con responsabilità: bisogna prendersene cura, amarlo, trattarlo bene e non abbandonarlo come un oggetto, quando non serve più. L’amore e l’affetto che la piccola creatura ci donerà, ripagheranno infinitamente ogni nostro sforzo e impegno dedicato ad essa.

 

7° PASSO - AUMENTARE IL PROPRIO GIRO DI CONOSCENZE ED AMICIZIE.

 

Socializzare è molto importante per uscire dalla depressione e per prevenirla. L’uomo è un animale sociale e noi abbiamo bisogno di dare e ricevere amore al pari del cibo e dell’acqua. L’amore è un vero e proprio bisogno biologico per la nostra specie e trascurarlo puo’ costarci molto caro in termini di benessere e di salute. Come fare? Iniziamo a tirare il naso fuori casa. compriamo in edicola riviste specializzate, che riportino tutte le attività che si svolgono nella nostra città (a Roma per esempio ci sono “Roma c’è”, che esce il mercoledì e “Trovaroma”, l’inserto di Repubblica del giovedì). Scegliamo una nuova attività a settimana (escursione, incontro, visita guidata , mostra d’arte,musica, ecc) e partecipiamo. Coraggio! La parte più difficile sta nell’inizio. Dopo sarà tutto più facile e più divertente!

 

8° PASSO - INDIVIDUARE COSA CI DA PIACERE.

 

Stiliamo un elenco di 20 attività che ci danno piacere o che ce ne davano prima di cadere in depressione. Scegliamo una attività dall’elenco, a settimana , ed iniziamo a praticarla. Anche se non ne abbiamo voglia. Anche se pensiamo che non serve a niente. Facciamolo e basta! Poi osserviamo gli effetti sul nostro umore di tale pratica. E’ giusto gratificarsi con delle attività piacevoli e non è affatto tempo sprecato o sottratto ad altre attività più importanti. Prendersi cura del nostro benessere è importante ed è una scelta che si concretizza con tanti piccoli gesti quotidiani. Meritiamo di stare bene. Al lavoro, dunque!

 

9° PASSO - CREARE UNA CONNESSIONE SPIRITUALE

 

Pregare, meditare, fare yoga, partecipare ad un gruppo di spiritualità, cercare una connessione con il proprio Sè superiore, ritirarsi a riflettere: sono tutte attività che aiutano sensibilmente in caso di depressione. In molti casi la depressione è dovuta alla perdita di contatto con la nostra parte spirituale, alla perdita di significato che ne deriva. Guardiamoci intorno e scegliamo una attività che ci ispira. Alla lunga non potremo più farne a meno e ci domanderemo come abbiamo fatto a rinunciarci per così tanto tempo.
In bocca al lupo e buon lavoro!

Un abbraccio forte ad ognuno di voi con l’augurio che possiate stare ogni giorno sempre meglio e che il vostro livello di energia e felicità cresca di giorno in giorno!

PER SAPERNE DI PIU’

* www.youtube.com “La depressione, fra normalità e malattia”. E’ un video di matrice psichiatrica, che spiega come distinguere tra normalità e malattia, in caso di depressione.
* www.youtube.com “Il grande antidoto alla depressione” Video in due parti, che spiega come guarire dalla depressione, soprattutto in un’ottica spirituale e non solo medica o psicologica.
* David Servan Schreiber, Guarire, Sperling & Kupfer editori. Riporta molte terapie naturali e non invasive, per migliorare il proprio stato mentale senza psicofarmaci.
*Michael D. Yapko, Rompere gli schemi della depressione, Ponte alle grazie editrice. Bellissimo libro, ricco di spiegazioni e di modi per guarire dalla depressione.
*R. Foster, G.Hicks, I 9 segreti della felicità,Pan. Libro molrto bello e interessante, che parla delle nove attitudini che favoriscono la felicità.


Fonte: http://flaviaschiavone.interfree.it/files/30-Come%20uscire%20dalla%20depressione.doc
Sito web: http://flaviaschiavone.interfree.it/
Autrice : Dr. Flavia Schiavone

 

 


 

Depressione definizioni e sintomi

 

LA DEPRESSIONE MAGGIORE

Che cos’è la Depressione Maggiore?

La Depressione Maggiore è un grave disturbo che colpisce ogni anno circa il 5 % della popolazione adulta. Diversamente da un normale sensazione di tristezza, di perdita o di un transitorio stato di cattivo umore, la Depressione Maggiore presenta caratteristiche di persistenza e può interferire pesantemente sul modo di pensare di un individuo, sul comportamento, l’umore, l’attività ed il suo benessere fisico. Fra tutte le patologie la depressione maggiore è la più frequente causa di invalidità in molti Paesi sviluppati. Le donne sono colpite da Depressione Maggiore in numero doppio rispetto agli uomini. La depressione maggiore può colpire ad ogni età anche nella fanciullezza, nella gioventù e nell’età adulta. Tutti i gruppi etnici, razziali o sociali possono essere affetti dalla depressione. Almeno tre quarti di coloro che sono stati colpiti da un primo episodio di depressione ne saranno colpiti da un altro durante il resto della vita. Alcune persone sono colpite da più episodi durante l’anno. Se non debitamente curati gli episodi di depressione possono durare dai sei mesi a un anno. Se non curata la depressione può portare al suicidio.
La Depressione Maggiore, nota anche come depressione clinica o depressione unipolare, è solo una delle varie forme di disturbo depressivo. Altre forme di depressione sono la distimia (depressione cronica con sintomi meno intensi), e la depressione bipolare (la fase depressiva del disturbo bipolare). Le persone che soffrono di disturbo bipolare provano sia la depressione che disturbi maniacali. I disturbi maniacali comprendono stati anormali di sovreccitazione o di irritabilità, eccessiva stima di sé, eccessiva attività, pensiero e loquacità.

Quali sono i sintomi della depressione maggiore?

L’inizio del primo episodio di depressione maggiore può non essere evidente se è graduale e leggero. I sintomi della depressione maggiore sono caratterizzati da importanti cambiamenti nelle abitudini della persona:

  • Un persistente umore triste o irritabile
  • Importanti variazioni nelle abitudini del dormire, appetito e del movimento
  • Difficoltà nel pensare, della concentrazione, e della memoria
  • Lentezza dei movimenti o agitazione
  • Mancanza di interesse o piacere nelle attività che invece prima interessavano
  • Sensazione di colpevolezza, di inutilità, mancanza di speranze e senso di vuoto
  • Pensieri ricorrenti di morte o di suicidio
  • Sintomi fisici persistenti che non rispondono alle cure come mal di testa, problemi di digestione, dolori persistenti

Quando si manifestano contemporaneamente più di uno di questi sintomi, durano più di due settimane e interferiscono con la normale attività si dovrà ricorrere alle cure del medico specialista.

Quali sono le cause della depressione maggiore?

La Depressione Maggiore non può essere ricondotta ad una sola causa. Fattori psicologici, ambientali, biologici, possono tutti contribuire al suo sviluppo. Qualunque sia la causa specifica della depressione, ricerche scientifiche hanno appurato che la depressione maggiore è un disturbo biologico del cervello.
Noradrenalina, serotonina e dopamina sono tre neurotrasmettitori (connettori chimici che trasmettono segnali tra le cellule cerebrali) che si ritiene siano coinvolti nella depressione maggiore. Gli scienziati ritengono che qualora si manifesti uno squilibrio chimico in questi neurotrasmettitori ne risulterebbe uno stato di depressione. I farmaci antidepressivi agiscono incrementando la disponibilità di neurotrasmettitori o variando la sensibilità dei recettori di questi connettori chimici.

I ricercatori hanno anche appurato una predisposizione genetica alla Depressione Maggiore. Vi è una maggior possibilità di essere colpiti dalla depressione quando si sono verificati dei casi nella famiglia. Non tutti coloro che presentano una predisposizione genetica alla depressione ne sono affetti, ma alcune persone hanno un configurazione biologica che li rende particolarmente vulnerabili. Fatti di vita, come la morte della persona amata, una perdita o un cambiamento di particolare importanza, lo stress cronico, abuso di alcol e di droghe, possono innescare episodi di depressione. Anche alcune malattie come le patologie cardiache e il cancro e alcuni medicamenti possono innescare la depressione. E’ importante sottolineare che molti episodi depressivi si manifestano in modo autonomo senza essere innescati da crisi, malattie o altri fattori di rischio.

Come viene curata la Depressione Maggiore?

Anche se la Depressione Maggiore può essere una malattia molto grave può essere molto ben curata. Tra l’80 e il 90 % di coloro che ne soffrono possono essere curati efficacemente e tornare alle loro normali attività e ritmo di vita. Sono disponibili differenti tipi di cure, la cui scelta dipende dall’individuo affetto, dalla gravità e dalle caratteristiche del disturbo.
Tre sono i tipi fondamentali di cure: farmaci, psicoterapia, terapia elettroconvulsivante (ECT).
Possono essere utilizzate singolarmente o contemporaneamente.

  • Farmaci: i primi farmaci antidepressivi sono stati introdotti negli anni ’50.
    • Gli antidepressivi triciclici (TCA) – ancora molto usati per le depressioni gravi. I TCA risollevano l’umore negli individui depressi, ristabiliscono un ritmo normale del sonno, dell’appetito e del livello di energia; ma richiedono tre o quattro settimane perché la persona abbia risposta positiva al trattamento. Questi farmaci comprendono: amitriptilina (Laroxil, Adepril,Triptizol), desimipramina (Nortimil), dotiepina (Protiaden), imipramina (Tofranil), nortriptilina (Noritren).
    • Inibitori delle monoamineossidasi (IMAO) – sono spesso efficaci nelle persone che non rispondono ad altri farmaci, o che soffrono di depressioni “atipiche” con forte ansia, sonno eccessivo, irritabilità, ipocondria, o caratteristiche fobiche. In Italia è in commercio solo Aurorix (moclobemide), un IMAO di seconda generazione, con meno effetti collaterali.
      • Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) – hanno un’azione specifica sul neurotrasmettitore serotonina. Generalmente gli SSRI  causano meno effetti collaterali indesiderati dei TCA e degli IMAO. Questi farmaci comprendono: fluoxetina (Prozac, Fluoxeren, Formulazione generica), sertralina (Zoloft, Tatig), paroxetina (Seroxat, Eutimil, Sereupin, Formulazione generica), citalopram (Seropram, Elopram), escitalopram (Cipralex, Entact) e fluvoxamina (Maveral, Fevarin, Dumirox).
    • Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (SNRI) – In generale gli SNRI danno meno effetti collaterali indesiderati dei TCA e degli IMAO. Questi farmaci hanno un’azione specifica sul neurotrasmettitore noradrenalina e comprendono la venlafaxina (Efexor).
    • Farmaci bloccanti la ricaptazione della dopamina: si tratta di una nuova classe di antidepressivi. Il bupropione (Ziban) agisce sui neurotrasmettitori dopamina e norepinefrina. In generale il bupropione causa meno effetti collaterali dei TCA e degli IMAO.

 

Chi fa uso di farmaci antidepressivi ed i loro famigliari devono prestare attenzione particolare durante le prime fasi di assunzione perché le normali capacità di reagire e prendere decisioni  possono ritornare prima del miglioramento dell’umore.
In questa fase, quando è più facile mettere in atto decisioni ma la depressione è ancora grave, il pericolo di suicidio può aumentare.

  • Psicoterapia: vi sono differenti tipi di psicoterapia che hanno dimostrato di essere efficaci per combattere la depressione compresa la terapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia di gruppo. Ricerche hanno dimostrato che depressioni lievi possono spesso essere curate utilizzando una di queste due terapie. Tuttavia, la depressione grave sembra essere meglio curabile utilizzando in combinazione la psicoterapia e i farmaci.

La terapia cognitivo-comportamentale aiuta ad allontanare i pensieri negativi e i comportamenti non soddisfacenti associati alla depressione, insegnando nel contempo come sbarazzarsi dei comportamenti che contribuiscono al disturbo.
La Psicoterapia di gruppoè volta in particolare a migliorare i rapporti interpersonali e a trovare un  adattamento dei nuovi ruoli che possono essere stati associati allo stato di depressione di una persona.

  • Terapia elettroconvulsivante (ECT) è un trattamento di grande efficacia per combattere gravi episodi di depressione. In circostanze nelle quali farmaci e psicoterapia o una combinazione dei due metodi si rivelassero inefficaci o di efficacia troppo lenta per rimuovere sintomi psicotici e pensieri suicidi, l’ECT può essere presa in considerazione. L’ECT può inoltre essere utilizzata per coloro che per qualche ragione non tollerano la terapia farmacologia.

Quali sono gli effetti collaterali dei farmaci antidepressivi?

Tutti i farmaci provocano degli effetti collaterali che variano a seconda del farmaco e della sensibilità delle singole persone. Circa il 50 per cento delle persone che assumono antidepressivi provano effetti collaterali durante le prime settimane di assunzione, tuttavia questi effetti sono generalmente temporanei e non gravi. Alcuni effetti che possono rivelarsi particolarmente fastidiosi possono spesso essere eliminati variando la dose del farmaco, cambiando farmaco o curando gli effetti collaterali con un farmaco specifico.

  • Effetti collaterali comuni degli antidepressivi triciclici ( TCA) comprendono: bocca secca, stitichezza, problemi sessuali, problemi pressori, sudorazione, vertigini, irritazione della pelle, appannamento della vista, aumento o perdita di peso.
  • Le persone che assumono farmaci IMAO dovrebbero stare attenti ai cibi affumicati, fermentati o piccanti e ad alcune bevande o ad altri farmaci perché possono causare un grave e pericoloso aumento di pressione in combinazione con questa cura.  Effetti meno gravi possono essere mal di testa, aumento di peso, bocca secca, insonnia.
  • I nuovi antidepressivi SSRI tendono ad avere minori e meno importanti effetti collaterali come ad esempio nausea, nervosismo, insonnia, diarrea, eritemi della pelle, effetti riguardanti la sfera sessuale (problemi riguardo all’eccitamento e all’orgasmo), perdita o aumento di peso.
  • Il Bupropione generalmente causa meno effetti collaterali dei TCA e degli IMAO. I suoi effetti collaterali comprendono: irrequietezza, insonnia, mal di testa o peggioramento di una precedente emicrania, tremore, bocca secca, agitazione, confusione, accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, nausea, costipazione, dolori mestruali e eritemi della pelle. Il Bupropione è stato temporaneamente ritirato dal mercato, dopo l’introduzione iniziale a causa del verificarsi di emorragie cerebrali e crisi epilettiche in alcuni pazienti . Tuttavia, studi più approfonditi dimostrarono che il verificarsi di ictus cerebrali era associato ad alti dosaggi (superiori al dosaggio massimo raccomandato), a precedenti emorragie o traumi cerebrali, a disturbi alimentari, abuso di alcol o altre sostanze. Con le nuove precauzioni e dosaggi più bassi la probabilità di avere crisi epilettiche è molto ridotta.

 

Fonte: http://www.nami.org/Content/ContentGroups/Multicultural_Support1/LaDepressioneMaggiore.doc
Sito web: http://www.nami.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

LA DEPRESSIONE NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI

Che cos’è la depressione?

La depressione è un disturbo caratterizzato da un persistente stato di tristezza che può durare mesi o addirittura anni. Può manifestarsi a qualsiasi età nel corso della vita.

Non sono ancora del tutto chiare le cause che provocano nel cervello e nella psiche la depressione. Alcune persone sembrerebbero esposte più di altre alla depressione per un fattore genetico, così come alcuni possono essere più esposti per motivi genetici al rischio di ipertensione, obesità o diabete e di altri disturbi genetici “complessi” (disturbi il cui rischio è associato ad un certo numero di geni ciascuno dei quali aumenta in qualche modo il rischio, al contrario di patologie associate ad un singolo gene che è la causa prima del disturbo). Fattori ambientali possono avere generalmente  la stessa influenza dei fattori genetici nel causare la depressione. Di nuovo questo rende la depressione simile ad altri disturbi “complessi” influenzati in modo determinante dall’ambiente (per esempio l’ipertensione, l’obesità, l’insorgere del diabete da adulti). Forti stress della vita e forse in particolare alcun eventi come la perdita di famigliari stretti aumentano il pericolo di contrarre la depressione.

Quali sono i differenti tipi di depressione?

Sono stati proposti differenti metodi per catalogare la depressione, tuttavia è evidente che se ne possono catalogare almeno due:

  • Depressione Unipolare
  • Depressione Bipolare o Disturbo Maniaco Depressivo

La Depressione Unipolare si manifesta con uno o più episodi di lieve o forte depressione con un persistente stato di tristezza ed altri sintomi come l’idealizzazione del suicidio, tentativi di suicidio, incapacità di provare gioia quando si fanno attività divertenti, difficoltà di concentrazione, cambiamenti nell’appetito, nel peso, insonnia o eccessiva sonnolenza. Il disturbo è generalmente ricorrente, se ne siete stati soggetti una volta probabilmente ne sarete soggetti di nuovo.

Il Disturbo Bipolare è contraddistinto dall’alternanza  di episodi di depressione sostanzialmente eguali a quelli descritti per la Depressione Unipolare e di periodi di euforia o stati di irritabilità definiti come episodi maniacali e caratterizzati da perdita di sonno, un modo di parlare concitato, aumento eccessivo delle attività, eccessiva attività sessuale, pensieri veloci che si accavallano generando confusione.

Quanto frequente è la depressione nei bambini?

Circa il 2 % dei bambini in età scolare (fra i 6 e i 12 anni) mostrano sintomi di depressione maggiore. Con la pubertà, la percentuale di depressione aumenta a circa il 4 % complessivamente.

Con l’adolescenza le ragazze hanno una maggior probabilità rispetto ai maschi di soffrire di depressione per la prima volta. Questo maggior rischio di contrarre la depressione rispetto ai maschi persiste durante il resto della vita. La depressione è diagnosticabile anche prima dell’età scolare (2-5 anni) quando è più difficile che si manifesti, ma può comunque verificarsi. Non esistono in Italia statistiche sulla percentuale dei giovani che incorrono in uno o più episodi di depressione prima di diventare adulti.

I bambini depressi necessitano cure? O ne usciranno spontaneamente?

Gli episodi di depressione nei bambini durano normalmente in media 6-9 mesi ma in alcuni soggetti durano ininterrottamente anni. Quando un bambino ne soffre rende meno a scuola,
manifesta difficoltà di relazione con gli amici e i famigliari,  appare tormentato interiormente ed è esposto al rischio di suicidio.

Dal momento che esistono delle cure efficaci, ignorare il disturbo sperando che si risolva spontaneamente e lasciare che il bambino soffra non è certo l’approccio corretto al problema.

Come puoi accorgerti se tuo figlio è depresso?

I sintomi che possono rivelare la depressione nel bambino ai famigliari o ad altri sono: il bambino parla di uno stato di tristezza o depressione, parla del suicidio o afferma di sentirsi meglio se morisse, si dimostra molto irritabile, si dimostra palesemente svogliato a scuola o a casa e non mostra più interesse a frequentare gli amici.

Poiché un bambino depresso potrebbe non manifestare importanti disturbi nel comportamento, a volte i genitori sperano che tutto si risolva e tralasciano di fare visitare un bambino che manifesta tormenti interiori che non incidono sulle relazioni interfamigliari.

Quali sono le cure per i bambini o gli adolescenti depressi?

Si annoverano due principali sistemi di cura per adolescenti depressi che hanno dimostrato efficacia:

  • La psicoterapia
  • La farmacoterapia

Dal momento che l’evolversi della depressione è altalenante e poiché si ottiene in genere un effetto positivo nel bambino (e anche nell’adulto) depresso anche solo con il confrontarsi e parlare con una persona che si prende cura del suo disturbo, per affermare che una cura è efficace bisogna dimostrare che si ottengono risultati migliori  di una psicoterapia non specifica (per esempio il conversare con una persona simpatica) nel caso di una psicoterapia o di un placebo somministrato da una persona che si mostra amica e calorosa nel caso di una farmacoterapia. Pertanto i trattamenti descritti qui di seguito hanno un benefico effetto se utilizzati congiuntamente ad un caloroso contatto umano e al parlare della depressione.
Questo è il meglio che possiamo suggerire al momento.

Le due psicoterapie specifiche che hanno dimostrato efficacia sui giovani e adolescenti sono la psicoterapia cognitivo-comportamentale e la terapia interpersonale. La terapia cognitivo-comportamentale è mirata a cambiare l’approccio negativo (considerare come mezzo vuoto, invece che mezzo pieno, un bicchiere riempito a metà) associato alla depressione.
Nonostante numerose ricerche, non esiste la prova che gli antidepressivi triciclici di vecchia generazione (come Tofranil e Laroxil) siano efficaci nei bambini e adolescenti.
Esistono ricerche pubblicate che evidenziano l’efficacia nei bambini e negli adolescenti di due SSRI, fluoxetina (Prozac), e sertralina (Zoloft).
Sono in corso ricerche e studi presentati a convegni, ma non ancora pubblicati, su altri tipi di antidepressivi per bambini e adolescenti. Alcune di queste ricerche sono giunte a dei risultati, altre hanno fallito nel dimostrare l’efficacia di nuovi trattamenti.

Va bene ma quale è la migliore cura per mio figlio depresso?

Dal momento che entrambi le terapie farmacologica e psicoterapeutica hanno provato la loro efficacia, quale di queste è la più adatta nei casi specifici? In definitiva non abbiamo la risposta a questa domanda tuttavia esistono due importanti correnti di studi multidisciplinari che ci possono aiutare. Quando si adotta la monoterapia, sia la psicoterapica sia la farmacologica, sappiamo che entrambi questi modi di affrontare il problema ottengono il 60 % di risultati positivi, il che significa che molti giovani non reagiscono positivamente alla prima terapia e necessitano di modificarla o cambiarla.

Pertanto, il giovane, i famigliari e i medici dovranno scegliere insieme il primo trattamento che meglio sembra adattarsi al soggetto consentendo un adeguato periodo di prova (per esempio 8-12 settimane). Alla fine di questo periodo se il trattamento si dimostrasse non efficace, si dovrebbe provare a modificarlo mettendolo in atto per almeno due tre mesi, ma non oltre, prima di prendere in considerazione un cambiamento radicale del trattamento come suggerito dall’evolversi della situazione.

Per quanto tempo si deve protrarre la cura di mio figlio ?

I farmaci devono in genere essere assunti per almeno sei mesi per vederne i risultati e devono essere sospesi gradualmente.

Molti psicoterapeuti diminuiscono la frequenza delle sedute per continuare una terapia di mantenimento per un periodo più lungo dei sei dodici mesi della terapia iniziale. Il trattamento di un primo episodio di depressione durerà probabilmente 6/12 mesi nel caso si utilizzi indifferentemente una delle due terapie.

 

Fonte: http://www.nami.org/Content/ContentGroups/Multicultural_Support1/DepNeiBambiniENegliAdolescent.doc

Sito web: http://www.nami.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

La Depressione Psicosi affettiva

 

Stato psicopatologico caratterizzato da un disturbo dell’affettività che inibisce le normali risposte emotive ostacolando il contatto con l’individuo e la realtà limitando la capacità di adattamento.
L’individuo è triste, scoraggiato, apatico, incapace di fare le cose più semplici.
Pensiero rallentato con ideazione ripetitiva di tristezza. Delio di colpa, di rovina e di indegnità.
Senso inutile e incapace della vita in cui niente e nessuno può essere di aiuto.
Angoscia continua specialmente al mattino, mimica e gestualità esprimenti sofferenza.
Astenia, insonnia, anoressia, perdita di peso e di libido, stitichezza.

 

Nosografia

  • Depressione nevrotica o distimia
  • Depressione endogena o maggiore monopolare
  • Depressione secondaria
  • Depressione involutiva
  • Psicosi maniaco-depressiva o psicosi bipolare

 

Sintomatologia

Depressione endogena o maggiore:
Più comune ed importante, singolo episodio oppure ciclica. Età media 30-40 anni. Esordio lento oppure improvviso con comparsa di malessere, tristezza profonda e apatia. Prodromi tipici sono come se nella testa ci fosse il vuoto alcuni giorni prima .
Sintomi psichici:

  1. Melanconia e rallentamento psicomotorio
  2. Aspetto infelice e triste, fronte corrugata e umore depresso
  3. Segno di Veraguth: la piega palpebrale sup ai margine del terzo medio è rivolta all’insù e indietro
  4. Idee di colpa di peccato ed autoaccusa, proprio come deliri
  5. Difficoltà di concentrazione
  6. Eloquio lento
  7. Pensiero di suicidio ma solo 10-15% lo tenta
  8. Perdita del sentimento: sgradevolissima sensazione di percepire dolore per la perdita
  9. Aspetto trasandato e sciatto
  10. Riduzione dell’autostima
  11. Vissuto temporale alterato. Non c’è futuro, presente immobile, passato disastroso

Sintomi somatici:

  1. Rifiuta il cibo con dimagramento importante
  2. Astenia che blocca ogni movimento
  3. Sessualità scompare quasi totalmente
  4. Insonnia: si sveglia nel cuore della notte con sentimenti angosciosi. Netta diminuzione della latenza REM.

Varianti:

  • Depressione inibita. Arresto psicomotorio
  • Depressione ansiosa: Ansia con stato di agitazione psicomotoria
  • Depressione mascherata: Sintomi somatici e assenti o quasi i sintomi psichici

Depressione secondaria:

  • Quadro depressivo collegato a disturbi neurologici, endocrini, internistici, oppure iatrogeni.
  • Alterazione del tono dell’umore su base organica.
  • Anamnesi negativa per precedenti disturbi dell’umore nel soggetto e nella famiglia
  • Legame eziologico e non psicologico con la malattia organica di base.

 

Eziopatogenesi

 

  • Fattori genetici. Diversi fattori sociali individuali biologici posso condizionare la penetranza dei fattori genetici
    1. Familiarità
    2. Concordanza con i gemelli MZ
  • Fattori biochimici. Con la scoperta dei farmaci antidepressivi
  • Fattori psicologici:
  • Contesto familiare rigido, isolato che valorizza il bambino come status che accresce la famiglia
  • Bambino comincia a provare invidia e competizione verso l’altro
  • Privilegiato nella famiglia ma svalutato come persona
  • Minaccia costante della perdita dell’amore familiare
  • Manipolatore
  • Utilizza la depressione per riconquistare l’altro

Triade cognitiva di Beck:

  • Aspettative negative nei confronti dell’ambiente
  • Opinione negativa di Sé
  • Aspettative negative per il futuro

 

Ipotesi psicodinamica

Somiglianza tra depressione e lutto.
Ferite orali infantili che lo rendono dipendente e con autostima deficitaria.
Il depresso è un bambino narcisista e dipendente.
La depressione è un mezzo per evitare di perdere totalmente la propria autostima.
Struttura caratteriale: non ama l’oggetto in se stesso ma per gli aspetti da lui idealizzati.

Modello unitario:
Sviluppo psichico come dialettica tra pulsioni e relazioni oggettuali per strutturare l’IO. Rapporto preciso tra frustrazioni e sviluppo dell’IO, tanto maggiore saranno le frustrazioni tanto maggiore sarà l’inconscio rimosso (corazza caratteriale).
Scarsa autostima, bisogno dell’oggetto idealizzato con forte ambivalenza e per questo manifesta angoscia per la sua possibile perdita.
Delusione-Rabbia-Bramosia-Introiezione

 

Depressione involutiva

Intorno ai 50 anni, sesso femminile, familiarità specifica.
Personalità introverso-schizoide. Domina l’ansia e stati di agitazione psicomotoria. Idee ipocondriache e di rovina. Il paziente può negare di avere parti del corpo e dice di essere immortale.
Evoluzione progressiva

 

Fonte: http://gabriellirosati.com/Depressione.doc

sito web: http://gabriellirosati.com/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

L’eziopatogenesi della depressione nella prospettiva cognitivo-comportamentale

 

Tristezza, pessimismo e scoraggiamento sono stati d’animo comuni e costituiscono una naturale reazione a un avvenimento spiacevole, a un evento che comporta una perdita o allo stress. In alcuni casi, il basso tono dell’umore assume dimensioni tali da renderlo estraneo alla comprensione del sentire comune, non più confrontabile con uno stato di tristezza fisiologico.


Quando la condizione emotiva di una persona assume una dimensione clinicamente significativa è necessario avere dei criteri diagnostici utili a distinguere gli stati d’animo “normali” da ciò che può essere considerato come una patologia dell’umore.


Secondo il DSM-IV TR per porre la diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore (EDM) è necessaria la presenza di almeno cinque di una serie di nove sintomi.

 

Criteri diagnostici per l’Episodio Depressivo Maggiore (DSM-IV TR, APA, 2000)

 

  • Almeno 5 dei seguenti sintomi sono presenti durante lo stesso periodo di due settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al funzionamento precedente; almeno uno dei sintomi è (1) umore depresso o (2) perdita di interesse o di piacere.

 

(Non includere sintomi che siano chiaramente dovuti a condizioni fisiche , deliri o allucinazioni incongrue all’umore, incoerenza o marcata perdita di associazioni).

  • Umore depresso (oppure umore irritabile nei bambini e negli adolescenti) per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riferito dal resoconto del soggetto o osservato dagli altri

 

  • Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come indicato dalla presenza di apatia per la maggior parte del tempo, riferita dal soggetto o osservata dagli altri)

 

  • Significativa perdita di peso o aumento di peso non dovuto a diete (per esempio, più del 5% del peso corporeo in un mese), oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi giorno (nei bambini considerare l’incapacità a raggiungere i normali livelli ponderali)

 

  • Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
  • Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservato da altri, e non soltanto sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato)

 

  • Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno

 

  • Sentimenti di svalutazione o di colpa eccessivi o immotivati (che possono essere deliranti) quasi ogni giorno (non soltanto autoaccusa o sentimenti di colpa per il fatto di essere ammalato)

 

  • Diminuita capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (come riferito dal soggetto o osservato da altri)

 

  • Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrenti propositi di suicidi senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o ideazione di un piano specifico al fine di commettere il suicidio

 

  • I sintomi non soddisfano i criteri per un Episodio Misto

 

  • I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione de funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree

 

  • I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per esempio, abuso di droga, di un medicamento) o di una condizione medica generale (per esempio, ipotiroidismo)

 

  • I sintomi non sono meglio giustificati da lutto, cioè la perdita di una persona amata, i sintomi persistono per più di 2 mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.

L’approccio cognitivo comportamentale                     

                       
Learned Helplessness
Il termine “helplessness” indica lo stato psicologico che, solitamente, compare in un individuo quando viene a contatto con eventi incontrollabili. Per poter comprendere pienamente questa nozione è utile pensare all’insieme di aspettative, convinzioni e credenze che una persona sviluppa  relativamente all’esperienza e alle relazioni esistenti tra il proprio comportamento volontario e gli eventi a cui va incontro. In particolare, gli esseri viventi colgono i legami esistenti tra le proprie azioni e le conseguenze di queste ultime. La Learning Theory si è occupata delle relazioni che si verificano nei casi un cui un organismo apprende che:

  • un proprio comportamento (R) produce degli eventi rinforzanti ogni volta (p=1; rinforzo continuo);
  • un proprio comportamento (R) è seguito da eventi rinforzanti in una certa percentuale di casi (1>p>0; rinforzo parziale);
  • un proprio comportamento (R) non è seguito, in nessun caso, da eventi rinforzanti (p=0; estinzione);
  • i medesimi eventi rinforzanti possono verificarsi in assenza del comportamento (R), a seguito dell’emissione di altri comportamenti (Dro: Differential Reinforcement of Other Behaviour).

Le relazioni esistenti tra un comportamento (o risposta, R) e un evento che ad esso fa seguito (o outcome,O) possono essere rappresentare in uno spazio bidimensionale, utilizzando come assi i valori di probabilità dell’evento rispetto al comportamento (p(O/R)) e dell’evento rispetto alla non emissione del comportamento (p(O/R-)).
Se la probabilità che un evento si verifichi cambia quando viene emesso un determinato comportamento rispetto a quando quest’ultimo non viene emesso, allora esiste controllabilità. Quindi, i nostri comportamenti volontari possono rendere più o meno probabile il verificarsi di determinati accadimenti. Si avrà invece incontrollabilità quando tali accadimenti hanno la stessa probabilità di verificarsi indipendentemente dal fatto che l’azione in esame venga emessa o meno. Nella Figura 1 ogni punto della retta a 45° rappresenta situazioni di incontrollabilità.


 

Un organismo può apprendere che gli eventi in genere (o sottoclassi di tali eventi) sono incontrollabili. Il risultato di un tale apprendimento è indicato come “Learned Helplessness”o “incapacità di reagire appresa”. Un aspetto rilevante di tale teoria è che una helplessness di rilievo clinico non si sviluppa perché ci si imbatte in fatti per loro natura traumatici, ma perché questi risultano non controllabili (o sono ritenuti tali). Vissuti rilevanti di incontrollabilità producono conseguenze che vanno al di là delle circoscritte classi di eventi e di comportamenti da cui traggono origine, producendo conseguenze non trascurabili su tutto il repertorio comportamentale. A tale proposito, sono stati individuati tre tipi di deficit che fanno seguito ad esperienze di incontrollabilità.

 

  • Deficit motivazionale: diminuisce la spinta ad attivare nuovi comportamenti e viene meno la motivazione a far fronte a minacce e ad eventi nocivi.
  • Deficit cognitivo: difficoltà in nuovi apprendimenti, in particolare risulta ostacolata la capacità di fare proprie, sulla base di nuove esperienze positive, relazioni di controllabilità che vadano a soppiantare le relazioni di incontrollabilità acquisite in precedenza.

 

  • Deficit emozionale: si apprende che gli eventi traumatici non possono essere controllati. La paura iniziale svanisce e viene sostituita da frustrazione e depressione.

Una storia pregressa di esperienze e aspettative di controllabilità può offrire una immunizzazione dai pericoli di helplessness insiti in occasionali situazioni di incontrollabilità.
La teoria della Learned Helplessness è, sostanzialmente, una teoria cognitivo-comportamentale della depressione. Secondo Seligman (1975) questa nozione permette di collegare tra loro fenomeni molteplici e, al riguardo, cita i casi di insuccesso scolastico e di deficit di apprendimento che si riscontrano in bambini intellettivamente competenti, molto simili alle condizioni di pseudo-insuffucienza mentale descritte in neuropsichiatria infantile. In particolare, ricorda le osservazioni di Spitz sui danni dovuti all’istituzionalizzazione e alle carenze materne. In queste condizioni, al bambino viene a mancare il controllo diretto sulle proprie fonti di stimolazione e quindi, a dare il via ai deficit che si accumulano con l’istituzionalizzazione, non è la deprivazione in quanto tale ma la situazione di incontrollabilità che ad essa fa seguito.

 

Helplessness e riformulazione attribuzionale
Di fronte alle medesime esperienze di incontrollabilità è possibile osservare, in soggetti diversi, una evidente variabilità nelle risposte. È proprio rispetto a questa condizione che si manifesta il limite principale del modello della Learned Helplessness, rappresentato dalla difficoltà di fornire una spiegazione e una previsione dell’ampiezza e della durata della risposta individuale. Pertanto, il potere predittivo del modello risulta assai modesto. Inoltre, la Learned Helplessness spiega i tre principali deficit (motivazionale, cognitivo, emozionale) connessi a helplessness ma non il quarto, vale a dire l’abbassamento del livello di autostima, frequentemente collegato ai primi. Nel tentativo di offrire una valida spiegazione delle differenze interindividuali che possono modulare il fenomeno dell’helplessness e delle modificazioni dell’autostima, Seligman fa riferimento alla teoria attribuzionale.

 


Con il termine “attribuzione” si indica quella proprietà che un individuo considera, giustamente o meno, propria di un oggetto. La teoria attribuzionale origina nell’ambito della psicologia sociale e si occupa, in  particolare, del problema della motivazione al successo. Nel 1978 tale teoria venne introdotta in psicologia clinica proprio in relazione alla revisione del modello Human Helplessness.


Il punto fondamentale su cui si basa la riformulazione della teoria dell’helplessness è l’introduzione di attribuzioni causali aventi un ruolo di mediazione tra aspettative di incontrollabilità e sintomi depressivi: nel momento in cui un individuo si trova a vivere una condizione significativa di incontrollabilità, è portato a formulare delle attribuzioni di causalità sugli eventi.

 


In questo processo sono rilevanti le seguenti dimensioni:

  • locus of control: i fattori causali sono attribuiti a qualcosa che dipende dall’individuo stesso (attribuzioni interne) o da altri fattori (attribuzioni esterne);
  • stabilità: i fattori causali sono concepiti come occasionali e transitori, oppure stabili e duraturi;
  • grado di generalità: i fattori causali vengono considerati come elementi che influenzano aspetti specifici della propria vita (attribuzioni specifiche) o tutte le aree significative (attribuzioni globali).

Nella riformulazione del modello si avanza la seguente ipotesi: in seguito a esperienze prolungate e significative di incontrollabilità, tendono a sviluppare depressione quegli individui che, nell’attribuzione di causalità, invocano cause interne, stabili e globali per gli eventi negativi, e cause esterne, instabili e specifiche per gli eventi positivi.

 


Sarebbe lo stile attribuzionale a influenzare la risposta del soggetto e a dare conto del fatto che, in situazioni di perdita e di grave incontrollabilità (ad es., un lutto) individui diversi rispondano in maniera diversa. Pertanto, è lecito aspettarsi che, di fronte alla medesima situazione, alcune persone sviluppino una depressione grave tendente alla cronicizzazione, mentre in altre si osservi, solamente, la comparsa di sintomi depressivi moderati e temporanei.
Mediante i tre parametri sopraindicati (locus of control, stabilità e generalità delle attribuzioni causali) è possibile identificare uno specifico stile esplicativo, detto “depressivo”, da considerare non come l’elemento causale che genera la depressione ma, piuttosto, come una variabile di tratto.
Seligman si riferisce alle attribuzioni causali in quanto “costrutti ipotetici” che legano variabili e non come variabili intervenenti. Con ciò, prende chiaramente le distanze da altri studiosi delle teorie attribuzionali e della psicopatogenesi della depressione, secondo i quali le capacità introspettive del soggetto e il fatto di riferire verbalmente le proprie credenze causali costituiscono condizioni necessarie e sufficienti alla genesi della depressione.
In conclusione, possedere uno stile attribuzionale depressivo non conduce di per sé alla depressione, pur rappresentando un fattore di vulnerabilità.

 


La teoria cognitiva di A.T. Beck                                                                  
Aaron T. Beck ha determinato una svolta nella moderna psicopatologia e psicoterapia della depressione con la sua impostazione teorico-pratica basata su un forte interesse per i processi di distorsione cognitiva. Prima dei suoi studi, la depressione era concepita come un disturbo affettivo ed eventuali caratteristiche dell’ideazione venivano considerate solo come secondarie all’alterazione dell’umore: nessuna importanza veniva attribuita ai processi di pensiero. Alla fine degli anni cinquanta Beck ha iniziato ad occuparsi degli aspetti psicologici della depressione in un’ottica perlopiù psicoanalitica. Grazie a intensi programmi di ricerca presso l’Università di Pennsylvania (Filadelfia), Beck e i suoi collaboratori hanno avuto modo di esaminare e studiare oltre mille pazienti in poco più di cinque anni. Nel corso di tali ricerche è stato sviluppato il Beck Depression Inventory (strumento fortemente utilizzato per l’assessment della depressione). Questa fase ha portato alla pubblicazione de La depressione (1967), monografia ormai classica che prende le distanze dalle concettualizzazioni psicodinamiche e suggerisce una prospettiva cognitiva.


La parte più stimolante di tali ricerche era fornita da una piccolo campione di soggetti sottoposto a psicoterapia o analisi formale: una cinquantina di pazienti con le varie diagnosi di depressione e altrettanti pazienti psichiatrici non depressi inclusi in un gruppo di controllo. Nell’esame di trascrizioni o appunti relativi alle sedute di trattamento emergeva che i pazienti depressi si differenziavano dai non depressi per la prevalenza di determinati temi (materiale cognitivo).
Beck considera “cognizione” qualunque attività mentale che abbia un contenuto verbale: idee, pensieri, giudizi, ma anche autodistruzioni, autocritiche, desideri articolati verbalmente. Sulla base dei risultati ottenuti tramite le sue ricerche, concluse che il contenuto delle cognizioni dei pazienti depressi risulta caratterizzato come segue.

  • Bassa considerazione di sé. La persona opera un confronto sfavorevole rispetto alle altre persone del gruppo di riferimento o ai propri standard e/o si autodenigra in maniera non realistica negli ambiti per lui importanti.
  • Idee di privazione. Il soggetto verbalizza di sentirsi solo o indesiderato anche a fronte di manifestazioni di amicizia e affetto. Ritiene di trovarsi in una situazione economica precaria anche a dispetto di un solido conto in banca.
  • Autocritiche e autorimproveri. Il soggetto rivolge a se stesso critiche per difetti o manchevolezze, anche prive di fondamento logico, in aree in cui nutre aspettative nei propri confronti.

 

  • Problemi e doveri opprimenti. L’individuo ingigantisce considerevolmente problemi e responsabilità che, in altri periodi, considerava secondari o insignificanti.
  • Autocomandi e ordini. Il paziente si ripete spesso “dovrei” o “devo”, si impone di eseguire una serie di attività anche se inattuabili.
  • Desideri di fuga e/o suicidio. La persona giudica i propri problemi irrisolvibili e spaventosamente gravose le proprie responsabilità, vedendo nella fuga e/o nella morte le uniche soluzioni possibili.

In realtà, l’analisi dei processi attraverso i quali i soggetti depressi operano sui dati di origine per formulare le cognizioni appare molto più utile dello studio del loro contenuto. Questi processi sono caratterizzati dalla presenza di una sorta di “errore sistematico” connesso alla  valutazione dei dati di realtà e all’elaborazione delle informazioni disponibili.

 


Beck individuò i seguenti errori sistematici (distorsioni cognitive).

  • Deduzione arbitraria. Analizzando un evento o un’esperienza il soggetto giunge ad una conclusione nonostante non vi siano prove a sostegno di quest’ultima, non prendendo in considerazione spiegazioni alternative più probabili.
  • Astrazione selettiva. Analizzando le informazioni relative a un evento, la persona estrapola un particolare dal suo contesto. La situazione viene concettualizzata sulla base di questo particolare, mentre vengono del tutto ignorati elementi rilevanti di carattere contrario.
  • Generalizzazione eccessiva. Tendenza a trarre conclusioni generali sulle proprie capacità o altri aspetti di sé sulla base di un solo episodio o di pochi episodi.
  • Ingigantire e minimizzare. Esagerare l’intensità o l’importanza di un evento negativo. Nel caso contrario, sminuire i fatti positivi.
  • Definizione inesatta. La precedente distorsione nella valutazione delle proporzioni di un avvenimento può riferirsi, in alcuni casi, ad un errore nel modo in cui viene definita un’emozione o una particolare esperienza (ad es., una puntualizzazione da parte di un amico è descritta come un’osservazione critica).

Gli studi successivi hanno portato all’individuazione di altri due processi.

  • Personalizzazione. L’individuo tende a mettere in relazione a se stesso determinati eventi esterni, senza che vi sia uno specifico motivo per farlo.
  • Pensiero dicotomico. Nella valutazione delle proprie esperienze, la persona utilizza degli schematismi del tipo “bianco o nero”. Perché un’esperienza sia considerata positiva, essa deve essere perfetta (positiva al 100%). Se presenta qualche piccolo elemento di insoddisfazione non viene considerata positiva al 95% ma passa immediatamente nella categoria opposta (esperienza negativa).

 

Questi processi rappresentano gradi diversi di distorsione della realtà: “Il nostro studio dimostra che anche nelle fasi lievi della depressione avvengono deviazioni sistematiche dal pensiero logico e realistico” (Beck, 1967). Tali distorsioni vengono individuate solo nelle ideazioni con particolari contenuti, ma non sono presenti nelle altre ideazioni verbalizzate dai pazienti depressi. La medesima serie di fatti conduce a conclusioni di severa critica e rimprovero se riferita a se stessi, ma se riferita ad altre persone porta a conclusioni neutre o positive.

 


Sulla base di quanto è stato detto fin qui si può osservare come la pluralità delle caratteristiche cognitive riscontrate nella depressione possa essere ricondotta a tre pattern cognitivi idiosincratici (“triade cognitiva”):

  • interpretazione negativa dell’esperienza, ovvero la tendenza dell’individuo depresso a interpretare in maniera selettiva, impropria e autodenigratoria fatti ed esperienze attuali. La persona depressa finisce col pensare che gli altri le facciano delle richieste esorbitanti per le proprie risorse, con il risultato di vedere la propria giornata costellata di ostacoli e le interazioni quotidiane con l’ambiente come una serie di insuccessi;
  • valutazione negativa di sé, in base alla quale l’individuo depresso tende a sottovalutare le proprie capacità e le proprie risorse, a considerarsi inutile, sgradevole o indegno, a ritenersi privo di qualcuno degli attributi che reputa essenziali per una vita normale e serena;
  • aspettative negative sul futuro, che conducono l’individuo depresso a formulare previsioni negative sia breve sia a lungo termine, ad aspettarsi un futuro cosparso di ostacoli e sofferenze, con il risultato di vedere la morte come una liberazione o come una soluzione. Beck osserva come la stessa dimensione del futuro venga compromessa: come progettualità, libertà, imprevedibilità. Il futuro non esiste, se non come protrarsi e ampliarsi delle odierne sofferenze. Questo è facilmente osservabile mettendo a confronto le aspettative di insuccesso e le paure di pazienti ansiosi con le previsioni negative di pazienti depressi (Beck, 1967, p. 313):

…il paziente ansioso è preoccupato dalla possibilità di essere ferito (sia fisicamente che emotivamente), ma vede il trauma come qualcosa appartenente al futuro. Il paziente depresso percepisce se stesso già danneggiato (sconfitto, defraudato o denigrato). Quando pensa al futuro, lo fa in termini di persistenza del suo dolore attuale. Nessuno stimolo lo allarma, poiché l’evento temuto si è già verificato. Egli prevede i fallimenti futuri come repliche del fallimento che ha già vissuto”.

Sulla base di queste teorizzazioni inizia a prendere forma un rovesciamento delle teorie classiche della depressione: in questa condizione clinica è presente, secondo Beck, un disturbo del pensiero (distorsioni cognitive). Le distorsioni non coinvolgono l’intera sfera cognitiva, ma sono limitate a particolari tipi di contenuto collegabili alla triade depressiva e a schemi idiosincratici del paziente.
La gravità della depressione è direttamente collegata alla perdita dell’obiettività e alla compromissione dell’esame di realtà. Se nelle fasi lievi il soggetto riesce a considerare con obiettività i suoi pensieri negativi e, pur non allontanandoli, li esamina e li modifica, nelle fasi più gravi, fatica a prendere in considerazione la possibilità che le sue idee o interpretazioni siano erronee. Se è vero tutto ciò, allora non vi è motivo per considerare il disturbo del pensiero come conseguenza del disturbo dell’umore e non viceversa. Più plausibile è ritenere che esista un disturbo primario del pensiero con conseguenti alterazioni dello stato emotivo e del comportamento.
Beck conclude (1967, p. 289):

Si suggerisce, quindi, che gli affetti depressivi tipici sono suscitati da concettualizzazioni erronee: se il paziente erroneamente percepisce se stesso inadeguato, abbandonato o colpevole, proverà gli affetti corrispondenti, cioè la tristezza, la solitudine o la colpa.
D’altro canto, bisognerebbe considerare anche la possibilità che l’affetto suscitato possa a sua volta influire sul pensiero. È concepibile che una volta che sia stato destato un affetto depressivo, esso faciliterà la comparsa di ulteriori cognizioni di tipo depressivo. Di conseguenza, si può produrre un’interazione continua tra cognizione e affetto, che può così portare alla tipica spirale discendente osservata nella depressione”.

 

La risposta affettiva è determinata dalle modalità con cui un individuo struttura la propria esperienza: così si evidenzia il primato del cognitivo. In questo caso, è bene precisare cosa si intende per primato del cognitivo. Beck non ha mai avuto difficoltà né a riconoscere l’importanza di fattori non cognitivi, di carattere affettivo, esperenziale, biochimico, né ad affermare che il modello cognitivo “non si occupa della possibile eziologia fondamentale, o causa, della depressione”. Beck et al. (1979) fanno esplicito riferimento alla nozione di Bandura di “interazione reciproca” per collegare assieme, in un circolo vizioso, deterioramento dell’umore, concettualizzazioni negative e derive comportamentali. La sostanza della questione è semplicemente un’altra: le distorsioni cognitive non possono essere considerate sbrigativamente come sintomi o epifenomeni privi di effettiva rilevanza causale nel determinismo dei disturbi depressivi.

 


Merita attenzione la nozione di “pensieri automatici” (Beck, 1967, p. 285):

Una delle caratteristiche più singolari delle cognizioni depressive tipiche era che nell’esperienza dei pazienti esse sorgevano come se fossero risposte automatiche, cioè senza previa riflessione o ragionamento apparenti. … I pensieri depressivi non solo apparivano automatici …, ma sembravano anche avere un carattere involontario. Sovente i pazienti raccontavano che questi pensieri venivano loro anche quando essi avevano deciso di <<non averne>> o cercavano attivamente di evitarli”.

Costrutti come quelli sopraccitati (distorsioni cognitive, triade) non rappresentano un livello di astrazione elevato e sono facilmente deducibili dal materiale clinico e di ricerca. Beck ritiene utile, per completare il modello, introdurre formulazioni a un livello di astrazione maggiore. Di questi concetti, per loro natura meno vicini ai dati clinici e di ricerca, Beck parla con cautela.
L’opportunità di questo passaggio è imposta dalla plausibilità della tesi secondo la quale la triade fondamentale non descriva semplicemente caratteristiche del pensiero presenti durante gli episodi di depressione, ma possa identificare caratteristiche rintracciabili, in forma latente, nell’organizzazione cognitiva premorbosa (Beck et al.., 1979, p. 31).

Non ci sembra plausibile che i meccanismi cognitivi distorti si creino ex novo ogni volta che l’individuo cade in una depressione. Ci pare più credibile che, invece, egli abbia qualche anomalia relativamente durevole nel suo sistema psicologico. Occorre, quindi, elaborare la nostra analisi longitudinale in termini strutturali. Un insieme di <<strutture cognitive>> disfunzionali (schemi) formatesi precedentemente si attiva quando si scatena la depressione (per stress psicologico, squilibrio biochimico, stimolazione ipotalamica, o per qualche altro agente)”.

 

A differenza del processo cognitivo, che è transitorio, una struttura cognitiva è una componente relativamente stabile, che non viene ipotizzata per spiegare le regolarità osservate nel comportamento cognitivo. Per indicare gli aspetti strutturali del pensiero depressivo Beck riprende il concetto di schema, definendolo come “modello complesso, presumibilmente impresso nella struttura dell’organismo dall’esperienza, che contribuisce, con le proprietà dell’oggetto-stimolo presentato o dell’idea presentata, a determinare il modo in cui deve essere percepito e concettualizzato l’oggetto o l’idea”. Nella formazione di una cognizione lo schema fornisce la cornice concettuale, mentre gli stimoli esterni forniscono i dettagli particolari.
Gli errori sistematici e le distorsioni cognitive, identificate nel pensiero dei soggetti depressi, sono specifici processi nei quali visualizziamo l’azione momentanea di schemi depressogeni. Questi schemi, sul piano del contenuto, si riconducono sostanzialmente ad articolazioni idiosincrasiche della triade fondamentale. L’organizzazione cognitiva depressiva è costituita, dunque, da una rete di tali schemi: si ritrovano generalizzazioni negative su di sé e sull’esperienza. Inoltre, meritano attenzione le proprietà strutturali di questi schemi, che possono differenziarsi sulla base di determinate caratteristiche:

  • flessibilità/inflessibilità;
  • apertura/chiusura;
  • permeabilità/impermeabilità;
  • concretezza/astrattezza.

 

Gli schemi risultano relativamente inattivi durante i periodi asintomatici, divenendo attivi all’insorgere della depressione. Le cognizioni depressive tendono a sovrastare quelle non depressive e, vagliando le diverse interpretazioni possibili di una situazione, l’individuo è colpito dall’intensità delle prime, a scapito di una interpretazione più realistica e aderente ai fatti. Con l’aggravarsi della depressione gli schemi depressogeni dominano sempre più l’attività cognitiva, prendendo il posto di schemi più appropriati, limitando l’obiettività e compromettendo l’esame di realtà. L’organizzazione cognitiva può diventare talmente indipendente dalle stimolazioni esterne, da rendere l’individuo insensibile ai cambiamenti che avvengono intorno a lui e sostanzialmente autonoma la sua produzione ideativa.

 


L’origine degli schemi depressogeni è ricondotta all’intero arco dello sviluppo infantile e adolescenziale dell’individuo, senza particolari focalizzazioni in momenti specifici o fasi. Una simile organizzazione cognitiva, nella teoria di Beck, rappresenta un fattore di vulnerabilità specifica e di predisposizione alla depressione. L’attivazione, in età adulta, di tali schemi e l’insorgere della depressione sono stati ricondotti al prodursi di eventi scatenanti, definiti da Beck come “eventi stressanti”. L’Autore divide tali eventi in specifici e non specifici. Esempio comune di stress non specifico è un lutto, una perdita significativa, un incidente molto grave. Più sottile è la categoria indicata come stress specifico. Nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza l’individuo si è, per così dire, “sensibilizzato” a certi tipi di situazioni di vita acquisendo una sorta di iperreattività: eventi affini a quelli prototipici, quando si ripresenteranno nel corso della vita, potranno attivare la costellazione depressiva con facilità. In questo caso il rapporto tra venti scatenanti e insorgenza della depressione potrebbe apparire poco chiaro. A tale proposito Beck riferisce il seguente esempio (1967, p. 333):

Un uomo d’affari di successo raccontò che si era sempre sentito inferiore ai suoi compagni di scuola che venivano da famiglie agiate, poiché la sua era una famiglia povera. Egli si sentiva sempre nettamente diverso e inaccettabile. Quando da adulto, si trovava con persone più ricche di lui, questo gli faceva pensare di essere fuori posto, di non valere quanto gli altri, di essere un emarginato sociale. Queste idee erano associate a sentimenti di tristezza passeggeri. A un certo momento fu eletto al consiglio di amministrazione di una società. Ritenne che gli altri consiglieri venissero dal lato giusto della vita mentre lui veniva dal lato sbagliato. Sentì che non poteva essere all’altezza degli altri consiglieri e cadde nella depressione per parecchi giorni”.

Nel caso appena riportato, l’evento stressante non è rappresentato da un licenziamento, ma da una promozione. Esisterebbe, dunque, un ambito di vulnerabilità specifico per ciascuna persona.
Eventi stressanti specifici molto frequenti sono: situazioni che abbassano l’autostima, la frustrazione di mete significative, il presentarsi di un dilemma insolubile o una malattia fisica.
Infine, Beck non esclude la possibilità di un lento logorio, senza particolari eventi degni di menzione, lungo il quale si indeboliscono schemi di carattere adattivo e positivo fino a lasciare emergere un’organizzazione depressiva.

 

L’approccio comportamentale                                                                     
Il modello di C.B. Ferster
Ferster (1965), basandosi sui principi dell’apprendimento operante, presentò il primo modello comportamentale che esaminò i meccanismi alla base dello stato depressivo. Lo strumento utilizzato dall’Autore fu l’analisi funzionale del comportamento, i cui obiettivi sono essenzialmente due:

  • permettere la selezione di uno o più comportamenti bersaglio da sottoporre a trattamento;
  • scegliere un adeguato metodo di trattamento.

La procedura comprende i seguenti punti nodali:

  • delineare un’immagine il più possibile completa delle persone e delle circostanze che tendono a mantenere i comportamenti critici e delle conseguenze che questi producono sul paziente e sulle persone del suo ambiente (dove si verifica il comportamento bersaglio, quando, in presenza di chi, in quali modalità). Vanno considerati sia gli elementi overt (ogni comportamento viene analizzato in termini di caratteristiche fisiche osservabili) sia quelli covert (componente emozionale e cognitiva);
  • analizzare la personalità del paziente, in modo da ricavare informazioni utili circa le strategie migliori per approcciarsi ad esso, pianificare la terapia e prevedere, nei limiti del possibile, la reazione al trattamento;
  • ricostruire, in maniera fedele ed esauriente, la storia personale del paziente (anamnesi).

Tramite le analisi funzionali, Ferster notò che:

  • nel comportamento depressivo si ha una diminuzione dei rinforzi positivi dell’ambiente;
  • in un individuo depresso vi è un aumento nella frequenza delle reazioni di fuga/evitamento di fronte a stimoli avversativi;
  • i punti precedenti sono facilitati dalla scarsa capacità del soggetto di fronteggiare stimoli avversativi.

Le teorizzazioni di Ferster, quindi, hanno rappresentato il primo tentativo di delineare un modello che, utilizzando il paradigma comportamentale, potesse spiegare il “mantenimento di uno stato depressivo.

 

 

Diminuzione dei rinforzi erogati dall’ambiente
 

 


Condizione generale di diminuzione dei rinforzi
 

 


Aumento della frequenza dei comportamenti
di  fuga/evitamento dinanzi a stimoli avversativi

 

   DEPRESSIONE

 

 

Il modello di P.M. Lewinsohn
L’Autore definisce la depressione come “l’alterazione di una serie di moduli comportamentali sia come caratteristica di stato (momento situazionale o temporaneo di un individuo) sia come tratto (aspetto costante nel tempo del suo comportamento)” (1974).
Studi condotti da Lewinsohn et al. hanno dimostrato che i soggetti depressi percepiscono le proprie capacità come insufficienti. Questa valutazione negativa di se stessi determina una rinuncia a conseguire determinate mete, perché ritenute irraggiungibili. Il senso di depressione, e gli altri sintomi, sono elicitati nei casi in cui i comportamenti messi in atto da una persona ricevono uno scarso rinforzo positivo. Questo debole rinforzo, a sua volta, riduce l’attività e, di conseguenza, i rinforzi saranno sempre più scarsi.
La quantità di rinforzo positivo dipenderebbe da tre fattori:

  • le caratteristiche dell’individuo (età, sesso, etc.);
  • l’ambiente in cui egli si trova;
  • le modalità di azione presenti nel repertorio comportamentale in grado di fare ottenere il rinforzo.

Il fattore precipitante viene identificato nella mancanza di rinforzo contingente positivo (RCP).
Il modello proposto da Lewinsohn può essere sintetizzato in cinque punti, rappresentanti un sistema unico, in cui ogni elemento interagisce con l’altro, rinforzando le caratteristiche negative: una volta innescato, tale processo si automantiene.

  • Rinforzi: la riduzione o la mancanza di RCP determina e mantiene un circuito di feedback negativo che perpetua lo stato generale di depressione.
  • Livello di abilità sociali: il basso livello di abilità comunicative diminuisce ulteriormente a seguito della depressione, impedendo al soggetto di ricevere rinforzi positivi dell’ambiente e limitandone le relazioni interpersonali.
  • Sintomi somatici: insonnia, mancanza di energia, inappetenza e diminuzione del desiderio sessuale rappresentano il quadro dei sintomi somatici su cui il soggetto depresso focalizza la sua attenzione, riducendo la focalizzazione sui programmi operativi.
  • Stato emotivo: permanente condizione di disforia che contribuisce al ritiro sociale.
  • Self - efficacy: la bassa quota di RCP determina una bassa stima di sé e la persona si percepisce come incapace di affrontare l'ambiente e di agire su di esso per il raggiungimento dei propri bisogni.

Il processo può essere così schematizzato:

 

bassa quota di RPC
 



scarse abilità sociali

focalizzazione dell'attenzione del soggetto sul quadro dei suoi sintomi somatici

condizione disforia e ritiro dall'ambiente sociale
 



bassa self - efficacy

Le differenze fra gli individui depressi e non depressi rispetto ai rinforzi contingenti positivi ( RPC) sono dovute a:

  • variazioni, numeriche e qualitative, nelle attività e negli eventi potenzialmente rinforzanti, ovvero variabili soggette alle differenze individuali, influenzate da variabili biologiche (sesso ed età) e dall'esperienza;
  • e/o possibilità che gli individui depressi possano trovarsi più facilmente in situazioni in cui manchino per loro i rinforzi;
  • e/o differenze tra individui depressi e non in quelle abilità che sono necessarie per ottenere rinforzi dal proprio ambiente.

Un ultimo chiarimento riguarda la nozione di “abilità sociale”. Con questa espressione Lewinsohn fa riferimento alla capacità di emettere comportamenti che sono positivamente rinforzati dagli altri.

Il modello di L.P. Rehm

Rehm definisce la depressione come “l’effetto del fallimento nell’efficacia del self-control rispetto alla scarsità o assenza del rinforzo esterno. Il comportamento depressivo è, di conseguenza, una riduzione o perdita dei rafforzatori positivi che inibirebbe la produzione dei comportamenti sociali. Infine, il quadro depressivo si manterrebbe a causa del rinforzo sociale fornito per il ruolo down assunto dal soggetto depresso”.
La depressione sarebbe originata e mantenuta dal mal funzionamento dei tre processi di self-control.

  • Self-monitoring (autoosservazione): attenzione selettiva sugli aspetti negativi e sugli effetti a breve termine del proprio comportamento.
  • Self-evaluation (autovalutazione): rigidità nei criteri di valutazione, ovvero attribuzione di merito per i successi personali ai fattori ambientali e attribuzione di responsabilità per i fallimenti solo a se stessi.
  • Self-reinforcement: scarsa o nessuna presenza di autorinforzatori e notevole presenza di autopunizioni.

 

Schema riassuntivo della depressione                                                         
Triade fondamentale e rapporto con i sintomi affettivi e motivazionali.

                                                                                          -   Umore depresso

  • Visione negativa del presente                                -   Paralisi della volontà

 

  • Visione negativa di sé                                            -    Desideri di elusione
  • Visione negativa del futuro                                    -   Aumento della dipendenza

 

                                                                                          -    Desideri suicidi

Fattori predisponenti alla depressione
Repertorio comportamentale overt:

  • deficit di abilità sociali;
  • deficit di autonomia forzata;
  • comportamento tendente all’isolamento.

Repertorio comportamentale covert:

  • deficit nelle abilità di problem solving;
  • convinzioni rigide e irrazionali basate su concetti di valore personale e dovere.

Repertorio emotivo:

  • primato della tristezza nella frequenza delle risposte emozionali negative.

Fattori scatenanti

  • Lutto, difficoltà nell’instaurare un rapporto affettivo, malattie inabilitanti protratte.

Reazione Depressiva
Repertorio comportamentale overt:

  • contrazione progressiva del repertorio comportamentale e diminuzione in frequenza dei comportamenti emessi.

Repertorio comportamentale covert:

  • pensieri e immagini relativi alla visione negativa di sé e della realtà; aspettative negative sul futuro.

Condizione emozionale:

  • disforia con manifestazioni di ansia e aggressività.

Manifestazioni fisiologiche:

  • disturbi del sonno;
  • disturbi dell’alimentazione;
  • disturbi sessuali.

Conseguenze e mantenimento dello stato depressivo
Fattori ambientali:

  • diminuita erogazione di rinforzi, che tende a incrementare il basso livello di self-efficacy;
  • rinforzamento familiare e sociale del comportamento depressivo.

Fattori personali:

  • attenzione selettiva su aspetti negativi e inappropriati del risultato ottenuto con i propri comportamenti;
  • rigidità valutativa dei risultati ottenuti;
  • scarsa considerazione degli aspetti positivi derivanti dal proprio agire;           
  • criteri assolutistici nell’interpretazione di ciò che è rinforzante;
  • distorsione nello stile attributivo circa il merito;
  • modalità di external-control nel rapporto con l’ambiente;
  • blocco della self-efficacy a basso livello;
  • aspettative riguardo il futuro basate sulla rappresentazione anticipatoria di fallimenti.

 

               
Autore:  Dr. Gargiullo Stefano

Fonte: http://www.scuolacash.it/file/eziopatogenesidelladepressione.doc
Sito web: http://www.scuolacash.it/

 

 

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