San Francesco

 


 

San Francesco

 

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San Francesco

 

San Francesco d’Assisi

San Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro Bernardone (Assisi, 1181 o 1182 – Assisi, 4 ottobre 1226), è stato un religioso italiano. Fondatore dell'ordine mendicante che da lui poi prese il nome, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana). È stato proclamato patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII, che lo definì: "Il più italiano dei Santi, il più Santo degli Italiani".
« Altissimu, onnipotente, bon Signoretue so' le laudi, la gloria, l'honore et onne benedictione »(Cantico delle Creature)
Conosciuto anche come "il poverello d'Assisi", la sua tomba è meta di pellegrinaggio per decine di migliaia di devoti ogni anno. La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è stata assunta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i due grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002.
Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come l'iniziatore della tradizione letteraria italiana.

 

Una vita tra Storia e Teologia

Nell'ultima edizione delle Fonti francescane (2004) ad una sezione è stato attribuito un titolo simile, lasciando trasparire quanto profonda sia stata la reinterpretazione teologica del Francesco della storia[2].
Francesco d'Assisi e la sua vita sono state continuamente oggetto di interesse, ispirazione, imitazione, studio, confronto. Questo ha fatto sì che la narrazione biografica della sua vita sia stata connotata — fin dalle prime espressioni all'indomani della sua morte — da una grande varietà di significati e intenzioni, che inevitabilmente hanno indirizzato e influenzato la redazione della sua Vita.
Nel XVI secolo con Fra Luca Wadding si mossero i primi tentativi di raccogliere documentazione storica su Francesco d'Assisi, cercando di distinguere tra storia e veneranda tradizione. Un momento di svolta in questo processo arrivò nel corso del XIX secolo, quando lo storico francese Paul Sabatier avanzò la teoria che tutte le biografie francescane "ufficiali" (quelle di Tommaso da Celano e, in modo particolare, quella di Bonaventura da Bagnoregio) sarebbero irrimediabilmente compromesse dall'intenzione "politica" degli autori, mentre più fedeli al "vero Francesco" sarebbero le biografie "ufficiose". In particolare nello Speculum perfectionis, da lui riscoperto, si potrebbe rintracciare la narrazione più affidabile sul santo di Assisi. Tale posizione ha scatenato nel tempo accesi dibattiti, stimolando nel contempo un approfondimento straordinario della ricerca storica su san Francesco.

 

L'infanzia

Francesco nacque nel 1181 da Pietro Bernardone dei Moriconi e dalla nobile Pica Bourlemont, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi, che, grazie all'attività di commercio in Provenza (Francia), aveva raggiunto ricchezza e benessere. Sua madre lo fece battezzare con il nome di Giovanni (dal nome dell'apostolo Giovanni) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036. Tuttavia il padre decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.
La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l'esposizione di quelle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza. Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto che comprendeva, all'epoca, anche la città di Assisi. Attualmente in corrispondenza dell'abitazione dei Bernardone, sorge la chiesa Nuova, costruita nel 1615 a spese del re Filippo III di Spagna.
Le varie agiografie del santo[3] non parlano molto a proposito della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia.
Dopo la scuola presso i canonici della cattedrale, che si teneva nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l'attuale basilica di Santa Chiara) a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni.

 

La guerra

Nel 1054 si ha memoria di una guerra che contrappose Assisi a Perugia: tra le due città esisteva una rivalità irriducibile, che si protrasse per secoli. L'odio aumentò con il fatto che Perugia si schierò con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione ghibellina. Non fu una scelta felice, quella degli assisiati in quanto, nel 1202, subirono una cocente sconfitta a Collestrada vicino a Perugia.
Anche Francesco, come gli altri giovani, andò in guerra; venne catturato e rinchiuso in carcere. L'esperienza della guerra e della prigionia lo sconvolsero a tal punto da indurlo ad un totale ripensamento della sua vita. In seguito, durante il viaggio verso il conte Gualdieri di Brienne, per arruolarsi nel suo esercito, un'illuminazione lo spinse a tralasciar i suoi propositi e raggiungere Dio: da lì iniziò un cammino di conversione, che col tempo lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore»[4].
La guerra terminò nel 1203 e Francesco, gravemente malato, dopo un anno di prigionia ottenne la libertà grazie ad un trattato sui prigionieri di guerra che, in caso di malattia, ne imponeva la liberazione dietro il pagamento di un riscatto, incombenza a cui provvide il padre.
Tornato a casa, Francesco recuperò gradatamente la salute trascorrendo molte ore tra i possedimenti del padre. Secondo Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura, che vedeva come opera mirabile di Dio[5].

 

La conversione

Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di san Francesco non sono state chiarite e si hanno notizie solo attraverso le agiografie. Pare che abbia giocato un ruolo la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata, ma soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i reietti, gli ammalati, gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso il prossimo.
Nel 1204-1205 provò infatti a partire per la quarta crociata: si trattava di raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere ad una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne[6]: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi, ed udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»: alla risposta: «Il padrone», la voce rispose: « Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo? »
Dopo questo sogno, Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare.[senza fonte] Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro. [senza fonte]
Anche il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò. Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che« ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo »(dal Testamento di san Francesco, 1226)
Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più importante della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
Dopo quell'episodio, le "stranezze" del giovane si fecero ancora più frequenti: Francesco fece incetta di stoffe nel negozio del padre e andò a Foligno a venderle, vendette anche il cavallo, tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano perché riparasse quella chiesina. Pietro di Bernardone diventò furente; molti ad Assisi furono solidali con quel padre che vedeva tradite le proprie aspettative: Francesco nella sua eccessiva generosità poteva essere interpretato come uno che dava sintomi di squilibrio mentale e così sicuramente lo intese il padre.

 

Il processo davanti al vescovo

Pietro cercò, all'inizio, di segregare Francesco per nasconderlo alla gente. Poi, vista la sua impotenza di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio, decise di denunciarlo ai consoli per interdirlo e diseredarlo, non tanto per il danno economico subito, quanto piuttosto con la segreta speranza che, sotto la pressione della pena del bando dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò ad un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, all'aperto, sulla piazza di Santa Maria Maggiore, davanti al palazzo del vescovo; «tutta Assisi»[7] fu presente al giudizio.
Francesco, non appena il padre finì di parlare, « non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza". »
Francesco diede così inizio ad un nuovo percorso di vita. Il vescovo Guido lo coprì pudicamente agli sguardi della folla (pur non comprendendo a pieno quel gesto plateale). Con quest'atto di manifesta protezione si volle leggere l'accoglienza di Francesco nella Chiesa.

 

Il soggiorno a Gubbio

Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio: nell'inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga, che lo accolse benevolmente nella sua casa, lo sfamò e lo rivestì. Qui egli, «amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso i lebbrosi restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.» Si trattava del lebbrosario intitolato a san Lazzaro di Betania, e nel suo Testamento Francesco disse chiaramente che la vera svolta verso la piena conversione ebbe inizio per lui a Gubbio, quando si era accostato a queste persone. Francesco non vi ebbe mai una fissa dimora: solamente diversi anni più tardi (nel 1213) il beato Villano, vescovo di Gubbio e benedettino dell'abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nell'antica Santa Maria della Vittoria, che la tradizione indica come il luogo in cui Francesco ammansì il famoso lupo. Questa chiesa è considerata da molti il Protoconvento Francescano, dopo la Porziuncola. Gubbio, per tutte queste cose, è la seconda capitale francescana dopo Assisi.

 

I primi compagni e la predicazione

Arrivata l'estate e placatosi lo scandalo sollevato dalla rinuncia dei beni paterni, Francesco ritornò ad Assisi. Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro (al tempo, fuori le mura), la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.
I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e dall'elemosina. Francesco scelse di vivere nella povertà volontaria, ispirandosi all'esempio di Cristo, lanciando un messaggio opposto alla società duecentesca dalla facili ricchezze. Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un ignorante, un "pazzo" ovvero un "giullare", dimostrando come la sua obiezione ai valori fondanti della società di allora potesse generare una perfetta letizia. In questo senso il suo esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità del tempo.
Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver ascoltato il passo del Vangelo secondo Matteo nella chiesa di San Nicolò ad Assisi, Francesco sentì fermamente di dover portare la Parola di Dio per le strade del mondo[8]. Iniziò così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi. Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di frati. Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo amico d'infanzia. Tra gli altri si ricordano Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo, frate Elia Bombarone, frate Ginepro. Insieme ai suoi compagni, Francesco iniziò a portare le sue predicazioni fuori dall'Umbria.
Nel 1209, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per ottenere l'autorizzazione della regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa Innocenzo III. Dopo alcune esitazioni iniziali[9], il Pontefice concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratum minorum»: a differenza degli altri ordini pauperistici, Francesco non contestava l'autorità della Chiesa, ma la considerava come "madre", e le offriva sincera obbedienza. Francesco era la personalità ideale per Innocenzo, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili nel seno della Chiesa, senza porsi come antagonista ad essa scivolando nell'eresia.
Del testo presentato al Papa non ci è rimasta traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo, che col passare degli anni, insieme ad alcune aggiunte, confluirono a formare la «Regola non bollata», che Francesco scrisse alla Porziuncola nel 1221.
Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un "tugurio" presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto perché vicino ad un ospedale di lebbrosi. Tale posto tuttavia era umido e malsano, e i frati dovettero abbandonarlo l'anno successivo, stabilendosi presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del Tescio, in località Porziuncola. Abbandonata in mezzo al bosco di cerri, venne concessa a Francesco e ai suoi frati dall'Abate di San Benedetto del Subasio[10].
Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di Offreduccio. Nella notte della Domenica delle Palme del 1211 (o del 1212), a Santa Maria degli Angeli, chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine, e quella stessa notte ricevette l'abito religioso dal santo. Francesco la sistemò per un po' di tempo prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesetta di San Damiano. Negli stessi anni dà vita al convento di Montecasale, dove insedia una piccola comunità di seguaci e dove ripetutamente farà poi sosta nei suoi viaggi.

 

Confronto con il catarismo

Ben viva era all'epoca la vicenda dei catari, eretici che predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme conseguenze. Essi avevano avuto numerosi focolai nella vicina Toscana e si erano ridotti alla clandestinità dopo la sanguinosa crociata albigese del 1209. Francesco avrebbe potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e la predicazione ai ceti subalterni.
Ma Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici aspetti: innanzitutto essi non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso infatti insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti. Portato una volta davanti a un prete che viveva notoriamente in peccato, forse affinché cadesse in contraddizione (se egli non lo avesse denunziato si sarebbe potuto dire che era suo complice, se egli lo avesse fatto si sarebbe detto che Francesco non rispettava la gerarchia), Francesco si limitò a baciare le mani di quel sacerdote, "che toccano il corpo di Gesù Cristo".
Inoltre Francesco non si rifiutava di mangiare alcuni cibi rifiutati dai catari (come carni, latte, uova), anzi accettava tutto quello che gli veniva offerto. Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della Materia" (il creato) dei catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente. Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara[11]. In tal caso il valore da attribuire alla preposizione "per" sarebbe quello di "agente". Comunque il suo amore per la natura e gli animali (come la leggendaria predica agli uccelli in località Piandarca sulla strada che da Cannara si dirige a Bevagna) erano superati solo dall'amore verso gli esseri umani: la pace interiore per Francesco non era una semplice serenità, ma non poteva prescindere dalla capacità di amore, di perdono e la gioia di vivere.

 

Crescita dell'ordine e viaggio in Egitto

Col tempo la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati francescani. Nel 1217 Francesco presiedette il primo dei capitoli generali dell'Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l'esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l'attività di preghiera, di rinsaldare l'unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell'ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.
Nel 1219, si recò ad Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e la Palestina: in occasione della quinta crociata voleva portare un messaggio cristiano di pace incontrandosi anche con i musulmani. Durante questo viaggio ottenne dal legato pontificio di poter incontrare lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino, per potergli proclamare la Buona Novella e metter fine alle guerra fra cristiani e musulmani. Egli non riuscì tuttavia nel suo intento, ma suscitò profonda ammirazione nel sultano che lo vide come un sant'uomo e lo trattò con rispetto: dopo aver offerto invano a Francesco numerose ricchezze, lo lasciò tornare incolume all'accampamento dei crociati. [12][13]. Nell'agiografia Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.
La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine stava compiendo cominciò ad essere palese a tutti. Iniziarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali[14]. Per dare l'esempio e per potersi dedicare completamente alla sua missione, nel 1220 Francesco rinunciò al governo dell'Ordine in favore dell'amico e seguace Pietro Cattani, che però morì l'anno seguente. Al successivo Capitolo Generale (detto «delle Stuoie», giugno 1221) venne scelto come vicario frate Elia.
Nel 1223, con la bolla «Solet annuere», papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» (che rispetto alla prima è più corta e contiene meno citazioni evangeliche), che fu redatta con l'aiuto del cardinale Ugolino d'Ostia (il futuro papa Gregorio IX). La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto; egli, pur non condannando in sé né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati che liberamente avevano deciso di seguirlo e di seguire la sua regola di vita stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze (anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede). Non è difficile immaginare che qualcuno, magari usando la scusa di poter meglio servire il prossimo, avesse richiesto più volte una limatura della regola del 1221 e alla fine Francesco cedette, pretendendo però questa volta una fedeltà assoluta, accettandola "senza commento", cioè senza interpretazioni.
Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio[15]. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe[16].
Oltre alla vita attiva Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l'esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l'Eremo delle carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l'Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l'Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera.

 

Le stigmate

Secondo le agiografie, il 17 settembre 1224, due anni prima della morte, mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l'omonimo santuario), Francesco avrebbe avuto una visione, al termine della quale gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso». Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia. Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.
Nell'iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stimmate. Per questa caratteristica Francesco è stato definito anche «alter Christus». La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del trionfo, simbolizzato dal Cristo in gloria.

 

Ultimi anni di vita e la morte

Negli anni seguenti Francesco fu sempre più segnato da molte malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato ed alla vista). Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente. Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il "Testamento", che vorrebbe fosse sempre legato alla "Regola", in cui esorta l'ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.
Nel 1226 si trovava a Bogogno, presso Nocera Umbra, ed era sempre più malato, alla vista, al fegato. Stava per morire quando i cavalieri assisani decisero di riportare, via cavallo, il corpo di Francesco ad Assisi. Cavalcata celebre con il nome di Cavalcata di Satriano. Egli però chiese ed ottenne di voler tornare a morire nel suo "luogo santo" preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre[17]. Prima della sua morte tra il 1224 e il 1226 compose il cantico delle creature.
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un'ultima volta a Chiara ed alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell'attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).
« Laudate et benedicite mi Signore,
et rengratiatelo et serviatelo cun grande humilitate. »

 

Fonte: http://www.centrolapira.it/Portals/0/Tabor/Parole%20di%20vita/San%20Francesco%20di%20Assisi-%20Vita.doc

Sito web da visitare: http://www.centrolapira.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

SAN FRANCESCO D’ASSISI
VITA PRIMA

 

Questa Vita Prima di san Francesco, che il francescano abruzzese Tommaso da Celano (c. 1190/c. 1260) scriveva tra il 1228 e l’inizio del 1229, è la prima biografia del Poverello. E, al tempo stesso, è il capostipite di diverse altre Vite o Leggende non riportate in questo volume, in quanto ne ripetono la matrice. Ciò vale soprattutto per la Vita di san Francesco di Giuliano da Spira (c. 1232/1239), per la Leggenda versificata di Enrico d’Avranches (c. 1232/1234), per la Leggenda corale dello stesso Tommaso (c. 1230/ /1232), mentre ci sfugge il testo della Leggenda «Quasi stella mattutina» scritta da Giovanni da Celano, fratello di Tommaso.

Il valore biografico e letterario della Vita prima è fuori discussione; ha pesato tuttavia sulle sue vicende la decisione del Capitolo generale di Parigi del 1266, che ordinò di distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco, dopo che Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale, ebbe compilato la sua Leggenda maggiore (1263). L’opera bonaventuriana riuniva in un solo corpo letterario la biografia del Santo, edulcorando le testimonianze dirette che Tommaso, tra il 1228 e il 1253, aveva inserito nella sua «trilogia» (Vita prima, Vita seconda e Trattato dei miracoli).

Ritrovata (in un manoscritto non molto valido) e pubblicata, per la prima volta, dai Bollandisti nel 1768, la Vita prima si rivelò, in ambito moderno, un documento di grande autorità, nonostante le sue preoccupazioni letterarie. Per la loro edizione critica, gli editori di Quaracchi (in AF, X, pp. 1-117, ma si veda anche, ivi, M. Bihl, pp. III-XIX) non hanno avuto a disposizione che una decina di manoscritti, alcuni dei quali mutili. Il nostro volgarizzamento segue tale edizione.

 

PROLOGO

NEL NOME DEL SIGNORE. AMEN.
INCOMINCIA IL PROLOGO
ALLA VITA DEL BEATO FRANCESCO

 

1. Per ordine del glorioso signor papa Gregorio, mi sono accinto a narrare diligentemente gli atti e la vita del beatissimo padre nostro Francesco. Ho cercato di farlo con ordine e devozione, scegliendo sempre come maestra e guida la verità. Ma poiché nessuno può ritenere a memoria tutte le opere e gli insegnamenti di lui, mi sono limitato a trascrivere con fedeltà almeno quelle cose che io stesso ho raccolto dalla sua viva voce o appreso dal racconto di testimoni provati e sinceri, stendendole nel miglior modo che mi è stato possibile, sebbene tanto inferiore al merito del soggetto. Potessi davvero essere degno discepolo di colui che evitò costantemente il linguaggio difficile e gli ornamenti della retorica!

2. Ho diviso in tre parti e in vari capitoli il materiale raccolto, allo scopo di non creare confusione tra episodi di tempi diversi, né dubbio circa la loro verità.

La prima parte segue l’ordine cronologico, e tratta soprattutto della purezza della sua vita, delle sue virtù esemplari e dei suoi salutari insegnamenti. Ví sono inseriti anche alcuni miracoli, tra i tanti che Dio si degnò compiere per mezzo di lui in vita.

La seconda narra gli avvenimenti dal penultimo anno della sua vita fino alla sua beata morte.

La terza infine raccoglie molti miracoli operati in terra dal Santo, ma molti più ne tace, da quando egli regna glorioso con Cristo in cielo.

Descrive pure il culto di venerazione, di onore e di lode che papa Gregorio, felicemente regnante, e tutti i cardinali di santa Chiesa romana gli tributarono, quando decisero di iscriverlo nel catalogo dei Santi.

Sia ringraziato Dio onnipotente, che nei suoi santi si mostra sempre ammirabile e amabile.

QUI FINISCE IL PROLOGO

 

PARTE PRIMA

A LODE E GLORIA DI DIO ONNIPOTENTE,
PADRE, FIGLIO E SPIRITO SANTO. AMEN.
INCOMINCIA LA VITA
DEL BEATISSIMO PADRE NOSTRO FRANCESCO

 

CAPITOLO I

COSTUMI MONDANI DELLA SUA GIOVINEZZA

1. Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai genitori ricevette fin dalla infanzia una cattiva educazione, ispirata alle vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero e vanitoso.

Questa pessima mentalità, infatti, si è diffusa tra coloro che si dicono cristiani: si è fatto strada il sistema funesto, quasi fosse una legge, di educare i propri figli fin dalla culla con eccessiva tolleranza e dissolutezza. Ancora fanciulli, appena cominciano a balbettare qualche sillaba, si insegnano loro con gesti e parole cose vergognose e deprecabili. Sopraggiunto il tempo dello svezzamento, sono spinti non solo a dire, ma anche a fare ciò che è indecente. Nessuno di loro, a quella età, osa comportarsi onestamente, per timore di essere severamente castigato. Ben a ragione, pertanto, afferma un poeta pagano: «Essendo cresciuti tra i cattivi esempi dei nostri genitori, tutti i mali ci accompagnano dalla fanciullezza». E si tratta di una testimonianza vera: quanto più i desideri dei parenti sono dannosi ai figli, tanto più essi li seguono volentieri!

Raggiunta un’età un po’ più matura, istintivamente passano a misfatti peggiori, perché da una radice guasta cresce un albero difettoso, e ciò che una volta è degenerato, a stento si può ricondurre al suo giusto stato. E quando varcano la soglia dell’adolescenza, che cosa pensi che diventino? Allora rompono i freni di ogni norma: poiché è permesso fare tutto quello che piace, si abbandonano senza riguardo ad una vita depravata. Facendosi così volutamente schiavi del peccato, trasformano le loro membra in strumenti di iniquità; cancellano in se stessi, nella condotta e nei costumi, ogni segno di fede cristiana. Di cristiano si vantano solo del nome. Spesso gli sventurati millantano colpe peggiori di quelle realmente commesse: hanno paura di essere tanto più derisi quanto più si conservano puri

2. Ecco i tristi insegnamenti a cui fu iniziato quest’uomo, che noi Oggi veneriamo come santo, e che veramente è santo!

Sciupò miseramente il tempo, dall’infanzia fin quasi al suo venticinquesimo anno. Anzi, precedendo in queste vanità tutti i suoi coetanei, si era fatto promotore di mali e di stoltezze. Oggetto di meraviglia per tutti, cercava di eccellere sugli altri ovunque e con smisurata ambizione: nei giuochi, nelle raffinatezze, nei bei motti, nei canti, nelle vesti sfarzose e morbide. E veramente era molto ricco ma non avaro, anzi prodigo; non avido di denaro, ma dissipatore; mercante avveduto, ma munificentissimo per vanagloria; di più, era molto cortese, accondiscendente e affabile, sebbene a suo svantaggio. Appunto per questi motivi, molti, votati all’iniquità e cattivi istigatori, si schieravano con lui. Così, circondato da facinorosi, avanzava altero e generoso per le piazze di Babilonia, fino a quando Dio, nella sua bontà, posando il suo sguardo su di lui, non allontanò da lui la sua ira e non mise in bocca al misero il freno della sua lode, perché non perisse del tutto.

La mano del Signore si posò su di lui e la destra dell’Altissimo lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia, e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio.

 

CAPITOLO II

DIO VISITA IL SUO SPIRITO
CON UNA MALATTIA E UN SOGNO

3. Ecco dunque quest’uomo vivere nel peccato con passione giovanile! Trascinato dalla sua stessa età, dalle tendenze della gioventù e incapace di controllarsi, poteva soccombere al veleno dell’antico serpente (cf. Ap 20,2). Ma la vendetta, o meglio la misericordia divina, all’improvviso richiama la sua coscienza traviata mediante angustia spirituale e infermità corporale, conforme al detto profetico: Assedierò la tua via di spine, la circonderò con un muro (Os 2,6).

Colpito da una lunga malattia, come è necessario per la caparbietà umana, che non si corregge se non col castigo, egli cominciò effettivamente a cambiare il suo mondo interiore. Riavutosi un po’, per ricuperare le forze, si mise a passeggiare qua e là per la casa, appoggiato ad un bastone.

Un giorno uscì, ammirando con più attenzione la campagna circostante; ma tutto ciò che è gradevole a vedersi: la bellezza dei campi, l’amenità dei vigneti, non gli dava più alcun diletto. Era attonito di questo repentino mutamento e riteneva stolti tutti quelli che hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta.

4. Da quel giorno cominciò a far nessun conto di sé e a disprezzare ciò che prima aveva ammirato ed amato. Non tuttavia in modo perfetto e reale, perché non era ancora libero dai lacci della vanità, né aveva scosso a fondo il giogo della perversa schiavitù.

Abbandonare le consuetudini è infatti molto arduo: una volta impiantatesi nell’animo, non si lasciano sradicare facilmente; lo spirito, anche dopo lunga lontananza, ritorna ai primitivi atteggiamenti, e il vizio finisce per diventare una seconda natura. Pertanto Francesco cerca ancora di sottrarsi alla mano divina; quasi immemore della correzione paterna, arridendogli la fortuna, accarezza pensieri terreni: ignaro del volere di Dio, sogna ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo.

Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando grandi preparativi militari: pieno di ambizioni, per accaparrarsi maggior ricchezza e onore, aveva deciso di condurre le sue truppe fin nelle Puglie. Saputo questo, Francesco, leggero d’animo e molto audace, trattò subito per arruolarsi con lui: gli era inferiore per nobiltà di natali, ma superiore per grandezza d’animo; meno ricco, ma più generoso.

5. La sua mente era tutta consacrata al compimento di simile progetto, e aspettava ansioso l’ora di partire. Ma la notte precedente, Colui che l’aveva colpito con la verga della giustizia lo visitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poiché era avido di gloria, lo conquise con lo stesso miraggio di una gloria più alta. Gli sembrò di vedere la casa tappezzata di armi: selle, scudi, lance e altri ordigni bellici, e se ne rallegrava grandemente, domandandosi stupito che cosa fosse. Il suo sguardo infatti non era abituato alla visione di quegli strumenti in casa, ma piuttosto a cataste di panno da vendere.

E mentre era non poco sorpreso davanti all’avvenimento inaspettato, si sente dire: «Tutte queste armi sono per te e i tuoi soldati». La mattina dopo, destandosi, si alzò con il cuore inondato di gioia e, interpretando la visione come ottimo auspicio, non dubitava un istante del successo della sua spedizione nelle Puglie. Tuttavia non sapeva quello che diceva (Lc 9,33), ignorando ancora il compito che il Signore intendeva affidargli. Non gli mancava comunque la possibilità di intuire che aveva interpretato erroneamente la visione, perché, pur avendo essa un rapporto con le imprese guerresche, di fatto non lo entusiasmava né allietava come al solito; a fatica anzi gli riusciva di mettere in atto quei suoi piani e realizzare il viaggio tanto desiderato.

In verità, molto a proposito si parla di armi subito all’inizio della missione di Francesco, ed è assai conveniente armare il soldato che si accinge a combattere contro il forte armato (Lc 11,21),perché, come nuovo Davide, liberi Israele, nel nome del Dio degli eserciti (1Sam 17,45),dall’antico oltraggio dei nemici.

 

CAPITOLO III

NASCONDE SOTTO IL VELO DI ALLEGORIE
IL SEGRETO DELLA SUA TRASFORMAZIONE

6. Già cambiato spiritualmente, ma senza lasciar nulla trapelare all’esterno, Francesco rinuncia a recarsi nelle Puglie e si impegna a conformare la sua volontà a quella divina.

Si apparta un poco dal tumulto del mondo e dalla mercatura, e cerca di custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore. Come un mercante avveduto sottrae allo sguardo degli scettici la perla trovata (Mt 13,45-46), e segretamente si adopra a comprarla con la vendita di tutto il resto.

Vi era ad Assisi un giovane, che egli amava più degli altri. Poiché era suo coetaneo e l’amicizia pienamente condivisa lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo portava con sé in posti adatti al raccoglimento dello spirito, rivelandogli di aver scoperto un tesoro grande e prezioso. L’amico, esultante e incuriosito, accettava sempre volentieri l’invito di accompagnarlo.

Alla periferia della città c’era una grotta, in cui essi andavano sovente, parlando del «tesoro». L’uomo di Dio, già santo per desiderio di esserlo, vi entrava, lasciando fuori il compagno ad attendere, e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in segreto (Mt 6,6). Desiderava che nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro e, celando saggiamente a fin di bene il meglio, solo a Dio affidava i suoi santi propositi. Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua via e di insegnargli a realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva darsi pace finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri l’assalivano senza tregua e la loro insistenza lo gettava nel turbamento e nella sofferenza.

Bruciava interiormente di fuoco divino, e non riusciva a dissimulare il fervore della sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli occhi della maestà divina. Le vanità del passato o del presente non avevano per lui più nessuna attrattiva, ma non si sentiva sicuro di saper resistere a quelle future. Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse tanto spossato da apparire irriconoscibile.

7. Un giorno finalmente, dopo aver implorato con tutto il cuore la misericordia divina, gli fu rivelato dal Signore come doveva comportarsi. E fu ripieno di tanto gaudio da non poterlo contenere e da lasciare, pur non volendo, trasparire qualcosa agli uomini.

Il grande amore che gli invadeva l’anima non gli permetteva ormai di tacere; tuttavia parlava in linguaggio enigmatico: cercava di esprimersi con gli altri nello stesso modo figurato con cui l’abbiamo visto discorrere con l’amico preferito di un tesoro nascosto. Diceva di rinunciare a partire per le Puglie, ma allo scopo di compiere magnanime imprese nella sua patria. Gli amici pensavano che avesse deciso di maritarsi e gli domandavano: «Vuoi forse prendere moglie, Francesco?». Egli rispondeva: «Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a tutte le altre in bellezza e sapienza».

E veramente sposa è la vera religione che egli abbracciò (Gc 1,27); e il Regno dei Cieli è il tesoro nascosto(Mt 13,44) che egli cercò così ardentemente. Bisognava davvero che si compisse pienamente la vocazione evangelica in colui che doveva essere ministro fedele e autentico del Vangelo(Ef 3,7)!

 

CAPITOLO IV

VENDUTA OGNI COSA,
SI LIBERA ANCHE DEL DENARO RICAVATO

8. Così il beato servo dell’Altissimo, sospinto e preparato dallo Spirito Santo, essendo scoccata l’ora stabilita si abbandona all’impulso della sua anima: calpesta i beni di questo mondo per la conquista di beni migliori. D’altronde non gli era più permesso differire: una epidemia mortifera si era diffusa ovunque, paralizzando a molti le membra in modo tale che avrebbe tolto loro anche la vita, se il Medico avesse tardato anche solo per poco.

Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno della croce, appronta un cavallo, monta in sella e, portando con sé panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi, secondo la sua abitudine, vende tutta la merce, e, con un colpo di fortuna, perfino il cavallo!

Sul cammino del ritorno, libero da ogni peso, pensa all’opera cui destinare quel denaro. Convertito a Dio in maniera rapida e meravigliosa, sente tale somma troppo ingombrante, la portasse pure per un’ora sola. Così, tenendone conto quanto l’arena, si affretta a disfarsene. Avvicinandosi ad Assisi, si imbatte in una chiesa molto antica, fabbricata sul bordo della strada e dedicata a San Damiano, allora in stato di rovina per vecchiaia.

9. Il nuovo cavaliere di Cristo si avvicina alla chiesa, e vedendola in quella miseranda condizione, si sente stringere il cuore. Vi entra con timore riverenziale e, incontrandovi un povero sacerdote, con grande fede gli bacia le mani consacrate, gli offre il denaro che reca con sé e gli manifesta i suoi proponimenti. Stupito per l’improvvisa conversione, il sacerdote quasi non crede a quanto odono le sue orecchie e ricusa di prendere quei soldi, temendo una burla. Infatti lo avevano visto, per così dire, il giorno innanzi a far baldoria tra parenti e amici, superando tutti nella stoltezza. Ma Francesco insiste e lo supplica ripetutamente di credere alle sue parole, e lo prega di accoglierlo con lui a servire il Signore. E finalmente il sacerdote gli permette di rimanere con lui, pur persistendo nel rifiuto del denaro, per paura dei parenti. Allora Francesco, vero dispregiatore della ricchezza, lo getta sopra una finestrella, incurante di esso, quanto della polvere.

Bramava, infatti, possedere la sapienza che è migliore dell’oro e ottenere la prudenza che è più preziosa dell’argento (Pr 16,16).

 

CAPITOLO V

IL PADRE LO PERSEGUITA
E LO TIENE PRIGIONIERO

10. Mentre il servo dell’Altissimo. viveva in quel luogo, suo padre andava cercando ovunque, come un diligente esploratore, notizie del figlio. Appena venne a conoscenza che Francesco dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera, profondamente addolorato e colpito dal fatto inatteso, radunò vicini e amici e corse senza indugio dal servo di Dio. Ma questi, che era ancora novizio nelle battaglie di Cristo, presentendo la loro venuta e sentendo le grida dei persecutori, si sottrasse alla loro ira, nascondendosi in un rifugio sotterraneo che si era preparato proprio in previsione di un simile pericolo.

In quella fossa, che era sotto la casa. ed era nota forse ad uno solo, rimase nascosto per un mese intero non osando uscire che per stretta necessità. Mangiava nel buio del suo antro il cibo che di tanto in tanto gli veniva offerto, e ogni aiuto gli era dato nascostamente. Con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse dalle mani di chi perseguitava la sua anima (Sal 108,31; 141,7-8) e gli concedesse la grazia di compiere i suoi voti. Nel digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio.

Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si sentiva inondato da indicibile gioia, mai provata fino allora. Animato da questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi indifeso alle ingiurie dei persecutori.

11. Si leva prontamente e di scatto, pieno di zelo e di letizia, si munisce dell’armatura necessaria per le battaglie del Signore: lo scudo della fede e un grande coraggio, e s’incammina verso la città, accusandosi, nel suo divino entusiasmo, di essersi attardato troppo per viltà.

Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale col passato, cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e fango. Quell’aspetto, macerato dalla penitenza, e quell’atteggiamento tanto diverso dal solito, li inducevano a pensare che tutti i suoi atti fossero frutto di fame patita e di follia. Ma poiché la pazienza val più dell’arroganza (Qo 7,9),Francesco non si lasciava disanimare né sconfiggere da insulto alcuno e ringraziava Dio per quelle prove.

Invano l’iniquo perseguita l’uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto maggiore è il trionfo della sua fortezza. L’umiliazione, disse qualcuno, rende più intrepido il cuore generoso.

12. Quel vociare rumoroso e canzonatorio attorno a lui si diffondeva sempre di più per le vie e le piazze della città e il clamore degli scherzi rimbalzava di qua e di là toccando le orecchie di molti, finché giunse anche a quelle di suo padre. Questi, udito gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il dileggio dei cittadini, subito andò da Francesco, non per liberarlo, ma per rovinarlo. Come il lupo assale la pecora, senza più alcun ritegno, con sguardo truce e minaccioso, afferrandolo con le mani, lo trascinò a casa. E, inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, cercando di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi con percosse e catene.

Ma il giovane dalle stesse sofferenze traeva forza e risolutezza per realizzare il suo santo ideale. Né la debilitante reclusione né i martellanti rimbrotti gli fecero mai perdere la pazienza.

Il cristiano infatti ha il mandato di rallegrarsi nelle tribolazioni: neppure sotto i flagelli e le catene può abbandonare la sua linea di condotta e di spirito e lasciarsi sviare dal gregge di Cristo. Non lo intimorisce il diluviare di molte acque (Sal 31,6), lui,che in ogni angustia ha per rifugio il Figlio di Dio, il quale perché non riteniamo troppo pesante il giogo delle nostre sofferenze, ci mostra quanto sono assai più grandi quelle che egli ha sopportato per noi.

 

CAPITOLO VI

LA MADRE LO LIBERA,
ED EGLI SI SPOGLIA DAVANTI AL VESCOVO DI ASSISI

13. Affari urgenti costrinsero il padre ad assentarsi per un po’ di tempo da casa, e il servo di Dio rimase legato nel suo sgabuzzino. Allora la madre, essendo rimasta sola con lui, disapprovando il metodo del marito, parlò con tenerezza al figlio, ma s’accorse che niente poteva dissuaderlo dalla sua scelta. E l’amore materno fu più forte di lei stessa: ne sciolse i legami, lasciandolo in libertà. Francesco, ringraziando Iddio onnipotente, senza perdere un istante, se ne tornò al luogo dove aveva dimorato prima. Reso più sicuro dall’esperienza delle lotte e tentazioni affrontate, appariva anche più sereno; le avversità gli avevano maggiormente temprato lo spirito, e se ne andava ovunque libero e con maggior fermezza.

Frattanto il padre rincasa e non trovandolo, accumulando peccati su peccati, tempesta di rimproveri la moglie. Poi furente e imprecante, corre da Francesco a San Damiano, nel tentativo di almeno allontanarlo dalla regione, se non gli riesce di piegarlo a ritornare alla sua vita precedente.

Questa volta però, poiché chi teme il Signore è sicuro di trovare in Lui ogni forza (Pr 14,26),il figlio della grazia, appena sente che il padre terreno sta per sopraggiungere, gli va incontro spontaneamente, gioioso, dichiarando di non aver più paura delle catene e delle percosse, e di essere pronto a sopportare lietamente ogni male nel nome di Cristo.

14. Allora il padre, visto vano ogni sforzo per distoglierlo dal nuovo cammino, rivolge tutto il suo interesse a farsi restituire il denaro. L’uomo di Dio aveva deciso di usarlo per i poveri e per il restauro della cappella; ma, staccato com’era da esso, non si lasciò sedurre dal miraggio apparente di poterne trarre del bene e non gli dispiacque affatto privarsene. Ritrovò la borsa del denaro che egli, gran disprezzatore dei beni terreni e assetato di quelli celesti, aveva scagliato in mezzo alla polvere della finestra. Il ricupero della somma placò in parte come un refrigerio l’ira e l’avidità del padre.

Tuttavia impose al figlio di seguirlo davanti al vescovo della città, perché facesse nelle mani del prelato la rinuncia e la restituzione completa di quanto possedeva.

Era ben lontano dal far resistenza, e aderì giubilante e sollecito a questa richiesta.

15. Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita . né indugia per nessun motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte a tutti. Il vescovo, colpito da tanto coraggio e ammirandone il fervore e la risolutezza d’animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre col suo stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto ispirato da Dio al suo servo, carico di un significato misterioso. Perciò da quel momento egli si costituì suo aiuto, protettore e conforto, avvolgendolo con sentimento di grande amore.

Il nostro atleta ormai si lancia nudo nella lotta contro il nemico nudo; deposto tutto ciò che appartiene al mondo eccolo occuparsi solo della giustizia divina! Si addestra così al disprezzo della propria vita, abbandonando ogni cura di se stesso, affinché sia compagna della sua povertà la pace nel cammino infestato da insidie e solo il velo della carne lo separi ormai dalla visione di Dio.

 

CAPITOLO VII

ASSALITO DAI BRIGANTI, È GETTATO NELLA NEVE,
POI SI APPLICA A SERVIRE I LEBBROSI

16. Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia. L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro: «Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?». Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo: «Stattene lì, zotico araldo di Dio!». Ma egli, guardandosi attorno e scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose.

Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da sguattero di cucina. Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po’ di brodo; ma non trovando pietà e neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico riceve in dono una povera tonaca. Qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Francesco, il priore di quel monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e i suoi confratelli.

17. Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: «Quando era ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia». La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.

Quand’era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava dei poveri, li soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di compassione per tutti gli afflitti. Una volta, che aveva respinto malamente, contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un povero che gli aveva chiesto l’elemosina, pentitosi subito, ritenne vergognosa villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re così grande. Prese allora la risoluzione di non negar mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se stesso, mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio evangelico: Dà a chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a chi ti chiede un prestito (Mt 5,42).

 

CAPITOLO X

FRANCESCO PREDICA IL VANGELO
E ANNUNCIA LA PACE
CONVERSIONE DEI PRIMI SEI FRATI

23. Da allora, con grande fervore ed esultanza, egli cominciò a predicare la penitenza, edificando tutti con la semplicità della sua parola e la magnificenza del suo cuore. La sua parola era come fuoco bruciante, penetrava nell’intimo dei cuori, riempiendo tutti di ammirazione. Sembrava totalmente diverso da come era prima: tutto intento al cielo, disdegnava guardare la terra. E, cosa curiosa, iniziò la sua predicazione proprio dove, fanciullo, aveva imparato a leggere, e dove poi ebbe la prima gloriosa sepoltura, così che un felice inizio fu coronato da una fine ancor più lieta. Insegnò dove aveva imparato e terminò felicemente dove aveva incominciato.

In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo, augurava la pace, dicendo: «Il Signore vi dia la pace!» (2Ts 3,16). Questa pace egli annunciava sempre sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici della pace e della propria salvezza, a diventare essi stessi figli della pace e desiderosi della salvezza eterna.

24. Il primo tra quelli che seguirono l’uomo di Dio fu un abitante d’Assisi, devoto e semplice di spirito. Dopo di lui frate Bernardo, raccogliendo questo messaggio di pace, corse celermente al seguito del Santo di Dio per guadagnarsi il regno dei Cieli. Egli aveva già più volte ospitato Francesco nella sua casa; ne aveva osservato e sperimentato la vita e i costumi e, attratto dalla sua santità, cominciò a riflettere seriamente, finché si decise ad abbracciare la via della salvezza. Lo vedeva passare le notti in preghiera, dormire pochissimo e lodare il Signore e la gloriosa Vergine Madre sua, e, pieno di ammirazione pensava: «Veramente quest’uomo è un uomo di Dio!» Si affretta perciò, a vendere tutti i suoi beni, distribuendo il ricavato ai poveri, non ai parenti, e, trattenendo per sé solo il titolo di una perfezione maggiore, mette in pratica il consiglio evangelico: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dàllo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo poi vieni e seguimi! (Mt 19,21) Fatto questo, vestì l’abito e condivideva la vita di san Francesco, e stette sempre con lui, fino a quando, cresciuti di numero, con l’obbedienza del pio padre, fu inviato in altre regioni.

La sua conversione a Dio servì di modello per tutti quelli che vennero dopo di lui: dovevano vendere i loro beni e distribuire il ricavato ai poveri. La venuta e la conversione di un uomo così pio riempirono Francesco di una gioia straordinaria: gli parve che il Signore avesse cura di lui, donandogli il compagno di cui ognuno ha bisogno e un amico fedele.

25. Presto venne alla sua sequela un altro cittadino di Assisi, degno di ogni elogio per la sua vita, che chiuse poco dopo ancor più santamente di come l’aveva incominciata.

Ed ecco sopraggiungere frate Egidio, uomo semplice, retto e timorato di Dio (Gb 1,8; 2,3),che, in tutta la sua lunga vita, praticò la santità, la giustizia, la pietà, lasciandoci esempi di obbedienza perfetta, lavoro manuale, amore al raccoglimento e alla contemplazione religiosa.

Dopo di lui arrivò un altro, e finalmente il loro numero divenne sette con frate Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con il carbone ardente, così che parlava di Dio con spirito mirabile. Interpretava la Scrittura, spiegando il significato più recondito, senza aver studiato nelle scuole, simile a coloro che i principi dei Giudei disprezzavano come ignoranti e illetterati.

 

CAPITOLO XI

SPIRITO DI PROFEZIA
E PREDIZIONI DI SAN FRANCESCO

26. Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno più della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro, con princìpi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povertà e della beata semplicità.

Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: «O Dio, sii propizio a me peccatore!»(Lc 18,13). A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro.

Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: «Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore; non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l’abito della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue». Ascoltando queste parole, una santa gioia si impadronì dei frati, per la grazia che Iddio concedeva al suo Santo, perché assetati come erano del bene del prossimo, desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad accrescere il loro numero per trovarvi insieme salvezza.

28. E Francesco riprese il suo discorso: «Per ringraziare con fedeltà e devozione il Signore Dio nostro per tutti i suoi doni, o fratelli, e perché conosciate come dobbiamo vivere ora e nel futuro, ascoltate la verità sugli avvenimenti futuri. All’inizio della vita del nostro Ordine troveremo frutti dolci e deliziosi, poi ne avremo altri meno gustosi; infine ne raccoglieremo di quelli tanto amari da non poterli mangiare, perché a motivo della loro asprezza saranno immangiabili per tutti, quantunque siano estremamente belli e profumati. Effettivamente, come vi dissi, il Signore ci farà crescere fino a diventate un popolo assai numeroso; poi avverrà come di un pescatore che, gettando le reti nel mare o in qualche lago, prende grande quantità di pesci (Lc 5,6),ma dopo averli messi tutti nella sua navicella essendo troppi, sceglie i migliori e i più grossi da riporre nei vasi e portar via, e abbandona gli altri».

Di quanta verità e chiarezza rifulgano queste predizioni del Santo è manifesto a chiunque le consideri con spirito obiettivo e sincero. Ecco come lo spirito di profezia riposava su san Francesco!

 

CAPITOLO XII

FRANCESCO
MANDA I FRATI A DUE A DUE NEL MONDO;
POCO TEMPO DOPO SI RITROVANO INSIEME

29. Nello stesso tempo entrò nell’Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: «Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno».

Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che abbracciandoli con tenerezza e devozione diceva ad ognuno: «Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te» (Sal 54,28). Era la frase che ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l’obbedienza.

30. Allora frate Bernardo con frate Egidio partì per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; san Francesco con un altro compagno si scelse la valle di Rieti; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre due direzioni.

Ma passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d’Israele (Is 11,12),che si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritrovarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insiememanifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero.

Raccontano poi i benefici ricevuti dal misericordioso Signore e chiedono e ottengono umilmente la correzione e la penitenza dal beato padre per le eventuali colpe di negligenza o di ingratitudine.

E così solevano fare sempre quando si recavano da lui; non gli nascondevano neppure il minimo pensiero e i moti involontari dell’anima, e dopo aver compiuto tutto ciò che era stato loro comandato, si ritenevano ancora servi inutili(Lc 17,10).E veramente la «purezza di cuore» riempiva a tal punto quel primo gruppo di discepoli del beato Francesco, che, pur sapendo operare cose utili, sante e rette, si mostrava del tutto incapace di trarne vana compiacenza. Allora il beato Francesco, stringendo a sé i figli con grande amore, cominciò a manifestare a loro i suoi propositi e ciò che il Signore gli aveva rivelato.

31. Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi. Perciò l’interesse per il movimento e la fama dell’uomo di Dio cresceva sempre più tra il popolo. E veramente in quel tempo Francesco e i suoi compagni provavano una immensa allegrezza e una gioia inesplicabile quando qualcuno dei fedeli, chiunque e di qualunque condizione fosse, ricco, povero, nobile, popolano, spregevole, onorato, prudente, semplice, chierico, indotto, laico, guidato dallo spirito di Dio veniva a prender l’abito della loro santa religione.

Riscuotevano tutti la sincera ammirazione degli uomini del mondo, e l’esempio della loro umiltà era per essi una provocazione a vivere meglio e a far penitenza dei propri peccati.

Né l’umiltà della condizione, né la povertà che il mondo ritiene una infermità, potevano impedire che fossero incorporati nella costruzione di Dio quelli che egli voleva inserirvi, poiché Dio trova la sua compiacenza nello stare con i semplici e con quelli che il mondo disprezza.

 

CAPITOLO XIII

QUANDO EBBE UNDICI FRATI, SCRISSE LA PRIMA REGOLA,
CHE FU APPROVATA DA INNOCENZO III

32. Vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci, Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una norma di vita o Regola, composta soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui osservanza perfetta continuamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre direttive indispensabili e urgenti per una santa vita in comune.

Poi, con tutti i suddetti frati, si recò a Roma, desiderando grandemente che il signor papa Innocenzo III, confermasse quanto aveva scritto.

In quel tempo si trovava a Roma il venerando vescovo d’Assisi, Guido, che aveva particolare affetto e stima per Francesco e per tutti i suoi fratelli. Quando li vide, non sapendo il motivo della loro venuta, si turbò molto, perché temeva che volessero lasciare la loro patria, nella quale il Signore per mezzo di quei suoi servi operava già grandissimo bene. Era infatti profondamente lieto di avere nella propria diocesi tanti uomini di quel genere, perché dalla loro vita santa si attendeva grandi frutti. Come ebbe però udito il motivo del viaggio e il loro proposito, si rallegrò assai nel Signore e si offrì di consigliarli e aiutarli.

San Francesco si presentò anche al vescovo di Sabina, Giovanni di San Paolo, che tra i principi e prelati della Curia romana, aveva fama di disprezzare le cose terrene e amare le celesti. Egli l’accolse benevolmente e lodò il suo disegno.

33. Nondimeno, da uomo prudente, lo interrogava su molti punti e cercava di convincerlo a scegliere la vita monastica o l’eremitica. Ma san Francesco ricusava con quanta più umiltà poteva quegli argomenti, non perché li disprezzasse, ma perché si sentiva trasportato da più alto desiderio seguendo con amore un altro ideale. Il vescovo ammirava il suo zelo, tuttavia temendo che non potesse perseverare in un ideale così alto, gli additava vie più piane. Infine, vinto dalla sua costanza, accondiscese alle sue preghiere e si impegnò a promuovere la causa di lui davanti al Papa.

Era allora preposto alla Chiesa di Dio, il signor papa Innocenzo III, uomo che si era coperto di gloria, dotto, ricco di eloquenza, ardente cultore della giustizia nel difendere i diritti e gli interessi della fede cristiana. Questi. conosciuto il desiderio di quegli uomini di Dio, dopo matura riflessione, diede il suo assenso alla loro richiesta, e lo completò dandogli effetto; li incoraggiò con molti consigli e li benedisse, dicendo: «Andate con Dio, fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il Signore onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete lieti a dirmelo, ed io vi concederò con più sicurezza altri favori e uffici più importanti».

Veramente il Signore era con Francesco ovunque andasse, allietandolo con rivelazioni e animandolo con i suoi benefici. Una notte ebbe questa visione: sul ciglio della strada che stava percorrendo c’era un albero maestoso, robusto e bello, con un tronco enorme e altissimo. Avvicinatosi per osservarne la bellezza e grandezza, egli stesso all’improvviso crebbe tanto da poterne toccare la cima. Lo prese e con una sola mano lo piegò agevolmente fino a terra. Così era avvenuto veramente: papa Innocenzo, che è come l’albero più alto e potente del mondo, si era inchinato così benevolmente alla preghiera del beato Francesco.

 

Fonte: estratto da http://www.giovaniconfrancesco.it/Fonti/Celano1.rtf

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Autore del testo: Traduzione e note di A. CALUFETTI e F. OLGIATI

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San Francesco D’Assisi
San Francesco nacque ad Assisi nel 1182 circa. Giovanni Francesco Bernardone , figlio di un ricco mercante di stoffe, condusse da giovane una vita spensierata. Partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia , dopo la quale, a causa di una grave malattia contratta durante un anno di prigionia, cambiò radicalmente stile di vita e si dedicò ad opere di carità tra i poveri e i lebbrosi.
Il padre di Francesco, adirato per i mutamenti nella personalità del figlio e per le sue cospicue offerte, lo diseredò; Francesco si spogliò allora dei suoi ricchi abiti dinnanzi al vescovo di Assisi.
Nella Porziuncola, nel 1208, ricevette l’invito a uscire nel mondo e a privarsi di tutto per fare del bene ovunque. Iniziò, pertanto, la sua predicazione raggruppando intorno a sé dodici seguaci che elessero Francesco loro superiore, scegliendo la loro prima sede nella chiesetta della Porziuncola. Nel 1212 anche Chiara D’Assisi prese l’abito monastico istituendo il secondo ordine francescano, detto delle clarisse. Nel 1219 si recò in Egitto (dove predicò davanti al sultano, senza però riuscire a convertirlo) ed, in seguito, in Terra Santa. Al suo ritorno trovò dissenso tra i frati e si dimise dall’incarico di superiore. Ritiratosi sul Monte della Verna nel settembre 1224, dopo quaranta giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate. Francesco venne portato ad Assisi, dove rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì tuttavia quell’amore per Dio e per la creazione espresso nel Cantico di Frate Sole probabilmente composto ad Assisi nel 1225. In esso il Sole e la natura sono lodati come fratelli e sorelle, espressione dell’amore di Dio per gli uomini e immagine della perfezione del suo Creatore.
Francesco morì la sera del 3 ottobre 1226. Venne canonizzato nel 1228 da papa Gregorio IX. Nominato “Patrono d’Italia”, San Francesco viene rappresentato nell’iconografia tradizionale con le stigmate e nell’atto di predicare agli animali.

La Basilica di Santa Maria degli Angeli
La Basilica di Santa Maria degli Angeli si trova a pochi chilometri da Assisi, in pianura, al centro della Valle Umbra. E’ uno dei maggiori templi della cristianità ed è sorta con un duplice scopo: custodire e proteggere la Porziuncola; accogliere l’enorme folla dei pellegrini attratta ogni anno dalla Festa del Perdono. Il tempio fu eretto tra il 1569 e il 1679, per volere del Vescovo Geri. La base della facciata fu realizzata alla fine del ‘500. L’edificio fu danneggiato dal terremoto del 1832 e ricostruito su disegno del Poletti, che introdusse irrilevanti modificazioni. Le nuove porte, scolpite in noce, furono messe in opera nel 1892. L’attuale facciata neo-rinascimentale, con il portico, fu aggiunta tra il 1924 e il 1930. Nel 1930 venne pure collocata la statua aurea della Madonna degli Angeli. Sulla grandiosa mole della chiesa si libra la bella cupola, completata nel 1680. Sempre intorno al 1680 fu completato il campanile. La Basilica, a croce latina, è lunga 126 metri e larga 65. L’impianto, a tre navate, comprende varie cappelle laterali. Pochi i fregi, poche le decorazioni, in coerenza con lo stile della controriforma. Alla fine degli anni ’60 venne rifatta la pavimentazione e costruita la cripta sotto il coro e l’altare. Queste le opere e gli ambienti più importanti:

  • Abside e coro- A pianta semicircolare (di recente il presbiterio è stato sopraelevato per consentire l’apertura della cripta) è rilevante il Coro ligneo in legno di noce, iniziato nel 1689 e portato a compimento soltanto dai frati, sotto la guida di fra Luigi da Selci.
  • Grotta di San Francesco- All’interno di essa è possibile vedere una statuetta e alcuni tronchi di albero di epoca francescana.
  • Il Roseto- Esso viene collegato con un episodio della vita del Santo: pare che, per sfuggire alla tentazione, egli si sia gettato, senza panni, su un grosso cespuglio di rovi e che il sangue, fuoriuscito dal corpo martirizzato, abbia fatto crescere delle rose senza spine. Prima di arrivare al roseto si può vedere una piccola statua di San Francesco, sulla quale nidificano le tortorelle tanto care al Santo, e un monumento in cui viene rappresentato mentre si rivolge ad una pecorella. Per giungere alla Cappella delle Rose si passa a fianco del Roseto. Essa fu costruita nel luogo dove sorgeva il giaciglio di S. Francesco. Le pareti sono state affrescate nel ‘500 da Tiberio d’Assisi, uno degli artisti più conosciuti del tempo.
  • Il Tabernacolo Robbiano- Polittico in terracotta smaltata modellato da Andrea Della Robbia. Al centro della parte superiore è l’Incoronazione della Madonna; alla sinistra S. Francesco riceve le stimmate; a destra S. Girolamo. In basso, da sinistra: l’Annunciazione alla Madonna, la Nascita di Gesù nella grotta di Betlemme e la Visita dei Re Magi.
  • Il Vecchio Convento- dove è possibile vedere le celle dei primi frati parzialmente arredate( tra queste la cella di S. Bernardino). Di notevole interesse è la piccola stanza detta del “ fuoco comune”. Annerita dalle lampade e dal tempo, era antico luogo di preghiera. Annessa  al convento, vi è anche una Biblioteca, una delle maggiori della Regione. Assieme all’Archivio conserva antichi documenti, volumi e manoscritti francescani.
  • La Cappella del Transito- All’interno di questa cappella morì S.Francesco, attorniato dai suoi confratelli più cari. Al tempo del primo insediamento francescano, pur nella ristrettezza delle misure, essa serviva da infermeria. Sembra che la porticina che si apre lateralmente sia originaria, risalente al tempo di San Francesco. All’interno vi sono affreschi di Giovanni Spagna raffiguranti i compagni del Poverello. I nomi sono riportati sopra la testa di ognuno. Sull’altare vi è una statua del Santo, opera in terracotta di A. Della Robbia ( fine sec. XV).
  • La Cripta- E’ stata ricavata di recente per porre in rilievo i resti delle più antiche costruzioni francescane ivi esistenti. Le vetrate sono di A. Farina; l’altare è stato scolpito dall’artista assisano F. Prosperi.
  • La Porziuncola- In località Santa Maria degli Angeli, fuori Assisi, vi è una piccola chiesa, attualmente inglobata all’interno della grande basilica di Santa Maria degli Angeli, costruita proprio per proteggere e venerare questa piccola e antica chiesa, di notevole significato spirituale e storico.

La tradizione fa risalire l’edificazione della Porziuncola al IV secolo, ad opera di eremiti provenienti dalla Palestina. Nel 576 ne avrebbe preso possesso San Benedetto stesso, facendola dipendere direttamente dal monastero centrale del Subasio.
La Porziuncola divenne per Francesco e per i suoi frati luogo particolare e qui sostavano spesso in preghiera. Sempre dalla Porziuncola Francesco invia i primi frati ad annunciare la pace. Il 2 agosto del 1216, con la presenza dei sette vescovi umbri, fu consacrato il piccolo edificio e vi fu proclamato il cosiddetto “Perdono d’Assisi”: chiunque avesse visitato la chiesetta, debitamente confessato e comunicato avrebbe ricevuto il perdono dei peccati.
Nella Porziuncola, inoltre, Santa Chiara rinunciò al mondo e abbracciò  sorella povertà.
La chiesa è costruita con pietra cavata dal monte Subasio. L’interno è costituito da un’unica aula con piccola abside, “chiusa” da una pala d’altare datata 1393, opera del pittore Pietro Ilario da Viterbo. Il piccolo edificio (di soli 4 metri per 7) conserva tuttora le strutture trecentesche, compreso il tetto con la copertura in marmo bianco e rosa. Il recente restauro, dovuto al sisma del 1997, e terminato nel 1999, ha fatto rinvenire il pavimento originale, in “coxxio pesto”, che è poi stato ricoperto dalle strutture cinquecentesche. Sull’arco del portale d’ingresso, sulla fascia d’oro che incornicia l’affresco della facciata, vi sono scritte le parole “la tua richiesta Francesco accolgo”, pronunciate da Gesù in risposta alla richiesta del Santo: che quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe. A sottolineare l’ingresso, nel luogo dell’indulgenza, altre due brevi iscrizioni, una incisa sulla soglia: Hic locus sanctus est (questo luogo è santo) e l’altra scritta alla base dell’altare dell’affresco sopra la porta:  Haec est porta vitae aeternae (questa è la porta della vita eterna).
L’ingresso della Porziuncola  è sproporzionato così come lo è la porta laterale (si tratta di una porta lignea del ‘400 con decorazioni floreali) aperta nel XIX secolo per consentire il flusso delle grandi folle di pellegrini. Sul lato destro esterno è affisso uno dei documenti epigrafici più antichi dell’Ordine: la lapide della tomba di Pietro Cattani, morto il 10 marzo 1221 quando ancora era in vita Francesco. Si racconta che folle di devoti accorrevano alla sua tomba disturbando la preghiera dei frati; allora Francesco esortò Cattani ad essere obbediente in morte come lo era stato in vitae, quindi, gli ordinò di non compiere più miracoli. E così avvenne. L’affresco sulla facciata è del pittore Nazareno Friedrich Overbeck (1830). In esso sono rappresentati degli angeli che scortano Francesco, il quale chiede a Gesù e a Maria la concessione dell’indulgenza plenaria. In alto una lanterna in stile gotico (XVI-XV secolo) conuna statua della Vergine, una Madonna del latte degli inizi del XIV secolo. Sulla parete esterna dell’abside un affresco raffigurante la Crocifissione, recentemente ripulito, dove sembra essersi ritrovata la mano del pittore Pietro Vannucci, detto il Perugino. Quello che si vede è ciò che resta di un grande affresco che ricopriva la parete del convento del XVI secolo, abbattuto quando fu deciso di innalzare la grande basilica.

  • La Sacrestia-  Eccellente è il lavoro in legno eseguito dai francescani nella Sacrestia. L’opera è di fra Giacomo da Borgo San Sepolcro ed è stata portata a compimento con enorme maestria nella seconda metà del XVII secolo. Di ottima fattura anche il soffitto, restaurato negli anni ’40.

La basilica di San Francesco
I lavori per la costruzione della Basilica ebbero inizio nel 1228, a soli due anni di distanza dalla morte del Santo. Il terreno, roccioso e dirupato, incombente sulla stretta valle del Tescio a nord e sulla pianura Umbra a sud, fu donato all’ordine dei Frati Minori da facoltosi cittadini assisani, ma trascritto come proprietà al Pontefice Gregorio IX in ossequio alla regola francescana. Discende da questo rogito notarile che la chiesa fa parte del patrimonio del Vaticano. Il luogo che veniva allora chiamato “Colle dell’Inferno”, perché vi erano eseguite le sentenze capitali dei malfattori, prese il nome di “Colle del Paradiso”, per il fatto che avrebbe custodito i resti mortali di San Francesco.
Probabilmente l’architetto fu Frate Elia di Bombarone. L’energia di questo Frate rese possibile il completamento della Chiesa inferiore in soli due anni. Il 25 Maggio 1230 vi fu infatti traslata la salma del Santo.
Si accede alla piazza inferiore di San Francesco transitando sotto un arco posto al termine della stretta via Frate Elia. Improvvisa ci si presenta una stupenda visione della Basilica: ai lati i portici del piazzale che, per il gioco della prospettiva, sembrano indicare la meta dei nostri passi con l’invito alla visita; al centro, il campanile romanico, il protiro dell’entrata; in alto a destra, la facciata della Chiesa superiore. La pietra bianco rosata del Subasio, con cui è stata costruita la Chiesa, crea un effetto cromatico particolare e di notevole valore artistico. Attraverso un portale di stile gotico, con al centro un rosone finemente cesellato, opera di Francesco di Pietrasanta, si entra nella Chiesa inferiore. La pianta della chiesa è a doppio “T”, il Thau così caro a Francesco perché rappresenta la Croce.
Basilica inferiore
Il portale binato della Basilica inferiore presenta un rosone che, per la ricca varietà di motivi scultorei, è stato definito dal Venturi “l’occhio di chiesa più bello del mondo”. Sono semiscomparsi i mosaici e le maioliche colorate incastonate nella parte superiore. La porta lignea di sinistra con figure e scene francescane e clariane è opera di Niccolò Ugo Linucci, mentre quella di destra, dove sono presenti figure e scene di Sant’Antonio da Padova e Ludovico d’Angiò, sono di Pompeo Scurscione.
Nella lunetta tra le porte gemelle l’unica immagine del Santo in mosaico, in tutto l’edificio, è sormontata dal rosone simbolo di Cristo, sole della giustizia che dice al Pellegrino “Io sono la Porta. Chi per me passerà sarà salvo, entrerà, uscirà e troverà pascoli”.
Nel pensiero di Frate Elia, la Basilica inferiore doveva fungere da ampia cripta per favorire l’incontro delle masse di pellegrini con il Santo. Le volte e le pareti della basilica inferiore sono portatrici della decorazione murale più antica. Le prime, cosparse di stelle, sono realizzate, oltre che in dipinto, con minuscoli specchi semisferici.
Verso il 1260, il Maestro di San Francesco dipinse storie della Passione di Cristo e del Santo. I riquadri, recentemente ripuliti, sorprendono per la loro fresca e movimentata figurazione. La Tomba di San Francesco rappresenta il cuore del santuario che, al centro della crociera, custodisce l’arca di pietra con i resti mortali di San Francesco. Sono inoltre presenti altre cappelle dedicate ai vari Santi. Le vele rappresentano il fulcro iconografico della Basilica sepolcrale. Notevole è la “Madonna In Maestà” di Cimabue.
Basilica superiore
La basilica assisiate, con il complesso delle sue ventotto finestre, costituisce una luminosa e fortunata eccezione per l’Italia. Fu terminata al tramonto del secolo XIII. La crociera e i transetti sono la grande opera di Cenni di Pepi detto Cimabue. All’interno sono rappresentati i quattro evangelisti nelle vele centrali, le pagine mariane del Vangelo negli spazi alti e basi dell’abside,  infine l’Apocalisse e gli Atti degli Apostoli nel transetto sinistro e in quello destro.
Il coro ligneo rappresenta la comunità francescana in preghiera. Nella navata centrale San Francesco è celebrato come la concordia dei testamenti. Inoltre la vita di San Francesco è affrescata da Giotto che fa muovere i personaggi con una vivacità e una plasticità unica.

Tecnica dell’affresco
L’affresco è un’antichissima tecnica pittorica oggi eseguita da pochissimi professionisti, mentre nei secoli scorsi conobbe grande diffusione. Abbiamo i primi esempi di affresco già nell’epoca della civiltà minoica.
Principalmente si compone di tre elementi: supporto, intonaco e colore.

  • Il supporto, di pietra o di mattoni, deve essere secco e senza dislivelli. Prima della stesura dell’intonaco viene preparata una malta composta da calce spenta, sabbia di fiume setacciata e acqua piovana, che, applicata alla parete, si chiama “arriccio”.
  • L’intonaco è l’elemento portante dell’intero affresco. È composto da sabbia di fiume fine, polvere di marmo o pozzolana setacciata, calce ed acqua piovana.
  • Il colore è di natura minerale, poiché deve resistere all’alcalinità della calce.

Con il rinascimento venne introdotto l’uso del cartone preparatorio:l’intero affresco veniva riportato a grandezza naturale sul cartone e le linee che componevano le figure erano poi perforate. Una volta appoggiato il cartone sull’intonaco fresco era spolverato con finissima polvere di carbone; in tal modo la polvere, passando attraverso i piccoli fori, lasciava la traccia da seguire per la stesura a pennello.
Questa tecnica è chiamata “ Spolvero”, ma con il tempo venne impiegata esclusivamente per le parti del dipinto che necessitavano maggiore precisione nell’esecuzione dei dettagli (come le mani, i volti o alcuni particolari delle vesti).
Già all’inizio del Rinascimento si comincia ad impiegare una nuova tecnica:l’incisione indiretta. In questo caso la carta impiegata per riportare il disegno era molto più spessa di quella usata per lo spolvero;si procedeva facendo aderire il cartone all’intonaco ancora fresco, ripassando successivamente le linee del disegno con uno stilo ligneo o di metallo con la punta arrotondata. La pressione dello strumento rilasciava una leggera incisione nella malta che serviva come linea guida o di contorno per la stesura definitiva del colore.

 

Gli affreschi di Giotto
E’ opportuno osservare la serie di affreschi  collocati lungo le pareti della navata della basilica superiore di Assisi,attribuiti a Giotto (nato nel 1266 a Vespignano e vissuto prevalentemente a Firenze), che riproducono gli episodi più salienti della vita di san Francesco, ispirati  alla Legenda Major scritta da Frate Bonaventura.
Giotto ha del santo una nuova visione: la sua pittura non lo rappresenta più come l’asceta, come il povero in continua meditazione e con gli occhi rivolti sempre al cielo, ma come l’uomo, creatura terrena dal gesto deciso e dalla volontà sicura. Lo scopo è in sintesi quello di delineare il senso storico e non leggendario o poetico. La figura che spicca dagli affreschi è,quindi,quello di un uomo i cui atti, prima che miracoli, sono fatti memorabili, storici. Le figure  lo spazio si dispongono come in blocchi contrapposti; lo stesso cielo non è mai rappresentato come qualcosa di aereo ma come qualcosa di solido, come un volume contrapposto ad un altro volume. Gli episodi sono narrati in modo sintetico, ma estremamente chiaro perché colti nel loro momento significativo. Tutto acquista  una tensione nuova: la storia di San Francesco si dipana nelle mani di Giotto, in un alternarsi di figure semplici sulle quali gioca una linea che, nella sua sobrietà, diviene immediatamente lo strumento dell’ acutezza espressiva. Giotto, di fronte a tanta ricchezza di materiale, operò una sua scelta e rappresentò, in modo sintetico e significativo, tutti gli episodi che risultano più idonei  a delineare la figura di Francesco. Infine lo spazio si dà sempre con un valore costante, assoluto, universale.
Gli affreschi sono 28; tra essi esaminiamo:  

 

Preghiera in San Damiano o miracolo del crocifisso. San Francesco è rappresentato in preghiera davanti al crocifisso di San Damiano entro la chiesetta diroccata, alla quale sono crollati una parte di muro e della copertura del soffitto. L’ambientazione architettonica è tra le più efficaci di tutto il ciclo, con la chiesa disposta in una prospettiva angolare che mostra attraverso le aperture dei muri crollati ampie parti dell’interno dove si svolge la scena. I dettagli architettonici sono vividamente reali: le capriate, l’abside, il recinto con intarsi marmorei.

Omaggio dell’uomo semplice. La pittura di questa scena é dovuta in gran parte ad opera dei discepoli,ma straordinaria è l’organizzazione della scena, in un’ambientazione senza precedenti: gli spettatori vi potevano facilmente riconoscere la piazza di Assisi tra il palazzo comunale (con la torre, non ancora ultimata) e il tempio di Minerva, con gli edifici che creano un fondale realistico, costruito secondo precise misure con un coerente punto di vista laterale e dal basso. Rappresenta il santo che passa e un concittadino stende un mantello al suo passaggio. Il santo non è raffigurato con deformazioni gerarchiche o con una sacrale posa frontale, ma è dipinto come le altre persone, con il solo riconoscimento dell’aureola. Gli altri personaggi sono figure di cittadini casualmente di passaggio che commentano il fatto con naturalezza. 

Il dono del mantello non possiede uno sfondo architettonico, ma paesaggistico. La rappresentazione del paesaggio non è ancora arcaica, con la convenzione tipicamente bizantina delle rocce scheggiate a distanza indefinita. Sapiente è la costruzione delle linee principali oblique che si incrociano in corrispondenza della testa del santo: i due profili delle montagne si prolungano a sinistra, mentre a destra proseguono nel braccio del santo nell’atto di donare il mantello. Lo schema è rigido,ma armonizzato dal collo del cavallo. Il pathos non si esprime in gesti concitati, ma rientra nell’ordine morale dell’agire umano.

 

Il Miracolo della fonte è caratterizzato da un paesaggio tipicamente bizantino riscontrato soprattutto dalle rocce sporgenti; l’insieme crea un gioco di linee che drammatizza la scena. Di grande eloquenza è il gesto dell’uomo che si china per bere l’acqua, con il piede realisticamente piegato nella spinta del corpo. I profili e i piani delle rocce corrispondono esattamente  ai gruppi delle figure: i frati con l’asino, il santo in preghiera, l’assetato. Lo spazio è bloccato dalle balze scoscese tra cui è incastrato l’azzurro del cielo.

 

San Francesco rinuncia ai beni materiali  è organizzato secondo uno schema molto efficace di due fasce verticali intervallate dallo sfondo neutro: a sinistra Bernardone, il padre di Francesco, infuriato e dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall’altra parte San Francesco spogliato che prega verso la mano di Dio che appare tra le nuvole; il vescovo copre le sue nudità ed altri religiosi lo seguono. Notevolissima,poi,è la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare lumeggiature che definiscono il volume della muscolature di sorprendente modernità. Le scenografie architettoniche sono particolarmente sviluppate in altezza e creano volumi vuoti e pieni. In questi edifici non sono mantenuti rapporti dimensionali coerenti con le figure presenti, ma sono delle semplici quinte della scena.

 

Fonte: http://www.galileionline.it/opuscoliarte/Tivoli-Assisi.doc

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Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

San Francesco frasi

 

CANTICO DELLE CREATURE


Altissimo, onnipotente, buon Signore

tue sono le lodi, la gloria e l'onore
ed ogni benedizione.
A te solo, Altissimo, si confanno,
e nessun uomo è degno di te.

Laudato sii, o mio Signore,
per tutte le creature,
specialmente per messer Frate Sole,
il quale porta il giorno che ci illumina
ed esso è bello e raggiante con grande splendore:
di te, Altissimo, porta significazione.

Laudato sii, o mio Signore,
per sora Luna e le Stelle:
in cielo le hai formate
limpide, belle e preziose.

Laudato sii, o mio Signore, per frate Vento e
per l'Aria, le Nuvole, il Cielo sereno ed ogni tempo
per il quale alle tue creature dai sostentamento.
Laudato sii, o mio Signore, per sora Acqua,
la quale è molto utile, umile, preziosa e casta.

Laudato sii, o mio Signore, per frate Fuoco,
con il quale ci illumini la notte:
ed esso è robusto, bello, forte e giocondo.
Laudato sii, o mio Signore, per nostra Madre Terra,
la quale ci sostenta e governa e
produce diversi frutti con coloriti fiori ed erba.

Laudato sii, o mio Signore,
per quelli che perdonano per amor tuo
e sopportano malattia e sofferenza.
Beati quelli che le sopporteranno in pace
perchè da te saranno incoronati.

Laudato sii, o mio Signore,
per nostra sora Morte corporale,
dalla quale nessun uomo vivente può scampare.
Guai a quelli che morranno nel peccato mortale.
Beati quelli che si troveranno nella tua volontà
poichè loro la morte non farà alcun male.

Laudate e benedite il Signore e ringraziatelo
e servitelo con grande umiltate.

Frasi attribuite a san Francesco

“Canta la vita finchè il tempo te lo concede; cerca il libero soffio, il libero pensiero, affinchè ogni tuo giorno sia nuovo e non la ripetizione di secoli. Vivi l'attimo nell'eterno respiro inventando parole che nessuno ha mai detto. Crea la tua vita come l'Infinito la ricrea in te”.

"Coloro poi che hanno ricevuto l'autorità di giudicare gli altri, esercitino il giudizio con misericordia, così come essi stessi vogliono ottenere misericordia dal Signore; infatti il giudizio sarà senza misericordia per coloro che non hanno usato misericordia."

"Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto dobbiamo essere semplici, umili e puri."

"Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio."

L'uomo veramente pacifico è colui che fra le avversità della vita, conserva la pace nell'anima.

Desidero poco e quel poco che desidero lo desidero poco.

Donandosi si riceve, dimenticando se stessi ci si ritrova.

"Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre

Facciamo, inoltre, frutti degni di penitenza. E amiamo i prossimi come noi stessi. E se uno non vuole amarli come se stesso, almeno non arrechi loro del male, ma faccia del bene".

"Coloro poi che hanno ricevuto l'autorità di giudicare gli altri, esercitino il giudizio con misericordia, così come essi stessi vogliono ottenere misericordia dal Signore; infatti il giudizio sarà senza misericordia per coloro che non hanno usato misericordia."

"Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto dobbiamo essere semplici, umili e puri."

"Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio."

“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”.

“Fai attenzione a come pensi e a come parli, perché può trasformarsi nella profezia della tua vita.

“Predicate il Vangelo, e se è proprio necessario usate anche le parole”.

                                               

 

Dai fioretti di San Francesco

E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compiè di predicare (...) Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c'aveva fatta loro santo Francesco si divisoro in quattro parti (...) e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti.

 

  • Signore, fa' di me uno strumento della tua pace.
    Dove e' odio, fa' che io porti l'amore.
    Dove e' offesa, che io porti il perdono.
    Dove e' discordia, che io porti l'unione.
    Dove e' dubbio, che io porti la fede.
    Dove e' errore, che io porti la verita'.
    Dove e' disperazione, che io porti la speranza.
    Dove e' tristezza, che io porti la gioia.
    Dove sono le tenebre, che io porti la luce.

 

  • Piangendo Francesco disse un giorno a Gesù:
    "Amo il sole, amo le stelle,
    amo Chiara e le sorelle,
    amo il cuore degli uomini,
    amo tutte le cose belle...
    O Signore, mi devi perdonare
    perché te solo io vorrei amare."
    Sorridendo il Signore gli rispose così:
    "Amo il sole, amo le stelle,
    amo Chiara e le sorelle,
    amo il cuore degli uomini,
    amo tutte le cose belle...
    O Francesco, non devi piangere più,
    perché io amo ciò che ami tu.
    (Anonimo, dal calendario di Frate Indovino del 2001)
  • Guardate l'umiltà di Dio,
    e aprite davanti a Lui i vostri cuori;
    umiliatevi anche voi,
    perché Egli vi esalti.
    Nulla, dunque, di voi
    tenete per voi,
    affinché vi accolga tutti
    Colui che a voi si dà tutto.

Citazioni su San Francesco d'Assisi

  • Quando pregate, dite il Pater noster, oppure: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono in tutto il mondo e ti benediciamo, perché per mezzo della tua santa croce hai redento il mondo. (citato in San Bonaventura da Bagnoregio, Vita di San Francesco d'Assisi, Edizioni Porziuncola, Assisi 1974)
  • A udire questi due nomi, San Benedetto, San Francesco, uno sente piegarsi le ginocchia. I fondatori sono di solito delle aquile, i seguaci delle galline. (Ignazio Silone)
  • E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare [...] Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c'aveva fatta loro santo Francesco si divisoro in quattro parti [...] e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti. (Anonimo, I fioretti di San Francesco)
  • Francesco d'Assisi. L'essenza della sua natura e il vigore del suo comportamento si fondano sulla volontà di un'imitazione radicale e pratica di Cristo. (Erich Auerbach)
  • Il corridoio, alitato dal gelo degli antri, si veste tutto della leggenda Francescana. Il Santo appare come l'ombra di Cristo, rassegnata, nata in terra d'umanesimo. La sua rinuncia è semplice e dolce: dalla sua solitudine intona il canto alla natura con fede: Frate Sole, Suor Acqua, Frate Lupo. Un caro santo italiano. (Dino Campana)
  • Il santo poeta è da molti secoli nella memoria degli uomini e la sua poesia è ormai nella natura stessa. Poiché Francesco d'Assisi non è un santo che si veneri solo nelle chiese da sacerdoti e da fedeli; è il poeta che noi sentiamo e adoriamo dinanzi a tutte le cose belle. Quando il nostro amore vuol consacrargli un altare, noi pensiamo ai fiori dei campi, agli uccelli dell'aria, allo sfondo azzurro del cielo. (Marino Moretti)
  • Mentre Bernardo si dava agli affari del mondo come un grande uomo politico della Chiesa e da essi si ritirava nella contemplazione per fare la grande esperienza dell'imitazione di Cristo, per san Francesco gli affari del mondo costituiscono l'ambiente vero e proprio per l'imitazione. (Erich Auerbach)
  • Osservando la vita e la natura di Francesco d'Assisi non si può fare a meno di pensare che quell'uomo deve aver avuto una madre dolcissima. (Hermann Hesse)
  • San Francesco chiamava gli animali «i nostri fratelli più piccoli». Per loro aveva le attenzioni più delicate. Voleva scrivere a Federico II perché con un editto stabilisse che a Natale le strade fossero cosparse di granaglie e di grano per gli uccelli: anch'essi dovevano gioire per la nascita del Redentore. Perché non fossero calpestati, scansava dai sentieri i vermi. A Sant'Angelo in Pantanelli, presso Orvieto, viene mostrato tuttora uno scoglio sul Tevere, dal quale avrebbe gettato nel fiume dei pesci che gli erano stati regalati, dicendo: «Fatevi furbi...». (Mario Canciani)
  • Sotto ogni italiano si nasconde un Cagliostro e un San Francesco. (Leo Longanesi)
  • Pur vivendo nel mondo, egli imitò talmente la purezza degli Angeli, da essere proposto ad esempio ai perfetti imitatori di Cristo.
  • Quando egli [San Francesco] considerava la fonte primordiale di tutte le cose, si sentiva colmo di ancora più abbondante pietà, e chiamava le creature, anche le più piccole, con il nome di fratello o sorella, perché sapeva che venivano dalla stessa fonte da cui anche lui veniva.
  • Venuta quindi a conoscenza di molti la notizia della semplicità della dottrina e dell'autentica vita di questo servo di Dio, alcuni uomini, attratti dal suo esempio, cominciarono a sentirsi incoraggiati ad abbracciare la vita di penitenza e, abbandonando tutto, unirsi a lui sia nel modo di vestire che di vivere. Primo fra questi fu Bernardo, uomo veramente venerando.                                                                                                           Bonaventura da Bagnoregio

 

  • Il mondo circostante era, come si è già notato, un groviglio di dipendenze familiari, feudali, e altre. L'idea complessa di San Francesco era che i Piccoli Frati dovessero essere come pesciolini, liberi di muoversi a proprio piacimento in quella rete. E potevano farlo proprio per il loro essere piccoli e perciò guizzanti. [...] Calcolando, per così dire, su questa astuzia innocente, il mondo era destinato ad essere circuito e conquistato da lui, e impacciato nel reagire alla sua azione. Non si poteva di certo lasciar morire di fame un uomo continuamente votato al digiuno, né lo si sarebbe potuto distruggere e ridurre alla miseria, poiché era già un mendicante. Vi sarebbe stata una soddisfazione ben scarna anche nel percuoterlo con un bastone, poiché egli si sarebbe lasciato andare a salti e canti di gioia, essendo l'umiliazione la sua unica dignità. E nemmeno lo si sarebbe potuto impiccare, perché il cappio sarebbe divenuto la sua aureola.
  • [San Francesco] non confondeva la folla con i singoli uomini. Ciò che distingue questo autentico democratico da qualunque altro semplice demagogo è che egli mai ingannò o fu ingannato dall'illusione della suggestione di massa. Qualunque fosse il suo gusto per i mostri, egli non vide mai dinanzi a sé una bestia dalle molteplici teste. Vide unicamente l'immagine di Dio, moltiplicata ma mai ripetitiva. Per lui un uomo era sempre un uomo, e non spariva tra la folla immensa più che in un deserto. [...] Nessun uomo guardò negli occhi bruni ardenti senza essere certo che Francesco Bernardone si interessasse realmente a lui, alla sua vita intima, dalla culla alla tomba, e che venisse da lui valutato e preso in considerazione. [...] Ora, per questa particolare idea morale e religiosa non c'è altra espressione esteriore che quella di "cortesia". "Interessamento" non può esprimerla, perché non è un semplice entusiasmo astratto; "beneficenza" nemmeno, perché non è una semplice compassione. Può solo essere comunicata da un comportamento sublime, che può appunto dirsi cortesia. Possiamo dire, se vogliamo, che San Francesco, nella scarna e povera semplicità della sua vita, si aggrappò a un unico cencio della vita del lusso: le maniere di corte. Ma mentre a corte c'è un solo re e una folla di cortigiani, nella sua storia c'era un solo cortigiano attorniato da centinaia di re.
  • [San Francesco] vide ogni cosa con senso drammatico, staccata dalla sua posizione, non immobile come in un quadro ma in azione come un dramma. Un uccello poteva sfiorarlo come una freccia, [...] un cespuglio poteva fermarlo come un brigante; ed egli era pronto a dare il benvenuto a entrambi. In una parola, noi parliamo di un uomo che non confondeva il bosco con gli alberi, e non voleva farlo. Voleva piuttosto considerare ogni albero come un'entità separata e quasi sacra, come una creatura di Dio [...] Non voleva ergersi di fronte a uno scenario usato come mero sfondo, e recante la banale iscrizione: "Scena: un bosco". In tal senso vorremmo intendere che era troppo drammatico per il dramma stesso. Lo scenario avrebbe preso vita nelle sue commedie [...] Ogni cosa sarebbe stata in primo piano, e quindi alla ribalta; ogni cosa avrebbe avuto un proprio carattere. Questa è la qualità per cui, come poeta, egli fu perfettamente l'opposto d'un panteista. Non chiamò la natura sua Madre, ma chiamò Fratello un certo somaro e Sorella una certa passerotta. [...] È qui che il suo misticismo è così simile al senso comune di un fanciullo. Un bambino non ha difficoltà a comprendere che Dio creò cane e gatto; sebbene sia consapevole che la formazione del gatto e del cane dal nulla è un processo misterioso al di là della sua immaginazione. Ma nessun bambino capirebbe il senso dell'unione del cane e del gatto e di ogni altra cosa in un unico mostro con una miriade di gambe chiamata natura. Egli senza dubbio si rifiuterebbe di attribuire capo o coda a un simile animale. [...] Gli uccelli e gli animali francescani assomigliano davvero a uccelli e animali araldici, non perché fossero favolosi, ma nel senso che erano considerati come realtà, chiare e positive, scevre dalle illusioni dell'atmosfera e della prospettiva. In tal senso egli vide un uccello color sabbia in campo azzurro e una pecora d'argento in campo verde. Ma l'araldica dell'umiltà era più ricca dell'araldica dell'orgoglio, perché giudicava tutte le cose che Dio aveva creato come qualcosa di più prezioso e di più unico die blasoni che i principi e i nobili avevano dato soltanto a se stessi.

Pensieri d’ispirazione francescana

  • "Le persone sono come le vetrate. Scintillano e brillano quando c'è il sole, ma quando cala l'oscurità rivelano la loro bellezza        solo se c'è una luce dentro".             Elisabeth Kubler Ross
  • Madre Teresa di Calcutta

La vita è opportunità, coglila; La vita è bellezza, ammirala; La vita è una sfida, affrontala; La vita è preziosa, abbine cura; La vita è una ricchezza, conservala; La vita è amore, godine;

La vita è mistero, scoprilo; La vita è dolore, superalo; La vita è un inno, cantalo; La vita è lotta, accettala;

La vita è un'avventura, rischiala; La vita è felicità, meritala; La vita è vita, salvala!

  • dalla tomba di un Vescovo dell'Abbazia di Westminster

Quando ero giovane e libero e la mia immaginazione non aveva limiti,sognavo di cambiare il mondo. Come divenni più grande e più saggio, scoprii che il mondo non avrebbe potuto essere cambiato, così ridussi la mia visione e decisi di cambiare solo il mio paese, ma anche questo sembrava essere inamovibile.

Come crebbi, al crepuscolo della mia vita, in un ultimo disperato tentativo, decisi di cambiare solo la mia famiglia, quelli più vicino a me. Ma anche questi non volevano niente di tutto ciò. E ora, che sono legato al mio letto di morte, capisco che se solo avessi cambiato per primo me stesso, forse, con l'esempio, avrei potuto cambiare la mia famiglia. Dalla loro ispirazione e con il loro incoraggiamento avrei quindi potuto cambiare in meglio il mio paese. E chi lo sa, avrei potuto forse cambiare il mondo.

  • Una terziaria francescana così si esprime:

Ogni gesto, se vuoi, è l'espressione di ciò che è più profondo e sfugge ogni definizione, nel roteare di atomi e sfere, e se proprio vuoi dire un nome puoi chiamarlo ARMONIA DIVINA.

Ogni attimo di tempo, se vuoi, è richiamo di un soffio Eterno di Dio che abita in tutte le cose e non conosce confine, e se proprio vuoi dire un nome puoi chiamarlo AMORE.

Ogni fatica, se vuoi, è gradino di un'ascesa invisibile che si svolge negli abissi della coscienza fino alle altezze supreme dell'Essere divino che non hanno fine ma sempre nuovi inizi, chiamala SANTITA’.

Puoi dare un nome a ciò che sempre si rinnova ed ha per dimora lo spazio infinito? Se vuoi, puoi chiamarlo LUCE DIVINA.

Ogni respiro viene dalla sorgente al di là del tempo e non è affanno, se vuoi, ma flusso che scorre dolcemente tra nascita e morte e riposa nel grembo Divino come l'onda riposa nel mare: puoi chiamarlo, se vuoi, PACE.

 

 

 

Fonte: http://www.diocesitrivento.it/Testi/Download/san%20francesco.doc

Sito web da visitare: http://www.diocesitrivento.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

 

 

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